Strade Aperte luglio 2012

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PERIODICO MENSILE DEL MASCI (MOVIMENTO ADULTI SCOUT CATTOLICI ITALIANI) DI EDUCAZIONE PERMANENTE, PROPOSTA E CONFRONTO SPEDIZIONE IN A.P. 45% ART. 2 COMMA 20/B LEGGE 662/96 DAL C.M.P. PADOVA EURO 2,00 LA COPIA EDITORE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITA’: Strade Aperte Soc. coop. a.R.L., Via Picardi, 6 - 00197 Roma, www.masci.it SOMMARIO IN ULTIMA PAGINA Stati Uniti d’Europa: sfida o utopia ? GIOVANNI MORELLO N UMERO 7 L UGLIO 2012 - A NNO 54 Ritorna il Dossier. De- dicato all’Europa. Otto voci diverse, e significa- tive, danno corpo ad una riflessione, che speriamo possa coinvolgere anche i nostri lettori, sull’attuale situazione dell’Unione Europea. In questi mesi siamo stati bersagliati e sommersi da notizie, quasi sempre nega- tive, che richiamavano momenti di crisi e di difficoltà. Siamo diventati tutti esperti, almeno a pa- role, di “mercato”, di spread, di Eurozo- na, di crisi dell’euro e così via. Difficilmente abbiamo letto sulla grande stampa messaggi positivi, che richiamas- sero agli ideali dell’unità europea. Se è vero, come scrive nelle pagine se- guenti Pio Cerocchi, che l’Europa è or- mai nel nostro dna, è altrettanto vero che le continue crisi finanziarie innescate dal- la speculazione internazionale e i tentativi di controbattere gli attacchi all’Euro con manovre finanziarie sempre più centrate su tagli e risparmi, che inesorabilmen- te vanno a colpire le fasce più disagiate della popolazione, sembrano aver mes- so in ombra gli ideali e le spinte ad una unità sempre più effettiva delle nazioni europee. La spinta all’unità dell’Europa ha portato ben ventisette Stati nazionali del cosiddetto Vecchio Continente ad as- sociarsi in una entità sovranazionale che, pur con le sue ombre e le sue luci, è ormai una realtà da cui probabilmente potrem- mo separarci con grande difficoltà. Chi di noi ha superato gli ‘anta, ricorda come da giovani studenti dalle manife- stazioni per l’italianità di Trieste si passò, talora con lacerazioni ideologiche, a ma- nifestare per una Europa unita. Difficilmente avremmo immaginato allora che, solo dopo pochi decenni, avremmo usato una moneta unica, avremmo viag- giato senza passaporto e senza restrizioni alle frontiere, avremmo potuto dichiarar- ci, ancora purtroppo idealmente, “citta- dini europei”. Oggi ci sono richiesti sacrifici sempre più dolorosi, ma bisogna che questi sacrifici per essere accettati siano accompagnati dal rilancio delle spinte ideali e delle mo- tivazioni per un futuro migliore. E’ quanto suggerisce il convegno, tenu- tosi in questi giorni presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, da parte del Forum delle persone e delle associa- zioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro, significativamente intitolato “Costruiamo gli Stati Uniti d’Europa”. Se è vero che l’unione fa la forza, è altret- tanto vero che l’Europa ha bisogno, sem- pre più, di istituzioni politiche comuni che permettano di conseguire tutti quegli obiettivi che nessuna Nazione separata- mente può raggiungere. Istituzioni da eleggere democraticamen- te, ma solo dopo un ampio dibattito cul- turale che faccia diventare patrimonio co- mune questa affascinante idea. Per noi scout, “cercatori di sentieri”, è una sfida che vale la pena di accettare.

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Rivista del Masci di Luglio 2012

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PERIODICO MENSILE DEL MASCI (MOVIMENTO ADULTI SCOUT CATTOLICI ITALIANI) DI EDUCAZIONE PERMANENTE, PROPOSTA E CONFRONTO

SPEDIZIONE IN A.P. 45%ART. 2 COMMA 20/B LEGGE 662/96 DAL C.M.P. PADOVA

EURO 2,00 LA COPIA

EDITORE, AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITA’:Strade AperteSoc. coop. a.R.L.,Via Picardi, 6 - 00197 Roma,www.masci.it

SOMMARIO IN ULTIMA PAGINA

Stati Uniti d’Europa: sfida o utopia ?

GIOVANNI MORELLO

N U M E R O 7 L U G L I O 2 0 1 2 - A N N O 5 4

Ritorna il Dossier. De-dicato all’Europa. Otto voci diverse, e significa-

tive, danno corpo ad una riflessione, che speriamo possa coinvolgere anche i nostri lettori, sull’attuale situazione dell’Unione Europea. In questi mesi siamo stati bersagliati e sommersi da notizie, quasi sempre nega-tive, che richiamavano momenti di crisi e di difficoltà. Siamo diventati tutti esperti, almeno a pa-role, di “mercato”, di spread, di Eurozo-na, di crisi dell’euro e così via. Difficilmente abbiamo letto sulla grande stampa messaggi positivi, che richiamas-sero agli ideali dell’unità europea. Se è vero, come scrive nelle pagine se-guenti Pio Cerocchi, che l’Europa è or-mai nel nostro dna, è altrettanto vero che le continue crisi finanziarie innescate dal-la speculazione internazionale e i tentativi di controbattere gli attacchi all’Euro con manovre finanziarie sempre più centrate su tagli e risparmi, che inesorabilmen-te vanno a colpire le fasce più disagiate della popolazione, sembrano aver mes-so in ombra gli ideali e le spinte ad una unità sempre più effettiva delle nazioni europee. La spinta all’unità dell’Europa ha portato ben ventisette Stati nazionali del cosiddetto Vecchio Continente ad as-sociarsi in una entità sovranazionale che, pur con le sue ombre e le sue luci, è ormai una realtà da cui probabilmente potrem-mo separarci con grande difficoltà. Chi di noi ha superato gli ‘anta, ricorda

come da giovani studenti dalle manife-stazioni per l’italianità di Trieste si passò, talora con lacerazioni ideologiche, a ma-nifestare per una Europa unita. Difficilmente avremmo immaginato allora che, solo dopo pochi decenni, avremmo usato una moneta unica, avremmo viag-giato senza passaporto e senza restrizioni alle frontiere, avremmo potuto dichiarar-ci, ancora purtroppo idealmente, “citta-dini europei”.Oggi ci sono richiesti sacrifici sempre più dolorosi, ma bisogna che questi sacrifici per essere accettati siano accompagnati dal rilancio delle spinte ideali e delle mo-tivazioni per un futuro migliore. E’ quanto suggerisce il convegno, tenu-tosi in questi giorni presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, da parte del Forum delle persone e delle associa-zioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro, significativamente intitolato “Costruiamo gli Stati Uniti d’Europa”. Se è vero che l’unione fa la forza, è altret-tanto vero che l’Europa ha bisogno, sem-pre più, di istituzioni politiche comuni che permettano di conseguire tutti quegli obiettivi che nessuna Nazione separata-mente può raggiungere.

Istituzioni da eleggere democraticamen-te, ma solo dopo un ampio dibattito cul-turale che faccia diventare patrimonio co-mune questa affascinante idea.

Per noi scout, “cercatori di sentieri”, è una sfida che vale la pena di accettare.

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BENVENUTO AL NUOVO ASSISTENTE DEL LAZIO

La Conferenza Episcopale Lazia-le ha ratificato, nei mesi scorsi, la richiesta di nominare come nuo-vo Assistente regionale del Masci per il Lazio fra Paolo Benanti del Terzo Ordine Francescano. Fra Paolo è anche Assistente regionale dell’Agesci Lazio. Riprendiamo alcune righe dalla

presentazione inviata dal Segreta-rio regionale Federico Calcagnini: “Frate di Assisi divide la sua vita fra l’insegnamento, l’Agesci Lazio (di cui è AE regionale) e il Masci Lazio, e probabilmente anche fra altre attività che scopriremo mano a mano che lo conosciamo meglio.Abbiamo già, peraltro, “assaggia-to” Fra Paolo (almeno per quelli che erano presenti a Sala alla Festa di Primavera) durante la celebra-

zione eucaristica. La sua omelia ha rapito il cuore di tutti noi e la S. Messa è stata par-tecipata come poche volte ho visto in vita mia. Si legge in lui una grossa prepara-zione teologica, una bella capacità di rapire gli ascoltatori, una splen-dida preparazione scout… cose che non guastano e che ci rendono preziosa la sua vicinanza per i pros-simi tre anni”.

Masci: Quanti siamo

Vita Associativa

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Carissime e carissimi,

avrei voluto iniziare questo sa-luto parlando di noi ma il cuo-re ed il pensiero non riescono ad abbandonare le immagini dell’Emilia devastata dal sisma.Restiamo sempre increduli di-nanzi alla violenza della natura che distrugge pezzi di storia, di arte e di cultura, reca gravissimi danni al sistema economico e produttivo, e sopratutto colpi-sce le persone negli affetti e nei sentimenti.Da quello che posso capire la gente dell’Emilia Romagna sta reagendo, pur nella paura che continua, con grande dignità e senso di responsabilità.

Lo scautismo ed il guidismo ita-liano faranno ancora una volta la loro parte per portare sollievo alle popolazioni colpite, come hanno fatto a Firenze, nel Beli-ce, in Friuli, in Irpinia, in Um-bria e in Abruzzo.

Proprio pensando alla recente esperienza all’Aquila, dove il MASCI in collaborazione con l’AGESCI è intervenuto nelle tendopoli nella fase successiva alla prima emergenza svolgendo il servizio che gli è proprio di animazione sociale, ed abbiamo visto le altre realtà che si ispirano

allo scautismo intervenire tutte, ognuna per suo conto. Mi chiedo se questa non sia l’oc-casione per un intervento coor-dinato di tutte le realtà associa-tive che si ispirano agli ideali ed al metodo dello scautismo e del guidismo.Certamente esistono tra noi le-

gittime differenze, permangono divisioni che nascono dalla sto-ria, alcune superate col tempo altre non ancora; tuttavia sarebbe bello se da qui partisse l’idea di un progetto che dia testimonianza dell’idea in cui tutti ci riconosciamo che il servizio del prossimo è strada

Il saluto del Presidente agli Scout d’EuropaRICCARDO DELLA ROCCAPresidente Nazionale

Vita Associativa

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Vita Associativa

verso la felicità.Desidero però soprattutto rin-graziarvi per questo vostro in-vito ad essere qui, possiamo considerarlo un momento stori-co, il MASCI non lo considera solo un atto di cortesia, è for-se la prima volta che il MASCI viene invitato ad un’Assemblea della FSE, lo valutiamo come il riconoscimento del valore del-lo “scautismo e guidismo degli adulti”, la condivisione dell’idea dello “scautismo e guidismo per tutta la vita”, riconoscere che oggi di fronte alla sfida educati-va si presenta con particolareurgenza il tema dell’educazione degli adulti. All’interno di questa prospetti-va di “educazione per tutta la vita” io sono sempre più con-vinto che la frontiera dell’edu-cazione degli adulti rappresenti un’importante priorità che tutto lo scoutismo, giovanile ed adul-to, deve assumere responsabil-mente come grande progetto dell’oggi.Va oggi riconsiderata e riin-terpretare profondamente la vecchia ed ormai consuma-ta distinzione tra “adulti nello scoutismo” e “scoutismo degli adulti”.Io sono convinto che è tempo di superare resistenze ed incer-tezze ed assumere responsabil-mente insieme, pur mantenendo ciascuno la propria missione e la propria autonomia organizzati-va ed operativa, una riflessione comune sul tema dell’educazio-ne degli adulti e dello scoutismo per tutta la vita.

Oggi sale sempre più forte dal mondo degli adulti una doman-da, una ansiosa ricerca di senso alla quale forse solo il cammino educativo può dare una risposta, un cammino educativo alimen-tato costantemente anche da una lettura attenta delle attese e delle speranze dei giovani che se correttamente interpretate pos-sono dare la bussola del futuro.Noi vogliamo offrire a tutte le donne e gli uomini del nostro tempo una proposta di educa-zione per adulti basata sui prin-cipi e su metodo dello scautismo e del guidismo.

Ma la rivolgiamo in particolar modo a chi è più vicino all’espe-rienza scout; ai rover ed alle scolte che presa la partenza non scelgono il servizio educati-vo nello scautismo, ai capi che dopo alcuni anni debbono in-terrompere il loro servizio , ai genitori degli scout e delle gui-de, a quanti adulti guardano con interesse alla proposta e all’espe-rienza dello scautismo.

Il nostro Patto Comunitario ini-zia con queste parole:

“Siamo uomini e donne prove-nienti da strade ed esperienze diverse, ma uniti dalla con-vinzione che lo scautismo è una strada di libertà per tutte le sta-gioni della vita e che la felicità è servire gli altri a partire dai più piccoli, deboli ed indifesi.Apparteniamo alla grande fa-miglia dello scautismo e ci ri-conosciamo nei valori espressi dalla Promessa e dalla Legge

scout.

Siamo convinti che la nostra proposta sia valida per ogni persona che non consideri l’età adulta un punto di arrivo, ma voglia continuare a crescere per dare senso alla vita ed operare per un mondo di pace, più libe-ro e più giusto. Per questo motivo ci rivolgiamo a chi vuole continuare a fare educazione permanente con il metodo scout e a testimoniarne i valori e a chi si avvicina per la prima volta allo scautismo da adulto.”

Siamo pronti ad incontrarci con voi in ogni momento per studia-re forme e modi che facilitino questa opportunità.

Desidero infine concludere questo breve saluto rinnovan-do l’invito che ho già rivolto al vostro Presidente ad essere con noi il prossimo ottobre a Saler-no per Piazze, Trivi e Quadrivi a vivere l’esperienza che abbia-mo chiamato “abitare la città dell’uomo”, dove ci fermeremo per riflettere e verificare il senso e la direzione del cammino fatto e di quello da fare, un cammi-no alimentato sempre dall’unica Parola che conta.

In un mondo che oggi appare sempre più disorientato vorrem-mo essere, anche con voi, “segni di speranza”

Vi aspettiamo numerosi a Saler-no.

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Dibattiti

Ringraziamo l’occasione che ci è stata data da Mario Sica per poter portare a tutte le Comunità infor-mazioni utili ad approfondire pro-blematiche che noi, abitanti della Val di Susa, viviamo da ormai tanti anni e che riteniamo interessino si-curamente tutto il territorio nazio-nale. La nostra comunità Masci rappre-senta davvero tutto il territorio al centro della questione, dal mo-mento che noi stessi abitiamo in molti comuni della valle; vi garan-tiamo che in questi anni abbiamo compiuto un lungo cammino, sia di comunità che in forma perso-nale, di informazione sul tema del trasporto alta velocità, soprattutto per quanto riguarda la tratta To-rino–Lione, toccando con mano quanto l’informazione a vari livelli sia stata in più occasione inadegua-ta e/o errata.La nostra valle, e quindi l’Italia, non è, come invece vogliono far credere alcuni, isolata dal resto dell’Europa, per quanto riguarda l’asse dei trasporti est-ovest, per-ché dispone di due statali che rag-giungono due valichi, quello del Moncenisio (aperto solo d’estate) e quello del Monginevro, nonché un’autostrada che con il traforo del Frejus permette di collegare Tori-no con la Francia in un’ora circa, e stessa funzione viene svolta dalla

linea ferroviaria, quella storica del Frejus.Vogliamo precisare che quando si parla di TAV in Val di Susa si in-tende la realizzazione di una mo-derna linea ferroviaria di più di 300 km che da Torino arriva a Lione e che prevede un tunnel di base sot-to la catena alpina di circa 57,3 km (di cui 12 su territorio italiano e i restanti su quello francese), il tut-to equivalente ad almeno 20 anni di cantiere per un totale di circa 25 miliardi di euro (solo per dare un parametro pari a 4 Ponti sullo Stretto e metà di una qualsiasi ma-novra finanziaria degli ultimi anni) destinati, col tempo, a lievitare, come nei migliori appalti all’ ”ita-liana”. Chi contesta non è necessariamen-te a sfavore dello sviluppo del tra-sporto ferroviario tra Italia e Fran-cia, quindi del corridoio europeo, ma considera inutile e costosissimo partire dal realizzare un grande tra-foro sotto le Alpi tralasciando tutto quello che è invece necessario rea-lizzare prima attorno ad esso: nodo ferroviario di Torino, riammoder-namento della linea storica che già consente il traffico delle merci e di 3 coppie di TGV Parigi-Milano al giorno, una politica diversa che disincentivi l’autotrasporto e fa-vorisca un aumento significativo dell’efficienza dei servizi ferrovia-

ri per le merci per non parlare di quello per i passeggeri.

Molte sono le criticità che hanno caratterizzato l’insorgere di un movimento che si oppone all’ope-ra, nato circa vent’anni fa e che nel tempo ha allargato le sue fila acco-gliendo di anno in anno sempre più sostenitori, compresi oltre 200 me-dici di base valsusini, 350 docenti universitari di tutta Italia che scri-vono, scrivono, scrivono da tempo ma purtroppo restano inascoltati e vi assicuriamo non ci sembrano es-sere dei faziosi e violenti anarcoin-surrezionalisti.

Di queste criticità ve ne riportiamo alcune che speriamo riescano con quanto già detto a dare alcune ri-sposte alle osservazioni riportate da Mario Sica, oltre ad offrire a tut-ti reali informazioni da parte di chi vive il territorio nella quotidianità:

• Assenza di un confrontovero e leale con la popolazione. Da quando si parla di TAV in val di Susa, quindi da circa 20 anni, non è mai stato fatto quello che in Francia viene definito “debat public”, cioè un modello e una prassi per la par-tecipazione dei cittadini nella fase di progettazione di queste grandi opere che prevede che le imprese e i suoi manager trattino ogni tema

NO TAVLe ragioni della Comunità della Valsusa in risposta all’articolo di Mario Sica

COMUNITA’ MASCI VALSUSA

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Dibattiti

non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto socio-tecnico: la di-mensione sociale del progetto deve essere integrata nel progetto stesso. Abbiamo dialogato più volte con sindaci che facevano parte dell’Os-servatorio (nato solo dopo anni di contestazioni) e la loro sensazione è stata che questo organismo sia unicamente servito a fingere di cer-care un dialogo, continuando però a non tener conto delle osservazio-ni di molti oppositori, tant’è che oggi nell’Osservatorio siedono sol-tanto i Sindaci favorevoli all’opera. Ci sembra non sia corretto costru-ire consenso e parlare di dialogo in questo modo: ascoltando solo chi ti dà ragione e mettendo alla porta chi dissente.

• Inutilità di fondo e crollodel traffico merci. Le previsioni su cui si era fondato, più di vent’anni fa, il progetto TAV (alta velocità per passeggeri) erano clamorosamente sbagliate e sovra-dimensionate. E’ stato dunque di corsa cambiato il TAV in TAC (alta capacità per le merci). Peccato che anche in questo caso l’errore iniziale di valutazione (vo-luto o casuale, poco importa) è sta-to clamorosamente svelato dai fatti: il traffico complessivo (gomma più rotaia) è in costante e drammatico calo. E non c’è nessuna politica dei tra-sporti che allo stato attuale garan-tisca un passaggio da gomma a ro-taia. Prova ne è che, mentre si progetta una nuova linea ferroviaria, si sta raddoppiando il traforo autostra-dale del Frejus!

Vi garantiamo che questi dati non sono frutto di indagini fazio-se: sono tratti dai primi Quaderni dell’Osservatorio e dall’ing. Ponti, massimo esperto europeo del set-tore, docente alla Cattolica di Mi-lano. Questo mega progetto, oggi come oggi, stride di fronte ad un pae-se fragile come il nostro che deve fare i conti con esigenze e priorità di varia natura (mentre scriviamo nuove scosse di terremoto sconvol-gono l’Emilia Romagna… proprio in zone che non si pensava fossero a rischio sismico …sigh!) e che si vede costretto (perché lo ha pattui-to con l’Europa) a dirottare ingenti risorse su quest’opera i cui vantag-gi saranno veramente appannaggio di pochi e il cui rapporto costi/benefici pende sfavorevolmente sui benefici. Infatti se tutto fosse un beneficio, a che scopo “compensare”? Tutti coloro che in tanti anni han-no contestato la realizzazione di una tale opera hanno ben chiaro che salute, ambiente, memoria, dignità, libertà, futuro apparten-gono alla scala dei valori e delle cose importanti dell’esistenza, che non hanno prezzo e dunque non c’è compensazione che possa pagarli.

La nostra ricerca della verità o me-glio delle tante verità ci ha condotti a riflettere su un nuovo modo di intendere il “progresso”:

• la nostra vuole essereun’opposizione non violenta a una diffusa logica di profitto che si vuole imporre attraverso gli sprechi delle risorse e la distruzione della

natura.• apprezziamo di più poli-tiche che sappiano tutelare, salva-guardare e valorizzare il territorio e il tessuto sociale con particolare attenzione all’ambiente ed alla cul-tura locali.Apprezziamo di più le ‘Piccole Opere’, intese come insieme di in-terventi mirati alla salvaguardia del territorio e dell’economia locale, con il coinvolgimento di imprese sane che operano in relazione con il territorio circostante, e che con-tinuano ad investire in conoscen-za, innovazione, organizzazione e qualità nel pieno rispetto dell’am-biente, della salute dei cittadini e dei diritti dei lavoratori.

Per meglio approfondire poi altre criticità quali l’impatto dei cantie-ri, i danni irreversibili geologici e idrogeologici, i danni irreversibili alla salute, l’illusione sull’occupa-zione, l’insolubilità dei problemi finanziari e molti altri, lanciamo un appello a tutti gli “uomini di buo-na volontà” affinché vi dedichino del tempo, molto tempo per essere maggiormente informati, per far-si un quadro più preciso, per non lasciarsi ingannare da facili slogan, iniziando a consultare la vasta bi-bliografia che invieremo via mail a chiunque la chieda agli indirizzi [email protected] o [email protected].

Soprattutto li invitiamo a trascor-rere un po’ di tempo in Valsusa, ospiti della nostra comunità, maga-ri nell’estate, per approfondire sul campo le perplessità che nutriamo nei confronti di un’opera di tali proporzioni.

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La scelta di Strade Aperte di parlare di Europa è un gesto di coraggio.Quanto sembrano lontani i tempi di Altiero Spinelli, che dal confino di Ventotene nel 1943 nel famoso Manifesto affermava “…E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visio-ne d’insieme tutti i popoli che co-stituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione eu-ropea è l’unica garanzia concepibi-le che i rapporti con i popoli asiatici ed americani possono svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avveni-re, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo…”Quanto sembrano lontani i tempi di De Gasperi che nel 1954 all’As-semblea della Comunità Europea del carbone e dell’acciaio afferma-va solennemente “la nostra patria è l’Europa, .. tutti ugualmente pre-occupati del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa”. Quanto sembrano lontani i tempi di Enrico Berlinguer che rompen-do con la tradizione comunista, affermava nel Congrsso del suo partito nel 1979 “La battaglia per la costruzione di un’ Europa uni-ta per essere vinta..deve costituire una occasione in direzione della democrazia, del progresso e della pace..”Quante cose sono cambiate da al-lora!Oggi esiste l’Unione Europea di

27 stati, c’è un Parlamento Euro-peo eletto a suffragio universale, abbiamo l’Euro come moneta uni-ca dei paesi europei, esistono istitu-ti sopranazionali come la BCE.Eppure mai come oggi il sentimen-to europeo è indebolito, mai come oggi rinascono in modo preoccu-pante sentimenti nazionalistici, se-paratisti ed in ultima analisi egoisti e poco lungimiranti.L’Europa ha subito in questi ul-timi anni il pensiero unico della globalizzazione senza regole e si è ridotta alla pura difesa di un mer-cato finanziario in cui la politica è divenuta subalterna e quindi meno preoccupata del bene comune.

Allo stesso tempo l’irrompere sulla scena mondiale di nuovi protago-nisti ha esposto l’Europa alla pre-vedibile concorrenza di paesi carat-terizzati da bassi salari e da assenza di diritti. Il caso più clamoroso è quello della Cina, ma anche l’India, il Brasile, i paesi emergenti del Sud-Est asia-tico. Questo ha fatto crescere la paura e ogni paese ha pensato a difendere i propri interessi locali: una prospet-tiva miope e senza futuro anche per i paesi più forti.A questo si deve aggiungere l’ir-rompere del problema demografi-co caratterizzato da enormi flussi immigratori che creano problemi e sentimenti nuovi. Tutto questo ha favorito l’affermarsi di nuove for-

me di populismo e di estremismo separatista.Ma il mondo continua a guardare con speranza all’Europa, alla sua cultura, alle sue conquiste, alla sua storia.C’è forse un solo modo per uscire da questa situazione e riuscire così a superare la crisi globale che ci at-tanaglia dal 2008: un salto verso una maggiore unità politica dell’Europa cioè una gene-rosa ma necessaria cessione di so-vranità da parte dei paesi membri, un governo europeo che risponda in primo luogo ad un Parlamento europeo con poteri veri, una co-mune politica sociale, una comune politica economica e fiscale, una comune politica estera, una vera Banca Europea.

Questo non potrà essere solo una responsabilità della politica, ma dovremo pensare a sindacati non più nazionali ma europei, rappre-sentanze delle imprese non più nazionali ma europee, un associa-zionismo di promozione sociale, come il nostro, non più solo nazio-nale ma europeo,..Sarà una transizione lunga, ma ur-gente che occorre avviare immedia-tamente, che richiederà soluzioni audaci e generose, ma soprattutto richiederà il coinvolgimento, la consapevolezza e la responsabilità dei cittadini.Anche noi siamo chiamati a fare la nostra parte.

Europa: utopia o realtà?RICCARDO DELLA ROCCAPresidente Nazionale

Dossier Europa

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Dossier Europa

Scautismo e nuova coscienza europeaIl movimento scout è chiamato a creare un sentimento europeo comune

CARLO BERTUCCI

L’Europa rappresenta da molti anni un

ideale che dovrebbe condurre alla pace

e alla fratellanza di popoli che da secoli

si combattono tra loro.

Tra le macerie fumanti della seconda

guerra mondiale, uomini giusti e lun-

gimiranti, tra cui l’italiano De Gasperi,

cominciarono a tracciare il solco che

doveva scongiurare il pericolo di nuo-

ve guerre sanguinose.

Molti scouts “europei” combattero-

no l’un contro l’altro per difendere la

propria patria.

Quella enorme tragedia ha portato

come conseguenza, per molti anni,

profonde cicatrici nel territorio euro-

peo.

Uno Stato diviso in due (la Germania)

altri che gravitavano in blocchi con-

trapposti sotto l’influenza di potenze

mondiali.

La guerra fredda ha tenuto in tensione

i popoli europei sotto la minaccia di un

possibile olocausto nucleare.

Il cammino verso una coscienza euro-

pea non è stato facile perché le barrie-

re culturali e linguistiche, gli egoismi

nazionali hanno ostacolato per molto

tempo la casa comune europea.

Fino a oggi l’architettura istituzionale

europea ci ha consentito di viaggiare

liberamente, di scambiarci prodotti e

servizi, di avere le stesse leggi su tanti

argomenti, ma non è stata ancora rea-

lizzata una vera unione di solidarietà e

fratellanza.

La crisi economica sta mettendo a

dura prova lo spirito europeo di tanti

cittadini.

Abbiamo paesi ricchi e paesi poveri,

paesi con alto sviluppo economico e

altri che sono pesantemente indebitati,

ma nessun popolo è disposto ad aiuta-

re l’altro in difficoltà.

In Grecia, culla della civiltà europea,

la gente sta soffrendo a causa delle pe-

santi misure per frenare i deficit.

La disoccupazione cresce, i redditi fa-

miliari diminuiscono e la povertà sta

dilagando.

Addirittura un partito che si ispira al

nazismo è entrato in Parlamento.

Cosa sta succedendo ?

Perché aiutarli è così difficile ?

Non è stato facile formare una cittadi-

nanza italiana condivisa e lo è ancora

meno costruire quella europea.

Abbiamo due strade davanti a noi.

Promuovere una integrazione cultu-

rale e politica più forte fondata sulla

solidarietà oppure tornare indietro

a politiche nazionaliste che possono

condurre solo a disastri già visti.

La moneta unica, condivisa con altre

nazioni europee, è stata una occasione

per creare un legame, oltre che econo-

mico, anche culturale.

Ma alcune nazioni europee ancora la

rifiutano, (es. Svezia e Regno Unito),

perché la ritengono contraria all’inte-

resse nazionale. L’Europa delle patrie

non è Europa, ma una costruzione ar-

tificiale destinata a crollare alla prima

scossa.

Lo scautismo deve contribuire a creare

un maggior sentimento europeo.

E’ necessario che scopriamo le altre

radici comuni con altri movimenti na-

zionali scout, cercando di camminare

insieme con la consapevolezza di un

destino comune.

E’ necessario conoscere e promuovere

nel nostro Movimento la conoscenza

delle istituzioni europee.

Ormai tanti problemi non possono più

essere trattati solo con un’ottica nazio-

nale ma è necessario confrontarci con

altri e decidere insieme per il progresso

civile.

Temi come l’immigrazione, lo svilup-

po economico, la giustizia, l’ambiente,

non possono essere più trattati in un

contesto solo locale ma prima di essere

affrontati in un’ottica globale devo-

no essere discusse in un contesto più

prossimo, cioè tra paesi limitrofi e con

la stessa impronta culturale.

Quante volte a fronte di tematiche

globali o di gravi eventi internazionali

come guerre o rivolte, abbiamo visto

gli Stati europei andare in ordine spar-

so, ridicolizzando le istituzioni euro-

pee.

Il cammino sarà lungo e pieno di in-

sidie ma non dobbiamo perdere l’oc-

casione di lasciare ai nostri figli un

progetto condiviso di unione e di fra-

tellanza con i popoli a noi vicini.

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Per le generazioni che navigano ol-tre le colonne d’Ercole dei sessanta anni, il tema dell’Europa appartie-ne alla dimensione intangibile del mito. Chi, ancora in calzoni corti, ha vergato sui fogli protocollo i tanti temi in classe che avevano per ar-gomento l’Europa, prova difficoltà a parametrare quegli ideali vissuti ingenuamente con l’aridità degli indicatori dei mercati e dello spre-ed. Sarà per questa forza evocativa dei ricordi, o sarà per l’amore che ab-biamo nei confronti delle nuove generazioni, più sfortunate delle nostre e che questa crisi penalizza, comunque un dato è certo: l’Eu-ropa anche se ci fa soffrire, non si discute. Essa è nel nostro dna e da un paio di decenni anche in quello delle generazioni più giovani che, senza neppure volerlo, cittadini eu-ropei lo sono già: parlano tra loro e si capiscono, fanno amicizia, fre-quentano le università con gli “era-smus” e gli scambi culturali e, infi-ne, girano le città come se fosse un unico grande territorio senza più confini. Insomma l’Europa gli ap-partiene più ancora di quanto essa non appartenga, invece, alla nostra memoria di tempi lontani.Non credo, dunque, che l’Europa dello spreed sia solo, o soprattutto, una occasione di divisioni. L’idea originaria che prese forza dopo le distruzioni della seconda guerra

mondiale, infatti, va al di là della crisi dei mercati e conserva ancora la sua carica progettuale. Mai, infatti, come adesso, in molti ci troviamo a concordare nell’idea che l’Europa non può essere sol-tanto un mercato. Sono in tanti a credere che occorra restituire a questa istituzione il suo valore ide-ale che la moneta nonostante tutto esprime, ma che da sola, si è visto, non può bastare. Non solo all’Eu-ropa, una impostazione puramen-te monetarista e contabile, infatti, non può bastare neppure alla poli-tica. I conti devono tornare anche sul piano sociale e per farlo occorre ridare spazio agli ideali. Va bene, dunque, fare sacrifici, ma mettendo in evidenza motivazioni importanti sui temi più forti che oggi sfidano il nostro continente.Mi rendo conto che in tempi di tecnici (anche se ormai un po’ in affanno) parlare di ideali può appa-

rire addirittura ambiguo. In nome degli ideali, lo ricordiamo, è avve-nuto di tutto e di più. Eppure la strada che è e resta il no-stro territorio, ci insegna che senza ideali è difficile motivare il cammi-no. E se immaginiamo questa crisi, non solo dei mercati, ma anche politica e morale, come una lunga notte, ecco che potremmo paragonare gli ideali alle stelle che ci orientano verso la meta e ci aiutano nell’in-certezza del buio.E non è banale, soprattutto per chi ha già tanti anni, ricordare quel senso di altruismo e di fraternità che c’è nella legge scout e, dunque, nella nostra antica promessa. Uno dei pochi casi in cui il ricordo non si ferma nei labirinti della no-stalgia, ma è portatore di un valore attuale che chiede a noi di essere realizzato ancora. Nonostante tutto.

L’Europa è ormai nel nostro DNAPIO CEROCCHI

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Quando diventeremo cittadini del mondo?Cittadinanza europea e integrazione degli immigrati. Ancora molte ombre.

ANNA MARIA VOLPE PRIGNANO

All’inizio del secondo millennio tra i paesi che ancora aderiscono allo jus soli puro ( cittadinanza legata al luogo di nascita) trovia-mo gli Stati Uniti, il Canada, la Nuova Zelanda e l’Irlanda. Il Regno Unito e l’Australia, in-vece, hanno abbandonato lo jus soli puro in favore di un regime misto. Lo jus sanguinis (cittadinanza legata alla propria discendenza) nel 2001 risulta il regime più diffuso, essendo applicato nel 69% dei paesi africani, nell’83% dei paesi asiatici e nel 41% dei paesi europei. Il regime misto è particolarmen-te diffuso in Europa, con il 56% dei paesi, compreso il Regno Unito che era originariamente legato al jus soli. D’altra parte, lo jus soli predo-mina ancora nelle Americhe, dove viene applicato nell’89% dei paesi dell’America Latina e nell’intero Nord America, ovve-ro Stati Uniti e Canada.

In Europa il trattato sull’Unio-ne europea ha conferito ad ogni cittadino dell’Unione un diritto fondamentale e personale di cir-colare e di soggiornare, indipen-

dentemente dallo svolgimento di un’attività economica. Il diritto di voto e di eleggibi-lità alle elezioni del Parlamento europeo ed alle elezioni comu-nali nello Stato membro in cui il cittadino risiede, nonché il diritto alla tutela diplomatica e consolare nel territorio di un paese terzo, hanno corroborato, nella pratica, la consapevolezza dell’esistenza effettiva di una cit-tadinanza comune.

Ciò nonostante, a tutt’oggi i cit-tadini europei si trovano ancora a dover affrontare ostacoli veri e propri, di ordine sia pratico che giuridico, al momento di eser-citare il proprio diritto di libera circolazione e di residenza all’in-terno dell’Unione.Le leggi sulla cittadinanza stan-no tuttora subendo ulteriori cambiamenti. In Italia, le più recenti modifi-che, anche se marginali, alla legi-slazione del 1992 hanno indica-to una spinta verso la restrizione ulteriore di norme già rigide. Per esempio, nell’ambito del pacchetto sicurezza, che istitu-isce il reato di clandestinità, è anche previsto un inasprimento

delle condizioni per l’acquisizio-ne della cittadinanza. Ciò rivela un’ostilità all’integra-zione degli immigrati che po-trebbe istigare un’ulteriore radi-calizzazione verso l’esclusione. Questo atteggiamento politico avverso all’immigrazione pur-troppo è largamente diffuso non solo in Italia ma anche negli altri paesi europei. Tale spinta potrebbe essere mi-tigata solo dalla presenza di confini politici largamente sedi-mentati e da stabili istituzioni democratiche, nonchè da una dimostrazione di civiltà e di apertura nei confronti di paesi meno fortunati. Purtroppo spesso una maggiore apertura viene dettata solo da criteri di opportunismo quali il reperimento di forze lavoro che creino una maggiore produtti-vità dove esiste un basso tasso di fertilità e una non volontà di svolgere attività considerate più faticose e meno remunerative.

Finalmente è all’esame del parla-mento la possibilità di sostituire l’interesse legittimo col diritto soggettivo alla cittadinanza.

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Bisogna intendersi su che cosa si vuol dire quando si parla di “cri-si europea”.Crisi economica ? Crisi della religione ? Crisi della famiglia ? Crisi delle identità culturali ? E via elencando.Inoltre la dimensione delle di-verse crisi è spesso percepita a secondo della loro presenza nei media. E questi non sono neutrali. Hanno criteri precisi di funzionamento: commercia-lizzazione, personalizzazione, drammatizzazione della notizia, per es.Un altro fattore che ci fa perce-pire ‘una crisi’ è la velocità dei cambiamenti sociali, generata sia in parte dagli stessi media (in quanto strumenti di comunica-zione veloce), ma anche dalla cresciuta istruzione che rende più partecipi i singoli alla vita sociale, dalla democratizzazione generale della società, dalla pos-sibilità da parte di molti gruppi d’opinione di esercitare la loro influenza, ecc.

Questi elementi comunque vo-gliono spiegare il cambiamento, ma non fondano il criterio di giudizio morale del cambiamen-to. Un conto, cioè, è descrivere situazioni di disagio (perché il

cambiamento di valori in ogni campo genera comunque di-sagio) ed un altro è indicare in quale direzione umanamente positiva dobbiamo dirigerci.Questa è una distinzione mol-to importante: la descrizione (compresa la sua genesi storica) di un processo sociale non è la stessa cosa della sua valutazione morale, cioè basata su criteri di umanizzazione globale.

I cambiamenti degli ultimi de-cenni (o meglio dei due ultimi secoli) ci hanno insegnato che tra i valori che cadono e sorgo-no continuamente è necessario separare quelli che valgono per tutti e (tendenzialmente) per sempre da quelli passeggeri. Tut-ti siamo diventati, io credo, più critici su questo punto e tendia-mo alla obiettività. Cerchiamo cioè di metterci da un punto di vista il più possibile condivisibi-le, anche se diverso dal nostro e del nostro gruppo.Se vogliamo quindi affrontare ‘la crisi europea’ nel suo insie-me, io inizierai dicendo che nel complesso l’Europa non è mai stata così bene. C’è più giusti-zia sociale interna ai singoli stati di qualche decennio di anni fa, più misure collettive di welfare,

più senso della responsabilità per i paesi in via di sviluppo, per l’ambiente circostante, per le generazioni future. Anche la criminalità non sembra (propor-zionatamente) essere aumen-tata. Fenomeni come la droga o la criminalità economica, ci sono sempre stati: solo che ora molte più persone se le possono permettere. I nostri bisnonni e nonni contadini nel loro picco-lo non erano tutti dei ‘Madre Teresa di Calcutta’, come oggi non tutti ragazzi sono drogati o gli operatori finanziari tutti cor-ruttori o corrotti.

Certo: ognuna di queste affer-mazioni, per essere presa sul se-rio, andrebbe verificata empiri-camente. Ma nel complesso non credo di essere molto lontano dalla realtà. Qualche esempio preso a caso. Secondo dati Istat 2011 in Italia gli omicidi volontari denunciati sono in calo: nel 2008 oltre il 30 per cento in meno dal 1991, in particolare quelli per mafia. Anche l’aspettativa di sopravvi-venza alla nascita in Europa è in costante crescita. Ed in Italia il numero degli aborti volontari è negli ultimi 15 anni stabile in-torno ai 130.000 annuali. Cifra

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Crisi europea = crisi dei valori ?I cambiamenti degli ultimi anni hanno insegnato a separare i valori che valgono per tutti da quelli passeggeri. Le comuni radici cristiane.

P. FRANCESCO COMPAGNONI, O.P.Assistente Ecclesiastico Nazionale

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enorme, ma stabile: almeno non peggiora.

Ma allora dov’è ‘sta crisi? C’è crisi nella crescita economica, c’è crisi nel calo delle nascite (gli esperti ci dicono che è segno di non fiducia nel futuro), c’è crisi nell’appartenenza a partiti poli-tici ideologicamente connotati, c’è crisi nella pratica e nell’ap-partenenza religiosa. Ognuna di queste, e probabilmente alcune altre, andrebbero analizzate da esperti e poi sottomessa anche al giudizio etico (del quale quello politico fa parte).

A proposito della crisi religio-sa, ricordiamoci che ‘le radici cristiane delle civiltà europea’ sono negate da non poche per-sone; non credo però che non lo facciano per obiettività storica, quanto piuttosto per scongiu-rare un possibile, futuro ritorno della religione al centro della vita pubblica (cosa che costoro non vogliono assolutamente).Ma non si può negare da un punto di vista strettamente sto-rico che l’Europa sia figlia del cristianesimo, che ha mediato anche valori giudaici e greco-romani. E a partire dall’Illumi-nismo lo sforzo di distaccarsi da queste radici è diventato sempre più forte e prosegue tuttora.L’esempio più classico è l’attuale situazione della religione cristia-na in Francia, paese che realizza una laicità della vita pubblica ra-dicale e che mantiene la Dichia-razione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 come prima parte dei propri testi co-

stituzionali.Eppure 2000 anni di storia la-sciano il segno! Purtroppo, di-ranno alcuni; per fortuna, diran-no altri.Comunque il valore assoluto della persona, l’uguaglianza di dignità di ogni persona, il sen-so di solidarietà verso gli ultimi, l’accettazione dello straniero ecc. non sono solo frutto di uno sviluppo storico indifferenziato. In altri continenti, in altre cul-ture, questi sviluppi moralmente positivi indotti dal cristianesimo non ci sono stati e gli extraeu-ropei li stanno recependo dalla nostra tradizione man mano che

la globalizzazione avanza.Certo le idee sole non fanno la storia: bisogna realizzarle ! E i cristiani nel passato europeo - quando erano la componente ideale fondamentale della socie-tà - non hanno realizzato a fon-do i loro valori ideali !Ma anche qualche cosa lo abbia-mo pur fatto. E speriamo di farlo ancora me-glio in futuro. Ne siamo certi perché siamo portatori di un Messaggio che ha proposto un’altra dimensio-ne alla storia umana: quella del-le Beatitudini e quella del Padre Nostro.

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Al di là della questione, affannosa-mente dibattuta negli ultimi anni, delle comuni radici etiche, cultu-rali e religiose dell’Europa, il tema dell’unità politica del nostro Con-tinente si era posto, fin quasi alla metà del secolo scorso, soltanto in termini di egemonia politica e mi-litare di questo o quello Stato na-zionale.L’esperienza devastante del secon-do conflitto mondiale, con il san-guinoso trionfo dei nazionalismi e lo spettacolo dei potenziali indu-striali e militari di alcuni Stati na-zionali messi al servizio dell’azione omicida di regimi totalitari, come quello nazista, stimola in alcuni ambienti culturali una riflessione esigente, che inizia a superare la tradizionale concezione delle re-lazioni europee come “concerto di Potenze” o come cooperazione intergovernativa, per porre diretta-mente in discussione l’idea di so-vranità (cioè il non riconoscere, da parte della potestà statale, un altro potere a sé superiore nell’ambito del proprio territorio), elemento fondamentale della costruzione e dello sviluppo dello Stato moder-no.Tra il 1941 e il 1943 un gruppo di intellettuali antifascisti (fra cui Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni), confinati dal re-

gime sull’isola di Ventotene, redige infatti un Manifesto che per primo teorizza l’obiettivo politico di per-seguire, al termine delle ostilità, la “riorganizzazione federale dell’Eu-ropa”.“... Occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento - si legge nel Manifesto - che sappia mobilitare tutte le forze per far sor-gere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più in-novatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato fede-rale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eser-citi nazionali, spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dor-sale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mante-nere un ordine comune...”.In altre parole, il movimento fe-deralista, ispirato dal Manifesto di Ventotene, si pone l’obiettivo di costruire gli “Stati Uniti d’Eu-ropa”: sulla falsariga del modello costituzionale nordamericano, gli Stati membri rinuncerebbero alla propria sovranità in favore di un ente federale in grado di gestire le questioni di interesse comune, ed in particolare la difesa, le relazioni internazionali, la moneta, ecc.Nel frattempo, sul piano dell’orga-

nizzazione internazionale e delle relazioni post-belliche, il principio di sovranità subisce ulteriori colpi: con la Carta di San Francisco del 1945 (Statuto delle Nazioni Uni-te) si proclama il divieto dell’uso della forza da parte dello Stato, considerato fino ad allora attributo essenziale della sua sovranità; con-temporaneamente, a Norimberga, gli Alleati vittoriosi sottopongono a processo penale, per gravissimi crimini contro l’umanità, i leaders di uno Stato sovrano sconfitto, la Germania nazista. All’attivismo dei federalisti si con-trappone però, sul piano europeo, un altro approccio, che gode di maggior favore presso molte can-cellerie ed è sostenuto da persona-lità di grande prestigio, come l’ex primo ministro britannico Winston Churchill. Questa posizione, che si definisce “unionista” (o confederalista), ap-pare più orientata a mantenere la sovranità degli Stati e a configurare la cooperazione europea in chiave intergovernativa, come nelle altre organizzazioni internazionali, con rappresentanti vincolati alle istru-zioni degli Stati di provenienza e decisioni prese all’unanimità, per salvaguardare la facoltà dello Stato membro di bloccare azioni comuni non condivise.

A metà del guado.La questione della sovranità come chiave di lettura dello sviluppo dell’integrazione europea e della sua attuale crisi

MATTEO CAPORALE

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Il dissenso fra federalisti e unionisti emerge platealmente in occasione del Congresso europeo dell’Aia del 1948: ciò costituisce un freno im-portante allo sviluppo dei progetti di integrazione politica: le iniziative di cooperazione, attraverso l’istitu-zione di organizzazioni interna-zionali a carattere regionale, van-no invece avanti con l’istituzione dell’Unione Europea Occidentale (1948) e del Consiglio d’Europa (1949).Per uscire dallo stallo un imprendi-tore ed economista francese, Jean Monnet, molto ascoltato dal go-verno francese dell’epoca, inizia a sviluppare i fondamenti di un ap-proccio innovativo all’integrazio-ne, più pragmatico e forse meno ambizioso: questo modo di affron-tare la questione - definito “fun-zionalista” - prevede un approccio graduale che coinvolge singoli set-tori o servizi, per i quali gli Stati contraenti ritengono più efficiente una gestione “sopranazionale”. Così avviene, prima di tutto, con l’istituzione della Comunità Eu-ropea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) nel 1951, nella consa-pevolezza che l’unico modo per scongiurare il ritorno della guerra in Europa sia la messa in comune del carbone tedesco e del suo im-piego siderurgico. E così avviene anche, sei anni dopo, con la Comunità Economica Euro-pea (CEE). Lo stesso pluralismo istituzionale escogitato dagli estensori dei tratta-ti comunitari - con la Commissione organo sopranazionale, deputato esclusivamente all’attuazione del diritto comunitario ed i cui mem-bri sono completamente autonomi

dalle istruzioni degli Stati di pro-venienza, il Parlamento espressio-ne dei popoli della Comunità ed il Consiglio foro di confronto fra gli interessi degli Stati membri - sembra rispondere ad un’esigenza di componimento fra le istanze dei federalisti e quelle degli unionisti. Sennonché l’evoluzione delle Isti-tuzioni comunitarie dal 1957 al Trattato di Lisbona (entrato in vigore a dicembre del 2009), con l’acquisizione di una competenza sempre più ampia da parte degli organi comunitari, e nonostante il progressivo rafforzamento degli elementi “federali” del sistema ( come il ricorso sempre più diffuso al voto a maggioranza, l’elezio-ne diretta - dal 1979 - e i poteri sempre più incisivi del Parlamento europeo, ecc.), non ha eliminato il limite forse più importante del-la natura compromissoria di tutta l’impalcatura comunitaria. E cioè la possibilità rimasta agli Sta-ti membri più forti sotto il profilo politico, economico o diplomatico di imporre agli altri un certo tipo di funzionamento delle Istituzioni e delle politiche comuni, funziona-le al proprio interesse nazionale. Il Compromesso di Lussemburgo, con il quale la Francia del genera-le de Gaulle (tenacemente ostile, nel suo radicato confederalismo, all’Europa dei funzionari e dei commissari “senza patria”) ottiene nel 1966, al termine di un dramma-tico scontro con le Istituzioni co-munitarie, la sostanziale estensione della decisione all’unanimità anche alle questioni per le quali i Tratta-ti europei prevedevano un voto a maggioranza, con l’obiettivo di difendere un interesse nazionale ri-

tenuto fondamentale, cioè la difesa della produzione agricola francese, costituisce un esempio emblemati-co di questa contraddizione. La rinuncia a porzioni sempre più ampie della sovranità nazionale ( come la moneta, la disciplina fi-nanziaria e di bilancio, la politica economica), in particolare a partire dalla realizzazione piena dell’Unio-ne economica e monetaria, con l’entrata in circolazione dell’euro (2002), e l’irreversibilità di tali ri-nunce, tipica di un sistema fede-rale (non ci sono infatti, ad esem-pio, strumenti “legali” per uscire dall’euro) rendono ancora più for-te la contraddizione con la contem-poranea situazione per la quale, in un contesto di crisi finanziaria, uno Stato membro economicamente dominante, come la Germania, im-pone di fatto agli altri Stati membri una interpretazione della disciplina di bilancio - improntata al massi-mo rigore - per considerazioni più improntate alla tutela del proprio interesse nazionale che al persegui-mento del bene comune.Per questo ci troviamo oggi “a metà del guado”: o si va avanti, verso una piena integrazione fede-rale, con la messa in comune di tut-ti i debiti degli Stati e la nascita di una reale autorità politica, dotata di piena legittimazione democrati-ca, alla guida dell’Unione, oppure è indispensabile tornare indietro, verso il recupero di alcuni, fonda-mentali elementi della sovranità statale.Sulla soluzione di questa impasse si gioca non soltanto lo sbocco del-la crisi attuale, ma anche il volto dell’Europa che vedranno i nostri figli e i nostri nipoti.

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L’Unione Europea (UE) non è facile da comprendere. Infatti essa, dal primo nucleo della Co-munità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) del 1951 si è andata costituendo progressi-vamente in un processo di oltre 60 anni, quasi per sedimentazio-ne progressiva, attraverso succes-sivi vertici di Capi di Governo e trattati internazionali (ben cin-que tra l’Atto Unico del 1986 e il trattato di Lisbona del 2007) fino ad assumere la fisionomia odierna, certo non definitiva. Questo complesso processo – che è andato di pari passo con l’allargamento dai sei membri originari, a 9, poi 10, poi 12, poi 15, poi 25 ed oggi 27 mem-bri – non ha prodotto un corpo omogeneo di strutture, ma un insieme di organi che hanno vi-sto modificare nel tempo le pro-prie competenze, i propri equi-libri di potere e i propri rapporti reciproci.A causa di questo suo processo formativo, inoltre – ma anche delle gelosie tra i suoi membri – l’UE non ha una sua capitale, o per meglio dire ne ha troppe: i suoi principali organi sono spar-pagliati tra Bruxelles (Commis-sione, Consiglio, Commissioni del Parlamento Europeo), Stra-

sburgo (plenaria del Parlamento Europeo), Lussemburgo (Corte di Giustizia e Segretariato del Parlamento Europeo) e Fran-coforte (Banca Centrale Euro-pea). Almeno, l’UE ha saputo dotarsi di una bandiera (dodici stelle d’oro su fondo blu) e di un inno (l’Inno alla gioia di Be-ethoven).Si aggiunga un’altra caratteri-stica dell’UE. Diversamente da tutti gli Stati democratici euro-pei, l’Unione non funziona in base al classico principio della se-parazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), ma in base ad una loro compenetra-zione. Soprattutto i poteri legi-slativo ed esecutivo coesistono, come vedremo, in vari organi: ad esempio, nel processo di for-mazione delle norme europee intervengono la Commissione, il Consiglio e il Parlamento Euro-peo. Questo schema decisionale rende i procedimenti farraginosi e, per i non iniziati, terribilmen-te oscuri. Esso ha anche fatto parlare, a più riprese, di un defi-cit democratico dell’Unione.Eppure cercare di comprendere l’UE, il suo funzionamento, le sue norme, è importante, per il suo significato ideale e per l’enorme ruolo che l’Unione

e le sue normative hanno oggi nella vita di tutti noi.Vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza, sia pure per sommi capi.Gli organi principali dell’Unio-ne sono sette: 1. Commissione; 2. Consiglio; 3. Consiglio Eu-ropeo; 4. Parlamento Europeo; 5. Corte di Giustizia; 6. Corte dei Conti; 7. Banca Centrale Europea. Mi soffermerò soprat-tutto sui primi quattro: gli altri tre organi hanno competenze specifiche più circoscritte e facili da intendere.

Commissione. È l’organo che più di tutti assomiglia a un go-verno europeo. Però non è un vero esecutivo, senza per questo essere un’accolta di alti burocra-ti. È composta da 27 membri (oggi uno per Stato membro: ma il numero dovrebbe restrin-gersi in futuro: e comunque ciascun Commissario serve gli interessi dell’Unione nel suo in-sieme, e non rappresenta affatto il proprio paese). È l’organo più sovranazionale dell’UE (e per questo alcuni la criticano come un organo burocratico non elet-to dal popolo), ma i suoi pote-ri sono circoscritti a specifiche funzioni.

L’Unione Europea oggi:istituzioni e ruoliConoscere da vicino le istituzioni europee ed il loro funzionamento

MARIO SICA

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Ogni Commsario è indicato da un paese membro proposto dal Presidente della Commissione all’approvazione del Parlamento Europeo. Figura chiave della Commissione è il suo Presidente (attualmente il portoghese Jose Manuel Bar-roso, che è al suo secondo man-dato), che non è un primus in-ter pares. Infatti è nominato con una procedura speciale (propo-sta da parte del Consiglio Euro-peo a maggioranza qualificata, approvazione a maggioranza da parte del Parlamento), è lui a definire le linee strategiche della Commissione, e può destituire qualunque Commissario con una semplice comunicazione.L’intera Commissione poi rice-ve un voto di fiducia da parte dell’intero Parlamento euro-peo.Cosa fa la Commissione?La Commissione ha anzitutto – e solo essa – l’iniziativa legi-slativa (vedremo qui sotto i vari tipi di norme europee). Se non c’è una proposta della Commis-sione, l’UE non può approvare alcuna norma.Ha poi funzioni di controllo dell’applicazione delle norma-tive e politiche dell’UE nei vari paesi. A questo proposito va notato che, curiosamente, i pa-esi euroscettici (Gran Bretagna, Danimarca ecc.) sono in prima linea per l’applicazione delle di-rettive e politiche comunitarie, mentre l’Italia – paese che passa per filo-europeista – è stata ed in parte è ancora fanalino di coda.La Commissione si pronuncia

anche sull’adesione dei nuo-vi membri all’UE in forma con-sultiva, ma importante, perché è essa a condurre i negoziati sui vari tavoli tecnici.Infine la Commissione ha tra i suoi Vicepresidenti una figura speciale, di nuova istituzione, che è quella dell’Alto Rappre-sentante per la politica estera (in sostanza, una specie di Mi-nistro degli Esteri dell’Unione), che presiede anche il Consiglio dei Ministri degli Esteri e dirige anche una specie di embrionale servizio diplomatico europeo, il Servizio di azione esterna (at-tualmente è una signora inglese, Catherine Ashton).

Consiglio. È l’organo intergover-nativo, essendo composto da un ministro per paese membro. Ri-unisce ministri diversi a seconda dei vari argomenti trattati: per le questioni generali, o di relazioni esterne, nuove adesioni, difesa, sicurezza ecc. sono i Ministri degli Esteri (il Consiglio è allo-ra denominato “Consiglio Af-fari Generali”); ma il Consiglio si può riunire anche in versione “economia e finanze” (deno-minato “Ecofin”), “trasporti”, “sanità”, “lavoro e affari sociali” ecc., sempre coi ministri compe-tenti dei vari paesi.Stranamente, pur essendo co-stituito da membri dei vari go-verni, il Consiglio è un organo legislativo. Approva cioè – su proposta, come si è detto, della Commissione – le varie normati-ve europee, e cioè: i regolamen-ti, che hanno valore immediato nei confronti degli Stati membri

e dei singoli cittadini, senza bi-sogno di ratifiche o di leggi na-zionali; le direttive, che devono essere recepite da un’apposita legge di ciascun Stato membro; le decisioni, rivolte a singoli Stati membri, o anche a singole per-sone giuridiche; e infine le rac-comandazioni e i pareri, non vincolanti.Il Consiglio è presieduto a tur-ni semestrali (da gennaio a giu-gno, e da luglio a dicembre) dai vari Stati membri. La presidenza consente al paese che la eserci-ta di avere una certa influenza sull’andamento dell’UE, anche se per un periodo limitato. Inol-tre il paese presidente di turno organizza (ma non presiede più) il Consiglio Europeo semestrale (vedi oltre).Per le decisioni del Consiglio, il principio dell’unanimità è sta-to gradualmente sostituito da quello delle decisioni a maggio-ranza qualificata, espressa con voto ponderato. Così Germa-nia, Francia, Gran Bretagna e Italia hanno 29 voti, Spagna e Polonia 27, e via via a scendere. Su un totale di 345 voti esprimi-bili, la maggioranza qualificata è 255 se si vota su proposta della Commissione; lo stesso è richie-sto negli altri casi, ma i 255 voti devono essere espressi da alme-no i 2/3 degli Stati Membri; in più ogni Stato membro può chiedere che si verifichi se i 255 voti rappresentino almeno il 62% degli abitanti dell’UE. Dopo il 31 ottobre 2014 il sistema sarà semplificato: deve esserci il voto favorevole del 72% degli Stati membri, rappresentanti almeno

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il 65% degli abitanti dell’UE. Su alcune materie – p.es. poli-tica estera, difesa e sicurezza, giustizia, ma anche politica am-bientale e politica sociale, – le decisioni continuano ad essere prese all’unanimità: e viceversa su certe questioni procedurali il voto è a maggioranza semplice degli Stati membri.

Consiglio Europeo. Già dal 1974 venne deciso che i Capi di Stato e di governo tenessero dei vertici semestrali. Queste riunioni sono state istituzionalizzate in un or-gano apposito, che ha il nome di Consiglio Europeo [N.B. Da non confondere con il Consiglio d’Europa, l’organizzazione di Strasburgo fondata nel 1949 e tuttora attiva, sia pure in modo assai meno incisivo dell’UE: questa confusione terminologi-ca è fatta assai spesso dai nostri telegiornali]. Spetta al Consiglio Europeo di esercitare un ruolo propulsivo e decidere gli indirizzi di fondo dell’Unione, magari avviando procedure di revisione dei trat-tati. Ogni concreta decisione peraltro è poi rimessa agli organi comunitari “classici”: Commis-sione, Consiglio, Parlamento.Il Consiglio Europeo è compo-sto dai Capi di Stato (per i pa-esi a regime semipresidenziale, come la Francia) o di governo degli Stati membri, attualmen-te 27, oltre al Presidente della Commissione. Il Consiglio Eu-ropeo si riunisce una volta per semestre, nello Stato che esercita la presidenza di turno. Peraltro, diversamente dal passato, non è

più oggi presieduto dal capo del governo del paese ospitante, ma ha un proprio Presidente, che si aggiunge ai 28 membri suddet-ti, dura in carica 2 anni e mez-zo e non deve ricoprire alcun incarico a livello nazionale. At-tualmente è il belga fiammingo Herman Van Rompuy.Il Consiglio Europeo vota con le stesse maggioranze del Con-siglio.

Parlamento Europeo. Coi suoi 726 membri, il Parlamento Eu-ropeo è la più grande assemblea multinazionale elettiva del mon-do. Dagli iniziali poteri esclusi-vamente consultivi il PE, che si riunisce a Strasburgo per l’as-semblea plenaria e a Bruxelles per le Commissioni, si è venuto evolvendo verso un ruolo deci-samente più incisivo. Partecipa, come si è detto alla procedura di nomina del Presidente e dei componenti della Commissio-ne, ed ha il potere di censurar-ne l’operato (potere mai uti-lizzato finora). Il PE funziona con grandi gruppi parlamentari transnazionali: socialdemocrati-co, popolare ecc.Nel campo più propriamente le-gislativo, il Parlamento non può approvare né abrogare leggi di sua iniziativa, e deboli sono le sue forme di controllo sugli altri organi dell’UE. Peraltro, la sua partecipazione al processo le-gislativo è fortemente cresciuta negli ultimi anni, col passaggio dalla “consultazione” alla “co-decisione”. In altri termini, un atto – tipicamente, regolamen-to o direttiva – proposto dalla

Commissione e approvato dal Consiglio viene poi sottoposto al Parlamento, e, se si tratta di materie quali la libertà di circo-lazione dei lavoratori, la prote-zione dei consumatori, la realiz-zazione del mercato interno, i fondi strutturali e di coesione, o le questioni della cultura, sanità, istruzione e ambiente – quin-di su molte materie di grande importanza per le politiche in-terne dell’Unione – il PE può anche esprimere un voto nega-tivo. In questo caso, esperite alcune complesse procedure di consultazione e conciliazione, se il Parlamento insiste nel suo atteggiamento e Consiglio e Commissione non intendono modificare i contenuti dell’atto, questo decade. Molto incisivi sono pure i poteri del Parlamen-to in materia di approvazione del bilancio dell’UE. In sostanza, il Parlamento dispone, nei casi li-mite ai quali di rado si arriva, di un potere di veto.Il numero dei membri è grosso modo proporzionale alla po-polazione: quindi la Germania, il paese più popoloso, ha 99 membri, Francia, Gran Bretagna e Italia arrivano seconde a pari merito con 72 membri ciascuna, seguono Spagna e Polonia con 50, e via via tutti gli altri. Da no-tare, però, che tradizionalmen-te l’UE ha avuto un occhio di riguardo per i paesi piccoli, che sono sovrarappresentati: basta-no 60.000 voti per eleggere un lussemburghese, ne occorrono 830.000 per eleggere un tede-sco. La legislatura europea dura 5 anni. Non esiste – ed è non

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piccola pecca, sul piano pratico e soprattutto su quello ideale – una legge elettorale europea: ciascun paese elegge la sua por-zione del PE con una sua legge nazionale, necessariamente di-versa. In compenso in quasi tutti i paesi dell’UE sono ammessi al voto per il PE i cittadini di tutti i paesi dell’UE residente nel pa-ese.

Corte di Giustizia. Sarebbe assai lungo esaminarne la composi-zione e il funzionamento. Basti dire che questo organo, che ha la sua sede a Lussemburgo, ha svolto un ruolo fondamentale, seppur generalmente poco noto, per l’integrazione europea, an-zitutto affermando il principio fondamentale, oggi da tutti rico-nosciuto, della prevalenza delle norme europee su quelle nazio-nali, e poi difendendo i diritti dei lavoratori, le pari opportunità uomini-donne, e vari altri diritti fondamentali delle persone.

Mentre la Corte dei Conti, in-caricata di un controllo esterno sulla regolarità e la legalità delle scritture contabili, assolve ad un ruolo del tutto simile a quello delle analoghe strutture nazio-nali, va detto qualcosa di più circa la Banca Centrale Europea (BCE), guidata oggi dall’Italia-no Mario Draghi, uno dei gran-di protagonisti di tutte le azioni volte a cercare di attenuare l’at-tuale crisi economica ed a pre-servare la moneta unica, l’Euro.La BCE gestisce entro limiti precisi la moneta unica: defini-sce le linee generali della politica

monetaria a breve e medio ter-mine, la gestione delle riserve, la fissazione dei tassi di interesse, intervenendo se necessario sulle banche centrali nazionali. Scopo principale della Banca centrale europea è quello di mantene-re sotto controllo l’andamento dei prezzi mantenendo il pote-re d’acquisto nell’area dell’euro. La BCE esercita, infatti, il con-trollo dell’inflazione nell’euro-zona (comprendente attualmen-te 17 paesi sui 27 dell’Unione) badando a contenere, tramite opportune politiche monetarie (controllando la base moneta-ria o fissando i tassi di interesse a breve), il tasso di inflazione di medio periodo a un livello infe-riore (ma tuttavia prossimo) al 2%.Per la gestione dell’Eurosistema è essenziale il lavoro di squadra della BCE con le banche centrali europee, i cui governatori sono presenti nel Consiglio di Dire-zione della BCELa BCE è responsabile delle pro-prie decisioni sia nei confronti del Parlamento europeo che del Consiglio dei ministri: le nomi-ne del Presidente, del vicepre-sidente e degli altri membri del Comitato esecutivo della BCE devono infatti essere approvate da Consiglio e PE e, inoltre, la BCE deve presentare una rela-zione annuale del proprio ope-rato al PE in seduta plenaria.Due parole per finire sul signifi-cato ideale dell’UE.Un primo grande ruolo storico: ha fatto sparire il rischio di guer-ra in Europa. Non ci si riflette mai abbastanza. Due immani

guerre mondiali sono scoppia-te in Europa, per rivalità tra gli Stati Europei. Da quando c’è l’Unione Europea, non solo non ci sono mai state più guerre tra i suoi membri, ma l’idea stessa di una guerra in Europa è divenuta impensabile.Il secondo significato è di stare progressivamente ridimensio-nando e relativizzando gli Stati nazionali, che rinunciando a fet-te di sovranità progressivamen-te si aprono con fiducia gli uni agli altri. La rinuncia degli Stati a battere moneta e la creazione di una moneta unica è un pro-cesso che personalmente credo irreversibile e benefico, anche se attualmente ancora incompleto, giacché una moneta unica (fatto di cui troppo tardi si è preso co-scienza) presuppone una politica economica unica. Gli accordi di Schengen hanno praticamente fatto sparire i caselli di confine in tutta l’Europa occidentale e cen-trale, creando uno spazio unifi-cato in cui i cittadini europei possono muoversi liberamente senza passaporto. C’è oggi una cooperazione senza pari tra le amministrazioni interne, le po-lizie, i sistemi giudiziari dei vari Paesi: settori un tempo gelosa-mente incomunicanti. Poco a poco – con tutte le lentezze, le frenate, i ritorni indietro – si sta creando una cittadinanza euro-pea, che affianca quella nazionale allargando i diritti e le possibilità di ogni persona, mettendo mag-giormente in contatto recipro-co i popoli e, in questo modo, contribuendo potentemente a costruire la pace.

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Enrichetta Beltrame Quattrocchi è tornata alla Casa del Padre PAOLA DAL TOSO

Sabato 16 giugno nella festa del Cuore Immacolato di Maria, è tornata alla Casa del Padre, En-richetta Beltrame Quattrocchi, ultimogenita dei Beati Genitori, Maria e Luigi. Sorella di don Tarcisio e pa-dre Paolino, a lungo impegna-ti come assistenti nell’Asci, Agi ed Agesci, Enrichetta è volata in cielo alla bella età di 98 anni, lei, la figlia che “non doveva nasce-re”.

Infatti, quando la madre, Maria Corsini, si trovò incinta di lei, la gravidanza filò dritta fino al quarto mese, quando avvenne l’imprevisto. Un celebre ginecologo di Roma diede ai coniugi Beltrame Quat-trocchi perentoriamente senza mezzi termini l’aut-aut: interru-zione della gravidanza se si vo-leva “tentare” di salvare “alme-no” la madre dal grave rischio di morte per quei tempi, dovuta a emorragie continue per placenta previa.

A fronte di tali fondati timo-ri, Luigi e Maria incrociarono i loro sguardi impietriti, li punta-rono sul Crocifisso che domina-va la parete e, in totale sintonia di fede, opposero il loro inequi-vocabile “no” per un sì alla vita

di Enrichetta.Don Tarcisio che allora aveva 8 anni, testimoniò: «Il ginecologo, interdetto e di-sorientato, in piedi al capezzale di Maria, si rivolge a nostro pa-dre con una replica ancora più esplicita e impietosa: ‘Ma non si rende conto, avvo-cato, che in questo modo lei si dispone a restar vedovo con tre bambini a cui provvedere?’ [...] Ancora un incrocio di sguardi velati dalle lacrime trattenute a fatica, e senza esitazioni il no ri-

mane no!». A distanza di anni, Enrichetta commentò:

«La risposta negativa data al gi-necologo coinvolgeva quasi più nostro padre che la mamma: le conseguenze, infatti, previste dal medico avrebbero pesato moltissimo sì sulla mamma, che avrebbe sacrificato la sua ancor giovane vita, ma mi pare ancor più su nostro padre, che priva-to della sposa che amava quasi più di se stesso, avrebbe dovuto

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pensare a tirare su i tre piccoli virgulti di 8, 6 e 4 anni».Dopo l’eroico rifiuto dell’abor-to, pronunziato senza esitazioni all’unisono nell’abbandono to-tale e nell’assoluta adesione alla volontà di Dio, i Beati Genitori vennero allietati e sorretti fino all’ultimo istante dalle amorevo-li cure proprio da Enrichetta che vide la luce il 6 aprile 1914.

La piena, totale comunione tra i due cuori di Maria e Luigi si fece più salda che mai: a distanza di tempo quel periodo fu considerato da tutta la fami-glia come una riserva di grazie, tant’è che quando l’ultimogeni-ta ricordava alla mamma le sof-ferenze patite per la sua nascita, Maria la correggeva lodando piuttosto la prodigalità di Dio.Enrichetta, la figlia che non doveva nascere, fu stata molto longeva e sempre lucidissima, testimoniando in innumerevoli occasioni la sua gioia per aver sperimentato gli infiniti doni scaturiti dall’unità d’amore e di fede tra i Beati Genitori, nel loro forte attaccamento al Cristo ed alla Chiesa. In particolare affermò: «La loro vita di coppia è stata caratterizzata da una gara di ri-spetto, di dedizione, di recipro-ca amorevole dipendenza e ub-bidienza, in una comune ricerca del “meglio” dell’altro, a livel-lo eminentemente spirituale, in una sintonia di anime nella quale lo stesso concetto di ubbidienza veniva superato da una trascen-dente esigenza di carità, proiet-tata, da una parte e dall’altra alla

realizzazione di quanto potesse essere di maggior gradimento e di maggior bene per l’altro, anche nell’amorevole esercizio della correzione fraterna, o di sinceramente umile consulta-zione».Consacrata laica a Dio, Enrichet-ta fu stata un richiamo luminoso non solo per i fratelli, don Tar-cisio e padre Paolino, quando i genitori non c’erano più, ma an-che per quanti frequentavano la casa di via Depretis, meta con-tinua di amici, ammiratori, spo-si desiderosi di vivere una più profonda spiritualità coniugale e familiare.

Dopo la beatificazione dei ge-nitori (21 ottobre 2001), accol-se con disponibilità i numerosi inviti provenienti da varie parti d’Italia, a testimoniare la loro santità nella vita familiare. Volle fortemente costituire nel giugno 2010 l’associazione AMARLUI, di cui era presiden-te, per contribuire a far cono-scere a servizio delle famiglie, la spiritualità dei suoi genitori. L’associazione è diffusa con gruppi in 20 diocesi e con con-tatti con una quindicina di paesi all’estero. Enrichetta, docente di Storia dell’arte negli istituti superiori di Roma, si impegnò oltre che nella Croce Rossa, in particola-re nell’ACISJF (l’Associazione Cattolica Internazionale al Ser-vizio della Giovane - Protezione della Giovane) e nella San Vin-cenzo.

Appassionata sostenitrice dei va-

lori della proposta educativa del-lo scautismo cattolico, condivisa dai beati Luigi e Maria fin dal 1916, decise di pronunciare la sua Promessa scout a Lourdes il 5 settembre 2002 ed impegnarsi nella titolarità di Foulard Blanc il 2 ottobre 2003. Luigi e Maria Beltrame Quat-trocchi sono stati proclamati beati da Papa Giovanni Paolo II Domenica 21 Ottobre 2001. È la prima volta in assoluto che nella storia della Chiesa una cop-pia è innalzata all’onore degli al-tari per le sue virtù coniugali e familiari. Anche lo Scautismo cattoli-co italiano ha partecipato a quest’evento del tutto eccezio-nale. perché si tratta dei primi beati Scout italiani:

Luigi e Maria Beltrame Quat-trocchi, ed in modo specialis-simo Luigi, furono assai legati allo Scautismo fin dagli inizi. Negli anni in cui l’ASCI muo-veva i primi passi in Italia, i coniugi Beltrame Quattrocchi vollero collaborare agli sviluppi educativi del metodo scout e si impegnarono molto anche per diffonderlo e farlo crescere.

Se a Luigi va riconosciuto un impegno attivo nel servizio scout, non meno rilevante fu quello “indiretto” della mo-glie Maria che si interessò agli sviluppi educativi del metodo scout, prendendo parte a incon-tri, conferenze, corsi, riunioni di famiglia, scrivendo articoli e facendo conoscere la nuova as-sociazione.

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Meditiamo le letture

Conclusa la riflessione sul capitolo di Gio-

vanni che tratta del pane della vita, ritro-

viamo Marco che ci accompagnerà fino alla

fine dell’anno liturgico. Accenno, a volo

d’uccello, ai temi delle domeniche di set-

tembre per dedicare più spazio al capitolo

10 che occupa tutto il mese di ottobre. Si

tratta dell’ultimo viaggio che Gesù compie

per andare a Gerusalemme. In Luca que-

sto viaggio occupa molto più spazio ed è

ben delimitato: 9,51 – 19,28. Si tratta di

un viaggio certamente geografico, ma, al-

trettanto certamente, anche metaforico.

Lo possiamo leggere come risposta alla

domanda: Chi è il discepolo? Il discepolo

è uno che segue Gesù sulla strada verso

Gerusalemme. Nella domenica XXII in-

contriamo una delle tante polemiche con i

maestri della legge: Trascurando il coman-

damento di Dio, voi osservate la tradizio-

ne degli uomini (7,8). Noi oggi siamo più

bravi? Marco, fedele all’uso di raccontare

pochi discorsi e molti fatti, ha presenta-

to molti miracoli. Nella domenica XXIII

leggiamo la guarigione di un sordomuto.

Ricordiamoci di cercare l’aspetto didattico

dei miracoli. Questo addirittura è diventato

parte del rito del battesimo! … gli pose le

dita negli orecchi e con la saliva gli toccò

la lingua; guardando quindi verso il cielo,

emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè:

«Apriti!». E subito gli si aprirono gli orec-

chi, si sciolse il nodo della sua lingua e par-

lava correttamente. E … pieni di stupore,

dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udi-

re i sordi e fa parlare i muti!». (7,33-36).

Il brano della domenica XXIV è di grande

importanza. Leggetelo per intero e medi-

tatelo (8,27-35). Contiene quel passo che,

introducendo Marco in gennaio o febbraio,

forse ho chiamato “cerniera”. Chi è Gesù?

Qui una prima parziale risposta. «Ma voi,

chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu

sei il Cristo». Poi il brano prosegue con il

primo dei tre annunci della passione che

tutti i Sinottici riportano e con la reazione

negativa di Pietro. Conclusione: Convocata

la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro:

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rin-

neghi se stesso, prenda la sua croce e mi se-

gua. Questo versetto ci introduce bene alla

lettura del capitolo 10. Rimandiamo a que-

sto il testo della domenica XXV. Il viaggio:

9,33: Giunsero a Cafàrnao. 10,1: Parti-

to di là, venne nella regione della Giudea

e al di là del fiume Giordano. 17: Mentre

andava per la strada, … 32: Mentre erano

sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù

camminava davanti a loro ed essi erano sgo-

menti; coloro che lo seguivano erano im-

pauriti. 46: E giunsero a Gerico. E mentre

partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli

e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo,

che era cieco, sedeva lungo la strada a men-

dicare. … E subito il cieco Bartimeo vide di

nuovo e lo seguiva lungo la strada. Leggete

per intero il racconto e contate quante vol-

te si incontra la parola “strada”. Più di una

volta mi sono servito di Marco 10 come

filo conduttore di qualche CFA. La prima

volta, credo, nel ’79 in Campania lungo la

Costiera Amalfitana. La nostra vita è stra-

da. Viviamola come un cammino insieme

con Gesù per diventare suoi discepoli, cioè

cristiani. Prendiamo come guida il capitolo

decimo del vange¬lo secondo Marco.

Gesù è in cammino per il suo viaggio de-

finitivo verso Gerusalemme dove lo atten-

dono morte e risurrezione. Ha chiamato

ad accompagnarlo i suoi discepoli. Chiama

a seguirlo tutti noi. Ci si fanno incontro

tre ostacoli e ci si propongono tre mete.

L’amore, l’amore di coppia va vissuto come

donazione totale e permanente: domenica

XXVII, versetti 2-12. Alcuni farisei si avvi-

cinarono e, per metterlo alla prova, gli do-

mandavano se è lecito a un marito ripudiare

la propria moglie. Per gli ebrei il divorzio,

secondo la legge di Mosè, era lecito. La di-

scussione in realtà verteva sulle motivazioni

che lo rendevano lecito. Gesù va al di là.

Non c’è leg¬ge che possa far nascere l’amo-

re o farlo risuscitare, quand’è morto. Soltan-

to il ritorno alla fonte dell’amore, al gesto

creatore di Dio, offre all’uomo a alla donna

la possibilità di realizzarsi nel recipro¬co

impegno di amore. Vi ricordate qual è il

progetto originale di Dio nei capitoli 1 e 2

della Genesi? Dall’inizio della creazione li

fece maschio e femmina; per questo l’uomo

lascerà suo padre e sua madre e si unirà a

sua moglie e i due diventeranno una carne

sola. Così non sono più due, ma una sola

carne. Dunque l’uomo non divida quello

che Dio ha congiunto. Un solo uomo e

una sola donna per tutta la vita! Questo è

il progetto di Dio. La ricchezza, il denaro:

non benedizione di Dio, ma ostacolo quasi

insormontabile: domenica XXVIII, 17-27.

Mentre andava per la strada, un tale gli corse

incontro e, gettandosi in ginocchio davanti

La nostra vita è stradaLeggendo le Scritture troviamo continuamente la parola “strada”. Seguiamo Gesù sulla strada verso Gerusalemme.

DON LUCIO GRIDELLI

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STRADE APERTE22

Meditiamo le letture

a lui, gli domandò: «Maestro buono, che

cosa devo fare per avere in eredità la vita

eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami

buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.

Tu conosci i comandamenti: Non uccide-

re, non commettere adulterio, non ruba-

re, non testimoniare il falso, non frodare,

onora tuo padre e tua madre». Egli allora

gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho

osservate fin dalla mia giovinezza». Allora

Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e

gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, ven-

di quello che hai e dallo ai poveri, e avrai

un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a

queste parole egli si fece scuro in volto e se

ne andò rattristato; possedeva infatti molti

beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno,

disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile,

per quelli che possiedono ricchezze, entra-

re nel regno di Dio!». Non mettiamoci a

disquisire su cosa dobbiamo “vendere”! Da

tutto il vangelo è chiaro che c’è da fare una

scelta di fondo tra il Dio del cielo e il dio

di questo mondo, il denaro. Perché non

si può servire a due padroni. Lo afferma

Gesù in Mt 6,24 e Lc 16,13. La misura del

distacco effettivo poi dipende dalle con-

crete situazioni personali. Indispensabile è

lo spirito di povertà (Mt 5,3). L’autorità,

a qualsiasi livello, dall’ambiente familiare

e amicale all’autorità politica al governo

della chiesa, può esser vissuta come potere;

per il discepolo invece va vissuta solo come

servizio: domenica XXIX, 35-45. Prima an-

cora Gesù aveva presentato il modello del

bambino, come essere che non conta, sen-

za importanza e senza prestigio (13-16 e

9,33-37). Nonostante il preannuncio della

passione, i discepoli vivono nell’aspettativa

che Gesù stia per fondare il suo regno. Gia-

como e Giovanni vo¬gliono assicurarsi una

parte direttiva nel regno messianico o una

posizione privilegiata nel paradiso di Gesù

(perché la parola “gloria” indica di solito

la situazione di Gesù dopo il suo ritorno

glorioso alla fine della storia). Gesù sembra

che li rimproveri non tanto per il desiderio

in se stesso, quanto perché tale domanda

manifesta una incomprensione profonda:

la incapacità di riconoscere nel dolore la

via che conduce alla gloria. L’unica condi-

zione per avanzare nel regno del Signore

è lasciarsi coinvolgere nel suo destino di

umiliazione e di sofferenza. Ma Gesù non

si ferma qui. Anche questa volta egli apre

ai suoi pro¬spettive più ampie... Gli altri

dieci s’indignano, ma probabilmente non

sono migliori! Gesù presenta il suo nuovo

progetto di autorità per la chiesa e preci-

sa il significato di certi ruoli in essa. Allora

Gesù li chiamò a sé (i dodici) e disse loro:

«Voi sapete che coloro i quali sono consi-

derati i governanti delle nazioni dominano

su di esse e i loro capi le opprimono. Tra

voi però non è così; a chi vuole diventare

grande tra voi sarà vostro servitore, e chi

vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di

tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non

è venuto per farsi servire, ma per servire e

dare la propria vita in riscatto per molti».

Voi sapete che quel per molti, che ren-

de un’espressione aramaica, significa per

tutti. Sono tanti problemi, ma l’ostacolo

di fondo è unico: la “durezza di cuore”,

Gesù lo dice a proposito del divorzio, ma

ritroviamo questa espressione in contesti

diversi di Marco nei capitoli 3, 6, 8 e 16.

Oh, voi sapete per la psicologia ebraica il

cuore era il centro della personalità; quindi

non solo incapacità di amare ma anche e

soprattutto il non poter capire, il non voler

uscire dai propri schemi, il non accettare

la persona di Gesù così come veramente è.

L’opposto della sklerokardia è la metanoia,

la conversione, il cambiare mentalità, cam-

biare modo di pensare … vino nuovo in

otri nuovi! Son proposte, queste di Gesù,

irrealizzabili? Essi (i discepoli), ancora più

stupiti, dicevano tra loro: E chi può essere

salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia,

disse: «Impossibile agli uomini, ma non a

Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Nel-

la domenica XXX leggiamo la guarigione

del cieco Bartimeo (46-52). Egli, gettato

via il suo mantello, balzò in piedi e venne

da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa

vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli ri-

spose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha sal-

vato». E subito vide di nuovo e lo seguiva

lungo la strada. Il miracolo del cieco è la

risposta con¬creta all’“irrealizzabile?”. Il

dono della vista, la liberazione dalla “skle-

rokardia”, dalla durezza di cuore, viene

solo da Gesù. E il risultato è che il cieco

guarito “segue Ge¬sù sulla strada”, che nel

linguaggio del vangelo significa “diventa

discepolo”. Gli si son riaperti gli aocchi

del corpo e in più ha ricevuto gli ochi del-

la fede! Va verso Gerusalemme come Gesù

e con Gesù, verso morte e risurrezione. E

la nostra parte per ottenere questo dono?

Come il cieco: fede, cioè fiducia in Gesù,

e prontezza … balzò in piedi. Visualizzia-

mo la scena: Mentre erano sulla strada per

salire a Gerusalemme, Gesù camminava da-

vanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro

che lo seguivano erano impauriti. Noi, io,

in quale posizione topografica mi colloco?

Che poi Gesù non fa nulla, almeno in quel

momento, per incoraggiarli. Presi di nuo-

vo in disparte i Dodici, si mise a dire loro

quello che stava per accadergli: «Ecco, noi

saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uo-

mo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e

agli scribi; lo condanneranno a morte e lo

consegneranno ai pagani, lo derideranno,

gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e

lo uccideranno, e dopo tre giorni risorge-

rà». È il terzo annuncio. Alle proteste di

Pietro dopo il primo annuncio (8,31-33)

Gesù aveva risposto con durezza: tu non

pensi secondo Dio, ma secondo gli uomi-

ni. Qual è la nostra logica, quella di Dio

o quella del mondo? È, per conseguenza,

quale Gesù cerchiamo di seguire? Proprio

quello del vangelo? Ulteriori dettagli recu-

perateli voi, domenica per domenica.

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LUGLIO 2012

STRADE APERTE 23

Dalle Regioni

E’ con vera soddisfazione che abbiamo ap-

preso la notizia che, nei giorni scorsi, la base

scout di Vado, nell’Appennino bolognese, è

stata dedicata, dopo importanti lavori di ri-

strutturazione, alla memoria di don Nun-

zio Gandolfi. Riportiamo l’articolo di Medit

che apparirà sul numero 194 di “Esperienze

& Progetti”.

Un centinaio di persone era presente il 26

maggio alla cerimonia con cui è stata ria-

perta la base scout di Vado, nell’Appennino

bolognese. La base è stata dedicata a Don

Annunzio Gandolfi, storico capo, prima, e

assistente ecclesiastico poi, dello Scautismo

bolognese e nazionale, nonché redattore di

E&P. Dopo i discorsi delle autorità civili

e scout e un momento di preghiera e rac-

coglimento sono state scoperte delle lapidi

nel loggiato della casa, fra cui quella che

ricorda Don Nunzio, che vi è ritratto come

“Baffo 001”.

Naturalmente non poteva mancare un mo-

mento di fraternità sapientemente curato e

allestito da un Clan di Bologna. In rappre-

sentanza del Centro Studi ha partecipato

il vice presidente. Nel 1960 lo Scautismo

bolognese era alla ricerca di un luogo dove

poter svolgere le attività tipiche del meto-

do scout: vita all’aria aperta ed avventura.

Fu così che gli scout dell’allora gruppo Asci

Bologna 5, con il fondamentale aiuto dei

genitori dei ragazzi, acquistarono una casa

con annesso terreno sita in località Ruine,

già presente nei catasti storici dal 1700.

Tale immobile fu acquistato per un milio-

ne e mezzo di lire (circa 14.500 odierni)

grazie all’autofinanziamento operato dal

gruppo scout Asci Bologna 5 con anche

l’ampia partecipazione dei genitori dei ra-

gazzi. L’atto di acquisto fu stipulato il 28

gennaio 1964 tra i precedenti proprietari e

quattro capi scout: Augusto Baietti, Bruno

Fogacci, Roberto Galloni, Angelo Bran-

zi che formalmente divennero proprietari

dell’immobile, acquistato per conto del

gruppo Asci Bologna 5°.

L’acquisto fu fatto per un’esigenza ben

precisa: dotare gli scout bolognesi di una

casa, con annesso terreno, per svolgere at-

tività educative secondo il metodo: avven-

tura, campeggio, vita all’aria aperta come

strumenti migliori per lo sviluppo del ca-

rattere e dell’autonomia delle giovani ge-

nerazioni.

Tale era la necessità di spazi adeguati che

già nel 1962 fu fatto il compromesso per

l’acquisto della struttura.

Storicamente l’immobile, e ciò è ancora

evidente dalla sua attuale conformazione,

era adibito a casa di agricoltori con annessa

una piccola stalla / ricovero per animali.

La storia della base non si limita a quella

fatta dalle centinaia di scout che vi sono

passati per le loro attività, infatti la tra-

gedia dell’eccidio di Monte Sole si fece

sentire anche in questo luogo, dove il 29

settembre 1944 venne uccisa dai soldati

tedeschi la famiglia che vi abitava, compo-

sta da madre, padre e figlia. (Si tratta della

famiglia di Eliseo Rubini, ricordata in una

lapide posta ora nel loggiato).

Dopo un periodo di scarso utilizzo la strut-

tura è stata ora magnificamente restaurata

e attrezzata di tutto punto ed è di nuovo a

disposizione dei Gruppi per le loro attività.

La casa è all’interno del Parco Storico di

Monte Sole in una posizione che la rende

adatta sia a uscite con pernottamento che a

tappa durante campi mobili.

•Perinformazioni:

http://www.agescibologna.it/monteso-

le/

•Perprenotazioni:

[email protected],

Tel. 366 4065358.

La Base scout di Vado dedicata a don Nunzio Gandolfi

Page 24: Strade Aperte luglio 2012

Stati Uniti d’Europa: utopia o realtà Giovanni Morello Quanti siamo nel MASCI Nuovo Assistente Regionale del Lazio Il saluto del Presidente agli Scout d’Europa Riccardo Della RoccaNo Tav Comunità Valsusa Dossier: Europa: utopia o realtà? Riccardo Della Rocca Scautismo e nuova coscienza europea Carlo Bertucci L’Europa è ormai nel nostro DNA Pio Cerocchi Quando diventeremo cittadini del mondo Anna Maria Volpe Prignano Crisi europea = crisi dei valori? p. Francesco CompagnoniA metà del guado Matteo Caporale L’Unione Europea oggi: istituzioni e ruoli Mario Sica Enrichetta Beltrame Quattrocchi è tornata alla Casa del PadrePaola Dal Toso La nostra vita è strada d. Lucio Gridelli La base scout di Vado dedicata a don Nunzio MeditControcorrente

Sommario LUGLIO 2012

STRADE APERTE24

I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condivi-dere un futuro di pace fondato su valori comuni.

Consapevole del suo patrimo-nio spirituale e morale, l’Unio-ne si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di so-lidarietà: L’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e cre-ando uno spazio di libertà, sicu-rezza e giustizia.

L’Unione contribuisce al man-tenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispet-to della diversità delle culture e

delle tradizioni dei popoli euro-pei, dell’identità nazionale degli Stati membri e dell’ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibi-le e assicura la libera circolazio-ne delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento.

A tal fine è necessari, rendendoli visibili in una Carta, rafforzare la difesa dei diritti fondamenta-li alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecno-logici.

(Dal Preambolo della: Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea)

STRADE APERTE

N° 7 . Anno 54 Luglio 2012

SCRITTO AL TRIBUNALE DI ROMAAl n°. 6920/59 del 30/05/1959

PERIODICO MENSILE DEL MASCI(MOVIMENTO ADULTI SCOUTCATTOLICI ITALIANI) DI EDUCAZIONEPERMANENTE, PROPOSTA ECONFRONTO

PRESIDENTE NAZIONALE:Riccardo della RoccaSEGRETARIO NAZIONALE:Alberto AlbertiniDIRETTORE RESPONSABILE:Pio CerocchiDIRETTORE:Giovanni MorelloVia Ludovico Micara, 3400165 RomaTel. 06. 68193064Fax 06. 68131673Cell. 320. 5723138 - 339. 6541518e-mail: [email protected]

COLLABORANO IN REDAZIONEGiorgio ArestiCarlo BertucciPaola Busato BertagnolioMatteo CaporaleGaetano CecereCarla CollicelliPaola Dal TosoMaurizio de StefanoRomano ForleoDora GiampaoloMario MaffucciFranco NerbiMario SicaSergio ValzaniaAnna Volpe

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Chiuso in redazione il 2 luglio 2012

QUESTO NUMERO È STATO SPEDITO DALL’ UFFICIO POSTALE DI PADOVA CENTRALE IN DATA

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