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SOCIOLOGIA DELL’INNOVAZIONE ECONOMICA di Francesco Ramella INTRODUZIONE Per innovazione d’intende il mutamento di uno stato di cose esistente, a fine di introdurre qualcosa di nuovo. L’innovazione va collocata all’interno del contesto in cui avviene, e i suoi risultati possono essere compresi solamente facendo un confronto tra un prima e un dopo: lo stato di cose precedente e quello successivo alla sua introduzione. L’innovazione è PROCESSUALE, cioè comprende una serie di fenomeni interconnessi. < modello lineare dell’innovazione = sequenza rigida dalla ricerca al mercato. > modello a catena = innovazione: processo incerto e circolare, che produce feedback tra le varie fasi. L’innovazione è RELAZIONALE e RELATIVA, cioè va posta in relazione ad un periodo e a un contesto. L’innovazione è ≠ dal CAMBIAMENTO: quest’ultimo è generico, mentre l’innovazione comporta dei cambiamenti finalizzati alla produzione di qualcosa di NUOVO. L’innovazione va distinta dalle INVENZIONI, l’inventore produce idee, l’imprenditore le realizza. L’innovazione non sempre porta dei risultati POSITIVI, il termine “innovazione” induce a pensare alle novità introdotte con una valenza positiva, mentre questo termine DEVE essere usato con una valenza NEUTRALE. Le innovazioni infatti possono fallire o generare conseguenze inattese, non necessariamente benefiche per gli innovatori o per la collettività. L’innovazione economica L’innovazione economica è un processo istituzionalizzato di cambiamento che introduce elementi di novità economica. Diversi autori definiscono l’innovazione come un processo di problem solving orientato alla ricerca di nuove combinazioni a partire da elementi noti. I tipi di innovazione.

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SOCIOLOGIA DELL’INNOVAZIONE ECONOMICA di Francesco Ramella

INTRODUZIONE

Per innovazione d’intende il mutamento di uno stato di cose esistente, a fine di introdurre qualcosa di nuovo. L’innovazione va collocata all’interno del contesto in cui avviene, e i suoi risultati possono essere compresi solamente facendo un confronto tra un prima e un dopo: lo stato di cose precedente e quello successivo alla sua introduzione.

L’innovazione è PROCESSUALE, cioè comprende una serie di fenomeni interconnessi.

< modello lineare dell’innovazione = sequenza rigida dalla ricerca al mercato.

> modello a catena = innovazione: processo incerto e circolare, che produce feedback tra le varie fasi.

L’innovazione è RELAZIONALE e RELATIVA, cioè va posta in relazione ad un periodo e a un contesto.

L’innovazione è ≠ dal CAMBIAMENTO: quest’ultimo è generico, mentre l’innovazione comporta dei cambiamenti finalizzati alla produzione di qualcosa di NUOVO.

L’innovazione va distinta dalle INVENZIONI, l’inventore produce idee, l’imprenditore le realizza.

L’innovazione non sempre porta dei risultati POSITIVI, il termine “innovazione” induce a pensare alle novità introdotte con una valenza positiva, mentre questo termine DEVE essere usato con una valenza NEUTRALE.

Le innovazioni infatti possono fallire o generare conseguenze inattese, non necessariamente benefiche per gli innovatori o per la collettività.

L’innovazione economica

L’innovazione economica è un processo istituzionalizzato di cambiamento che introduce elementi di novità economica.

Diversi autori definiscono l’innovazione come un processo di problem solving orientato alla ricerca di nuove combinazioni a partire da elementi noti.

I tipi di innovazione.

Ci sono 4 tipi di innovazione:

Le innovazioni di prodotto: comportano la realizzazione di beni o servizi interamente nuovi, oppure modificati rispetto ai precedenti.

Le innovazioni di processo: riguardano i cambiamenti nei modi di produzione di beni e servizi.

Le innovazioni organizzative: fanno riferimento a nuove forme di organizzazione delle attività aziendali.

Le innovazioni di marketing: possono riguardare il design e/o al packaging del prodotto, le sue modalità di promozione e di collocazione sul mercato, così come i metodi di determinazione dei prezzi di vendita dei beni e sevizi.

CAP 1 INNOVAZIONE E CAMBIAMENTO SOCIALE.

Capitalismo, società e innovazione.

La sociologia nasce nel corso dell’800 occupandosi essenzialmente del cambiamento sociale e della società capitalistica.

Non sempre nei sociologi classici si trovano riflessioni specifiche sull’innovazione economica. Tuttavia, anche quando il termine non appare esplicitamente, vi è la consapevolezza che il dinamismo del capitalismo sia legato a novità introdotte nei modi di produzione e di consumo.

ADAM SMITH e la divisione del lavoro.

Dalle riflessioni di Smith emergono due diversi meccanismi generativi delle innovazioni. Il primo è un processo incrementale basato sulla divisione del lavoro: le innovazioni derivano da miglioramenti graduali introdotti dalle persone occupate direttamente nelle attività “produttive”. Queste innovazioni incrementali sono frutto di una forte specializzazione. Il secondo è un processo più discontinuo e radicale basato sull’uso di conoscenze teoriche: le innovazioni sono di maggiore portata e provengono da “lavoratori intellettuali” che combinano saperi ampi e diversi.

Analizziamo alcuni elementi salienti della teoria di Smith:

Non c’è alcun determinismo tecnologico nella sua concezione; è vero che le innovazioni sono fondamentali per aumentare la cap produttiva, ma a generare le condizioni che facilitano queste scoperte è la divisione sociale del lavoro.

La divisione del lavoro si afferma progressivamente con l’evoluzione sociale e con l’ampliamento del mercato.

Smith inquadra la questione dell’innovazione all’interno di un’analisi che tiene insieme economia e società, comportamenti economici e regolazione istituzionale.

Per Smith CAPITALISMO divisione del lavoro = innovazione e sviluppo economico = ricchezza distribuita = consenso sociale.

Tra conflitto e consenso: MARX e DURKHEIM.

L’idea di Smith viene contestata da 2 sociologi classici: Marx e Durkheim.

Karl Marx è consapevole del carattere innovativo del capitalismo, avverte anche che l’aumento della cap produttiva del capitalismo è strettamente connesso al progresso scientifico-tecnologico.

Alcuni passaggi delle sue opere lasciano pensare che siano le invenzioni e i cambiamenti tecnologici a determinare il mutamento sociale ed economico. (“il mulino ad acqua vi darà la società con il signore feudale, il mulino a vapore la società con il capitalista industriale”).

Per Marx il lavoro è una forza produttiva che crea valori d’uso: serve cioè a produrre beni utili per soddisfare bisogni. Gli strumenti tecnici sono i mezzi che l’uomo usa intenzionalmente per raggiungere i suoi scopi.

È l’uomo dunque tramite la tecnologia a cambiare il corso della storia.

L’incremento della cap produttiva è dovuto ad una innovazione organizzativa: una “rivoluzione nelle condizioni di produzione”, che assumono una forma cooperativa. Molti operai vengono fatti lavorare insieme dal capitalista secondo un piano e questo ne aumenta il rendimento.

Inizia così un processo di svalorizzazione della forza lavoro che va di pari passo con la crescente valorizzazione del capitale.

Progressivamente l’intelligenza produttiva, un tempo propria dell’artigiano, si concentra nel capitale. Questo processo si completa con l’introduzione delle macchine e con l’applicazione della scienza al processo produttivo, che caratterizza la fase successiva di sviluppo del capitalismo, quella della grande fabbrica.

L’introduzione di nuove macchine consente di battere la concorrenza degli altri capitalisti. Tuttavia ciò che è razionale per il singolo capitalista, a lungo andare produce conseguenze disastrose per i capitalisti come classe sociale.

La meccanizzazione crescente tende a creare disoccupazione, alimentando la miseria del proletariato e il conflitto di classe. Ciò determina una tendenziale caduta del tasso di profitto, che indebolisce i capitalisti. Insomma, l’innovazione tecnologica e la meccanizzazione tendono a creare le condizioni che agevolano l’avvento del socialismo.

Al di là del mancato avveramento di queste previsioni, ci interessa sottolineare alcuni aspetti del pensiero di MARX:

L’innovazione economica non coincide con il cambiamento tecnologico.

Le origini del capitalismo sono determinate da una trasformazione complessiva dei rapporti di produzione.

Le invenzioni e le innovazioni vanno lette come processi sociali complessi da inquadrare all’interno di uno specifico contesto storico-sociale.

Tra economica e tecnologia vi sono un processo di interazione reciproca.

L’innovazione tecnologica ed economica possono innescare dinamiche di conflitto.

Secondo Emile Durkheim nelle società antiche esisteva una solidarietà di tipo meccanico, basata sulla somiglianza e su una “coscienza collettiva” che, oltre ai valori comuni, prescriveva norme dettagliare di comportamento. Nella società moderne dove si afferma la divisione del lavoro, invece, la solidarietà è di tipo organico e si basa sulla differenziazione degli individui che si rendono indispensabili gli uni agli altri.

Il sociologo francese riconosce che la divisione del lavoro aumenta il rendimento del lavoro, mettendo a disposizione più risorse e di migliorare qualità.

Durkheim obietta che il mutamento non coincide sempre con il progresso, e che l’aumento dei piaceri non comporta necessariamente una maggiore felicità.

La divisione del lavoro e la concorrenza economica non producono maggior benessere attraverso i consumi materiali e non generano inevitabilmente progresso e solidarietà sociale.

Le implicazioni di queste riflessioni rispetto all’innovazione economica sono 2:

La divisione del lavoro per produrre effetti positivi (progresso) deve associarsi a solidarietà e giustizia sociale. La divisione coercitiva del lavoro è divisiva, poiché vincola gli individui a svolgere delle attività al di sotto delle loro capacità. Questo modo di dividere il lavoro viola un principio di equità, basato sul merito individuale.

La divisione del lavoro per produrre effetti positivi (progresso) deve associarsi ad un’adeguata qualificazione, coordinamento e motivazione dei lavoratori.

Affinché la divisione del lavoro alimenti la collaborazione e, la capacità innovativa dei lavoratori è necessario:

Che il lavoro non venga impoverito eccessivamente, altrimenti si genera dequalificazione.

Che vi sia anche un coinvolgimento soggettivo verso le finalità del lavoro e nel gruppo di lavoro.

RIASSUMENDO:

sia MARX che DURKHEIM si confrontano con le tesi di Smith:

Entrambi ritengono che nella società capitalistica la divisione del lavoro non determini (necessariamente) un aumento del benessere individuale e collettivo.

Entrambi vedono il “lato oscuro” della divisione del lavoro che, nel capitalismo, tende a generare conflitto anziché consenso.

Infine, concordano sul fatto che un’eccessiva specializzazione del lavoro tende a impoverire anziché arricchire la qualificazione professionale.

Gli innova-attori: Simmel, Sombart e Webe.

Altri sociologi economici, si concentrano invece soprattutto sugli attori. Simmel, Sombart e Weber esaminano le origini di una nuova figura, quella dell’imprenditore.

Simmel e Sombart mettono in luce un meccanismo di innovazione economica basato sulla marginalità sociale.

Simmel attira l’attenzione su individui e gruppi che sono slegati dalla “cerchia sociale”. Gruppi sociali che vengono relegati ai margini della società. Non potendo ottenere riconoscimento e prestigio attraverso percorsi legittimi, questi soggetti si dedicano ad attività considerate moralmente dubbie: gli affari, il commercio estero, i prestiti a interesse. Il possesso di denaro li rende ricercati e permette loro di acquisire potere e influenza, ottenendo un riconoscimento sociale che altrimenti gli sarebbe precluso.

A incarnare questo tipo di figure sociali sono soprattutto gli ebrei e gli stranieri, infatti non possono accedere a incarichi pubblici e ad altre opportunità. Devono perciò innovare per trovare una loro posizione specifica; possono intraprendere attività finanziarie e commerciali che gli altri non sono disposti a svolgere, poiché sanzionate negativamente all’interno della comunità.

La posizione formale dello straniero è una sintesi di vicinanza e di distanza, che conferisce allo straniero delle particolati attitudini, es: maggiore libertà dalle norme del gruppo; in altri termini, potenzialmente più innovativo, questo gli da la possibilità di provare “nuove combinazioni” precluse agli altri componenti della comunità.

Riflessioni di Sombart sui “migranti”, egli osserva che chi decide di migrare è di solito il più capace e audace della comunità.

Per lo straniero/migrante le comunità e le relazioni sociali sono meno chiuse, la sua collocazione al confine tra mondi diversi consente allo straniero/migrante di costruire dei ponti tra di essi. Gli permette di mettere in comunicazione idee diverse che possono essere combinate in una molteplicità di modi nuovi.

Tali spunti consentono anche di distinguere tra 2 diversi meccanismi dell’innovazione economica.

Il primo meccanismo è basato sulla marginalità :è + facile che le new imprese emergenti sfruttino opportunità di innovazione economica.

Il secondo meccanismo è basato sull’intermediazione: collocarsi al confine di cerchie sociali ed economiche distinte moltiplica le chance di introdurre nuove combinazioni mettendo a frutto idee provenienti da “mondi diversi”.

Weber da una definizione di capitalismo: si ha capitalismo dove la copertura dei bisogni di un gruppo umano avviene attraverso un’impresa.

Società antiche capitalismo senza progresso tecnologico.

Società moderne capitalismo = progresso tecnologico

Economia + scienza e tecnica = - beni svincolati dalla tradizione; - abbassamento dei costi commercio di massa = industrializzazione capitalista (competizione dei prezzi).

Weber tuttavia, invita a evitare ogni forma di determinismo tecnologico e ad applicare un approccio di analisi di tipo bidirezionale: seguendo in entrambi i sensi la catena di nessi causali che vanno dalla tecnologia all’economia, alla politica e alla religione.

Ciò che Weber contraddistingue in maniera distintiva il capitalismo occidentale è la presenza di un etica economica razionale orientata all’innovazione.

Questa forma di capitalismo, nasce da una complessa costellazione di fattori socioistituzionali a cui di aggiunge, integrandoli, un “ethos economico razionale”.

Questa condotta ascetica non si dispiega più, come nelle comunità monacali del Medioevo, fuori dal mondo, bensì all’interno di esso: inizia così a “impregnare della sua metodicità la vita quotidiana profana, e a trasformarla in una vita razionale nel mondo, e tuttavia non di questo o per questo mondo”.

Weber individua le origini religiose dello “spirito del capitalismo”, che si manifesta in un senso del dovere professionale verso l’accumulazione indefinita del captale. Un’etica sociale utilitaristica che non ha fini edonistici, che non serve cioè a soddisfare bisogni materiali, ma pone al servizio del guadagno di denaro come scopo in se stesso. Per Weber questo senso del dovere professionale trae origine nell’ascesi protestante.

Perciò Weber afferma che il dominio della magia “è stato uno degli impedimenti più gravi alla razionalizzazione della vita economica. Magia significa stereotipizzazione della tecnica e dell’economia”.

In altre parole, il tradizionalismo economico, specialmente laddove è rinforzato da elementi magici, si oppone a ogni forma di innovazione economica. La rottura della magia è frutto del processo di razionalizzazione innescato dalle religioni universali.

I nuovi imprenditori borghesi dovevano possedere un grande carisma e capacità di leadership personale, per contrastare un normale ondata di diffidenza.

Weber teme che la razionalizzazione occidentale, laicizzandosi e radicalizzandosi porti al prevalere di una mentalità burocratica avversa al rischio e all’innovazione.

Schumpeter e l’economia dell’innovazione.

Secondo Schumpeter l’analisi economica tradizionale non riesce a dar conto dei mutamenti radicali che sono alla base dei processi di sviluppo e degli andamenti ciclici dell’economia capitalistica. Affinché questi fenomeni si realizzino ci vogliono delle innovazioni, cioè devono essere introdotte delle “nuove combinazoni di mezzi di produzione”. Queste innovazioni possono comportare:

La produzione di un nuovo bene;

Un nuovo metodo;

L’apertura di nuovi mercati.

Sono gli imprenditori a realizzare queste innovazioni, dando una “risposta creativa” alle situazioni che si trovano a fronteggiare.

Schumpeter legge l’innovazione come un fenomeno sociale che modella lo sviluppo economico.

Lo sviluppo avviene distruggendo incessantemente quella vecchia ( struttura economica) e cercando incessantemente quella nuova. È questo processo di “distruzione creatrice” che caratterizza in maniera specifica il capitalismo.

Le innovazioni che hanno successo assicurano agli imprenditori un profitto economico che però è di natura transitoria, poiché le novità vengono presto imitate dalle imprese concorrenti.

Shumpeter fa una netta distinzione tra gli imprenditori-innovatori e coloro che, nella gestione delle imprese, svolgono unicamente dei compiti amministrativi e direzionali, sfruttando le conoscenze già acquisite e le routine consolidate.

L’imprenditore innovatore deve essere carismatico, le motivazioni che lo spingono ad agire, inoltre, non sono né di tipo razionale, né di tipo edonistico: sogno di fondare un impero, volontà di vincere, ottenere il successo , gioia di creare.

Shumpeter distingue:

capitalismo concorrenziale: nuovi uomini che si pongono a capo di nuove imprese.

capitalismo trustificato: l’innovazione è frutto dei lavoratori di R&S delle grandi aziende oligopolistiche; la competizione si svolge tra poche imprese giganti, in cui la proprietà si separa dalle gestione e la funzione imprenditoriale perde i tratti personali della fase precedente.

Nell’individuare alcune “contraddizioni socioculturali” che possono condurre alla crisi del capitalismo, poiché il suo stesso successo “mina alla base gli istituti sociali che lo proteggono”.

L’innovazione, viene in qualche misura routinizzata, assicurata da team di specialisti che lavorano come dipendenti. Il progresso economico tende perciò a spersonalizzarsi e ad automatizzarsi. Questo toglie spazio alla figura dell’imprenditore: si riducono cioè i margini per una leadership individuale basata sulla forza di volontà, l’intuito e la responsabilità personale. Con ciò la classe dominante viene a perdere gran parte della sua legittimazione sociale.

I modelli di capitalismo.

Vediamo 2 approcci analitici, quello della political economy comparata e quello della nuova sociologia economica.

La political economy rappresenta un filone di studi che analizza i rapporti di reciproca influenza tra fenomeni economici, sociali e politici e i loro modi di regolazione in differenti contesti istituzionali. Di questo filone ci interessa un tema specifico, cioè il dibattito sulla varietà dei capitalismi.

L’esigenza di diversi modelli di capitalismo che si differenziano tra loro nel modo in cui regolano tutta una serie di attività economicamente rilevanti.

Due modelli idealtipici di capitalismo contemporaneo: da un lato il modello anglosassone, cioè le economie di mercato liberali, dall’altro il modello renano, cioè le economie di mercato coordinate.

si caratterizza per il maggior spazio accordato al mercato nella regolazione dell’economia. Al contrario, nelle economie coordinate l’azione congiunta delle istituzioni politiche ed economiche tende a limitare i meccanismi di mercato e a disegnare sistemi di protezione sociale più estesi e inclusivi. Ci interessa il nesso che viene stabilito tra due modelli di capitalismo ei relativi regimi di innovazione. I due modelli infatti generano degli specifici vantaggi istituzionali, che orientano in direzioni diverse gli sforzi innovativi delle imprese. Le aziende vengono concepite come attori che devono sviluppare le loro capacità dinamiche e innovative per competere sul mercato. Ciò dipende dalla qualità delle relazioni che esse stabiliscono al proprio interno e all’esterno.

Queste relazioni servono a risolvere “problemi di coordinamento”:

La sfera delle relazioni industriali;

La sfera dell’istruzione e della formazione professionale;

La sfera della governance aziendale;

La sfera delle relazioni esterne;

La sfera delle relazioni interne.

La tesi avanzata da Hill e Soskice è che per risolvere questi problemi di coordinamento le “imprese graviteranno verso il modo di coordinamento per il quale c’è un sostegno istituzionale.

In altri termini, il capitalismo renano sorregge un regime di innovazione incrementale congruente con il suo assetto istituzionale (banche – rischio).

Tutti questi elementi supportano una strategia manageriale orientata a lungo termine, nonché specializzazioni produttive e innovazioni graduali che richiedono competenze adeguate e tempi medio-lunghi di sviluppo. L’opposto invece avviene per le economie liberali, che si contraddistinguono per un “capitale poco paziente” (basato sulla borsa = + rischio). E per relazioni di mercato che non garantiscono stabilità concettuale. Questo complesso di orientamenti sostiene perciò un regime di innovazione radicale e la specializzazione in settori a rapido mutamento tecnologico.

Più recentemente alcuni sviluppi economici che rappresentano delle anomalie rispetto alla logica interna dei due modelli appena illustrati. Ovvero la diffusione di start-up (nuove imprese) anche nelle economie coordinate dell’Europa.

In realtà le dinamiche innovative variano da settore a settore, a causa delle differenti opportunità di innovazione e di cumulatività delle conoscenze presenti nei loro regimi tecnologici.

Un insieme di politiche mirate a creare un ambiente istituzionale più favorevole alla nascita di imprese tecnologiche ha avuto un discreto successo in alcune economie coordinate europee, ad esempio in Germania. L’analisi svolta sui sottosettori di attività di queste imprese mostra perciò che l’assetto istituzionale del modello renano ha giocato un ruolo nella scelta delle loro specializzazioni.

Che cosa ci insegnano queste ricerche?

1 l’analisi istituzionale dei capitalismi risulta utile per lo studio dei sistemi nazionali di innovazione.

2 gli assetti istituzionali non vanno pensati come immodificabili per cui vanno tenute presenti anche le dinamiche di cambiamento istituzionale.

Le imprese possiedono comunque una certa autonomia strategica rispetto ai contesti istituzionali di appartenenza: non sono esclusivamente rule-takers ma anche rule-makers.

L’attività di scoperta di nuove soluzioni procede attraverso conversazioni interpretative, dall’esito non prevedibile e non scontato a priori, tra persone che appartengono ad ambiti organizzativi e gruppi di lavoro differenti. L’attività manageriale perciò, è orientata a promuovere scambi comunicativi aperti e a integrare risorse diverse, insomma a superare i confini organizzativi prestabiliti.

Quando le organizzazioni si trovano a operare in ambienti competitivi caratterizzati da scenari di radicale incertezza. Le prestazioni migliori vengono ottenute da organizzazioni eterarchiche, capaci di sfruttare a proprio vantaggio l’incertezza alimentano una continua capacità di innovazione. Queste organizzazioni tendono a generare al proprio interno situazioni problematiche: mettendo continuamente in discussione le routine organizzative e alimentando la compresenza e il confronto tra diversi criteri di valutazione. L’eterarchia, dunque, si pone come una strategia che tende ad “organizzare la dissonanza”.

Le reti innovative.

La rapidità del cambiamento tecnologico, l’incertezza delle sue traiettorie evolutive, l’aumento della competizione hanno reso le imprese più dipendenti da risorse esterne.

L’azione economica è radicata all’interno di relazioni sociali tra attori individuali o collettivi. Queste relazioni influenzano l’azione economica.

Le reti non sono tutte uguali: si configurano diversamente a seconda del tipo di relazioni che vi sono tra gli attori. Questi rapporti possono essere: informali, formali, di lunga o breve durata, centrati su attori individuali, oppure collettivi.

Le ricerche si sono occupate per lo più delle partnership innovative evidenziando che esse servono a far circolare informazioni, alla condivisione dei rischi connessi ai progetti, all’accesso a risorse, specialmente nei settori dell’alta tecnologia, le reti di apprendimento diventano il “luogo dell’innovazione”.

2 risultati di rilievo:

Emerge una relazione positiva tra reti di collaborazione e innovazione, è una sorta di circolo virtuoso per cui i rapporti che le imprese stabiliscono con altri attori esterni ne migliorano le prestazioni innovative e ciò tende a sua volta ad alimentare ulteriori collaborazioni.

Non emerge, però un nesso univoco tra tipi di legami, posizione nella rete e prestazioni innovative degli attori analizzati.

Per comprenderlo servono alcune basi teoriche:

Mark Granovetter distingue due tipi di rapporti: i legami forti fanno riferimento a soggetti con cui esiste un rapporto di familiarità e confidenza; i legami deboli, invece, indicano rapporti di minore intensità comunicativa e affettiva.

I risultati: la maggiore importanza del secondo tipo di legame per raccogliere informazioni utili alla ricerca di un nuovo lavoro.

I legami deboli consentono al soggetto di ottenere nuove informazioni, che non aveva a disposizione e che non poteva ottenere tramite i legami forti.

Granovetter si è anche occupato della rilevanza delle reti sociali per l’innovazione, ad esempio nella creazione dell’industria elettrica negli Stati Uniti a fine ‘800. Prendiamo in esame le reti sociali di Thomas Edison: ciò che risultò decisivo, fu l’efficacia relazionale di Edison nel promuovere e fare accettare quella soluzione allora altamente innovativa.

Al contrario i legami forti, da un lato rinforzano la fiducia, dall’altro fanno circolare idee già note, che si stabilizzano e diventano “idee normative”, cioè “idee condivise a proposito del comportamento corretto”. Questo tipo di reticoli rende perciò più difficile la devianza dalle norme del gruppo e più facile la sanzione del comportamento non conformi.

Queste ricerche mettono in luce come l’innovazione comporti la rottura di routine consolidate e la combinazione di risorse, prima non collegate tra loro, per un nuovo scopo economico. Gli individui che si collocano a cavallo di reticoli diversi hanno “ottime possibilità di generare innovazioni”.

Le relazioni sociali tendono ad agglomerarsi attorno a cluster (grappoli) di individui che hanno interazioni frequenti e intense tra loro. Questi cluster configurano “isole di opinioni e comportamenti” che possono “creare barriere nei confronti delle informazioni divergenti”.

Questi gap relazionali configurano dei buchi strutturali che ostacolano il flusso di informazioni, ma che creano anche delle opportunità imprenditoriali. Gli individui che si collocano in questi spazi, perciò, creano un ponte tra circuiti diversi di comunicazione, ricavano dei vantaggi: accedono prima degli altri a informazioni significative. Questi soggetti si configurano come degli imprenditori delle reti, dei veri e propri broker che svolgono una funzione di mediazione tra i vari circuiti relazioni, ottenendo dei vantaggi competitivi, ad esempio in termini di innovazione e creatività.

( VEDI FIGURA PAGINA 59)

La “creatività mediante brokeraggio” implica il movimento di un’idea da un gruppo a un altro dove quell’idea è nuova e valutata.

L’adozione delle innovazioni e la loro diffusione dipende dai rapporti interpersonali e dalla conformazione della struttura sociale.

Uno dei risultati più noti riguarda i ritmi di adozione delle innovazioni. Una distribuzione delle adozioni che assume una caratteristica forma a S: all’inizio sono in pochi ad adottare l’innovazione, ma dopo un po’, grazie al passaparola, i tassi aumentano sempre più rapidamente, per poi decelerare, poiché progressivamente si riduce il numero di individui che non l’hanno ancora adottata.

Altri studi sulla diffusione delle informazioni utili per l’innovazione, e sul ruolo che vi giovano i diversi tipi di legami sociali: quelli forti vengono ritenuti più affidabili e adatti a veicolare le conoscenze, complesse e interdipendenti; quelli deboli invece per le conoscenze codificate e le informazioni non ridondanti; senza però immaginare automatismi.

Quello che gli studi sulle reti sociali mostrano è quindi l’importanza dei rapporti interpersonali e interorganizzativi per le innovazioni.

CAPITOLO 2: Inventori e creatività.

Geni o burattini?

Chi sono i protagonisti delle invenzioni e delle innovazioni?

Esistono 2 visioni contrapposte: una concezione individualista, che tende ad attribuire un ruolo di primo piano a soggetti particolarmente creativi, e una concezione olista, che attribuisce un peso quasi esclusivo alle condizioni di contesto.

La prima concezione ha radici profonde nella cultura occidentale, che ha spesso celebrato i geni creativi e i grandi innovatori.

Da alcuni studi emerge una distribuzione fortemente asimmetrica della produttività scientifica e della capacità creativa, che tende ad accreditare l’idea che le invenzioni e le innovazioni siano da attribuire a individui dotati di qualità eccezionali.

Alcuni aspetti della personalità giocano sicuramente un ruolo nei processi creativi ma essi vanno debitamente contestualizzati, senza tuttavia commettere l’errore opposto, tipico degli approcci olisti, che spiegano l’emergere delle invenzioni e delle innovazioni come una risposta scontata alle esigenze del mercato e della società.

Per analizzare le invenzioni/innovazioni bisogna tenere in considerazione:

- le caratteristiche personali degli inventori;

- le reti sociali;

- il contesto.

Sulle spalle di giganti.

Gli inventori e le invenzioni sono stati invece trascurati. Questa sottovalutazione è in parte connessa al “declino deli inventori indipendenti”, che ha caratterizzato il modello di sviluppo fordista.

Nel corso del ‘900 la crescita della corporative research (ovvero dei laboratori delle grandi imprese industriali), hanno comportato un ridimensionamento, da un lato, dei singoli inventori e, dall’altro, del “mercato” delle innovazioni tecnologiche.

La figura sociale e professionale dell’inventore, emerge in primo piano durante l’800, a seguito dell’avvento della prima rivoluzione industriale e dell’istituzionalizzazione.

In breve, l’innovazione tecnologica – ovvero l’impiego crescente di nuove conoscenze nel processo produttivo - segna uno dei tratti distintivi della nuova società industriale.

Se dietro questa invenzione si intravede la curiosità intellettuale e lo sforzo creativo si soggetti particolarmente dotati, è tuttavia difficile ignorare la costellazione di interessi e l’impegno collettivo che da fa sfondo ad ogni singola tappa del processo di scoperta.

Già nella seconda metà del ‘600 diversi inventori avevano cominciato a impiegare l’energia del vapore per costruire sistemi meccanici per estratte l’acqua dai pozzi.

Successivamente, nei primi decenni dell’800 altri inventori applicano i motori a vapore al trasporto terrestre, costruendo le prime locomotive e ponendo le premesse per un moderno sistema di trasporto ferroviario.

Queste invenzioni non avvengono ovunque, bensì in determinati settori e contesti, e non sono frutto di individui isolati. Ma non vengono neppure create da chiunque, poiché necessitano delle conoscenze, della passione e della determinazione di particolari soggetti.

La “scoperta” degli inventori.

Come si legge nelle cronache dell’epoca, gran parte delle invenzioni sono frutto di operatives, cioè persone appartenenti alla classe lavoratrice.

Il più delle volte, tuttavia, gli oneri della brevettazione e la mancanza di adeguati capitali non consentono ai lavoratori di sfruttare adeguatamente le loro scoperte.

L’epoca che si apre con la prima rivoluzione industriale e si estende fino all’inizio del ‘900 è stata giustamente rappresentata come ”età d’oro” degli inventori indipendenti.

Già nella prima metà dell’800 si afferma in Inghilterra un mercato per l’acquisto delle innovazioni tecnologiche messe a punto da inventori indipendenti; solamente nella seconda metà del secolo, si avvia un processo di semplificazione e di riduzione dei costi dei brevetti, in modo da facilitare l’utilizzo da parte delle classi popolari.

L’incertezza sul godimento dei benefici derivanti dalle invenzioni, rendeva gli operai e gli artigiani poco propensi a rivelare le loro scoperte, nel timore che a ricavarne vantaggi fossero esclusivamente i loro datori di lavoro. La riforma del sistema brevettuale inglese trae ispirazione anche dall’esempio americano dove, si era affermato un ampio mercato delle conoscenze tecnologiche.

il sistema brevettuale americano, presentava costi di accesso molto contenuti; si basava, inoltre, su procedure più trasparenti che garantivano la titolarità del brevetto esclusivamente a coloro che erano realmente all’origine di una scoperta innovativa.

Con la crescita delle transazioni tecnologiche si diffonde rapidamente anche tutta una serie di figure professionali specializzate in materia di brevetti: giornalisti e testate dedicate; avvocati esperti nella tutela della proprietà intellettuale; agenzie di consulenza. Negli USA, perciò, la crescente meccanizzazione delle attività produttive favoriscono l’istituzionalizzazione di un vero e proprio mercato delle innovazioni tecnologiche e, con esso, la nascita di un ceto di inventori indipendenti.

Il numero dei brevetti, infatti, subisce un’impennata a partire dagli anni ’40 e continua a crescere sino alla fine del secolo, così come cresce il numero di inventori che si specializzano esclusivamente nell’attività di ricerca e di brevettazione.

In conclusione nell’800 si forma un ceto professionale di inventori indipendenti: soggetti specializzati, che si orientano in maniera imprenditoriale sul mercato tecnologico. Con l’inizio del ‘900, tuttavia, la golden age degli inventori indipendenti tende a declinare anche negli USA.

Parallelamente si amplia il ruolo degli inventori dipendenti.

La scienza e la tecnologia assumono un ruolo più rilevante nello sviluppo e diventano maggiormente ricettive delle esigenze economiche. La produzione di nuove conoscenze diventa più direttamente connessa alle decisioni prese da attori che rispondono a stimoli e di mercato.

Le imprese investono nella ricerca dotandosi di grandi laboratori industriali.

L’affermarsi della ricerca industriale ha ricadute importanti non solo per le nuove tecnologie introdotte, ma anche per gli avanzamenti scientifici che, in alcuni casi, derivano da queste attività.

I laboratori industriali servono non soltanto a fare ricerca, ma anche a dotare le imprese delle competenze necessarie per esplorare le conoscenze prodotte dalla comunità scientifica, al fine di monitorare le possibili ricadute di mercato.

L’affermarsi delle grandi tecnostrutture di ricerca proietta perciò un cono d’ombra sulla figura degli inventori e sui meccanismi generativi delle invenzioni.

Nella ricerca industriale americana per tutta la prima metà del ‘900 accanto ai laboratori interni alle imprese si sviluppano anche numerosi istituti privati di ricerca. Tra questi due settori si crea complementarietà. Gli istituti di ricerca si specializzano in attività standardizzate, offrendo servizi generici; per contro i laboratori interni alle aziende si specializzano su progetti più complessi e strategici, cioè firm-specific.

Con il tempo l’innovazione tecnologica diventa sempre più capital-investive e questo fornisce un vantaggio competitivo alle grandi imprese, che iniziano ad organizzare in proprio la ricerca, mettendo in cantiere una pluralità di progetti affidati a staff tecnici interni.

Si crea così l’istituzionalizzazione degli inventori dipendenti.

In questo modo le grandi imprese concentrano nelle loro mani sia il capitale umano che quello economico necessario all’innovazione. (+$ = + inventori = + investimenti = + capitali)

CONTROINDICAZIONI: si innesca un processo di burocratizzazione della ricerca che, riduce la capacità di fare scoperte davvero innovative. (vedi esempio pag 76).

Il problema è l’impostazione del management di vincoli crescenti e controlli finanziari per valutare costi-benefici dei vari progetti tendono progressivamente a ridurre la capacità delle grandi imprese di portare avanti progetti realmente di frontiera.

Esiste comunque una forte complementarietà tra le medie e piccole imprese e le grandi imprese, queste ultime non realizzano le innovazioni fondamentali, ma svolgono un lavoro successivo, di sviluppo e messa a punto che ne consente la commercializzazione.

Questi studi tuttavia, vanno contestualizzati, con l’avvento del postfordismo e dell’economia della conoscenza, riprende slancio il ruolo delle piccolo e medie imprese, prima nei settori tradizionali e nelle innovazioni di tipo incrementale e poi nei comparti dell’alta tecnologia e nell’innovazioni radicali.

Cresce anche la presenza di investitori disposti a sostenere le imprese più innovative. Si registra un ridimensionamento dei grani lavoratori di ricerca, mentre si moltiplicano le piccole imprese specializzate

nella ricerca in settori d’avanguardia (start-up tecnologiche), che vengono poi i diritti connessi alla proprietà intellettuale delle loro scoperte. Le attività brevettuali riprendono quota.

Dopo quella promossa da Schumpeter, a metà del secolo scorso, si determina perciò un’altra svolta negli studi sull’innovazione. Cambia nuovamente il locus of innovarion. Dall’imprenditore innovatore, passando per la grande impresa innovatrice, si arriva ai sistemi sociali e territoriali dell’innovazione. L’importanza delle relazioni tra imprese economiche e le istituzioni non economiche viene così messa in luce. Il ruolo degli inventori, invece, rimane in ombra.

Psicologia della creatività.

Creatività: capacità individuale o di gruppo, si sviluppare soluzioni originali che possono risultare utili o, comunque influenti.

A partire dal 1950 nasce uno specifico filone di ricerche su questo tema. In realtà alcune riflessioni erano già state sviluppate in precedenza:

La Gestalt, aveva dedicato una certa attenzione ad alcuni aspetti della creatività, come l’insight (intuizione) considerandola una risposta adattiva a situazioni inusuali.

In particolare gli psicologi della Gestalt individuarono 2 stili di pensiero usati in condizioni differenti:

Pensiero riproduttivo: un modo di pensare che applica procedure standard/già sperimentate. (si usa per risolvere problemi di routine).

Pensiero produttivo: un ragionamento di tipo creativo.

Dunque secondo la Gestalt la creatività implica la capacità di analizzare in maniera originale i dati provenienti dalla realtà esterna, in modo da fornire una risposta comportamentale adeguata alla situazione.

A partire dagli anni ’50 (guerra fredda) le ricerche sulla creatività iniziano a svilupparsi in forma più organica. (collegamento tra gli studi sulla creatività e la competizione economica, tecnologica e militare).

Inizialmente gli psicologi cercano di studiare la creatività come un aspetto della personalità e di misurarla con i test per l’intelligenza. MA negli anni ’60 (Guilford) viene dimostrato che queste 2 dimensioni sono indipendenti. La creatività presuppone un certo livello di intelligenza, ma ciò non è sufficiente.

Il problema è che i normali test di intelligenza colgono soprattutto quello che lo studioso definirà in seguito come il pensiero convergente: cioè una modalità di ragionamento che sfrutta le capacità logico-razionali della mente per trovare la risposta corretta alle domande.

Alla base della creatività, invece, si trova il pensiero divergente, che non cerca di individuare l’unica risposta giusta, ma la pluralità di soluzioni potenzialmente valide. Le dimensioni del pensiero divergente sono:

La fluidità: cap di generare velocemente un gran n. di idee.

L’originalità: la cap di fornire risposte nuove.

La flessibilità: la cap di non rimanere imbrigliati in un unico schema di ragionamento, prendendo in considerazione modelli alternativi.

Guilford propose degli appositi test con l’obiettivo di misurare il pensiero divergente, secondo lo studioso americano la creatività può essere studiata in soggetti ordinari, e ritiene possibile anche migliorare le capacità intellettive, incluse quelle creative, attraverso appositi percorsi formativi.

A partire dagli anni ’60 i cognitivisti analizzano le rappresentazioni mentali e i processi cognitivi alla base del pensiero creativo usando dia ricerche su persone che simulazioni al computer. Secondo loro la creatività emerge dalle normali procedure mentali usate nelle attività quotidiane.

Ecco i risultati conseguiti, la creatività:

Non è un processo mentale specifico, implica attività mentali di tipo ordinario.

Non è un tratto distintivo della personalità, ma deriva dalla combinazione di cap mentali di base.

È frutto di un duro lavoro.

È specifica di un campo e si associa a persone bilanciate e di successo nei loro settori.

Fino agli anni ’80 gli studi si erano focalizzati prevalentemente su poche grandi questioni, in particolare sul rapporto tra personalità, creatività e intelligenza.

Negli anni successivi, si assiste a una moltiplicazione delle tematiche, dei metodi di indagine e delle prospettive teoriche. Infatti la psicologia si mise in comunicazione con la sociologia, grazie alla consapevolezza che gli studi precedenti hanno decontestualizzato e desocializzato la creatività, laddove gli individui creativi, anche quando lavorano da soli, sono invece sempre influenzati dal contesto e da altri soggetti.

Emblematico di questo nuovo approccio è il lavoro di Teresa Amabile, la quale sostiene che un soggetto per essere creativo deve avere: conoscenze specialistiche; abilità nel generare nuove idee; motivazioni appropriate rispetto all’obiettivo. Il terzo fattore è sicuramente quello più determinante, aspetto che però è influenzato sia dalle caratteristiche personali, da quelle del compito che dal contesto. Amabile distingue 2 tipi di motivazioni:

Le motivazioni estrinseche: sono legate al raggiungimento di qualche obiettivo, questo tipo di motivazione è legato alle sanzioni o ai benefici distribuiti da qualche autorità esterna; dipende da una valutazione degli sforzi o della performance dell’individuo nell’esecuzione di un incarico.

Le motivazioni intrinseche: si legano invece all’interesse e alle gratificazioni che derivano dallo svolgimento d un determinato compito.

Dunque se una persona prova interesse per un’attività, e la trova stimolante per le sfide che pone, ciò aumenta la probabilità di una sua prestazione creativa. Questo tipo di motivazione NON può essere sostituita attraversa incentivi economici, sanzioni o controlli dei superiori.

In questa direzione si muove quello che è stato definito come l’approccio socioculturale alla creatività, che mira a studiare le persone creative sullo sfondo dei diversi contesti in cui operano. Questo nella consapevolezza che la creatività incorpora una variabilità legata alla cultura, alle società e all’epoca.

Un’idea, per essere innovativa, non deve essere solamente originale, ma anche risultare appropriata, ovvero venire riconosciuta come socialmente valida all’interno di una comunità di riferimento. La creatività non dipende tanto dalle sue qualità intrinseche, ma dall’affetto che esso produce sugli altri.

Approccio dei sistemi ala creatività: i livelli di creatività presenti in un determinato settore non dipendono solo dalla quantità di individui dotati di originalità, ma anche dalle caratteristiche del dominio (= settore in cui le innovazioni entrano e vengono diffuse) e del campo (= composto dagli esperti in un settore creativo, che selezionano le idee ritenute originali) in cui operano.

(VEDI SCHEMA PAG 86)

Questa dimensione sociale legata alla creatività, affiora anche nella fase cruciale della creazione, quella apparentemente più individuale, cioè l’insight ↓

È vero che la scoperta emerge solitamente come un momento solitario, ma questo momento è inserito all’interno di momenti e dinamiche che precedono e seguono l’insight. Il processo creativo si struttura in 4 stadi:

Fase di preparazione della scoperta: attività di studio e ricerca intorno al problema;

Fase di incubazione della scoperta: l’individuo si distacca momentaneamente dal lavoro sulla specifica questione;

Fase dell’insight: emersione della nuova idea;

Fase della messa a punto: comporta un duro lavoro di elaborazione e valutazione della nuova idea.

La successione NON va pensata in maniera lineare, ma il processo creativo è composto da cicli multipli.

Il lavoro a monte e a valle delle scoperte è profondamente influenzato dalle dinamiche sociali.

Le nuove combinazioni concettuali si avvalgono spesso di analogie provenienti da attività e settori differenti, seguire più di un progetto aumenta la cross-fertilization; i soggetti capaci di innovazioni radicali, perciò, si collocano spesso al confine tra varie discipline.

La dimensioni sociale emerge ancora meglio nelle dinamiche creative di tipo collettivo. La creatività richiede conoscenze distribuite, cioè l’integrazione di molti lavoratori creativi specializzati. I gruppi più creativi sono composti da individui che hanno lavorato per u po’ insieme, che condividono convenzioni e conoscenze.

È evidente che un approccio individualista, non possa analizzare forme di creatività collettiva, per questo gli studi di psicologia si sono orientati verso lo studio delle dinamiche sociointerazionali e sulle dimensioni organizzative che favoriscono o meno la creatività.

CAPITOLO 3: La sociologia delle invenzioni economiche.

Sombart, Tarde e Ogburdn: centomila inventori, uno oppure nessuno.

Un primo contributo nell’ambito della riflessione sul capitalismo moderno viene offerta da Werner Sombart.

Per lo studioso l’economia è l’attività umana volta alla ricerca dei messi di sussistenza. Esistono 3 elementi distintivi dei vari sistemi economici:

La mentalità economica l’insieme degli elementi spirituali che orientano le attività economiche.

La tecnica vale a dire l’insieme dei procedimenti che servono ai soggetti economici per conseguire i loro scopi.

L’organizzazione del lavoro è l’ordine a cui sono sottoposte le singole operazioni economiche.

La questione degli inventori viene sviluppata in relazione alla tecnica: cioè tutti i procedimenti che servono alla produzione di beni; questa definizione si compone di due elementi strettamente legati tra loro: la conoscenza e l’abilità.

La tecnica assume forme ≠ in base alle ≠ epoche storiche e può essere a base:

Empirica: se si fonda su procedimenti tramandati e accettati passivamente (Medioevo);

Razionale: quando di basa sull’adeguatezza tra i mezzi rispetto ai fini (primo capitalismo);

Scientifica: quando la razionalità dei procedimenti poggia su una spiegazione causale dei fenomeni (capitalismo maturo).

Per spiegare la sovrabbondanza di invenzioni che caratterizza il capitalismo maturo, Sombart richiama i mutamenti avvenuti nelle condizioni oggettive e soggettive dell’attività inventiva.

Le condizioni oggettive, riguardano: l’ancoraggio della tecnica ad un fondamento scientifico, che alimenta le invenzioni. Il mutamento del contesto economico e culturale, il capitalismo maturo infatti, crea un clima favorevole per il progresso tecnico. Infine viene attivata una promozione dell’attività degli inventori assicurata dagli organismi pubblici e privati attraverso la creazione di istituti tecnici dotati di laboratori, la creazione di reparti di ricerca nelle imprese e la sovvenzione della libera attività d’invenzione.

Anche le condizioni soggettive concorrono al moltiplicarsi delle invenzioni. Durante il capitalismo maturo ci fu una forte crescita del numero degli inventori, di differenti tipologie:

I geni inventivi privi di specializzazione professionale;

Gli inventori profani, che fanno invenzioni occasionali;

Gli inventori di professione specializzati, il cui mestiere è quello di inventare.

Quest’ultimo tipo rappresenta in maniera specifica l’attività inventiva moderna e ad esso si deve l’aumento esponenziale delle invenzioni.

Come si nota, la riflessione di Sombart sullo sviluppo tecnico e sulla proliferazione degli inventori è strettamente connessa all’analisi storico-comparata del capitalismo, che lo porta a differenziare vari profili a seconda delle epoche economiche.

Al contrario Tarde propone un contributo di impostazione scientista-positivista, finalizzato a scoprire delle leggi generali valide per tutte le società.

La sua sociologia è di tipo individualista, infatti egli attribuisce un grande ruolo agli individui creativi.

Secondo Tarde la società è una rete di stati mentali di individui interagenti e le relazioni sociali sono forme di influenza che modificano gli stati di coscienza. Tali relazioni interpersonali sono governate dalle leggi dell’imitazione (fatto sociale elementare).

Accanto all’imitazione esiste un altro fatto sociale elementare: l’invenzione; rappresenta l’antitesi dell’imitazione e viene definita, una qualsiasi innovazione o miglioramento. Alla base delle invenzioni ci sono le associazioni di idee fatte da individui dotati di talento creativo, che introducono una variazione nella ripetizione. Vi sono poi altri fattori che caratterizzano gli inventori: l’età, la passione o la dedizione rispetto ad un tema (idea fissa), elementi emotivi.

Tuttavia le dimensioni sociali del processo inventivo non vengono trascurate: il processo inventivo viene definito come l’incontro tra una finalità interna e una favorevole occasione esterna.

Tarde fa un riferimento a fattori socioistituzionali quando parla delle diverse dotazioni di capacità inventiva, es:

Le disuguaglianze sociali che rendono più inventivi i ceti superiori (+ tempo, + interazioni e scambi di idee);

L’élite si può allontanare dal conformismo delle masse;

L’accesso alle università;

Le norme culturali che orientano la cap inventiva.

Secondo Tarde esistono 2 tipi di invenzioni:

Le prime, che introducono nuove combinazioni di sensazioni e immagini, che poi generano nuovi desideri;

Le seconde consentono di produrre oggetti noti, che soddisfino desideri già esistenti a prezzi inferiori, mettendoli a disposizione di un’ampia platea di consumatori.

Inoltre le invenzioni agiscono a due livelli: quello del desiderio e quello della fiducia. Da un lato creano nuovi bisogni, dall’altro rispondono a un bisogno di rassicurazione, che trova soddisfazione attraverso le scoperte e le innovazioni.

Le innovazioni sono molte, ma perché solo poche raggiungono il successo?

Secondo Tarde per capirlo è necessario studiare le influenze sociali che ne facilitano o meno l’espansione.

Si tratta delle leggi dell’imitazione: nei processi di diffusione agiscono due tipi di cause:

tipo logico: spingono sull’adozione delle innovazioni per ragioni logico-razionali;

tipo non logico: agevolano la diffusione agendo su leve di tipo psicosociale.

I fenomeni d’innovazione, dunque sono influenzati da fattori sociali, per questo motivo la lettura di Tarde non è deterministica, lascia spazio agli “atti di genio” dei singoli individui.

Se per Sombart il capitalismo maturo generava una proliferazione di inventori professionali, per Tarde gli individui di genio sono unici e insostituibili.

Un approccio quasi opposto si afferma nella sociologia americana con Ogburn. Il quale riprende la sociologia delle invenzioni, che si caratterizza per un approccio analitico di tipo determinista, che attribuisce una forte centralità alla tecnologia, sottraendo ogni rilevanza ai singoli inventori e alle loro scoperte.

Secondo Ogburn c’è una profonda differenza tra l’evoluzione biologica (molto lenta) e quella della sfera culturale (molto veloce). All’interno dell’evoluzione culturale emerge uno squilibrio: la cultura materiale (artefatti, tecnologia) cambia velocemente, mentre quella immateriale, la cultura adattiva, (leggi, valori, costumi) procede molto lentamente.

Da dove emergono le invenzioni? 2 modelli:

le invenzioni dipendono dalle condizioni culturali di contesto;

le invenzioni dipendono dalle abilità innate degli inventori.

In questa seconda spiegazione scompare la costruzione sociale delle invenzioni, cioè tutto dipende esclusivamente ai grandi inventori. Questa interpretazione viene ridimensionata dallo stesso Ogburn: il ruolo degli inventori viene ridimensionato, considerando che le invenzioni sono il risultato della combinazione di principi e componenti già noti nella sfera culturale. La presenza nella storia di una molteplicità ricorrente di invenzioni simultanee dimostra l’influenza delle condizioni culturali.

In un noto articolo del sociologo americano (the great man versus social forces) emerge che la personalità degli individui è influenzata da 2 forze:

le condizioni sociali (materiali e immateriali),

le valutazioni sociali (i valori di un gruppo).

In situazioni di mutamento si crea uno squilibrio tra le prime e le seconde che rende inadeguati i modelli abituali di comportamento. Questo genera pressioni per ridurre la distanza tra le condizioni e le valutazioni; qui entrano in gioco gli inventori: la frustrazione derivata da questa situazione, induce alcuni individui a produrre delle invenzioni capaci di riportare l’equilibrio all’interno del gruppo sociale.

La classe creativa.

Secondo lo studioso americano Florida, le economie avanzate sono entrate in una nuova fase di sviluppo che egli definisce come era creativa, nella società si diffonde un ethos creativo, per cui le persone attribuiscono agli aspetti creativi della oro esistenza molta più importanza che in passato. Ciò che caratterizza questa fase è la rapidità e l’intensità della crescita del lavoro creativo, che dà vita a una nuova classe sociale con un preciso fondamento economico: la classe creativa, costituita a persone che costruiscono valore aggiunto grazie alla loro creatività.

Florida distingue 2 componenti all’interno di questa classe:

Il nocciolo super-creativo: composto da scienziati, ingegneri, professori, poeti, artisti, ecc., che sono impegnati nel lavoro inventivo e creativo;

I professionisti creativi: lavorano in settori ad alta conoscenza; si tratta di professionisti impegnati in un problem-solving di tipo creativo.

Secondo Florida, nei nuovi scenari dell’era creativa la formula magica per la crescita economica diventa quella delle 3T: tecnologia, talento e tolleranza. I primi 2 aspetti sono ingredienti fondamentali dell’innovazione, il 3° li mobilita: i lavoratori creativi di spostano facilmente e la competizione per il talento s gioca ormai su scala planetaria. La geografia dello sviluppo premia soprattutto i territori capaci di attrarre i detentori del capitale creativo.

La qualità dei luoghi diventa quindi il potere dei luoghi, in quanto la presenza di capitale creativo si trasforma a sua volta in un fattore economicamente attrattivo.

Le tesi di Florida sono state sottoposte a diverse critiche: è difficile credere che le scelte di mobilità dei lavoratori creativi siano connesse unicamente alla qualità di un ambiente. La mobilità risulta variabile anche in base ai fattori socioistituzionali.

Meglio soli o ben accompagnati?

Di recente studiosi appartenenti a diverse discipline si sono interrogati su chi produce le invenzioni più rilevanti: gli inventori autonomi, gli inventori solitari, oppure ancora gli inventori in team?

I risultati mostrano che gli inventori isolati, hanno minori probabilità di produrre innovazioni radicali, tendono però a generare molte invenzioni modeste. Viceversa, gli inventori che lavorano in team hanno minori probabilità di brevettare idee molto deludenti e, invece, maggiori probabilità di produrre scoperte importanti.

Questi risultati vengono spiegati attraverso due meccanismi sociali:

Gli inventori che lavorano i gruppo, hanno a disposizione un n° > di idee e ispirazioni a confronto degli inventori isolati, questo aumenta le possibilità di ottenere scoperte innovative.

Gli inventori che lavorano solitari, valutano da soli le proprie nuove idee, mentre gli inventori in team le sottopongono anche al giudizio altrui.

In sintesi gli inventori che lavorano in gruppo si avvalgono di vantaggi informativi e valutativi incorporati all’interno di relazioni sociali.

Altre ricerche si sono occupate degli inventori autonomi che operano nelle economie avanzate.

Stati Uniti anni ’80: una quota consistente degli inventori autonomi sono inventori non abituali, sono cioè hobbisti; altri invece hanno un’esperienza tecnica che gli consente di generare innovazioni radicali.

Per non essere solo hobbisti sono fondamentali alcuni ingredienti: competenza e specializzazione .

Pluralizzazione e decentramento.

≠ studiosi hanno osservato che i meccanismi generativi delle innovazioni tendono oggi a coinvolgere una molteplicità di soggetti (pluralizzazione), che operano in ≠ contesti (decentramento).

Queste dimensioni evidenziano due punti distinti:

Le invenzioni sono in certi casi il prodotto di un lavoro comune;

Il processo inventivo e innovativo diventano più aperti e collaborativi.

All’interno di questa situazione, si creano una pluralità di fenomeni:

Le invenzioni collettive: fenomeno che si riferisce a un determinato modo di attuare e regolare il processo inventivo, che si basa sul livero scambio di informazioni tra le imprese di un settore produttivo che si trovano a fronteggiare un problema tecnico comune, alla cui soluzione collaborano tutti.

Le comunità di open innovation: gruppi di volontari non retribuiti che lavorano informalmente, si sforzano di mantenere i loro processi di innovazione pubblici e disponibili per ogni collaboratore qualificato e cercano di distribuire il loro lavoro gratuitamente. (Es: nel sistema informatico software proprietari – a pagamento – VS software open source – gratuiti, licenze libere – in questo secondo caso gli autori rendono pubblico il codice sorgente, di modo che ogni utilizzatore possa apportarvi delle modifiche migliorative).

La democratizzazione dell’innovazione: un modello di invenzione user-centered (incentrato sugli utilizzatori). Gli utilizzatori “evoluti” introducono autonomamente modifiche e novità che ritengono utili. Perché un consumatore dovrebbe diventare innovatore?

Perché non trovano sul mercato quello che cercano;

Hanno bisogni, conoscenze e competenze specifiche in quel determinato settore;

Sono in grado si innovare quel prodotto meglio di quanto potrebbero fare i produttori.

La strategia dell’open innovation: è un modello aperto di innovazione, le imprese si aprono verso le idee e le collaborazioni esterne sia per generare e sviluppare le proprie innovazioni che per commercializzarle. E’ un modello innovativo che parte dal presupposto che ormai le conoscenze utili siano disperse tra una pluralità di attori diversi, questo implica un’apertura dei confini e lo sviluppo di partnership esterne.

Organizzare l’innovazione.

Invenzioni individuali o collettive, corporative innovarions oppure open innovations, implicano modalità organizzative molto diverse.

Quello che ci interessa discutere è l’impatto che alcune configurazioni organizzative hanno sulle prestazioni inventive/innovative. A questo proposito, gli studi organizzativi evidenziano due aspetti rilevanti:

Le scelte organizzative influenzano la capacità innovativa;

Non esiste, però, la one best way, ovvero un disegno organizzativo che rappresenti in generale la migliore soluzione possibile.

Anche per quanto riguarda le imprese innovative, si riconosce la variabilità delle configurazioni organizzative, che cambiano con i settori di produzione e gli ambiti in cui operano. Negli ultimi anni si è diffusa l’attenzione per gli aspetti processuali: non si studia più esclusivamente l’organizzazione, intesa come struttura, ma anche l’attività organizzativa.

Alcuni studiosi hanno ricostruito una successione di ere organizzative, che evidenzia una transizione dall’organizzazione verticale a quella orizzontale, all’apertura dei confini attraverso l’outsourcing e il partnering.

1° era (organizzazioni autocontenute): prevalgono organizzazioni gerarchiche, basate su una divisione del lavoro per funzioni e strutture divisionali. Il processo innovativo risulta confinato all’interno delle imprese e, in quelle + grandi, si avvale di enormi laboratori di ricerca industriale. (fino agli anni ’70).

2° era (organizzazioni orizzontali): enfasi sul coordinamento orizzontale delle funzioni ,sui processi e sul lavoro in team. Il lavoro di gruppo e lo sviluppo di “comunità di pratica” facilitano la condivisione delle conoscenze, la fertilizzazione incrociata delle idee e l’innovazione(inizio anni ’80).

3° era (organizzazioni aperte): vede una forte apertura delle imprese verso l’esterno (metà anni ’90). In questa fase nascono nuove forme organizzative:

Le organizzazioni network, che uniscono unità dotate di una certa autonomia operativa (es.: franchising);

I network di organizzazioni, che collegano attori autonomi che collaborano tra loro (es.: piccole e medie imprese che operano nei distretti industriali dividendosi il lavoro).

Questa successione di epoche organizzative non va assolutizzata: esiste una forte varietà settoriale, contestuale e strategica. Inoltre, l’evoluzione descritta non va concepita come una sequenza temporale rigida e unilaterale.

Ma quali sono le scelte organizzative che vengono ritenute più adatte a stimolare la creatività?

Da una ricerca condotta durante gli anni ’90, si osserva che la riduzione dei livelli gerarchici, il decentramento decisionale, la diffusione dei team di progetto, forme di coordinamento orizzontali e di partnership esterne, strutture flessibili e aperte alle novità, sono solo alcuni elementi che agevolano l’innovazione.

Chi sono gli inventori?

Un indagine che ha interessato circa 9 mila inventori di 6 paesi europei, ha tentato di investigare la natura degli inventori.

Si tratta in larga prevalenza di uomini, nelle classi centrali di età, dotati di elevati livelli di istruzione, che lavorano come dipendenti, per lo più in grandi imprese, caratterizzati da una marcata stabilità occupazionale.

Dal pdv delle motivazioni e degli incentivi: la soddisfazione di dimostrare che qualcosa è tecnicamente possibile; il prestigio e la reputazione sono motivazioni più forti rispetto a quelle materiali. In altri termini, prevalgono le motivazioni intrinseche.

Solamente 1/3 delle invenzioni è frutto di un lavoro individuale, mentre la gran parte è frutto di un lavoro collettivo svolto all’interno di team di ricerca.

È stato svolto anche un approfondimento specifico sugli inventori italiani (2009), sui settori ad alta e medio-alta tecnologia.

Emergono 3 “mondi sociali” delle invenzioni:

Il mondo della farmaceutica e degli apparecchi medicali: è il settore che produce il 13% dei brevetti italiani, il processo inventivo in questo mondo è fortemente istituzionalizzato, vi operano degli specialisti altamente formati, in strutture apposite, con l’obiettivo specifico di creare nuovi brevetti. Questo mondo è prevalentemente localizzato al Nord con l’eccezione di Roma.

Il mondo della meccanica a elevata istituzionalizzazione della ricerca: il processo inventivo ha soggetti e strutture specializzate, sebbene ad un livello inferiore rispetto al 1° mondo. È diffusamente collocato nei distretti industriali del centro-nord.

Il mondo della meccanica a bassa istituzionalizzazione: diffuso in tutta Italia, le attività inventive sono meno formalizzate, con un apporto molto debole da parte della ricerca organizzata. L’inventore opera + spesso come lavoratore autonomo, quindi le invenzioni nascono non da ricerche finalizzate, ma come risultato di altre attività.

La ricerca sugli inventori italiani offre vari spunti:

L’importanza della costruzione sociale delle invenzioni: l’attività inventiva risulta fortemente socializzata, la gran parte dei brevetti è frutto di uno sforzo collettivo.

L’importanza di un approccio di studio integrato, capace di coniugare i contributi di diverse discipline.

La rilevanza delle dimensioni sociorganizzative: un organizzazione che supporta con mezzi adeguati i propri team, lasciando loro indipendenza, mantenendo un coordinamento flessibile, sono tutti fattori che migliorano la prestazione inventiva.

La ricerca sugli inventori perciò evidenzia la logica di complementarietà che governa le attività inventive e i processi di invenzione. Una logica che opera a livello individuale, di organizzazione e di territorio, bilanciando meccanismi generativi di varietà e meccanismi generativi di coesione.

CAPITOLO 4: I piccoli mondi della creatività e dell’innovazione.

Sei gradi di separazione.

“Sei gradi di separazione” è un’espressione che si riferisce alla tesi espressa nel libro Catene (dello scrittore Karinthy) che chiunque, ovunque nel mondo, può essere raggiunto attraverso 5 intermediari, solamente il primo dei quali è una persona direttamente conosciuta.

Questa idea ci interessa perché ha influenzato le prime riflessioni sulle reti sociali; in secondo luogo perché ha trovato conferme di un certo rilievo negli esperimenti small-world.

Verso la fine degli anni ’50 due studiosi americani si interessarono a sviluppare i primi passi di una teoria dell’influenza (sociale e politica) come funzione delle relazioni sociali, ovvero come abilità di raggiungere e persone “giuste” attraverso i canali appropriati.

A tal fine si interrogarono sulla struttura sociale, sulla distribuzione delle conoscenze sociali presenti in una determinata popolazione, non è solo una questione di probabilità, ma bensì una profonda conoscenza della società in questione.

Le reti di conoscenza, non sono distribuite casualmente tra le persone, ma sono socialmente strutturate.

Le reti di conoscenza tendono ad addensarsi intorno ad alcune dimensioni della struttura sociale: il territorio (relazioni di vicinato), le occupazioni (relazioni professionali), la famiglia (relazioni di parentela), il tempo libero (relazioni di tipo elettivo). Le società possono essere pensate come cluster (gruppi) sociali, in cui gli individui inclusi si conoscono bene. Le chance di conoscenza reciproca tra due persone, quindi, dipendono molto dalla struttura delle relazioni che lega i vari cluster sociali.

Questa teoria, tuttavia è puramente ipotetica. Le società reali sono diverse, si muovono all’interno degli stessi circuiti di relazioni sociali, per cui diventa facile che si conoscano tra di loro. Questo significa che il numero di nuovi conoscenti con un amico i mette in contatto è più limitato e questo tende ad allungare le catene sociali.

Dunque, per capire quanti passaggi sono necessari per contattare una determinata persona il calcolo delle probabilità non è di alcun aiuto. Bisogna invece, conoscere la struttura relazionale presente nella popolazione studiata.

Il mondo è piccolo.

Il modello matematico elaborato dal gruppo del MIT, per quanto interessante, poggiava su basi fragili. Nel 1967 lo psicologo sociale Milgram pubblica l’ “approccio Harvard” al fenomeno small-world.

Lo studio viene affrontato mediante 2 esperimenti: ad alcune persone scelte a caso (starting persons) vengono fornite delle informazioni di base su un residente di un altro Stato (target person), chiedendogli di far pervenire a quest’ultimo una lettera fornita dai ricercatori. L’unico vincolo è che vengano utilizzate esclusivamente catene di conoscenti: devono inoltrare il messaggio a un loro parente, amico o a un semplice conoscente (conosciuto personalmente).

Inizialmente i ricercatori di Harvard sono piuttosto scettici sulle possibilità di successo dell’esperimento, ma i risultati sono invece sorprendenti: dopo solo 4 giorni il primo messaggio arrivò alla target person.

Al termine dei due esperimenti le catene di trasmissione contano da 2 a 10 intermediari.

Il numero di messaggi che raggiunge l’obiettivo è però limitato. Tuttavia l’esperimento fornisce alcuni spunti interessanti:

È la distanza sociale più che quella fisica a limitare la trasmissione delle informazioni.

Esistono degli hub (punti o persone che formano uno SNODO) relazionali: molte catene diverse, infatti, convergono verso un numero limitato di persone che poi recapitano i messaggi al destinatario.

Questi hub risultano fortemente specializzati: alcuni sono terminali di catene professionali, altri di catene territoriali.

Affiora una forte segregazione di genere delle catene: gli uomini e le donne inoltrano il messaggio a conoscenti dello stesso sesso).

Le reti small-world.

L’esperimento small-world è stato più volte replicato per vedere l’influenza esercitata da alcune variabili: il sesso, contesti, i media. Questi tipi di esperimenti sono stati però sottoposti a severe critiche, sono stati rilevati diversi difetti, tra i problemi: le piccole dimensioni e l’arbitrarietà dei criteri di selezione che minano la casualità del campione; i bassi tassi di risposta e di completamento delle catene li rende poco affidabili per rilevare le reti sociali.

Nonostante molti di questi problemi possano essere risolti, resta comunque il fatto che questi problemi possano essere risolti, resta comunque il fatto che questi studi risultino sempre meno praticati per analizzare la struttura delle “reti reali”.

Una rinascita di interesse si è avuta con la creazione di modelli matematici per le reti small-world. Sul finire degli anni ’90 due ricercatori pubblicarono un articolo che mostra che partendo da un modello di cluster locali (relazioni a corto raggio) e aggiungendo casualmente poche relazioni a lungo raggio è possibile ridurre notevolmente la distanza media tra i punti presenti nel modello. In breve, si crea l’effetto small-world: dai piccoli mondi (locali) si passa al mondo piccolo (globale).

4. Le reti a invarianza di scala

Molti studi hanno arricchito la modellizzazzione matematica delle reti, portando contributo rilevante alla comprensione della loro evoluzione dinamica. In contemporanea con le analisi sui reticoli small – world, un fisico pubblica due articoli molto influenti che mettono in luce l’esistenza di altri tipi di reti, governate da regole diverse rispetto a quelle esplorate da Watts e Strogatz. Questi ricercatori mostrano che molte reti non seguono una distribuzione dei legami di tipo normale, ma una legge di potenza il picco dei casi si manifesta su valori molto bassi e tende poi a declinare lentamente. Si configura come una curva che decresce con costanza, dove molti piccoli eventi (nodi con pochi legami) coesistono con pochi grandi eventi (nodi con molti legami). Applicato alle reti del mondo reale, questo significa: una gran quantità di nodi possiede un numero ristretto di legami. Al crescere dei legami i casi tendono a rarefarsi, ma ci sono nodi che ne possiedono un numero molto elevato: i cosiddetti connettitori o hub. Le leggi di potenza hanno un

preciso esponente che è dato dal rapporto tra gli eventi più rari e quelli più frequenti. In una rete di tipo casuale i nodi hanno tutti lo stesso numero di legami, quindi hanno una scala tipica rappresentata dal nodo medio. Per le distribuzioni che seguono la legge di potenza non ha senso indicare un valore medio: non esiste un altro rappresentativo che può riassumere le caratteristiche. Questo tipo di reti non ha una scala tipica ed è per questo che vengono definite = reti in varianza di scala. BARABASI e i suoi collaboratori usano come base di partenza per le loro riflessioni il World Wide Web, mediante un apposito software, ne esplorano le pagine (nodi) e il link (legami) che li uniscono. Il risultato di questa esplorazione = la grande ragnatela mondiale possiede un diametro piuttosto limitato (pari a 18,6 link). Il punto più rilevante/innovativo di questo gruppo è un altro: essi dimostrano che la connettività globale non è assicurata uniformemente da tutti nodi, così come viene assunto sia nei modelli di tipo casuale che in quelli "piccolo mondo", soprattutto dagli Hub. Da qui la conclusione che la rete Web si legge su pochissimi nodi altamente connessi. Sono gli Hub ad essere responsabili dei fenomeni Small word e la loro grande connettività tiene uniti molti nodi, assicurandone la raggiungibilità mediante percorsi piuttosto brevi. Alla base vi sono due meccanismi generativi ignorati dalle teorie precedenti: i modelli che si basano su reti di tipo casuale sono statici ed egualitari; il modello a invarianza di scala proposto da B. si basa su due ipotesi opposte: spiega la generazione delle leggi di potenza sulla base di due semplici meccanismi, presenti in molti sistemi complessi di tipo sociale e non:

1. La crescita per godere continuamente aggiungendo nuovi nodi.

2. Il collegamento preferenziale per cui nuovi nodi tendono a entrare in relazione privilegiando i nodi giá connessi.

Le reti del mondo reale sono spesso dei sistemi dinamici: il numero dei nodi cresce e i nuovi arrivati nel connettersi alla rete esistente tendono a privilegiare gli Hub. A partire da queste riflessioni iniziali inizia a prendere forma un campo di studi sulle evoluzioni delle reti in cui il modello a invarianti di scala diventa un caso particolare. Laddove B. caratterizza in senso nomotetico la nuova scienza delle reti, affermando che “alcune leggi naturali” di vasta portata e semplici, governano la struttura e l’evoluzione di tutte le reti complesse che ci circondano; un approccio socio tende invece a introdurre maggior elementi di variabilità e contingenza. Un approccio socio allo studio delle reti complesse, non sembra in contraddizione con l’agenda di ricerca del new science of network. MARK e WATTS e altri indicano le tre caratteristiche che distinguono la nuova scienza delle reti:

Si focalizza sulle proprietà dei network presenti nel mondo reale ed è perciò interessata a questioni di tipo sia teorico che empirico.

Assume che i network non sono statici, ma evolvono nel tempo secondo varie regole dinamiche.

Mira a comprendere i network non come semplici oggetti topologi ma anche come strutture su cui si costruiscono sistemi dinamici distribuiti.

Le nuove connessioni vengono aggiunte a caso ma non sono però distribuite casualmente poiché tendono a privilegiare i nodi tra loro contigui. KLEINBERG mostra che imponendo al programma di usare solo info locali, i percorsi brevi tra due punti della rete risultano difficili da trovare. Le conclusioni generali che K. trae dal suo esperimento sono chiare: sono le tracce presenti nella strutturo locale riguardanti l’esistenza di connessioni a lunga distanza, a fornire indicazioni cruciali per trovare i percorsi giusti all’interno del network. Il punto chiave è: le diverse identità degli attori definiscono la mappa necessaria per orientarsi nelle reti sociali. La scoperta di K. è che le reti sociali sono composte di nodi dotati di identità sociali,

quest’ultime compongono le reti secondo il principio sociologico di omofili che porta gli individui ad associarsi con altre persone che condividono le loro stesse caratteristiche. Questo principio limita e restringe il mondo sociale poiché riduce gli uomini all’interazioni solo fra simili, limitando cosi le info e le esperienze che si possono fare. Questi mondi “simili” risultano anche interconnessi e stratificati = consentono apertura su mondi diversi. Identità e interazioni sociali sono multidimensionali = plasmano le reti secondo due principi che agiscono in senso opposto:

1. Omofolia: rende piccoli i mondi locali seguendo il criterio di omogeneità.

2. Multdimensionalità: rende piccolo il mondo globale permettendo di oltrepassare i confini dei mondi locali.

In conclusione, l’elemento distintivo delle reti sociali è che sono composte da attori che manipolano intenzionalmente le loro relazioni e questo condiziona le proprietà che le reti dispiegano.

Le reti di affiliazione

Definite anche reti bimodali o bipartire consisto in un set di nodi e eventi a essi associati. Applicato ai fenomeni sociali = descrivono eventi associati a gruppi di attori, questo consente di analizzarle da una duplice prospettiva: attori vs. gruppi. Due attori sociali sono affiliati, fanno parte di uno stesso gruppo vs. due tecnici che lavorano per azienda sono esempi di reti di affiliazione rilevanti per i processi d’innovazione. Le reti Small word risultano robuste e resistenti al cambiamento, questo loro attributo non dipende dalla rete hub, quanto dalle proprietà complessive del reticolo. Interlocking dictorates sono un meccanismo di diffusione delle innovazioni rilevante.

Industria dei musical

Che relazione c’è tra reti Small world e capacità innovativa? Questione affrontata da BRIAN e JARRET studiando il mondo della creatività artistica. Idea da cui partono è che la creatività e innovazione sono stimolate dall’unione di idee diverse, la tensione creativa non deriva dal singolo individuo ma dall’unione = da una sistema di relazioni sociali. Le reti incidono sul comportamento degli attori influenzando la connessione e la coesione del loro mondo relazionale. Sotto questo profilo, l'elevata connettività delle reti Small word consente di mettere in contatto il numero maggiore di soggetti permettendo alle informazioni di circolare attraverso i vari cluster di relazioni. La coesione invece crea presupposti di fiducia e reputazione affinché il materiale proveniente da un determinato cluster acquisti credibilità e valore in ambienti diversi. SHILINGS e PHELPS concettualizzano l'innovazione = un processo di problem solving di tipo ricombinatorio, poiché la ricerca di nuove soluzioni si basa spesso sulla combinazione creativa di elementi in parte già noti. Sotto questo profilo, le reti Small word delineano una favorevole struttura delle opportunità innovative. Gli elevati livelli di crustering locale migliorano la capacità di trasmissione delle informazioni tra le imprese e generano i presupposti di fiducia per la condivisione delle conoscenze e la ricerca in comune di soluzioni. La presenza, di legami bridging (quelli che uniscono diversi cluster locali) agevola la circolazione di informazioni non ridondanti tra i vari cluster, ampliando il range delle possibilità di ricombinazione a disposizione delle imprese. I dati della ricerca confermano l'ipotesi: le alleanze strategiche risultano fortemente clustered: le imprese infatti tendono ad allearsi con altre aziende a loro volta unite da accordi di collaborazione, inoltre nei settori industriali in cui esistono anche bassa distanza tra i cluster (cioè dove si verifica l'effetto Small word) cresce la capacità innovativa dell'impresa misurata attraverso la produzione di nuovi brevetti. In altri termini S. e P. mettono in luce l'influenza della struttura complessiva del network presente nei vari settori industriali, sulla performance delle singole imprese.

Gli Hub della Silicon Valley

La nuova scienza delle reti definita anche come: complex network theory = teoria delle reti complesse, è stato utilizzata anche da FERRARI e MARK per analizzare un cluster innovativo particolarmente noto: quello della Silicon Valley. I due studiosi distinguono questo tipo di cluster rispetto quelli industriali, che si caratterizzano essenzialmente per un'innovazione di tipo incrementale. Per contro i cluster innovativi si contraddistinguono per la loro capacità di riconfigurare radicalmente la loro catena del valore, attraverso innovazioni fondamentali che creano nuovi settori industriali. In particolare il vantaggio competitivo di questi territori, risiede nella continua generazione di Start up (nuove imprese) all'avanguardia tecnologica. L'innovazione però non è prodotta dalle singole aziende ma dall'intero sistema locale: deriva dall'interazione di una varietà di attori, radicata in un network complesso di relazioni sociali. Per queste ragioni, i due studiosi ritengono che la nuova scienza delle reti possa fornire contributi rilevanti all'analisi dei cluster innovativi. Le reti complesse possiedono alcuni tratti distintivi:

Sono composte da una pluralità di nodi che interagiscono senza un coordinamento di tipo gerarchico;

La struttura relazionale e le modalità di coordinamento emergenti influenzano l'efficienza degli attori e loro prestazioni, infatti non dipendono esclusivamente dalle risorse e competenze possedute singolarmente, ma anche dalle modalità di interazione con il loro ambiente circostante. Esiste cioè un'interdipendenza sistemica tra i nodi e la rete, e la capacità di sopravvivenza di entrambi dipende dalla varietà dei primi e dalla connettività della seconda.

La loro robustezza: la loro resistenza alle perturbazioni esterne; robustezza non significa stabilità della rete ma capacità di riconfigurarsi a fronte di sfide radicali che ne minacciano la sopravvivenza. Questa resistenza deriva dalla completezza della rete, all'interno della quale interagiscono in maniera decentrata, una pluralità di attori eterogenei: ciò consente di integrare diverse modalità di apprendimento stimolando la creatività.

Questi studiosi presentano la Silicon Valley come un caso paradigmatico di cluster innovativo, basato su una rete complessa. In questo territorio infatti interagiscono un'ampia gamma di attori socio economici: non solo impresa - università, ma anche studi legali consulenza, banche, si tratta di una densa rete di relazioni in cui legami organizzativi ed economici si mescolano con relazioni di tipo personale e sociale; il dinamismo innovativo di quest'area dipende inoltre dalla completezza del suo network e comprende attori eterogenei tra loro complementari. La Silicon Valley si è formata storicamente per stratificazioni successive mediante l'aggiunta di attori diversi che ne hanno irrobustito il sistema di relazioni. La presenza di queste società di investimento migliora la capacità innovativa e la robustezza complessiva della Silicon Valley svolgendo cinque funzioni specifiche:

La più nota è il finanziamento delle Start up tecnologiche.

La loro selezione.

Si lega alla terza funzione che è quella di segnalazione delle migliori Start up: il fatto di essere finanziate da una VC (venture capital: investe il capitale di rischio nelle più promettenti Start up locali) specialmente a quelle più affermate, produce un effetto a catena di accreditamento nei confronti degli altri attori del sistema, che agevola lo sviluppo successivo delle nuove imprese.

Radicamento delle nuove imprese: l'attivazione delle proprie relazioni in modo da consentire l'ingresso delle Start up nel reticolo complessivo.

Apprendimento collettivo: l'accumulo di esperienze e di conoscenze imprenditoriali che mettono a disposizione delle nuove imprese.

In conclusione l'utilizzo della nuova scienza delle reti consente ai due studiosi di mettere a fuoco l'interdipendenza tra le prestazioni dei singoli attori e quelle della rete nel suo complesso.

I SISTEMI DELL'INNOVAZIONE

Un approccio di studio integrato

A partire dalla seconda metà degli anni 80 negli Innovation Studies si generalizza l'idea che la conoscenza sia diventata uno dei driver fondamentali dello sviluppo economico e che processi di apprendimento siano essenziali per innalzare la competitività dell'impresa, delle regioni e delle nazioni (Learning Economy), viene poi abbandonata la visione strettamente economicistica dell'innovazione ci si rende conto che per innovare è necessario il contributo di una pluralità eterogenea di attori economici e non; le istituzioni giocano ruolo rilevante nel modellare il contesto in cui tali attori operano; viene riconosciuto il carattere intrinsecamente sociale e relazionale di questi processi, per cui la produzione e la diffusione della conoscenza dell'innovazione sono radicate in reti di relazioni tra persone e tra organizzazioni. Quest'approccio assume una prospettiva sistemica di innovazione: interpretata come una proprietà emergente solo parzialmente intenzionale di un sistema di elementi relazioni, con esiti che possono essere voluti o non voluti, positivi anche negativi per gli attori, interessati in breve all'idea che esistano dei propri sistemi di innovazione.

I presupposti

Gli approcci sistemici, che si sono diffusi nel corso degli ultimi 25 anni, mettono a frutto molto del lavoro di ricerca svolta, nei decenni precedenti, sull'innovazione e sui fattori di competitività a livello micro (aziendale) meso (settoriale territoriale) e macro (nazionale internazionale). La loro formulazione rappresenta anche una risposta alla presenza di alcuni fenomeni economici che evidenziano il carattere sempre più complesso e interattivo dei processi d'innovazione.

Il cambiamento intervenuto nei modelli di produzione a livello micro e di regolazione dell'economia a livello mese/macro. Con la crisi del fordismo, le imprese sperimentano dei modelli alternativi di organizzazione della produzione relazione e l'importanza del contesto socio istituzionale delle sue articolazioni territoriali.

Lo sviluppo dei settori High-Tech che mette in luce un processo crescente di "scientificazione" della tecnologia, particolarmente accentuato nei settori Science Based = nei comparti produttivi che si avvalgono maggiormente delle conoscenze provenienti dalla comunità scientifica (biotecnologie/farmaceutiche).

La crescita delle Partnership Interaziendali soprattutto nel campo della R&S, dovuto al carattere sempre più variegato interdipendente delle conoscenze specialistiche necessarie all'innovazione.

Globalizzazione economica e alla riorientamento delle politiche pubbliche che ne discende. L'emergere di una nuova concorrenza internazionale proveniente dai paesi di nuova industrializzazione rende chiaro: Innovazione risulta l'arma vincente per competere con i paesi a basso costo del lavoro.

Il ruolo delle politiche pubbliche risulta cruciale per sostenere l'innovazione.

Le politiche vanno però ripensate all'interno di una cornice più integrata di tipo sistemico.

In breve l'insieme di questi fenomeni spinge una riconsiderazione dell'innovazione alla luce del fatto che la produzione di beni e servizi diventa sempre più knowledge intensive. Questo è un frame analitico concettuale che orienta l'analisi verso lo stesso oggetto di ricerca articolata diversi livelli. Esistono anche diversità che non vanno trascurate a partire da quelle costitutive relative alle dimensioni fondative dei sistemi di innovazione, questi ultimi infatti sono stati definiti utilizzando criteri "spaziali geografici" distinguendo tra loro sistemi nazionali a quelli regionali e locali, oppure utilizzando criteri "tecnico industriali" classificandoli in base ai settori produttivi o a quelli tecnologici, oppure identificandoli in base ai tipi di "attori e di rapporti " come nel caso della tripla elica.

I Sistemi Nazionali

Le prime formulazioni che fanno riferimento a sistemi di innovazione nazionale compaiono negli anni 80 grazie ai maggiori studiosi degli IS. Il termine impiegato per la prima volta in uno scritto di Charles Freeman, non pubblicato, dove lo studioso inglese sottolinea l'importanza di ruolo attivo dei governi nel promuovere le infrastrutture tecnologiche, a supporto dello sviluppo economico; questo concetto ha trovato ampia diffusione in ambito politico, oltre che accademico; il concetto è stato inoltre recepito dalla commissione europea dalla conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e sullo sviluppo. Il primo motivo che spiega questo successo riguarda la positiva accoglienza avuta in ambito accademico: ovvero questo approccio sviluppa una pluralità di contributi elaborati negli anni precedenti. Altre indagini avevano sottolineato il ruolo delle relazioni non di mercato nella trasmissione delle conoscenze e quello del contesto istituzionale nella regolazione dell'economia. Inoltre nell'approccio sistemico confluiscono riflessioni tipo teorico: si assiste infatti ad una presa di distanza dall'economia neoclassica sia sul piano analitico che per la scarsa enfasi data cambiamento tecnologico nella spiegazione della crescita economica, sia sul piano politico perle sue implicazioni neoliberiste nel policy making. La crisi della concezione lineare dell'innovazione e l'emergere dell'economia evolutiva stimolano la ricerca di nuove coordinate concettuali. L'innovazione viene posta al centro di una nuova teoria dello sviluppo che integra l'analisi della struttura economica e del contesto istituzionale, sia per spiegare diversi andamenti specializzazioni dell'economie avanzate, sia per fornire suggerimenti governi nazionali. secondo motivo di rapido successo approccio sistemico e si soffermano come policy concept cioè come un concetto utile a orientare non solo la ricerca ma anche le politiche pubbliche. I SIN nascono al confine tra due comunità: quella scientifica e quella policy making in virtù del ruolo ricoperto da alcuni importanti studiosi entrambe le arene. Esistono varie definizioni: nelson e rosenberg: insieme di situazioni le cui interazioni determinano la performance innovativa delle imprese nazionali. Lundvall: elementi relazione che interagiscono nella produzione diffusione uso della nuova ed economicamente utile conoscenza e che sono collegati o radicati all'interno dei confini di uno Stato nazione. Definizioni in parte diverse ma dietro le quali sono alcuni assunti teorici condivisi.

1. Il primo assunto è che le economie nazionali presentano una varietà di specializzazioni che non riguardano solamente le strutture produttive e commerciali, ma anche quelle conoscitive. Queste specializzazioni produttive - conoscitive sono tra loro interdipendenti e co-evolvono in maniera path-dependent; seguono cioè traiettorie modellate dalla storia e dall'esperienze precedenti, trasformandosi lentamente a seguito non solo dei cambiamenti economici, ma anche dei processi di apprendimento sviluppati dagli attori.

2. Il secondo assunto è che la conoscenza è appiccicosa (sticky) non cricola facilmente da un nodo all'altro perché incorporata nelle menti dei corpi delle persone, nelle routine aziendali, nelle relazioni interpersonali e Interorganizzative.

3. Il terzo assunto è che gli individui imprese le altre organizzazioni non innovano mai solamente che per studiare la loro relazione è necessaria la prospettiva interazionista.

4. E quarto assunto è che la pluralità (eterogenea) di attori istituzioni implicati nei processi di novazione richiede un approccio analitico di tipo olistico interdisciplinare storico evolutivo.

Per tutte queste ragioni gli studiosi che si collocano all'interno di questo filone assumono un'impostazione sistemica: si concentrano solo sugli aspetti economici ma anche su quelli sociali politici: sistema che viene concepito come un insieme interconnesso di elementi che lavorano obiettivo comune un sistema è formato da due elementi: le componenti e le relazioni, possiede delle proprietà emergenti diverse e distinte da quelle degli elementi che lo compongono. Le componenti del sistema sono le organizzazioni e istituzioni.

Insieme di attori che agiscono - interagiscono nel sistema,

Norme formali e informali che ne orientano l'azione e ne regolano l’interazione.

Relazioni rapporti che legano le varie componenti del sistema. Questa dimensione riguarda i legami che si vengono a creare fra le organizzazioni nell'ambito di uno specifico contesto generale.

La definizione dei confini del sistema è un aspetto cruciale: poiché individua quali componenti e relazioni vengono presi in esame. Gli studi sui SIN adottano un criterio geopolitico di definizione, assumendo gli Stati Nazionali come unità di analisi 1. c’è la consapevolezza che esistono forti differenze economiche politiche, sociali culturali a livello nazionale, che influenzano le configurazioni spaziali organizzative del sistema d’innovazione: le risorse che investono nella ricerca scientifica, le specializzazioni ecc; 2. è che le politiche che supportano direttamente - indirettamente la capacità innovativa dell'impresa e dei territori sono decise in misura rilevante a livello statale. Ciò però non significa escludere altre dimensioni di analisi su scale diverse e neppure negare che altre istanze regolative internazionali nazionali giochino un ruolo di rilievo. Negli ultimi anni è stata dedicata attenzione anche alle funzioni alla attività dei sistemi d’innovazione la funzione principale di SIN promuovere lo sviluppo e la diffusione e uso dell'innovazione. Le attività sono svolte dalle varie organizzazioni e rappresentano il loro contributo specifico all’innovazione. Non esiste comunque una relazione univoca tra org. e attività.

Sulla base dei vari contributi apparsi nella letteratura internazionale, EDQUIST ha elaborato la lista delle 10 principali attività svolte dai SIN:

Produrre nuove conoscenze attraverso la R&S.

Costruire competenze per il capitale umano attraverso sistema scolastico – universitario, la formazione professionale.

Fondare nuovi mercati di prodotti.

Articolare requisiti qualitativi per i nuovi prodotti con riferimento ad esigenze della domanda.

Modificare le organizzazioni necessarie allo sviluppo di nuovi campi di innovazione.

Generare reti di mercato e non per favorire la circolazione delle conoscenze.

Creare - modificare istituzioni in grado di fornire vincoli e incentivi utili per l'innovazione.

Svolgere l'attività di incubazione per iniziative.

Assicurare finanziamenti per l'innovazione.

Fornire servizi di consulenza qualificati.

Molte di queste attività assumono una rilevanza diversa, a seconda dei sistemi territoriali - settoriali presi in considerazione.

Nell’approccio dei SIN le istituzioni rivestono un ruolo impo e ciò crea un interessante terreno di confronto con la political economy comparata, cioè on gli approcci sociologici e politologici di matrice istituzionale. Per l'approccio di SIN, la storia e i contesti istituzionali sono importanti per comprendere le concrete modalità di comportamento, interazione e apprendimento degli attori economici; questo però non è condiviso da tutti alcuni autori si differenziano in maniera netta per quanto riguarda le organizzazioni e le istituzioni, altri invece usano termini come istituzioni e attori istituzionali includendovi tutte le organizzazioni coinvolte nell'innovazione. Un'altra differenza riguarda la definizione che viene data dell'oggetto di analisi: ci sono coloro che si focalizzano sulle attività di R&S e sulle relative politiche per individuare le specializzazioni di sistemi scientifici e innovativi nazionali, di contro ci sono coloro che assumono una prospettiva più ampia attribuendo importanza non solo alle attività di ricerca più formalizzate, ma anche alle forme di conoscenza tacita e alle modalità di apprendimento basate sulle routine produttive sull'interazione. In altre parole i primi si concentrano sulle principali organizzazioni (imprese/università) che promuovono e diffondono le conoscenze scientifiche e l’innovazione, i secondi invece ritengono che queste attività vadano viste in un contesto più ampio, poiché fattori economici, politici e culturali influenzano l'intensità e risultati dell'attività innovative. Altra differenza riguarda il grado di teorizzazione necessaria nell'ambito di questo campo di studi = Gli studi di caso prestano particolare attenzione alle attività di ReS e al loro finanziamento concentrandosi su tre fattori principali: imprese, università e governi con le loro politiche. Il contributo offerto da queste istituzioni e le diverse combinazioni presenti nei vari paesi (cioè il diverso mix istituzionale) definiscono le caratteristiche distintive dei sistemi nazionali di innovazione e ne condizionano le prestazioni. La forza dei sistemi di innovazione riflette gli sforzi condotti consapevolmente dal settore pubblico per sostenere l'economia nazionale. Il sostegno della ricerca scientifica ha un impatto rilevante per alcuni settori (quelli Science based) specialmente se si accompagna a misure specifiche volte a favorire rapporti tra le università e il mondo delle imprese.

Per quanto riguarda i finanziamenti diretti alla ricerca industriale, il giudizio è controverso: i programmi nazionali infatti sono altamente differenziati così come lo sono i loro esiti.

LUNDVALL: fornisce una cornice teorico concettuale sui sistemi di innovazione, che deriva dalle ricerche sullo sviluppo economico condotte da un gruppo di economisti dell'università. Il punto di partenza è l'affermazione che nei nuovi scenari economici, le risorse fondamentali per la competizione sono rappresentate dalla conoscenza dei processi di apprendimento in altri termini si afferma quello che può essere definita come la "Learning economy" = un'economia basata sull'apprendimento. Nel capitalismo moderno di innovazione è:

Costitutiva e onnipresente = è diffusa in tutto il tessuto economico e implica processi continui di apprendimento;

Graduale e cumulativa = è formata da nuove combinazioni basate su conoscenze, opportunità e componenti già disponibili, ma che vengono abbinate in maniera diversa introducendo discontinuità più o meno radicali con il passato.

Processuale = non consiste di un singolo evento bensì di una serie di attività tra loro concatenate che si influenzano a vicenda e fanno assumere le classiche distinzione tra invenzione - innovazione e diffusione.

Interattiva e collettiva = l'apprendimento si configura in termini relazionali Interactive Learning e la conoscenza è un bene comune che viene condiviso dentro i network e le organizzazioni.

Per tutte queste ragioni, L. sostiene la necessità di un nuovo modello analitico, alternativo a quello neoclassico che pone al centro l'apprendimento finalizzato all’acquisizione e alla creazione di conoscenze utili per l'innovazione. In questo nuovo approccio la conoscenza è più di un semplice accumulo di informazioni poiché include la capacità di interpretarle e utilizzarle. L'apprendimento si configura come un processo di costruzione di competenze ci sono quattro tipi di conoscenze che si fondano su competenze di natura diversa:

Know What and Know Why riguardano la conoscenza dei fatti (naturali sociali) e dei principi che li spiegano e si basano su competenze di tipo cognitivo;

Know How fa riferimento alle conoscenze pratiche alle competenze per eseguire compiti specifici;

Know who si riferisce a saperi, competenze sociali ovvero a conoscenze relative alle persone (il chi sa che cosa - il chi sa fare che cosa) e delle abilità di costruire rapporti interpersonali.

Queste conoscenze vengono apprese in modi differenti: le prime due sono più formalizzate e possono essere assimilate attraverso lo studio, le altre due invece presentano degli aspetti taciti che sono difficili da codificare, per cui vengono acquisite tramite esperienze pratiche, relazioni sociali. La loro circolazione non avviene tramite canali ordinari di mercato poiché la trasmissione di conoscenze tacite e le forme di apprendimento mediate da relazioni interpersonali sono profondamente offesa del aspetti fiduciari.

La Learning Economy ha bisogno di molta fiducia e coesione sociale: si tratta di un sistema sociale poiché quest'attività implicano interazioni tra persone, e dinamico perché viene mosso da feedback che possono rinforzare/ostacolare la crescita e la riproduzione dei suoi elementi costitutivi. L. si riconosce in una definizione ampia del SIN non si concentra sull'istituzioni e organizzazioni che si occupano della ricerca scientifica/tecnologica, ma su tutte le componenti della struttura economica e istituzionale che influenzano i processi di apprendimento. Questi ultimi sono radicati in attività di routine che si svolgono nella sfera della produzione, della distribuzione e del consumo e che forniscono importanti stimoli per l'innovazione. Queste attività ordinarie generano economie di apprendimento di tre tipi:

1. Learning by Doing ( apprendere facendo) che produce miglioramenti del processo produttivo;

Learning by Using (apprendere usando) aumenta efficienza d’uso dei sistemi complessi;

Learning by Interactive (apprendere interagendo) introduce perfezionamenti/innovazioni che derivano dalle relazioni con altri soggetti;

Approccio di L. coniuga l'analisi economica con quella istituzionale, c'è una relazione di tipo circolare. Le specializzazioni produttive influenzano le istituzioni nazionali e queste ultime tendono ad attrarre e avvantaggiare le imprese e le industri più compatibili c'è perciò una forte interdipendenza fra strutture economiche e contesto istituzionale. Le situazioni svolgono ruolo fondamentale nei processi di apprendimento e innovazione poiché riducono i rischi, distribuiscono incentivi mediano i conflitti e coordinano l’uso della conoscenza, inoltre organizzano il processo cognitivo sia tramite l'accumulazione e la trasmissione della conoscenza che deve essere “ricordata”, sia selezionando ciò che va dimenticato e

abbandonato, ovvero tramite la distruzione “creativa” della conoscenza. Sia apprendimento che la dimenticanza creativa sono essenziali per l’innovazione e sono processi regolati per via istituzionale. Le situazioni inoltre modellano quattro aspetti che impattano sugli orientamenti innovativi degli attori economici:

Gli orizzonti temporali degli attori;

Ruolo della fiducia;

Il mix di razionalità utilizzata;

I modi in cui autorità viene esercitata

Per queste ragioni le differenze istituzionali, culturali e storiche dei vari paesi si riflettono in specificità dei SIN, in quanto influiscono sugli assetti delle imprese, sulle loro reazioni, sul ruolo del settore pubblico, sull’assetto del settore finanziario, sull’intensità delle ReS e sulle organizzazioni che se ne occupano.

I Sistemi Settoriali

Finora ci siamo concentrati sui sistemi di innovazione definiti su base geografica. Alcuni autori hanno proposto un approccio diverso basato su settori di produzione. L'assunto è che le modalità del cambiamento tecnologico di innovazione dipendono dalle caratteristiche specifiche delle varie industrie Sistemi di innovazione settoriale (SIS) si discosta dalla prospettiva tradizionale:

1. Perchè a differenza dell'economia industriale analizza i settori in funzione dei processi di innovazione, e non considera i loro confini come statici e dati una volta per tutte;

2. Perché non prende in esame solo le imprese ma anche altri attori, analizzando le loro interazioni all'interno di contesti modellati dalle istituzioni.

L'economia evolutiva rappresenta la cornice teorica di questo approccio fornendogli alcuni degli assunti di base:

Le trasformazioni tecnologiche sono centrali per spiegare il cambiamento economico;

Gli attori coinvolti nei processi innovativi sono eterogenei in termini di competenze, esperienze, organizzazione e agiscono seguendo una razionalità limitata all'interno di scenari altamente incerti e in continua evoluzione;

Il comportamento dell'impresa è plasmato dal contesto, per cui le loro modalità di azione, di apprendimento sono vincolati dalla tecnologia, dalla base di conoscenza dell'ambiente situazionale.

SIS: sistema settoriale di innovazione e produzione, si compone di una serie di prodotti nuovi - esistenti per usi specifici e di una serie di agenti che svolgono attività e hanno interazioni sia di mercato che non, finalizzati alla creazione, produzione e vendita di quei prodotti.

I principali elementi costitutivi dei SIS sono tre:

1. Conoscenze e tecnologie: le nuove cognizioni sono il fondamento del cambiamento tecnologico, ciascun settore ha una conoscenza dei specifici processi di apprendimento.

2. Agenti e network: i protagonisti dei sistemi settoriali possono essere individui e organizzazioni.

3. Istituzioni: includono le norme, routine, abitudini, pratiche, le regole leggi e gli standard che plasmano le conoscenze - comportamenti degli attori. Le istituzioni regolano l'interazione tra gli attori, incidono sul cambiamento tecnologico e sull'attività innovative delle imprese.

Il primo dei tre fattori rappresenta l'elemento centrale distintivo di questo approccio. L'idea è che ogni SIS abbia come suo fondamento un diverso regime tecnologico. NELSON e WINTER: concetto introdotto da questi due studiosi, fa riferimento all'ambiente tecnologico in cui operano le imprese che si differenzia dalle condizioni in cui avviene il cambiamento delle tecnologie (opportunità, appropri abilità, cumulativo e alle caratteristiche delle conoscenze di base):

1. Condizioni di opportunità: rappresentano occasioni di innovazione che si danno a parità di risorse investite nella ricerca, la presenza di alti/bassi opportunità definisce l'ambiente tecnologico dove esistono ampi/ristretti potenziale d'innovazione e si creano perciò forti/deboli incentivi a investire risorse.

2. Le condizioni di appropriabilità: riguardano la possibilità di tutelare i risultati dell'innovazione per ottenere relativi benefici economici.

3. Le condizioni di cumulative: si riferiscono al grado in cui le conoscenze accumulate in passato sono importanti per produrre di nuovo in futuro: nuove soluzioni tecnologiche dipendono da quelle già introdotte in precedenza.

4. Le conoscenze di base fanno riferimento al Know How necessario per l'attività innovative e si distinguono in base alla natura (più o meno specifica, tacita, complessa e indipendente) e ai mezzi di trasmissione (formali/informali).

Due modelli proposti da SHUMPETER il primo è quello della distruzione creativa il cosiddetto Shumpeter Mark 1 tipico di mercati con basse barriere all'entrata, caratterizzati dalla presenza di piccole e medie imprese, azioni che vengono generate da imprenditori/innovatori. Il secondo è invece il modello dell'accumulazione creativa Shumpeter Mark 2 mercati con alte barriere all'ingresso e processi innovativi dominati dai laboratori di ReS delle grandi imprese. Il primo modello tende a prevalere in alcuni settori tradizionali e in quelli meccanici, mentre il secondo nei settori che impiegano le tecnologie chimiche ed elettroniche; in sintesi i regimi tecnologici condizionano il modo in cui l'attività innovative vengono organizzate e introdotte nei vari settori industriali. I modelli di innovazione non sono però statici, cambiano nel tempo secondo il ciclo della vita di un settore e l'evoluzione del suo regime tecnologico nella fase iniziale, quando le conoscenze sono ancora fluide, la traiettoria tecnologica è incerta, sono basse di barriere all'entrata, nuove imprese di piccole dimensioni sono la molla principale dell'innovazione prevale perciò Mark 1; quando settore entra in una fase di maggior maturità e la traiettoria tecnologica si stabilizza iniziano invece diventare più rilevanti le dotazioni finanziarie, le economie di scala Mark 2. I processi di cambiamento settoriale non sono lineari, procedono sostanzialmente attraverso tre tipi di processi evolutivi:

La creazione di varietà: che aumenta le opzioni disponibili nelle tecnologie dei prodotti dell'impresa, tentazioni, situazioni strategie;

La selezione di uno o più fra queste tre è la riproduzione dell'astrazione, se replicata genera continuità/inerzia. Nell'evoluzione dei SIS va aggiunto che essa non dipende solamente dei cambiamenti che avvengono delle singole componenti: conoscenza, tecnologie, attori, registrazioni, ma anche dalla loro evoluzione quest'ultima può essere definita come il mutamento congiunto interdipendente tra tecnologia, competenze, strategie, organizzazione di impresa, struttura di mercato, domande, situazione.

Altro aspetto rilevante riguarda i flussi tecnologici tra le imprese e i settori cioè le sorgenti dell'innovazione, i processi di fusione delle nuove tecnologie. Questa prospettiva di analisi mette in luce la complessa ragnatela di transazioni tecnologiche tra le varie industrie PAVITT : Dalle sue analisi gli elementi principali: 1. le imprese esplorano nuove soluzioni tecniche a partire dalle conoscenze/competenze a loro disposizione e che il cambiamento tecnologico a livello di impresa è un processo cumulativo; 2. varietà settoriale di innovazione di processo, di prodotto e del processo tecnologico. In altri termini emergono dei modelli ricorrenti di cambiamento tecnologico che consentono a P. di elaborare una tassonomia settoriale che tiene conto dell'eventuale coincidenza tra i settori di produzione di uso delle innovazioni. Questa classificazione si basa su diverse dimensioni sono: le fonti settoriali della tecnologia, le fonti istituzionali e la natura della tecnologia, le caratteristiche delle imprese innovative. Usando come unità di analisi le aziende innovative, le loro traiettorie tecnologiche P. elabora la seguente classificazione:

Imprese dominate dai fornitori: prevalgono nei settori manifatturieri tradizionali, in agricoltura, nelle costruzioni dei servizi; sono in genere piccole, il loro vantaggio competitivo si basa sulle competenze professionali, design dei prodotti, marchi, pubblicità, le loro traiettorie si basano prevalentemente sulla riduzione dei costi, non contribuiscono allo sviluppo delle tecnologie che utilizzano, per cui innovazioni provengono principalmente da fornitori di materiali o di attrezzature.

Impresa intensità di scala: operano nei settori di produzione dei materiali vetro, acciaio, cemento, dei beni di consumo durevoli, di veicoli; sfruttano le ampie dimensioni di mercati di riferimento di scala attuando una forte divisione del lavoro allora interno, con una standardizzazione semplificata dei compiti, una crescente meccanizzazione che consente di ridurre costi di produzione, la traiettoria delle tecnologiche usano proprietà diverse innovazioni di processo, sono in genere di dimensioni medio, le fonti di innovazione provengono dall'esperienza delle competenze maturate da reparti produttivi oppure dall'attività interne degli uffici di ReS, oppure dai rapporti con i fornitori, specializzati di macchinari

Imprese di fornitori specializzati: : operano nella meccanica strumentale e nella produzione di macchinari, attrezzature. Traiettoria tecnologica diversa dalla precedente: orientata verso innovazioni di prodotto volte a migliorare le prestazioni piuttosto che verso innovazioni di processo a ridurre i costi, piccole dimensioni e producono novità che vengono utilizzate da altre imprese in altri settori, le fonti di innovazione provengono dall'apprendimento per esperienza(learning by doing) e interazione (learning by interacting) con gli utilizzatori.

Imprese basate sulla scienza: settori chimico, farmaceutici, elettrici, le fonti di innovazione risiede nella città di ReS svolte dalle imprese in collaborazione con università e altri centri di ricerca. L’elevata sofisticazione delle conoscenze richieste nei comparti e le economie di apprendimento legate alla ricerca svolta al loro interno generano elevate barriere d’ingresso che ostacolano l’entrata di nuovi attori. Imprese che sono in genere di dimensioni medio/grandi producono la gran parte dell'innovazione di processo e di prodotto utilizzate nei rispettivi settori.

SIT: sistema di innovazione tecnologica che insiste molto sulla specificità dei processi conoscitivi, relazionali sottostanti al cambiamento tecnologico: da un lato quello analitico fa riferimento a specifiche tecnologie, l'altro riguarda tecnologie generiche con confini settoriali, geografici meno definiti che possono applicarsi a una pluralità di settori industriali e oltrepassare la dimensione regionale nazionale. Il punto di partenza è fornito dal concetto di sistema tecnologico inteso come network di agenzie che interagiscono in una determinata area economica/industriale nel contesto di una particolare infrastruttura situazionale che sono coinvolti nella produzione, diffusione e utilizzo della tecnologia.

La tripla elica

Tripla elica sottolinea la componente sistemico interazionale dei processi di innovazione. Gli studiosi della TE fanno differenza --> SIN: sistemi nazionali di innovazione di tipo incrementale, protagoniste le principali imprese e si concentra su aspetti path dependent dei sistemi istituzionali Vs. Modello TE: focalizza su innovazioni radicali che creano maggiori discontinuità strutturali.

TE: mette al centro le interazioni fra tre distinte sfere istituzionali: università industria e governo quest'ultime considerate come le chiavi di volta per l'innovazione e la crescita; la TE: ovvero l'interazione a spirale tra università industria e governo evoca l'immagine della pompa idraulica vite elicoidale, meglio conosciuta come vite di Archimede: un dispositivo meccanico per sollevare liquidi, che nell'antica Mesopotamia aveva generato un innovativo sistema idraulico per l'agricoltura. Questo nuovo modello deriva dalla convergenza di due diversi assetti istituzionali: il modello statalista dove il governo controlla l'università e l'economia e il modello del laissez faire di matrice liberale in cui le sfere sono indipendenti e interagiscono molto debolmente perché sono separate da confini rigidi. Si tratta di due tipi ideali opposti sotto il profilo della governante nel primo il ruolo centrale nel promuovere la crescita economica e lo sviluppo sociale spetta il governo mentre secondo al mercato. Vi sono due distinti percorsi a causa dei nuovi scenari competitivi: il primo che interessa il modello statalista si sviluppa come un processo di relativa differenziazione istituzionale che conferisce una maggiore autonomia all'università e all'industria e porta poi a un nuovo punto di equilibrio dove si assiste a un'interazione fra le tre sfere situazionali, ma su basi di maggiore indipendenza e parità. Il secondo percorso che riguarda il modello delle laissez faire: opposto, riduce l'autonomia dell'istituzioni e produce una crescente integrazione tra le sfere istituzionali. L'immagine della TE viene proposta per sottolineare come l'innovazione necessiti dell'apporto di tutte e tre le sfere istituzionali. Quindi la tripla elica è una piattaforma generativa di istituzioni che dà vita a nuovi formati organizzativi per promuovere l'innovazione come sintesi degli elementi delle tre eliche , questi andamenti si dispiegano prevalentemente su scala regionale, dove si sposa intenzionalmente una strategia innovativa basata sulla creazione di nuove imprese Science based, che si avvalgono delle conoscenze prodotte dalla comunità scientifica. Le regioni della TE non coincidono necessariamente con i confini politico/amministrativi degli Stati, includono tre elementi costitutivi:

Una fonte di conoscenza (knowledge space)

È un meccanismo di creazione del consenso (consensus space)

Un progetto finalizzato a promuovere l'innovazione (innovation space)Queste esperienze vivono una fase iniziale rappresentata dalla creazione di uno spazio della conoscenza ovvero dalla agglomerazione territoriale di attività di ricerca, focalizzate su uno specifico tema da cui possono derivare rilevanti sviluppi tecnologici e commerciali; c'è però bisogno che gli attori rilevanti di quel territorio e lavorino una strategia condivisa finalizzata a valorizzarle, bisogna quindi creare uno spazio del consenso: un luogo dove i maggiori attori regionali provenienti da settori ed esperienze diverse, si riuniscano per elaborare un progetto comune dando così vita a reti di discussione che oltrepassano i confini delle sfere istituzionali. Infine questi progetti devono concretizzarsi in uno spazio dell'innovazione: una nuova organizzazione ibrida che promuove l'innovazione su scala regionale, mettendo in collegamento le risorse, le persone e le reti della TE per realizzare i fini articolati nella spazio del consenso.

LA GEOGRAFIA DELL’INNOVAZIONE

La morte della distanza e la riscoperta della geografia

Negli scorsi decenni il dibattito sulla globalizzazione, sulle nuove tecnologie dell'informazione ha fatto spesso parlare di una fine della geografia. La rivoluzione avvenuta nei mezzi di comunicazione e la riduzione degli ostacoli (normativi, tariffari) ai movimenti delle merci e dei capitali hanno fatto ipotizzare a una morte della distanza --> si tratta di un'ipotesi non nuova. Sul fronte economico si allude al fatto che il cambiamento tecnologico avvenuto negli ultimi anni ha modificato il modello di sviluppo: da un lato l'economia si basa sempre più sull'utilizzo di conoscenze e beni materiali (creatività), dall'altro si assiste a una drastica organizzazione spaziale delle attività produttive che tende a relativizzare l'influenza della "lontananza fisica". La produzione della ricchezza del benessere non avviene in qualsiasi posto nel mondo: le imprese si addensano in luoghi specifici, dove trovano altre aziende simili, con servizi adeguati e una manodopera qualificata. Non c'è da stupirsi se negli stessi anni in cui si parlava di fine della geografia di globalizzazione altri studiosi riscoprivano l'importanza delle regioni delle società locali questa riscoperta del territorio è anche alla base della geografia dell'innovazione: neanche l'innovazione infatti avviene ovunque ma tende ad agglomerarsi in determinati luoghi ricchi di risorse, dal contesto socio istituzionale per l'innovazione e la dimensione spaziale: importante essenzialmente per due motivi: 1. l'introduzione di nuovi prodotti e processi produttivi implica l'interazione lo scambio tra una pluralità di attori; 2. gli Spillover di conoscenza la circolazione più o meno volontaria delle informazioni e delle conoscenze che vengono prodotte nelle attività di ricerca di innovazione. La produzione e la diffusione di una nuova conoscenza (economicamente rilevante) avvengono spesso a livello territoriale mediante dinamiche di Learning through Interacting come un processo di apprendimento interattivo radicato nei sistemi territoriali dell'innovazione. Molti studi sono accomunati dall'idea che alcuni territori forniscono specifici vantaggi localizzativi, che facilitano i processi di innovazione e la competitività delle imprese; tre elementi risultano interessanti in questa letteratura: 1. la riscoperta delle economie regionali e locali con riferimento alla questione dell'accumulazione e circolazione della conoscenza; 2. questo sforzo analitico si colloca in una prospettiva interdisciplinare e si avvale del contributo congiunto di studiosi appartenenti a settori scientifici diversi; 3. le attività innovative sono radicate all'interno di reti interpersonali e interorganizzative che implicano una relazione in prossimità.

Conoscenza tacita e prossimitá

Per spiegare la rilevanza del territorio nei processi di innovazione; con questo termine si fa riferimento a una forma di conoscenza che a differenza di quella esplicita, è difficile da tradurre in forma scritta o codificata e da trasmettere ad altri. I motivi che rendono taciti alcuni aspetti della conoscenza sono almeno due: 1. è legato alla consapevolezza soggettiva. 2. è legato alle difficoltà di comunicare attraverso linguaggio parlato scritto. Ma cosa c'entra la conoscenza tacita con l'agglomerazione territoriale dei fenomeni inattivi? per spiegarlo due passaggi:1. oggi la conoscenza (la sua produzione, la sua diffusione e il suo impiego a fini commerciali) è alla base della competitività attività dei paesi avanzati si tratta di un bene che possiedo un grande valore economico, tuttavia la conoscenza è stata a lungo considerata dagli economisti come un bene economico molto particolare difficile da organizzare.

La conoscenza possiede le caratteristiche del bene pubblico: questo tipo di beni si contraddistingue per due proprietà 1. la non rivalità del consumo: per cui la loro fruizione da parte di un attore non riduce la possibilità di utilizzo anche da parte di un altro attore; 2. la non escludibilità dei benefici: per cui è difficile escludere dalla loro fruizione le altre persone.

La conoscenza presenta tratti simili poiché una volta che una nuova idea viene creata, può essere riprodotta, diffusa e consumata da una pluralità di attori senza che questo ne deteriori o ne compromette la qualità. Esiste perciò un marcato problema di divergenza tra benefici sociali e benefici privati: un'ampia diffusione delle nuove conoscenze (elevata utilità sociale) produce un deficit di remunerazione per gli attori economici che le hanno prodotti e quindi scarsi incentivi a investirvi risorse (basso utilità privata). Nessuna protezione legale può trasformare un bene così intangibile come la conoscenza/informazione in una merce completamente appropriabile dai privati. Da questo insieme di considerazioni implicazioni: 1. l'importanza attribuita al finanziamento pubblico della ricerca, specialmente nei settori di base; 2. la progressiva scoperta da parte dei teorici dello sviluppo del ruolo cruciale delle conoscenze e delle loro esternalità per la crescita economica. Secondo passaggio per spiegare l'importanza della conoscenza per lo sviluppo per l'agglomerazione azioni: anni ottanta, l'attenzione volta sul progresso tecnologico enfatizzandone due aspetti: 1. il cambiamento tecnologico è il risultato di decisioni consapevoli, di investimenti finalizzati da parte delle imprese private e di altri attori; 2. questi investimenti producono esternalità che generano rendimenti sociali crescenti. L'output produttivo delle singole imprese perciò non dipende solamente dal fattori riproduttivi interni ma anche dalle conoscenze disponibili a livello collettivo. Ogni investimento privato in ricerca non aumenta solamente lo stock di conoscenze della singola impresa, ma attraverso gli Spillover accresce anche lo stock aggregato di conoscenze pubbliche: per questo come indicato da ARROW il rendimento sociale degli investimenti in ReS è superiore a quello privato.

Per comprendere il problema (la concentrazione territoriale dei processi innovativi) dobbiamo 1. mettere in discussione il teorema A; 2. introdurre l'idea che questi costi di trasferimento/apprendimento siano legati alla prossimità tra i soggetti coinvolti. Il teorema di A. è stato messo in discussione: le nuove conoscenze, presentano rilevanti barriere di accesso alle simmetrie informative Difatti la conoscenza privata legata a ricerche calibrate sulle specifiche esigenze di un'azienda e questo non la rende facilmente trasferibile. Inoltre l'appropriazione della conoscenza pubblica non è esente da queste complicazioni: richiede un investimento nel capitale umano interno all'impresa per mettere a frutto la conoscenza prodotta dagli attori pubblici (università, centri di ricerca). Per questo insieme di motivi anziché un bene pubblico assomiglia ad un bene di club un bene che viene condiviso privatamente da un gruppo limitato di soggetti che possono utilizzarli in virtù di un meccanismo, che consente solo a coloro che sono ammessi alla fruizione di quel bene (paragonandone relativi costi) di avvalersi di relativi benefici, escludendo tutti gli altri consumatori.

Gli Spillover di conoscenza

Uno dei primi studiosi a sollevare il problema della misurazione degli Spillover derivanti dalle attività di ReS è stato l'economista GRILICHES la questione riguardava l'influenza esercitata dal “capitale di conoscenza”esterno a un'impresa sulla loro produttività. La produttività dipende dal serbatoio di conoscenze generali a cui le imprese possono accedere e che può variare in maniera significativa tra diversi settori e aree geografiche. In questa prospettiva un puro Spillover conoscitivo è rappresentato dagli scambi di conoscenze che le imprese dello stesso/diverso settore derivano "lavorando su cose simili e quindi beneficiando molto dalla ricerca reciproca". JAFFE esplora l'esistenza negli USA di Spillover mediati geograficamente, usando dati temporali a livello statale riguardanti la spesa per ReS e i brevetti dell'impresa dell'università trova che queste ultime esercitano sia un impatto diretto che è un indiretto sulle innovazioni commerciali delle prime. J. Mostra che le università esercitano un effetto positivo sull'innovazione locale, non solo tramite laureati e servizi che mettono a disposizione dell'economia, ma

anche tramite la diffusione di conoscenze e informazioni derivanti dalla ricerca universitaria = in breve tramite Spillover conoscitivi immediati geograficamente. Da ciò la conclusione della rilevanza della localizzazione geografica delle attività produttive e innovative, quindi, di un'analisi che tenga conto del contesto territoriale. Questi primi studi mettono in luce Spillover vincolati geograficamente, ma si basa esclusivamente sull'evidenza di tipo indiretto, cioè su correlazioni statistiche a livello territoriale. Alcuni studiosi si lanciano alla scoperta di “tracce di carta”esaminando la distribuzione geografica dei brevetti delle citazioni brevettuali, al fine di dimostrare che gli Spillover di conoscenza sono "geograficamente localizzati". Le citazioni contenuti in un brevetto sono assunte come evidenza di sviluppo tecnologico che utilizza le conoscenze dei brevetti citati (brevetto d’origine): sono in altri termini le tracce visibili dei flussi di conoscenza, dato che i brevetti riportano le indicazioni sulla localizzazione geografica degli inventori è possibile analizzare la dimensione territoriale degli Spillover e avere la loro capacità di viaggiare attraverso le distanze. Gli studiosi raccolgono "brevetti accademici", "brevetti imprenditoriali”; questi insieme di brevetti d'origine rappresenta la fonte dei potenziali Spillover rispetto ai quali vengono poi individuati tutti brevetti successivi che contengono loro citazioni i brevetti citanti. I risultati dell'analisi consentono ai tre studiosi di dimostrare che:

le citazioni provengono in prevalenza da privati di imprese americane localizzate nello stesso Stato e nella stessa località del brevetto da regine.

questi Spillover sono più forti a livello locale e nei primi anni successivi alla concessione del brevetto, mentre l'effetto territoriale tende a svanire con il passare degli anni, via via che la conoscenza si diffonde.

gli Spillover locali non sono confinati all'interno delle stesse classi tecnologiche, ma tendono a travalicare le varie specializzazioni.

In sintesi, lo studio mostra due cose rilevanti: 1. l'invisibilità degli Spillover di conoscenza: essi lasciano una traccia di carta nella forma delle citazioni; 2. queste piste indicano che gli Spillover di conoscenza sono geograficamente localizzati. Gli studi sugli Spillover territoriali rappresentano un tentativo di misurare la rilevanza della vicinanza territoriale per gli scambi di conoscenza e le attività innovative --> questo tema viene affrontato da un team di ricercatori californiani che studiano settore delle biotecnologie: fattori che li spingono a operare in determinati territori concentrandosi sulla conoscenza incorporata nel capitale umano. Il capitale umano di cui sono portatori gli scienziati star (Star Scientist) ricercatori particolarmente produttivi e innovativi a rappresentare il fattore attrattivo delle imprese innovative. La ricerca mostra: 1. la creazione iniziale del settore commerciale delle biotecnologie connessa agli apporti conoscitivi di tipo rivoluzionario generate delle università; 2. la nascita e il successo delle nuove imprese biotecnologiche sono legate all'impegno diretto di ricercatori collocati alla frontiera di questo nuovo settore scientifico. Gli studiosi aprono la black box gli Spillover analizzando i meccanismi che (a livello micro) consentono il trasferimento di conoscenze scientifiche dall'università al settore delle imprese. In particolare si concentra sulla fase iniziale di creazione della nuova industria biotecnologica: nella fase iniziale di questa rivoluzione scientifica ci sono ostacoli naturali alla circolazione e alla rapida diffusione delle nuove conoscenze, che si caratterizzano come tacite, scarse e di alto valore economico. Sono incorporate negli scienziati che operano la scoperta e possiedono un elevato valore, a causa dei loro possibili impieghi commerciali. Per imparare queste tecniche: fare esperienza diretta legandosi ai team di ricerca. Per trasferire queste conoscenza alle imprese, c'è bisogno di una mobilità del capitale umano, che deve oltrepassare i confini dell'università e accedere al settore commerciale. Questi scienziati nella fase iniziale sono territorialmente stabili, perché poco disponibili a lasciare le loro università, sono loro quindi a determinare la localizzazione geografica delle imprese, poiché queste ultime per acquisire nuove

conoscenze hanno bisogno di impiegarli direttamente Si creano in questo modo gli effetti localizzati della ricerca universitaria. La localizzazione geografica degli Scienziati Star risulta un elemento chiave per spiegare dove e quando le imprese biotecnologiche iniziano a proliferare. Questo avviene in diverse forme: le imprese esistenti si inseriscono nel nuovo settore stipulando contratti e collaborazioni con questi ricercatori, ma ancora più spesso sono questi ultimi a fondare delle Start up o essere coinvolti da nuove imprese che li fanno partecipare al capitale azionario e agli. Questi studi mostrano che gli Spillover di conoscenza sono legati alla qualità del capitale umano e al trasferimento delle conoscenze al mondo delle imprese, attraverso meccanismi di mercato. Un contesto socio istituzionale, culturale di cui beneficiano anche le imprese che commercializzano queste scoperte scientifiche connesse con le biotecnologie. Nella valutazione complessiva del processo di commercializzazione delle scoperte scientifiche è difficile separare l'azione del mercato a quella del contesto socio istituzionale. L'ambiente entro cui avviene la produzione, l'appropriazione e la diffusione del sapere tacito è fortemente condizionato dal contesto istituzionale che modella sia le transazioni economiche che i processi di apprendimento, dipende cioè da norme e convenzioni, valori, aspettative, routine condivise che discendono da "strutture di situazioni comunemente vissute". Queste cornici stazionari pervadono le relazioni di prossimità entro cui avviene la trasmissione non solo di sapere tacito, ma anche codificato: le istituzioni esercitano la loro azione a livello nazionale, locale e regionale. La geografia dell'innovazione focalizza l'attenzione soprattutto su livelli nazionali, partendo dall'assunto che è necessaria analisi istituzionale delle origini del sapere tacito e degli scambi di conoscenza che avvengono principalmente a queste scale territoriali. Ciò anche per la crescente consapevolezza che processi di apprendimento sono socialmente organizzati = ovvero basate su interazioni di flussi di conoscenza che coinvolgono attori appartenenti a diverse sfere situazionali: imprese, organizzazioni di ricerca e agenzie pubbliche.

I sistemi regionali

L'assunto di base della letteratura sui sistemi di innovazione nazionale (SIN) è che la struttura economica e le situazioni modellano i processi di innovazione. Non esiste però un solo sistema di innovazione all'interno di uno Stato, si inizia a parlare di Learning Regiones (LR) cioè di regioni che apprendono. Queste riflessioni rappresentano il primo tentativo di collegare i processi di innovazione e le reti territoriali nella spiegazione dello sviluppo regionale. La letteratura sulle LR suggerisce che le economie regionali siano la sede più adatta per rispondere a queste trasformazioni. Questa letteratura si articola in due varianti principali: una Nord americana e una Europea, la prima tende a sottolineare il ruolo delle risorse socio cognitive e la qualità delle infrastrutture conoscitive di università - centri di ricerca della forza lavoro. La seconda si focalizza sulle risorse socio normative: sul ruolo del capitale sociale e della fiducia nell'agevolare la collaborazione tra le imprese e i processi di apprendimento interattivo. Le riflessioni sulle LR hanno fornito un contributo seminale che ha trovato sbocco nei sistemi di innovazione regionale (SIR). Questo filone di ricerche si colloca in una posizione complementare rispetto gli studi sui SIN. I SIR vanno pensati come sistemi a sé stanti, il concetto viene lanciato per la prima volta da COOK all'inizio degli anni 90 Il SIR si configura come una area geografica in cui grazie a un contesto culturale e istituzionale favorevole, si realizza una cooperazione per l'innovazione che coinvolge una pluralità di organizzazioni (pag.199). Gli assunti di questo approccio sono:

le imprese innovative sono collocate all'interno di reti regionali, dove interagiscono e cooperano non solo con i fornitori, clienti ma anche con le organizzazioni formative.

la prossimità di queste organizzazioni facilita e alimenta i processi di innovazione;

le autorità regionali possono giocare un ruolo importante per sostenere questi processi, offrendo servizi e promuovendo l'interconnessione fra tutti gli attori del sistema.

Secondo C. nei SIR esistono due lati: quello dell'offerta comprende tutte le organizzazioni responsabili della produzione, della conoscenza, della formazione del capitale mano, e il lato della domanda include le imprese e le altre organizzazioni che usano e sviluppano queste risorse, per creare - commercializzare innovazioni di prodotto di processo. Ci sono due dimensioni costitutive dei SIR: Governance territoriale e Innovazione economica; la prima riguarda le politiche pubbliche, le infrastrutture conoscitive che sostengono innovazione delle imprese; la seconda riguarda la struttura economica e industriale con particolare riferimento alla cultura produttiva e alla capacità di innovazione delle imprese, per ciascuna di queste due dimensioni propone una tipologia specifica: la tipologia di sistemi di governance fa riferimento alle modalità indicate per il trasferimento tecnologico, cioè ai servizi e alle iniziative messe in campo per diffondere nuove conoscenze e tecnologie presso le imprese locali, si basa su cinque variabili:

la fonte dell'iniziativa

la fonte del finanziamento

le competenze di ricerca

il grado di specializzazione

il grado di coordinamento

Analizzando le governance regionale, secondo queste cinque dimensioni, emergono tre tipi ideali di SIR. Il primo tipo il sistema Grassroots (dal basso) ha origine e si sviluppa tramite iniziative locali, in area urbana o distrettuale. Il sostegno finanziario per innovazione è diffuso e proviene dalle famiglie, dal sistema creditizio e dalle istituzioni locali. Gli stimoli derivano dal mercato, le competenze di ricerca sono sparse e di tipo prevalentemente applicativo, la specializzazione tecnica è debole e orientata alla risoluzione di problemi che emergono dalla sfera produttiva. Il sistema fa affidamento sul capitale sociale radicato in reti informali di collaborazione, il coordinamento complessivo a livello regionale risulta limitato.

Il secondo tipo di governo è sistema Network (a rete) questo modello risulta più formalizzato integrato al precedente. Infrastruttura istituzionale implica vari livelli di governo (locale, regionale e nazionale) e il finanziamento di innovazione deriva da accordi che coinvolgono tutti gli attori rilevanti. Le competenze scientifiche si fondano su conoscenze teoriche -applicative che consentono sia ricerca di base sia operative. La specializzazione tecnico – scientifica è flessibile, si tratta di un modello che non è guidato in maniera esclusiva dal mercato, ma neppure pianificato dal governo regionale, piuttosto risulta una governance di tipo reticolare, basata su partnership per innovazione in cui rapporti verticali di potere si accompagnano a rapporti orizzontali di cooperazione. Il terzo tipo è il sistema Dirigista: riceve impulsi prevalentemente dall'esterno ovvero da politiche centrali mirate a promuovere l'innovazione. I finanziamenti sono centralizzati, il coordinamento e la specializzazione sono elevati, le competenze tecnico scientifiche sono sia di base che applicative.

Ai governi regionali sono stati conferiti maggiori spazi di autonomia, nuovi poteri che hanno consentito la tessitura di relazioni orizzontali (imprese, università sul tipo della tripla elica). Per quanto riguarda la seconda dimensione costitutiva dei SIR (innovazione aziendale) presenta un'altra tipologia che tiene conto del ruolo delle grandi imprese, delle relazioni tra le aziende e dei loro approcci verso innovazione, anche in questo caso tre tipi: 1. sistema localista: il ruolo delle grandi imprese è limitato, la capacità tecnico

scientifica e la portata innovativa dell'imprese di piccole medie dimensioni è limitata; pochi finanziamenti, pochi istituti di ricerca pubblici; la capacità associativa dell'impresa e dei governi locali può essere invece è buona.

2. sistema interattivo: queste economie regionali non sono dominati nè dalle grandi né dalle piccole e medie imprese, bensì da un mix equilibrato di entrambi che possono essere sia di origine locale che esterna; la capacità di ricerca e la portata innovativa si dispiega su scala regionale, ma se necessario può spingersi oltre (livello nazionale, internazionale). Sul fronte della ricerca, ce la combinazione di centri pubblici e privati; c'è un buon livello associativo sia di tipo verticale che di tipo orizzontale.

3. sistema globalizzato: questi SIR sono dominati dalle grandi imprese, si muovono su scala globale spesso basandosi su una catena di valore in cui trovano spazio piccole, medie imprese (PMI). Il potenziale di ricerca è concentrato all'interno delle Big Corporations. Di tipo privatistico, anche la capacità soggettiva delle imprese locali dipende dal ruolo delle grandi imprese.

C. fa differenza tra termini concettuali (livello teorico) e termini reali (livello empirico) poiché le regioni possiedono tratti più o meno sistemici:

regione intesa come unità politico amministrativa di livello meso, collocata tra stato nazionale, federale e governi locali.

Innovazione intesa come la capacità di commercializzare nuove conoscenze relative ai prodotti, ai processi e all'organizzazione della produzione.

network riguarda la presenza di rapporti cooperativi, fiduciari tra attori locali e regionali, consentendo di perseguire gli interessi comuni sul fronte innovazione.

apprendimento in base al quale le nuove conoscenze, competenze e capacità vengono creati e acquisiti a livello regionale, si diffonde radicandosi nelle loro routine operative.

Interazione inteso come insieme di reticoli formali, informali di relazioni, che consentono agli attori locali di associarsi in attività di apprendimento. Questi cinque assi consentono di definire e di rilevare se una regione possiede o meno un sistema di innovazione e il grado in cui questo sistema si avvicina il tipo ideale.

Nel vecchio continente ci sono prevalentemente SIR situazionali: basati sulle situazioni pubbliche, di produzione, diffusione della conoscenza come università - centri. Negli stati uniti sono presenti SIR imprenditoriali (prestigiatori privati nei settori della new economy). Le ricerche empiriche, nel corso degli ultimi due decenni, si sono moltiplicate e ci sono due tipi di studi: analisi di caso = lo studio delle singole regioni; analisi comparate = condotte usando lo stesso schema analitico per la rilevazione dei dati e l'interpretazione dei risultati. Successivamente la tipologia di sistemi regionali è stata impiegata con le conoscenze applicate nel processo produttivo, che sono diverse nei settori dell'alta tecnologia e in quelli tradizionali non sono esclusivamente legate le attività di ReS; ci sono tre tipi di conoscenza che si fondano sulla diversa combinazione di saperi tacito e codificato: 1. la base di conoscenza sintetica: usata in comparti produttivi tradizionali come meccanica in cui vengono impiegate nozioni già disponibili, per dare nuove combinazioni produttive, innovazione di tipo incrementale, si basa poco sulla ricerca scientifica, utilizza il sapere tacito. 2. la base conoscenza analitica: presente nelle attività economiche dove la ricerca scientifica svolge un ruolo maggiore. Sapere codificato ha più rilievo 3. la base di conoscenza simbolica: ovvero la creazione di significati, desideri, attributi estetici per beni di tipo culturale e alla loro valorizzazione

economica. Questo tipo di conoscenza è nei settori dei media (pubblicità), la conoscenza applicata nei processi innovazione è trasmessa attraverso simboli immagini suoni.

Gli studiosi che si occupano dei SIR riconoscono una varietà di regimi di innovazione, in cui le reti di apprendimento, in cui le reti di apprendimento si sviluppano su vari livelli territoriali. In questa letteratura la dimensione rilevante è di tipo regionale.

CAPITOLO 7. INNOVAZIONE E SVILUPPO LOCALE

1. Le economie di agglomerazione

La riflessione sui processi di innovazione locale parte dall'assunto che l'agglomerazione territoriale delle imprese all'interno di aree delimitate crei degli specifici vantaggi competitivi come i vantaggi localizzativi si connettono ai processi di innovazione. Economie di agglomerazione: gli economisti intendono dei benefici economici che derivano alle imprese, dal fatto di essere geograficamente localizzati le une vicino alle altre. Vi sono due diversi tipi: le economie di localizzazione discendono dalla co-localizzazione di imprese di uno stesso settore; economie di urbanizzazione legate alla dimensione urbana, ovvero il volume della popolazione, alla densità abitativa e alla varietà delle attività dei servizi disponibili nelle città. Questa distinzione si connette al genere di economie esterne di cui possono beneficiare le imprese.

GLEASER: un eccesso di specializzazione settoriale frena la crescita occupazionale dell'impresa industriale, mentre la competizione e la diversificazione la stimolerebbero. Gli scambi economici, le collaborazioni, gli Spillover e le conoscenze all'interno di uno stesso settore, sono meno importanti di quelli tra settori diversi la diversità rappresenta un fattore di dinamismo economico è stato ripreso dagli studi sull'innovazione regionale e locale attraverso il concetto di Related Variety (varietà collegata): non è la semplice varietà a stimolare l'innovazione e la crescita così come indicava G. bensì la presenza di una plurispecializzazione in settori tecnologicamente limitrofi o con basi conoscitive compatibili. La prossimità cognitiva tra questi settori determina una maggiore absorptive capacity: facilita la ricezione, l'impiego delle rispettive conoscenze e quindi la loro fertilizzazione incrociata.

La scuola italiana

Altro tipo di esternalità: quelle localizzative connesse alla specializzazione produttiva Marshall: a proposito dei distretti industriali (DI) di piccole e medie imprese presenti in Inghilterra verso la fine dell'ottocento. Il concetto di distretto industriale è stato riscoperto e rilanciato dall'economista italiano Becattini da una ridefinizione di DI tenendo insieme sia gli aspetti socio territoriali (la comunità locale) che quelli economici (le imprese, la comunità di persone. La comunità di persone ha come caratteristica principale, il fatto di incorporare un sistema omogeneo di valori: questo richiede un sistema istituzionale e normativo che sostenga questi valori e ne garantisca la riproduzione. Parlando dell'infrastruttura produttiva del distretto industriale, la popolazione di imprese industriali è composta di piccole e medie imprese (PMI) indipendenti, appartenenti allo stesso settore produttivo, legate tra loro da una divisione specialistica del lavoro. Questa suddivisione consente alle PMI di conseguire un elevato livello di efficienza e competitività in ciascuna delle fasi che compongono il processo produttivo tipico del distretto. Il settore di specializzazione da M. viene concepito in senso particolarmente ampio: non comprende solo l'attività produttiva ma anche le industrie sussidiarie che forniscono i macchinari e materiali, i prodotti complementari e servizi specializzati. Perché la localizzazione di tante PMI all'interno di uno stesso distretto industriale crea dei vantaggi competitivi? M. distingue le economie interne: dipendono dall'efficienza

organizzativa e dalle risorse proprie delle singole aziende; vs. economie esterne: dipendono dallo sviluppo generale dell'industria cui appartengono quelle imprese. Quando parla dei DI, economista inglese fa riferimento al economie esterne che creano tre tipi di vantaggi competitivi per le piccole medie imprese: - il primo vantaggio è legato alle economie di specializzazione, derivanti dalla presenza di un largo numero di fornitori qualificati ed industrie sussidiarie; questo consente alle PMI di usufruire di macchinari prodotti e servizi di alta qualità e a buon mercato. - il secondo vantaggio connesso a un mercato del lavoro qualificato e specializzato, che mette a disposizione delle PMI un buon capitale umano, in virtù delle tradizioni produttive sedimentate storicamente nella comunità locale. In queste zone si respira un'atmosfera industriale. - il terzo vantaggio concerne due aspetti distinti la circolazione dell'informazione: è connessa la facilità di ottenere notizie cruciali per i scambi commerciali. Si tratta di elementi che abbassano notevolmente i costi di transazione delle attività economiche e riducono la possibilità di comportamenti opportunistici, ovvero di incorre in cattive sorprese nelle transazioni economiche; gli Spillover di conoscenza: è connesso alla presenza di uno stock di specifiche conoscenze e competenze specialistiche, legate al contesto locale che agevolano la produzione di nuovi idee e la loro diffusione tra le PMI. Questa conoscenza contestuale è tacita e informale, può essere acquisita solo attraverso lunghi processi di socializzazione che richiedono una condivisione di esperienze a livello locale.

Per garantire un rinnovamento continuo all'impresa, gli attori distrettuali devono attingere alla conoscenza codificata che circola nelle reti globali, in particolare a sapere scientifico e tecnologico più formalizzato. Si tratta di mantenere attivo un processo di integrazione versatile tra due sfere cognitive: la prima legata specificamente al contesto locale, la seconda. legata codici più formalizzati. Il DI rappresenta un ambiente favorevole per l'innovazione per una pluralità di motivi:

ragioni economiche: legate alla competizione, alla divisione specialistica del lavoro:

ragioni normative: connesse all’etica del lavoro, alla reputazione professionale e al particolare apprezzamento che ricevono le idee innovative;

ragioni sociali: connesse alle reti relazionali che innervano l'economia locale e che agevolano sia la fertilizzazione incrociata delle idee, sia la diffusione imitativa delle innovazioni.

Nel DI i processi innovativi godono di un duplice vantaggio: 1. da un lato possono avvalersi della creatività individuale, della dedizione assoluta tipica dei produttori indipendenti che lavorano in proprio e sanno di trarre benefici competitivi mediati dalle loro scoperte; 2. dall'altro possono usufruire della creatività collettiva che coinvolge l'intera comunità locale. Nei DI molti produttori, attori economici si confrontano con gli stessi problemi, tentano nuove strade, propongono soluzioni che vengono discusse localmente; le informazioni circolano sì attraverso le transazioni economiche (nelle relazioni con i fornitori, clienti e concorrenti) sia nelle relazioni sociali che innervano la comunità locale attraverso le relazioni di parentela, di amicizia, di vicinato. Nel distretto si dispiega quella che è stata definita una capacità innovativa diffusa: si tratta di forme di apprendimento per esperienza, che sfruttano le conoscenze pratiche maturate operativamente dai produttori e dagli utilizzatori o che scaturiscono delle loro relazioni. Queste conoscenze distribuite, consentono di introdurre miglioramenti incrementali ai prodotti e ai processi di produzione, perfezionando la capacità innovativa complessiva delle DI. Il mix di competizione cooperazione che caratt. il mercato comunitario del distretto: se da una parte stimola la ricerca di nuove soluzioni tecnologiche per battere la concorrenza, dall'altro agevola la collaborazione. Le motivazioni che spingono all'innovazione non sono solo di tipo economico ma vi è anche il desiderio di affermare e consolidare la propria reputazione professionale, il proprio prestigio sociale ecco perché sociologi ed economisti italiani hanno contribuito allo studio di queste realtà produttive mettendone in luce le radici sociali, istituzionali nelle regioni della

cosiddetta Terza Italia (Triveneto Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria): zone che hanno coniugato una vivace crescita industriale basata sulle PMI, con una solida integrazione sociale; è stato evidenziata l'importanza di fattori non economici (la storia e gli assetti socio istituzionale) di queste regioni, questo ha messo a fuoco il ruolo giocato da variabili (le strutture agrarie precedenti, modelli di organizzazione) riassumendo gli studi sulla Terza Italia hanno favorito lo sforzo interpretativo convergente tra sociologi economici ed economisti eterodossi che ha dato vita alla scuola italiana dei distretti industriali della sviluppo locale che si è occupata anche dei fenomeni di innovazione di Stati tecnologici.

Mondi della produzione e milieu innovativi

Simile all'approccio della scuola italiana vi sono i distretti tecnologici basati sulle PMI: idea di fondo è che l'innovazione tragga beneficio dalla prossimità geografica e culturale che facilita gli scambi di informazioni e conoscenze. Le regioni, le località, generano una varietà di untraded interdependecies (interdipendenze non economiche): insieme di relazioni, convenzioni e regole informali che sono in grado di facilitare il coordinamento degli attori economici in condizioni di incertezza beni relazionali che nel contesto della Learning Economy consentono, ad alcuni territori, di apprendere meglio e più velocemente di altri, trasformando queste conoscenze in vantaggi competitivi difficili da imitare. STORPER: definisce questa agglomerazione territoriali come dei mondi regionali della produzione: come interconnessione di persone, organizzazioni, oggetti, idee, caratterizzati da una certa indivisibilità e completezza. Alla base, vi è uno dei vantaggi fondamentali della prossimità: la possibilità di instaurare contatti personali faccia a faccia. Quest'ultimo rappresenta un efficace meccanismo di coordinamento economico con 4 caratteristiche: 1. efficiente tecnologia di comunicazione che consente di controllare sia la dimensione verbale che quella non verbale; 2. stimola la fiducia reciproca e comportamenti collaborativi; 3. facilità processi di socializzazione, apprendimento, monitoraggio reciproco, agevolano lo screening reputazionale; 4. forniscono motivazioni psicologiche per eseguire buone performance personali stimolando l’imitazione e la competizione.

A livello territoriale quest’insieme di fattori determina uno specifico effetto buzz (brusio) agevola la comunicazione di pensieri e concetti complessi e la fertilizzazione incrociata delle idee. Questo rende più produttive le imprese che operano in queste aree. Un'enfasi forte sui processi di apprendimento e sulla dimensione locale GREMI (studiosi francesi): il milieu innovativo = una rete complessa di relazioni sociali informali che si svolgono in un'area geografica limitata determinando una specifica immagine esterna e una specifica rappresentazione interna e un senso di appartenenza che rafforzano la capacità innovativa locale, mediante processi di apprendimento sinergici e collettivi; si sviluppa a partire dagli anni 80, si pone molto vicino alla scuola italiana dei distretti e dello sviluppo locale, concentrandosi in particolare sui processi innovativi che si svolgono nelle aree delle PMI, cioè sui milieux innovateurs (ambiente innovativi). La dimensione internazionale e quella cognitiva assumono rilievo centrale in questo approccio: il territorio concepito come spazio relazionale che stimola processi di apprendimento collettivo, incorporati nel milieu e nel mercato del lavoro locale riduce l'incertezza connessa il cambiamento tecnologico. L'apprendimento collettivo viene definito come la crescita della conoscenza, all'interno di una traiettoria tecnologica incorporata in un contesto locale. La prossimità spaziale crea canali di apprendimento di tre tipi:

rapporti stabili e di lungo periodo con fornitori locali e clienti;

un mercato del lavoro a elevata mobilità dei lavoratori;

meccanismi di Spin off da imprese locali.

La dimensione locale di questi processi non esclude collaborazioni strategiche con attori esterni al milieu innovativo; queste collaborazioni extra locali sono essenziali per veicolare nuove conoscenze ed evitare rischi di lock-in che riducono la capacità di percepire/affrontare le sfide emergenti. Sia la scuola californiana delle economie esterne, che il GREMI sui milieu innovativi si rifanno alle indicazioni e meccanismi già analizzati della scuola italiana dei distretti, avviando però una riflessione sull'innovazione nei settori non tradizionali e nei distretti tecnologici.

I distretti High Tech

Negli ultimi decenni gli studi sui sistemi locali dell'innovazione hanno affrontato in maniera più sistematica icontesti dell'alta tecnologia a partire dalla Silicon Valley. SAXENIAN: compara la famosa Valle Californiana con la Route 128 di Boston. S. il sistema produttivo si compone di tre elementi:

1. la cultura le situazioni locali;

2. la struttura produttiva;

3. organizzazione interna delle aziende.

È il sistema produttivo a rete ad aver garantito alla SV. un vantaggio competitivo cruciale, sostenendo la capacità adattiva e innovativa delle sue imprese; si tratta di un sistema decentralizzato adeguato a un ambiente tecnologico in rapido mutamento, poiché stimola l'esplorazione della molteplicità di percorsi tecnologici, rendendo porosi i confini tra grandi/PMI e tra settori diversi. Per contro un sistema basato su aziende autosufficienti come quello della R.128 è adatto ad un contesto tecnologico di mercato più stabile, che consente di beneficiare di forti economie di scala. Lo studio di S. è interessante applica le stesse categorie analitiche per analizzare quelli che sono definiti come distretti high-tech: aree specializzate in settori produttivi che utilizzano nuove tecnologie, connesse agli avanzamenti scientifici: settore della chimica e della farmaceutica. Nelle condizioni di funzionamento dell'economia contemporanea la dimensione sociale relazionale dell'innovazione tende a diventare sempre più importante rispetto a quella strettamente aziendale, con essa aumenta anche il radicamento locale dei processi innovativi. L'innovazione ha una fondamentale componente interattiva e dialogica, riguarda più soggetti con esperienze diverse che potenziano l'apprendimento e la scoperta. Per funzionare ci vuole una componente informale e di interazione diretta che chiama in causa la vicinanza territoriale. Si formano così dei sistemi locali dell'innovazione o distretti high-tech, in cui si concentrano PMI, in alcuni casi anche grandi aziende, che collaborano tra di loro; non tutte le produzioni dell'alta tecnologia assumono una configurazione distrettuale: tre condizioni perchè ciò, avvenga:

processo produttivo deve essere scomponibile in diverse fasi o componenti;

incertezza delle traiettorie tecnologiche deve stimolare la condivisione dei rischi e dei costi dell'innovazione;

la variabilità del mercato deve richiedere un'elevata flessibilità organizzativa relazionale e stimolare la continua ricerca di nuove soluzioni produttive.

In simili circostanze le economie esterne alle singole imprese, ma interne ad una determinata area territoriale, acquistano una grande importanza, così come avviene negli DI tradizionali. Basandosi sulle ricerche svolte in alcuni sistemi produttivi locali di PMI dell'alta tecnologia in Italia/Europa, TRIGILIA: evidenzia alcune specificità rispetto ai distretti tradizionali: oltre alle economie esterne che caratterizzano

tutti DI, ci sono alcune che assumono una quotazione specifica in quelli high-tech 1. occorre considerare l'accesso alla ricerca, le possibilità di collegamento con strutture scientifiche universitari; di rilievo sono i beni collettivi per le imprese specializzate in settori ad alta tecnologia, per le quali innovazione è strettamente legata alla possibilità di incorporare i continui progressi fatti nel campo della ricerca scientifica. 2. esternalità riguarda la disponibilità di fornitori specializzati di beni e servizi avanzati, specifici per le imprese high tech: come servizi finanziari. 3. esternalità legata al contesto: la disponibilità di aree attrezzate, di parchi tecnologici è importante per le imprese, ma nei sistemi produttivi high tech conta molto la qualità socioculturale e ambientale del sistema locale: tale fattore incide sulla capacità di attrarre/trattenere specialisti altamente istruiti e qualificati con le loro famiglie; la qualità del contesto condizionale possibilità che si formino delle comunità professionali innovative, che sono particolarmente rilevanti nei distretti tecnologici. Anche rapporto con il territorio: diverso rispetto al distretto high tech: attività permeano poco l'economia. Vanno poi ricordati anche altri fattori socio economici che marcano la diversità degli Stati tecnologici:

1. ruolo della famiglia delle reti parentali è meno cruciale che nei distretti tradizionali.

2. percorsi formativi degli imprenditori sono più formalizzati e basati su lunghe fasi di istruzione.

3. diverso è il capitale sociale su cui possono fare affidamento gli imprenditori, che si basa meno sulle reti comunitarie e parentali rispetto a quanto si osserva nei settori tradizionali.

4. Le modalità di generazione dei beni collettivi e delle governance locale si basano meno su quanto ereditato dalla storia delle comunità locali e di più, su processi intenzionali di cooperazione tra gli attori pubblici e privati.

La loro origine dipende da politiche specifiche, sia livello nazionale che regionale e locale, così come da organizzazioni di intermediazione che svolgono ruolo efficace di interfacciamento e apertura reciproca tra i centri di produzione delle nuove conoscenze e le imprese locali. Distretti tradizionali e high-tech che si basano però su una costruzione sociale dell'innovazione che è localmente radicata difatti in Italia si registra una forte agglomerazione territoriale delle attività innovative: i brevetti rappresentano un indicatore consolidato nella letteratura scientifica, specialmente in quella economica che studia l'output innovativo. Affinché si sviluppi un sistema locale innovativo è necessario oltre ad un'indagine base economica imprenditoriale, anche una forte struttura istituzionale di supporto: una buona dotazione di capitale umano e di centri universitari, una rete infrastrutturale sviluppata, servizi qualificati e una buona qualità della vita. RAMELLA mette in evidenza che la sua ricerca ha portato a determinati risultati: nel caso italiano l'analisi condotta sui brevetti EPO indica una forte variabilità territoriale settoriale: emerge un modello nazionale con due specializzazioni prevalenti, che possiedono localizzazione geografica e caratteristiche socio economiche diverse. In breve due distinti sistemi settoriali territoriali di innovazione: il sistema della meccanica: più radicato nelle città della terza Italia; il sistema dell'alta tecnologia: più presente nel Nord-Ovest, nelle grandi città metropolitane (Milano, Roma) questa differenziazione territoriale del sistema italiano: emerge dall'analisi (di livello micro) sulle reti di collaborazione che affiorano dai documenti brevettuali, queste reti di collaborazione evidenziano, da un lato, la forte rilevanza della dimensione locale = delle corte reti di collaborazione, e dall'altro la presenza di reti lunghe extra regionali soprattutto nei settori della tecnologia. In particolare la ricostruzione delle collaborazioni tra il team di inventori registrati nei brevetti, evidenzia dei veri e propri modelli regionali di organizzazione dell'attività innovative: nel centro Nord affiorano due configurazioni: - terza Italia si trovano strutture policentriche; - nel Nord-Ovest vi è la preminenza di alcuni grandi poli urbani; - nel centro Sud spicca il modello Lazio: dove un polo di prima grandezza come Roma accentra insieme delle relazioni, connettendosi in modo esclusivo

ad altri grandi centri urbani extra regionali. Per completare lo studio sui brevetti EPO, insieme ai sistemi locali (analisi ecologica) e alle collaborazioni brevettuali (analisi relazionale), sono state esaminate imprese EPO della meccanica dell'alta tecnologia (analisi individuale). I tratti distintivi che differenziano queste imprese dalle altre sono: 1. si tratta di imprese solide: che fronteggiano mercati altamente competitivi, si tratta di medio/piccole/grandi che operano da molti anni all'interno di scenari connotati da una forte incertezza. 2. sono imprese altamente innovative: aziende ad alta intensità di ricerca che realizzano molte innovazioni per il mercato. 3. imprese fortemente radicate: sia livello sociale che territoriale.

L'incertezza degli scenari competitivi viene fronteggiata attraverso il radicamento sociale delle loro attività. Uno degli elementi che distinguono maggiormente le imprese EPO sono le partnership innovative: collaborazioni esterne (impresa/università/centro di ricerca) per l'attività di ricerca e innovazione, che in queste aziende sono generalizzate. Nella letteratura è stato spesso sottolineato che l'innovazione, specialmente nei settori ad alta tecnologia, richiedono organizzazione per progetti, con la costituzione di team ad hoc che si configurano come “sistemi temporanei” di relazioni. Sotto altri profili questa specifica forma organizzativa è fondata sulla stretta interazione e interdipendenza all'interno di gruppi di lavoro, poggia anche sulla reputazione di competenza e affidabilità acquisita nel tempo dai vari partner In altri termini queste collaborazioni temporanee affondano le loro radici nelle pratiche ricorrenti di cooperazione tra le imprese. Ultimo elemento che distingue le imprese EPO sono: le loro elevate performance economiche: si tratta di aziende con alti livelli di fatturato, di produttività e di esportazioni, che hanno mostrato un discreto dinamismo durante gli anni più difficili della crisi economica internazionale. Tuttavia, il legame tra l'innovazione e le prestazioni economiche non è automatico perché si registra un’elevata eterogeneità nei rendimenti questi ultimi dipendono da competenze produttive, manageriali e di mercato che non sono necessariamente associate alle competenze tecnico/scientifiche, alle capacità innovative presenti all'interno delle imprese. In particolare, risultati positivi in termini di fatturato richiedono una forte integrazione strategica: una buona dotazione di capitale umano e modalità organizzative che valorizzano la flessibilità e la coesione aziendale. E’ questa strategia organizzativa interna che moltiplica anche l'efficacia delle partnership innovative esterne .

In conclusione la ricerca sulle imprese con brevetti europei, conferma la rilevanza del radicamento sociale territoriale di innovazione, ma anche l'importanza delle scelte strategiche compiute dalle imprese. Cruciale per il loro successo, è la capacità di usare competenze diverse per tipo, provenienza, bilanciando risorse di coesione e risorse di varietà. Innovazione e le performance economiche richiedono un mix di risorse collocate dentro e fuori le imprese: se da un lato, le risorse esterne accrescono la varietà necessaria delle conoscenze, dall'altro quelle interne ne potenziano la capacità di un uso produttivo. Le strategie aziendali vincenti sono: quelle che mettono a frutto la complementarità radicata delle risorse innovative, avvalendosi, per finalità economiche, di meccanismi di apprendimento strutturati socialmente e territorialmente. Le indagini condotte sui sistemi innovativi locali dell'alta/medio tecnologia mettono in luce diversi punti: 1. limitando l'analisi ai settori con maggiore utilizzo di conoscenze codificate, a livello nazionale si osservano almeno due diversi sistemi settoriali e territoriali dell'innovazione: quello della meccanica e quello della tecnologia, che hanno modi di innovazione e radici socio territoriali distinte. 2. È impo l’analisi condotta su scale territoriali diverse. 3. le analisi sui sistemi di innovazione hanno bisogno di micro fondazioni, relative alle strategie degli attori e delle loro relazioni. Il ruolo cruciale dell'agency non riguarda solo le imprese ma anche territorio. Una caratteristica generale che riguarda le città italiane è la centralità dell'azione imprenditoriale autonoma. cioè non influenzata da interventi di altri attori pubblici. L'azione imprenditoriale autonoma, rientra tra i fattori di agenzia, è legata a elementi di contesto formatesi storicamente e a processi di trasformazione o di organizzazione di grandi imprese preesistenti = questo vuol dire che è la città con sistema di dotazioni e relazioni più ricche e complesse di competenze

preesistenti, ad alimentare la crescita dell'high-tech sono perciò i fattori di agenzia a fare la differenza: la presenza cioè di un'azione imprenditoriale autonoma e specifica che valorizza le risorse del contesto.

Vicinanza territoriali e prossimità relazionale

Fattori che accomunano questi insieme di approcci al tema dell'innovazione: 1. importanza della dimensione geografica: attività innovative tendono a concentrarsi territorialmente e la loro dislocazione spaziale non è casuale; questo ultima assume rilevanza sia per i settori produttivi tradizionali che per quelli più moderni, nelle attività a bassa/media tecnologia, così come nelle attività ad alta tecnologia. 2. centralità della conoscenza del capitale umano: nei nuovi scenari produttive globali, diventa cruciale la creazione di nuove idee. 3. il rilievo attribuito al contesto socioistituzionale e alla presenza di beni collettivi locali, capaci di generare delle economie esterne, tangibili/intangibili, che aumentano la capacità innovativa dell'imprese le dotazioni economiche dei territori delle singole imprese, così come gli investimenti nell'attività di R&S, non bastano a spiegare da soli agglomerazione delle innovazioni. 4. la dimensione sistemica e reticolare dell'innovazione: l'aspetto relazionale è enfatizzato: si tratta di rapporti tra sfere istituzionali diverse, tra attori individuali/collettivi, tra soggetti pubblici/privati. Gli attori dell'innovazione (imprenditori, ricercatori) si avvalgono, per le loro attività di relazione e legami personali (deboli, forti) che veicolano risorse cognitive di varietà, così come risorse normative di coesione e di fiducia. Dietro questi elementi vi sono due convinzioni di fondo: 1. l'idea che la conoscenza tacita, di tipo personale contestuale, giochi un ruolo rilevante nell'innovazione e che questa conoscenza sia sticky = appiccicosa e perciò difficile da far circolare.2. luoghi pivot dell'innovazione si collochino a livello regionale locale, poiché è a questa scala territoriale che si sviluppano più facilmente le conoscenze, le reti e vantaggi competitivi cruciali; negli ultimi anni entrambi questi assunti sono stati messi in discussione dall'intensificarsi di fenomeni che rappresentano delle sfide radicali per gli approcci territoriali di innovazione: da un lato vi è la crescente importanza delle conoscenze scientifiche e del sapere più formalizzato, dall'altro ci sono i processi di globalizzazione: la moltiplicazione delle partnership innovative, con attori che si collocano all'esterno del territorio di riferimento e che spesso (come le imprese multinazionali) operano su una scala globale. La prima sfida riguarda: distretti industriali tradizionali, che vedono messe discussione le loro consuete modalità di innovazione, basate su miglioramenti incrementali e sul Learning by Doing. La seconda interessa anche distretti tecnologici e le imprese high-tech che hanno un rapporto meno vincolato con il territorio di appartenenza. Queste sfide non indicano una perdita di rilevanza della dimensione territoriale dell'innovazione: il territorio va inteso come un contesto relazionale in cui avviene la costruzione sociale dell'innovazione: ciò non significa che le relazioni che si svolgono al suo esterno siano irrilevanti, al contrario. Le partnership con imprese o università extraregionali, le politiche nazionali e gli interventi dei Global Players (ex le imprese multinazionali), possono avere una grande importanza per i territori.

lo studio della geografia dell'innovazione risulta ancora oggi rilevante poiché le risorse generate a livello locale/regionale continuano essere importanti per gli attori economici che vi operano.

la dimensione territoriale assume una configurazione diversa, e un peso maggiore/minore a seconda dei vari paesi.

studiare i territori non significa analizzare in maniera statica e autocontenuta la loro dotazione di risorse beni collettivi.

studi territoriali più avvertiti applicano un approccio processuale e dinamico all'innovazione, integrando una pluralità di livelli esplicativi, di tipo sia geografico che analitico (dal locale al globale).

In primo luogo un'analisi di tipo ecologico: sui fattori di contesto: cioè sugli assetti strutturali e regolativi, per vedere la dotazione di beni collettivi e di risorse economiche presenti in un'area territoriale, che possono derivare sia dalla storia e dalle tradizioni produttive locali, che dall'intervento intenzionale di vari attori pubblici e privati. In secondo luogo l'analisi di tipo individuale: sui fattori di agenzia, ovvero sulle strategie e sulle azioni messe in campo degli attori locali e non, individuali e collettivi. In terzo luogo l'analisi di tipo relazionale: sui rapporti interpersonali e interorganizzativi. Fattori di contesto, fattori di agenzie fattori relazionali vanno tenuti insieme nell'analisi sui processi di innovazione, senza dare per scontato che la dimensione geografica, locale regionale, risulti determinante per l'innovazione. All'interno della geografia economica si assiste a una progressiva relativizzazione dei concetti di distanza/prossimità e a una loro trasformazione in termini relazionali: la distanza viene socializzata: diversi tipi di relazioni tra gli attori rendono la vicinanza territoriale più o meno importante; la prossimità diventa cioè un concetto multidimensionale.

BOSCHMAN: individua cinque diverse dimensioni della prossimità, mettendo in evidenza che la vicinanza territoriale viene indicata come solo una delle possibili modalità di soluzione del problema di coordinamento tra gli attori: la prossimità geografica non è quindi condizione necessaria, neppure sufficiente per l'innovazione, anche se può facilitarla innescando le varie dimensioni della prossimità e rinforzare la loro azione. In sintesi, le riflessioni svolte da geografi economici mettono in luce uno stiramento relazionale della diade distanza/prossimità, per cui questi concetti perdono il loro ancoraggio esclusivo alla dimensione dello spazio geografico. Da ciò discende che le relazioni di prossimità tra gli attori dell'innovazione non si limitano a quelle che avvengono in situazioni di vicinanza territoriale e di compresenza fisica. Sul secondo versante si colloca invece una mole consistente di ricerche che sottolineano come le imprese e i sistemi regionali e locali innovativi siano quelli capaci di integrare le risorse interne con quel esterne, le reti corte con quelle lunghe, il sapere tacito con quello codificato = ovvero quelli in grado di combinare e sfruttare al meglio la complementarità delle risorse innovative questo comporta una moltiplicazione di relazioni sociali a distanza e una maggiore interconnessione tra luoghi lontani nello spazio. In questo senso la globalizzazione può essere definita come l'intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti, facendosi che gli eventi locali vengono modellati da alimenti che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa. Le relazioni sociali si disaggregano: vengono svincolate dai contesti locali di interazione dei vincoli e dai vincoli della compresenza fisica, ristrutturate sui livelli più astratti. La persistente importanza della geografia e delle sue dimensioni regionali e locali è il messaggio centrale.

In conclusione, è questa complessità che rende necessario un approccio analitico integrato all'innovazione: capace di fondere i contributi provenienti da una pluralità di discipline e livelli di spiegazione (analitici e territoriali). Seguendo il suggerimento LUNDAVALL: essi vanno considerati dei focusing devices (meccanismi di messa a fuoco) che consentono di approfondire le diverse componenti dell'innovazione economica.