Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

16
Speciale Gastronomia S APORI E COLORI DI ALTRI TEMPI Venerdì 30 giugno 2013 di ANTONIO SCOLAMIERO E sistono solo pochi altri posti al mondo dove quando si parla del- la cucina e della gastronomia si può, senza ombra di smentita, parlare di un viaggio nel viaggio. La Sici- lia è uno di questi luoghi. Una cultura ga- stronomica iscritta nella tradizione medi- terranea, e che affonda la sue radici nella notte dei tempi e sfruttando a pieno la contaminazione etnica tra le varie cultu- re e popolazioni che nel corso dei secoli hanno invaso e governato l’Isola. Le tan- te dominazioni hanno, dunque, non solo lasciato monumenti e ruderi a testimo- nianza, ma hanno anche profondamente segnato il paesaggio con le colture intro- dotte e seminato tracce in abitudini e mo- di di vita facilmente riscontrabili ancora ai giorni nostri soprattutto in cucina. Non è possibile parlare di cucina sici- liana come di un’unica entità: le diversi- tà originate dalle differenti influenze cul- turali si sono incrociate con quelle deter- minate dalla diversità tra cucina della co- sta e dell’interno; due mondi ancora lon- tani, ma tra i quali, a causa delle difficol- tà di spostamento, esisteva un tempo un solco profondo. Pensare alla tradizione gastronomica siciliana è allora come im- maginare una tavolozza di colori, tonali- tà forti, accanto a tinte sfumate, un gioco di richiami e di rimandi suggestivi più che decifrabili. Come in tutte le cucine povere è ad esempio ricorrente l’abitudine del piatto unico; le paste di vario tipo e cucinate in modi diversi, arricchite dai prodotti del posto finiscono col diventare l’intero pa- sto. È il caso della pasta con le sarde, piat- to che da Palermo si è diffuso ovunque sull'isola; delle paste con ortaggi e legu- mi dell’interno; delle varie paste al forno quali la pasta ’ncaciata messinese, per giungere alle varianti ricche di echi cultu- rali come la catanese pasta alla Norma (con pomodoro, melanzane e ricotta sala- ta). Prima ancora della pasta è però il pane ad assolvere questa funzione nutritiva. I tanti tipi di pane di cui la Sicilia è ricca si sono sempre accompagnati a quanto la zona offriva, olio, origano e pomodoro per il più diffuso pane cunsato (condito), da consumarsi caldo, appena sfornato al più insolito pane ca’ meusa crostino con la milza venduto sulle bancarelle per le strade di Palermo. La familiarità con i prodotti naturali ed una semplicità di fondo è ciò che an- cor oggi più caratterizza la cucina della parte orientale dell’isola. È facile riscon- trare analogie con la cucina dell’interno segnata da abitudini contadine e caratte- rizzata dall’utilizzo di verdure ed ortaggi. La melanzana ne è un esempio significati- vo, da essa traggono origine piatti appeti- tosi fino a giungere alla sua glorificazio- ne nella parmigiana. I prodotti della pastorizia hanno un po- sto di rilievo, mentre il consumo della carne è un’eccezione spesso riservata alla festa. Senza dimenticare la parte a mare con il pescato che riveste un ruolo princi- pe in alcuni piatti della tradizione che po- trebbero essere annoverati nella tradizio- ne mondiale della cucina. E come non sottolineare l’abbondanza di frutta, aran- ce e agrumi su tutti e per chiudere l’apo- teosi di dolcezza con i dolci tipici. Insom- ma un mondo nel modo che vale una visi- ta sull’Isola più bella del mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

description

articoli sulla sicilia e la sua gastronomia per scoprire il cibo dell'isola.

Transcript of Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Page 1: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Speciale Gastronomia

SAPORI E COLORI DI ALTRI TEMPI

Venerdì 30 giugno 2013

di ANTONIO SCOLAMIERO

E sistono solo pochi altri posti almondo dove quando si parla del-la cucina e della gastronomia sipuò, senza ombra di smentita,

parlare di un viaggio nel viaggio. La Sici-lia è uno di questi luoghi. Una cultura ga-stronomica iscritta nella tradizione medi-terranea, e che affonda la sue radici nellanotte dei tempi e sfruttando a pieno lacontaminazione etnica tra le varie cultu-re e popolazioni che nel corso dei secolihanno invaso e governato l’Isola. Le tan-te dominazioni hanno, dunque, non sololasciato monumenti e ruderi a testimo-nianza, ma hanno anche profondamentesegnato il paesaggio con le colture intro-dotte e seminato tracce in abitudini e mo-di di vita facilmente riscontrabili ancoraai giorni nostri soprattutto in cucina.

Non è possibile parlare di cucina sici-liana come di un’unica entità: le diversi-tà originate dalle differenti influenze cul-turali si sono incrociate con quelle deter-minate dalla diversità tra cucina della co-sta e dell’interno; due mondi ancora lon-tani, ma tra i quali, a causa delle difficol-tà di spostamento, esisteva un tempo unsolco profondo. Pensare alla tradizionegastronomica siciliana è allora come im-maginare una tavolozza di colori, tonali-tà forti, accanto a tinte sfumate, un giocodi richiami e di rimandi suggestivi piùche decifrabili.

Come in tutte le cucine povere è adesempio ricorrente l’abitudine del piattounico; le paste di vario tipo e cucinate inmodi diversi, arricchite dai prodotti delposto finiscono col diventare l’intero pa-sto. È il caso della pasta con le sarde, piat-to che da Palermo si è diffuso ovunque

sull'isola; delle paste con ortaggi e legu-mi dell’interno; delle varie paste al fornoquali la pasta ’ncaciata messinese, pergiungere alle varianti ricche di echi cultu-rali come la catanese pasta alla Norma(con pomodoro, melanzane e ricotta sala-ta).

Prima ancora della pasta è però il panead assolvere questa funzione nutritiva. Itanti tipi di pane di cui la Sicilia è ricca sisono sempre accompagnati a quanto lazona offriva, olio, origano e pomodoroper il più diffuso pane cunsato (condito),da consumarsi caldo, appena sfornato alpiù insolito pane ca’ meusa crostino conla milza venduto sulle bancarelle per lestrade di Palermo.

La familiarità con i prodotti naturalied una semplicità di fondo è ciò che an-cor oggi più caratterizza la cucina dellaparte orientale dell’isola. È facile riscon-

trare analogie con la cucina dell’internosegnata da abitudini contadine e caratte-rizzata dall’utilizzo di verdure ed ortaggi.La melanzana ne è un esempio significati-vo, da essa traggono origine piatti appeti-tosi fino a giungere alla sua glorificazio-ne nella parmigiana.

I prodotti della pastorizia hanno un po-sto di rilievo, mentre il consumo dellacarne è un’eccezione spesso riservata allafesta. Senza dimenticare la parte a marecon il pescato che riveste un ruolo princi-pe in alcuni piatti della tradizione che po-trebbero essere annoverati nella tradizio-ne mondiale della cucina. E come nonsottolineare l’abbondanza di frutta, aran-ce e agrumi su tutti e per chiudere l’apo-teosi di dolcezza con i dolci tipici. Insom-ma un mondo nel modo che vale una visi-ta sull’Isola più bella del mondo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Page 2: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Enoturismo, è boom

L’impiego degli aromi nella preparazione dei piatti

I dati sono eloquenti: il segmento dimercato dell’enoturismo, a differen-za del trend negativo che ormai daanni caratterizza l’industria delle va-

canze italiana, va a gonfie vele. Gli ap-passionati del buon bere si moltiplicanolungo tutto lo stivale, così come glieventi e le manifestazioni dedicate al te-ma. La conferma di tali dati in contro-tendenza è emersa in occasione del con-vegno «Vino, cultura e turismo», orga-nizzato dalla Federazione strade del vi-no e andato in scena a Palermo.

A fornire le interessanti analisi e stati-stiche è stato direttamente Paolo Benve-nuti, direttore di Città del vino: secondole elaborazioni effettuate dall’osservato-rio sul Turismo del vino il mercato delturismo enogastronomico risulta in cre-scita tra il 2011 e il 2012 con un ritmoche si attesta intorno al 12%.

Ed è proprio in tale direzione che,sempre in Sicilia, nasce un nuovo pro-getto in grado di sfruttare al meglio lesinergie tra mondo del turismo ed uni-verso enogastronomico. Si chiama «Sici-ly Tasting Network» l’innovativa rete dipromozione e diffusione del turismoenogastronomico dell’isola, allestita daConfindustria Sicilia Alberghi e Turi-smo, Federazione Strade del Vino e deiSapori di Sicilia, Movimento Turismodel Vino e Enterprise Europe Network.Partners importanti per un’iniziativache si pone l’obiettivo di promuovere leeccellenze dell’agroalimentare sicilianotramite la creazione di pacchetti turisti-

ci ad hoc in grado di regalare ai visitato-ri esperienze polisensoriali indimentica-bili.

Come ha ben spiegato Ornella Laneri,presidente di Confindustria Sicilia Alber-ghi e Turismo, l’intento del progetto «èquello di fare da collettore tra le varierealtà del mondo del turismo e di quelloenogastronomico».

I contorni del progetto sono stati giàdelineati grazie alla stipula di un proto-collo tra tutti gli alberghi aderenti chesaranno chiamati a promuovere e com-mercializzare i prodotti, diventandosnodi di partenza per gli itinerari versole Strade del Vino. Il Movimento Turi-smo del Vino Sicilia si occuperà, invece,di integrare l’offerta con le visite nellecantine e fornirà i contenuti per la co-struzione di package turistici. Enterpri-

se Europe Network, infine, chiuderà ilcerchio creando le basi per l’internazio-nalizzazione delle offerte. Anche PosteItaliane darà il suo contributo, realizzan-do un sito per l’e-commerce di prodottie servizi alberghieri oltre a permettereuna veloce ed economica distribuzionedei prodotti agroalimentari. Prodottiche del resto sono inseriti nella lista delpresidi Slow Food. Per ottenere questocontrassegno identificativo si deve esse-re in linea con i criteri stabiliti dalla Fon-dazione Slow Food per la BiodiversitàOnlus. Più in generale, il Presìdio SlowFood è applicato a prodotti rari ed eccel-lenti a rischio di estinzione, ai gruppi dicontadini, allevatori, pescatori che liproducono, ai disciplinari ed alle regoledi produzione che li contraddistinguo-no. Diverse sono le tipologie prese inesame: cereali, conserve ittiche, derivaticarnei, dolci, erbe e aromi, formaggi,frutta, legumi, mieli, ortaggi, pane, pe-sci, razze e salumi.

Ad oggi la Sicilia ne conta ben 27, ec-co quali. Ortaggi: aglio rosso di Nùbia,cappero di Salina, cipolla di Giarratana.Frutta: limone interdonato, mandarinotardivo di Ciaculli, mandorle di Noto,melone purceddu d'Alcamo, oliva minu-ta, pistacchio di Bronte, susine bianchedi Monreale. Legumi: fagiolo badda diPolizzi, lenticchia di Ustica. Razze: apenera sicula, asino ragusano, capra gir-gentana, razza modicana, suino Nerodei Nebrodi. Pesci: masculina da mag-ghia. Formaggi: maiorchino, provoladei Nebrodi, provola delle Madonie, va-stedda del Belìce. Erbe e aromi: sale ma-rino integrale artigianale di Trapani. Pa-ne: pane nero di Castelvetrano, pane tra-dizionale di Lentini. Dolci: cuddrired-dra di Delia Manna delle Madonie.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

L a fortuna della cucina sicilianadeve molto all'impiego degliaromi locali. I più diffusi sono

il basilico e l’origano, seguiti da allo-ro, rosmarino, salvia, timo, zaffera-no e ruchetta. Inutile dire dell’aglio edella cipolla, padroni assoluti dellacucina siciliana, e dell'immancabileprezzemolo, presente in tutti i piatti.

L’uso dell’olio d’oliva è generaliz-zato, preferito ad ogni altro grasso,mentre la sugna è destinata alla pre-parazione di speciali impasti per fo-cacce o dolciumi. Si preferisce l’usodel sale marino al salgemma; e seproviene dalle saline di Trapani o diVindicari, ancora meglio. Gli antipa-sti non fanno parte della tradizione,e quelli esposti nei ristoranti altronon sono che il companatico o il se-condo piatto — se non l’unico — del-la cucina povera: frittatine, pomodo-ri secchi, olive condite, melanzane,verdure domestiche e selvatiche.

Senza pane in Sicilia non si va a ta-vola, sarebbe inconcepibile. Ogni pa-ese, ogni città vanta decine di quali-tà di pane, diverse per l'impasto, laforma, il tempo di lievitazione o dicottura: ed infiniti sono i nomi che sidanno ai pani per distinguerli gli unidagli altri. Altrettanto numerosi so-no i pani «votivi» o festivi, preparatiappositamente per certe feste patro-nali, con preciso intento di simbolo-gia protettiva. Il siciliano nutre per ilpane un profondo rispetto: se ne ca-de un pezzettino a terra, lo raccogliee reverentemente lo bacia.

Gli spaghetti furono creati per laprima volta in Sicilia; persino il ter-mine «macarones», che origineràquella di «maccheroni» è stato conia-to nell’isola.

Unica regione italiana lambita datre mari, la Sicilia è ricchissima di pe-

sce, amato da tutti gli isolani: ne ven-gono consumate non solo le speciepiù pregiate, ma tutte e ed in ognistagione, con una spiccata preferen-za per sarde e tonni, polipi e triglie.

Carne preferita in assoluto è inve-ce quella suina; seguono i bovini(ma poiché la carne locale è semprestata dura si è inventato il tritacarneper farne polpette e polpettoni), gliovini, il pollame e la cacciagione.Quasi del tutto ignorata la carneequina. Tra le preparazioni risultanopiù numerose quelle che utilizzanole parti meno costose, come le inte-riora: sono nate così alcune speciali-tà estremamente gustose, come il fe-gato nella rete, il cuore ripieno, la ge-latina di maiale, la gamma di piatti abase di trippa, e le animelle. Le ver-dure e i legumi hanno in percentualesurclassato tutti gli altri alimenti nel-la dieta isolana, vuoi per gusto mapiù spesso per necessità: due soli mastraordinari esempi di piatti, la capo-nata e il maccu di favi.

Esistono in Sicilia delle tecnichedi cottura molto originali. Una è lacottura nella cenere: in genere uovache si mettono tra la cenere calda, orocchi di salsiccia avvolti nella cartapaglia da macellaio preventivamentebagnata con vino. C'è poi la cotturanel sale, oggi di moda ma da semprepraticata in Sicilia dal momento chel’isola è stata grande produttrice disale fin dall'antichità: fino agli annicinquanta era sconosciuta al di là del-lo Stretto. Altra specialità è la cotturadelle anguille con la sabbia: le anguil-le vengono ricoperte con sabbia difiume o di mare e poi arrostite sullabrace. Il grasso che cola, insieme allasabbia via via aggiunta, creano unacrosta esterna che a fine cottura vie-ne rimossa e che lascia la carne bian-

ca e ben cotta. Altra tecnica infine,oggi del tutto scomparsa, era quelladella balata di zolfo. Gli zolfatai delNisseno facevano liquefare il minera-le per separarlo dalle scorie; ancoraliquido e caldissimo lo zolfo venivacolato in apposite vasche, dette bala-te, dalle quali poi venivano ricavati ipani di zolfo. Un pollo veniva messodentro la balata, cuoceva all'intensocalore e veniva estratto cotto a punti-no, spaccando il pane di zolfo ormaiindurito.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Sicily Tasting Network»,ecco l’innovativa rete promozionaleper la diffusione del settore

Dettagli

Basilico, origano, aglio e cipollaEcco i «protagonisti» in cucina

Tradizionale alleatodel pomodoro nellacaprese e nei sughiestivi,il basilico fa subitoprofumo di cucina,ci rimanda aun’alimentazionedi tipo mediterraneo,parla italiano ed è ingenere legato a doppiofilo alla pizza. Ma inrealtà il basilico haanche una valenzaerboristica: inparticolare, utilizzandolofresco, si trasforma in unrimedio naturale assaiefficace per tantidisturbi, in particolaredell’apparato digerente.

Le proprietà

Il condimento

I dati in crescita

Il MovimentoTurismo delVino Sicilia sioccuperà diintegrarel’offerta conle visite nellecantine efornirà icontenuti perla costruzionedi packageturistici

L’uso dell’olio d’oliva ègeneralizzato, preferito ad ognialtro grasso, mentre la sugna èdestinata alla preparazione dispeciali impasti per focacce odolciumi

2 Palermo Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 3: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Il Baro.Qu.ecome risorsaL o chiamano il giardino di pietra. È il

sud-est siciliano, un territorio di set-temila chilometri quadrati tra Cata-nia, Siracusa e Ragusa che racchiu-

de millenni di storia e leggenda, di arte ecultura, e centinaia di chiese e palazzi, lecui facciate portano il segno di quello stiletardo Barocco, patrimonio dell’Umanità,che tutto il mondo ci invidia. Una lingua diterra scolpita da sapienti mani artigianeche hanno dato un’anima a semplici pietrediventate tratto distintivo di un territorio:la nera lavica dell’Etna, la giallo-oro degliiblei, la bianca calcarea di Modica e Ragu-sa. Le stesse pietre su cui ancora oggi cre-scono le viti, gli aranceti, i mandorleti, glialberi di pistacchio che colorano un pae-saggio e mescolandosi armoniosamentetra loro danno vita alla migliore culturaenogastronomica siciliana portata in tavo-la. Una terra che esprime anche ottime ma-terie prime nel campo della zootecnia, a co-minciare dal maialino ibleo della storicaChiaramonte Gulfi, il canestrato siciliano oil cosacavaddu degli altipiani Ragusani.

Una preziosa e opulenta eredità che de-ve ancora trasformarsi nella principale ri-sorsa di sviluppo economico dell’interocomprensorio puntando oggi alla valoriz-zazione di migliaia di realtà imprenditoria-li del settore turistico e dell’enogastrono-mia. Ed ecco che partendo da quella risor-sa che è il barocco, la società catanese Civi-ta ha messo a punto il piano formativo Ba-ro.Qu.E, dove le desinenze qualità ed eccel-lenza diventano le parole d’ordine di ogniprocesso di innovazione cui dovrebberoguardare aziende e imprenditori, utilizzan-do i nuovi strumenti della comunicazione,della tecnologia, del web marketing e dellaformazione dei propri dipendenti. Forma-zione che guarda avanti con docenti d’ecce-zione come l’esperta di modelling, la peru-viana Karla Chumpitaz, lo chef CarmeloChiaramonte, che hanno diretto i corsi dicake design e di cucina creativa. Ma ci so-no anche le nuove tecniche di presentazio-ne di una ricercata carta dei migliori vini

siciliani o di un raffinatissimo carrello disalumi e formaggi, con una particolare at-tenzione alla degustazione grazie alla qua-le si può risalire ai luoghi di produzionedei prodotti selezionati.

«Baroque è un progetto in carne e ossache racconta storie d'impresa che fanno ladifferenza in un territorio a vocazione turi-stica come il nostro che possiede ancheuna grande tradizione gastronomica — ri-corda Nanda D'Amore, presidente della so-cietà Civita — con aziende ormai entratenella memoria collettiva, come il Caffè Sici-lia o la trattoria Carmine a Noto e la ciocco-lateria Bonajuto a Modica, avamposti di unpercorso del gusto che ci porta ad Avolacon le specialità alla mandorla, o a Brontee al suo pistacchio».

Al piano BaroQuE (BARO.cco QU.alitàed E.ccellenza), finanziato da Fondimpre-sa, il fondo interprofessionale di Confindu-stria, Cgil, Cisl e Uil, hanno aderito 102aziende del settore turistico-enogastrono-mico, diretto a 554 dipendenti per 2.980ore di lezioni programmate, a cui ha parte-cipato anche il comune di Noto, la primaamministrazione pubblica coinvolta in unpiano formativo. Delle 102 realtà imprendi-toriali 43 sono di Catania, 35 di Siracusa,24 di Ragusa. «La formazione continua èimportantissima soprattutto in Sicilia per-ché, in questo momento particolare, — haaggiunto Nanda d’Amore — può aiutareed incentivare le tantissime piccole azien-de che rappresentano la stragrande mag-gioranza del tessuto produttivo locale Inquest’ottica la formazione professionale di-venta uno degli strumenti più importantiper sviluppare le eccellenze dell'area e crea-re i presupposti per l'integrazione degli al-tri comparti strategici dell'economia».

Letizia Carrara© RIPRODUZIONE RISERVATA

Al progettohanno aderito102 aziendedel settoreturisticoenogastronomico

Territoriodi 7milachilometriquadratiche racchiudemillennidi storia, artee cultura

Il piano formativo

3PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 4: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

MaddalenaMaddalenasrlsrlVIA DANTE, 92 - PALERMO

Tel.: 091.332330

La qualitàoltre il market

S U P E R M E R C A T O

4 Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 5: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Interpreti della tradizione

Al Sale Art cafè di Catania, l’alta qualità dei prodotti è una filosofia di vita

S e non sei siciliano non puoi capire effettiva-mente quale sia il motivo di tanto pathosinstillato in frasi come «appena aperto ilfrigorifero, la vide. La caponatina! Sciavu-

ròsa, colorita, abbondante, riempiva un piattofunnùto, una porzione per almeno quattro pirso-ne. Erano mesi che la cammarera Adelina non glie-la faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, erafresco, accattato nella matinata. Naturali, sponta-nee, gli acchianarono in bocca le note della mar-cia trionfale dell’Aida». Spesso, il noto scrittore si-ciliano Andrea Camilleri utilizza la metafora delcibo quando ha da porre l’accento su un momen-to o un’atmosfera di assoluta passione. Il cibo inte-so come «mémoire», materno e sincero, è alla ba-se della nuova tradizione siciliana, vista e rivistada giovani interpreti della «nouvelle vague».

Pietro D’Agostino interpreta a suo modo l’es-sere — al contempo — un noto chef stellato e ilfiglio naturale della grande tradizione culinaria si-ciliana. Durante l’infanzia rimane ammaliato da-gli odori della cucina di casa, profumata di basili-co, pomodori e melanzane, associati a regola d'ar-te per dar luogo ai magnifici accostamenti (regalodegli arabi che non smetteremo mai di ringrazia-re). «Credo nella magia, quella del piatto, nel suopercorso dalla cucina al tavolo, e sino alla bocca.Dove gli ingredienti esprimono la loro storia es'esaltano per la combinazione con cui la mia fan-tasia ha voluto proporli». Così Pietro descrive ilsuo modo di intendere la cucina del territorio; nelsuo peregrinare in giro per il mondo non si è maiscrollato di dosso i sapori della sua terra, semprericercati e rintracciati in ogni ristorante, dove halavorato, da Londra, a Roma, passando per la Co-sta Rica, la Florida e Torino.

Oggi Pietro ha il suo spazio a Taormina, la«Capinera», e soprattutto il suo menu, all'internodel quale è facile rintracciare spesso la voce «allamia maniera», quasi a voler sottolineare (e ci tie-ne) una paternità e un orgoglio assolutamente si-ciliano. Assaggiare la sua parmigiana dolce èun’esperienza indimenticabile. Anche se l'aspettonon ricorda affatto le «poco estetiche» stratifica-zioni super fritte della nonna, il sapore e l'odorehanno tutto il gusto dei bei ricordi, addirittura diquelli sopiti e atavici di una cucina della lontanan-za, di un mondo perduto e vivo solo nella nostramemoria. La parmigiana di Pietro sembra figlia diprodigiosi alchimisti, piuttosto che di rubicondipasticceri, perché non ci si aspetterebbe mai di

trovare insieme dei gusti all'apparenza tanto di-stanti: la melanzana appena fritta e il cioccolatoamaro, la ricotta dolce e la zuppetta di pomodoro.Malgrado i preconcetti, tutto funziona a meravi-glia, il palato rintraccia positivamente ogni singo-lo tratto della stratificazione, passando in rasse-gna in maniera sincrona la purea di melanzana, laricotta, un pizzico di pomodoro e infine lui, il ma-gnifico cioccolato amaro, posto come custode egarante di un pezzo di storia, non stuprata mapiuttosto esaltata e magnificata.

Un altro piatto simbolo della cucina siciliana èsicuramente la «caponatina», forse è quello piùamato dal commissario Montalbano, quanto da-gli estimatori della grande tradizione isolana. Se-condo gli storici, la definizione di «caponata» deri-verebbe direttamente dal termine capone, epitetosiciliano con il quale si indica la lampuga, un pe-sce pregiato che veniva servito alle tavole più ab-bienti, condito con una salsa agrodolce del tuttosimile a quella usata nell’attuale caponatina; è pro-babile che il popolo, non potendo permettersi diacquistare il costoso pesce, prese a sostituirlo conle più economiche melanzane. Sebbene la capona-tina possa sembrare un piatto «facile», in veritànon lo è affatto, sia l’approccio in cucina che quel-lo a tavola, infatti, seguono regole ben precise tra-mandate di generazione in generazione. Un sotti-le e labile equilibrio tra dolce e salato regola labontà del risultato finale ed è inutile dire che, perrealizzarla, è necessario avere a disposizioneun'ottima materia prima: le melanzane.

Da tempo immemore, la zona del vittoriese è laculla delle migliori coltivazioni orticole e, di con-seguenza, fornitore ufficiale delle tavole mediter-ranee. Vero enfant prodige di questa orticoltura ècertamente Giuseppe Libretti (patron dell’omoni-mo gruppo ortofrutticolo di Vittoria, in provinciadi Ragusa) che, da figlio d’arte, ha ben compresoche una gestione manageriale ottimizzata e mo-derna avrebbe dovuto fare i conti, necessariamen-te, con prodotti evoluti, in grado di offrire qualitàe tradizione gastronomica. Da questa intuizione,nasce la «caponata siciliana» in barattolo, una bla-sfemìa nei termini, una vera rivelazione di gustoin realtà. L’approccio sarebbe da vero agnosta, masuperata la prima forchettata ci si stupisce; le ver-dure hanno un ottimo sapore di fresco, polpose ecroccanti e il famoso «agrodolce» è ben dosato co-me nelle migliori tradizioni.

Non c’è dubbio, il cibo della memoria sta dallaparte della Sicilia e merita odi e inni (come moltecose che la riguardano), dà sapore e un senso divittoria nei confronti della insensatezza insipida einerte delle cose.

Venera Coco© RIPRODUZIONE RISERVATA

S e è vero che la cucina è un’arte al-lora non c’è abbinamento più az-zeccato di quello ideato da Andrea

Graziano, imprenditore poliedrico emecenate del gusto che all’età di 25 an-ni ha lanciato a Catania un nuovo mo-do di intendere la passione per la for-chetta, arrivando dodici anni più tardia realizzare l’ambizioso progetto di pro-porre prodotti di altissima qualità ac-cessibili a tutti.

Il Sale Art Cafè, promotore della rina-scita di quel polo della gastronomia ca-tanese che è diventata a tutti gli effettila zona intorno vico Santa Filomena, adue passi da via Etnea, è un perfettoconnubio tra due passioni: quella per ifornelli scatenatasi sin dal-l’adolescenza a dispetto deisogni di mamma e papà cheimmaginavano per lui unacarriera diversa, forse piùtradizionale, e quella, tra-smessa come un gene eredi-tario, per l’arte. Non è un ca-so se il luogo dove sorge ilSale Art Cafè è lo stesso do-ve era prosperata per ben25 anni la galleria d’arte ge-stita dai genitori. E l’aria difamiglia si respira pure nelnome del ristorante, unomaggio alle saline in queldi Siracusa di cui si occupa-vano i nonni.

Dall’inaugurazione nel2002, il Sale Art Cafè è riuscito ad im-porsi nel panorama gastronomico cata-nese, divenendo un sicuro punto di ri-ferimento per gli amanti della gastro-nomia raffinata e di qualità in Sicilia enon solo tanto che gli appassionati diturismo enogastronomico annotano ilsuo indirizzo come una tappa imman-cabile nei loro tour sull'Isola. Il suo se-greto? Va ricercato nella ricerca di pro-dotti di altissima qualità e di tradizionirivisitate in chiave moderna che han-no decretato il successo della formula.«I primi tempi al Sale sono stati duri

— spiega l’imprenditore catanese —L'innovazione nella cucina non era an-cora molto apprezzata. Ma col tempo ilSale è diventato un modello da segui-re, una finestra sull’alta gastronomia si-ciliana. Abbiamo ospitato grandissimichef che hanno partecipato agli eventiorganizzati all'interno del locale e fuo-ri, culminati nel 2012 in una grandemanifestazione a Parigi che ha coinvol-to i nostri produttori d’eccellenza: è sta-to un successo».

Andrea Graziano, oggi 37enne conun bagaglio di esperienze culinarie ingiro per l’Europa, ha fatto della ricercail suo marchio di fabbrica che nel 2012ha trovato la sua massima espressione

in Fud, «una bottega siculadei sapori» ma soprattuttoun brand che riunisce le «cre-azioni» dei migliori produt-tori attivi in Sicilia e in Italiacon i quali il lungimiranteimprenditore ha stretto rap-porti di collaborazione sinda tempi non sospetti.

Fud è un centro di raccol-ta delle competenze acquisi-te in dodici anni di lavoro.Uno spazio informale, con-temporaneo che si proponedi offrire l’altissima qualità aprezzi accessibili. «Abbiamolanciato l’idea di tornare aicibi semplici, da strada, conpoca cucina ma grande atten-

zione alla qualità — sottolinea Grazia-no — Da noi si trovano carni seleziona-te, prodotti caseari e insaccati che so-no il top dell’espressione siciliana diqualità. In più, ed è questa un’idea acui lavoravamo da tempo, c'è il mar-chio Fud, una linea di prodotti che è lasintesi delle professionalità con cui col-laboro sin dall'inizio, caratterizzata dauna grafica essenziale, senza etichettee definizioni, perché il prodotto si pre-senta da solo».

Clelia Coppone© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il focus La pregiata razza «rinata» negli ultimi anni

Rigide regole miste all’innovazione,ecco gli chef che portano nel mondoi sapori e la cultura gastronomica siciliana

Il maiale nero sicilia è conosciuto anchecome suino nero dei Nebrodi o nero delle Ma-donie. È una razza autoctona siciliana di ori-gini antichissime. Suini rustici, di colore ne-ro, quasi selvatici, allevati nelle zone boscosedell'isola, sono presenti in Sicilia fin dai tem-pi più lontani. Resti fossili e antichi docu-menti scritti testimoniano la presenza di que-sti animali fin dal periodo greco e cartagine-se (VII-VI secolo a.C.). Durante tutto il Medio-evo era diffuso in Sicilia l'allevamento brado,che subì una contrazione solamente durantela dominazione araba per le note motivazio-ni di ordine religioso. Questa razze è arrivatafino ai giorni nostr, con una diffusione in tut-ta l'isola ma con una maggiore presenza suiMonti Nebrodi. Già ai primi del Novecentoc’era solo il ricordo dei grandi branchi di sui-ni al pascolo. Nello stesso periodo si era dif-fuso l'incrocio con altre razze migliorate cheavevano provocato una forte riduzione delsuino nero e una diffusione di soggetti conpezzature bianche o completamente bianchi.Un altro fattore che ha determinato la ridu-zione del suino Nero Siciliano è stata la gra-duale scomparsa dei boschi che anticamente

coprivano buona parte dei rilievi siciliani. Ne-gli ultimi anni c'è stata una decisa ripresa del-l'allevamento di questa razza, sulla quale so-no stati effettuati studi mirati alla valorizza-zione delle sue produzioni. Il Nero Sicilianoè attualmente una razza ufficialmente ricono-sciuta e dotata di registro anagrafico.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il maiale nero dei Nebrodi

Quando il successo è una questione di gusto

Sopra, lo chef stellato Pietro D’Agostino all’opera. Adestra, la caponata, piatto tipico della tradizione einfine, sotto, la parmigiana dolce

In cucina

Un branco di suini neri in un allevamento

Il focus

5PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 6: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Avveniristico progetto di una ricercatrice catanese

Il prodotto siciliano più apprezzatoe conosciuto in Italia e nel mondoUn consorzio ne tutela la qualità

C ’è anche un team siciliano tra iprotagonisti di Changemakers, ilprogramma di accelerazione

d’impresa promosso da Telecom Italiae Expo Milano 2015 con l’obiettivo dicambiare la vita di 10 milioni di perso-ne. Uno dei progetti — Orange Fiberideato da quattro giovani catanesi —fa parte infatti delle 10 migliori idee se-lezionate a livello nazionale per esseresviluppate e trasformate in potenzialistartup sostenibili e innovative. Oran-ge Fiber è un progetto di moda «socia-le» che, attraverso l’utilizzo delle nano-tecnologie, punta a trasformare gliscarti di agrumi in materie prime tessi-li e abiti in grado di rilasciare vitaminea contatto con la pelle, realizzati dadonne in difficoltà e persone svantag-giate. Ideato da Adriana Santanocito,designer 35enne, e da Enrica Arena,27enne professionista della comunica-zione, il progetto si avvale anche delleprofessionalità di Stefania Cauzo,27enne laureata in economia azienda-le, e di Manfredi Grimaldi, 32 anni,esperto di economia agroalimentare.L’intuizione di un tessuto fatto con learance che rilasci vitamine al contattocon la pelle piace. Prima un premio dal-la provincia di Milano, poi l’arrivo infinale alla business plan competitionStart cup Lombardia, infine l’assegna-zione del premio «dall’idea all’impresa»di Assolombarda. Nel giro di un anno,Adriana Santanocito, catanese, 35 an-ni, ha visto Orange fiber — la sua ideaprofessionale di moda ecosostenibile— ottenere un riconoscimento dopol’altro. Si è trasferita da Catania a Mila-no poco più di quattro anni fa, per ini-ziare a studiare per diventare fashiondesigner. Al momento di pensare allatesi finale, «avevo una gran voglia dimettere in piedi qualcosa di nuovo». Ecosì ha fatto. «Ho sempre trovato mol-to interessante lo studio dei materiali epartivo dal presupposto che il mioobiettivo fosse creare un nuovo tessu-to, che derivasse dalla parte biodegra-

dabile di sostanze biologiche vegetali:sono siciliana, la prima cosa che m’èvenuta in mente è stata un’arancia».Santanocito ha progettato una collezio-ne, in vendita a partire dal 2013, com-posta da 10 abiti, tutti fatti di una stof-fa creata a partire dagli scarti dell’indu-stria agrumicola siciliana. «Ho cercatoun collegamento tra la mia terra e il la-voro». Con Enrica Arena, 26 anni, laure-ata in Cooperazione internazionale,Adriana Santanocito ha costruito unasquadra legata dalla fiducia. «È un’ami-ca di sempre e mi piaceva l’idea che po-tesse dare un valore aggiunto al proget-to con la sua professionalità – spiega lastilista – perché non si può pensare dilavorare solo in Italia». Insieme a lei, econ l’aiuto del Politecnico di Milano,Orange fiber è diventato un progettodi ricerca prima e imprenditoriale poi,con un brevetto adesso in attesa di ap-provazione». «Le arance hanno perlo-più tre destinazioni: la vendita diretta,la lavorazione a scopo alimentare equella a scopo cosmetico. Tutte questefinalità producono scarti», affermaSantanocito. A quelli, si aggiungono ifrutti che non vengono usati perchénon idonei per il mercato alimentare.A causa, per esempio, di bucce troppospesse, colorito non uniforme o imper-fezioni dovute agli agenti climatici. Avederlo fa impressione, ma ci sono tap-peti di arance che vengono buttate per-ché non se ne può fare nulla». Orangefiber prende gli scarti e li trasforma incapi d'abbigliamento. «Estraiamo cellu-losa buona per essere filata, e il proces-so per farlo è sostenibile — precisa —Non abusiamo di materie prime né in-tacchiamo prodotti alimentari». Il valo-re aggiunto, poi, è anche un altro: «Lenanotecnologie ci hanno permesso diapplicare nei vestiti delle microcapsuleche, a contatto con la pelle, rilascianovitamine A, C ed E, quindi danno un be-neficio reale e visibile all’utente».

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Q uando si parla di Sicilia è quasiautomatico associare l’isola an-che al suo prodotto principe:l’arancia. Un frutto conosciuto e

apprezzato in tutto il mondo. Tre le prin-cipali qualità: il Tarocco. Questa qualità— si legge nel sito del consorzio che rac-coglie i produttori di arance rosse sicilia-ne Igp — si pensa nasca da una mutazio-ne gemmaria del comune Sanguinelloscoperta in un agrumeto di Francofontetra otto e novecento. La maturazione neiterreni in collina e meglio esposti inizia ametà di dicembre e termina, nelle areetardive, verso metà maggio. I frutti sonodi grosso calibro con forma sferica ten-dente all’ovoidale. Questa varietà si di-stingue inoltre per il cosiddetto collare o«muso», più o meno prominente. Il colo-re della buccia è giallo-arancio, arrossa-to su metà della superficie. La polpa, pri-va di semi, è giallo arancio, con pigmen-tazioni rossastre più o meno intense a se-conda del momento di raccolta, media-mente succosa e di sapore eccellente. So-no ammessi alla coltivazione i seguenticloni: Tarocco cumone, Tarocco Galice,Tarocco gallo, Tarocco del muso, Taroc-co nucellare 57-1E-1 e 61-1E-4, TaroccoCatania e Tarocco Scirè. Poi c’è la qualitàMoro.

Originaria della zona di Lentini e oradiffusa nelle aree di Catania e Siracusa,questa cultivar è la prima a maturare trale arance rosse: è possibile gustarla daiprimi di dicembre a metà marzo. È di ca-

libro medio con forma fra la sferica el’ovoidale; la buccia è arancione con sfu-mature rosso vinose; la polpa, senza se-mi, è interamente di colore rosso scuro,specialmente a maturazione avanzata. Ilcolore del succo è sanguigno per la pre-senza di di antociani (pigmenti naturali)nella polpa e nella buccia. La resa in suc-co è elevata ed il sapore molto gradevolee leggermente acidulo. Sono ammessi al-la coltivazione i seguenti cloni: Moro co-mune, Moro di Lentini, Moro nucellare58-8D-1. Infine c’è il Sanguinello, che èpresente da lungo tempo nelle aree aran-cicole delle province di Catania e Siracu-sa. Insieme al Sanguinello moscato, è lapiù importante cultivar italiana di mediastagione: infatti la maturazione inizia infebbraio ma il grosso della raccolta avvie-ne tra marzo e aprile. I frutti sono di cali-

bro medio con forma oblunga o sferica;la buccia è di colore arancio intenso consfumature rosse. La polpa, senza semi oquasi, è di colore arancio con numerosescreziature sanguigne, molto succosa edi sapore eccellente. Sono ammessi allacoltivazione i seguenti cloni: Sanguinel-lo cumune, Sanguinello moscato, Sangui-nello moscato nucellare 49-5-3 e 49-5-5,Sanguinello moscato Cuscanà. Come det-to, per la tutela di questo tipo di frutto,nel 1994 è nato Il Consorzio di Tutela diArancia Rossa, nella forma di associazio-ne di produttori dell'arancia rossa, qualesoggetto proponente all'Unione Europeail riconoscimento dell’Igp. L’arancia ros-sa rientra quindi fra le prime produzionitipiche tutelate a livello nazionale. Suces-sivamente viene avviato l'iter per la costi-tuzione del Consorzio di Tutela vero eproprio oggi esistente, con il coinvolgi-mento di tutte le fasi della filiera (produ-zione e condizionamento). Per potersifregiare di questo titolo un prodotto de-ve avere le seguenti caratteristiche: esse-re originario della regione o area indica-ta; possedere una determinata qualità, re-putazione o altra caratteristica che possaessere attribuita all'origine geografica; al-meno una fase del processo produttivoe/o di trasformazione deve avvenire nel-l'area geografica determinata. È stato rile-vato che il consumatore italiano percepi-sce i prodotti nazionali come garanzia dibontà e gusto. Tale garanzia è particolar-mente riconosciuta alle arance rosse pro-dotte in Sicilia. La garanzia di qualità, ori-gine e tracciabilità offerta al consumato-re per Arancia Rossa di Sicilia grazie almarchio Igp (Identificazione GeograficaProtetta), rappresenta perciò un elemen-to molto importante di visibilità, traspa-renza e ottenimento di fiducia dai consu-matori.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sua maestà l’arancia

Gli agrumi, buoni anche da indossare

La scheda

I frutti della terra

La curiosità

Il procedimento direalizzazione delle fibreconsiste nel prendere gliscarti trasformarli incapi d’abbigliamento. Siestrae cellulosa buonaper essere filata, e ilprocesso per farlo èsostenibile. Non si abusadelle materie prime né siintaccano prodottialimentari. Il valoreaggiunto, poi, è ancheun altro: lenanotecnologie hannopermesso di applicarenei vestiti dellemicrocapsule che, acontatto con la pelle,rilasciano vitamine A, Ced E, quindi danno unbeneficio reale e visibileall’utente.

QualitàTre leprincipalivarietàdi arance,abbiamoil Tarocco,il sanguinelloe il moro

6 Palermo Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 7: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Le eccellenze

V ini di montagna, di collina e di pianu-ra. Vini di sole e di neve. La Sicilia èl'unica regione d’Italia ad essere cosìeterogenea, basti accostare terre come

quella di Pantelleria e dell’entroterra palermita-no. O soffermarsi sulla valle dell’Etna, un micro-cosmo che non ha eguali, un piccolo continentea sé, che resiste alle pendici del suo vulcano, e ilcui gioco di climi e suoli è tale da creare vinicon caratteristiche sempre diverse.

La regione è un vero e proprio continente delvino che dalla scorsa vendemmia è stato rag-gruppato nella Doc Sicilia (anche se non tutti —si pensi alla Doc dell’Etna — hanno aderito). Iprimi prodotti sono stati presentati allo scorsoVinitaly con un buon successo. La nuova Doc èstata aiutata anche dall’incremento della produ-zione. Nel 2012, nonostante le condizioni clima-tiche non favorevoli, è cresciuta del 15,6%, tor-nando ai livelli del 2010 e invertendo il trendnegativo che dal 2009 al 2011 aveva determina-to un calo complessivo del 22%. Per la Doc Sici-lia si stimano 520 mila ettolitri potenziali percirca 70 milioni di bottiglie. Se il dato fosse con-fermato, la Doc Sicilia sarebbe la settima nellaclassifica nazionale per volumi e la più estesad'Italia (diecimila ettari). Anche se il vino sicilia-no è ancora prevalentemente Igt (59%).

L'obiettivo della Doc è quello di imprimereuna nuova spinta, dopo il successo degli scorsianni, al vino siciliano. Se, infatti, l'obiettivo tec-nico dichiarato della denominazione regionaleè di garantire al consumatore un prodotto con-trollato, di origine certa e con standard qualitati-vi garantiti, questa doc possiede anche un gran-de valore strategico nel rafforzamento delbrand Sicilia, permettendo ai vini di qualità del-l'isola di essere più facilmente riconoscibili equindi appetibili soprattutto agli occhi del con-sumatore straniero.

Il 2013 è quindi un anno importante per lapromozione della produzione regionale spintaanche dagli appuntamenti (degustazioni, conve-gni, serate mondane) che si susseguono aMarsala, proclamata quest'anno Città europea

del vino. A rendere il clima ancora più allegroarriveranno i campionati mondiali di kitesurf,che si svolgono questo weekend a Marsala conla possibilità di sfruttare la Laguna dello Stagno-ne come palcoscenico naturale per aperitivi edegustazioni, mentre si esibiscono kite e windsurfer.

Una viticultura, quella siciliana, che in alcunezone — come Pantelleria, per esempio — diven-ta eroica a causa della continua riduzione dellaproduzione e delle condizioni di lavoro quasiproibitive. Ma c'è ancora chi scommette sulla

Sicilia come il manager bergamasco MassimoLentsh che in questi giorni ha inaugurato a Lipa-ri la più grande cantina delle Eolie, nella frazio-ne di Quattropani.

Da qualche anno Lentsh, titolare della «Tenu-ta di Castellaro», produce nella più grande isoladell'arcipelago e dalla prossima vendemmia po-trà anche vinificare a Lipari. L’estensione dei vi-gneti è di venti ettari dei quali nove vitati e un-dici da vitare nei prossimi 5-8 anni con l'obietti-vo di arrivare a una produzione annua di 120mila bottiglie. «Tutto il processo di vinificazio-ne — spiega Massimo Lentsch — avviene percaduta senza l'ausilio di pompe nei diversi tra-vasi ed è previsto il solo uso di lieviti indigeni.L'orientamento è la produzione di vini naturalidi eccellenza valorizzando nei blend prodotti ivitigni autoctoni delle Isole Eolie (la Malvasiadelle Lipari nel Bianco Pomice e il Corinto nelNero Ossidiana). Oltre a questi due vini, a gen-naio 2014 sarà presentata la Malvasia delle Lipa-ri Doc».

Simona Licandro© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dalla scorsa vendemmiatutti i prodotti sono statiraggruppati nella Doc Sicilia

Il «continente» del vino

Le stime di produzione

I numeriNel 2012,nonostante lecondizioni climatichenon favorevoli, ècresciuta del 15,6%,tornando ai livelli del2010 e invertendo iltrend negativo chedal 2009 al 2011aveva determinatoun calo complessivodel 22%

Per la Doc Sicilia si stimano 520 milaettolitri potenziali per circa 70 milionidi bottiglie. L'obiettivo della Doc èquello di imprimere una nuovaspinta, dopo il successo degli scorsianni, al vino siciliano

7PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 8: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

8 Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 9: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Nel cuore di Ragusa

Q uella del decoro è un'arte antica nel-la pasticceria siciliana. Lo sa benela famiglia Corsino, che a Palazzolo

Acreide, da cinque generazioni, custodi-sce una tradizione che nelle sue linee cur-ve così armoniose e opulente riporta aquello stile tardo barocco diventato trattodistintivo di un intero territorio del sudest siciliano. Sono passati centoventi an-ni, era il 1889 quando il primo Corsino,Giuseppe, aprì bottega in piazza Preturafacendosi pagare dai clienti solola manodopera: la gente portavanel suo laboratorio uova, farina efrutta, e lui realizzava per loro idolci della domenica. Ancora og-gi il segreto dell'antica pasticce-ria Corsino sta nella selezione del-le materie prime, dalle mandorledi Avola al pistacchio di Bronte,dal sesamo al cioccolato di Modi-ca. Sapori antichi, unici e incon-fondibili che esprimono un terri-torio austero e festoso nello stes-so tempo. Un'alchimia di gusti efragranze pienamente naturali, al-cuni dei quali, conosciuti sin dal-l'antichità e che oggi fanno il gi-ro del mondo. "Far conoscere fuo-ri dall'isola ed esportare i prodot-ti della pasticceria iblea è unascelta maturata da una precisa convinzio-ne - spiega Marcella Monaco, la giovaneimprenditrice che ha preso in mano le re-dini dell'azienda- di proporre un pezzodella nostra storia".

Ma quando si parla di prodotti gastro-nomici siciliani non si può fare a meno diconsiderarli delle vere opere d'arte. Cosasarebbe una cassata, la regina dei dolci si-ciliani, senza quelle festose decorazioni difrutta candita che riconducono alla poli-cromia degli altrettanto celebri carretti si-ciliani. O quelle ricche ceste di frutta Mar-torana, a colori vibranti, confezionate conpasta di mandorle chiamata pasta reale,così come i pupi di zucchero o le antichetorte nuziali erette in colonne corinzie,

che lasciano a bocca aperta e non solo perla voglia di mangiarle. Conservare la tradi-zione non significa, comunque, non guar-dare alle nuove tendenze e a quella passio-ne che esplode in arte creativa e che oggiassume le forme più bizzarre. E così, ac-canto ai dolci delle migliori ricette dellanonna, come la pignoccata, 'u ciascuni, ole ossa dei motti, facendo ben attenzionea non lasciarsi corrompere da una gastro-nomia da non sottovalutare, nella pastic-

cieria Corsino si trovano anchele modernissime torte ricopertedi glasse di zucchero e decoratecon petali di fiori, perle bianchee grandi fiocchi. Tutti pazzi perquello stile tutto britannico, cheoggi spopola con il nome di cakedesign, che fece il suo battesimoufficiale addirittura nel 1840 almatrimonio della regina Vittoriae che da allora fa il giro su miglia-ia di blog, siti dedicati e tra milio-ni di appassionate che si cimen-tano a inventare e colorare pu-pazzetti e cartoons. "Bisognasempre guardare alle tradizionima è necessario anche saper pro-iettarsi nel futuro - suggerisceSebastiano Monaco, responsabi-le della produzione della pastic-

ceria che oltre trent'anni fa ha sposatouna Corsino doc, Itria Gallitto. Con unosguardo che trasuda ancora passione e de-dizione, Sebastiano, il vero artista di casaCorsino trascorre più di dieci ore al gior-no nella sua cucina. Al fianco della docen-te, la peruviana Karla Chumpitaz (specia-lizzata nel modelling, della Scuola di "Silo-voglio Kitchen" di Milano) durante il cor-so sul cake design organizzato dalla socie-tà di formazione Civita nell'ambito delprogetto Baroque, è il primo ad apprende-re le nuove tecniche, ma poi gira lo sguar-do e assicura, sotto la glassa, c'è tutta lanostra Sicilia!

Letizia Carrara© RIPRODUZIONE RISERVATA

S i scrive Locanda Don Serafino, si legge ec-cellenza gastronomica, premiata dal2007 con la prestigiosissima stella Miche-lin. Il ristorante, nato nel 2000 per volon-

tà dei fratelli Antonio e Giuseppe La Rosa, si èrapidamente affermato come uno dei miglioriin Sicilia. E pensare che tutto cominciò negli an-ni Cinquanta sul litorale di Marina di Ragusa,dove il papà, don Serafino, gestiva un lido chequest’anno festeggia 60 anni d’attività dove eb-be inizio la sua avventura gastronomica conuna cucina semplice, basata prevalentementesu pietanze a base di pesce. «Negli anni Novan-ta — spiega Giuseppe La Rosa, 46 anni — io emio fratello Antonio rivoluzionammo l’offertadello stabilimento sia sotto il profilo gastrono-mico che sotto l’aspetto del relax per i clienti.Fu allora che maturammo l’idea di dare vita aun ristorante d'eccellenza che mantenesse le ca-ratteristiche e le modalità della cucina sicilia-na». Oggi il Don Serafino è una tappa obbligato-ria per i buongustai che visitano l’Isola, che pos-sono anche pernottare nel vicino boutique ho-tel inaugurato nel 2004. «Ci sono sere in cui lasala è piena e si parla solo inglese», sottolineaGiuseppe La Rosa che proprio per questa ragio-ne ha scelto di far frequentare ai suoi dipenden-ti i corsi di lingua inglese inseriti nel progettoBaroque della società catanese Civita e finanzia-to da Fondimpresa.

Il fascino del ristorante deriva non solo dallabellezza del locale ricavato nella suggestiva corni-ce offerta da una grotta adiacente alla chiesa deiMiracoli, immersa nei vicoli che caratterizzano ilcuore barocco di Ragusa Ibla, la parte storica del-

la bella cittadina riconosciuta dall’Unesco comepatrimonio dell’umanità. Un ambiente che me-scola con sapienza il candore della roccia natura-le agli arredi di design, che ha indotto il direttoredella guida Michelin a classificarlo come uno deipiù bei locali d’Italia. Buona parte del suo appealè dovuto a una questione di sostanza, perché lasua cucina creativa e raffinata non dimentica illegame con il territorio e con le materie prime,ma al contrario lo reinterpreta e lo valorizza affi-dandosi all’estro dello chef Vincenzo Candiano,ragusano di 34 anni, un vero e proprio artista deifornelli. Candiano, formatosi alla scuola del gran-

de maestro Giovanni Vernuccio, è approdato nel-lo staff del Don Serafino nel 2002. Cinque annipiù tardi il ristorante ha ricevuto la tanto ambitastella Michelin, da allora sempre confermata, enel 2008 Candiano è stato premiato come miglio-re chef emergente del Sud Italia. E pensare cheavrebbe voluto fare altro «da grande». «Sono ar-rivato alla cucina per caso, quasi per sbaglio —dice di sé — In estate, finita la scuola media, deci-si di lavorare in un ristorante. Iniziai come came-riere e nel giro di meno di un mese mi ritrovaipromosso ad aiuto in cucina. Mi piacque talmen-te tanto quel mondo che alla fine dell'estate tra-dii la scuola d'arte, mia prima passione, con l’isti-tuto alberghiero di Modica».

La sua vena artistica l’ha espressa tra i fornel-li proponendo una cucina raffinata ma legata alterritorio e ai prodotti di stagione born in Sicily,frutto di quella Food Valley che è il fiore all’oc-chiello della provincia di Ragusa. Il menu è sog-getto a variazioni che rispettano la creatività del-lo chef e il ciclo delle stagioni, ma da sei anni unpiatto che non manca mai è una vera delizia peril palato: gli spaghetti di nero in salsa di ricci acrudo e ricotta vaccina siciliana. A completarel'offerta una carta dei vini che conta ben milleetichette da tutto il mondo, una carta degli oli euna, addirittura, dei sigari.

Clelia Coppone© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da Clà, esperienza indimenticabile

La scheda

Il focus / 3 Balestrate a ridosso del golfo di Castellammare

La cassata, prodotto dellapasticceria siciliana, epiù specificatamente diPalermo, merita il postod'onore tra i dolci tipicidi questa regione; lacassata nata per

celebrare la Pasqua dopoi sacrifici quaresimali, èdivenuta di consumocomune durante tuttol'anno. I suoi decori sonobarocchi, e sontuosi e lasua derivazione in realtàè di origine araba: il suonome deriva dalvocabolo arabo"Quas'at", che significascodella grande e tonda,e la ricchezza dei suoiingredienti rispecchia lecaratteristiche dellacucina saracena.

Incastonata nel centro storico di Ibla,da 60 anni la Locanda Don Serafinoè tappa obbligata per chi arriva in città

I l ristorante Da Clà, inaugurato lo scorso14 Giugno, nasce dalla passione di Clau-dio Palazzolo, per la cucina di alta quali-

tà. Il servizio attento, la cura dei dettagli elo stile inconfondibile dell'ambiente, sonogli elementi chiave che contraddistinguo-no questo ristorante. La cucina si basa suun menu pensato ed elaborato per esaltaretutti i profumi tipici della tradizione culina-ria siciliana. Materie prime di ottima quali-tà, sapientemente lavorate dallo chef Gu-glielmo Asta secondo le più moderne filo-sofie gastronomiche dell'alta cucina.

I piatti reinterpretano i sapori della tradi-zione del territorio, accostando con curaed originalità ingredienti volti a dareun’identità forte e decisa alla cucina del ri-storante Da Clà. I fusilli lunghi di Gragna-no con vongole, pesto di tenerumi, man-dorle e Brunoise di pomodoro; gli spaghet-ti con tartara di tonno fresco, gambero ma-rinato al lime e scaglie di bottarga; la zup-petta al gelo di anguria con frutta macerataal rosolio, gelato alla cannella e cialda al ca-cao, e il cannolo siciliano con riduzione dipassito di Pantelleria e granulone ai fichid'india.

Questi sono solo alcuni dei piatti partico-lari che si possono gustare Da Clà. «Nel-l’ideazione del menu — afferma lo chef —

non ho dimenticato la mia passione per lasemplicità in cucina, per questo oltre aipiatti importanti ho voluto mantenere alcu-ni dei miei classici preferiti, come gli spa-ghetti con i ricci o i paccheri di gragnanocon ciliegino e mozzarella di bufala».

Claudio Palazzolo, ha voluto realizzareuna location che fosse all’altezza del menuproposto. A Balestrate, in provincia di Pa-lermo, a ridosso del golfo di Castellamma-re il mare fa da cornice ad una terrazza vi-sta mozzafiato, uno spazio interamente ar-redato in stile shabby chic che rende emo-zionante e suggestiva una cena Da Clà.

«Voglio che i miei clienti sentano il calo-re e l’ospitalità del mio ristorante, comefossero a casa mia, un luogo dove accoglier-li e coccolarli per un’esperienza culinariaindimenticabile. Per questo — dice Clau-dio — consiglio sempre ai miei clienti diprovare la cena in piena estate all’ora deltramonto, quando i piaceri del palato pos-sono fondersi con il piacere di ammirareuno spettacolo della natura che ogni seraregala forti emozioni. A volte, nelle ore piùtarde, quando soffia il vento, si rimane fi-no a tardi per gustare i desserts ascoltandoil rumore delle onde del mare».ù

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quando la decorazione dei dolcidiventa una vera e propria arte

Negli anni Cinquanta sul litorale di Marina di Ragusa, donSerafino, gestiva un lido che quest’anno festeggia 60 annid’attività dove ebbe inizio la sua avventura gastronomica

Il focus / 1

Il focus / 2 L’antica pasticceria Corsino a Palazzolo Acreide

9PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 10: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

I nfluenzati dalla cultura americanaanche in Sicilia ha preso campo lamoda del momento in campo dol-ciario, e cioè ricoprire e decorare le

torte con la coloratissima pasta di zuc-chero. Insapore, al palato rilascia soloun gusto dolce. Sebbene sia giusto spe-rimentare cose nuove, e a Palermo ci so-no già diversi cake designer, è oltrag-gioso voltare le spalle ad una cassataper strizzare l’occhio a qualche monu-mento di zucchero. In Sicilia la pasticce-ria è raffinata arte fatta di tradizione,cultura, suntuosità, ricchezza di colorie di gusti, ma a far da padrona è senzadubbio lei: la crema di ricotta. Diversisono i laboatori di dolci che esistono aPalermo da generazioni e che hannocontribuito a scrivere la storia di questaterra.

Camminando per i vicoli della città èfacile essere travolti e inebriati da pro-fumi peccaminosi che provendono daqualche piccola saracinesca alzata. Chiarriva a Palermo è preparato, sa che de-ve provare almeno il cannolo e la cassa-ta, ma per chi volesse addentrarsi unpo’ di più e farsi avvolgere da gusti nuo-vi e portare le papille gustative a fare laola da stadio, non può esimersi dal fareun tuor più succulento. Golosi avantitutta. Innanzitutto bisogna fare tappaalla Pasticceria Cappello, in via Colon-na Rotta 68, una traversa di Corso Alber-to Amedeo prima di arrivare a Piazza In-dipendenza. Tra le golosità che si posso-no assaporare c’è la torta Kenia a basedi cioccolato e caffé, la setteveli al cioc-colato o al pistacchio di bronte, pralinee tavolette di cioccolato di tutti i tipi edaltre infinità di prodotti.

La famiglia Cappello si tramanda lapassione per la pasticceria dal 1950, re-centemente é stata inserita tra le pastic-cerie italiane storiche pubblicate nellaguida «L’Italia dei dolci» appena pubbli-cata dal Touring Club Italiano in colla-borazione con Legambiente, Eurocho-colate e la Confederazione Nazionaledell’Artigiano e, inoltre, è dal 2003 nel-la guida «Bar d’Italia» del Gambero Ros-so. L'unica a Palermo a realizzare le «di-ta d’apostolo» è la Pasticceria Scimonedi via Imera 8 angolo con via Miceli eanche a Mondello con un altro puntovendita in viale Regina Elena 61. Que-sto dolcetto consiste in una soffice pa-sta all’uovo ripiena di una mouss dipanna e ricotta con firma alla cannella.Anche la pasticceria Scimone è storica,direi un’istituzione, aperta dal 1950 giàcitata nella guida Michelin.

Altro pilastro della pasticceria a Paler-mo è sicuramente la pasticceria dei Fra-telli Magrì di via Isidoro Carini 42, an-che questa aperta il 1950 è capace di of-frire una produzione artigianale riccadi molte prelibatezze. Famosa per la tor-ta Castagna, La Patata (dolcetto fatto

con pan di spagna farciti con crema pa-sticcera e ricoperti da uno strato di pa-sta di martorana), La Diplomatica concrema gialla, tutt’oggi viene riconosciu-ta e visitata per questi dolci e non solo.Infatti, negli anni i pasticceri si sonospecializzati anche nella produzione didolci con conserva, di cui un tempo lapasticceria siciliana era la principalerappresentante.

Produzioni esclusive sono i dolcettida Riposto (così chiamati perché erapossibile riporli nella dispensa e conser-varli), la Cubaita, La Coto. Una speciali-tà estiva è il «gelo di mellone», una del-le migliori pasticcerie a proporlo è ilBar Costa di via Vittorio Alfieri 13 (infondo a via della Libertà). Il gelo di mel-lone (rigorosamente con due L) si gu-sta in ciotoline oppure con una base difrolla, è facile da realizzare, si ottieneun dolce dalla consistenza di un budi-no al succo di anguria arricchito con

cannella e fiori di gelsomino, ottimoper contrastare la canicola estiva. Pergli amanti del gelato e dei sorbetti nonsi può non far tappa alla storica gelate-ria Ilardo (Foro Umberto 12) che si tro-va al Foro Italico di fronte al mare, da-vanti ad un’incantevole paesaggio èpossibile gustare le granite al limone oai gelsi rossi, oppure viene servito il ti-pico «pezzo di gelato» prodotto con an-tichi metodi artigianali, particolari i gu-sti «scorzonera e cannella» e «cassata».Insomma golosi, date fuoco alle polverie divertitevi ad assaporare Palermo inquesto viaggio dentro il viaggio che lapasticceria siciliana offre.

Alessia Rotolo© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cannoli siciliani,la tradizioneche resistead ogni moda

Il Cannolo è un dolce costituito daun involucro cilindrico di pastafritta, farcito con un impasto diricotta, zucchero e frutta candita. Èuna tipica specialità siciliana cheviene esportata ormai in tutto ilmondo. Sono pochi quelli che nonl’hanno ancora assaggiati, e quindinon sanno cosa si sono persi. Ogniluogo ha una ricetta lievementediversa della preparazione di questotipico dolce, il quale comunquerimane squisito in ogni caso, quindivediamone assieme una delle tantevarianti. La storia: La leggenda narrache il cannolo prenda il suo nome

dalla parola volgare «canna», ossia«rubinetto» in Siciliano. Ed è propriocosì, come dimostratoci anche davari documenti dell’epoca cheattestano senza ombra di dubbio cheil collegamento tra il dolce e irubinetti, dai quali per scherzo sifaceva uscire crema di ricotta invecedi acqua, effettivamente esiste. E undolce con una storia così lunga nonpuò che entrare nella leggenda, earrivare fino a noi così da poterprovare quello che provarono inostri antenati centinaia di anni fa,assaggiando questa prelibatezza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Contaminazioni world

I capisaldi in pasticceria

Insapore, al palato rilasciasolo un gusto dolce. A Palermoci sono già diversi cake designer

Il caso

Nella patria dei dolci sta prendendo piedela moda di decorare con la pasta di zucchero

10 Palermo Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 11: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Cous cousLa festaA settembre San Vito Lo Capone diventa la capitale internazionale

L a pietanza forte sarà servita a settem-bre, ma un gustosissimo antipasto èappena andato in scena, tra mare cri-stallino e buon cibo. Lo scorso

weekend, per tre giorni, San Vito Lo Capo, inprovincia di Trapani — tra le più belle meteturistiche estive dell'Isola — è stata ancorauna volta la capitale del cous cous, facendo ilpieno di un pubblico di appassionati e curio-si, in occasione del Cous Cous Preview, rasse-gna che è il degno prologo tutto italiano delCous Cous Fest: alla fine della tre giorni, incui si sono sfidati a suon di gustosissime ri-cette alcuni chef del Belpaese, è stato indivi-duato l’italiano che parteciperà alla sfida in-ternazionale in programma, sempre a San Vi-to Lo Capo, dal 24 al 29 settembre; ha vintoEmanuele Russo, che parteciperà con la dele-gazione italiana — capitanata dalla chef san-vitese Antonella Pace — al Cous Cous Fest.Russo, di Marsala, chef al ristorante «Le Lu-mie», ha vinto la concorrenza grazie a uncous cous con granchi dello Stagnone, profu-mato al limone con polpettine di finocchiettoselvatico e vellutata di patate all’aglio rossodi Nubia; niente da fare per gli altri due finali-sti, Corrado Parisi, nato a Ispica ma cresciutoin Germania, che ha presentato la ricetta «In-cursio», e il tunisino Belhassen Berbat, che la-vora tra Venezia e Messina, e ha presentato ilpiatto «Tunisi, Milano, Trapani», tris di couscous di verdure, carne e pesce.

Il Preview è stata una festa popolare con— oltre alla gara — degustazioni pubbliche,coking show, visite al mercato del pesce, ape-ritivi in riva al mare, lezioni di danza del ven-tre, corsi di cucina sulla spiaggia e concertigratuiti sotto le stelle in piazza Santuario. Asettembre andrà in scena la sedicesima edi-zione del Cous Cous Fest, la rassegna gastro-nomica più importante di Sicilia, una manife-stazione capace di attrarre ogni anno miglia-ia di visitatori, in nome del piatto a base disemola della pace, comune a moltissime po-polazioni, che è il simbolo del multiculturali-smo del mar Mediterraneo e dell'integrazio-ne tra le nazioni; in quell’occasione la delega-zione italiana se la vedrà — come nella passa-

ta edizione — con ben otto squadre stranie-re, in rappresentanza di Costa d’Avorio, Egit-to, Francia, Isreale, Marocco, Palestina, Sene-gal, Tunisia.

L’evento, che è organizzato dall’agenzia dicomunicazione palermitana Feedback, ha or-mai risonanza internazionale, con una rasse-gna stampa dall’estero che cresce costante-mente, la presenza costante di grandi nomidell’enogastronomia, di una giuria di qualitàcon giornalisti gourmet italiani e stranieri,delle voci più importanti della musica legge-ra. La macchina organizzativa mastodontica,

ormai è ben oliata e ha meccanismi perfetti.Dalla scorsa edizione e anche nella successi-va, poi, il coinvolgimento del pubblico di ap-passionati del cous cous è totale, visto che sisvolge anche una gara tra cuochi dilettanti:sono i vincitori del concorso Bia Chef Moi;per iscriversi c’è tempo fino al 15 luglio (ilregolamento su biacouscous.it) ed è suffi-ciente inviare la propria ricetta di cous cous;gli ideatori di quelle considerate più origina-li e interessanti si sfideranno a San Vito LoCapo. I giorni del Cous Cous Fest hanno il rit-mo dolcemente indolente che caratterizzaSan Vito Lo Capo. Dopo il risveglio, vi aspet-ta la spiaggia sanvitese, l'abbraccio del maree la carezza del sole. Il pranzo si avvicina, è iltempo di seguire le fasi della La gara di couscous, un confronto colorato e goloso tra chefe ricette da tutto il mondo.

Il pomeriggio è il tempo delle Villaggio Ga-stronomico tra le diverse case del cous cous,alla scoperta di sapori e aromi inconsueti,ma anche di una passeggiata lungo il corso,dove si sviluppa l’Expo Village, tra prodottidell'artigianato e tante curiosità.

Al tramonto del sole è il tempo del Liveshow: suoni e canti del mondo protagonistinella piazza antistante il Santuario.

Inizia così la lunga notte sanvitese, in atte-sa di un nuovo cous cous day.

Salvatore Lo Iacono© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tradizional-mente ilcuscus venivapreparato consemola digrano duro,Triticumdurum

L’evento

Questo piatto è l’alimento tradizionaledi tutto il Nordafrica, al punto che lo sipotrebbe definire «piatto nazionale»dei Berberi In gran parte di Algeria,Marocco, Tunisia e Libia

Immerso in un magnifico verde, sul mar Jonio, tra il vulcano Etna e la romantica città di Taormina.Deliziose camere in stile siciliano, tutte con terrazza propria ombreggiata.

11PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 12: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

12 Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 13: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Street food palermitano

L a birra a Palermo non solo si beve, masi produce. Una tendenza che sta diven-tando business, quindi, e che ha inco-

raggiato le scommesse degli imprenditori. Apuntare su bionde e rosse è stato Mauro Ric-ci che, assieme ad alcuni soci, ha fondato«Spillo» il primo brew pub di Palermo. Unlocale, cioè, che non solo vende la birra arti-gianale ma ne produce anche con un pro-prio marchio. La prima nata è «Spillo 77»,una birra di media gradazione alcolica, unabionda dalla schiuma abbondante e con unbuon equilibrio tra aromi e sapori vagamen-te fruttati, con un tono di agrumi, che nelfinale lasciano emergere lievi note dolci dimalto e una coda secca e asciutta che invitaancora a bere.

L'idea è piaciuta e da poco tem-po anche il birrificio Palenque, invia Principe di Belmonte, ha decisodi investire sull’autoproduzione ar-tigianale. Il brew pub, gestito daThea Balsamo e Umberto Avanzati,produce una weiss e una bar-leywine, entrambe birre ad alta fer-mentazione, dense e corpose. Ilprogetto è quello di farle conosce-re attraverso il pub per poi iniziarela commercializzazione.

Una moda che ha stimolata la na-scita di eventi a tema, come l’Acca-demia della birra, tenutasi nei gior-ni scorsi nel giardino di Villa Malfi-tano in via Dante. Vi hanno parteci-pato oltre venti birrifici artigianaliitaliani: tra emergenti, noti e menonoti. Tra questi il giovanissimo Fo-glie d’erba, i siciliani Paul Bricius e Roccadei Conti, il lombardo Extraomnes, gli abruz-zesi Opperbacco e Majella, il pescarese Al-

mond, il sofisticato Birrificio del Ducato, ilpalermitano Spillo e poi Baladin, Maltusfa-ber, Birra del Borgo, Orso verde, Barley,B94, Birranova, Olmaia, Menaresta, Free Li-ons, Birrificio Rurale, Birra Amiata, 32 viadei birrai. Tutti con le birre più rappresenta-tive e interessanti del panorama italiano.Obiettivi della manifestazione erano la pro-mozione e la valorizzazione dei micro birrifi-ci artigianali italiani e le loro produzioni dieccellenza.

Ad accogliere il pubblico c’è stato loswing dei Ballroom Kings e la bossanova diJerusa Barros. La grande festa cominciata ve-nerdì con il primo dei tre Beer Lab di degu-stazioni speciali condotti sotto l'egida di Mo-bi e del Kuaska Instituut da Lorenzo Dabo-

ve. Nei tre laboratori su prenotazio-ne al costo di 15 euro, è stato possi-bile incontrare le speciali di Bala-din, le bizzarre Del Borgo e moltealtre chicche della produzione bir-raia italiana in abbinamento a cioc-colato, salumi e formaggi siciliani.

L'appuntamento di venerdì è in-titolato «Dalla birra fatta in casa alsuccesso internazionale», degusta-zione di cinque grandi birre createda birrai diventati famosi partendoda esperimenti fatti in casa. E anco-ra dibattiti sul «Made in Italy: birrea centimetro zero», con degustazio-ne di cinque grandi birre create dabirrai che utilizzano ingredienti le-gati al loro territorio. E infine «Pro-gettare grandi birre», degustazio-ne di cinque grandi birre nate da

birrai con idee, filosofie e storie diverse.Simona Licandro

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nel cuore di Palermo c’è il «brew pub» Spillo77

Q uante volte capita di passeggiare perstrada e fermarsi a mangiare qualcosaal volo, in piedi anzi in bilico. È una del-le esperienze che accomuna terre tanto

lontane fra loro: è il cibo di strada, quello deichioschi e dei mercati del cibo all'aperto. Secon-do una recente classifica, redatta da VirtualTou-rist e pubblicata da Forbes, al vertice dello streetfood mondiale c’è la capitale thailandese, men-tre solo una città italiana si guadagna una posi-zione nella top ten.

Si tratta di Palermo, al quinto posto dopo Ban-gkok, Singapore, Menang e Marrakesh. A entu-siasmare i turisti di tutto il mondo è la varietàdel cibo di strada siciliano, si va da specialitàche i più conoscono come le arancine di riso e icannoli, ad altre leccornie. Ma è l’Asia che sban-ca la classifica. VirtualTourist incorona Bangkokcome la migliore al mondo, soprattutto per laquantità di posti in cui si possono assaggiaremigliaia di varietà di piatti: insalata di papayaverde, pollo al curry, pad Thai e riso al mango.Al secondo posto c'è Singapore, famosa per isuoi mercati del cibo all'aperto e per le commi-stioni con la cucina cinese, malese e indiana. Alterzo posto Penang, in Malesia. Quarta posizio-ne per la parte vecchia della città marocchina diMarrakech dove c'è un centinaio di chioschi al-l'aperto dove degustare agnello arrosto, couscous e kebab. Dopo Palermo vengono menzio-nate Ho Chi Minh City, Istanbul, Mexico City ele ultime due posizioni sono per Bruxelles e Am-bergris Caye nel Belize.

Nei mercati di grascia, Ballarò, Vucciria e Bor-go i buffittieri non sono scomparsi. Tra un ac-quisto e l’altro potrete stuzzicare (o fare un vero

e proprio pasto) e assaggiare il miglior cibo distrada siculo. Distese di arancine invitanti e pa-nelle dorate fanno capolino dai banconi dei ven-ditori.

Alla Vucciria andate dal purparo. Vende poli-po fresco appena pescato. Alcuni li cuoce inuna pentola con acqua salata e in pochi minutiil polpo è in bella mostra sul bancone a disposi-zione di chi vuole assaggiare questa prelibatez-za. Da mangiare sul momento con limone eprezzemolo.

Il purpo insieme ai cicireddu, pesciolini frittiserviti nelle friggitorie, è l’unico tipo di pesceche si può mangiare per strada. Di natura econo-mica, eppure appetitosa e sostanziosa, la cucinapopolare palermitana prevede molta carne, masempre scarti della macellazione e interiora.

I meno schizzinosi potranno apprezzare unaspecialità che a detta di tanti è imbattibile. È ilpani ca’meusa, milza, oppure polmoni o scan-narozzato (trachea) di vitello, ripassati nella sai-mi (strutto) e mangiati nella vastedda (tipicopanino tondo spolverato con semi di sesamo).Ordinatelo maritato se lo volete con l’aggiuntadi ricotta e caciocavallo, schietto se lo preferitesemplicemente bagnato da gocce di limone.

E siamo arrivati al grande vanto della cucinapalermitana, le arancine. Sempre calde e fra-granti. Timballi di riso allo zafferano con piselli,carne macinata e caciocavallo. Nella versioneoriginale le arancine sono fatte con il salame tri-tato piuttosto che con la carne, o con l’aggiuntadi entrambe.

E non si può dimenticare di citare il miticosfinciuni, pizza alta e soffice, condita con pomo-doro, cipolla, acciughe e caciocavallo, e la squisi-ta panella forse la regina della cucina da stradapalermitana. Questi deliziosi rettangoli di fari-na di ceci fritti a volte si accompagnano con icazzilli, conosciuti anche come crocché, croc-chette di patate.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Supplemento della testata©

Distribuito con il Corriere della Seranon vendibile separatamente

Marco Demarcodirettore responsabileMaddalena TulantivicedirettoreCarmine Festaredattore capo centrale

Editoriale del Mezzogiorno s.r.lVincenzo DivellapresidenteGiorgio FiorevicepresidenteDomenico Erricoamministratore delegato

Sede legale:Vico II S.Nicola alla Dogana, 980133 Napoli - Tel: 081.7602001Fax: 081.58.02.779Reg. Trib. Napoli n. 4881 del17/6/1997

© Copyright Editoriale del Mezzo-giorno s.r.l.Tutti i diritti sono riservati. Nessu-

na parte di questo quotidiano puòessere riprodotta con mezzi grafi-ci, meccanici, elettronici o digitali.Ogni violazione sarà perseguita anorma di legge.

Stampa:Società Tipografica Siciliana S.p.A.Strada 5ª n. 35 - 95030 Catania.Tel. 095. 591303

Rcs Produzioni spaVia Ciamarra, 351 - 00169 - RomaTel. 06. 68.82.8917Sped. in A.P. - 45% - Art.2 comma20/B Legge 662/96 - Filiale di Napoli

Diffusione:m-dis Distribuzione Media Spa -Via Cazzaniga, 19 - 20132 Milano -Tel. 02.25821

Pubblicità:Rcs MediaGroup S.p.A. DivisionePubblicità - Agenzia Sicilia, ViaSciuti 164, - 90144 Palermo - Tel.091.30.67.56 - Fax 091. 34.27.63

Tariffe pubblicitarie (più IVA) - amodulo:Finanziaria € 142; Politica € 80 - €110 colore; Legale sentenze € 142;

Ricerche di personale € 100; Com-merciale € 104; Occasionale € 129;Posizione prestabilita più 20%; Ulti-ma pagina più 25%

Proprietà del Marchio:©

RCS MediaGroup S.p.A. DivisioneQuotidiani

Distribuito con il

Direttore responsabile:Ferruccio de Bortoli

La scheda

Dal «pani ca’ meusa» ai «cicireddu»,dagli «sfinciuni» alle «arancine»Ecco quel che si mangia per la strade

La birra è la bevanda più diffusa sul nostropianeta e pur essendo una bevanda attualissi-ma vanta origini molto antiche. La sua storiaha oltre cinquemila anni e la sua origine va si-tuata fra Mesopotamia e Antico Egitto. A secon-da dei tempi e dei Paesi ha modificato la suanatura, senza però mai tradirla, adeguandosi aigusti, alla cultura, alla disponibilità delle mate-rie prime. La preparazione della birra richiedenumerose fasi di lavorazione. La prima riguar-da la preparazione del malto, che deve esserericavato da orzo o altri cereali di buona qualitàe perfettamente maturi. Una volta selezionatoe ripulito, l’orzo viene immesso nelle vasche dimacerazione, dove per circa tre o quattro gior-ni riceve l’acqua e l’ossigeno necessario per la

germinazione. L’acqua di macero, che di solitoè mantenuta a temperature varianti fra i 12 e i15 gradi, viene cambiata in continuazione.Quando l’orzo ha raggiunto l’umidità necessa-ria, viene messo a germinare per circa una setti-mana su di un’aia oppure nei cassoni di germi-nazione; in questo processo è molto importan-te l’aerazione dei chicchi. Per quel che riguardale tipologie di birra esistenti, sul pianeta sonoqualche decina di migliaia. La più comune è laAle: E' il nome che identifica le birre ad alta fer-mentazione. Fanno parte della famiglia una va-rietà di birre: Bitter Ale, Pale Ale, Scothc Ale,Strong Ale ecc. in funzione del metodo con cuivengono prodotte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ecco come si prepara

Birra, se fatta in «casa» è meglio

Nelle foto, alcune delle pietanze tipichedello street food palermitano, «pani ca’meusa»,«cicireddu», «sfinciuni» e «arancine»

La curiosità

Il brew pub, gestito da Thea Balsamoe Umberto Avanzati, produceuna weiss e una barleywine

Prodotti di nicchia

13PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 14: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

L a Sicilia vanta un’antica tradizione casea-ria e dispone di varietà molto interessantisia nella forma che nella lavorazione. A co-minciare dal caciocavallo Ragusano, che

è uno dei formaggi più antichi della Sicilia. Il no-me Cascavaddu (Cacio a Cavalcioni) si pensa chederivi dalla tecnica di asciugatura che avviene suun asse tipico della zona. Formaggio dal saporeamabile e intenso ma delicato e particolare, èesportato fuori dai confini del Regno delle delledue Sicilie sin dal XIV secolo. Nel XVI secoloun’opera intitolata a Ferdinando il Cattolico eCarlo V faceva cenno del caciocavallo ragusano .In Sicilia esistono due varietà principali di taleprodotto il caciocavallo palermitano (o di Godra-no) e il ragusano Dop. Il ragusano è un prodottoa pasta filata. Il disciplinare (che gli attribuisce ladenominazione d’origine protetta con il nome di«ragusano») limita solo alla provincia di Ragusae a tre comuni del Siracusano (Noto, PalazzoloAcreide e Rosolini) l’ambito di produzione.

Il peso va dai sei ai dodici chilogrammi. Per lasalatura si fa ricorso alla salamoia. Con la stagio-natura il formaggio diventa piccante e la crostapiù scura: è consuetudine capparla con morchiad’olio. La pasta è naturalmente più dura e consi-stente, a volte con leggera occhiatura. Apprezza-to come antipasto o dessert, il ragusano stagiona-to è anche un eccellente formaggio da grattugia.

CaprinoLe origini di questo formag-

gio risalgono al XI secolo a.C. Iformaggi caprini siciliani, sonounici nel loro genere, perché na-scono da un latte di grandi ca-ratteristiche organolettiche enutrizionali, ottenuto da capredi razza Maltese e Girgentanache si nutrono solo ed esclusivamente di essenzespontanee, presenti in zone impervie e dunquedifficilmente raggiungibili. Oggi però la produ-zione è molto limitata per la progressiva scom-parsa degli allevamenti.

Fiore sicanoNel panorama caseario dell’isola il fiore sicano

fa storia a sé. È infatti l’unico formaggio molle apasta cruda, fortemente caratterizzato da muffeautoctone, che non ha niente in comune con ilfiore sardo. La leggenda vuole che questo tipo diformaggio, conosciuto dai siciliani come tumaz-zu ri vacca, sia nato per caso, frutto della dimenti-canza di un produttore distratto. Un Decreto Leg-ge speciale della Regione Sicilia che lo tutela e nericonosce l’appartenenza ai formaggi storici sici-liani. Grazie a questo decreto, il Fiore Sicano può

continuare a essere prodotto dal latte crudo, an-che se la Comunità Europea stabilisce l’obbligodel latte pastorizzato per produrre i formaggi. Èesclusivamente un formaggio da tavola.

MaiorchinoLe modalità di produzione sono antiche di se-

coli (qualcuno le fa risalire al XVII). . Il latte coa-gula, con l’aggiunta di caglio d’agnello o capret-to, a 39 gradi. Dopo la rottura la cagliata è ancorariscaldata fino a raggiungere i 60 gradi, quindi iltutto è raccolto in una sola massa sferica che sipone in una fascera, la garbua, e quindi su unpiano di lavoro denominato mastrello. Del tutto

particolare la consuetudine deicasari di bucherellare la pastacon una sottile asta metallica odi legno per favorire l’uscita delsiero. L’attrezzo si chiama mina-cino. Dopo quarantotto ore, ilmaiorchino viene salato a sec-co, con sale marino, per un peri-odo di venti, trenta giorni. Lalunga stagionatura avviene in

locali di pietra interrati, a volte in grotte o canti-ne che garantiscono temperatura costante.Il sa-pore ètendente al piccante il peso varia tra i diecie i dodici chilogrammi. È adatto per cominciareo finire un pasto ed è utilizzato in cucina in mol-te ricette come formaggio da grattugia per la pa-sta alla carrettiera, la pasta ncasciata, le polpettedi carne trita e altro. In un tipico antipasto vieneservito a scaglie insieme a rapanelli.

PalermitanoFormaggio ricordato fin dal 1412 in un volu-

me dedicato ad Alcuni calmieri palermitani del’400. Si fa con latte vaccino intero nella provinciadi Palermo e in due comuni di quella di Trapani.Il latte coagula intorno ai 35 gradi per l’aggiuntadi caglio di agnello: il casaro fa spurgare la caglia-ta servendosi di un recipiente di legno particola-

re, conosciuto dai siciliani come ciscia. Dopouna cottura di quattro ore la pasta viene depostasulla cannara, un graticcio che ne consente lapressatura, quindi sospesa a un bastone di legnodetto appizzatuma perché perda quanto rimanedel siero. All’indomani la massa così lavorata vie-ne tagliata e messa nel piddiaturi, un contenito-re in cui è filata con l’aiuto di un bastone di le-gno che si chiama vaciliatuma. L’ultima destina-zione è il tavoliere, dove il formaggio assume lacaratteristica forma a parallelepipedo. Segue, ilgiorno dopo, l’immersione nella salamoia: duradai dieci ai dodici giorni, mentre la successivastagionatura si protrae da un mese a quattroquando si vuole un prodotto semi-stagionato,ancora di più se si preferisce un sapore più pic-cante. Il palermitano ha crosta sottile, liscia e dicolore ambrato, pasta giallo paglierino compat-ta con sfogliature più evidenti con l’avanzare deltempo. L’odore è fragrante, il sapore piccante.Le forme pesano tra gli otto e i dodici chilogram-mi. Da consumare a tavola soprattutto quando èfresco, il palermitano diventa, stagionato, un ot-timo formaggio da grattugia.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tutto il buonodel formaggioLa Sicilia vanta grande tradizionenella produzione lattiero-casearia

Rinomato nel mondo

Il caciocavallo

I l pistacchio (dal greco Pi-stàkion) è una pianta origi-naria del bacino Mediterra-

neo (Persia, Turchia), coltiva-ta per i semi, utilizzati per ilconsumo diretto, in pasticce-ria e per aromatizzare gli in-saccati di carne. Era noto e col-tivato dagli antichi ebrei e giàallora ritenuto un frutto pre-zioso.

Per curiosità cronologica ri-scontriamo per la prima voltala parola «pistacchio» nell’An-tico Testamento, successiva-mente nella Genesi (origi-ne-nascita del mondo) capito-li 42/43 versetto 11. Ancor og-gi, nella parlata dialettale con-serviamo i termini «frastuca efrastucara» che stanno ad indi-care rispettivamente il fruttoe la pianta.

Nel dialetto brontese dei no-stri nonni il termine «frastuca-ta» indicava un dolce a base dipistacchio e «frastuchino» ilcolore verde pistacchio.

Furono gli Arabi, dunque,strappando la Sicilia ai Bizanti-ni, ad incrementare ed a attrez-zarsi nella coltivazione del pi-stacchio che nell’Isola, partico-larmente alle pendici dell’Et-na, trovò l’habitat naturaleper uno sviluppo rigoglioso e

peculiare. Il pistacchio verdedi Bronte potrebbe a buon tito-lo ricoprire la carica di emble-ma della città: la sua longevitàe resistenza, la sua forza di vo-ler sopravvivere a tutte le av-versità, addirittura a fruttifica-re malgrado sia abbarbicatosu aride rocce laviche, rispec-chiano alla lunga molte carat-teristiche del popolo bronte-se. Un popolo che non teme illavoro e la fatica, che ha sem-pre lottato per portare a casa ilnecessario. Dominato e sotto-messo per secoli da vassallag-gi fuori tempo ed avversitàstoriche incredibili contro iquali ha sempre lottato tenace-mente.

Un popolo che sul pistac-chio ha costruito ricchezza,cultura e le proprie tradizionima anche l’abitudine del ri-spetto e della salvaguardia peril territorio nel quale vive. Il pi-stacchio di Bronte presenta ca-ratteristiche peculiari che locontraddistinguono rispettoal pistacchio coltivato in altrearee siciliane (Caltanissetta oAgrigento) o estere (MedioOriente, Grecia o California eArgentina). Frutto di alto pre-gio, è molto apprezzato e ri-chiesto nei mercati europei egiapponesi per le dimensionie l’intensa colorazione verde.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bronte patria del pistacchio,l’oro verde della Trinacria

Dal latte

Il nome Cascavaddu(Cacio a Cavalcioni) sipensa che derivi dallatecnica di asciugatura

La forma quadrata Nella foto in alto, la particolare forma del caciocavallo ragusano Dop.Sotto, un pezzo di formaggio siciliano abbinato con olive bianche e un cocktail

14 Palermo Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA

Page 15: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

Eccellenza

È strano pensare come due delle più grandieredità i siciliani le debbano agli Aztechi. In-fatti oltre al cioccolato di Modica a loro sideve il successo del Pachino, ricercato in tut-

ta Europa. La domesticazione del pomodoro, secon-do le ipotesi più accreditate, fu opera degli Aztechi iquali, sfruttando l’enorme variabilità genetica dellaspecie presente nell’area messicana, selezionarono igenotipi più idonei al loro uso alimentare. A segui-to della sua introduzione in Europa, avvenuta con iconquistadores, si è diffuso prima in Spagna e poinel resto del Mediterraneo divenendo un alimentoabituale sia cotto sia crudo. In Italia, il pomodoro fuintrodotto prima negli orti botanici e poi, grazie acondizioni pedoclimatiche favorevoli, la sua coltiva-zione si diffuse in tutto il Paese. Inizialmente, lapianta di pomodoro era ritenuta pericolosa per lasalute sia a causa delle sue affinità con altre piantecontenenti alcaloidi (mandragora, melanzana) sia acausa del naturale rifiuto del nuovo. La difficoltà de-gli europei a riconoscerne immediatamente l’utilitàfu dovuta all’incapacità del pomodoro, a differenzadi patata, fagiolo e mais, di saziare la fame delle po-polazioni continuamente in guerra o colpite da care-stie. Soltanto iniziando a utilizzarlo cotto, eliminan-do le temute sostanze sospette, si scoprirono le suecaratteristiche intrinseche apprezzandone i vari usi.Il pomodoro è una delle specie orticole più diffuseal mondo, molto importante per l’alimentazioneumana. La sua produzione si attesta intorno ai 126milioni di tonnellate, quantitativo cresciuto nell’ul-timo decennio grazie non solo all’aumento della su-perficie investita ma soprattutto al miglioramento

delle rese produttive. È l’emblema di piatti tipici ecaratteristici contribuendo notevolmente alla diffu-sione della cucina italiana nel mondo. Due sono leproduzioni italiane di qualità tutelate a livello euro-peo: il San Marzano dell’agro-Sarnese-Nocerino(Campania) e il Pachino dell’area di Vittoria (Sici-lia). Grazie al made in Italy il nostro Paese ha rigua-dagnato le posizioni perse nei confronti dei grossicompetitor del Mediterraneo, Turchia ed Egitto.L’introduzione della coltivazione del pomodoro hafavorito lo sviluppo del settore agroalimentare ita-liano il quale, soprattutto al Sud, ha consentito losviluppo industriale del territorio (industria mecca-nica, conserviera, logistica, imballaggi e così via). Ilpomodoro potrebbe definirsi un alimento dei ricor-si storici e culturali: da pianta selvatica poliennalediventa fondamentale per l’apporto vitaminico; dacoltivazione silente e diffusa, soprattutto tra i pove-ri, diventa nel XX secolo sempre più sofisticata (col-ture in serra, idroponiche e aeroponiche); da piantaconsiderata nociva e pericolosa diventa oggetto distudi e speranze nel campo medico grazie all’altocontenuto di sostanze antiossidanti, alla protezionecardiovascolare e antitumorale. Il pomodoro è oggiuna delle specie vegetali più studiate a livello gene-

tico e genomico, non solo a causa della suaimportanza economica, ma anche perchépossiede un genoma piuttosto piccolo. Ciòha contribuito a farne un sistema modelloper tutta la famiglia delle Solanacee e per lealtre specie in generale. Il sequenziamentodel suo genoma pubblicato sulla rivista Natu-re del 31 maggio 2012 ha consentito di stabili-re il numero dei geni (35 mila) e le tappe del-la sua evoluzione iniziata circa 60 milioni dianni fa. Uno dei luoghi comuni più diffusiidentifica il vero pomodoro di Pachino con lavarietà detta comunemente ciliegino. Nientedi più sbagliato. Il disciplinare del Pomodorodi Pachino Igp classifica e tutela ben quattrotipologie diverse di pomodoro, tutte con pe-culiarità diverse, e destinate a diversi seg-menti di mercato. Sono tutte tipologie acco-munate da un elevato grado brix, da una stra-ordinaria resistenza post raccolta e da un co-lore brillante e attraente. Impariamo a cono-

scerli meglio, per sfruttarne le molteplici potenziali-tà d’impiego nella gastronomia di alta qualità. Po-modoro di Pachino «tondo liscio»: piccolo e roton-do, di colore verde scuro, inconfondibile per il gu-sto molto marcato. È molto apprezzato dai consu-matori d’oltralpe. I suoi frutti sono di consistenzaineguagliabile. Pomodoro di Pachino «a grappolo»:a grappolo o snocciolato, può essere verde o rosso.Tondo, liscio, dal colore brillante e attraente, con ilcolletto verde molto scuro. Il suo peso varia in basealla salinità del terreno di coltivazione. Pomodorodi Pachino «costoluto»: frutto di grandi dimensio-ni, esteticamente molto attraente, dalle coste marca-te, di colore verde molto scuro e brillante. Questatipologia ha conquistato il favore del consumo na-zionale sostituendo nel periodo invernale (periodoottimale per la produzione di questa tipologia) iltondo insalataro. Il pomodoro costoluto evidenziale migliori caratteristiche se coltivato in terreni lacui salinità è molto alta. Pomodoro di Pachino «ci-liegino»: caratteristico per l’aspetto a ciliegia, su ungrappolo a spina di pesce con frutti tondi, piccoli,dal colore eccellente e il grado brix elevato.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

T utti certamente cono-scono l’Arancia rossa(Igp), famosa per il suo

sapore intenso e per le sueproprietà benefiche. Certa-mente un primato del Sud Ita-lia nel Mondo, ma la Sicilia èuna terra ricca di prelibatezzee, anche al di là delle sue aran-ce, i prodotti che può offriresono veramente molti. Vale al-lora la pena cercare di cono-scerli, almeno alcuni, com-prenderne l’unicità per scopri-re un vero e proprio mondo disapori e profumi. Qualcheesempio? Si par-t e d a u n o d iquei prodottiche sulle tavoled e l S u d n o np u ò p r o p r i omancare: i cap-per i . Famosiquelli di Pantel-leria. Ed è pro-prio sulla splen-dida isola di ori-gine vulcanicache crescono queste preliba-tezze, favorite dalla composi-zione estremamente acida delterreno. La raccolta dei fiori edelle radici avviene nei primiperiodi primaverili, poco piùtardi quella dei frutti. La rac-colta, viene effettuata ancoraa mano, e deve essere ripetutaad intervalli 5 giorni, per co-gliere i nuovi boccioli che viavia si formano. Oltre alla lorocapacità di insaporire i piatti,i capperi di Pantelleria hannopoi diverse proprietà interes-santi. Pare infatti che la cortec-cia delle radici abbia impor-tanti proprietà diuretiche, iboccioli contengono sostanze

dotate di proprietà toniche edigestive. Gli olii che si ricava-no dai capperi sono invece ide-ali per massaggi e come disin-fettanti. Contengono ancheun principio amaro stimolan-te della funzione gastrica. Incucina, si sposa alla perfezio-ne con olive nere, pomodori,acciughe e origano nel rino-mato Pesto pantesco. Cam-biando genere, c’è poi da sot-tolineare il gusto e il profumodell’olio d’oliva dell’Etna(Dop). In questo caso la colti-vazione risale a tepi antichissi-

mi ad opera deiFenici e in segui-to dei Greci. Lapresenza del vul-cano ha alimenta-to il mito di que-sta coltura. NeiPoemi Omerici ilciclope Polifemofu infatti acceca-to del suo unicoocchio da Ulissee i suoi compa-

gni, proprio con un ramo d’uli-vo. Nel corso dei secoli la pro-duzione oleicola in questa zo-na ha subito un notevole svi-luppo fino a diventare una col-tura di rilevante importanzaper l’economia della zona. Gra-zie al sapore fruttato, l’olioMonte Etna rappresenta il con-dimento ideale sia a crudo,per verdure fresche, insalati-ne selvatiche e bruschette, siain cottura su verdure bollite,minestre di legumi e arrosti dipesce. Insomma, l’ingredienteperfetto per rendere veramen-te unico ogni piatto.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

P ane, anche quando parlia-mo di questo alimento ba-se, in Sicilia ne troviamo

di tante varietà e con materieprime differenti, ma tutti sem-pre di altissima qualità. Sull’Et-na il pane tradizionale è fattocon semola di grano duro, ac-qua, sale e lievito madre (cri-scenti). I formati tipici sonodue (entrambi da 1 o 1,5 chili).La vastedda è una pagnotta lar-ga, bassa e tonda, con la crostaspessa, croccante e color noc-ciola. Il pucciddatu (in dialettosignifica «forato») è una ciam-bella dallo stes-so impasto, conun foro al centrodal diametro di10, 15 centime-tri. Oltre alla lie-vitazione natura-le, si è conserva-ta la tradizionedella cottura a le-gna e sopravvi-ve ancora qual-che raro fornodi pietra in cui si alimenta ilfuoco con rami di olivo e guscidi mandorle. In quest’ultimocaso il pane è particolarmentearomatico, con un buon profu-mo di olivo, che si sente anchein bocca. Altra tipologia è il pa-ne forte. L’uso di grano teneroper la produzione del pane, de-stinato alle città ed alle classimeno abbienti, ebbe inizio inSicilia intorno al ’500. La varie-tà utilizzata era il Maiorca, per-ché si coltivava un po’ dapper-tutto, ma era di difficile espor-tazione perché soggetto al ri-scaldamento. Per la panificazio-ne popolare si usava invece il«forte» o grano duro, mentre

la pasta fino al XVIII secolo ve-niva fatta con la tumminia, gra-no duro di primavera. Si suppo-ne che il nome «pane forte» de-rivi dall’uso del grano duro giàadottato nel ’500. Ieri fatto solocon grano duro perché ritenu-to di meno valore, oggi il paneduro si avvale invece della fari-na di grano tenero consideratasul piano nutrizionale menopregiata della prima. Coi graniteneri nell'hinterland cataneseveniva fatto un pane detto«cucchia» a forma ovoidalecon spacco centrale, quasi a

simboleggiare lafertilità femmmi-nile. Nel giarresesi dice ancora«nasciu na cuc-chia» per annun-ciare la nascita diuna bambina.

E ancora abbia-mo la papalina. Ilnome ha precisiriferimenti eccle-siali per la ric-

chezza degli ingredienti. NellaValle del Belice un pane simile,ma senza uova, prende il nomedi «vastedda» o «cucciddatu diS. Giuseppe». Pupi cu l’ova: ètradizione vivissima quella diconfezionare pani speciali con-tenenti delle uova intere per lefestività pasquali: dai popoliprimitivi ai giorni nostri l’uovoha sempre avuto una valenzatrascendentale. Queste formeincorporano al loro internouna o due uova e vengono fine-mente intagliate, decorate e in-cise fino a diventare dei veri ca-polavori.

Red. Spe.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il pomodorodi Pachinoè il più ricercatoin tutta Europa

I prodotti / 1 I prodotti / 2

L’oro rosso ereditato dagli Aztechi

Nelle immagini, due delle preparazioni tipicheche si possono effettuare con i pomodori Pachino.In alto, un sughetto che condisce la pasta. Sotto, lapreparazione

Capperi e olio d’oliva,tesoro che arricchiscei piatti della tradizione

Vastedda o pucciddatu:croccanti e dorati,sono i pani della Sicilia

Un cesto di pane

Sopra,un campodove sicoltivanoi pomodorinidi PachinoUnaproduzioneche sfruttaappienole qualitàdel terreno

Capperi appena raccolti

15PalermoCorriere del Mezzogiorno Domenica 30 Giugno 2013

PA

Page 16: Speciale Sicilia 01072013 Gastronomia

da Sabato 06 Luglioa Domenica 08 Settembre 2013

Saldi

16 Domenica 30 Giugno 2013 Corriere del MezzogiornoPA