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STRUMENTI Olga Rozanova, La scrivania, particolare, 1916. RIASSUMERE © EDIZIONI il capitello

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Olga Rozanova, La scrivania,

particolare, 1916.

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RIASSUMERE

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il testo letterario in classe

Leggere è, come abbiamo visto, un’attività che coinvolge l’attenzione, l’immaginazione, la capacità di riflettere, il sapere personale. Il «lavoro sul testo» che viene proposto a scuola è

un’esplorazione guidata dei vari livelli di significato dei testi, per imparare a scoprire autono-mamente le molte cose che un testo ha da dire a un lettore.Il momento della scrittura, che spesso anche a scuola conclude un lavoro di lettura e di ana-lisi, serve allo studente per mostrare di avere capito quello che ha letto, di avere imparato ad analizzare un testo, di sapere riflettere su quello che ha letto; costituisce inoltre un’opportunità per imparare a costruire in modo adeguato testi per comunicare le proprie analisi e riflessioni.Attività utili per la comprensione e l’analisi del testo sono il riassunto e la suddivisione in nuclei narrativi e sequenze.

riassumere un testo narrativo letterarioRiassumere un racconto, un romanzo o un film non è un’attività solo scolastica. Saper riassu-mere infatti significa poter mettere in comune con un’altra persona una propria esperienza. Lo scrittore francese Daniel Pennac dice che non è obbligatorio parlare dei libri letti, ma molti sono i lettori che amano condividere le proprie letture, e spesso quando parlano di libri co-minciano proprio dal riassumerne la trama.Le modalità per riassumere un racconto, un romanzo, o un film, dipendono dallo scopo e dalla situazione comunicativa.

Lo scopo di un riassunto scolastico è quello di dimostrare all’insegnante di avere letto comple-tamente il testo e di avere compreso la trama. È utile per questo lavoro ricorrere a una scaletta narrativa, attraverso la quale individuare quei fatti – ne bastano dieci – che sono necessari allo svolgimento della storia, cioè quelli senza i quali la storia non «va avanti». Riassumere non consiste però nel compilare un semplice elenco di fatti in una sequenza temporale, ma nel ricostruire il meccanismo narrativo costruito dall’autore e nel mettere a fuoco il ruolo dei personaggi. Chi riassume può seguire sia l’intreccio, cioè l’insieme dei fatti così come sono presentati dal-lo scrittore, sia l’ordine cronologico dei fatti. Ad esempio, se un riassunto dei Promessi sposi segue l’intreccio, inizierà, come il romanzo, con la passeggiata di don Abbondio, il parroco al quale due bravi proibiscono di celebrare il matrimonio di Renzo e Lucia; se invece segue l’ordine cronologico inizierà con la presentazione di Renzo e Lucia e l’incontro casuale di quest’ultima con don Rodrigo.

Se il riassunto è destinato a una recensione giornalistica o a una quarta di copertina, il suo scopo è quello di dare un’indicazione di lettura e di invogliare a comperare o comunque a leg-gere il romanzo. In questi casi il riassunto deve limitarsi a enunciare l’argomento della storia, magari l’inizio, ma ovviamente non deve raccontare tutto lo svolgimento né la conclusione, in quanto toglierebbe parte del piacere della lettura.Chi scrive deve saper individuare il nucleo della storia narrata, deve cioè brevemente informa-re sull’argomento e sul tema affrontato dall’autore. Ad esempio, se il romanzo è L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, l’argomento è la ricerca di un tesoro a seguito del ritrovamento di una mappa, mentre i temi sono quelli dell’av-ventura e del passaggio all’età adulta da parte del giovane protagonista. I brevi riassunti che troviamo nella quarta di copertina sono spesso testi argomentativi, proprio perché il loro sco-po è quello di convincere il lettore a comperare il libro.

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1. ciurma: l’insieme degli uomini che lavoranosu una nave; il vocabolo ha una connotazione dispregiativa.

2. asserragliano: si rinchiudono. 3. bucaniere: pirata.

L’azione si svolge nel Settecento. In un paesino marittimo d’Inghil-terra vivono il giovane Jim Hawkins e la madre, proprietaria di una locanda, l’Ammiraglio Benbow. Un giorno, frugando nel baule di un misterio so marinaio di nome Billy Bones, morto nella locanda, essi scoprono la carta di un’isola lontana, sulla quale è segnato il nascondi-glio del tesoro di un famoso pirata, il capitano Flint. Jim porta la carta al dottor Livesey e al nobile signore Trelawney, che organizzano una spe dizione con la Hispaniola. Si arruola nell’equipaggio come cuoco di bordo, Long John Silver, un uomo con una gamba di legno, accompa-gnato da un pittoresco pappagallo. Bonario e di spirito pronto, Silver è in realtà lo spietato capo dei superstiti della ciurma1 di Flint, che si sono imbarcati sull’Hispaniola per metter le mani sul tesoro. Giunti nell’arida isola dei Mari del Sud, i pirati si impadroniscono della nave, mentre Livesey, Trelawney, Jim e gli altri rimasti fedeli si asserra gliano2 in un fortino. Dopo molte sparatorie e con l’aiu to di Ben Gunn, un bu-caniere3 abbandonato in quell’i sola dai suoi compagni tre anni prima, i pirati vengono sconfitti; il tesoro, immenso, viene portato sull’Hispa­niola. Al primo porto dell’America centrale Silver, che era stato cattu-rato insieme ad alcuni dei suoi complici, fugge e di lui non si saprà più nulla. Jim e gli altri ritor nano in Inghilterra e si spartiscono il tesoro. Tuttavia l’avventura è stata abbastanza tragica, e il tesoro è co stato a suo tempo tante vite e tante navi, che Jim conti nua a essere perseguita-to da incubi in cui rivede le spiagge dell’isola dei pirati.

La nuova Enciclopedia della Letteratura Garzanti, Milano 1985

un teSto Spiegato • il riaSSunto completo

L’ISOLA DEL TESOROIl seguente riassunto è tratto da una piccola enciclopedia della letteratura, in cui sono riportate anche le trame dei romanzi più famosi. In questo caso il romanzo è L’isola del tesoro (1883), di Robert Louis Stevenson, adatto ai lettori di ogni età.L’autore del riassunto ricostruisce tutta la trama, aggiungendo precise informazioni sui personaggi. Lo scopo è quello di far conoscere al lettore la storia narrata nel romanzo.

terra vivono il giovane Jim Hawkins e la madre, proprietaria di una locanda, l’Ammiraglio Benbow. Un giorno, frugando nel baule di un

scoprono la carta di un’isola lontana, sulla quale è segnato il nascondiscoprono la carta di un’isola lontana, sulla quale è segnato il nascondiglio del tesoro di un famoso pirata, il capitano Flint. Jim porta la carta

bordo, Long John Silver, un uomo con una gamba di legno, accompa

per metter le mani sul tesoro. Giunti

. Al primo porto dell’America centrale Silver, che era stato catturato insieme ad alcuni dei suoi complici, fugge e di lui non si saprà più nulla. Jim e gli altri ritornano in Inghilterra e si spartiscono il tesoro.

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Jim Hawkins è poco più che un ragazzo. La sua vita sembra già se-gnata verso un monotono destino: mandare avanti la locanda di famiglia. All’improvviso, però, si affaccia sulla porta la figura niente affatto rassi-curante di un marinaio ubriacone e attaccabrighe. Sembrava un brutto incontro, è invece l’inizio di una straordinaria avventura.

R. L. Stevenson, L’isola del tesoro, De Agostini ragazzi, Novara 1996

Una mappa, un misterioso uomo sfregiato e un tesoro nascosto. Jim Hawkins sta per affrontare la più grande avventura della sua vita, accom-pagnato solo dall’enigmatico John Long Silver. Ma fidarsi di un vecchio pirata può rivelarsi un errore molto, molto grosso…

R. L. Stevenson, L’isola del tesoro, Fabbri editore, Milano 2007

un teSto Spiegato • la quarta Di copertina

L’ISOLA DEL TESOROI testi seguenti sono quarte di copertina di due diverse edizioni del romanzo di Stevenson L’isola del tesoro. Entrambe si limitano a dare informazioni essenziali sul romanzo, cercando però di stuz-zicare la curiosità del lettore.

curante di un marinaio ubriacone e attaccabrighe. Sembrava un brutto

pagnato solo dall’enigmatico John Long Silver. Ma fidarsi di un vecchio pirata può rivelarsi un errore molto, molto grosso…

La quarta di copertina di una delle tante edizioni del romanzo di Stevenson, L’isola del tesoro.

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I tre testi appaiono subito diversi: molto più lun-go il primo, poche righe gli altri due. La diversità vera però non sta nella lunghezza, ma nel fatto che mentre il primo propone tutta la trama e tutti i personaggi fondamentali, gli altri ne dan-no solo alcuni cenni.

IL RIASSUNTOIl riassunto inizia indicando l’epoca, il luogo dove comincia l’azione e il protagonista (24 pa-role); parla quindi del ritrovamento della mappa (57 parole). Prosegue con la presentazione di Sil-ver, che svolge un ruolo fondamentale nella sto-ria, e con la narrazione delle avventure sull’isola (108 parole). Particolarmente estesa è la conclu-sione (72 parole), con la quale l’autore informa sul destino dei due protagonisti.Il riassunto dedica uno spazio più ampio alla parte centrale del romanzo, cioè quella in cui si narra come Jim e i suoi compagni riescano a im-possessarsi del tesoro. È un riassunto completo, simile a quello che viene richiesto allo studente, nel quale sono date anche informazioni precise sui personaggi e sui luoghi. La maggiore o mi-nore ricchezza di informazioni in questo tipo di riassunto, il cui scopo è informativo, dipende dallo spazio a disposizione, ma importante è che il lettore sia in grado di capire la storia anche senza conoscere il romanzo.

LA QUARTA DI COPERTINA Le due quarte di copertina sono a loro vol-ta molto diverse tra loro. La prima presenta il protagonista e riassume rapidamente l’ini-zio della trama, che prospetta ricca di colpi di scena (straordinaria avventura). La seconda, pur essendo più breve, è più completa: mette a fuoco gli elementi fondamentali del romanzo, la mappa e il tesoro, e fa intuire il rapporto tra Jim e Long John Silver, che è uno degli aspetti più importanti del romanzo. Riproduce quindi, attraverso un’accurata scelta lessicale, l’atmo-sfera del romanzo, fatta di suspense (misterioso, enigmatico) e di avventura (tesoro nascosto, la più grande avventura, un errore molto, molto grosso…).Le quarte di copertina sono dei riassunti par-ziali, che in poche parole devono dare un’idea precisa e accattivante della storia narrata.

N. C. Wyeth, Il capitano Billy Bones, 1911, illustrazione per L’isola del tesoro di Stevenson.In ato, antica mappa dell’isola del tesoro.

raccogliamo le iDee

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come riassumere

Quando si riassumono racconti, ro manzi, ma anche film, occorre tenere presenti alcuni ele-menti specifici del testo narrativo letterario, come la presenza di descrizioni e del discorso

di retto o la funzione che ha la voce del narratore, che a volte può coincidere con quella del prota-gonista, o essere una voce esterna alla storia.Come si è visto, lo scopo per cui si riassume un testo letterario determina in modo fondamentale la scelta delle informazioni e il tono stesso del riassunto.

Per riassumere si può ricorrere a due diversi strumenti di lavoro:A. la scaletta narrativa , che consiste nell’individuare i fatti fondamentali della storia; serve a rias-

sumere sia racconti brevi sia romanzi;B. i nuclei narrativi consentono di individuare gli episodi più importanti di una storia, in base ai

quali viene costruito il riassunto; questo strumento serve soprattutto per riassumere raccontibrevi, costituiti da un numero limitato di nuclei, facilmente individuabili.

Incominciamo qui ad analizzare la scaletta narrativa.

a. la scaletta narrativa:le fasi di lavoro

Le fasi di lavoro per riassumere un testo narrativo letterario utilizzando una scaletta narrativa sono le seguenti:

1. lettura e comprensione• leggere con attenzione il racconto o il romanzo• individuare i protagonisti e i personaggi fondamentali• individuare l’epoca e i luoghi in cui si svolge la storia• comprendere la trama e il senso complessivo del racconto; se non sono chiari, non è possibile

individuare quali sono i fatti indispensabili a far proseguire la storia e quelli ai quali l’autore haattribuito un particolare significato.

2. impostazione del lavoro• avere chiari il destinatario e lo scopo• avere chiara la lunghezza che deve avere il riassunto• costruire una scaletta narrativa nella quale inserire le informazioni: in una colonna la scansione

temporale dei fatti e le indicazioni relative ai luoghi in cui avvengono, nell’altra colonna i fattiprincipali sintetizzati in una riga di scrittura e i relativi personaggi.

tempo-luoghi fatti-personaggi

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3. scelta delle informazioni• selezionare, e inserire nella scaletta narrativa, i fatti necessari a far

capire la storia, e i diversi passaggi della trama, tenendo presentescopo e destinatario; dieci fatti possono essere sufficienti sia per unracconto sia per un lungo romanzo: scopo del riassunto è far co-noscere l’argomento del racconto, non raccontare nei dettagli tuttala vicenda

• quando si nomina per la prima volta un personaggio, indicare il suoruolo: non dire «Giulia arrivò», ma «Giulia, la moglie del protago-nista, arrivò»

• eliminare le descrizioni; a volte può essere necessario indicare, insieme ai fatti, l’atmo sfera dellastoria o il carattere di un personaggio: in questi casi un aggettivo ben scelto sostituisce vere eproprie descrizioni

• eliminare il discorso diretto: i dialoghi devono essere riassunti o eliminati• verificare che lo spazio dedicato a ciascuna parte della storia (inizio, svolgi mento, conclusione)

sia proporzionato: lo spazio maggiore deve essere dedicato allo svolgimento della storia• verificare che tutte le informazioni scelte siano coerenti con lo scopo.

4. redazione del testo• indicare autore e titolo del testo e se possibile la citazione bibliografica completa• indicare all’inizio l’epoca e i luoghi in cui si svolge la storia• se la narrazione è fatta in prima persona, passare alla terza persona• utilizzare preferibilmente un tempo passato• non inserire opinioni personali o elementi di valutazione, come ad esempio avverbi quali «pur-

troppo, finalmente, sfortunatamente», ecc.

5. controllo e correzione• verificare che la lunghezza del riassunto corrisponda a quella richiesta. Per il conteggio delle

parole, nel computer è presente sotto la funzione Strumenti la voce Conteggio parole che, oltreal numero delle parole, dà anche quello delle battute. Se si scrive a mano devono essere con-tate tutte le parole, anche quelle costituite da una sola lettera; si contano come un’unica parolaquelle legate dall’apostrofo («l’acqua»: una parola; «Gionata e Davide»: tre parole; «sono andataa Roma»: quattro parole)

• per controllare che non manchino informazioni, si può ricorrere alla regola delle cinque W, una rego-la del giornalismo anglosassone, secondo la quale una buona cronaca dovrebbe sempre risponderealle cinque domande:

Fatti indispensabili sono quelli che determinano che lo svolgimento della vicenda vada in una certa direzione piuttosto che in un’altra.

• Who? (Chi?): i protagonisti della vicenda• WhERE? (Dove?): i luoghi in cui si svolgono i fatti• WhEn? (Quando?): in quale epoca e con quale successione temporale si svolgono i fatti• What? (Che cosa?): quali sono i fatti• Why? (Perché?): le cause che hanno determinato i fatti, le relazioni logiche che si creano

tra un fatto e un altro

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• verificare che il tempo verbale scelto per la narrazione rimanga costante nel testo e che a essosiano riferiti gli altri tempi verbali; se ad esempio il tempo scelto per narrare è il passato remoto,le azioni e i fatti che avvengono prima devono essere indicati con verbi al trapassato prossimoo remoto.

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la sintesi lessicalePer sintetizzare un testo, due sono le operazioni fondamentali: eliminare informazioni e operare una sintesi lessicale. Questa non cancella informazioni, ma le formula con un minor numero di parole lasciando inalterato il significato.Le tecniche più comuni per fare una sintesi lessicale sono le seguenti:

u trasformare una proposizione in un complemento o in un aggettivo

u usare un’informazione più generale al posto di una serie di informazioni più dettagliate

u usare iperonimi, sostantivi cioè che indicano una categoria di oggetti o significati

u diminuire il numero degli aggettivi, lasciando solo quelli necessari al senso del discorso

19 parole

Non siamo riusciti a finire il lavoro per-ché ho sbagliato a portare i materiali che servivano per la riunione prelimi-nare.

25 parole

Nicola non era venuto con noi in mon-tagna perché i suoi anziani genitori sta-vano cambiando casa e pertanto aveva dovuto aiutarli a organizzare il trasloco.

11 parole

Non siamo riusciti a finire il lavoro per un mio errore.

15 parole

Non siamo riusciti a finire il lavoro per-ché ho sbagliato a portare i materiali necessari.

9 parole

Nicola non era venuto con noi per pro-blemi familiari.

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16 parole

Era un giardino fatto di palme, agavi, gelsomini notturni, bromelie e persino un albero del pane.

6 parole

Era un giardino di piante tropicali.w

9 parole

Nel giardino c’erano fiori rossi, gialli, azzurri, arancioni, bianchi.

5 parole

Nel giardino c’erano fiori multicolori.w

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Fare una sintesi lessicale non significa copiare dal testo delle parole o delle frasi qua e là : è que-sta un’operazione che porta sempre a errori di rielaborazione, in quanto ogni informazione, ogni parola hanno un senso nel contesto specifico nel quale sono inseriti. Una buona sintesi lessicale nasce piuttosto da una buona comprensione del testo, che consente di ricorrere ad altre parole per esprimere i medesimi significati.

Nell’esempio seguente è stata fatta una sintesi lessicale delle prime righe del racconto Oggi a me, do-mani a te di Maria Messina, che puoi leggere a p. 132.Il nuovo testo è circa un terzo rispetto all’originale. Sono evidenziate le informazioni principali che co-stituiscono la base per la sintesi.

TESTO194 parole

Ciano aveva commesso le vesti a Ca-tania e stabilito persino il giorno dello sposalizio quando una sera, mentre ri-poneva bischetto e lesine, si vide venir la Leprina che, dopo un giro di parole e dopo tanti «bisogna considerare» e «solo il Papa non falla», gli disse chiaro e tondo che la ‘Nciòcola lo mandava a licenziare perché un forestiero ricco l’aveva ri chiesta. Santo e santissimo…! La Leprina, per fortuna sua, s’era tenu-ta vicino l’uscio socchiuso, e, vedendo Ciano diven tar paonazzo come un tac-chino, se la batté dicendo:– Vossìa mi scusa!… Ma io c’entro comePonzio Pilato nel credo!Buon per lei che seppe svignarsela. Cia-no, così infuriato, non avrebbe certo te-nuto le mani in tasca; le avrebbe lascia-to il segno, a quella ruffiana che avevaprima combinato il ma trimonio e poilo aveva scombinato come si disfà unacalza. Rimasto solo si sfogò a bestem-miare peggio d’un turco – fra i dentiperò, per non farsi dar del matto daivicini ingiuriando i nomi della Leprinae della ‘Nciòcola le quali si eran servitedi lui come di uno zimbello; fino a chesi persuase che doveva pure andare acoricarsi.

SINTESI LESSICALE72 parole

Ciano aveva predisposto ogni cosa per le nozze.

Una sera la Leprina, che aveva combi-nato il matrimonio, gli comunicò con imbarazzo che la ‘Nciòcola aveva inve-ce deciso di sposare un ricco forestiero.

La furia di Ciano non poté sfogarsi sulla Leprina, che se l’era rapidamente svi-gnata, ma appena solo bestemmiò e ingiuriò le due donne, a bassa voce per non far sentire la sua rabbia ai vicini, fino a quando non andò a dormire.

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come si fa una citazione bibliograficaLa citazione bibliografica riporta tutte le informazioni necessarie a individuare un articolo di giornale o un testo narrativo: il nome dell’autore, il titolo, l’anno di pubblicazione, il nome del giornale su cui è pubblicato il testo o la casa editrice che lo ha pubblicato.

Le indicazioni seguenti riportano le regole generali per la scrittura a mano e a computer.

u I titoli di libri e di articolivanno scritti in corsivo se si scrive con il computer; vanno sottolineati (o messi tra virgolette)se si scrive a mano.Il giro del mondo in ottanta giorniIl giro del mondo in ottanta giorni

u I nomi di giornali e rivistevanno sempre tra virgolette.«Corriere della Sera», «il Mattino»“Corriere della Sera”, “il Mattino”

u Per i libri o gli articoli di autori stranieriè necessario indicare il nome del traduttore.Z. Smith, Denti bianchi, trad. L. Grimaldi, Mondadori, Milano 2001Z. Smith, Denti bianchi, trad. L. Grimaldi, Mondadori, Milano 2001

Le informazioni bibliografiche relative a un testo devono essere le seguenti e devono essere riportate nell’ordine indicato.

u Romanzi, racconti, saggiiniziale nome + cognome autore, titolo (in corsivo se scritto a computer, sottolineato se scrittoa mano), casa editrice, luogo di edizione, anno di edizione della copia che si ha in mano

A. Baricco, Questa storia, Fandango Libri, Roma 2005A. Baricco, Questa storia, Fandango Libri, Roma 2005

M. Messina, Oggi a me, domani a te, in Piccoli gorghi, Sellerio, Palermo 1988M. Messina, Oggi a me, domani a te, in Piccoli gorghi, Sellerio, Palermo 1988

E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000

u Articoli di giornaleiniziale nome + cognome autore, titolo articolo in corsivo, nome giornale/rivista tra virgolette,data giornale

G. Grossini, Oscar ecologista, «Corriere della Sera», 8/9/2010G. Grossini, Oscar ecologista, “Corriere della Sera”, 8/9/2010

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1. miglio: misura inglese di lunghezza corrispon-dente a 1609,3 metri.

2. incuria: trascuratezza.3. cocorite: pappagallini.

4. incombenza: incarico, lavoro da svolgere.5. cercine: specie di piccola ciambella messa sulla

testa per portare i pesi.6. indolenti: che stanno volentieri senza fare nulla.

Fra il quartiere dei neri della nostra fattoria e il vecchio poz zo correva-no due solchi profondi lunghi circa mezzo miglio1, uno dei quali sotto i piedi nudi degli indigeni si era trasformato con il tempo in un viottolo dal fondo morbido e compatto. Il quartiere dei neri, fitto di capanne, era sorto su quella collinetta circa ven t’anni prima e la distesa d’erba alta e bionda che lo separava dal pozzo denunciava una ventennale incuria2.

Le donne indigene usavano sostare su quel viottolo con i loro bambini, e le loro risate stridule e il loro cicaleccio davano a chi passava nei dintorni l’impressione d’essere capitato in mezzo a uno stuolo di vivaci e pettegole cocorite3. Sembrava che per loro andare ad attingere l’acqua fosse un im-pegno mondano invece che una pesante incombenza4. Una volta giunte al pozzo si attar davano per ore intere a chiacchierare, divise in tanti piccoli grup pi. Alcune tenevano le braccia sollevate e con rapide mosse piene di grazia cercavano di mantenere in equilibrio i bidoni di benzi na, lucenti o arrugginiti, che reggevano sul capo sopra un cercine5 d’erba intrecciata. Altre, in ginocchio, sbattevano i loro panni va riopinti contro delle lastre di pietra emerse milioni d’anni prima dalle viscere della terra. Là le indi-gene lavavano e cullavano e re darguivano i loro bambini. Là sciacquavano il loro vasellame. Là si lavavano e si pettinavano i capelli.

Chi fosse arrivato da quelle parti all’improvviso avrebbe udito degli strilli acuti e intravisto fra i cespugli delle spalle e delle cosce morbide e brune, e sarebbe stato guardato dalle donne come un intruso. Quello era il loro pozzo. E quando quelle donne dalle gonne drappeggiate, i bracciali scintillanti, i pettini di metallo, sostavano indolenti6 sull’erba fra i loro

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un teSto Spiegato • un eSempio Di riaSSunto

Doris Lessing

UNA MOGLIE SCOMODARacconti africani, 1964 Lingua originale inglese

Doris Lessing visse la sua giovinezza in Rhodesia (oggi Zimbabwe), la colonia britannica dove la sua famiglia si era trasferita nel 1925 e gestiva una fattoria per la coltivazione del mais. Come altri residenti inglesi, si servivano per il lavoro nei campi di manodopera locale, la cui vita era molto diversa da quella dei datori di lavoro. La scrittrice racconta una storia divertente, dal finale a sorpresa; contemporaneamente, traccia non solo un ritratto a tutto tondo dei personaggi ma anche un quadro della vita nelle colonie inglesi del primo Novecento. Nel testo, lunghe parti descrittive ricostrui-scono l’ambiente in cui si svolge della storia e introducono la vicenda. Nel racconto il narratore rievoca un episodio risalente alla sua infanzia. Tra i lavoratori della fattoria dove vive con la sua famiglia c’è il «Lungo», il loro migliore mandriano; abilissimo nel domare cavalli e buoi, non riesce a far andare d’accordo le sue tre mogli.

Nel testo sono evidenziate le parole che indicano quando avvengono i fatti.

fondo morbido e compatto. Il quartiere dei neri, fitto di capanne, era sorto

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7. argano: meccanismo di sollevamento; ècostituito da un cilindro di legno o me-tallo, attorno al quale passa una fune, cheviene fatto girare a mano o da un motore.

8. veld: tipico territorio africano, ricopertoda erba o vegetazione molto bassa.

9. rovello: problema assillante che non la-scia tregua e non trova soluzione.

10. caustica: bruciante, perché capace di fe-rire i sentimenti degli altri.

11. diverbio: litigio, discussione.

vasi di terracotta, cantando o chiacchierando, pareva che i lontani muggi-ti dei buoi, il rombo indistinto dei trattori e tutti gli altri rumori della fat-toria stessero semplicemente facendo da sottofondo musicale a una scena antica: Donne che attingono acqua al pozzo.

Quando se ne andavano lasciavano il terreno cosparso delle bucce ro-see e carnose delle prugne selvatiche dal succo aspro e astringente o delle lucide bucce verdi delle arance africane.

Quando non c’erano le donne il luogo era desolato e squalli do. L’arga-no7, puntellato per sicurezza da un rametto biforcuto, e attorno al quale era avvolta una corda sudicia e lisa, era riparato da una piccola tettoia di paglia che gettava sul sentiero una lunga ombra cupa. Tutt’attorno, il veld8; l’arido, piatto veld bruciato dal sole.

Erano belle quelle donne. Ma colei che noi usavamo chiamare «La stra-bica» era invece un insulto per gli occhi. Camminava sempre dietro alle altre, sola o in compagnia dei bambini più grandicelli. Non solo era af-flitta da un accentuato strabismo, tale che non si capiva mai da che parte guardasse, ma aveva anche un corpo sgraziato. Sopra la tradizionale gon-na azzurra a disegni più scuri drappeggiata attorno ai fianchi le pendeva-no due seni piatti e avvizziti.

Al pozzo si teneva in disparte e lavava i panni tutta sola, sen za allegria. Durante la lunga ascesa del secchio, che ogni tanto sbatteva contro le pa-reti di nuda roccia del pozzo, tirava con forza la corda dell’argano e nel preciso istante in cui il secchio pendeva oscillando sopra l’imboccatura infilava una spalla sotto il manico e con una mossa brusca e imprudente lo staccava dal gancio. Durante quest’operazione l’acqua traboccava dal secchio e poco dopo si udiva una pioggia di grosse gocce ricadere sul pic-colo, immoto, rotondo specchio d’acqua che si intravedeva scintillare sul fondo della oscura gola del pozzo. I movimenti del la donna erano goffi e scoordinati, forse per colpa della vista di fettosa.

Era la moglie più anziana del Lungo, il nostro più abile man driano.Il «Lungo» non era in verità molto alto ma era incredibilmente magro.

La sua era la magrezza di chi è consumato da un rovello9 interiore. Sem-brava incapace di star fermo. Contraeva a intervalli le spalle, in una specie di tic, e teneva sempre in mano dei fili d’erba che strappava rabbiosamen-te. In cima a quel corpo magro e nervoso c’era una testa piccola con due orecchie aguzze e sporgenti grazie alle quali il Lungo pareva eternamente all’erta. Il viso, d’una esasperata espressività, rivelava ogni suo stato d’ani-mo – l’allegria come l’irritazione o, molto più spesso, l’insoffe renza. La sua lingua caustica10 era temuta da tutti i dipendenti del la fattoria. Persino mio padre, dopo un diverbio11 con il suo man driano, sogghignava fra sé

; l’arido, piatto Erano belle quelle donne. Ma colei che noi usavamo chiamare «La stra

bica» era invece un insulto per gli occhi. Camminava sempre dietro alle

preciso istante in cui il secchio pendeva oscillando sopra l’imboccatura infilava una spalla sotto il manico e con una mossa brusca e imprudente

scoordinati, forse per colpa della vista di Era la moglie più anziana del Lungo, il nostro più abile man

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12. negro: la parola, allora, non aveva la conno-tazione negativa che oggi ne fa un insulto.

13. aggiogare: mettere il giogo, attrezzo inlegno che viene messo sul collo dei buoi

così da tenerli appaiati quando tirano l’aratro.

14. bossboy: capo dei domestici indigeni nel-le case coloniali.

e commentava: «Quel negro12 sa il fatto suo. Bisogna riconoscere che è proprio in gamba. Non te ne la scia passare una».

Nel suo campo, e cioè il bestiame, era un artista. Trattava i buoi con una soave brutalità che non si poteva non ammirare, e al tempo stesso deplorare. Quando riceveva l’incarico di aggiogare13 per la prima volta un branco di indocili e recalcitranti manzi di tre anni lottava con loro per ore ed ore sotto un sole impieto so, con il sudore che gli colava lungo il corpo e gli occhi accesi da una cupa, maligna soddisfazione. Poi cominciava a usare la frusta. Prima di ogni colpo sporgeva la lingua e calcolava con esattezza la violenza da imprimergli, e quando sentiva la sferza abbatter-si sulla groppa degli animali lanciava una specie di sel vaggio grugnito. Tutt’altra cosa era vederlo governare una squa dra di sedici buoi grassi e mansueti. Pareva d’assistere a un numero al circo; c’era lo stesso senso di curiosità e di attesa: perché il Lungo si faceva un punto d’onore di non doverli mai frustare. Non per risparmiare loro delle sofferenze, neanche per sogno, ma perché gli piaceva far sfoggio della propria abilità. Sì, era davvero uno spettacolo vedere il Lungo correre da un capo all’al tro di una fila di possenti buoi aggiogati che avanzavano faticosa mente sulle dure zolle di un campo e saltellare, danzare, urlare come un ossesso, roteando la lunga frusta nera. Sembrava un pazzo scatenato e gli schiocchi della frusta erano così violenti che si udivano in tutta la tenuta e nelle sere di luna piena, quando si arava fino a tardi, risuonavano nel silenzio come spari; e tuttavia il temuto staffile dalla punta di metallo non sfiorava nep-pure il dorso degli animali. Quando venivano staccati dall’aratro i buoi erano spesso esausti e si reggevano a malapena sulle zampe, tanto che mio padre era costretto a protestare, ma la loro pelle era in tatta.

«Il Lungo sa come si trattano le bestie» dicevamo noi «ma con le mogli non ci sa proprio fare».

I nostri giudizi sui neri della fattoria erano in genere superfi ciali e ap-prossimativi perché era impossibile conoscerli bene, neppure dopo anni, e quel nostro commento ci era semplicemen te suggerito dallo spasso che ci procurava il Lungo con i suoi guai domestici. Ritornando alla fattoria dopo un’assenza più o meno lunga usavamo chiedere con divertita curio-sità: «E cos’ha combinato di nuovo il Lungo con il suo harem?».

Il Lungo aveva tre mogli che gli davano un mucchio di grat tacapi e ve-niva spesso a discuterne con mio padre, da uomo a uomo. Gli raccontava che la moglie più giovane civettava con il bossboy14 di una fattoria vicina, oppure aveva lanciato una pentola colma di zuppa di mais fumante contro la moglie di mezzo, che era gelosa di lei.

Per noi era diventata un’abitudine vederlo comparire verso il tramonto, quando mio padre concedeva udienza dopo il lavoro, davanti alla porta

proprio in gamba. Non te ne la

una soave brutalità che non si poteva non ammirare, e al tempo stesso Nel suo campo, e cioè il bestiame, era un artista. Trattava i buoi con

non ci sa proprio fare». I nostri giudizi sui neri della fattoria erano in genere superfi

ci procurava il Lungo con i suoi guai domestici. Ritornando alla fattoria

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15. cachi: beige chiaro, color sabbia.16. allampanata: molto magra.17. si stagliava: si delineava in modo eviden-

te contro il cielo del tramonto, rosso comevampe di fuoco.

18. contrita: pentita, dispiaciuta.

19. Assecondava … farsa: soddisfaceva il gu-sto di mio padre per il comico; farsa è untipo di commedia comica, molto vivace.

20. beghe: litigi, battibecchi.21. petulante: noiosa e insistente.

sul retro. Indossava dei pantaloni cachi15, sem pre gli stessi, che gli scivo-lavano lungo i fianchi snelli e ossuti; la pelle nera e lucente del suo torso nudo mandava bagliori rossa stri e la sua figura allampanata16 e gestico-lante si stagliava17 contro le vampe degli ultimi raggi del sole. Quando aveva finito di esporre i propri guai assumeva di colpo un’aria rassegnata e falsamente contrita18.

«Quell’uomo è un gran commediante» diceva mio padre ri dendo fino alle lacrime. «Avrebbe potuto fare del teatro se fosse nato di un altro co-lore».

Tuttavia non era un buffone. Assecondava il gusto di mio pa dre per la farsa19 ma, a differenza di molti indigeni, non avrebbe mai fatto il pagliac-cio per divertirci. E non era certo considerato un personaggio ridicolo dai suoi compagni. Tutti invece temeva no il caustico umorismo e la lingua affilata che gli derivavano da uno spirito critico costantemente vigile, an-che nei propri con fronti. Quanto alle donne, lo trovavano affascinante. Una volta lo vidi avanzare lungo una strada in mezzo ai campi con il suo pas so dinoccolato, la frusta che strisciava dietro di lui nella polvere, i pan-taloni troppo larghi che gli si afflosciavano sulle caviglie, lo sguardo fisso pensosamente davanti a sé, e salutare un gruppetto di donne, fra le quali c’erano forse anche le sue mogli, con un breve e distratto cenno del capo. Ma fu come se le avesse colpite con una frustata. Le donne infatti, offese dalla sua indifferenza, si misero a strillare e a chiamarlo, con una nota di reale furore nella voce, per costringerlo ad accorgersi di loro. Ma il Lungo non si degnò neppure di voltare il capo.

Quando però il Lungo cominciò ad avere dei guai seri mio padre si stancò presto di ascoltarlo. Ormai non lo divertiva più e del resto mio padre non voleva essere coinvolto nelle beghe20 dei suoi dipendenti. Il Lungo veniva tutte le sere, non più di tanto in tanto come aveva fatto fino allora. Ed era molto preoccupato e amareggiato. Voleva che mio padre convincesse la moglie più vecchia, la Strabica, a ritornarsene a casa dai suoi. Quella donna lo stava facendo impazzire. Avere in casa una moglie petulante21 e brontolona era come avere addosso una pulce; puoi grattarti fin ché vuoi, ma la pulce ti morderà da un’altra parte e non ti darà pace finché non l’avrai uccisa.

«Ma non puoi rimandarla indietro solo perché sei stufo di lei!». Il Lungo replicò che non ne poteva più di quella vita. La vecchia non

faceva che lamentarsi, era sempre di malumore, e il cibo era diventato immangiabile.

«Be’, fattelo cucinare dalle tue altre due mogli».

contro le vampe degli ultimi raggi del sole. Quando

stancò presto di ascoltarlo. Ormai non lo divertiva più e del resto mio però il Lungo cominciò ad avere dei guai seri mio padre si

non più di tanto in tanto come aveva fatto fino allora. Ed era molto preoccupato e amareggiato. Voleva che mio padre

suoi. Quella donna lo stava facendo impazzire. Avere in casa una moglie

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22. natura matrigna: la natura non si era com-portata come una madre che vuole solo ilbene per i propri figli, quanto piuttosto comeuna matrigna cattiva.

23. zimbello: oggetto di scherzo; lo zimbello èpropriamente un uccello da richiamo usatodai cacciatori.

24. ménage: andamento, organizzazione fami-liare.

25. recriminazioni: lamentele.26. garrule: chiacchierone, allegre.27. baas: padrone; è una deformazione dell’in-

glese boss.28. Nyasaland: territorio corrispondente all’odier-

no Malawi.

Ma a quanto pareva la faccenda non era così semplice. Le due mogli più giovani, che si detestavano, erano però d’accordo su una cosa: la vecchia doveva rimanere con loro. Come avreb bero fatto senza di lei? Era lei che accudiva i bambini, che zap pava l’orto, che andava a raccogliere le erbe aromatiche nel veld. E poi, brutta e goffa com’era, la sua sola vista le mette-va di buon umore. Povera donna, la natura matrigna22 l’aveva condannata a essere l’eterno zimbello23 del prossimo, di tutti quelli più fortunati di lei.

a questo punto mio padre consultò un manualetto sugli usi e costumi locali, dove trovò scritto chiaramente che la moglie più anziana aveva il diritto di farsi servire da quelle più giovani, forse come compenso per es-sere stata costretta a rinunciare ai favori del proprio marito e padrone. Ma il Lungo e il suo ménage24 si ri fiutarono di adeguarsi a questa benevola usanza. E mio padre, non riuscendo a trovare la ricetta giusta (come chi cerca invano il rimedio per i suoi malanni in un libro di medicina) comin-ciò a seccarsi. dopo aver ascoltato per qualche settimana i suoi lamen ti e le sue recriminazioni25 disse al Lungo di piantarla e di arran giarsi. Quella sera il Lungo se ne andò infuriato, borbottando fra sé e masticando con rabbia un filo d’erba, e lo vedemmo dirigersi a grandi passi verso la sua capanna, dove lo attendevano le due giovani mogli vispe e garrule26 e la vecchia brutta e bisbetica che gli aveva partorito un paio di figli, gli man-dava avanti la casa e gli avvelenava la vita.

Qualche settimana più tardi mio padre chiese distrattamente al Lun-go: «A proposito, Lungo, come ti vanno le cose? Tutto bene?».

«Sì, baas27» rispose tranquillo il Lungo. «La vecchia se n’è an data». «Cosa vuol dire, se n’è andata?». Il Lungo si strinse nelle spalle. Se n’era andata e basta. Era partita

all’improvviso, senza dir nulla a nessuno. Ora, la donna proveniva dal Nyasaland28, che distava giorni e giorni

di duro cammino. Di certo non era andata via da sola. Era forse venuto a prenderla un fratello, uno zio? Si era forse aggre gata a qualche gruppo di africani in transito, diretti al suo villag gio natale?

Mio padre meditò un po’ su questa strana faccenda, poi non ci pensò più. Non erano affari suoi. Era semmai contento che il suo mandriano più in gamba potesse finalmente lavorare con la mente sgombra da ogni pre-occupazione. Ed era soprattutto sod disfatto che la faccenda si fosse risolta prima delle annuali diffi coltà per il rifornimento dell’acqua.

Devo spiegare a questo punto che i pozzi erano due. Quello nuovo, che usavamo noi, forniva un’acqua limpida e fresca, gra devole al palato, ma ogni anno, in giugno, restava in secca. L’acqua del vecchio pozzo era gial-lastra e sapeva vagamente di muf fa, però ce n’era sempre in abbondanza.

locali, dove trovò scritto chiaramente che la moglie più anziana aveva il

il Lungo se ne andò infuriato, borbottando fra sé e masticando con rabbia un filo d’erba, e lo vedemmo dirigersi a grandi passi verso la sua

il Lungo se ne andò infuriato, borbottando fra sé e masticando con rabbia un filo d’erba, e lo vedemmo dirigersi a grandi passi verso la sua

il Lungo se ne andò infuriato, borbottando fra sé e masticando con

Ora, la donna proveniva dal Nyasaland

più. Non erano affari suoi. Era semmai contento che il suo mandriano più

usavamo noi, forniva un’acqua limpida e fresca, gradevole al palato, ma Devo spiegare a questo punto che i pozzi erano due. Quello nuovo, che

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29. garbava: piaceva.30. fetore: puzza nauseante.

31. provvidenza: una qualsiasi entità sopran-naturale.

Perciò per tre o quattro mesi all’anno, a seconda delle piogge, noi ci rifor-nivamo al vec chio pozzo, come gli indigeni.

Ma il Lungo detestava dover trasportare l’acqua per tre mi glia, sull’ap-posito carretto, quattro volte la settimana. E alle don ne non garbava29 af-fatto di dover limitare le loro visite al pozzo per non essere d’intralcio ai portatori. Perciò ogni volta c’erano proteste e lamentele.

Quell’anno però prima ancora che noi cominciassimo a ser vircene gli indigeni vennero a lamentarsi perché l’acqua del vec chio pozzo aveva un saporaccio. Il grande baas doveva farlo pu lire.

Mio padre rispose che non c’era nessuna fretta e che lo avrebbe pulito appena ne avesse trovato il tempo.

l’indomani le donne inviarono alla fattoria una loro delegazione. Una mezza dozzina di indigene si raccolsero davanti alla porta sul retro e af-fermarono che se il pozzo non veniva pulito subito i loro bambini si sareb-bero presi qualche malattia.

«Lo farò pulire la settimana prossima» rispose loro mio pa dre con ma-lagrazia.

il mattino seguente il Lungo ci portò la prima scorta d’acqua attinta al vecchio pozzo e appena svitammo i tappi delle botti la casa fu invasa da un orribile fetore30. Quanto a berla, quell’acqua, non c’era neanche da pensarci.

«Perché non rimettete mai il coperchio sul pozzo?», chiese mio padre alle donne che erano tornate a protestare inviperite davanti alla porta sul retro. Era davvero infuriato. «L’ultima volta che abbiamo pulito quel poz-zo c’erano dentro quattordici topi morti e un serpente. Nel nostro non c’è mai niente, perché ci ri cordiamo di mettergli il coperchio».

Ma a quanto pareva le donne erano convinte che togliere e rimettere il coperchio al pozzo spettasse semmai alla prov videnza31, e comunque non certo a loro.

L’annuale pulizia del vecchio pozzo era diventata con il tem po una specie di rito al quale non mancavamo mai di assistere. Come la sgranatura del mais, o le prime piogge, segnava una svolta nel corso dell’anno. La fattoria sembrava una città assediata che tema di restare senza provviste. Gli alberi e l’erba pareva no ormai privi di linfa; il sole, altissimo e sempre più lontano, era nascosto da un velo di nebbia e di polvere; l’aria, divenuta tutt’a un trat-to pesante, faceva avvizzire le foglie e il calore le dissecca va. Vuotare quel pozzo era un atto di fede e insieme una sfida. Per un intero pomeriggio tutta la tenuta sarebbe rimasta senz’ac qua. L’altro pozzo era completamente asciutto. E questo veniva alimentato dal flusso incostante di un misterioso fiume sotterraneo. Cosa sarebbe successo se quel fiume ci avesse traditi? Ogni anno trascorrevamo la serata in ansia; e al mattino, quando il Lungo si affacciava alla porta sul retro e annunciava raggiante che il secchio era risalito colmo di buona acqua fresca, facevamo gran festa.

mezza dozzina di indigene si raccolsero davanti alla porta sul retro e af le donne inviarono alla fattoria una loro delegazione. Una

mezza dozzina di indigene si raccolsero davanti alla porta sul retro e af

alle donne che erano tornate a protestare inviperite davanti alla porta sul «Perché non rimettete mai il coperchio sul pozzo?», chiese mio padre

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32. eloquente: espressivo, che mostra ciò che pensa.

Ma quel pomeriggio non potemmo resistere a lungo. La puz za era in-sopportabile. Vedemmo tirar su la solita decina di ratti gonfi d’acqua, che vennero allineati sulle pietre attorno al pozzo, e persino lo scheletro di una piccola antilope che doveva esservi caduta dentro nel buio, poi ce ne andammo. Tutti quei secchi d’acqua grigiastra e maleodorante avevano temporaneamente tra sformato il sentiero in un fiumiciattolo fangoso.

Fu il Lungo stesso a portarci la notizia. In seguito cercammo invano di ricordarci che espressione avesse il suo viso, sempre così eloquente32, mentre ci raccontava cos’era successo.

A quanto pareva quando avevano tirato su il penultimo sec chio vi ave-vano trovato dentro un braccio, o meglio i resti di un braccio. Poi, pezzo per pezzo, era venuta su lei, la Strabica, la sua prima moglie. L’avevano riconosciuta dai bracciali. E alla fine il Lungo si era calato nel pozzo per recuperare la testa, che man cava.

«Ma non mi avevi detto che tua moglie era ritornata dai suoi?» gli chiese mio padre.

«Già, era quel che pensavo. Dove altro poteva essere an data?».«Be’» disse alla fine mio padre, disgustato da quella faccen da «se pro-

prio doveva ammazzarsi, perché non si è impiccata a un albero, invece di inquinare il pozzo?».

«Forse è scivolata ed è caduta dentro per sbaglio» commen tò il Lungo.Mio padre alzò di colpo lo sguardo e gli rivolse una lunga oc chiata. Poi

borbottò: «Già, già… Forse è andata proprio così».Ma qualche tempo dopo, mio padre fu udito mormorare fra sé, di pun-

to in bianco: «Certo è un bel mistero. Preferirei sba gliarmi, però… Co-munque resta il fatto che come mandriano è maledettamente in gamba».

D. Lessing, Racconti africani, trad. F. Castellenghi Piazza, Feltrinelli, Milano 1989

Fu il Lungo stesso a portarci la notizia. In seguito cercammo invano

Mio padre alzò di colpo lo sguardo e gli rivolse una lunga occhiata. Poi «Forse è scivolata ed è caduta dentro per sbaglio» commen

Danzatori africani su un batik, tessuto tinto con una tecnica particolare.

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Il racconto è piuttosto lungo, 2847 parole, ma ha una trama molto semplice. La storia vera e propria viene narrata nella seconda parte, quando il protagonista inizia a lamentarsi con il suo datore di lavoro e chiede il suo aiuto. La prima parte costituisce una lunga introduzio-ne, in cui la descrizione delle abitudini delle donne e dei due protagonisti serve a far com-prendere l’andamento dei fatti. Se ad esempio il pozzo non avesse avuto tanta importanza nella

vita sociale delle donne, queste non ne avreb-bero richiesto a gran voce la pulitura; così, se la vecchia moglie non avesse avuto delle difficoltà nell’attingere l’acqua, il Lungo non avrebbe po-tuto così facilmente fare l’ipotesi che fosse sci-volata e quindi caduta accidentalmente.

Nella scaletta narrativa sono inseriti i fatti della storia, e non sono state tralasciate alcune informa-zioni utili a comprendere ambiente e personaggi.

SCALETTA NARRATIVA DEL bRANO

tempo-luoghi fatti-personaggi

1 una fattoria in Africa, prima metà del Novecento

il Lungo è il miglior mandriano della fattoria dove vive il narratore, è stimato da tutti, amato dalle donne

2 tutte le sere si lamenta con il padre del narratore delle liti fra le sue tre mogli ed è convinto che le cose andrebbero meglio se la moglie più vecchia se ne andasse

3 dopo diverse settimane il padrone cerca di dirimere la questione affidandosi alle convenzioni locali, ma la sua soluzione non viene accettata

4 qualche settimana più tardi alla domanda su come vadano le cose il Lungo risponde che la vecchia moglie non c’è più, se ne è andata

5 prima di giugno il secondo pozzo della fattoria risulta inservibile per la puzza

6 l’indomani le donne chiedono che il pozzo, dove sono solite incontrarsi, venga pulito

7 il mattino seguente anche il narratore e la sua famiglia si accorgono che l’acqua non può essere utilizzata

8 quel pomeriggio il pozzo viene pulito e viene rinvenuto un corpo umano in decomposizione

9 lo stesso pomeriggio il Lungo riconosce nei resti la moglie ed esprime l’ipotesi che la donna sia caduta accidentalmente

10 qualche tempo dopo il padre del narratore esprime i suoi dubbi sull’accaduto, che rimane misterioso

La scaletta narrativa ricostruisce la trama come in uno schema di appunti; le informazioni nel-la fase di scrittura possono essere integrate con ulteriori osservazioni relative ai personaggi, e possono essere elaborate in modo più discorsivo.

Il tempo verbale scelto è il passato remoto, sul quale sono regolati gli altri tempi.

Il riassunto che segue, proposto come esempio, riduce il testo a 260 parole.

un eSempio Di riaSSunto

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Riassunto di

Doris Lessing, Una moglie scomoda, in Racconti africani

Il narratore interno rievoca un episodio della sua infanzia in Africa. Il Lungo era il capo mandriano di colore nella tenuta dove viveva la famiglia del narratore. Era un uomo abile, stimato nel suo lavoro e nella comunità in cui viveva. Il suo problema erano le tre mogli: le due più giovani detestavano la prima, vecchia, brontolona e dal corpo sgraziato, la cui presenza era però per loro molto utile, perché la donna faceva i lavori pesanti, come zappare l ’orto e andare a prendere l ’acqua al pozzo, anche se non adatti alla sua età. In famiglia alla fine c’era sempre tensione e il Lungo avrebbe preferito che la vecchia moglie se ne andasse, ma lei si rifiutava. L’uomo cercò allora l ’aiuto del suo datore di lavoro per risolvere il problema, ma non accettò la soluzione proposta, basata sulle leggi locali. Finché un giorno la donna sparì e il marito disse che era tornata al suo villaggio. Tempo dopo le donne indigene si lamentarono che l ’acqua del pozzo, dove erano solite incontrarsi per lavarsi e a chiacchierare, era diventata sporca e maleodorante. Il pozzo, la cui acqua era necessaria agli abitanti della fattoria, venne pulito, e, assieme ai resti putrefatti di topi e altre bestie, vennero portati fuori pezzi di un corpo umano, che si rivelò essere quello della moglie scomoda. Il Lungo ipotizzò che fosse caduta nel pozzo, perdendo l ’equilibrio mentre prendeva l ’acqua. La fine della donna sembrò sospetta al proprietario della fattoria, che preferì non indagare oltre: il Lungo era un man-driano troppo bravo e il suo lavoro era indispensabile.

Batik con scene di vita in un villaggio africano.

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1. aveva commesso: aveva commissionato,ordinato.

2. bischetto: il tavolo da lavoro dei calzolai; la lesina è un attrezzo di ferro che serve perbucare e cucire la pelle.

3. non falla: non sbaglia.4. lo mandava a licenziare: lo congedava; gli

diceva che il loro matrimonio era sfumato.5. Vossìa: vossignoria; la donna dice che lei

non c’entra nulla con la decisione della’Nciòcola così come Ponzio Pilato, paga-

no, non c’entra niente con la preghiera che inizia con «Credo in Dio padre onnipoten-te…».

6. ruffiana: la donna che faceva da interme-diaria per combinare un matrimonio; iltermine ha una connotazione negativa.

7. zimbello: oggetto di scherno, di derisione.8. voluttà: grande piacere.9. venale: che agisce mossa solo dal desiderio

di ricchezza.10. scorno: vergogna.

Ciano aveva commesso1 le vesti a Catania e stabilito persino il giorno dello sposalizio quando una sera, mentre riponeva bischetto2 e lesine, si vide venir la Leprina che, dopo un giro di parole e dopo tanti «bisogna considerare» e «solo il Papa non falla3», gli disse chiaro e tondo che la ’Nciòcola lo mandava a licenziare4 perché un forestiero ricco l’aveva ri-chiesta Santo e santissimo…! La Leprina, per fortuna sua, s’era tenuta vicino l’uscio socchiuso, e, vedendo Ciano diven tar paonazzo come un tacchino, se la batté dicendo:

– Vossìa5 mi scusa!... Ma io c’entro come Ponzio Pilato nel credo! ...Buon per lei che seppe svignarsela. Ciano, così infuriato, non avrebbe

certo tenuto le mani in tasca; le avrebbe lasciato il segno, a quella ruffia-na6 che aveva prima combinato il ma trimonio e poi lo aveva scombinato come si disfà una calza. Rimasto solo si sfogò a bestemmiare peggio d’un turco – fra i denti però, per non farsi dar del matto dai vicini ingiuriando i nomi della Leprina e della ’Nciòcola le quali si eran servite di lui come di uno zimbello7; fino a che si persuase che doveva pure andare a coricarsi.

Ma anche a letto non trovò pace e si dimenò tutta la notte, come avesse avuto il mal di denti, rimuginando crudeli ven dette, figurandosi con sel-vaggia voluttà8 di andare a ammazza re, a squartare, quella femmina vena-le9, di fare almeno uno scandalo… e chi sa quante altre cose s’immaginò di dover fare in quella nottata che non finiva mai!

Invece, povero Ciano, si levò più presto del consueto mettendosi a lavo-rare coll’uscio serrato; e lo tenne serrato tre giorni di seguito per la rabbia e lo scorno10; e la prima mattina che uscì se n’andò a Cicè a veder la vigna,

Maria Messina

OGGI A ME, DOMANI A TEPiccoli gorghi, 1911

Il racconto di Maria Messina, una scrittrice del primo Novecento, ripropone un argo-mento e un’ambientazione comuni: un uomo che viene abbandonato dalla fidanzata per un altro più ricco, e un paese chiuso nei suoi pettegolezzi e nella sua piccola vita quotidiana. Ma il comportamento di Ciano, il protagonista, ribalta ogni convenzione e lascia stupiti i suoi compaesani e il lettore.Il racconto è costruito in buona parte dai dialoghi che riprendono il chiacchiericcio del paese e accompagnano la storia di Ciano.

Vengono introdotti i personaggi: Ciano, il protagonista; donna Liboria ’Nciòcola, la promessa sposa; la Leprina, la donna che ha fatto da intermediaria tra i due.

Il narratore riporta i pensieri di Ciano con il discorso indiretto libero.

Tutta la storia si svolge nelle campagne attorno a Catania.

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11. casino della «Società Operaia»: circolo dovegli uomini del paese si ritrovavano per chiac-chierare, fumare e giocare; le Società Opera-ie erano, nei primi anni del Novecento, asso-ciazioni di operai, per la tutela del lavoro.

12. accigliato: serio, scuro in volto.13. maffiosa: mafiosa, spavalda; la forma con

due effe non è più usata.14. ebanista: falegname specializzato nella la-

vorazione dell’ebano, un legno particolar-mente pregiato.

15. bazzicare: frequentare.16. moscadella: uva moscatella, molto profu-

mata.17. doratore: artigiano che applica un sottilis-

simo strato d’oro su mobili o altri manu-fatti; la chiesa della Matrice è la cattedrale;matrice in siciliano significa «madre».

per non imbattersi con gli amici. Già, al casino della «Società Operaia»11 si doveva risapere certamente ogni cosa, dopo tre giorni, e chi sa che risate alle sue spalle! Poi andò a conse gnare un par di stivali a don Pino, tutto accigliato12 per non farsi domandare, ma non gli dissero niente, e mise coraggio; tanto che la sera tornò al casino coi suoi passi piccini piccini, il petto alto, e il berretto di sghembo per avere un’aria che paresse un po’ maffiosa13. Soltanto l’ebanista14 gli disse con un risolino malizioso:

– E donna Liboriedda… con un forestiero, eh?– Eh! – rispose Ciano stringendosi nelle spalle, – son donne… Quando

vedon quattrini perdon la testa!E nient’altro. Ma tese gli orecchi per tutta la serata, ché ci voleva poco

a diventar, Dio liberi, la favola del casino. Bastava tenersi una parola sola, bastava far vedere che aves se paura delle beffe! E, per mostrar che non ne aveva dav vero, tornò a bazzicare15 come prima il casino, e, per non farsi sopraffare dall’ebanista che aveva fama d’essere spiritoso, av viava cenette, contava barzellette e, davanti la porta, affilava la lingua burlando e spar-lando tutti quelli che passavano. Così al casino stavan tutti allegri come fosse Carnovale; ma lui rincasava con la bocca amara.

Quando la ’Nciòcola si maritò, egli scappò di nuovo a veder la vigna e portò la prima moscadella16 al casino. E final mente, a poco a poco, ogni cosa tornò come prima, come se fra Ciano e donna Liboria non ci fosse mai stato niente.

Una sera, mentre eran seduti a prendere il fresco sul mar ciapiede, si sentì sonare una campana a morto, poi se ne sentì un’altra, poi un’altra ancora. Per sonar tutte, era segno che se n’era andato un ricco. Il dorato-re17, calcandosi il ber retto sugli orecchi, s’alzò per andare a domandarne al sacrestano della Matrice.

– È – disse tornando, con aria di mistero – quel forestiero di donnaLiboria ’Nciòcola.

Tutti guardaron Ciano.– Ben le sta – disse l’ebanista.– Meglio che non l’hai accoppata – disse il caffettiere strizzando l’oc-

chio a Ciano – chi sa che bei quattrini le avrà lasciato!Al calzolaio venne un’idea tra quel sonare a morto che saliva come un

pianto su per l’aria tepida, un’idea che lo fece sorridere sotto i radi baffetti biondastri; e la maturò tutta la notte e tutto il giorno appresso, curvo sul bischetto, picchiando allegramente su uno stivale. Dopo una settimana sola, che gli parve un secolo, cominciò a passeggiar di sera, a fin di lavoro,

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18. mosca cavallina: mosca parassita dei ca-valli, caratterizzata dal volo molto rapidoe scattante.

19. sottili: acuti, intelligenti.20. biascicava: balbettava, recitava in modo

incomprensibile.21. toscani: sigari prodotti in Italia.

22. minchione: sciocco, ingenuo.23. ciarle: chiacchiere inutili.24. scattati e vuciddati: dolci siciliani; gli

scattati sono dolci morbidi a base di man-dorle, mentre i vuciddati sono dolcetticon un ripieno a base di fichi, cioccolato emandorle.

sotto le finestre chiuse della ’Nciòcola speran do di esser veduto a traverso le persiane. Incontrata la Leprina la fermò; aveva fretta, voleva scappare, ma egli la trattenne con buone maniere chiedendole notizie della vedova.

– Vedete? Neanche rancore so portarle!Così la Leprina ricominciò a venire a trovarlo in bottega, ché Ciano

era un buon calzolaio, la ’Nciòcola rimasta vedova troppo presto era così fresca da non parer che si fosse mari tata, e a riprendere quell’affare lei aveva da guadagnarci. Ma la ’Nciòcola non voleva saperne di rimaritarsi, e ripeteva alla Leprina, che andava e tornava come una mosca cavallina18, di voler portare il lutto al morto.

– E volete far soffrire così quel pover’omo che è vivo e sano come un ga-rofano? e fedele come un cane? Ci pensate al tradimento che gli avete fatto?

– Non mi rimarito. Se il Signore mi voleva maritata non mi doveva farmorire quello, bon’anima.

– Ma che ci volete fare? Non vedete che era destinato quest’altro? Voleteandare contro il volere di Dio? Volete rimaner sola tanto giovane? Badate che ve ne pentirete! Chi mangia solo s’affoga, donna Liboriedda mia.

Le donne, come diceva l’ebanista, riflettono poco, e vanno, come le ban-diere, col vento che soffia. La ’Nciòcola era gio vane, e la Leprina che insi-nuava sempre quello stesso argo mento, e Ciano che passava e ripassava pel vicoletto, le mettevan la tentazione in corpo. Poi quello star serrata in casa, vestita di nero, le metteva la smania dell’aria e della luce. Bisognava pure persuadersi che i ragionamenti della Leprina eran sottili19! Perciò, e anche per seguire il volere di Dio, a fin d’anno la ’Nciòcola, in compagnia della sorella, ricevette Ciano di sera di nascosto e mezzo al buio; e dopo quella visita, in cui non fecero che rimbrontolarsi e sospirare, Ciano non mancò una sera sola, restando a cena sino a un’ora di notte, godendosi la buona compagnia della vedova, mentre la sorella in un cantuccio biascicava20 il ro-sario. Al casino sfoggiava cravatte e fazzoletti ricamati, e fumava toscani21 in teri ridendo allegramente, com’uno che sa il fatto suo, senza curarsi dei compagni che lo punzecchiavano dandogli del min chione22.

Dopo sei mesi di quella vita beata la ’Nciòcola cominciò a parlare del tem-po dello sposalizio; tanto!, diceva per che tarsi l’animo, il lutto grave l’aveva portato un anno, e non poteva star sacrificata coll’anima del morto per tutta la vita; peggio per chi se ne sarebbe maravigliato… E Ciano appro vava. Egli ne era felice, felicissimo… anche per non seguitare a vedersi di nascosto ai vicini come facessero un delitto, e per finirla con le ciarle23 del casino!

Fissarono la vigilia di San Sebastiano.E ai primi d’agosto la vedova impastò scattati e vuciddati24, mandan-

done gran vassoi a tutti gli invitati e a tutti i vicini per chiuder la bocca

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25. La tarla: il tarlo.26. gugliata: quantità di filo infilata nell’ago

per cucire.27. pinzochera: bigotta.28. càlia: ceci tostati.29. bùccole: orecchini. 30. vezzo: con il significato di «collana» è oggi

una parola in disuso.

31. guscio di celluloide: scatolina rotonda perl’orologio da taschino; la celluloide è unamateria plastica.

32. affatto: del tutto.33. la Cicoriara: soprannome che indica il me-

stiere della donna, che raccoglie e vendel’insalata cicoria.

ai maldicenti. La vigilia della festa andò a confessarsi, e con l’aiuto della sorella ripulì la casa; nel pomeriggio cavò dalla cassa la veste da sposali-zio, odorosa di canfora, e la spiegò sul letto grande aspettando che venisse Ciano. Nella veste c’era un forellino.

– La tarla25 – disse la sorella, con voce lenta. Prese l’ago, cercò un fil diseta a una vicina, e cominciò a rammendare con la sua precisione.

– Son passati giusto due anni – sospirò chinandosi a spez zar la guglia-ta26 co’ denti.

– San Sebastiano mio, che melanconia a pensarci! – escla mò la vedovache si stava lustrando gli stivaletti.

La sorella scrollò la testa tristemente e disse fra le lab bra: – Io non l’avrei fatto.

Anche la vedova scrollò la testa, ma pensando che la sorella, diventata pinzochera27, certe cose non poteva capirle.

Cominciarono a venir le vicine e le invitate, vestite chi di seta e chi di lana, e i ragazzini e le ragazzine che portavan tra le mani i grandi fazzo-letti bianchi, stirati e piegati, da riempir di càlia28 e di scattati. La saletta era quasi piena; solo Ciano non veniva, lui ch’era tanto puntuale. Donna Mara del Finocchio suggerì alla sposa di vestirsi: – Si perde troppo tempo ad aspettar don Ciano. E il prete è avvisato per le sei.

La vedova, aiutata dalla sorella e da donna Mara, comin ciò a vestirsi len-tamente, un poco turbata. Si mise le bùccole29, il vezzo30 di corallo, la catena d’oro, e Ciano non veniva. Indugiò un po’ in camera, con la scusa di cercar lo scialle buono, e finalmente tutta impacciata nella veste color d’oliva dai merletti giallognoli, vincendo l’agitazione entrò nella sa letta piena e afosa, dove c’era un brusio come se parlassero tutti in una volta a voce bassa.

– Che sia successo qualche cosa? – disse forte donna Gidda vedendovenir la sposa.

– Son le sette – disse don Raimondo, e aggiunse, rimet tendo l’orologionel guscio di celluloide31: – se volete, vado a vedere io.

– Forse è meglio – rispose la vedova con un fil di voce guardandosiintorno affatto32 smarrita.

Don Raimondo non tornò subito. Verso le nove, quando il più degli invitati s’era congedato mormorando, e la vedova spogliata e inginocchiata in camera, davanti il quadro della Madonna, chiedeva perdono all’anima del marito, don Rai mondo entrò nella saletta dov’eran rimaste tre o quattro vi cine e, asciu-gandosi la fronte col suo fazzolettone rosso, disse:

– … quel porco! È scappato. Se n’è andato a Reitano con Nina la Cico-riara33!

M. Messina, Piccoli gorghi, Sellerio, Palermo 1988

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Analizzare e comprendere

1. Dove si svolge la storia?

2. Chi sono i protagonisti?

• A quale classe sociale appartiene ciascuno?

• Definisci con due/tre aggettivi il carattere di ciascuno.

3. Perché donna Liboria non sposa più Ciano?

• Perché una volta vedova si decide a sposarlo?

• Perché Ciano la vuole sposare quando lei è diventata vedova?

4. Quale ruolo svolge nella storia la Leprina?

5. Individua i fatti principali della storia e costruisci una scaletta narrativa, inserendo le informazioni richieste.

tempo-luoghi fatti-personaggi

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• Quanto tempo dura la storia?

• A quali fatti il narratore dedica maggiore spazio?

Riflettere

6. Quali sono e come si evolvono i sentimenti di Ciano per donna Liboria?

• Quali sono e come si evolvono i sentimenti di donna Liboria per Ciano?

7. Quale rapporto c’è tra Ciano e gli uomini che frequentano il casino della «Società Operaia»?

8. Qual è il significato del titolo del racconto?

• Se potessi cambiare titolo, quale proporresti?

9. Che cosa pensi del comportamento di donna Liboria?

• Secondo te donna Liboria si è comportata correttamente con Ciano?

• Secondo te Ciano si è comportato correttamente con donna Liboria?

Scrivere

10. Rivedi la scaletta narrativa, tenendo eventualmente presenti le risposte alle domande 1, 2, 3, 6, 8;riassumi il racconto in circa 25 righe (250/300 parole).

11. Scrivi un riassunto di circa 5/6 righe per una quarta di copertina.

laVorare Sul teSto

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B. individuare i nuclei narrativie le seQuenze

Un sistema che si può usare per smontare un testo e comprendere il meccanismo narrativo costruito dall’autore oppure per analizzarlo facilmente è la divisione in nuclei narrativi e in

sequenze.

Il nucleo narrativo, o macrosequenza, è una parte di testo che contiene un episodio unitario : i fatti narrati si svolgono nel medesimo arco di tempo e nel medesimo luogo, e i personaggi sono i medesimi.

L’inizio e la fine di un nucleo narrativo sono quindi indicati da:• ingresso o uscita di un personaggio;• un cambiamento di luogo;• un cambiamento di tempo.

Individuare i nuclei narrativi aiuta a ricostruire il modo in cui lo scrittore ha elaborato l’intreccio, a capire quali temi ha voluto sottolineare e a quali fatti e personaggi ha voluto dare maggiore rilievo.

Un nucleo narrativo è costituito da una o più sequenze.

La sequenza è una parte di testo caratterizzata da una medesima tipologia testuale.

Ci sono diversi tipi di sequenze:u narrativa : presenta i fatti della storia, le azioni dei personaggi; è indicata dall’uso di un tempo

narrativo come il passato remoto o il passato prossimo;

u dialogica : strettamente legata alle sequenze narrative, riporta le parole dei personaggi; è costi-tuita dal discorso diretto;

u descrittiva : presenta un luogo o un personaggio; è riconoscibile per il passaggio del verboall’imperfetto o al presente;

u riflessiva : presenta le riflessioni di un personaggio o del narratore; in questo secondo caso èsegnalata dall’uso della prima persona o dal tempo presente.

I diversi tipi di sequenza possono intrecciarsi tra loro, e sono funzionali l’uno all’altro; ad esempio in una sequenza narrativa può essere inserita una sequenza descrittiva, che fa vedere al lettore dove si svolge la scena, o una sequenza riflessiva, che fa conoscere subito l’opinione del personag-gio o del narratore su quanto sta avvenendo.

La modalità di successione delle sequenze contribuisce a creare il ritmo della narrazione.

La presenza di molte o di lunghe sequenze descrittive o riflessive rallenta il ritmo, in quanto esse interrompono e fermano la successione delle azioni.

Le sequenze dialogiche danno invece la sensazione che la storia si stia svolgendo man mano sotto gli occhi del lettore, e, se si tratta di un dialogo costituito da battute brevi, costruiscono un ritmo più veloce.

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1. travedere: intravedere; Agnese e Renzo nonsanno spiegarsi perché Lucia non abbia parlatosubito con loro di quanto accaduto.

2. filanda: fabbrica in cui veniva lavorata la seta.3. signore: il conte Attilio, cugino di don Rodrigo. 4. non punto: per niente.

1° nucleo narrativo

Lucia entrò nella stanza terrena, mentre Renzo stava angosciosamente informando Agnese, la quale angosciosamente lo ascoltava. Tutt’e due si volsero a chi ne sapeva più di loro, e da cui aspettavano uno schiarimento, il quale non poteva essere che doloroso: tutt’e due, lasciando travedere1, in mezzo al dolore, e con l’amore diverso che ognun d’essi portava a Lucia, un cruccio pur diverso perché avesse taciuto loro qualche cosa, e una tal cosa. Agnese, benché ansiosa di sentir parlare la figlia, non poté tenersi di non farle un rimprovero – A tua madre non dir niente d’una cosa simile!

– Ora vi dirò tutto, – rispose Lucia, asciugandosi gli occhi col grem-biule.

– Parla, parla! – Parlate, parlate! – gridarono a un tratto la madre e losposo.

– Santissima Vergine! – esclamò Lucia: – chi avrebbe creduto che lecose potessero arrivare a questo segno! – E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda2, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in compagnia d’un altro signore3; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com’ella diceva, non punto4 belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell’altro signore rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s’eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l’altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo. – Per grazia del cielo, – conti-nuò Lucia, – quel giorno era l’ultimo della filanda. Io raccontai subito…

un teSto Spiegato

Alessandro Manzoni

IL DOTTOR AzzECCAGARBUGLII promessi sposi, 1840

Il brano seguente è l’inizio del terzo capitolo dei Promessi sposi. Quando tutto è pronto per il matrimonio di Renzo e Lucia, il curato don Abbondio rivela a Renzo che don Rodri-go, il signorotto locale, gli ha vietato di celebrarlo. Lucia è allora costretta a raccontare alla madre Agnese e a Renzo del casuale incontro con don Rodrigo e dello sfacciato comportamento di quest’ultimo. Di fronte alle prevaricazioni e all’arroganza di un uomo potente, consapevoli della loro posizione di inferiorità, i tre pensano di chiedere consiglio a un uomo di legge, sperando che tuteli i loro diritti. Nel brano si alternano diversi tipi di sequenze, che determinano anche il ritmo della narrazione.

cosa. Agnese, benché ansiosa di sentir parlare la figlia, non poté tenersi di non farle un rimprovero – A tua madre non dir niente d’una cosa simile!

cose potessero arrivare a questo segno! – E, con voce rotta dal pianto, – Santissima Vergine! – esclamò Lucia: – chi avrebbe creduto che le – Santissima Vergine! – esclamò Lucia: – chi avrebbe creduto che le

cose potessero arrivare a questo segno! – E, con voce rotta dal pianto,

e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo. – Per grazia del cielo, – conti

cose potessero arrivare a questo segno! – E, con voce rotta dal pianto,

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5. riverito: rispettato e amato.6. contristare: rattristare; Lucia non ha voluto

far preoccupare la madre, ma il suo silenzioè stato dovuto anche al timore che Agnese,

amando molto chiacchierare, raccontasse ad altri l’accaduto.

7. abbominata: odiosa.8. allegò: portò, fece conoscere.

– A chi hai raccontato? – domandò Agnese, andando incontro, nonsenza un po’ di sdegno, al nome del confidente preferito.

– Al padre Cristoforo, in confessione, mamma, – rispose Lucia, con unaccento soave di scusa. – Gli raccontai tutto, l’ultima volta che siamo an-date insieme alla chiesa del convento: e, se vi ricordate, quella mattina, io andava mettendo mano ora a una cosa, ora a un’altra, per indugiare, tanto che passasse altra gente del paese avviata a quella volta, e far la strada in compagnia con loro; perché, dopo quell’incontro, le strade mi facevan tanta paura…

Al nome riverito5 del padre Cristoforo, lo sdegno d’Agnese si raddol-cì. – Hai fatto bene, – disse, – ma perché non raccontar tutto anche a tua madre?

Lucia aveva avute due buone ragioni: l’una, di non contristare6 né spa-ventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto trovar rimedio; l’altra, di non metter a rischio di viaggiar per molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta: tanto più che Lucia sperava che le sue nozze avrebber troncata, sul principiare, quell’abbominata7 per-secuzione. Di queste due ragioni però, non allegò8 che la prima.

– E a voi, – disse poi, rivolgendosi a Renzo, con quella voce che vuol farriconoscere a un amico che ha avuto torto: – e a voi doveva io parlar di questo? Pur troppo lo sapete ora!

– E che t’ha detto il padre? – domandò Agnese.– M’ha detto che cercassi d’affrettar le nozze il più che potessi, e intanto

stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e che sperava che colui, non vedendomi, non si curerebbe più di me. E fu allora che mi sforzai, – pro-seguì, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, – fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s’era stabi-lito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata, e tenevo per certo… e questa mattina, ero tanto lontana da pensare… – Qui le parole furon troncate da un violento scoppio di pianto.

– Ah birbone! ah dannato! ah assassino! – gridava Renzo, correndo in-nanzi e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto il manico del suo coltello.

– Oh che imbroglio, per amor di Dio! – esclamava Agnese. Il giovine sifermò d’improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: – questa è l’ultima che fa quell’as-sassino.

– Ah! no, Renzo, per amor del cielo! – gridò Lucia. – No, no, per amordel cielo! Il Signore c’è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male?

– No, no, per amor del cielo! – ripeteva Agnese.

riconoscere a un amico che ha avuto torto: – e a voi doveva io parlar di questo? Pur troppo lo sapete ora!

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9. risoluzione: determinazione, risolutezza.10. fede di stato libero: era il parroco (curato)

che dichiarava che due persone potevanosposarsi, in quanto libere da ogni altro vin-colo.

11. tristo … festiva: lo sconforto dei tre perso-naggi contrasta tristemente con l’eleganzadei loro abiti da festa (pompa festiva).

12. il bandolo: il capo che consente di srotola-

re la matassa; qui indica la soluzione di un problema.

13. una cima d’uomo: un uomo molto intelli-gente.

14. abbracciò: fece suo, condivise.15. stia: gabbia per i polli.16. correrebber: sarebbero corsi; i bambini

non sanno ancora che il matrimonio non si farà.

– Renzo, – disse Lucia, con un’aria di speranza e di risoluzione9 più tran-quilla: – voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo tanto lontano, che colui non senta più parlar di noi.

– Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie! Il curato vorràfarci la fede di stato libero10? Un uomo come quello? Se fossimo maritati, oh allora…!

Lucia si rimise a piangere; e tutt’e tre rimasero in silenzio, e in un abbat-timento che faceva un tristo contrapposto alla pompa festiva11 de’ loro abiti.

– Sentite, figliuoli; date retta a me, – disse, dopo qualche momento, Agnese. – Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Nonbisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noipoverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne ilbandolo12; ma alle volte un parere, una parolina d’un uomo che abbia studia-to… so ben io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco;cercate del dottor Azzeccagarbugli, raccontategli… Ma non lo chiamate così,per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor… Comesi chiama, ora? Oh to’! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo.Basta, cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una vogliadi lampone sulla guancia.

– Lo conosco di vista, – disse Renzo.– Bene, – continuò Agnese: – quello è una cima d’uomo13! Ho visto io più

d’uno ch’era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo essere stato un’ora a quattr’occhi col dottor Azzeccagar-bugli (badate bene di non chiamarlo così!), l’ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori. Raccontategli tutto l’accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.

Renzo abbracciò14 molto volentieri questo parere; Lucia l’approvò; e Agne-se, superba d’averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stia15, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell’orto, per non esser veduto da’ ragazzi, che gli correrebber16 dietro, gridando: lo sposo! lo sposo!

2° nucleo narrativo

Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viot-tole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare

di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.

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17. di fiere scosse: dava loro degli (di) scossoni, li sbatacchiava; scosse è complemento og-getto di «dava».

18. s’ingegnavano: cercavano, facevano di tut-to.

19. suggezione: soggezione, senso di timore edi inferiorità.

20. avvezza: abituata; sia la serva sia Renzosanno che sono proprio i capponi il mezzoper essere ricevuti subito dal dottore.

21. dodici Cesari: i primi imperatori romanida Cesare a Domiziano.

22. gremita … gride: piena di fogli con le prove della difesa (allegazioni), domande di gra-zia (suppliche), citazioni giudiziarie (libelli),bandi pubblici (gride).

23. perorare: fare un discorso a favore di qual-cuno o di qualcosa.

24. giorni d’apparato: giorni in cui c’eranoudienze o cause importanti, ed era quindinecessario vestirsi in modo adeguato.

al dottor Azzeccagarbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse17, e faceva balza-re quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano18 a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.

Giunto al borgo, domandò dell’abitazione del dottore; gli fu indicata, e v’andò.

3° nucleo narrativo

All’entrare, si sentì preso da quella suggezione19 che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore e d’un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un’occhiata ai capponi, e si rincorò.

Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dot-tore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza20 a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch’egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: – date qui, e andate innanzi –. Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un – venite, figliuolo, – e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de’ dodici Cesari21; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una ta-vola gremita d’allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride22, con tre o quat-tro seggiole all’intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s’accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da came-ra, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt’anni addietro, per perorare23, ne’ giorni d’apparato24, quando andava a Milano, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: – figliuolo, ditemi il vostro caso.

A. Manzoni, I promessi sposi, Edizioni il capitello, Torino 2003

al dottor Azzeccagarbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare al dottor Azzeccagarbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare al dottor Azzeccagarbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare

l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.

fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un – venite, figliuolo, – e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su

per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine,

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LA TRAmANel terzo capitolo dei Promessi sposi, di cui le pa-gine riportate costituiscono la prima parte, sono narrati i primi tentativi da parte di Renzo e Lucia di far valere i loro diritti di fronte al sopruso di cui sono vittime. È possibile nella narrazione individuare diversi nu-clei narrativi, determinati dallo spazio in cui si svol-ge l’azione e dalla presenza di personaggi diversi.

PRImO NUCLEO NARRATIVO Il primo nucleo narrativo si svolge nella casa di Lu-cia. La lunga sequenza dialogica serve a raccontare l’antefatto, e quindi la causa per cui il matrimonio non è stato celebrato; è dalle parole di Lucia che sia Renzo e Agnese sia il lettore vengono a sapere dell’incontro con don Rodrigo e della sua scommes-sa con il cugino. Dal dialogo e dai gesti emergono anche i caratteri e gli stati d’animo dei tre personag-gi. Lucia mostra una grande timidezza ma anche una volontà ferma, guidata da forti princìpi morali. Non è un caso che il suo racconto dell’accaduto sia riassunto dal narratore, come se questi si rendesse conto dell’imbarazzo della giovane nel raccontare quanto le era capitato e volesse filtrarlo attraverso le proprie parole. Renzo si rivela più impulsivo: ha consapevolezza sia del torto subito sia della difficol-tà di opporsi a chi detiene il potere; vorrebbe ricor-rere alle maniere forti – stringe con forza il manico del coltello – ma accetta subito il parere di Agnese. Quest’ultima svolge il ruolo della persona adulta, che con buon senso pensa a fare qualcosa di con-creto; ma il suo consiglio appare subito piuttosto in-genuo: già il nome e la descrizione fisica dell’uomo suggeriscono al lettore che Azzeccagarbugli non sia proprio quella «cima» d’uomo che ella crede. La scelta di narrare l’episodio attraverso sequenze dia-logiche, costituite da rapidi scambi di battute, con-sente di ricostruire la concitazione e l’affanno in cui si trovano i personaggi e fa sì che il lettore partecipi direttamente all’azione.

SECONDO NUCLEO NARRATIVO Il secondo nucleo narrativo ha come unico perso-naggio Renzo. È a lui, in quanto uomo, che viene affidato il compito di entrare in relazione con il mondo esterno, qui come in altre situazioni della

storia. Lo vediamo quindi percorrere velocemen-te le strade di campagna, in preda a una gran-de agitazione. I capponi che si beccano, mentre, legati a testa in giù, sono sbatacchiati qua e là, inducono il narratore a riflettere sulla mancan-za di solidarietà che spesso c’è tra compagni di sventura. È una brevissima pausa di riflessione che accompagna il cammino di Renzo.

TERZO NUCLEO NARRATIVO Il terzo nucleo narrativo si svolge nello studio di Azzeccagarbugli e ha come personaggi Ren-zo, l’avvocato e la serva. Quest’ultima è solo una comparsa, ma il gesto sbrigativo con cui toglie i capponi dalle mani di Renzo serve a far capire che quella è una forma di pagamento piuttosto usuale e gradita.La sequenza descrittiva dello studio di Azzecca-garbugli sembra dare un tono di solennità all’in-contro e costituisce un momento di attesa prima che il personaggio entri realmente in scena; ma lo studio dell’avvocato, con il suo disordine e il suo senso di abbandono, rivela che Azzeccagarbugli non è un avvocato famoso e in qualche modo anti-cipa al lettore l’esito negativo della visita di Renzo.

Francesco Gonin, Lucia Mondella, 1840, incisione per la prima edizione dei Promessi sposi.

raccogliamo le iDee

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1. color seppia: colore di tonalità grigio-brunache caratterizza le vecchie fotografie; è unasfumatura che può anche essere ottenuta ar-tificialmente.

2. cappello: Mandy ama vestirsi in modo ec-centrico e crea da sé i cappelli che indossa;arrivata in motorino si era tolta il casco eaveva messo una delle sue creazioni.

Sulla porta esterna c’era una targa: PEVERELL PRESS - AVANTI.Mandy aprì, attraversò un ingresso a grandi vetrate ed entrò nella sala

d’aspetto. A sinistra, seduto a un bancone semicir colare davanti alla ta-stiera del centralino, c’era un impiegato con i capelli grigi e un’espressione gentile che la salutò sorri dendo prima di controllare se ci fosse il suo nome in un elen co. Mandy gli diede il casco, lui lo prese, nelle sue mani picco-le, macchiate dall’età, come se gli venisse affidata una bomba e per un momento parve chiedersi che cosa farne, infine deci se di lasciarlo sulla scrivania.

Avvertì per telefono che era arrivata e poi disse: «Ora verrà la signorina Blackett, che l’accompagnerà dalla signorina Étienne. Vuole sedersi?».

Mandy si mise a sedere, non s’interessò ai tre quotidiani, al le riviste letterarie, ai cataloghi disposti ordinatamente a ven taglio su un tavoli-no basso, ma si guardò intorno. Un tempo la stanza doveva essere stata molto bella: il camino di marmo sopra il quale era appeso un quadro a olio con una veduta del Canal Grande, il soffitto decorato con stucchi delicati, la fascia di legno intarsiato che correva tutt’intorno alle pareti contra stavano in modo assurdo con la linea moderna del bancone, con le poltrone comode ma di tipo economico, con il grosso al bo dei visitatori di finta pelle, con l’ascensore chiuso in una gabbia di ferro a destra del ca-mino. Sulle pareti dipinte di ver de carico, era appesa una fila di fotografie color seppia1. Mandy pensò che dovevano rappresentare i Peverell delle precedenti generazioni e stava alzandosi per andare a guar darli da vicino quando comparve una donna robusta, non bel la, che, presumibilmente, era la signorina Blackett, incaricata di farle da guida. Salutò Mandy senza sorridere, lanciò un’oc chiata sorpresa e quasi impaurita al suo cappello2

P. D. James

COLLOQUIO DI LAVOROMorte sul fiume, 1994 Lingua originale inglese

Phyllis Dorothy James White – conosciuta come P. D. James – è una famosa scrittrice inglese di romanzi gialli. Il romanzo Morte sul fiume è ambientato a Innocent House, un palazzo in stile veneziano sulle rive del Tamigi, sede della Peverell Press, una prestigiosa casa editrice. Quando Mandy Price si presenta per un lavoro come dattilografa, la sua attenzione è attratta dalla straordinaria architettura e dalla raffinatezza dell’ambiente. Ancora non sa che sarà proprio quello lo scenario di una serie di morti misteriose.L’episodio, che si svolge tutto all’interno del palazzo, si può suddividere in diversi nuclei narrativi, nei quali sono presenti tutti i tipi di sequenze.

La presentazione del luogo e dei personaggi viene fatta attraverso gli occhi di Mandy.

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3. amministratore delegato: un componente del consiglio di amministrazione di una società.

4. palese: evidente.5. curriculum vitae: espressione latina che si-

gnifica letteralmente «carriera della vita»; initaliano può essere anche definito «curricolo».Indica una serie di informazioni dettagliate

relative agli studi compiuti, ai posti di lavoro occupati, alle mansioni svolte; viene richiesto dal datore di lavoro per conoscere e valutare una persona prima di assumerla.

6. signora Crealey: la proprietaria dell’agenzia dicollocamento che procura a Mandy lavori tem-poranei come dattilografa.

e, senza pre sentarsi, la invitò a seguirla. Mandy non diede importanza a quell’assenza di cordialità. Era normale che all’assistente dell’amministra-tore delegato3 premesse mostrare la propria posizione. Non era la prima volta che le capitava.

L’atrio le parve di una bellezza da togliere il respiro. Vide un pavimento di marmo a intarsi di diversi colori dal quale sei colonne con elaborati, preziosi capitelli si innalzavano ver so uno straordinario soffitto dipinto. Senza badare alla palese4 impazienza della signorina Blackett che la ve-deva attardarsi sul primo gradino della scala, Mandy lentamente e quasi in consapevolmente si voltò e guardò in su mentre la grande vol ta colorata ruotava insieme a lei; palazzi, torri con stendardi fluttuanti, chiese, case, ponti, la curva del fiume adorno delle vele di navi dagli alti alberi, cheru-bini che sporgevano le lab bra per soffiare prospere brezze sospese nell’aria come piccoli sbuffi di vapore usciti dal bollitore del tè. Mandy aveva lavo-rato in vari uffici, molto diversi tra loro, dai grattacieli di cri stallo arredati con cuoio e tubi cromati e provvisti degli ultimi prodigi dell’elettronica, a stanzette grandi come un armadio con un tavolo di legno e una vec-chia macchina per scrivere e aveva imparato molto presto che gli uffici costituivano un’in dicazione inaffidabile per stabilire il livello finanziario di un’azienda. Mai, però, aveva visto un palazzo di uffici come Innocent House.

Salirono le scale in silenzio. L’ufficio della signorina Étienne era al pri-mo piano. Un tempo era stato, palesemente, una bi blioteca, poi l’ultimo tratto era stato diviso per creare un pic colo ufficio. Una ragazza col viso serio, così magra da sembra re anoressica, era seduta davanti alla tastiera di un computer e diede a Mandy solo una rapida occhiata. La signorina Blackett aprì la porta di comunicazione e annunciò: «Ecco Mandy Pri ce, signorina Claudia, è stata mandata dall’agenzia» poi se ne andò.

A Mandy sembrò che la stanza diventasse sempre più gran de, dopo il minuscolo ufficio esterno, mentre attraversava un ampio tratto di pavi-mento di legno per avvicinarsi alla scriva nia, a destra della finestra. Una donna alta e bruna si alzò per riceverla, le strinse la mano e la invitò a sedersi di fronte a lei.

«Ha il suo curriculum vitae5?» chiese.«Sì, signorina Étienne».Non le era mai stato chiesto un curriculum vitae, ma la si gnora Crealey6

non si era sbagliata, evidentemente alla Peve rell se lo aspettavano. Mandy si chinò a prendere da terra la sua grossa borsa vistosamente ricamata e

Il narratore esterno riporta i pensieri di Mandy attraverso il discorso indiretto libero.

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7. nappine: ciuffetti di fili di lana o seta; sonousate come decorazioni.

8. scriminatura: divisione nei capelli fatta con il pettine; riga.

9. macchinazioni maschili: tentativi da partedegli uomini di conquistarla o di raggirarla.

10. Portobello Road: famosa via di Londra, dove si trovano negozi di antiquariato e di moda.

ornata di nappine7, un trofeo dell’ultima vacanza estiva a Creta, e porse alla si gnorina Étienne tre fogli accuratamente dattiloscritti. Lei li os servò attentamente e Mandy, attentamente, osservò lei.

Non era molto giovane, concluse, certo aveva più di trent’anni. Aveva l’ossatura del viso evidente sotto la pelle chiara, deli cata, gli occhi infos-sati, con le iridi scure, quasi nere, le palpebre pesanti, le sopracciglia depi-late, ad arco. I capelli erano corti, lu cidi di spazzola, con la scriminatura8 a sinistra e le ciocche più lunghe ben ravviate dietro l’orecchio destro. Le mani, posate sui fogli del curriculum, non avevano anelli, le dita erano lun ghe e sottili, le unghie senza smalto.

Senza alzare gli occhi, chiese: «Lei si chiama Mandy o Amanda Price?».«Mandy, signorina Étienne». In circostanze diverse, Mandy le avrebbe

fatto osservare che se si fosse chiamata Amanda sa rebbe stato scritto nel curriculum.

«Ha avuto altre esperienze di lavoro in una casa editrice?».«Solo tre negli ultimi due anni. Ho elencato i nomi delle aziende per cui

ho lavorato a pagina tre del mio curriculum».La signorina Étienne lesse l’elenco, poi alzò gli occhi, bril lanti, luminosi

sotto le sopracciglia arcuate e osservò Mandy con un interesse assai mag-giore di quello mostrato in prece denza.

«A quanto pare lei era molto brava a scuola, – aggiunse, – ma da allora ha collezionato una quantità di impieghi diversi, nessuno dei quali è du-rato più di qualche settimana».

In tre anni di lavoro a giornata Mandy aveva imparato a ri conoscere e aggirare la maggior parte delle macchinazioni maschili9, ma si sentiva meno sicura quando veniva chiamata in causa direttamente la sua con-dotta. L’istinto, puntuto come lo strumento di un dentista, le disse che la signorina Étienne andava trattata con riguardo. Pensò, allora tu non sai neanche cos’è il lavoro a giornata, vecchia scema: oggi qua, domani là. Ma ciò che disse fu: «Ho scelto di lavorare a giornata, per bre vi periodi, allo scopo di raccogliere il maggior numero di esperienze possibile prima di cercare un impiego fisso. A quel punto non mi muoverò più e cercherò di fare una buona car riera».

Mandy era stata tutt’altro che sincera. Non aveva la minima intenzione di cercare un impiego fisso. Il lavoro a giornata, li bero dai contratti e dai regolamenti, vario, senza vincoli, così che anche nel peggiore dei casi si poteva pensare che tutto sa rebbe finito entro il venerdì successivo, era proprio adatto a lei. I suoi progetti per l’avvenire, però, erano altri. Stava già ri sparmiando per il giorno in cui, con la sua amica Naomi, si sa rebbe presa la soddisfazione di aprire un negozietto di succes so in Portobello Road10. Naomi avrebbe creato i suoi gioielli, lei avrebbe disegnato e cucito

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11. redattore: in una casa editrice, chi si occupadelle varie fasi della lavorazione di un libro.

12. cardigan: giacca morbida di maglia di lana;

il cachemire è una lana morbida e pregia-ta, ottenuta da una varietà di capre del Kashmir, una regione nel Nord dell’India.

i suoi cappellini e tutt’e due sareb bero diventate in breve tempo ricche e famose.

La signorina Étienne diede ancora un’occhiata al curricu lum, poi disse, con voce asciutta: «Se lei aspira a trovare un impiego fisso e a fare una buona carriera, bisogna dire che, per la sua generazione, rappresenta un caso unico». Restituì a Mandy il curriculum con un gesto rapido, impa-ziente, si alzò e disse: «Bene, farà un test e vedremo se è davvero così brava. La signorina Blackett ha un altro computer, a pianterreno. Lei lavorerà in quell’ufficio, quindi tanto vale che faccia lì anche il test. Il signor Daunt-sey, il nostro redattore11 per la poesia, ha una cassetta da trascrivere. È nell’archivio piccolo. Andiamo a prenderla insieme, – aggiunse, – così lei si farà un’idea della pianta del palazzo».

«Si tratta di poesia?» chiese Mandy. Poteva essere molto complicato tra-scrivere dei versi da una cassetta, perché, lo sa peva per esperienza, nella poesia moderna i versi spesso non si capisce dove cominciano e dove fi-niscono.

«No, non si tratta di poesia. Il signor Dauntsey sta stenden do una rela-zione in base a un esame dell’archivio, specifican do quali schedari vanno tenuti e quali distrutti. La Peverell Press ha iniziato la sua attività di casa editrice nel 1792. C’è del materiale interessante nei vecchi schedari che dovrebbe essere catalogato correttamente».

Mandy scese con la signorina étienne l’ampia curva della scala, attra-versò l’atrio e tornò nella sala d’aspetto. A quanto pareva dovevano usare l’ascensore, che partiva solo dal pian terreno. Non era proprio, pensò, il modo migliore per farsi un’idea della pianta del palazzo, ma la proposta era stata co munque positiva perché significava che le avrebbero dato il lavoro, se lo voleva. E dopo quel primo sguardo sul Tamigi, Mandy sapeva di volerlo.

L’ascensore era piccolo, un quadrato di poco più che un me tro e mezzo di lato e mentre salivano, in un gemito di corde, Mandy era acutamente consapevole della vicinanza di quella figura alta e silenziosa il cui braccio quasi sfiorava il suo. Te neva gli occhi fissi davanti a sé, ma sentiva che la si-gnorina Étienne si era profumata con una essenza vagamente esotica, così leggera che forse si trattava solo di una raffinata e costosa saponetta. Tutto sulla sua persona pareva a Mandy raffinato e costoso, l’opaco splendore della camicetta che non poteva essere altro che di seta, la collana d’oro a due giri, gli orecchini d’oro a bottoncino, il cardigan12 che le cadeva dalle spalle con la leggera morbidezza del cachemire. Ma quella vicinanza fisica e la propria sensibilità acuita, stimolata dalla novità e dall’emo zione che Innocent House aveva suscitato in lei, le dicevano, in più, che la signori-na Étienne non era a suo agio. Era lei, Mandy, che avrebbe dovuto essere

Le informazioni sulla casa editrice sono date attraverso le parole dei personaggi.

Prima di entrare nel palazzo, Mandy si era soffermata a osservare il Tamigi che lambiva i gradini.

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13. claustrofobia: paura degli spazi chiusi.14. archivio: luogo in cui vengono ordinati e

tenuti documenti e materiali che devonoessere conservati di un’azienda, un uffi-cio, un museo, ecc.

15. fetore: odore forte e ripugnante.

16. infausti: legati a un evento triste, doloro-so.

17. a saliscendi: tipo di finestra molto usa-to in Inghilterra, che si apre e si chiudefacendo scorrere i due battenti uno sopral’altro dal basso in alto e viceversa.

nervosa. Invece aveva la sensazione che in quell’ascensore da claustrofo-bia13 che saliva a strattoni con lentezza esasperante, l’aria avesse fremiti di in quietudine.

Si fermarono con un sobbalzo e la signorina Étienne aprì, facendolo scorrere, lo sportello a doppia griglia. Mandy si trovò in un piccolo corri-doio con una porta di fronte e una di lato. La porta di fronte era aperta su una grande stanza in gombra, dal pavimento al soffitto, di ripiani di ferro dov’era no pressati raccoglitori e fasci di fogli. Le scaffalature occupa vano tutto lo spazio disponibile dalle finestre alla porta e lasciavano a stento la possibilità di passarvi in mezzo. Nell’aria c’era un odore di vecchi fogli, di muffa e di chiuso. Mandy s’infilò dietro la signorina Étienne tra la fine degli scaffali e la parete di fondo dove c’era un’altra porta più pic cola, sta-volta chiusa.

La signorina Étienne si fermò un momento. «È qui che il si gnor Daunt-sey lavora all’archivio14. Di solito chiamiamo questa stanza l’archivio pic-colo. Mi ha detto che avrebbe lasciato la cassetta sul tavolo».

A Mandy parve che quella spiegazione fosse inutile e anche un po’ stra-na e che la signorina avesse esitato per un attimo, con la mano sul pomolo della porta, per spalancarla poi con forza, bruscamente, come se si fosse aspettata di incontrare un ostacolo.

Il fetore15 rotolò fuori e le investì come una colonna di vapori infausti16, un riconoscibile puzzo di vomito, non forte ma così inatteso che Man-dy arretrò di colpo. Al disopra della spalla della signorina Étienne il suo sguardo colse in un lampo la vi sione di una stanzetta con un pavimento nudo, un tavolo qua drato a destra della porta e una finestra alta e stretta a sali scendi17. Sotto la finestra c’era un divano letto sul quale stava sdraiata, in una posizione strana, una donna.

Non c’era bisogno di un odore particolare per avvertire Mandy che davanti ai suoi occhi c’era la morte. Non gridò; non aveva mai gridato per uno spavento o per una forte emo zione, ma una gigantesca morsa di ghiaccio le afferrò e le strinse il cuore e lo stomaco facendola rabbrividire violente mente, come un bambino estratto da un mare gelato. Non dis sero niente, né lei né la signorina Étienne, ma lei le si mise die tro, vicinissima, e a piccoli passi quasi impercettibili si avvicinarono al divano.

La donna era distesa su una coperta scozzese ma ne aveva tolto di sotto il cuscino per appoggiarvi la testa come se aves se avuto bisogno di stare un po’ più comoda negli ultimi istanti di vita. Vicino al divano, su una sedia, c’era una botti glia di vino vuota, un bicchiere sporco e un gros-so flacone con il tappo a vite. Ai piedi del divano letto, un paio di scar-pe marroni con le stringhe, messe ordinatamente una accanto all’altra.

La descrizione della stanza viene fatta attraverso gli occhi di Mandy.

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18. tweed: tessuto di lana piuttosto pesante,lavorato a due colori.

19. soppesarla: tenerla in mano valutando-ne il peso; in questo caso non si tratta delpeso materiale, ma del valore che potreb-bero avere le parole scritte dalla donna.

20. coroner: in Gran Bretagna ufficiale giudi-ziario, in genere un avvocato o un medico, che indaga sui casi di morte violenta, per

accertare l’identità della vittima e le circo-stanze della morte.

21. pompe funebri: imprese che si occupanodi organizzare i funerali.

22. sudario: panno di lino bianco con cui vie-ne coperto o avvolto il corpo del defunto;nell’antica Roma copriva solo il volto. Latrina è un merletto.

Forse, pensò Mandy, la donna se le era tolte per non sporcare la coperta. Ma la coperta si era sporcata lo stesso e anche il cuscino. C’era una traccia di vomito come la bava di una enorme lumaca che stava incollata alla sua guancia sini stra e in parte era scesa a formare una crosta sul cuscino. Gli occhi erano socchiusi, con le iridi rivolte verso l’alto, i capelli grigi, con la frangia, erano appena scomposti. Indossava una maglia marrone a collo alto e una gonna di tweed18 dalla quale sbucavano le gambe ossute, stra-namente sbilenche e rigide. Il braccio sinistro sporgeva dal divano letto fin quasi a toccare la sedia, quello destro le stava ripiegato sul petto. Si sarebbe det to che la mano destra, prima della morte, avesse tormentato la lana sottile della maglia e l’avesse sollevata fino a rivelare po chi centimetri di una sottoveste bianca. Vicino al flacone delle pillole, vuoto, c’era una busta quadrata con un indirizzo scrit to a mano in inchiostro nero.

Mandy, in un rispettoso bisbiglio, come se fosse in chiesa, domandò: «Chi è?». La voce della signorina Étienne era calma. «Sonia Clements. Una delle nostre redattrici, era con noi da molto tempo». «Dovevo lavorare con lei?».

Mandy si rese conto, appena l’ebbe pronunciata, di quanto fosse inop-portuna la sua domanda, ma la signorina Étienne le rispose: «All’inizio, ma non per molto. Doveva andarsene alla fine del mese».

Prese la lettera e parve soppesarla19 tra le mani. Vuole aprirla, pensò Mandy, ma non davanti a me. Dopo pochi secondi la si gnorina Étienne disse: «È indirizzata al coroner20. Anche senza la lettera si può capire che cos’è successo qui. Mi dispiace che lei abbia avuto questa brutta esperien-za, signorina Price. È stato un gesto compiuto senza riguardo per gli altri. Chi si suicida dovrebbe farlo a casa propria».

Mandy pensò alla sua casetta a schiera di Stratford East, con la cucina e il bagno in comune, alla sua piccola stanza sul retro in uno spazio dove sarebbe stato impossibile isolarsi a inghiottire una manciata di pillole, per non parlare di morire dopo averle prese. Si costrinse a guardare di nuovo il viso del la donna. Sentì un bisogno improvviso di chiuderle gli occhi, di accostarle le labbra leggermente aperte. Era così la morte, o piuttosto era così prima che intervenissero quelli delle pompe funebri21. Mandy aveva visto solo un’altra persona morta, sua nonna. Era bene avvolta nel sudario22, con una trina al collo, si stemata nella bara come una bambola in una scatola da rega lo, stranamente rimpicciolita e con un’espressione più serena di quanto non avesse mai avuto in vita; gli occhi, prima bril-lanti e irrequieti, chiusi, le mani, sempre affaccendate, final mente calme,

La casa di Mandy viene presentata in una sequenza riflessiva.

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23. dittafono: registratore usato negli uffici per dettare la corrispondenza, che poi una se-gretaria deve trascrivere.

24. icona: immagine sacra, tipica dell’arte bi-zantina.

intrecciate. A un tratto il dolore la travolse in un torrente di pietà, forse era l’emozione violenta che si liberava in ritardo, forse il ricordo improv-visamente vivo della nonna che aveva amato. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi e non capì se erano per la nonna o per quella sconosciuta distesa là in una posa tanto indifesa e sgraziata. Mandy piangeva di rado, ma quando piangeva non riusciva più a fermarsi. Terrorizzata al pensiero di potersi screditare davanti alla signorina Étienne, si sforzò di controllarsi e, mentre si guardava attorno, gli occhi le si posarono su un oggetto noto, innocuo, con il quale poteva misurarsi e che le dava la certezza che, fuori da quella cella della morte, la vita di tutti i giorni continuava. Sul tavolo c’era un piccolo dittafono23.

Mandy si avvicinò e lo chiuse tra le mani come se fosse un’icona24. «È qui la cassetta? – chiese. – È un elenco? Lo devo anche stampare?».

La signorina Étienne la guardò per un attimo in silenzio, poi disse: «Sì, ne faccia due copie. Può usare il computer che è nell’ufficio della signorina Blackett».

In quel momento Mandy capì di avere ottenuto l’impiego.

P. D. James, Morte sul fiume, trad. L. Crepax, Mondadori, Milano 1997

Samuel Burton, Veduta di Westminster, 2009.

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Analizzare e comprendere

1. Completa la seguente scaletta narrativa indicando dove e quando si svolgono i fatti; quali personaggicompaiono e quali sono le loro azioni nel corso dell’episodio.

tempo luoghi personaggi fatti

1 Circa le 10 sala d’aspetto Mandyun impiegato

osserva il luogo in cui si trova

2 le scale Mandy la signorina Blackett

2. Individua quali sono i nuclei narrativi in cui è suddivisibile il brano e costruisci una tabella. Tienipresenti i luoghi in cui si svolge l’azione e i personaggi che compaiono.

3. Individua quali tipi di sequenze sono utilizzate in ciascun nucleo narrativo.

4. La scrittrice fa un uso molto frequente delle descrizioni. Sono descrizioni oggettive o soggettive?

• Quale funzione hanno?

5. Nell’episodio emergono i personaggi di Mandy e della signorina étienne. Individua per ciascuna itratti che ne costituiscono il carattere.

Riflettere

6. In quale epoca si svolge la storia?

• Da quali elementi del testo puoi dedurlo?

7. Innocent House e i dipendenti della Peverell Press sono descritti attraverso gli occhi e i pensieri diMandy. Quale immagine del suo futuro posto di lavoro costruisce man mano Mandy nella propriamente?

8. Tutto l’episodio è un lento avvicinamento, nel tempo e nello spazio, alla conferma dell’assunzione diMandy e alla scoperta del cadavere. In che modo l’autrice costruisce questo ritmo lento?

9. Sia l’assunzione di Mandy che la scoperta del cadavere costituiscono per motivi differenti un colpodi scena nell’andamento della narrazione. Sai spiegare perché?

Scrivere

10. Come avrebbe raccontato Mandy la sua prima mattina alla Peverell Press? Scrivi una pagina del suodiario.

laVorare Sul teSto

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