Sotto al Palazzo! - Polizia Penitenziaria...piano che altri dirigenti storici del DAP hanno avuto...

36
Poste italiane spa • spedizione in abbonamento postale 70% Roma • AUT. MP-AT/C/RM/AUT.14/2008 ISSN 2421-1273 www.poliziapenitenziaria.it ANNO XXVII NUMERO 285 LUGLIO-AGOSTO 2020 SOCIETÀ GIUSTIZIA & SICUREZZA Sotto al Palazzo!

Transcript of Sotto al Palazzo! - Polizia Penitenziaria...piano che altri dirigenti storici del DAP hanno avuto...

  • Post

    e it

    alia

    ne

    spa

    • sp

    ediz

    ion

    e in

    abb

    onam

    ento

    pos

    tale

    70%

    Rom

    a •

    AUT.

    M

    P-AT

    /C/R

    M/A

    UT.1

    4/20

    08

    ISSN

    242

    1-12

    73

    www.poliziapenitenziaria.it

    ANNO XXVII NUMERO 285 LUGLIO-AGOSTO 2020

    SOCIETÀ GIUSTIZIA & SICUREZZA

    Sotto al Palazzo!

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 3

    Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece [email protected] Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis [email protected] Capo redattore: Roberto Martinelli [email protected] Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme

    In copertina: il Sen. Matteo Salvini e L’on. Jacopo Morrone con la Segreteria Generale del Sappe, davanti al DAP

    MONDO PENITENZIARIO Cca’ nisciun è fess di Francesco Campobasso CONTEST FOTOGRAFICO Vincitrice di giugno: Carmen Addario (1.370 like) CRIMINI E CRIMINALI Il collezionista di ossa della Magliana di Pasquale Salemme L’ANGOLO DELLE MERAVIGLIE Scilla, da “mostro marino” a “perla del Mediterraneo di Antonio Montuori PSICOLOGIA PENITENZIARIA Lo psicologo del Corpo di Polizia Penitenziaria di Mauro Gatti COME SCRIVEVAMO Anno nuovo solito tran tran, le stesse illusioni. Il Sindacato in piazza, al DAP nessuno ascolta... di Umberto Vitale CINEMA DIETRO LE SBARRE Harold & Kumar - Due amici in fuga a cura di G. B. de Blasis

    Per ulteriori approfondimenti visita il nostro sito e blog: www.poliziapenitenziaria.it

    Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo

    di Polizia Penitenziaria

    Chi vuole ricevere la Rivista al proprio domicilio, può farlo versando un contributo per le spese di spedizione pari a 25,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 35,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il conto cor-rente postale numero 54789003 intestato a: POLI-ZIA PENITENZIARIA Società Giustizia e Sicurezza Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma, specificando l’in-dirizzo, completo, dove va recapitata la rivista. Si consiglia di inviare la copia del bollettino pagato alla redazione per velocizzare le operazioni di spedizione.

    Edizioni SG&S

    EDITORIALE Il coraggio di cambiare - di Donato Capece IL PULPITO A trent’anni dalla Riforma il DAP assomiglia sempre di più al Castello di Kafka di Giovanni Battista de Blasis IL COMMENTO Roma, grande successo delle manifestazioni del Sappe per rivendicare dignità e rispetto di Roberto Martinelli L’OSSERVATORIO POLITICO Troppa ideologia quando si parla di carcere di Giovanni Battista Durante SAPPEINFORMA Quando il gioco si fa duro... L’ESECUZIONE PENALE ESTERNA Maggiori compiti alla Polizia Penitenziaria di Gennaro Del Prete CRIMINOLOGIA L’incremento della devianza psicologica e sociale minorile dovuto al corona virus di Roberto Thomas

    Anno XXVII • n. 285 • Luglio-Agosto 2020

    SOCIETÀ GIUSTIZIA & SICUREZZA

    04 22

    23

    24

    05

    09

    06

    19

    28

    30

    20

    10

    22

    24

    26

    30

    20

    Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: [email protected] web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi www.mariocaputi.it “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2020 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati) Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994 Cod. ISSN: 2421-1273 • ISSN web : 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: Giugno 2020 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

    SOCIETÀ GIUSTIZIA & SICUREZZA

    26

    04

    10

    33

  • 4 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    attuale momento che sta vivendo l’Amministrazione Penitenziaria è sotto gli occhi di tutti.

    Negli ultimi mesi è capitato di tutto: rivolte, scarcerazioni discutibili, dimissiono di Capo DAP, Direttore Generale dei Detenuti, Capo di Gabinetto del Ministro. In particolare, dopo le polemiche sulle scarcerazioni durante il periodo del Covid-19 e le dimissioni di Giulio Romano, mi sembra assurdo che il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non abbia ancora nominato un magistrato nell’incarico di Direttore generale dei detenuti e del trattamento.

    Ed altrettanto incomprensibile è la mancata nomina del direttore dell’Ufficio della Direzione Generale del Personale, che produce ritardi e soprattutto l’assenza di un interlocutore in grado di dare risposte certe alle nostre richieste. Nelle nostre tre ultime - faticose ma entusiasmanti - manifestazioni non abbiamo risparmiato critiche al Guardasigilli: ma ci sembra evidente come Bonafede sia sempre più distante dalla ‘sua’ forza di Polizia, la Polizia Penitenziaria. Non ha speso una parola per i colleghi di S. Maria Capua Vetere, non ha speso una

    della Lega, ci preannunciò nella manifestazione davanti al DAP. La Polizia Penitenziaria che opera nel settore minorile, come i colleghi in servizio nelle carceri per adulti, è in trincea da tempo, nell’attesa spasmodica di un deciso cambio di rotta, in particolare, per quanto concerne una nuova legislazione penale minorile per ciò che attiene la separazione dei detenuti minorenni dai detenuti “ultradiciottenni” ; questo, se non altro, per evitare di vedere trasformati gli attuali IPM in vere e proprie scuole di formazione alla criminalità. Il coraggio di cambiare, dunque, che vuol dire anche definire ed approvare al più presto il

    nuovo Accordo Quadro nazionale (i lavori del tavolo tecnico sono finiti da ormai più di un anno, ma ancora non si calendarizzano gli incontri per la sua definitiva approvazione), i criteri del FESI (da definire non a luglio dell’anno in corso, ma semmai negli ultimi mesi dell’anno precedente), un nuovo PCD sulla mobilità del Personale, un Regolamento per le Scuole e gli Istituti di formazione e, soprattutto, un nuovo Regolamento di servizio del Corpo. Tutto si può fare, ma serve il coraggio di cambiare. C’è, al terzo piano del DAP, questo coraggio?

    Donato Capece Direttore Responsabile

    Segretario Generale del Sappe

    [email protected]

    L’

    l

    parola per stigmatizzare le continue violenze in danno dei poliziotti, non ha indicato una soluzione concreta per fermare questa spirale di violenza: anzi, sembra che le proposte per rivedere i circuiti e le norme dell’ordinamento penitenziario, a partire dalla vigilanza dinamica delle carceri che è alla base di tutta questa violenza inaccettabile, siano state abbandonate in qualche cassetto polveroso del Ministero. Noi auspichiamo che venga nominato nell’incarico di Direttore generale dei detenuti e del trattamento un magistrato di alto profilo, così come è sempre stato in passato con Sebastiano Ardita o Giuseppe Falcone. Ma è grave che il Guardasigilli non abbia nominato il Direttore dell’ufficio della Direzione Generale del Personale che si occupi della Polizia Penitenziaria. C’è forse qualche veto politico? Per noi del SAPPE il personale di Polizia Penitenziaria è stanco di subire umiliazioni ogni giorno a causa di una amministrazione matrigna che non tiene affatto al benessere del personale. Le notizie di eventi critici, anche gravi, sono quotidiane e non risparmiano neppure la giustizia minorile. E allora ci vuole il coraggio di cambiare. Ci aspettiamo davvero un “nuovo modello custodiale” per le nostre carceri, materia di attuale confronto tra DAP e Organizzazioni sindacali, che sterilizzi quella vigilanza dinamica e quel regime ‘aperto’ che hanno prodotto più danni della grandine. Ci aspettiamo la dotazione anche per gli appartenenti al Corpo del taser: ci fa ben sperare, in questa direzione, l’approvazione in Parlamento dell'ordine del giorno della Lega che prevede tempi certi per il suo utilizzo definitivo ed estensione alla Polizia Penitenziaria. Un impegno che Matteo Salvini, leader

    Il coraggio di cambiare

    Nella foto: sopra

    il Ministro Alfonso Bonafede

    a destra

    il DAP

  • Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

    on a caso, nella rubrica Come scrivevamo di questo mese, pub-blichiamo un articolo di venti anni fa che raccontava dell’enne-

    sima manifestazione di protesta del Sappe. Non a caso, perché questo numero è quasi interamente dedicato alle manife-stazioni di protesta che il Sappe ha insce-nato nello scorso mese di giugno, culminate in via Arenula, sotto le stanze del Ministro Bonafede. Significativamente, l’articolo del 2000 era intitolato Anno nuovo solito trantran, le stesse illusioni, un titolo che potrebbe benissimo essere utilizzato anche oggi. Così come è attuale anche il contenuto dell’articolo. Già allora, infatti, il collega Vitale parlava di guanti gialli e di privilegi per pochi al DAP. Particolarmente significativo il pas-saggio in cui si stigmatizzava che “Il San-tuario di Largo Daga non si tocca, non è in discussione e i suoi sacerdoti non hanno peccati…” In realtà, sono ormai trent’anni che la-mentiamo il monopolio dei “civili” al DAP. A partire dai direttori penitenziari che hanno letteralmente monopolizzato l’am-ministrazione penitenziaria e la gestione del Corpo. Costoro, infatti, sono entrati nel palazzo agli inizi degli anni Novanta con un pas-separtout creato apposta per loro dalla legge 395, poi blindato successivamente con la legge Meduri. Fino ad allora, non vi era traccia di loro nella direzione generale per gli istituti di prevenzione e pena e i direttori di carcere facevano solo i direttori di carcere. Ma, come abbiamo constatato sulla no-stra pelle, il lobbismo in Italia paga sem-pre e questi funzionari civili hanno trovato il modo di appropriarsi di tutti i benefici del comparto sicurezza senza, però, su-bire alcun vincolo legato alle funzioni di

    N

    A trent’anni dalla Riforma il DAP assomiglia sempre più al Castello di Kafka

    polizia. E, soprattutto, hanno occupato ogni centro di potere al dipartimento. E lo hanno fatto molto bene … con proce-dure chirurgiche, fino a raggiungere il ver-tice del Palazzo. Non dimentichiamo personaggi come Emilio Di Somma che per primo si è se-duto sulla poltrona del vice capo diparti-mento, o Luigi Pagano che ha assunto ad interim le funzioni di capo dipartimento per quasi un anno. E non possiamo dimenticarci neppure di personaggi come Riccardo Turrini Vita (da più di venticinque anni ai vertici dell’am-ministrazione) o Pietro Buffa, grand com-mis dell’establishment e abile stratega del programma di depotenziamento della Po-lizia Penitenziaria. E dobbiamo anche riconoscere, per non sminuirne le capacità, il ruolo di primo piano che altri dirigenti storici del DAP hanno avuto nella costruzione dell’archi-tettura dell’amministrazione che ci ritro-viamo oggi (a subire): Massimo De Pascalis e Luigia Culla. Non dimentichiamo nemmeno che per raggiungere certi traguardi, la categoria dei direttori di carcere è riuscita ad attri-buirsi la dirigenza per tutti e ben 17 (di-ciassette) posti da dirigente generale. Niente male per un gruppetto di poco più di trecento persone … chapeau! Ci vorranno decenni (forse secoli) alla no-stra dirigenza per aprire una breccia nel Castello del potere che si sono costruiti i direttori di carcere in questi trent’anni di egemonia. Un Castello che assomiglia sempre di più a quello di Kafka, quello dal quale giun-gono gli ordini di strani e inafferrabili fun-zionari, laddove il signor K. non è mai riuscito ad entrare. “Non si vedeva nulla della collina del Ca-stello” … questo l’incipit del romanzo dello scrittore praghese, così come non si vede nulla (e non si sa nulla) di quello che si

    Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 5

    combina al DAP. I personaggi del romanzo vivono e ope-rano costantemente in relazione al Ca-stello. Attendono i suoi favori, il riconoscimento e perfino la considera-zione. L’opera narrativa dello scrittore ceco è pervasa d’impotenza e nessuno può fare ciò che vuole fino in fondo, perché ci sono delle forze che agiscono contro la sua vo-lontà. Se Kafka avesse scritto questa storia ai tempi nostri, anziché negli anni Venti del secolo scorso, non avrei avuto alcun dub-bio che ad ispirarla fosse stato proprio il dipartimento dell’amministrazione peni-tenziaria. l

    Nella foto: immagine allegorica del DAP ispirata al Castello dei Pirenei di Magritte

  • 6 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    ono state un grande successo di partecipazione le tre diverse manifestazioni organizzate dal Sindacato Auto-nomo Polizia Penitenziaria SAPPE davanti al carcere di S. Maria Capua Vetere (17 giugno 2020) e Roma, di

    fronte al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (25 giugno 2020) ed al Ministero della Giustizia (1 luglio 2020). Osservando le norme sul distanziamento sociale e indossando le mascherine del Sindacato, centinaia e centinaia di parteci-panti hanno chiesto un decisivo impegno del Ministro della Giu-stizia Alfonso Bonafede per ottenere più tutele e garanzie per il Personale del Corpo. Sono stati giorni di fatica e di passione.

    Di fatica fisica perché il SAPPE, in particolare nella persona del Segretario Generale Donato Capece, non si è certo rispar-miato ed è stato presente diversi giorni proprio a S. Maria Capua Vetere, accompagnato dai dirigenti sindacali nazionali e regionali della Campania, a tutelare e difendere i colleghi del penitenziario dopo i noti fatti accaduti l’11 giugno scorso. Di passione perché, come hanno i tre sit-in, a cominciare da quello del 17 giugno scorso davanti alla Casa Circondariale “F. Uccella”, sono stati davvero in tanti a scendere in piazza a ma-nifestare, sotto le bandiere del SAPPE, nonostante le rigide di-sposizioni in materia di “distanziamento sociale” (Covid-19), per rivendicare dignità e rispetto per il Corpo di Polizia Peni-tenziaria ed i suoi appartenenti. Nelle tre manifestazioni di protesta abbiamo tra l’altro ribadito quel che da subito il SAPPE ha stigmatizzato. Ossia, che quel che è avvenuto l’11 giugno scorso davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere è stato un episodio estremamente grave e inaccettabile. Come è noto, sono stati momenti di grande

    tensione tra il personale di Polizia Penitenziaria ed un gruppo di Carabinieri in borghese che volevano notificare una serie di avvisi di garanzia per presunti maltrattamenti a detenuti du-rante la rivolta dello scorso aprile. E’ stata posta in essere una spettacolarizzazione assurda per notificare degli atti giudiziari: anziché farlo all’interno del penitenziario, con tutte quelle ga-ranzie che ad ogni piè sospinto si rivendicano per ogni cittadino, si è assistito al fermo ed alla identificazione da parte dei militi dell’Arma di chiunque entrava e usciva dal carcere. Una situa-zione incredibile ed assurda, accaduto per altro davanti ai fa-miliari dei detenuti in attesa di accedere in carcere per i colloqui, senza alcun senso se non quello di determinare la ferma protesta dei poliziotti penitenziari, riversatisi in massa nel viale di accesso al carcere ed alcuni addirittura andati sui tetti della caserma. Davvero non c’era altro modo per notificare gli atti per presunte violenze ai detenuti? Davvero non si è pensato a che cosa que-sto avrebbe (ed ha!) provocato? La procedura adottata in ma-niera assolutamente inopportuna ha offeso l'immagine Istituzionale di uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato quale è la Polizia Penitenziaria! Uomini delle Istituzioni in divisa bloccati, come delinquenti da-vanti alla propria sede di lavoro e alla presenza dei familiari dei detenuti. Una dignità umana e professionale massacrate, il tutto per l’acquisizione dei telefonini personali e per la notifica degli atti dell'indagine in corso. Una privacy violata, servizi es-senziali interrotti. Massima fiducia nella Magistratura, come sempre, ma va con serenità ribadito che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato. Lo abbiamo detto e ribadito. Non siamo volutamente entrati nel merito delle accuse formulate ad alcuni appartenenti al Corpo, ferma restando la garanzia costituzionale della presunzione di innocenza, ma va detto con fermezza che è inaccettabile questo clima di violenza e sospetto contro la Polizia Penitenziaria, ali-mentato dai tanti che soffrono di strabismo quando parlano di garanzie... Altrettanto inaccettabile è non dare al personale le garanzie di tutela verso i detenuti violenti, che adesso usano anche la clava delle denunce nonostante il nostro operato è sempre improntato a garantire ordine e sicurezza in carcere. La nostra denuncia e vibrata protesta ha determinato un co-municato stampa del Procuratore Generale, che ha chiesto det-tagliate notizie in merito alla Procura di S. Maria ed all'Arma dei Carabinieri che ha proceduto. Giovedì 25 giugno la protesta del SAPPE si è spostata a Roma,

    Roberto Martinelli Capo Redattore

    Segretario Generale Aggiunto del Sappe

    [email protected]

    Roma, grande successo delle manifestazioni del Sappe per rivendicare dignità e rispettoS

    Nella foto: Donato Capece,

    Matteo Salvini e Jacopo Morrone

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 7

    davanti al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, nel quartiere romano di Bravetta. Nel pieno rispetto delle norme sul distanziamento sociale e indossando le mascherine del Sin-dacato, i tanti manifestanti raccolti sotto le nostre bandiere azzurre (tra i quali una delegazione di Agenti del carcere di S.Maria Capua Vetere) hanno chiesto ai nuovi vertici del DAP più tutele e garanzie per il Personale. Alla manifestazione erano presenti anche il segretario federale della Lega  Matteo Salvini, il deputato Jacopo Morrone e una delegazione di can-didati risultati idonei alla prova scritta al concorso per l'arruo-lamento di 754 allievi agenti pubblicato nel 2019. I giovani candidati, che da tempo lottano per uno scorrimento della loro graduatoria, hanno colto l'occasione per sottoporre personal-mente le criticità di una procedura concorsuale ancora bloccata per via delle misure di distanziamento sociale imposte dal dif-fondersi della pandemia.  Salvini è intervenuto esprimendo solidarietà alla Polizia Peni-tenziaria ed al SAPPE e scrivendo, sul proprio profilo social: “Non capisco perché la Polizia Penitenziaria il cui dirigente di-pende da un magistrato, quando torniamo al governo perché ci torniamo ne parliamo… Come può essere un Paese civile quello che non tutela il lavoro di donne e uomini in divisa? Siamo al loro fianco”. Ed ancora: “I garanti dei detenuti per quello che mi riguarda potrebbero fare tranquillamente un altro mestiere, anche perché gli uomini e le donne in divisa sono di per sé garanti, di se stessi e degli altri. Io non penso che nes-suno si svegli alla mattina dicendo ‘come posso torturare’, se i detenuti sono tranquilli siam tutti tranquilli”. Dopo i sit-in davanti al carcere di S.Maria Capua Vetere e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, mercoledì 1 luglio siamo stati a gridare sotto le ovattate stanze del Mini-stero della Giustizia in via Arenula a Roma per denunciare le gravi violenze contro i poliziotti delle carceri italiane, sempre più spesso aggrediti, minacciati, feriti, contusi e colpiti con calci e pugni da detenuti e la mancata assunzione di provvedi-menti in materia di ordine e sicurezza delle carceri da parte del Ministro della Giustizia Bonafede a tutela degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, sintomo evidentemente di una mancanza di progettualità dell’esecuzione della pena e, in que-sto, contesto del ruolo dei Baschi Azzurri. I numeri delle carceri e dell’esecuzione della pena in Italia par-lano da soli: alla data del 30 giugno scorso, erano detenute nelle carceri del Paese 53.579 detenuti rispetto alla capienza regolamentare di poco meno di 50mila posti. Gli stranieri ri-stretti nelle nostre carceri sono 17.510 (il 32,68%). Ben 102.604 i soggetti seguiti dagli Uffici di esecuzione penale esterna, 1.348 i minorenni e giovani adulti presenti nei servizi residenziali e 13.279 quelli in carico ai servizi della Giustizia minorile. E in questo contesto, gli eventi critici contro gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria sono aumentati in maniera spaven-tosa. Siamo passati dalle 378 aggressioni agli Agenti del primo semestre 2019 ai 502 del successivo semestre, dai 737 ai 1.119 telefonini rinvenuti e sequestrati ai detenuti, dalle 477 minacce-violenze-ingiurie alle 546, dalle 3.819 alle 4.179 ma-

    nifestazioni di protesta. Senza dimenticare le recenti rivolte in oltre trenta strutture detentive sull’intero territorio nazionale, con circa 60 poliziotti penitenziari feriti e contusi, 13 detenuti morti per abuso di farmaci (9 a Modena e 4 a Rieti), interi Re-parti detentivi devastati, incendiati e distrutti, Agenti seque-strati, maxi evasioni, fuoco e fiamme un po’ ovunque. E tutto questo in assenza di provvedimenti utili a garantire la sicurezza e l’incolumità del personale di Polizia Penitenziaria. E’ per altro notizia di questi giorni che il procuratore nazione antimafia Federico Cafiero De Raho ha fatto sapere che stanno indagando sulle rivolte carcerarie avvenute tra il 7 e il’11 marzo scorso. Quindi vuol dire che gli inquirenti hanno il sospetto che ci sia stata una regia mafiosa, una strategia fatta a tavolino coordinando i 49 istituti penitenziari del territorio nazionale protagonisti delle violente rivolte. A che pro questa presunta strategia da parte della criminalità organizzata? Un’arma di ricatto per ottenere i domiciliari, benefici vari e poi, secondo la versione che è stata fatta trapelare da alcuni ma-gistrati e ipotesi giornalistiche, ottenuti con le famigerate “scarcerazioni”, o meglio la detenzione domiciliare per gravi motivi di salute nei confronti di circa 500 detenuti reclusi per reati mafiosi. Tesi che anche noi avevamo sostenuto in un ar-ticolo pubblicato in uno dei precedenti numeri della Rivista. Tornando alla manifestazione in via Arenula, il SAPPE ha riba-dito, a due passi da suo ufficio, che anche il Ministro della Giu-stizia Alfonso Bonafede ha gravi responsabilità. Ci sembra palese come il Guardasigilli sia sempre più distante dalla ‘sua’ forza di Polizia, la Polizia Penitenziaria. Non ha speso una parola per i colleghi di S.Maria Capua Vetere, non ha speso una parola per stigmatizzare le continue violenze in danno dei poliziotti, non ha indicato una soluzione concreta per fermare questa spirale di violenza: anzi, sembra che le proposte per ri-vedere i circuiti e le norme dell’ordinamento penitenziario, a partire dalla vigilanza dinamica delle carceri che è alla base di tutta questa violenza inaccettabile, siano state abbandonate in qualche cassetto polveroso del Ministero. Ma un Ministro della Giustizia non può occuparsi solo di anti-corruzione o pensare di confrontarsi solamente con il Garante dei detenuti (!) sulle tematiche del carcere: Bonafede sta con Caino o con Abele? Gradite presenze alla manifestazione del SAPPE i senatori Maurizio Gasparri (Forza Italia) e Luca Bri-ziarelli (Lega Salvini Premier) e i deputati Jacopo Morrone (Lega Salvini Premier) ed Emanuele Prisco (Fratelli d’Italia). “Bonafede sveglia!” è lo slogan che più è ricorso nei cori dei manifestanti e nei volantini distribuiti, accompagnati dal dise-gno proprio di una sveglia con lo scudo del SAPPE. Per noi del SAPPE, il personale di Polizia Penitenziaria è stanco di subire umiliazioni ogni giorno a causa di una amministrazione matri-gna che non tiene affatto al benessere del personale e con il paradosso di vedere gli agenti aggrediti e denunciati ed i de-tenuti coccolati… Abbiamo detto una volta di più che confidiamo, e lo ribadiamo, nella magistratura, ma è inaccettabile che passi il concetto che le carceri italiane siano luoghi oscuri dove accade di tutto e di più. Sul carcere viene detto e si legge di tutto. s

  • 8 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    Come però bene hanno sottolineato esperti del settore (1), ad oggi le fake news rappresentano un fenomeno in costante cre-scita capace di influenzare l’opinione pubblica, creando una serie di meccanismi in grado di impattare su giudizi ed opi-nioni. I social network hanno amplificato questo processo che oggi rischia di diventare un problema. Inizialmente le informa-zioni venivano veicolate solo da esperti del settore come gior-nalisti, mentre oggi chiunque ha la possibilità di produrle; questa situazione può avere delle accezioni sia negative che positive.  Di positivo c’è il fattore dell’informazione in tempo reale, non è più necessario attendere la pubblicazione dei quotidiani per essere informati, coinvolgendo così anche un pubblico mag-giore, se invece guardiamo il lato negativo ritroviamo una pro-blematica legata alle migliaia di informazioni che circolano online, le quali spesso provengono da fonti non autorevoli o da fonti atte a creare notizie completamente false che prendono il nome di fake news.  Nel 2016 il termine post-verità è divenuto parola dell’anno se-condo l’Oxford Dictionary, si tratta di un vero e proprio feno-meno che coinvolge in primis coloro che si occupano degli uffici stampa, in quanto il fattore trainante della  post-verità sono le fake news. Quest’ultime possiamo definirle in generale come informazioni che in qualche modo vadano a distorcere notizie effettivamente vere o inventandole completamente, questa tipologia di infor-mazioni vengono costruite e pensate appositamente per avere un effetto virale e provocare una certa reazione sociale, posi-tiva o negativa che sia. Dobbiamo inoltre specificare che ai tempi odierni – nel mondo in cui le relazioni sui social hanno più importanza di quelle reali – la veridicità della notizia o della fonte passa in secondo piano, facendone emergere il lato emotivo o concetti superficiali stu-diati ad hoc. E’ anche su questo fronte che ci deve essere un impegno mas-simo: ed è per questo che il SAPPE continua a sostenere come sia importante e fondamentale avere un’efficace comunica-zione istituzionale per non alimentare la costante disinforma-zione. E a meritare rispetto sono anche e soprattutto le centinaia e centinaia di colleghe e colleghi scesi in piazza in queste settimane, anche e soprattutto da coloro i quali hanno strumentalizzato e strumentalizzano aspettative individuali, di ruolo e di categoria (senza per altro avere alcuna agibilità sin-dacale e politica) per il solo gusto di denigrare, offendere, ca-lunniare, spesso nascosti dietro alla tastiera di un PC o ad un profilo sociale falso. A tutti loro, alle donne ed agli uomini appartenenti al Corpo che in queste settimane ci hanno seguito, hanno aderito e par-tecipato alle manifestazioni sotto le bandiere del SAPPE, va il nostro GRAZIE! 10, 100, 1000 VOLTE GRAZIE! (1) Post-verità e fake news: la diffusione nei social di Alberto Dalla Nora: https://www.culturedigitali.org/post-verita-e-fake-news-la-diffusione-nei-social/

    l

    ome è noto, nella Gazzetta Ufficiale n.39 del 19 Maggio 2020  è stato pubblicato il bando di concorso, con selezione per esami, per l’accesso alla carriera dirigenziale penitenziaria.

    Sono 45 i posti autorizzati a tempo indeterminato, per i quali potranno concorrere  laureati in Giurisprudenza, economia e scienze politiche. Già diffuso nei mesi scorsi il Decreto del Ministero della Giustizia (DM 22 Gennaio 2020) che ha definito nuovi criteri assunzionali. Il concorso di accesso al ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario della carriera dirigenziale penitenziaria consiste in 3 prove scritte e una prova orale. Questo volume è pensato per la preparazione alle PROVE SCRITTE  del concorso per  45 Dirigenti di Istituto Penitenziario presso il Ministero della Giustizia. La prima prova scritta vede la risoluzione di domande a risposta multipla vertenti sulle seguenti materie: • diritto penitenziario; • diritto amministrativo; • diritto costituzionale e pubblico; • diritto penale (codice Libro I, Libro II, Titoli II e VII); • elementi di procedura penale; • contabilità di stato con particolare riferimento al regolamento di contabilità degli istituti di prevenzione e di pena; • scienze dell’organizzazione con particolare riferimento alla gestione dei gruppi. Le successive  due prove scritte  consistono nello svolgimento di due elaborati, vertenti su diritto penitenziario e diritto amministrativo. Il volume sostiene il candidato nella preparazione alle prove scritte che si sostanzieranno: la prima in forma di domande a risposta multipla mentre la seconda e la terza in elaborati scritti o questionario a risposte sintetiche.

    CONCORSO 45 DIRIGENTI ISTITUTO PENITENZIARIO 2020: Manuale completo + Quiz per la preparazione al concorso NDL Concorsi pagg. 500 - euro 48,00

    Convenzione SAPPE: 5% di sconto mediante un codice sconto da applicare sul sito della Casa editrice che si va a sommare all’attuale sconto del 5%, senza spese di spedizione

    C

  • Giovanni Battista Durante Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

    Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 9

    sistema migliori. Finora, purtroppo, ciò non è stato trovato; non credo perché siamo in presenza sempre di uno Stato e di governanti cattivi, ma proprio perché gente come coloro che sono al 41 bis e tutti gli appartenenti alla criminalità or-ganizzata ed i terroristi non possono es-sere custoditi in altri luoghi. Come scrive l’avvocato Brucale, già col riordino delle carriere si voleva eliminare la dipendenza gerarchica dei vertici del Corpo dai direttori; ciò, aggiungiamo noi, perché nel nostro ordinamento non esiste in nessuna altra organizzazione che diri-genti appartenenti a carriere diverse, con compiti e funzioni diversi, reclutati con procedure di selezione diverse, possano dipendere gerarchicamente gli uni dagli altri. Tale stortura giuridica andava eli-minata, senza che con ciò nessuno po-tesse sfuggire alle proprie responsabilità ed ai propri compiti. Ho già scritto in un altro articolo che i Questori non dipendono gerarchicamente dai prefetti, così come la Polizia giudizia-ria non dipende gerarchicamente dal Pubblico Ministero, in entrambi i casi c’è una dipendenza funzionale, e in entrambi i casi non si è mai verificato che i que-stori abbiano usurpato i compiti dei Pre-fetti e la Polizia giudiziaria quelli dei Pubblici Ministeri. L’avvocato Brucale avanza addirittura l’ipotesi, ovvero so-stiene la tesi, che al concorso per Diri-gente penitenziario non dovevano esserci posti riservati per gli attuali funzionari/dirigenti della Polizia Peniten-ziaria, perché questo produce un rischio di militarizzazione delle carceri. Intanto bisogna osservare che, al di là della riserva dei posti, avrebbero potuto partecipare come esterni, tranne che l’autrice dell’articolo non pretenda che si vieti la partecipazione al concorso a chi ha, a qualsiasi titolo, indossato una divisa o un’uniforme. Probabilmente, per l’au-

    i recente, sul Riformista, quoti-diano diretto da Piero Sanso-netti, è stato pubblicato un articolo dal titolo “Il concorso

    per direttori, carceri militarizzate, torna la minaccia”, a firma di Maria Brucale, già avvocato di Bernardo Provenzano e componente del direttivo di nessuno toc-chi caino. Il bando di un concorso per di-rigenti penitenziari ha fatto tornare alla ribalta una questione ideologica mai so-pita: la militarizzazione delle carceri e la deriva securitaria, laddove la Polizia Pe-nitenziaria dovesse avere un qualsivoglia ruolo decisionale, dimenticando che il Corpo di cui si parla non è più militare dal 15 dicembre del 1990, anno della ri-forma, e che i vertici dello stesso sono tutti laureati in giurisprudenza e alcuni di essi hanno più di una laurea e un ma-ster di secondo livello in scienze peniten-ziarie. Tutto ciò per qualcuno non conta, perché basta indossare una divisa e sei di parte, di parte giustizialista. Ormai, da anni, il carcere e tutto ciò che vi ruota intorno è diventato luogo di scontro ideologico tra chi lo vorrebbe abolire e chi, invece, vorrebbe “buttare le chiavi”. Non si è mai riusciti a trovare il giusto equilibrio che deve essere dettato dal di-ritto e dal bilanciamento tra le esigenze di sicurezza dello Stato e dei cittadini e la dignità del detenuto, preservando lo stesso dai cosiddetti trattamenti inumani e degradanti. Esigenze di sicurezza che impongono il carcere duro, il 41 bis, per alcune tipologie di detenuti, rispetto ai quali non può esserci alcuna rieduca-zione, alcun reinserimento sociale, per-ché le leggi non scritte delle organizzazioni criminali a cui apparten-gono non lo consentono. Il carcere, come luogo di esecuzione della pena, potrebbe anche essere eliminato dal nostro ordi-namento, se si trovassero un luogo ed un

    trice dell’articolo, ciò determinerebbe un marchio indelebile, al punto da non poter consentire loro di fare i Direttori di isti-tuti penitenziari. Il precedente percorso di carriera in una Forza di polizia non ha impedito ad alcuni di questi funzionari di andare a fare i magistrati, dopo aver prima fatto i poliziotti, anche nella Poli-zia Penitenziaria. L’avvocato Brucale ar-riva addirittura ad affermare, in maniera del tutto fuorviante, che il 15% dei pros-simi Dirigenti penitenziari, quelli che cioè entreranno con la riserva dei posti, indosseranno l’uniforme. Ciò non corrisponde assolutamente al vero e dovrebbe essere noto all’autrice dello scritto, essendo una giurista, atteso che la loro carriera sarà regolata da un altro ordinamento, rispetto a quello della Polizia Penitenziaria, cioè quello dei Di-rigenti penitenziari. se ognuno è mar-chiato a vita dal proprio passato, come sembra voler affermare l’avvocato Bru-cale, allora anche i delinquenti, dovreb-bero restare tali per sempre, ma noi non la pensiamo così, perché crediamo nel recupero di una parte di essi, quelli che vogliono e possono essere recuperati, ad esclusione, ovviamente, dei mafiosi, per le ragioni scritte poc’anzi, tranne che non decidano di collaborare con la giustizia. Auspichiamo che, prima o poi, le que-stioni relative all’esecuzione della pena vengano affrontate in maniera più con-creta e meno ideologica, di quanto non sia stato fatto finora, perché da qualche anno a questa parte il sistema della si-curezza nelle carceri è stato completa-mente destrutturato, al punto che i detenuti, nella prima settimana di marzo, se ne sono impossessati come e quando hanno voluto. Non sarà facile, perché quelli che la pen-sano come l’avvocato Brucale sono tanti, sono ben organizzati e possono benefi-ciare di un’Europa che non conosce il fe-nomeno mafioso fino in fondo, per affrontarlo come si dovrebbe, cioè come lo hanno affrontato Falcone e Borsellino in Italia. L’altro grande vantaggio di que-sti signori è che l’Italia, probabilmente, nelle cause in cui vengono messi in di-scussione le leggi antimafia, non si di-fende come dovrebbe. l

    Troppa ideologia quando si parla di carcere

    Nella foto: l’avvocato Maria Brucale

    D

  • 10 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    uando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Prendiamo in prestito questa battuta di Bluto (John Belushi)

    in Animal House, per descrivere quello che ha fatto il Sappe nel mese di giu-gno, dando voce alla protesta della Po-lizia Penitenziaria. La goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza è stata quella, ama-rissima, versata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere quando, l’11 giugno scorso, ha deciso di notificare cin-quanta avvisi di garanzia ad altrettanti colleghi con una “spettacolare” opera-zione dei carabinieri davanti al carcere sammaritano. Per sgombrare il campo da tutti gli equivoci, quello che si disapprova non è

    il diritto della magistratura a fare inda-gini e contestare reati, ma le modalità con le quali è stato esercitato questo di-ritto esponendo cinquanta servitori dello Stato al pubblico ludibrio. La giustizia farà (e deve fare) il suo corso e siamo certissimi che i colleghi saranno prosciolti da ogni accusa, ma nessuno potrà mai cancellare quelle bruttissime immagini che sono sem-brate più un operazione contro la crimi-nalità organizzata che non la notifica di un atto di procedura penale. E questa triste vicenda è arrivata dopo mesi di passione nelle carcere italiane, con rivolte in oltre trenta istituti, 14 morti, evasioni di massa, moltissimi fe-riti e devastazioni ovunque. Questo è quello che il Sappe ha voluto

    SAPPEINFORMA

    Qgridare nelle piazze, partendo proprio da S. Maria Capua Vetere il 17 di giu-gno, per passare sotto il DAP il 25 giu-gno e terminare il primo luglio a via Arenula sotto le finestre del Ministro Bonafede. Quel Ministro che, a nostro avviso, è sempre più distante dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Quel Ministro che non ha speso una pa-rola per i colleghi di S. Maria Capua Ve-tere, così come non ha speso una parola per condannare le continue violenze in danno dei poliziotti penitenziari. Quel Ministro che non ha trovato (l’ha cercata?) alcuna soluzione ne alcun ri-medio per fermare questa spirale di violenza. Sotto le sue finestre abbiamo chiesto a

    Quando il gioco si fa duro...

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 11

    s

    gran voce la revoca di quella vigilanza dinamica e di quel regime aperto che tanti danni hanno prodotto. Sotto le sue finestre abbiamo chiesto a gran voce che i poliziotti penitenziari vengano dotati di efficaci strumenti di difesa … siano essi il taser, gli spray ur-ticanti o qualsiasi altro dispositivo utile a salvaguardare l’integrità fisica e l’in-columità di chi lavora in prima linea.

    Abbiamo gridato BASTA alle aggres-sioni. Abbiamo urlato GIU’ LE MANI dalla Po-lizia Penitenziaria. Ma, soprattutto, abbiamo strillato a gran voce che non ci fermeremo fino a quando non saranno ripristinati ordine e sicurezza negli istituti penitenziari. E stiamo già preparando nuove manife-stazioni di protesta. l

    Nelle foto: una rassegna fotografica della manifestazione di protesta davanti al DAP

  • 12 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    SAPPEINFORMA

    Nelle foto: ancora

    immagini della manifestazione

    del Sappe davanti al DAP

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 13

    s

  • 14 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    SAPPEINFORMA

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 15

    s

  • 16 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    SAPPEINFORMA

    Nelle foto: la protesta

    dei poliziotti penitenziari

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 17

  • 18 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    SAPPEINFORMA

    Nelle foto: ancora immagini

    della protesta del Sappe

  • nosco la divisa, avendola indossata per dieci anni, e comprendo cosa significa, ed è per questo che a mio parere, an-drebbe introdotto nelle scuole di Polizia Penitenziaria l’insegnamento di Servizio Sociale, i cui docenti dovrebbero proprio i Funzionari di Servizio Sociale.

    A ciò potrebbero seguire tirocini speri-mentali dei predetti allievi in affianca-mento. Questi ultimi, di certo dovrebbero es-sere dotati di una mentalità nuova, più aperta, flessibile al mondo delle misure alternative e di comunità. Tale reciprocità non solo arricchirebbe il bagaglio culturale di entrambi i set-tori, Polizia Penitenziaria e Servizio So-ciale, ma consentirebbe davvero di abbattere i pregiudizi, di lavorare in si-nergia e di contribuire insieme, in un’ot-tica di bilanciamento tra aiuto e controllo al benessere e alla sicurezza della comunità.

    Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 19

    Gennaro Del Prete Funzionario di Servizio Sociale UEPE locale [email protected]

    ome è noto il decreto ministe-riale 1 dicembre 2017, ha isti-tuito i Nuclei di Polizia Penitenziaria all’interno degli

    UEPE, che a tutt’oggi sono in fase di at-tuazione. L’intenzione del legislatore, è senz’altro quella di liberare le forze dell’ordine ge-neraliste, come Carabinieri e Polizia, dall’incombenza della gestione delle Mi-sure Alternative (la cui gestione-con-trollo naturale da sempre è affidata agli UEPE) Affidando maggiori compiti in tal senso alla Polizia Penitenziaria. Tale riforma, è a mio parere molto impor-tante e necessaria, perché consentirebbe una collaborazione diretta tra noi Funzio-nari di Servizio Sociale e le nostre fami-liari FF.OO. Per esperienza diretta, posso dire che trovo difficoltoso rivolgermi a volte a Carabinieri e Polizia, per i assu-mere informazioni sul territorio per me utili, per le indagini, gestione, confronto, controllo di una misura alternativa. Lo trovo difficoltoso per il semplice fatto che logisticamente sono ubicate lontano da me e che troppo spesso e giusta-mente sono impegnate per il controllo del territorio e la prevenzione del cri-mine. La presenza dei Nuclei di Polizia Peniten-ziaria però, a mio avviso andrebbe anti-cipata dall’inserimento dei Funzionari di Servizio Sociale in seno ai ruoli tecnici, che andrebbe a creare un’unica famiglia esperta nell’esecuzione delle pene, mi-sure alterative e misure di comunità. Tale riforma consentirebbe un maggiore ingresso, quindi nuove assunzioni, di Funzionari di Servizio Sociale, poiché come è noto, il comparto sicurezza ha maggiore risorse finanziare. Detto ciò, troverei anche, utile avendo un contatto diretto e naturale, rivolgermi alla Polizia Penitenziaria al fine delle in-dagini sul territorio, gestione delle mi- l

    Maggiori compiti alla Polizia PenitenziariaC

    sure alternative e quanto tutto ciò pre-visto dalla norma. Ad esempio, capita so-vente, che gli interventi attualmente posti in essere tra Forze dell’ordine e Uf-fici per l’Esecuzione Penale Esterna siano scoordinati, per questioni legate alle dif-ferenze organizzative, logistiche e altro.

    I Nuclei di Polizia Penitenziaria, consen-tirebbero un coordinamento unico, nella logica della collaborazione, controllo del territorio e specialità, sul modello euro-peo della Community Sanction. Opportune in tal senso, sono parole come collaborazione, dialogo, accetta-zione reciproca. Di certo, per avviare questo cambia-mento radicale, ci vuole pazienza, abne-gazione, giovani, mentalità flessibile e scuola. Ed è proprio dalla scuola che si dovrebbe partire. A volte lo straniero, l’alieno ci spaventa perché in fondo non lo conosciamo. Io co-

  • 20 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    otto un profilo strettamente sa-nitario la pandemia covid 19 è stata abbastanza benevola con i minorenni del nostro Paese :

    solo circa 5000 - e cioè il 2,1% del to-tale italiano dei contagiati ( 240.000 a fine giugno 2020 ) - è risultato positivo al corona virus e, fortunatamente, senza gravi complicazione di natura medica.

    Ma per quanto concerne l’aspetto psico-sociologico, purtroppo, l’epidemia ha avuto effetti devastanti sulla personalità dei nostri minorenni - sia in base alla fa-scia di età che in relazione alle loro si-tuazioni personali e sociali di sostenibilità - acuendo le disuguaglianze già esistenti per i più piccoli, i più poveri, quelli stranieri e i portatori di handicap.

    Invero Fabiola Riccardini, capo ricerca-tore senior dell’Istat e presidente dell’ ARPSESS (Associazione Sviluppo Be-nessere Sostenibile Solidale) rileva acu-tamente come “Il concetto di sostenibilità [ sociale ] …non può essere scisso da quello di equità: i due aspetti si compenetrano e si influenzano mu-tualmente. Le disuguaglianze non fanno altro che rendere più insostenibili certe realtà e creano insostenibilità sociale…[le insostenibilità sociali] creano nuove disuguaglianze e le disuguaglianze am-plificano gli effetti [delle predette] ”. (1) Ciò emerge chiaramente dalla ricerca dell’Irccs “Giannina Gaslini” insieme all’università di Genova, presentata il 16 giugno 2020, che ha interpellato con un questionario un campione di 3.245 fa-miglie con figli minori, residenti sull’in-tero territorio italiano, tracciando un quadro dei sintomi di malessere psico-logico e comportamentale che hanno colpito gli infradiciottenni, cagionati dal forzato isolamento in casa (cosiddetto lockdown, distinti per due fasce di età: minori fino ai sei anni e quelli dai sei a diciotto. Intanto colpisce che, purtroppo, le pre-dette problematiche comportamentali regressive abbiano interessato sette ra-gazzi su dieci (esattamente il 65% dei minori di sei anni e il 71% dei minori fra i sei e i diciotto anni). Nei minori di sei anni è stato riscontrato, praticamente in tutto il campione, un notevole incremento di irritabilità del soggetto, seguito (per circa il 50% del campione) da difficoltà di addormen-tarsi, con risvegli notturni, inquietudine e ansia da separazione, mentre (in circa il 20% del campione), vi è stata la pre-senza di casi di pianto inconsolabile e di scarso appetito. Nei minorenni fra i 6 e i 18 anni, invece, prevale in quasi tutti, una sensazione so-

    Roberto Thomas già Magistrato minorile

    Direttore del Corso di perfezionamento in

    Criminologia e Psicologia sociale presso

    Università LUMSA di Roma [email protected]

    S

    L’incremento della devianza psicologica e sociale minorile dovuto al corona virus

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 21

    matica ansiogena di “fiato corto”, irrita-bilità e cambio di umore, con difficoltà ad andare a letto e fatica a svegliarsi. Inoltre, si è anche rilevato in molti casi, un utilizzo improprio dei social e in ge-nerale dei mezzi informatici, che hanno accompagnato i nostri ragazzi durante tutto il periodo degli “arresti domici-liari”, sia per l’eccessivo tempo quoti-diano della connessione telematica, che per la curiosità all’accesso a siti perico-losi costituenti la cosiddetta black list , e cioè lista nera, (come, ad esempio, quelli pedopornografici e i siti concer-nenti l’uso delle droghe) . Tale utilizzo, però, ha anche, e soprat-tutto, costituito un elemento positivo di “consolazione” per tanti minori di vin-

    cere una profonda e a volte angosciosa solitudine, rendendo loro possibile di mantenere con l’esterno i contatti ami-cali, spesso in una situazione genitoriale assai difficile, perché condizionata da un’ inusuale costanza temporale quoti-diana delle relazioni di coppia, in una convivenza nervosa (per le future incer-tezze lavorative, che ha anche prodotto anche un aumento di violenze domesti-che, ovvero pure a causa dell’utilizza-zione obbligatoria del “lavoro da casa”, cosiddetto smart working) in spazi ri-stretti di piccoli appartamenti. Certamente la possibilità di mantenere, attraverso le piattaforme video, il con-tatto educativo giornaliero con la scuola è stato indispensabile a contenere i gravi danni del lockdown. Però bisogna considerare che circa il

    Nelle foto: sopra ragazzi in oratorio a sinistra minore al computer nell’altra pagina minori violenti

    25% degli studenti (quelli delle famiglie più povere, spesso abitanti al sud Italia, ovvero immigrate straniere, e di quasi tutti i disabili a cui necessita la relazione diretta e reale, e non virtuale, con l’inse-gnante di sostegno) non ha avuto la pos-sibilità del precitato contatto scolastico, sia per difetto di un autonomo disposi-tivo informatico ovvero per mancanza della relativa connessione telematica sul territorio su cui si trovava la loro abita-zione . La povertà educativa conseguente al blocco delle lezioni in presenza ha co-stretto uno su quattro dei minorenni stu-denti ad una sostanziale esclusione sociale, incrementando la già prece-dente mortificazione subita a causa della penalizzante povertà economica : una disuguaglianza in più rispetto ai coetanei più fortunati di loro. Comunque anche gli studenti che hanno avuto la possibilità di un collegamento quotidiano con la propria scuola - dopo i primissimi giorni in cui siffatta connes-sione virtuale è apparsa come una asso-luta novità che li incuriosiva moltissimo, quasi fosse una vacanza imprevista – hanno vissuto l’assenza dei compagni di scuola e degli insegnanti come uno stato di privazione oppressiva, a cui rea-gire anche, inconsciamente, con com-portamenti aggressivi che, potenzialmente, possono realizzarsi, una volta finito il lockdown, in azioni de-vianti, se non propriamente nella com-missione di reati. E’ questo il grave rischio che si addensa su tutti i minorenni studenti e non, in un quadro sicuramente assai preoccu-pante per le potenziali ricadute sui loro futuri comportamenti regressivi e de-vianti che fanno leva sulle loro ulteriori fragilità, che hanno contratto nel pe-riodo di chiusura dei rapporti sociali do-vuti alla pandemia, e che si sono segnalati in precedenza. Bisognerà al più presto ripristinare - sia pur mantenendo, quanto più possibile, gli accorgimenti protettivi (distanza fi-sica e mascherina) in quanto il corona virus continua a circolare – gli ordinari rapporti quotidiani con famiglia, scuola e istituzioni, tenendo conto di quanto hanno sofferto i nostri ragazzi per la

    pandemia, accompagnandoli a recupe-rare il tempo perduto in una nuova pro-spettiva di “rinascita” che speriamo possa essere migliore del periodo ante-cedente al contagio. Invero occorrerà un serio intervento da parte dello Stato nell’investire nel di-ritto all’istruzione, sostenendo adegua-tamente i nuclei familiari più disagiati, mediante un progetto politico di ampio respiro che preveda il coinvolgimento di tutte le associazioni di volontariato e del terzo settore, e di tutte le altre forze sociali, in particolare delle parrocchie mediante il potenziamento degli oratori (che secondo San Giovanni Bosco è “casa che accoglie, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi e vivere in

    allegria”). Insomma occorrerà un gigantesco inve-stimento nella famiglia e nella scuola per vincere le sempre nuove disugua-glianze che crescono nel campo mino-rile, a cui bisogna rispondere con un grande senso di equità e sostenibilità, ma soprattutto con una vera solidarietà di tutti, ai sensi dell’art. 2 della Costi-tuzione, che afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà po-litica, economica e sociale.” . (1) Fabiola Riccardini “La ripresa e le di-suguaglianze di genere”, in Affari Inter-nazionali, 13 giugno 2020 .

    l

  • 22 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    arto subito con la massima con cui terminerò il mio articolo mensile: “Ccà nisciun è fess”, motto con cui il grande mio con-

    cittadino Antonio De Curtis, in arte Totò, soleva sbeffeggiare il furbetto di turno nel suo celebre “Totò il turco napole-tano”. Più avanti capirete il perché. Sul finire di maggio scorso ho deciso di realizzare un libro bianco, il cui conte-nuto è caratterizzato da dettagliate re-lazioni quale risultato di visite sui luoghi di lavoro di tutti gli stabilimenti peni-tenziari del distretto emiliano/roma-gnolo.

    Un’iniziativa che ha il suo fine nell’evi-denziare tutta una serie di disfunzioni strutturali ed organizzative e rendere, quindi, agli organi competenti quel va-demecum in grado di indicare immediati interventi per il ripristino dell’efficienza delle strutture. E, partendo dalle devastazioni andate in onda a Modena lo scorso 8 marzo (con nove detenuti deceduti e oltre trenta fe-riti tra il personale intervenuto), il tour è proseguito in lungo e in largo nel cuore della penisola, attraversando le più di-sparate realtà. Ed ancora una volta sono state rilevate le incresciose condizioni strutturali di al-

    pur di reperire spazi detentivi per alleg-gerire il deflusso degli arrestati, ha dato disposizioni affinché venisse riaperto. Già prima degli infausti eventi la strut-tura risultava penalizzata dall’assenza di un sistema di video sorveglianza, antin-trusione, antiscavalcamento, nessuna sala regia, tutte mancanze che hanno di per sé messo in difficoltà la sicurezza istituzionale. Poi, gli eventi drammatici e la definitiva distruzione della restante parte dello sta-bilimento. Eppure, nonostante tutto ciò, la disposi-zione di riaprire alcune sezioni del car-cere, in barba ai principi minimi per il mantenimento della sicurezza e con luo-ghi completamente insalubri. Un muro di cinta inagibile da anni, con crepe al cam-minamento derivanti addirittura dal sisma del 2012, ma, ciononostante, il carcere và riaperto. In sostanza l’Amministrazione regionale appare, nel caso di specie, come quel concessionario che vende all’acquirente una macchina con motore fuso e senza freni, l’importante è che il prodotto venga venduto, pur sapendo che l’autista del veicolo può restare a piedi o schiantarsi mettendo a rischio la propria incolumità. Un Provveditore che aveva assistito in prima persona ai disordini dell’otto marzo scorso, come può arrivare a dare dispo-sizioni per una rapida riapertura per il re-perimento di spazi quando tale soluzione non è avallata da fattori in grado di assi-curare nulla in tema di agibilità, affidabi-lità, sicurezza della quasi totalità dello stabile? Ma veramente tocca fare un sentito plauso al vertice del distretto, in grado di costruire un edificio partendo dal tetto, senza fondamenta e pilastri in grado di sorreggerlo, esponendo a seri rischi un’intera categoria di poliziotti peniten-ziari in servizio nel contesto modenese. Ed il peregrinare per la regione ha co-munque fatto emergere di come la stessa macchina amministrativa venga gestita in maniera difforme anche a poca di-stanza chilometrica da una sede all’altra. Ma per dirla con un vecchio detto napo-letano “l’acqua è poca e la papera non galleggia”, con la conferma che senza soldi non si cantano messe.

    Nella foto: Totò in una scena del

    film “Un turco napoletano” del 1953

    nell’altra pagina

    in alto il nuovo padiglione

    di Parma sotto

    le devastazione nel carcere di Modena

    cuni istituti penitenziari del territorio emiliano/romagnolo che, anche per incu-ria di alcune direzioni, costituiscono un serio pericolo sia per i lavoratori che per l’utenza stessa. Di tutto è emerso, da stabilimenti peren-nemente soggetti ad infiltrazioni di acque, ad organizzazioni del lavoro discu-tibilissimi e meritevoli di aggiornamenti, a gestioni amministrative lente e com-passate che alimentano ulteriori diffi-coltà all’intero sistema penitenziario. Di tutto questo, una raccolta di tutte le relazioni che hanno risaltato le discrasie degli edifici, con la correlata segnala-zione alle Autorità amministrative.

    Ed in tutto questo l’amarezza di imbat-tersi in direzioni blande, prive di iniziativa, deludenti, difficilmente in grado di inver-tire la dolente rotta con iniziative degne di plauso. In regione Emilia Romagna, da alcuni mesi, le organizzazioni sindacali hanno interrotto le relazioni sindacali con il distretto regionale, frutto di una ge-stione a dir poco discutibilissima. Nel periodo post-covid decisioni dense di perplessità, apparentemente prive di una logica, che hanno esaltato le ulteriori de-ficienze del settore penitenziario. E’ il caso del carcere di Modena, comple-tamente devastato dalla rivolta di inizio marzo, eppure con il provveditore che

    Cca’ nisciun è fess

    Francesco Campobasso

    Segretario Nazionale del Sappe

    [email protected]

    P

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 23

    di Legge. E poi apprezzi chi, in situazioni ristrette sia di dimensioni che di dispo-nibilità, riesce a lavorare con sacrificio ed in silenzio, rendendo lustro anche a strutture vetuste con accorgimenti intel-ligenti e all’avanguardia. Ma ciò che servirebbe è anche il poter contare su dirigenti più attenti, senza che si perdano in cunicoli scuri, senza vie di uscita, perdendo solo tanto e sterile tempo senza raggiungere nulla di inte-ressante. A me, purtroppo, per deformazione pro-fessionale ma anche per essere figlio di un origine che apprezza l’umiltà e il rico-noscimento del sacrificio inteso nel senso letterale del termine, dà enorme fastidio quando mi imbatto in dirigenti che a fronte di lauti guadagni si arenano nei loro meandri, sposando in pieno il classico motto “il sazio non crede al di-giuno”. Ecco perché spesso mi devo limitare nelle mie azioni, perché quella che do-vrebbe essere una regola diventa una

    vera eccezione. E quindi, la fatiscenza di alcuni istituti, il piagnisteo di alcune direzioni, il disporre iniziative senza logica e assolutamente irrazionali, mi fa girare letteralmente i cosiddetti. Anche perché, credo, che di umiltà sono in tanti che non si possono fregiare. E, quindi, per finire, si assuma le proprie responsabilità chi omette di mettere nelle giuste condizioni il personale di operare, perché con la vita e l’incolumità personale non si scherza mai. E saremo in prima linea a denunciare qualsiasi anomalia, anche perché come diceva Totò “Cca nisciun è fess”.

    Hai voglia di denunciare deficienze strut-turali, la mancanza di uniformità alle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, se manca la materia prima difficilmente si potrà ripristinare un sistema ambien-tale ed organizzativo lineare e senza crucci normativi di alcun genere. Percorrendo la via Emilia ci si è soffer-mati sul nuovo padiglione di prossima apertura a Parma, un vero gioiellino di tecnologia e modernità che però incontra tutta una serie di difficoltà legate alla bu-rocrazia. Mentre poi ci sono istituti che, a parere dello scrivente, andrebbero chiusi definitivamente ma che resistono

    al cambiamento dei tempi annoverando difficoltà gestionali notevoli. E’ il caso dell’istituto di Forlì, non più in grado di assurgere in pieno ai dettami imposti dall’ordinamento e che nono-stante da almeno sette anni la nuova struttura non decolla interrompendosi nei lavori in continuazione, ti trovi in pre-senza di un carcere fatiscente, ai limiti della salubrità, trascurato. E la colpa non è solo di chi la dirige, ma anche di chi dovrebbe consentire di evi-tare un dispendio di risorse economiche ed umane, ottimizzando al massimo gli sforzi per regalare allo Stato uno stabili-mento in grado di raggiungere gli scopi l

    Partecipa alla gara.

    Invia una foto

    Le foto degli altri partecipanti sono state registrate nell’archivio foto, ognuna nella categoria scelta dall’utente che l’ha inviata. Intanto è in fase di conclusione la gara per il mese di luglio 2020 e a breve inizierà quella di agosto 2020. Invia le tue foto e condividile con i tuoi amici. Ricorda che è possibile votare una volta al giorno per ogni foto. Cosa aspetti? Regolamento completo su: poliziapenitenziaria.it

    Si è conclusa la gara del mese di giugno 2020 con la vittoria di Carmen Addario, in servizio presso la CC di Benevento che con la sua foto ha raccolto ben 1.370 like...

  • 24 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    el film “Il collezionista di ossa”, del regista Philip Noyce, una giovane poliziotta, interpretata da Angelina Jolie, si trova a col-

    laborare con un criminologo forense, in-terpretato da Denzel Washington, paralizzato a letto, per risolvere racca-priccianti omicidi attribuiti ad un serial killer. I due, grazie agli indizi lasciati sui luoghi degli omicidi dall’assassinio seriale, riu-sciranno a mettere insieme i frammenti

    per arrivare a scoprire che il killer sta reiterando dei delitti riportati all’interno di un romanzo poliziesco di inizio secolo: il Collezionista di Ossa. Il 27 luglio del 2007, verso le 15:30, i Vi-gili del Fuoco di Roma intervengono in via della Pescaglia, zona Magliana, per spegnere il fuoco di un canneto vicino ad una pista ciclabile. Domate le fiamme, a seguito di sopral-luogo, i pompieri rinvengono un marsupio con all’interno un mazzo di chiavi e un portafoglio, contenente un documento d’identità. Inoltre, poco distante dal marsupio, sco-prono, lungo il muro perimetrale di un magazzino che limitava una piccola

    Nella foto: le ossa trovate e ricomposte

    estensione di terreno, uno scheletro umano annerito e bruciacchiato presso-ché completo: il teschio era spostato di qualche metro, forse per via dei getti d’acqua che lo avevano allontanato, il resto delle ossa conservano i loro normali rapporti anatomici. Poco dopo sul luogo dell’incendio arri-vano il medico legale, professore Cipol-loni, e gli uomini della polizia scientifica per i sopralluoghi, il fotosegnalamento e per le operazioni di recupero dello sche-

    letro: teschio, spina dorsale e costole, parti ossee delle gambe e delle braccia. Il medico legale, nell’immediatezza, ri-tiene che si tratta di un singolo individuo poiché non vi sono ossa in sovrannumero. La carta d’identità, rinvenuta tra le ster-paglie, appartiene a Libero Ricci, pensio-nato. Ottenuto il via libera dal magistrato di turno i resti umani sono trasferiti nella camera mortuaria dell’ospedale della Ca-pitale, in attesa dell’esame cadaverico. Il caso, a prima vista, sembra semplice. Lo scheletro ritrovato non può che essere di Libero Ricci, a rafforzare l’ipotesi è anche il ritrovamento, sempre all’interno del marsupio, di una chiave che apre

    l’abitazione dello scomparso. Libero Ricci, classe 1926, era scom-parso misteriosamente, dal 31 ottobre 2003, dopo essere uscito dall’apparta-mento al settimo piano di via Luigi Rava 7, in cui abitava con la moglie Emilia, nella zona Portuense alla Magliana. L’uomo, all’epoca della scomparsa aveva 77 anni e aveva lavorato come artigiano decoratore per tantissimi anni con ditte al servizio del Vaticano. La storia della sua scomparsa è molto si-mile a quella di tanti altri uomini e donne che svaniscono nel nulla e di cui si per-dono definitivamente le tracce: al feno-meno delle persone scomparse ho dedicato un apposito articolo “I morti senza nomi” nel numero 280 del feb-braio 2020. La Procura di Roma, sul ritrovamento dei resti del cadavere, apre comunque un’in-chiesta per omicidio e occultamento di cadavere. La notizia del ritrovamento della carte d’identità, delle chiavi e dello scheletro viene comunicata ai figli dello scom-parso. I familiari, però, trovano assai particolare che il loro congiunto sia andato a finire in quel canneto. Inoltre, trovano strana un’altra faccenda, ovvero che i vestiti e le scarpe rinvenuti, o meglio quel che ne è restato dopo l’incendio, non corrispon-dono a quelli indossati dal signor Ricci il giorno della sua scomparsa. Richiedono, quindi, all’autorità giudiziaria l’esame del DNA delle ossa ritrovate per accertare che sia effettivamente il loro padre. Il magistrato, dopo aver appurato la sus-sistenza dei presupposti, accoglie la ri-chiesta e dispone l’estrazione del DNA e il confronto con il codice genetico dei figli del Ricci. Sembrerebbe un esame di routine, quello scheletro, vestiti o meno, appartiene allo scomparso Ricci. Lo dice la logica: il marsupio è suo, lo

    Pasquale Salemme Segretario Nazionale

    del Sappe [email protected] Il collezionista di ossa

    della MaglianaN

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 25

    scheletro è lì, lui è scomparso proprio in quei luoghi! La polizia, nel frattempo, ha stabilito che l’incendio molto probabilmente è stato di origine dolosa. Nel 2010, dopo quasi tre anni, finalmente arrivano i risultati dei test del DNA. Il DNA ricavato dalle ossa ritrovate, com-parato dapprima con quello del figlio di Libero Ricci, Claudio e successivamente con quella della sorella di Claudio e figlia dello scomparso, danno esito negativo. Le ossa non appartengono a Libero Ricci (il cui DNA al 50% era stato, appunto, campionato dai figli), ma sono i resti di cinque individui differenti: 3 femmine, classificate in “F1”, “F2”, “F3” e 2 maschi, catalogati in “M1” e M2”, le cui morti sono avvenute in un arco temporale che va dal 1989 al 2006.

    L'Istituto di Medicina Legale di Roma at-tribuisce il teschio, le vertebre e l’emico-stato destro, con la particolarità dei denti usurati ed esiti di fratture costali, a una donna tra i 45 e i 55 anni, la cui epoca della morte risale tra il 2002 e il 2006 e che verrà appunto classificata come “F1”. La tibia destra appartiene a “F2” una seconda donna, deceduta tra il no-vembre del 1992 e il febbraio del 1998, di una età compresa tra i 20 e i 35 anni. La fibula destra appartiene alla terza donna “F3”, morta tra il 1995 e il 2000, tra i 35 e i 45 anni. Il resto delle ossa appartengono a due uo-mini: scapola e arto superiore destra è attribuito a “M1”, morto tra il 2002 e il

    2006, tra i 40 e i 50 anni di età e il fe-more destro a “M2”, tra i 25 e i 40 anni, morto tra il 1986 e il 1989. Partono le ricerche tra le persone scom-parse tra il '92 e il 2006 a Roma, ma non vengono riscontrate corrispondenze. A seguito dell’esito dei risultato del DNA la Procura della Repubblica di Roma avvia una nuova indagine per omicidio volontario plurimo e occultamento di ca-daveri. In definitiva, seppur non tutte le ossa sono state sottoposte all’esame del DNA, nessuna risulta appartenere a Libero Ricci. Gli inquirenti formulano diverse ipotesi sull'identità di colui che ha lasciato le ossa nel luogo del ritrovamento. Inizial-mente si pensa ad un necrofilo, un ladro di tombe, magari impiegato nel settore delle pompe funebri o del cimitero, qual-cuno che abbia avuto accesso alle spoglie dei morti. Ma secondo il professor Cipolloni, il me-dico legale che esaminò i resti, l'ipotesi è da scartare. Sulle ossa, infatti, non sono presenti tracce di zinco o altri materiali con cui di solito vengono fabbricate le bare. I resti, inoltre, risalgono a epoche molto lontane tra loro, il che significa che il collezioni-sta ha operato per molti anni e forse in diverse regioni d'Italia. (1) Nel 2017 il DNA di F2, la più giovane delle donne le cui ossa sono state usate per disegnare lo scheletro romano, è stato comparato con esito negativo con quello di Alessia Rosati, ventunenne scomparsa a Roma il 23 luglio del 1994. Nulla si sa, invece, dell'ignoto collezioni-sta, la cui identità rimane, tuttora, un mi-stero. L'inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere è stata archiviata nel 2011, non prima, però, di aver svelato una im-pressionante verità dai risultati del DNA mitocondriale: F1, la donna a cui appar-tengono il teschio e la spina dorsale dello scheletro è legata da un vincolo biologico di parentela con la mamma di Libero Ricci, Rebecca Moscato, morta nel 1987. (1) L'ipotesi del serial killer appare inverosi-mile perché manca la ripetitività delle azioni: mancano elementi dal 2007 a

    oggi e l'intervallo tra un'ipotetica ucci-sione e l'altra appare eccessivamente lungo per un assassino seriale. Dagli elementi raccolti nel corso delle in-dagini è molto più plausibile la tesi, so-stenuta anche dal medico legale, che si possa trattare di un necrofilo collezioni-sta che si è sbarazzato dei suoi macabri cimeli. Non si può però non tenere conto che chi ha ricomposto la struttura ossea ha si-curamente una perfetta padronanza del-l'anatomia umana, in quanto nella ricostruzione dello scheletro non vi è nes-sun osso che compare più di una volta. Nonostante questo mese ricorrano tre-dici anni dal ritrovamento dello scheletro, ad oggi restano tanti interrogativi. I resti umani delle cinque persone sono il risultato di 5 omicidi?

    L’autore, nel ricomporre lo scheletro con i resti umani di persone diverse, si è vo-luto fare gioco degli investigatori come nel film “Il collezionista di ossa” o ha vo-luto lasciare agli stessi degli indizi per ri-costruire l’identità delle vittime? In ultimo, è solo una coincidenza che “F1” risulta avere parentela con Libero Ricci, l’uomo scomparso? Un cold case tutto italiano che va ben oltre la trama del film statunitense. Alla prossima... (1) www.fanpage.it/attualita/quello-scheletro-uscito-dall-armadio-la-sto-ria-del-collezionista-di-ossa-della-magliana.

    Nelle foto: sopra il luogo del ritrovamento delle ossa a sinistra Libero Ricci

    l

  • 26 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    Antonio Montuori [email protected]

    n primis fu Skyla, che tradotto dal greco antico significa letteralmente “Cagna”. La fama di Scilla è conosciuta in

    tutto il mondo grazie alla leggenda ome-rica di Ulisse, legata al mostro creato dalle fantasie dei naviganti.

    La leggenda narra che Scilla fosse una ninfa di straordinaria bellezza e che no-nostante avesse numerosi pretendenti, non voleva concedersi a nessuno. Tanta era la sua bellezza che persino Glauco uno dei tanti figli di Poseidone, re del mare, si invaghì di lei. Quest’ultimo per evitare di essere re-spinto anch’egli dalla meravigliosa fan-ciulla, pensò di farsi preparare, dalla potente maga Circe, un filtro d’amore. Inaspettatamente, però, la maga a sua volta si invaghì di lui, ma siccome il gio-vane e prestante Glauco era perduta-mente innamorato della deliziosa ninfa, non poté fare altro che respingere le avances della maga sibillina. Circe, rosa dalla rabbia e dalla gelosia, nel chiaro intento di vendicarsi quanto

    I

    Scilla, da “mostro marino” a “perla del Mediterraneo”

    Nelle foto: vedute di Scilla

    e una antica rappresentazione

    del “mostro”

    quasi abbracciarsi, mettendosi dal lato opposto all’altro mostro marino; “Ca-riddi”. Quest’ultimo, con il suo terribile “Gorgo”, succhiava l’acqua del mare per poi rispu-tarla con violenza, ripetendosi per ben tre volte al giorno.

    Tanta era la sua potenza da far naufra-gare chiunque tentasse di attraversare lo stretto, persino le grandi navi greche sembravano leggeri fuscelli di paglia in balia delle furie del mostro. Infatti, anche il mitico eroe omerico Ulisse dovendo attraversare quel tratto di mare, preferì rischiare la propria nave, nonché la sua stessa vita e quella del suo equipaggio, navigando vicino alla costa calabrese dove imperversava la spaven-tosa Scilla, piuttosto che affrontare le terribili furie di Cariddi. Infine, la leggenda vuole che Scilla debba subire un’ulteriore sortilegio, quando sarà definitivamente trasformata in una roccia. La stessa dove ancora oggi si erge l’austero castello Ruffo. La prima fortificazione risale addirittura

    prima, al posto del filtro d’amore preparò una pozione malefica. Pozione che lei stessa versò nel tratto di mare dove la graziosa ninfa era solita fare il bagno. Il potente sortilegio trasformò la rivale Scilla in un mostro orribile. Alla giovane spuntarono attaccate alle

    sue gambe tramite un lungo collo ser-pentino, sei teste di cane, rabbiose e rin-ghianti, tutte aventi tre fila di denti aguzzi. Condannata a vivere in quell’orribile corpo, da quel giorno Scilla come un de-mone impazzito, divenne il terrore di tutti i naviganti che transitavano nelle acque dove lei imperversava. Il mostro marino attirava a sé, come una gigantesca calamita, tutte le imbarca-zioni, per poi creare onde altissime che inevitabilmente procuravano lo schianto dei natanti contro la costa, mentre i cani con i loro affilatissimi denti sbranavano i corpi dei malcapitati avventori, che ine-vitabilmente cadevano in mare. Il mostro si nascose in una spelonca, là dove la Calabria e la Sicilia sembrano

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 27

    al 493 a.c. ad opera del principe tiranno Anassila, rapito anch’egli dal fascino di quella rupe, dove dispiegò il suo esercito per sconfiggere le scorrerie piratesche nel Tirreno. In seguito, gli altri principi reggini che si succedettero, argutamente terminarono la fortificazione costruendo così un luogo inaccessibile, e grazie anche alla costruzione del porto nella zona di Punta Paci, trasformarono il borgo di Scilla in un importante avampo-sto di controllo sulle rotte marittime. Suscita sempre grande emozione la me-ravigliosa vista panoramica sul mare, così come la visione delle mura millena-rie del castello. Sulla parete di destra (quella fronte mare) sono perfettamente visibili le pic-cole feritoie dalle quali i soldati lancia-vano i loro dardi contro le navi nemiche. Elegante il portale in pietra calcarea di Siracusa, sormontato da un arco a sesto acuto dove si scorge, sebbene consumato dal tempo, lo stemma della famiglia Ruffo, risalente al XVI secolo. Da precisare che la famiglia Ruffo diven-terà proprietaria della roccaforte solo nel 1523, come è importante anche ricor-dare che la nobile famiglia è stata una delle più antiche e blasonate della Cala-bria, già annoverata tra le sette più grandi casate del Regno di Napoli. Il terribile sisma del 1908 danneggiò gravemente il castello ma, grazie ad un velocissimo restauro finito in pochi anni, la roccaforte ritornò ad essere punto di riferimento per tutti i marittimi che at-traversavano lo stretto. Infatti, divenuto intanto proprietà dema-niale dello Stato, grazie alla sua posizione strategica e l’altezza della rupe, nel 1913 sulla sua sommità fu installato un faro, ancora oggi funzionante e gestito dalla Marina Militare italiana. Dalla fortezza si gode un panorama davvero mozzafiato, la Sicilia addirittura sembra poterla toccare allungando le sole braccia! Ai piedi della roccaforte vi è l’antico borgo marinaro di Chianalea, ovvero: “Piana delle Galee” (le galee erano le an-tiche imbarcazioni usate per la pesca del pregiato pesce spada). Chianalea si diceva, dove le piccole case del borgo marinaro sorgono direttamente sugli scogli e sono separate l’una dalle

    provenienti da tutto il mondo, di certo per il fascino che continua a trasmettere la leggenda di Omero, ma soprattutto per le sue bellezze naturali e paesaggistiche. Infatti bellezze come il Castello, il borgo marinaro di Chianalea e il panorama mozzafiato sullo Stretto di Messina, non-ché il suo mare cristallino e l’ottima cu-cina locale, contribuiscono  a renderla unica al mondo, tanto da definirla ...”Perla del Mediterraneo”. Insomma dopo aver detto così tanto su Scilla e aver citato persino il grande Omero, credo che la ricetta per vivere fe-lici sia quella di essere tutti un po’come Ulisse …

    “Sempre in un continuo viaggio, alla ri-cerca dell’infinita bellezza. Bellezza na-scosta finanche nell’ignoto della nostra fantasia”. Buone vacanze a tutti. Felice Terra la nostra. Tesori da (ri)sco-prire. Tesori da preservare.

    Nelle foto: ancora scorci di Scilla sotto la Fortezza

    l

    altre da piccole viuzze, simili a canali che scendono direttamente nel mare. Uno spettacolo nello spettacolo, tanto che in molti l’hanno denominata “la piccola Ve-nezia del Sud”. L’area di Chianalea non ha che pochi metri di spiaggia, per il resto sono rocce e scogli che rendono difficile la balnea-zione. Non è quindi a vocazione pretta-

    mente balneare questa zona, ciò che non manca però, è la storia e il paesaggio unico che lo rendono senza alcun dubbio uno dei borghi più belli d’Italia. Qui si confonde la storia con la mitologia, nonché la realtà con la fantasia. Scilla oggi è meta di migliaia di turisti

  • 28 • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020

    ono maturi i tempi per dare al Corpo di Polizia Penitenziaria un supporto stabile che concorra a definire gli alti standard di ope-

    ratività privi di criticità del vissuto. Lo strumento ormai inevitabile è quello che permette agli appartenenti di affron-tare lo stress da lavoro correlato che in-ficia, inconsapevolmente ed improvvisa- mente, l’agire quotidiano, proprio a causa della estrema delicatezza e difficoltà dell’impegno richiesto.

    Spesso lo stress da lavoro correlato si manifesta con la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richie-ste dell'ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali, al punto che egli nel medio-lungo termine avverte una varietà di sintomi o disturbi che vanno dal mal di testa, ai disturbi gastrointestinali a pa-tologie del sistema nervoso, disturbi del sonno, nevrastenia, sindrome da fatica cronica fino a casi di burnout o collasso nervoso. A questo mira il Progetto, voluto e soste-nuto dal 2018 con l’8x1000 dalle Chiese Battiste d’Italia, è sostenere con conti-nuità la personalità dell’Agente di Polizia Penitenziaria, monitorare il suo tono dell’umore e stimolare la ricerca di senso, per evitare che problematiche non espresse possano essere la causa di comportamenti e comunicazioni nevroti-

    Nella foto: la “rotonda”

    di Regina Coeli a Roma

    che riversate inconsapevolmente nella relazione con il detenuto. Il lavoro delicatissimo svolto dalla Polizia Penitenziaria, non ha ancora oggi un ri-ferimento stabile per le situazioni psico-logiche, in tutte le loro varianti. Le iniziative di counseling adottate occa-sionalmente fino ad oggi, non hanno por-tato i risultati sperati, riscontrando quale criticità sia il luogo messo a disposizione dalle ASL che vi hanno collaborato, trat-tandosi di locali inseriti o annessi a strut-ture ospedaliere, ovvero riserve personali di tipo stigmatizzante, quando i luoghi sono stati reperiti all’interno della strut-tura penitenziaria, sia pur in ambiente ri-servato. Un’attenzione psicologica all’Agente si rende necessaria perché, oltre ad evitare un aumento pericoloso di conflittualità nella relazione con il detenuto, permette di sostenere la sua personalità. Quest’ultimo è esposto a continui pro-cessi di burnout in grado generare con-seguenze drammatiche. Ne sono prova i frequenti episodi di suicidio riscontrati negli anni nel Corpo. Il punto di forza del nuovo modo di fare sostegno al ruolo dell’Agente si concre-tizza attraverso incontri formali ed in-formali individuali su base empatica, centrati principalmente sulla significati-vità del suo ruolo. Il Progetto non ha finalità né diagnosti-che né di valutazione della personalità. Questo aspetto, adeguatamente comuni-cato, rende il momento dell’incontro più semplice e fluido, ma soprattutto meno temuto e spontaneo. Grazie alla sinergia tra psicologo e Co-mandante, Commissari, Ispettori ed altri collaboratori, sarà coinvolto mag-giormente nel progetto l’Agente del quale è stato intercettato un atteggia-mento di disagio riscontrato sia dal cam-biamento del tono dell’umore sia dal

    comportamento. Metodologia: dallo sportello ai corridoi delle sezioni La caratteristica del Progetto di Soste-gno al Ruolo dell’Agente, è quella di una presenza itinerante all’interno del-l’istituto ed in particolare all’interno delle sezioni detentive dello psicologo. La ragione di questa professionalità di-namica è motivata dalla personalità dell’Agente penitenziario, poco incline al sostegno psicologico per il ruolo istitu-zionale che egli riveste. Lo stesso ritiene di dover mostrare sem-pre fermezza e non debolezza. Infatti la psicologia, essendo da sempre conside-rata un supporto essenzialmente clinico utilizzato per lo studio della personalità dei detenuti, ancora non è riuscita ad es-sere completamente accettata per le altre valenze che invece rappresenta. Con una prospettiva solo clinica, la psi-cologia non può riuscire ad essere accet-tata nelle sue due altre componenti: miglioramento del livello di comunica-zione e sviluppo della professionalità dell’Agente, due aspetti in grado di mi-gliorare la gestione del rapporto Agente-detenuto con conseguente ricaduta positiva sul sistema carcere. Pertanto la professionalità itinerante dello psicologo nelle sezioni è focalizzata principalmente ad accompagnare lo svolgimento dell’attività lavorativa del-l’Agente attraverso l’attenzione non solo al suo lavoro, ma anche alla sua sfera personale e sociale. Pertanto una psico-logia che in queste circostanze non uti-lizza il colloquio propriamente detto, ma si attiva con un incontro empatico, in grado di far prendere consapevolezza del disagio in atto in modo spontaneo ed autentico. Il senso del Progetto diventa quello di “valutare” la componente empatica dell’Agente a cui si associano indissolu-bilmente comunicazione e professiona-lità attraverso la presenza dello psicologo stesso (termine da poter uti-lizzare è anche tutor). Professionalità: elemento necessario per la gestione di dinamiche complesse nelle sezioni. Mantenere lucidità nella co-

    Mauro Gatti Psicologo penitenziario

    [email protected] Lo psicologo del Corpo di Polizia Penitenziaria

    S

  • Polizia Penitenziaria n. 285 • LUGLIO-AGOSTO 2020 • 29

    municazione rimane l’aspetto di maggior rilevanza nella vita di sezione e si rappre-senta quanto mai necessario sostenere l’Agente verso la stabilità di questo pro-cesso. Ciò si realizza attraverso un monitorag-gio costante del suo tono dell’umore in quanto è proprio quest’ultimo a condizio-nare il grado di comunicazione. Dal tono dell’umore si può risalire alle motivazioni che ne determinano il cam-biamento e arginare il burnout. La ragione di una presenza itinerante nell’istituto e nelle sezioni è motivata proprio dalla necessità di intercettare at-traverso il comportamento e l’atteggia-mento dell’Agente, cambiamenti di umore che non potrebbero essere captati in un setting diverso, perché questo pre-sumerebbe la richiesta dell’Agente di colloquio psicologico che invece per le ragioni sopradescritte l’Agente non ri-chiede, se non in casi particolari, quando cioè ha un malessere grave. In carcere invece è necessario un grande lavoro preventivo, perché la re-lazione con il detenuto è un’osmosi in-cessante e tra due nature diverse, opposte, che devono non solo convivere ma quella dell’Agente deve anche miglio-rare quella del detenuto. Una ragione, questa, per la quale l’Agente deve essere sostenuto, formato e monitorato costantemente. Deve tramontare l’idea di un ruolo dello psicologo penitenziario che non entri nelle dinamiche delle sezioni perché il la-voro in sezione richiede equilibrio, comu-nicazione efficace, professionalità. Il monitoraggio di queste caratteristiche è essenziale, ma ancor prima deve es-sere materia di insegnamento e soprat-tutto formazione, presupponendo nel formatore una profonda conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento del sistema penitenziario nel suo com-plesso. In particolare le dinamiche di un istituto penitenziario e le loro peculiarità devono essere ben conosciute. Per il monitoraggio della personalità dell’Agente, è fondamentale che ci sia un lavoro di squadra. Infatti il lavoro dello psicologo deve es-sere in assoluta sinergia con il Commis-sario e gli Ispettori, trattandosi di una

    struttura organizzata gerarchicamente. Ove necessario, pertanto, si procede con colloqui particolareggiati, di counseling e anche di colloqui di gruppo. Questi ultimi tuttavia prevedono anche la presenza di un graduato per favorire ogni elaborazione e dinamica. Lo stato dell’arte e l’esperienza nella Casa Circondariale di Roma “Regina Coeli” La mia lunga esperienza negli anni come psicologo penitenziario per l’osserva-zione e il trattamento dei detenuti ed i rapporti costruiti con gli agenti del car-cere di Regina Coeli (oltre che dei due Istituti di Civitavecchia e di altre carceri italiane) dove ho operato come Esperto Psicologo nominato dal Ministero della Giustizia, già dal 2018 hanno permesso la collaborazione fattiva degli agenti al progetto anche per l’amicizia e la stima che ho avuto da parte degli Agenti stessi. Ne è conseguito un vantaggio per i tempi di avviamento del Progetto e dunque per la sua riuscita più rapida, fornendo un importante elemento di economicità. Inoltre tale Progetto essendo centrato sull’aspetto della relazione, ha la funzione di gratificare maggiormente l’Agente che avverte il significato del proprio ruolo mi-gliorando la comunicazione nelle sezioni e nei posti di lavoro in cui egli è a con-tatto con il detenuto. Counseling, colloqui psicologici indi-viduali all’interno dell’Istituto, tecni-che di autocontrollo, e dove necessario colloqui di gruppo, da de-finire tuttavia in tempi e modi con la Direzione. La modalità operativa e metodologica consiste nella presenza costante dello Psicologo nell’istituto una volta la setti-mana, per una durata di sei mesi proro-gabili a otto mesi nel caso il professionista incaricato ravvisi la ne-cessità di seguire particolari casi che ne-cessitino di ulteriore trattamento. Ad ogni ingresso settimanale deve se-guire un breve briefing gestito dalle fi-gure apicali sulle criticità in corso, poiché la modalità di coinvolgimento è valida anche per le altre aree dell’istituto, oltre quella della sicurezza, ovvero quella

    giuridico pedagogica, contabile e dell’or-ganizzazione e delle relazioni. I responsabili di ogni area operativa, pos-sono anch’essi rappresentare al profes-sionista le criticità riscontrate nello svolgimento delle proprie attività, anche in relazione allo stress da lavoro corre-lato. Ne consegue la presenza dello psi-cologo nelle aree dell’istituto in cui è necessario incontrare gli agenti, inizial-mente insieme al commissario, che rap-presenta all’Agente l’opportunità del sostegno ed il suo beneficio. Tale presentazione produce l’importante effetto di coinvolgere l’Agente ed al con-tempo dare significatività e fiducia al ruolo del professionista. Resta inteso che la disponibilità del pro-fessionista non deve escludere, nei casi più problematici, il contatto con i fami-liari, su richiesta dell’Agente e la possi-bilità di una consulenza esterna. Verranno raccolte e tenute nella debita considerazione, con la riservatezza del caso tutte le dinamiche affrontate per ognuno degli agenti incontrati nell’am-bito di questo Progetto di benessere or-ganizzativo. Inoltre, nel pieno rispetto della privacy, saranno presentate alle figure apicali, al fine di fornire uno strumento ulteriore per migliorare la gestione. Obiettivi: sintesi Un miglioramento del tono dell’umore degli agenti attraverso la comprensione psicologica delle dinamiche interperso-nali. Riconoscimento del ruolo psicologico dell’Agente nella gestione comunicativa del detenuto. Stimolo alla ricerca di senso nella per-sona orientato alla