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Organo ufficiale SIGENP Prevenzione della malattia celiaca: luci ed ombre Linee guida ESPGHAN per la gestione della gastroenterite acuta La dieta chetogena Il trapianto fecale in pediatria Diagnostica allergologica in vivo nel management delle gastroenteropatie eosinofile TOPIC HIGHLIGHT CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Volume ViI 3/2015 Periodico trimestrale - POSTE ITALIANE SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - Settembre - Finito di stampare presso IGP - Pisa, settembre 2015.

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Organo ufficiale SIGENP

Prevenzione della malattia celiaca: luci ed ombre

Linee guida ESPGHAN per la gestione della gastroenterite acuta

La dieta chetogena

Il trapianto fecale in pediatria

Diagnostica allergologica in vivo nel management delle gastroenteropatie eosinofile

TOPIC HIGHLIGHT

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE

Volume ViIN˚ 3/2015

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ISSN 2282-2453

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Direttore ResponsabilePatrizia Alma Pacini

Responsabile Commissione EditoriaClaudio Romano · [email protected]

Direttore EditorialeMariella Baldassarre · [email protected]

Capo RedattoreFrancesco Cirillo · [email protected]

Assistenti di RedazioneAlessandra Dileone · [email protected] Drimaco · [email protected]

Comitato di RedazioneSalvatore Accomando · [email protected] Bizzarri · [email protected] Borrelli · [email protected] Capriati · [email protected] Civitelli · [email protected] Diamanti · [email protected] Paci · [email protected] Oliva · [email protected]

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Segreteria scientifica Tel. 050 31 30 223 · [email protected]

Progetto grafico e impaginazioneMassimo Arcidiacono - Tel. 050 3130231 · [email protected]

StampaIndustrie Grafiche Pacini · Pisa

Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizza-zione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org. I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Pisa.

Volume VII - N˚ 3/2015 - Trimestrale

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EDITORIALEM. Baldassarre

TOPIC HIGHLIGHTPrevenzione della malattia celiaca: luci oppure ombre?Prevention of celiac disease: light or darkness?M. Baldassarre

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEWIl trapianto fecale nelle patologie acute e croniche gastrointestinaliFecal microbiota transplantation in acute and chronic gastrointestinal diseasesV. Giorgio, G. Ianiro, A. Galimberti, P. Valentini, G. Cammarota, A. Gasbarrini

PEDIATRIC HEPATOLOGYLe porfirie acute nel bambino: quando sospettarle, come curarleDiagnosing and treatment of acute porphyrias in childrenP. Ventura, S. Marchini,C. Rosafio

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE

Dieta chetogena: fisiopatologia e indicazioni clinicheKetogenic diets: pathophysiology and therapeuticimplicationsA. Maiorana, G. Cotugno, L. Manganozzi, C. Dionisi-Vici

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERLa diagnostica allergologica in vivo nel management delle gastroenteropatie eosinofileIn vivo allergy tests in the management of eosinophilic gastroenteropathiesE. Ridolo, L. Bonzano, V. Melli, I. Martignago

IBD HIGHLIGHTSRuolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi delle IBDRole of environmental factors and diet in the pathogenesis of pediatric IBDM. Aloi, M. Distante

CASE REPORTIpertransaminasemia e fegato grasso: una diagnosi molto… “sudata”!Elevation of serum aminotrasferases and fatty liver in an obese child: a very… “sweaty” diagnosis!S. Brusa, M. Ambroni, F. Battistini

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY

Quando gli eosinofili invadono l’intestino:terapie tradizionali e nuove immunoterapie dell’esofagitee della gastroenteropatia eosinofilaEosinophilic esophagitis and gastroenteritis: traditional therapy and new immunotherapyA. Cianferoni

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARYLa via “alternativa” per l’alimentazione enterale: gastrostomia e gastrodigiunostomia percutaneaendoscopica (PEG e PEGJ) in età pediatricaThe alternative choice for enteral nutrition: percutaneous endoscopic gastrostomy and percutaneous endoscopic gastrojejunostomy (PEG and PEGJ) in paediatric ageP. Betalli, M. Colusso, M. Cheli

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GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

Linee guida ESPGHAN per la gestione della gastroenterite acuta nei bambini europeiESPGHAN Guidelines for the management of acutegastroenteritis in European childrenT. Capriati A. Guarino, A. Lo Vecchio

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Segreteria SIGENP

Biomedia srlVia Libero Temolo, 4 - 20126 Milano

Tel. 02 45498282 int. 215 - Fax 02 45498199E-mail: [email protected]

Sommario

COME SI DIVENTA SOCI DELLA

L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro (medici/ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroentero-logia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.I candidati alla posizione di Soci SIGENP devono compilare una ap-posita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP.

Soci ordinari e aderenti • € 50,00 quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD • € 90,00 quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD

Soci junior (età non superiore a 35 anni)• € 30,00 Quota associativa annuale SIGENP con DLD on-line

Per chi è interessato la scheda di iscrizione è disponibile sul portale SIGENP

www.sigenp.org

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93Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:93-94

Conserva e tratta il cibocome se fosse il tuo corpo,

ricordando che nel tempo il cibo sarà il tuo corpo

(B.W. Richardson)

Editoriale

Carissimi,

Mentre vi scrivo sta per concludersi EXPO 2015, grande kermesse espositiva dedicata ai vari aspetti della Nutrizione a livello mondiale. La nutrizione rappresenta uno di quei fattori di capitale importanza nella possibilità di modulare il nostro futuro in termini di salute fisica e mentale. Gli studi di epigenetica nutrizionale ci stanno insegnando che il nostro destino non è scritto solo nel DNA: il genoma umano può essere considerato come un libretto di istruzioni contenente l’informazione necessaria perché sia costituito l’intero organismo, mentre l’epigenetica studia gli effetti che i diversi nutrienti possono avere nei confronti del DNA o della cromatina attraverso modifiche non della loro sequenza, ma della loro espressione. In periodi critici dello sviluppo (vita intrauterina, allattamento, divezzamento) un in-tervento di tipo nutrizionale può programmare lo sviluppo futuro dell’individuo ed il suo stato di salute. Gran parte di questa modulazione avviene nei primi “mille giorni” dopo il concepimento. È importante ricordare che l’apporto di LCPUFA attraverso la dieta della madre durante la gravidanza influenza lo sviluppo del Sistema Nervoso Centrale del feto, il latte materno modula l’effetto del polimorfismo di PPARg2 (peroxisome proliferator-activated receptor-g,fattore di trascrizione espresso negli adipociti che ne regola la differenziazione, la sensibilità all’insulina, il metabolismo delle lipoproteine) sul tessu-to adiposo, riducendo il rischio di obesità nei bambini allattati al seno.Il nostro Giornale desidera farsi sempre più attento ai temi che riguardano la Nutrizione, in tutti i suoi aspetti.Avete certamente già avuto nelle mani il secondo numero del Giornale, dedicato alla nutrizione ar-tificiale, procedura terapeutica che ha cambiato la prognosi “quoad vitam” e “quoad valetudinem” di numerose patologie intestinali ed extraintestinali, consentendo a tanti bambini di vivere una vita di relazione normale.Anche in questo numero gli articoli dedicati alla nutrizione sono diversi. Leggerete l’articolo di Pietro Betalli (Padova) che illustra le tecniche di posizionamento di gastrostomia e gastrodigiunostomia percutanea endoscopica (PEG e PEGJ), che sono di ausilio all’alimentazione enterale, quando i nutrienti non possono essere somministrati attraverso la bocca e l’esofago. Marina Aloi (Roma, La Sapienza) ci offre un interessante excursus riguardante proprio il ruolo che i fattori nutrizionali gio-cano nello sviluppo delle malattie infiammatorie intestinali. Arianna Maiorana (Roma, Bambin Gesù), ci spiega i principi della dieta chetogena, che è una vera e propria terapia per alcune patologie neurologiche del bambino. Parliamo poi di trapianto fecale (Valentina Giorgio, Roma, Università Cattolica-Policlinico Gemelli), la nuova frontiera nella cura di alcune coliti, e di gastroenteropatia eosinofila, sia in termini di dia-gnostica (Erminia Ridolo, Parma), che di terapia (Antonella Cianferoni, Filadelfia-USA).Paolo Ventura (Modena) ci descrive le Porfirie Acute, patologia certo non frequente ma sulla quale ci piace richiamare l’attenzione perché crediamo che la conoscenza delle cose debba essere la più ampia possibile. Il caso clinico di questo numero è stato curato da Sandra Brusa (Imola), e non vi anticipo niente …

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Editoriale

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Maria Luisa Mearin (Leiden, Paesi Bassi) risponde nelle pagine della rubrica “Topic Highlight” a domande riguardanti la possibilità di prevenire la malattia celiaca, con prospettive nuove ed inte-ressanti.Alfredo Guarino (Napoli) ci offre una sintesi mirabile riguardante le linee guida ESPGHAN sulla diarrea acuta, scritte nell’intento di uniformare la pratica clinica nella gestione di un problema così comune e diffuso.Vi saluto augurandomi di incontrarvi numerosi al prossimo Congresso Nazionale che si svolgerà a Bari, che è anche la città in cui vivo, dall’8 al 10 ottobre. Sicuramente il Presidente, Professor Carlo Catassi, ed il Consiglio Direttivo della SIGENP, insieme agli organizzatori locali, Ruggiero Francavilla e Flavia Indrio, ci avranno preparato un evento stimolante sul piano scientifico e culturale. Posso poi assicurarvi che Bari saprà sorprendervi con le sue miti temperature ottobrine, con la sua capa-cità di accogliere, con la bellezza del suo borgo antico.Buona vita a tutti e buona lettura.

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95Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:95-97

Prevenzione della malattia celiaca: luci oppure ombre?

Prevention of celiac disease: light or darkness?

Indirizzo per la corrispondenzaM. Luisa Mearin ManriquePediatric GastroenterologistAssociate ProfessorLeiden University Medical Center (LUMC)Department of PediatricsPO Box 9600; 2300 RC LEIDEN; the NetherlandsE-mail: [email protected]

TOPIC HIGHLIGHTa cura diMariella Baldassarre

M. Luisa Mearin Manrique si è laurea-ta in Medicina presso L’Università Au-tonoma di Madrid (1972-1979) e dopo aver conseguito il dottorato di ricerca presso il Laboratorio di Gastroentero-logia della “Leiden University Medical Center (LUMC)”, si è specializzata in Pediatria presso la stessa Univer-sità nel 1987. Dal 1994 è direttore dell’Unità di Gastroenterologia e Nu-trizione Pediatrica del Dipartimento di Pediatria presso la LUMC e dal 1999 Professore Associato di Pediatria nella stessa Università. Dal 2003 è Direttore del Programma di Formazione in Gastro-enterologia pediatrica della LUMC e della Libera Uni-versità di Amsterdam. M. Luisa Mearin è attivamente impegnata nella ricerca sulle malattie gastrointesti-nali nell’infanzia, in particolare sull’epidemiologia, immunologia, genetica, trattamento, prevenzione, complicanze e qualità della vita nella malattia celia-ca. È autrice di moltissime pubblicazioni inerenti tale argomento su riviste internazionali.

Key wordsCeliac disease • Screening • Prevention • Gluten-free-diet

AbstractPediatric celiac disease diagnoses tripled in 20 years for the awareness of the pediatricians, and for an actual increase of celiac disease in the population due to different factors (infec-tions, more gluten consumption, different kind of gluten). The children must be screened (second-ary prevention) very early, perhaps at two-three years of age, to avoid complications of celiac dis-ease (tertiary prevention). At this moment, pri-mary prevention of celiac disease is not possible.

IntroduzioneM. Luisa Mearin Manrique è una delle maggiori esperte a livello europeo della malattia celiaca. È nata a Madrid, ma ha svolto parte della sua for-mazione professionale in Olanda, dove risiede da molti anni. Ha una lunga esperienza nella diagno-si e nel trattamento dei bambini con malattia ce-liaca, con l’ambizione di migliorarne la salute e la qualità della vita. Le sue origini spagnole sono magnificamente emerse durante uno strepitoso flamenco ballato durante la serata finale dell’ul-timo congresso ESPGHAN, tenutosi ad Amster-dam. Durante lo stesso Congresso ho potuto chiacchierare un po’ con lei … Ne è scaturita l’in-tervista che leggerete in queste pagine.

1) La diagnosi di malattia celiaca in età pedia-trica è triplicata negli ultimi 20 anni.Qual è il motivo di questo aumento di inciden-za? Ci sono differenze razziali?

Ci sono due possibili spiegazioni relative all’au-mento nella diagnosi di malattia celiaca in età pe-diatrica. La prima è la maggiore consapevolezza dei pediatri, perché è stato realizzato negli anni un importante percorso di educazione sanitaria sulla malattia celiaca: i pediatri hanno imparato a sospettarla più spesso ed a riconoscerla meglio. La seconda è che ci sia un aumento effettivo della malattia celiaca nella popolazione. Alcuni autori finlandesi hanno sottoposto a screening, dosan-do gli anticorpi antitransglutaminasi, due coorti di sieri di pazienti in età pediatrica, una delle quali recente e una che invece risaliva a vent’anni pri-ma. Hanno evidenziato un aumento di incidenza di celiachia nella coorte recente. È difficile spie-gare perché si sia verificato questo, ma è ipotiz-zabile un cambiamento nei fattori ambientali, dal momento che i geni non cambiano così rapida-

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Intervista alla Prof. M. Luisa Mearin Manrique

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mente. Si può pensare alle infezioni, al maggior consumo di glutine, alle modifiche del glutine stesso realizzatesi nell’agricoltura. Sicuramente una combinazione dei due fattori (maggiore diagnosi/aumento reale dell’inciden-za di malattia) spiega l’aumento delle diagnosi di celiachia in età pediatrica.  2) Quali bambini dovrebbero essere sottopo-sti a screening per malattia celiaca? A quale età?

Tutti i bambini dovrebbero essere testati. Ora sappiamo che non possiamo effettuare una pre-venzione primaria della malattia celiaca, come dimostrato dagli studi “Celiprev” in Italia e “Pre-ven-CD” in Europa, modulando il modo ed il tempo di introduzione del glutine nell’alimenta-zione dei bambini. Dobbiamo allora lavorare per la prevenzione secondaria, che è rappresentata dallo screening. Idealmente ci dovrebbe esse-re uno screening di massa. È più difficile capire a che età attuare lo screening. Non credo che abbiamo informazioni sufficienti al momento per dare una risposta conclusiva.La mia opinione personale è che i bambini de-vono essere sottoposti a screening molto preco-cemente per due ragioni: la prima ragione è che proprio gli studi sulla prevenzione che ho citato prima ci hanno dimostrato che la celiachia ha un esordio precoce. La malattia inizia a dare segni di sé a tre anni di età in circa il 50% dei bambini provenienti da famiglie con parenti di primo gra-do celiaci. La seconda ragione è stata dimostrata da uno studio effettuato in Olanda, in cui gli auto-ri hanno sottoposto a screening i bambini all’età di sei anni, dimostrando che già a questa età i bambini che risultano positivi allo screening pre-sentano una più bassa statura e sono già signi-ficativamente affetti da osteoporosi. Per evitare questi danni è quindi necessario lo screening prima dei sei anni, magari proprio a due-tre anni di età.

3) Sensibilità al glutine non-celiaca: il glutine è davvero il responsabile?

Chi può dirlo? Si tratta di una entità patologica che stiamo ancora cercando di definire bene. La prima domanda da porsi è se si tratti davvero

di una malattia. Io penso di sì. Esiste un certo numero di persone, che non hanno la malattia celiaca, ma che non si sentono bene se man-giano glutine. Essi sono spesso familiari di pa-zienti celiaci. È difficile distinguerli da persone con celiachia o intolleranza ai “Fodmaps” (Fer-mentable Oligosaccharides, Disaccharides, Mo-nosaccharides and Polyols” cioè oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli. Si tratta di carboidrati a catena corta assorbiti in modo incompleto nel tratto gastro-intestinale e che possono dare adito a stati di fermentazione nell’intestino, causando irritazione, gas, gonfiore addominale, diarrea e costipazione, ndr). Quan-do qualcuno ci riferisce di non sentirsi bene quando assume glutine, dobbiamo essere certi che non sia affetto da celiachia o da allergia al grano. Quando abbiamo con assoluta certezza escluso queste due condizioni, possiamo pre-scrivere una dieta priva di glutine. Questo è un approccio molto pratico, ma utile in questo mo-mento. Le ricerche in atto dovrebbero sforzarsi di eseguire ottimi studi randomizzati e di trova-re marcatori biologici per diagnosticare questa malattia, perché al momento non esiste un test per la diagnosi.

4) Cosa sappiamo al momento sulla preven-zione della celiachia? Cos’è che invece anco-ra non sappiamo?

In questo momento sappiamo con assoluta cer-tezza che non possiamo impedire l’insorgenza della celiachia. Non abbiamo la possibilità di at-tuare una prevenzione primaria ma abbiamo la prevenzione secondaria, cioè lo screening, e la prevenzione terziaria, cioè il corretto trattamen-to. Il trattamento con la dieta priva di glutine può essere considerato prevenzione terziaria, per-ché consente di prevenire le complicanze della celiachia. Se i risultati sulla nutrizione precoce in questo momento non sono positivi, forse ci sono altre possibilità da esplorare: dare per esempio mag-giori o minori quantità di glutine o introdurre il glutine in modo differente.Un altro aspetto da considerare è la vaccinazio-ne. Sono in corso alcuni studi in Australia, in cui ai celiaci vengono somministrati piccoli peptidi derivati dal glutine, non esattamente per la pre-

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TOPIC HIGHLIGHT Malattia celiaca e prevenzione

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venzione ma per il trattamento della malattia ce-liaca. È stato dimostrato che questo trattamento funziona nella terapia della celiachia e potrebbe funzionare anche come trattamento preventivo.Voglio sottolineare che anche l’allattamento al seno non impedisce l’insorgenza della celiachia.È importante dire alle madri che l’allattamento al seno rappresenta il miglior nutrimento per un bimbo ma non aiuta a prevenire la celiachia, pertanto una madre celiaca, o con un altro figlio celiaco, non deve sentirsi in colpa se non può allattare al seno il proprio bimbo appena nato.

5) Ci sono nuovi farmaci per la terapia?

Ci sono moltissime ricerche in corso. Conside-rando le varie possibilità, penso che la terapia enzimatica sia forse la scelta migliore. Gli enzimi utilizzati scindono il glutine prima che arrivi al duodeno. Vi è ancora un lungo cammino per ar-rivare alla fase IV, cioè alla sperimentazione cli-nica, ma i ricercatori stanno facendo uno sforzo per accelerare i tempi. Questa terapia non potrà

mai sostituire la dieta senza glutine ma potrebbe aiutare in alcune situazioni, quando si ritiene che un paziente possa essere a rischio per l’intro-duzione del glutine, contribuendo ad evitarne il contatto.

Bibliografia di riferimento Catassi C, Fasano A. Coeliac disease. The debate on

coeliac disease screening - are we there yet? Nat Rev Gastroenterol Hepatol 2014;11:457-8.

Lionetti E, Castellaneta S, Francavilla R, et al. SIGENP Working Group on Weaning and CD Risk. Introduction of gluten, HLA status, and the risk of celiac disease in children. N Engl J Med 2014;371:1295-303.

Lohi S, Mustalahti K, Kaukinen K, et al. Increasing pre-valence of coeliac disease over time. Aliment Pharma-col Ther 2007;26:1217-25.

Plugis NM, Khosla C. Therapeutic approaches for celiac disease. Best Pract Res Clin Gastroenterol 2015;29:503-21.

Vriezinga SL, Auricchio R, Bravi E, et al. Randomized feeding intervention in infants at high risk for celiac di-sease. N Engl J Med 2014;371:1304-15.

• La diagnosi di malattia celiaca in età pediatrica è triplicata negli ultimi 20 anni per una maggiore capacità di diagnosi da parte dei pediatri e per un reale aumento dell’incidenza.

• Al momento attuale tutti gli studi hanno dimostrato che non è possibile la prevenzione primaria della malattia. Allatta-mento al seno ed età di introduzione del glutine non hanno alcun ruolo in tal senso.

• Lo screening andrebbe esteso a tutti i bambini e andrebbe effettuato prima dei 5 anni di vita, per evitare l’insorgenza precoce di osteoporosi ed il ritardo di crescita.

• Le nuove terapie, ancora in corso di studio, in particolare la terapia enzimatica, sono molto promettenti per quanto riguarda l’efficacia ma non potranno probabilmente mai sostituirsi del tutto alla dieta priva di glutine.

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98 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:98-102

Il trapianto fecale nelle patologie acute e croniche gastrointestinaliFecal microbiota transplantation in acute and chronic gastrointestinal diseases

Valentina Giorgio1 (foto)Gianluca Ianiro2

Anna Galimberti1

Piero Valentini1

Giovanni Cammarota2

Antonio Gasbarrini2

1 UOC di Pediatria, Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, del Bambino e

dell’Adolescente, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli,

Roma; 2 UOC di Medicina Interna, Gastroenterologia e Malattie del

Fegato, Dipartimento di Scienze Mediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli, Roma

Key wordsGut microbiota • Clostridium Difficile infection •

Fecal microbiota transplantation

AbstractFecal microbiota transplantation (FMT) in-volves the implantation of faeces taken from a healthy donor to a patient, in order to treat a specific disease. It was shown that FMT is an effective treatment of recurrent Clostridium Difficile infection (CDI). It is currently consid-ered a promising therapeutic strategy for sev-eral pathological conditions associated with an imbalance of the intestinal flora. To opti-mize the transplantation of fecal microbiota and its effectiveness, future efforts should include the definition of specific protocols for each disease, the application of new tech-niques for the study of the composition of the microbiota (for example metagenomics tech-niques) and the development of large, well-designed, randomized controlled studies.

Indirizzo per la corrispondenza

Valentina Giorgilargo Agostino Gemelli 8, 00168 RomaE-mail: [email protected]

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW a cura diOsvaldo Borrelli

INTRODUZIONE

Il ruolo della flora batterica intestinaleL’organismo umano è abitato da un numero enor-me di microbi; la maggioranza di essi si trova nel tratto gastrointestinale e costituisce il microbiota intestinale 1. Il microbiota non è una semplice ri-serva di microorganismi, bensì deve essere con-siderato come un vero e proprio organo 2.La composizione del microbiota intestinale non è ancora completamente nota. I batteri sono i componenti principali della flora intestinale uma-na: Bacteroidetes e Firmicutes sono i phyla più rappresentati 3, 4, gli altri costituenti sono Archaea, Virus, Funghi e Protozoi 4.La maggior parte della “comunità microbica” che risiede nel nostro intestino non è coltivabile attra-verso le tecniche microbiologiche standard. Studi di metagenomica, attualmente in corso in diversi centri di ricerca, stanno dando un contributo fon-damentale alla comprensione della composizione del microbiota intestinale, sia in condizioni fisiolo-giche che patologiche 5.Il microbiota intestinale è coinvolto in numerose funzioni dell’organismo umano che comprendono lo sviluppo e la modulazione dell’immunità locale e sistemica, oltre alla regolazione di diverse vie metaboliche; svolge, inoltre, un’azione di barriera contro gli agenti esogeni che transitano nell’inte-stino 6. Numerose evidenze scientifiche suggeriscono che la disregolazione dell’omeostasi della flora in-testinale può portare allo sviluppo sia di patologie digestive che extradigestive, tra cui la sindrome dell’intestino irritabile (IBS)  7, le malattie infiam-matorie intestinali (IBD) 8, il cancro del colon 9, le infezioni gastrointestinali  10, la steatosi epatica non alcolica 11, 12, il diabete, l’obesità, la sindrome metabolica 13, 14 e le allergie 15. In teoria, la ricosti-

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CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Trapianto fecale in età pediatrica

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tuzione di una flora intestinale “sana” rappresenta un valido approccio per la gestione delle malattie legate alla disregola-zione del microbiota. Antibioti-ci, probiotici e prebiotici sono attualmente le opzioni tera-peutiche più utilizzate. Il FMT ha già dimostrato indubbia efficacia nella gestione della infezione ricorrente da C. diffi-cile (CDI) ed è anche conside-rato una strategia terapeutica promettente per altre malattie associate allo squilibrio della flora intestinale.

Trapianto di microbiota fecale: cenni di storiaIl FMT è l’infusione di feci da un donatore sano a un rice-vente malato per la cura di una specifica patologia. L’uso di FMT in campo medico e ve-terinario è stato segnalato fin dall’antichità 16, 17, ma la prima documentazione clinica risale al 1958, quando Eiseman e la sua equipe chirurgica del Co-lorado hanno trattato con cli-steri di feci un piccolo numero di soggetti con colite pseudo-membranosa come terapia di salvataggio  18. Da allora sono state descritte diverse serie di casi sul FMT nella gestione delle CDI ricorrenti  19. La con-siderazione di FMT come un vero trapianto d’organo, in-vece che come una semplice infusione di feci, ha fornito le basi teoriche per testare il FMT anche in altre malattie legate al microbiota intestinale con ri-sultati promettenti 20, 21.

ObiettivoL’obiettivo di questo articolo è stato quello di eseguire una revisione della letteratura sul

FMT, allo scopo di fornire una valutazione globale dell’ef-ficacia e della sicurezza del trapianto di microbiota fecale, utilizzato come terapia clinica per varie malattie e condizioni pre-cliniche gastrointestinali

METODOLOGIASono stati inclusi in questa re-visione tutti gli articoli dispo-nibili su MEDLINE in lingua inglese, inerenti all’efficacia clinica e alla sicurezza di FMT utilizzato come terapia clinica in soggetti umani. Questi studi hanno incluso studi randomiz-zati controllati (RCT) che hanno comparato il FMT con la tera-pia medica standard, con pla-cebo o con nessun intervento, studi osservazionali compresi gli studi caso-controllo, studi di coorte e case-series (nume-ro di pazienti trattati maggiore di uno).Le parole utilizzate per la ri-cerca sono state le seguen-ti: feces, stool o microbiota, combinati con transplantation, donor, donation, therapy, infu-sion, bacteriotherapy.La ricerca è stata limitata alle condizioni cliniche e pre-clini-che di tipo gastrointestinaleL’efficacia di FMT è stata defini-ta come miglioramento clinico secondo la definizione fornita dagli autori di ciascuno studio. Il miglioramento clinico è stato definito come risoluzione della diarrea nelle condizioni di CDI e, se disponibile, la proporzio-ne di pazienti liberi da recidiva durante il periodo di follow-up, definito come remissione clini-ca nelle condizioni di colite ul-cerosa (UC) e morbo di Crohn (CD), nonché come migliora-

mento clinico nella pouchite, nella stipsi e nell’IBS.Sono stati riportati anche: la percentuale di pazienti che hanno sperimentato qualsiasi evento avverso (AE), l’esclusio-ne dagli studi a causa di eventi avversi gravi (SAE) e gli eventi avversi potenzialmente asso-ciati con il FMT (perforazione, sepsi o batteri emiapost-tra-pianto e la trasmissione di ma-lattie infettive).

RISULTATISono stati individuati 1059 stu-di. 45 di essi hanno soddisfat-to i criteri di inclusione e sono stati considerati per questa revisione. Solo 2 di questi stu-di sono RCT, tutti gli altri sono stati serie di casi o studi retro-spettivi.Gli studi sono stati pubblicati tra il 1958 e il 2013. Sono sta-ti sottoposti ad FMT un totale di 1029 pazienti. L’efficacia clinica di FMT è stata valuta-ta in pazienti con: CDI  18,  22,  26 (n = 883), IBD 27 (n = 112), IBS (n = 13), pouchite (n = 8), stip-si 17 (n = 3) e sindrome metabo-lica 32. L’età dei pazienti inclusi varia ampiamente ed è com-presa tra 6 e 94 anni.Il follow-up riportato nei diver-si studi è molto variabile: da10 giorni fino ad 8 anni nella CDI, da 12 settimane a 16, 5 anni nel-le IBD, da 6 a 18 mesi nell’IBS, intorno a 4 settimane nella pou-chite, da 1 a 28 mesi nella sti-spi e intorno a 6 settimane nella sindrome metabolica. Dei 45 studi inclusi, 2 sono randomizzati (nella CDI e nella sindrome metabolica); in que-sti, il FMT è stato confrontato rispettivamente con altri farma-

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ci o con placebo. Van Nood et al. 33 hanno condotto un RCT in aperto in pazienti con CDI in cui l’infusione di feci dei donatori è stata preceduta da un ciclo bre-ve di vancomicina e lavaggio intestinale, o da un ciclo stan-dard di vancomicina, o da un ciclo standard di vancomicina e lavaggio intestinale. Vrieze et al.  32 hanno condotto uno stu-dio in doppio cieco controllato con placebo che ha confron-tato il FMT da donatori magri con il FMT autologo in pazienti maschi affetti da sindrome me-tabolica. Gli altri 43 studi inclu-si sono una serie di casi non controllati, in cui i pazienti sono stati trattati con FMT eseguito attraverso infusione di feci dal tratto gastrointestinale superio-re (tubo di infusione attraverso stomaco, duodeno o digiuno, oppure ingestione orale di cap-sule rivestite contenenti mate-riale fecale ottenuto dopo cen-trifugazione di una sospensione di feci dei donatori), oppure at-traverso infusioni dal tratto ga-strointestinale inferiore (infusio-ne per via endoscopica oppure infusione rettale tramite clisteri).Sono stati utilizzati diversi do-natori nei vari studi: i donatori sono in genere scelti tra i com-ponenti della famiglia del rice-vente, ad esempio il partner o i parenti di primo grado, oppure sono scelti tra gli amici o, più raramente, sono soggetti sani non imparentati.Per quanto concerne l’efficacia del FMT nelle CDI, in una serie di 33 casi pubblicati l’efficacia del FMT(definita come riso-luzione della diarrea) variava dall’87,8% al 90,0% dopo ri-petuti FMT. Questo dato di ef-ficacia è paragonabile a quello

riportato nell’unico RCT pubbli-cato sull’argomento che ripor-ta una efficacia del FMT com-preso tra l’81% ed il 94%. Una efficacia del FMT > 80% è sta-ta ottenuta, inoltre, in altri stu-di che hanno incluso pazienti con CDI grave e complicata 25, pazienti ricoverati, pazienti im-munocompromessi  24, pazienti con più di 3 episodi di CDI ()e pazienti con sottostante IBD 23. La risoluzione della diarrea e il follow-up libero da recidive (ri-portato in 21 studi su 34) sono stati dell’80,9% (range dal 46% al 100%).Per quanto riguarda, infine, l’efficacia del FMT nelle IBD, di tutti i pazienti trattati 6 sono stati trattati per CD e 106 per UC; 4 pazienti con UC tratta-ti da Greenberg et al. avevano una CDI concomitante. Tutti i pazienti avevano malattia attiva al momento dell’inclusione con grado di attività variabile da lieve a malattia refrattaria alla terapia. L’estensione della IBD è stata segnalata in 3 studi su 7. Il CD era ileo-colico (n = 3) e limitato al colon (n = 1) nel-la serie pubblicata da Vermei-re et al. 31. Le UC erano per lo più pancoliti 29, 30. La risposta al FMT è stata misurata median-te diversi metodi. Nei pazienti con UC sono stati utilizzati: un questionario dei sintomi pre e post-FMT; il punteggio di Mayo (clinico) 30; il punteggio totale di Mayo 28; il Pediatric UC Activity Index nei bambini 29; l’indice di Powell-Tuck modificato  27. Nel CD sono stati utilizzati due di-versi strumenti di valutazione clinica: un questionario pre e post-FMT e il Crohn Disease Activity Index  31. Cinque degli studi inclusi hanno usato l’en-

doscopia per la valutazione del-la risposta mucosale: i pazienti affetti da UC sono stati sotto-posti ad endoscopia digestiva subito dopo il trattamento (ran-ge da 1 a 90 giorni) 28, 30 o più a lungo termine (da 1 a 198 mesi dopo il FMT)  27. I pazienti con CD sono stati valutati endosco-picamente 8 settimane dopo il FMT  31. In 3 dei 6 studi sulla UC che riportano dati sulla re-missione clinica, la percentuale di pazienti che hanno raggiunto la remissione clinica varia dallo 0% al 68%  27,  29,  30. Il migliora-mento clinico è stato segnalato nei 6 studi e varia tra il 20% e il 92% 27, 28. Nel CD, 4 pazienti trattati da Vermeire et al. 31 non hanno registrato un migliora-mento clinico dopo FMT. Gre-enberget et al. hanno riportato una riduzione della frequenza delle riacutizzazioni della malat-tia nel 63% dei pazienti. Inoltre, 1 paziente su 2 con CD tratta-ti ha riportato una diminuzione della frequenza di diarrea. Nei 4 pazienti con CD in cui è stata eseguita un’endoscopia 8 setti-mane dopo il trattamento, non è stata osservata nessuna gua-rigione endoscopica 31.

Sicurezza del FMTGli eventi avversi associa-ti a FMT sono stati per lo più auto-limitantesi e si sono veri-ficati spesso poche ore dopo l’infusione. I sintomi intestina-li riportati sono stati: gonfiore addominale, flatulenza, erut-tazione crampi addominali. Si è trattato per lo più di sinto-mi IBS-like dopo la clearance delle CDI post-FMT, disturbi addominali, irregolarità dei movimenti intestinali e vomi-to. In 11 pazienti (tutti trattati

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CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Trapianto fecale in età pediatrica

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per IBD, 3 per CD e 8 per UC) la febbre senza altri sintomi clinici o segni di sepsi è stata segnalata durante e fino a un giorno dopo il FMT 28-30, 31. Non sono stati identificati gli agen-ti causali di tali sintomi nelle emocolture eseguite ma è sta-to osservato un aumento della PCR in alcuni di questi pazien-ti. La febbre è scomparsa en-tro 3 giorni in tutti i pazienti. Un paziente adolescente è uscito dallo studio 29. Non è stata re-gistrata nessuna trasmissione di malattie infettive dopo FMT.

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE DI RICERCA PER IL FUTUROI risultati esposti suggerisco-no che il trapianto fecale è una terapia molto efficace nel trattamento delle CDI con tas-si di risposta fino al 90% nella risoluzione della diarrea. Que-sto dato è stato confermato anche nell’unico studio ran-domizzato ad oggi disponibi-le che dimostra che le CDI si risolvono nell’81-94% dei casi dopo FMT. Tutti gli studi inclusi hanno riportato peraltro una ef-ficacia di FMT > 50%, anche in pazienti immunocompromessi, gravemente malati e anziani, nei quali l’efficacia del tratta-mento di CDI con sola vanco-micina non superava il 31% 33. Risultati analoghi sono stati ottenuti se l’infusione di mate-riale fecale veniva praticata nel tratto gastrointestinale supe-riore, nel colon o per ritenzione rettale tramite clistere. Gli studi disponibili sul FMT in UC hanno riportato tassi di re-missione compresi tra lo 0% e

il 68%. Il miglioramento clinico varia tra il 20% e il 92% ma è stato misurato utilizzando cin-que diverse scale in sei studi. L’alto tasso di risposta del 92% riportata da Borody et al.  27 è un dato da considerarsi ecce-zionale, e lo studio eseguito è retrospettivo ed è soggetto a numerosi bias di selezione. Non è stato osservato nessun beneficio clinico di FMT in pa-zienti affetti da CD, sulla base dei dati ottenuti sui 6 pazienti riportati in letteratura.Risultati positivi sono stati otte-nuti, invece, in una piccola serie di casi affetti da stipsi cronica (3 pazienti trattati) e in una serie di pazienti con IBS (risoluzione o miglioramento dei sintomi nel 70% di 13 pazienti). Il FMT non ha portato a remis-sione clinica 8 pouchiti croni-che refrattarie, ma in 2 pazienti è stata osservata una modifica di sensibilità alla ciprofloxacina di batteri coliformi dopo tra-pianto.I FMT sono stati accompagnati da sintomi gastrointestinali lie-vi ed auto-limitanti nella mag-gior parte dei pazienti.Dati più robusti sul FMT saran-no disponibili nei prossimi 2-3 anni. Attualmente sono in corso numerosi studi sull’argomen-to, di cui molti sono trial ran-domizzati controllati. Presso il nostro centro viene attualmen-te effettuato il FMT attraverso colonoscopia secondo un pro-tocollo standard (34): abbiamo ottenuto dati estremamente incoraggianti nelle CDI, e il tra-pianto delle feci del donatore per via colonoscopica sembra ottimizzare la strategia di tra-pianto nei pazienti con colite pseudomembranosa.

In conclusione, il FMT sem-bra essere molto efficace nel-le CDI, e sembra essere una promettente terapia nella UC. Per quanto riguarda il CD, la stipsi cronica, la pouchite e l’IBS, i dati sono ancora troppo limitati per trarre conclusioni. Inoltre, il FMT viene attualmen-te eseguito secondo protocolli terapeutici non ancora stan-dardizzati e, nonostante l’as-senza di complicazioni infet-tive nei 1029 pazienti studiati, è necessario mantenere una vigile sorveglianza degli eventi avversi. Nuovi studi randomiz-zati controllati sull’efficacia a lungo termine del FMT, nonché la diffusione di dati traslazionali sull’impatto della modulazio-ne del microbiota dei pazienti sottoposti ad infusioni di feci, sono ad oggi ancora necessari.

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• Il microbiota intestinale ha un ruolo importante nella omeostasi di tutto l’organismo.

• Il trapianto fecale è efficace nel trattamento della colite da Clostridium Difficile (CDI).

• Al momento sono necessari altri studi più estesi per definire meglio il ruolo terapeutico del trapianto fecale in altri disturbi gastrointestinali.

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103Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:103-107

Le porfirie acute nel bambino: quando sospettarle, come curarle

Diagnosing and treatment of acute porphyrias in children

Paolo Ventura1 (foto)Stefano Marchini1

Cristiano Rosafio2

1 Unità Operativa di Medicina Interna 2; 2 Unità operativa di Pediatria; Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche Materno-Infantili e dell’Adulto, Università di Modena e Reggio Emilia; Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, Modena

Key words Acute Porphyrias • Acute Intermittent Porphyria • Variegate Porphyria • Hereditary Coproporphyria • Heme Arginate • Heme

AbstractAcute porphyrias are complex metabolic dis-eases due to a defect in the heme synthesis; their diagnosis is made less often than their prevalence justifies. Awareness of multiform clinical presentation is a major point to make the diagnosis, as well as to set up the correct treatment, that is mandatory to prevent the possible life-threatening clinical evolution. Clinical onset of acute porphyrias in child-hood is still considered unusual; neverthe-less, the increasing rate of diagnosis in last decades makes this concept questionable.

Indirizzo per la corrispondenza

Paolo Venturalargo del Pozzo 71, 41124 ModenaE-mail: [email protected]

PEDIATRIC HEPATOLOGYa cura diFrancesco Cirillo

INTRODUZIONELe porfirie sono un gruppo di rare malattie meta-boliche (incidenza europea 0,1-0,22 per milione) conseguenti al difetto di uno degli enzimi depu-tati alla biosintesi dell’eme. Tale difetto è preva-lentemente congenito, più raramente acquisito. Il quadro clinico di ciascuna forma di Porfiria dipen-de dagli effetti biologici del substrato (precursore non porfirinico e/o porfirinico) che si accumula per effetto dell’alterazione enzimatica  1. In base al tessuto che è sede prevalente del difetto en-zimatico, le Porfirie vengono distinte in epatiche o eritropoietiche (Tab.  I). Le porfirie epatiche si associano a due possibili sindromi cliniche: cri-si neuro-viscerali acute (attacchi porfirici acuti, APA), caratterizzate da quadri clinici severi, at-tribuiti all’effetto neurotossico di precursori non porfirinici [acido amino-levulinico (ALA) e porfobi-linogeno (PBG)] e/o lesioni cutanee da fotosensi-bilità, associate all’accumulo cutaneo di porfirine [uro-, copro- e protoporfirine]. Le manifestazioni

TABELLA I. Classificazione clinica delle porfirie.

Porfirie Acute (sintomi neuro-viscerali)

Porfiria da deficit di ala-deidratasi (ALAD-P)Porfiria acuta intermittente (PAI)Coproporfiria ereditaria (CPE)*Porfiria variegata (PV)*

Porfirie non acute (porfirie cutanee)

Porfiria cutanea tarda (PCT)Porfiria epato-eritropoietica (PEE)**Protoporfiria eritropoietica (PPE)Porfiria eritropoietica congenita (PEC)

In neretto le porfirie epatiche.* Possono presentare manifestazioni cutanee. **Variante omozigote della PCT.

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cutanee da fotosensibilità (in genere più intense rispetto a quelle delle forme epatiche) sono invece tipiche delle porfi-rie eritropoietiche. La diagnosi delle diverse forme di Porfiria si basa sul sospetto clinico, uni-tamente al riscontro in materia-li biologici (urine, feci o plasma) di elevate concentrazioni dei suddetti metaboliti (con pat-tern differente a seconda del tipo di porfiria) e trova confer-ma nell’analisi genetica 2, 3.

LE PORFIRIE ACUTE (PA)Con l’eccezione della porfiria cutanea tarda (PCT), tutte le porfirie epatiche sono forme congenite e possono mani-festarsi con APA: per questo motivo vengono anche defi-nite porfirie acute (PA) (Tab.  I). Nella maggior parte delle PA conclamate, l’attività enzima-tica residua risulta inferiore al 50% del normale, a indicare che l’allele mutante si associa a una scarsa attività. Altra ca-ratteristica delle PA è la loro bassa penetranza clinica: solo il 15-20% circa dei pazienti portatori del difetto enzimatico sviluppa APA. Benché si tratti di malattie rare e a trasmissio-ne autosomica dominante, la prevalenza delle mutazioni nel-la popolazione generale è suffi-ciente a permettere l’esistenza di forme omozigoti. È opinione diffusa che le forme manifeste di PA in età pre-pubere siano del tutto eccezionali e che, nei casi segnalati, si tratti di con-dizioni particolari (forme omo-zigoti o varianti particolari di malattia)  4. Va inoltre ricordato che esistono altre patologie,

come la tirosinemia ereditaria o il saturnismo, nelle quali ma-nifestazioni acute del tutto si-mili a quelle tipiche delle PA si associano ad accumulo di pre-cursori non porfirinici (ALA)  3. Manifestazioni cutanee da fo-tosensibilità analoghe a quelle osservabili in corso di PA sono descritte in corso di epatopatie colestatiche congenite (es. sdr. di Alagille) o di altre condizioni di insufficienza epatica e/o re-nale in età pediatrica.

L’attacco porfirico acutoLa caratteristica clinica di una PA è l’attacco porfirico acuto, caratterizzato da crisi acute (spesso ricorrenti) di severo coinvolgimento neuro-visce-rale, la cui espressione sinto-matologica è assai variabile e capace di mimare diverse condizioni patologiche: per questa ragione queste malat-tie rimangono spesso non dia-gnosticate. Un APA può essere preceduto da alterazioni del comportamento (irrequietezza, insonnia, ansia e irritabilità): i sintomi possono evolvere rapi-damente in severa neuropatia acuta, sensitiva e motoria. Gli APA possono svilupparsi nel giro di ore e durare diverse set-timane: il sintomo di gran lunga più frequente è la comparsa di intenso dolore addominale, so-litamente descritto come “lan-cinante” dai pazienti e spesso suggestivo di “addome acuto”, anche se i sintomi appaiono spesso sproporzionati rispetto all’obiettività (i segni classici di peritonismo spesso mancano). L’addominalgia si accompagna spesso a manifestazioni ga-stroenteriche (nausea, vomito, stipsi) e a intenso dolore lom-

bo-dorsale, esteso solitamente alla porzione prossimale degli arti. Frequente è pure l’asso-ciazione con manifestazioni neurologiche (dalla neuropatia periferica sensitivo-motoria, fino al coma e all’arresto respi-ratorio); ipertensione arteriosa con ipotensione ortostatica e/o episodi di tachicardia; manife-stazioni convulsive e neuropsi-chiatriche (apatia, depressione o stati confusionali, agitazione psico-motoria, delirium e al-lucinazioni). Tali episodi, nei portatori del difetto enzimatico responsabile di malattia, spes-so sono precipitati da fattori scatenanti (farmaci, alterazioni ormonali, alcol, infezioni, re-strizioni caloriche eccessive o condizioni di intenso stress psico-fisico) 5, 6.La porfiria da deficit di ala-dei-dratasi (ALAd-P) è una rarissi-ma forma autosomica recessi-va di PA (descritti circa 10 casi al mondo), che si manifesta con APA 5.La porfiria acuta intermittente (PAI) è la forma di gran lunga più frequente di PA. È consi-derata una malattia “latente” prima della pubertà, in quan-to la maggior parte delle dia-gnosi viene posta su pazien-ti adulti. Sono state tuttavia segnalate (con una incidenza in netto aumento nelle ultime due decadi) forme conclamate in età infantile e anche neona-tale 7. Sono stati descritti alcu-ni casi di variante omozigote di malattia, tutti a comparsa entro i primi due anni di vita e associati a quadri neurologici severi, con ritardo mentale e/o psicomotorio, ma senza gli APA tipici delle forme eterozi-goti 8.

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PEDIATRIC HEPATOLOGY Porfirie acute in età pediatrica

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La coproporfiria ereditaria (CPE) e porfiria variegata (PV)rispetto alla PAI, oltre ad es-sere più rare, si associano con minore frequenza ad APA. Per entrambe la presentazione pri-ma della pubertà è conside-rata eccezionale e sono stati descritti solo rari casi concla-mati prima degli 8 anni. Oltre alle possibili già descritte ma-nifestazioni neuro-viscerali, entrambe possono presentare anche (o esclusivamente) ma-nifestazioni cutanee da foto-sensibilità, tipicamente limita-te alle sole aree foto esposte e che possono comparire già in età infantile. Per entram-be sono state descritte forme omozigoti: nel caso della PV vi sono una decina le segnala-zioni, soprattutto in Sud Africa (dove la malattia ha una alta frequenza), caratterizzate da sintomatologia cutanea e/o neurologica anche intensa. In questi pazienti tuttavia, sebbe-ne l’attività enzimatica sia assai inferiore a quella delle PV ete-rozigoti, inspiegabilmente non sono stati riportati APA, anche una volta diventati adulti 4.

DIAGNOSI La diagnosi di APA è spesso difficile e dipende in modo si-gnificativo dall’attenzione e dall’esperienza clinica del me-dico: i sintomi di presentazione sono facilmente confusi con quelli di altre patologie ben più comuni (Tab.  II). Non esistono sintomi patognomonici di APA e fino al 10% dei pazienti pos-sono presentarsi con manife-stazioni diverse da quelle più comuni (dolore addominale); un segno clinico suggestivo

può essere l’emissione di urine di colore rosso scuro (“a vino Borgogna”) o che lo diventino dopo breve esposizione alla luce. Oltre ad una anamnesi fa-miliare positiva (parente sinto-matico), è molto importante, in presenza di sintomi suggestivi, ricercare possibili fattori scate-nanti. A fronte di un sospetto clinico, la diagnosi di APA si basa sul riscontro di una ele-vata escrezione urinaria di pre-cursori non porfirinici (ALA e PBG). Poiché tale escrezione (specie in caso di PV o CPE) può normalizzarsi a distan-za dell’evento critico, la loro determinazione deve essere eseguita contestualmente alla comparsa dei sintomi 3. Posta diagnosi di APA, la definizione del tipo di PA si basa su inda-gini più fini, comprendenti la determinazione del pattern di escrezione delle porfirine uri-narie e fecali, della fluorescen-za plasmatica, dell’attività en-zimatica (eritrociti, fibroblasti o tessuto epatico) e sull’analisi genetica 1, 3.

Diagnosi di porfiria in età pediatrica: problemi specificiI test biochimici in campioni biologici (urine, feci e plasma), specie se eseguiti al di fuori delle fasi critiche, sono consi-derati di scarso significato pri-ma della pubertà, poiché que-ste malattie si manifestano di solito dopo i 16 anni 4. L’assun-to secondo cui gli APA sono eventi rari nell’infanzia è però oggi oggetto di ampia discus-sione, stante l’incremento delle segnalazioni in letteratura, per cui tutti i bambini con sinto-matologia suggestiva (Tab.  II), specie se ricorrente o inspie-

gata, dovrebbero essere sot-toposti ai test. In particolare, i bambini con lesioni cutanee suggestive di PV e CPE (lesioni eritematoso-bollose, localizza-te solo in sedi foto esposte, che tendono a rompersi lascian-do erosioni superficiali a lenta guarigione con esiti cicatrizia-li) possono essere portatori di varianti omozigoti di queste malattie (o di altre gravi forme cutanee). In questi casi i test biochimici risultano fortemente positivi. Da non sottovalutare anche l’assenza di un “range di riferimento” pediatrico. L’anali-si genetica rappresenta un test accurato, purché la mutazione identificata in quella famiglia sia nota come “clinicamente rilevante”. Tuttavia ciò non ha valore definitivo nella predit-tività del suo effetto nel corso della vita; è noto infatti che la maggior parte delle PA (forme eterozigoti), hanno una pene-tranza clinica assai bassa. Cio-nonostante, lo screening gene-tico dei bambini nelle famiglie dei portatori è importante, per ridurre il rischio derivante dalla possibile esposizione a fatto-ri scatenanti  9. Eccetto che in casi particolari (coppie con un figlio con forma PA omozigote), la ricerca genetica prenatale non è indicata.

TrattamentoIl trattamento specifico di un APA deve iniziare con l’iden-tificazione e la rimozione di qualsiasi potenziale fattore scatenante (stress psico-fisico, restrizione dietetica, infezioni, assunzione di farmaci, etc.). La terapia di un APA si basa sull’infusione endovenosa di Eme [Eme Arginato (Normo-

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P. Ventura et al.

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TABELLA II. Segni e Sintomi di Attacco Porfirinico Acuto (APA, la percentuale indica la frequenza)* e condizioni cliniche frequentemente “simulate da un APA.APA: segni e sintomi

% Condizioni Cliniche frequentemente “simulate” da un APACondizioni chirurgiche

Condizioni ematologiche

Condizioni gastrointestinali

Condizioni cardiovascolari

Condizioni dismetaboliche oendocrinologiche

Condizioni neurologiche e psichiatriche

Addominalgia (severa)

95-97 - Peritonite- Appendicite- Pancreatite acuta- Ischemia intestinale

-Crisi emolitiche acute- Crisi drepanocitica acuta

-Ileo paralitico

Nausea, Vomito, Stipsi

48-85 46-52

- Gastroenterite acuta con vomito

Tachicardia Ipertensione (diastolica > 85 mmHg) Dolore precordia

65-80 38-64

8-15

- Crisi ipertensive- Tachiaritmie- Sindrome coronarica acuta

- Feocromocitoma

IpotensioneIposodiemia (< 120 mEq/L)

15-22 25-35

- Ipoadrenalismo acuto (crisi addisoniana)- SIADH

Neuropatia periferica motoria Neuropatia sensorialeIpo/areflessiaLombalgiaConvulsioniComa

40-60

20-28 20-30 20-30 10-20 2-10

- Ipoparatiroidismo acuto (crisi ipocalcemica)- Iperparatiroidismo acuto e altre condizioni associate a Ipercalcemia

- Sindrome di Guillain–Barrè - Polineuropatie idiopatiche/ autoimmuni- Emicrania- Epilessia- Miopatie acute

Alterazioni del comportamento/psicosi

10-40 - Attacco psicotico acuto- Delirium- Attacco di panico

* NB Più sintomi possono essere contemporaneamente presenti durante un APA.

sang®)], alla dose di 2-4 mg/kg, una volta al giorno, per 3-4 giorni. L’eme esercita un feed-back negativo sull’enzima Ala-sintetasi, determinando una rapida riduzione dell’accumulo di ALA e PBG: nella maggior parte di casi, l’infusione risolve gli APA nel giro di pochi giorni. Anche il glucosio (infusione di 1.500-2.000 cc /die, soluzioni al 10% o al 20%) ha un effetto simile sull’ala-sintetasi e può

essere utile nel trattamento de-gli APA. L’eme è però dotato di una efficacia assai maggiore ed è raccomandato in presen-za di attacchi gravi: in caso di neuropatie importanti, l’utilizzo ritardato dell’eme è stato asso-ciato a una più lenta e, a vol-te, incompleta remissione  6, 10. L’infusione di eme arginato può provocare sovraccarico marziale e complicanze locali (trombosi venosa e trombofle-

bite), prevenibili utilizzando un accesso venoso centrale e/o associando l’infusione di eme a quella di albumina  10. Nei pazienti affetti da gravi forme di PA, a rischio di sviluppare sequele renali e neurologiche persistenti, il trapianto di fega-to è una opzione terapeutica: nei casi riusciti, esso ha porta-to a una completa guarigione del disturbo. Non sono però stati descritti casi pediatrici

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PEDIATRIC HEPATOLOGY Porfirie acute in età pediatrica

107

di PA sottoposti a trapianto. I buoni risultati di alcuni recen-ti trials sperimentali basati su approcci di terapia genica, stanno fornendo nuove oppor-tunità di trattamento nelle PA, anche nella gestione a lungo termine  6. In conclusione, le PA sono considerate malattie a presentazione inusuale in età pre-pubere; quando manifeste in età pediatrica, di solito sono associate a forme particolar-mente gravi (omozigoti o con compromissione funzionale grave). Va però ricordato che le manifestazioni cliniche delle PA (gli APA) sono multiformi e diffi-cilmente distinguibili da quelle di patologie assai più frequenti: la possibilità di una importante sottostima diagnostica di que-ste malattie in età pediatrica è dunque reale, come suggerito dall’ aumento della frequenza delle diagnosi negli ultimi de-

cenni, in virtù di una maggiore attenzione e disponibilità dia-gnostica. Un APA può esse-re trattato con successo; se non diagnosticato o trattato in modo inadeguato, può essere letale.

Bibliografia1 Puy H, Gouya L, Deybach JC.

Porphyrias. Lancet 2010;375:924-37.

2 Ventura P, Cappellini MD, Rocchi E. The acute porphyrias: a diagno-stic and therapeutic challenge in internal and emergency medicine. Intern Emerg Med 2009;4:297-308.

3 Ventura P, Cappellini MD, Biolcati G, et al. A challenging diagnosis for potential fatal diseases: re-commendations for diagnosing acute porphyrias. Eur J Intern Med 2014;25:497-505.

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5 Kauppinen R. Porphyrias. Lancet 2005;365:241-52.

6 Cuoghi C, Marcacci M, Ventura P. The acute porphyric attack: a dif-ficult diagnosis for a potential le-thal event in emergency medicine. J Emerg Med Trauma Surg Care 2015;1:7-16.

7 Hultdin J, Schmauch A, Wikberg A, et al. Acute intermittent porphyria in childhood: a popu-lation-based study. Acta Paediatr 2003;92:562-8.

8 Hessels J, Voortman G, van der Wagen A, et al. Homozygous acute intermittent porphyria in a 7-year-old boy with massi-ve excretions of porphyrins and porphyrin precursors. J Inherit Metab Dis 2004;27:19-27.

9 Roveri G, Nascimbeni F, Roc-chi E, et al. Drugs and acute porphyrias: reasons for a hazar-dous relationship. Postgrad Med 2014;126:108-20.

10 Elder GH, Hift RJ. Treatment of acute porphyria. Hosp Med 2001;62:422-5.

• Le porfirie sono malattie metaboliche conseguenti a un difetto enzimatico della sintesi dell’eme.

• Il tipo di precursori che si accumula è responsabile della variabilità della presentazione clinica [attacchi neuro viscerali acuti (potenzialmente letali) e/o dermopatie da fotosensibilità].

• Le porfirie acute sono considerate a presentazione eccezionale (attacchi porfirici acuti) in età pediatrica; molti sintomi sono però indistinguibili da quelli di malattie più comuni: la possibilità di una sottostima diagnostica in età pediatrica è reale, come suggerito anche dall’aumento delle segnalazioni negli ultimi anni.

• La potenziale letalità dei quadri clinici più gravi di queste malattie, unitamente alla disponibilità di una terapia effi-cace, rende opportuno, in presenza di sintomi compatibili, considerare queste patologie all’interno della diagnostica differenziale anche in ambito pediatrico.

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108 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:108-112

Dieta chetogena: fisiopatologia e indicazioni cliniche Ketogenic diets: pathophysiology and therapeutic implications

Arianna Maiorana (foto)Giovanna Cotugno

Lucilla ManganozziCarlo Dionisi-Vici

UOC Patologia Metabolica, Dipartimento di Pediatria,

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

Key wordsKetogenic diet • Epilepsy •

Neurodevelopment • Metabolic diseases • Ketones • Dietary

therapies

AbstractKetogenic diets (KDs) are established effec-tive treatment diets for refractory epilepsy. Ketone bodies provide an alternative sub-strate to glucose for energy production and in developing brain also are utilized for bio-synthesis of cell membranes and lipids. Anti-convulsive effects are generated by enhanc-ing mitochondrial metabolism and inhibitory neurotransmitter synthesis, increasing the ATP/ADP ratio in brain. In addition to classical KDs with different ketogenic ratios (4:1, 3:1), novel diets such as the MCT diet (MCT), the modified Atkins diet (MAD), and the low gly-cemic index treatment (LGIT) have emerged. Currently, there is a growing interest in us-ing dietary therapies in conditions other than epilepsy.

Indirizzo per la corrispondenzaArianna Maioranapiazza Sant’Onofrio 4, 00165 RomaE-mail: [email protected]

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE a cura di

Antonella Diamanti

DefinizioneLa dieta chetogena (DC) è un regime alimenta-re ad elevato contenuto lipidico e basso conte-nuto glucidico e proteico, che è stato utilizzato come terapia per l’epilessia refrattaria per circa un secolo e che costituisce il trattamento elet-tivo in due patologie metaboliche caratterizzate da alterazioni del trasporto e dell’utilizzazione del glucosio, il deficit di GLUT1 e il deficit di PDH. La DC classica è calcolata in un rapporto di grammi di lipidi versus grammi di carboidrati più proteine. È costituita da trigliceridi a lunga catena (LCTs) in rapporto di 3:1-4:1 rispetto a carboidrati più pro-teine. La DC fornisce un substrato energetico al-ternativo al glucosio ed ha effetti neuroprotettivi 1. Nell’ultimo decennio l’interesse per la DC è stato sempre maggiore per la sua provata efficacia e per la sua applicazione in diverse patologie. Si è dimostrata efficace nel controllo del peso corpo-reo e in altre condizioni patologiche con insulino-resistenza come il diabete, l’ovaio policistico e l’acne, oltrechè in varie malattie neurologiche, oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e meta-boliche 2, 3. Recentemente è stata inoltre utilizzata con successo nel miglioramento dei sintomi mu-scolari e della cardiomiopatia in pazienti con gli-cogenosi di tipo III, fornendo una fonte energetica alternativa sotto forma di corpi chetonici 4-6.Nel corso degli anni, alla DC tradizionale si sono aggiunte nuove varianti per migliorare la com-pliance alimentare dei pazienti sia in età pedia-trica che nell’adulto. Sono ad oggi disponibili 4 tipi di DC: la DC classica, la DC con acidi gras-si a catena media (MCT), la dieta Atkins modifi-cata (MAD) e la dieta a basso indice glicemico (LGIT) 2, 7 (Tab. I).

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PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Dieta chetogena

109

Meccanismo d’azioneI meccanismi attraverso cui la dieta chetogena provoca una riduzione dell’eccitabilità neu-ronale sono diversi: la riduzio-ne del rapporto tra carboidrati e proteine rispetto agli acidi grassi riproduce una condizio-ne simile al digiuno, in cui le riserve di glucosio diventano insufficienti per la sintesi di ATP a partire dalla glicolisi e il me-tabolismo cellulare è ottimizza-to, spostando la produzione di energia dalla glicolisi alla beta-ossidazione degli acidi grassi, con conseguente produzione di corpi chetonici, fonte ener-getica alternativa per la fosfo-rilazione ossidativa. Inoltre, i corpi chetonici aumentano la concentrazione mitocondria-le di acetil-CoA, bypassando il complesso della piruvato-deidrogenasi (PDH); in questo modo, una lieve chetosi provo-ca gli stessi effetti metabolici dell’insulina senza utilizzarne la via intracellulare. Poiché gluco-sio e corpi chetonici hanno una Km simile ai trasportatori del glucosio a livello della barrie-ra ematoencefalica (BEE) (Km

5 mM) (costante di Michaelis-Menten (Km) è un indice di af-finità tra l’enzima e il substrato, ndr), i corpi chetonici posso-no essere utilizzati come fonte di energia a livello del sistema nervoso quando superano la concentrazione di 4 mmol/L, offrendo una resa energetica migliore rispetto al glucosio (l’ossidazione del 3-idrossibu-tirrato porta alla formazione di un maggior numero di molecole di ATP). Inoltre, gli astrociti sono in grado di interiorizzare gli acidi grassi liberi attraverso recettori specifici, convertendoli in corpi chetonici che vengono succes-sivamente trasferiti ai neuroni dal trasportatore degli acidi mo-nocarbossilici (MCT) che pos-siede una Km più bassa (Km 0,5 mM). I corpi chetonici hanno un effetto neuroprotettivo poichè attivano numerose vie metabo-liche endogene e programmi genetici che stabilizzano e / o migliorano il metabolismo cellu-lare, cui conseguono l’aumento della produzione di ATP nel mi-tocondrio, la stimolazione della biogenesi mitocondriale, la ridu-zione dello stress ossidativo e la modulazione dell’eccitabilità neuronale per blocco dei ca-

nali ionici voltaggio-dipendenti (Fig.  1). Inoltre, nel cervello in via di sviluppo, i corpi chetonici sono costituenti essenziali per la biosintesi delle membrane cellu-lari e dei lipidi 1.

Patologie neurologiche e neuro-metaboliche trattabiliLa DC si è dimostrata efficace nel trattamento di numerose pa-tologie di seguito elencate 2, 3, 7.Spasmi infantili: la DC è in gra-do di controllare le forme re-frattarie al trattamento antiepi-lettico di prima scelta.Epilessia mioclonico-astatica (sindrome Doose): una forma di epilessia generalizzata del-la prima infanzia con elevata frequenza di intrattabilità. Le crisi atoniche con perdita di controllo del capo rispondono rapidamente alla DC. Sindrome di Rett: la DC mi-gliora le convulsioni intrattabi-li, tuttavia la sua applicazione deve essere individualizzata in considerazione dello scar-so accrescimento, frequente in questi pazienti.

Tabella I. Composizione lipidica, proteica, glucidica e calorica delle diverse diete.

Calorie Totali Lipidi Proteine Carboidrati

Dieta normale Secondo RDA 30-35% 15-20% 50%

Dieta chetogena classica 3:1/4:1 Secondo RDA 90% 7% 3%

Dieta Atkins modificata Secondo RDA 60-70% 20-30% 5%(10 g/die)

Dieta supplementata in trigliceridi a catena media (MCT)

Secondo RDA 90%, di cui 30-60% da MCT (10-45% da LCT)

10% 15-20 %

Dieta a basso indice glicemico Secondo RDA 45-60% 20-30% 25-30%(40-60 gr/die

IG < 50)

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A. MAiorAnA et al.

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Sclerosi tuberosa complessa: molti pazienti sono refrattari alla terapia medica e la presenza di tuberi multipli può controindicare il trattamento chirurgico. In questi pazienti, la DC si è dimostrata ef-ficace nel controllo delle crisi.

Epilessia mioclonica severa dell’infanzia (sindrome di Dra-vet): l’epilessia intrattabile è una delle caratteristiche della sin-drome di Dravet; numerosi studi suggeriscono che la dieta che-togena può ridurre la frequenza

delle crisi, in particolare delle assenze atipiche.Forme specifiche di epilessia: la DC si è dimostrata efficace in casi isolati di: sindrome di Lan-dau Kleffner o afasia epilettica acquisita, sindrome di Lennox Gastaut, assenze epilettiche (qualora la terapia antiepilettica si sia dimostrata parzialmente efficace), panencefalite subacuta sclerosante (PESS), alcuni deficit dei complessi della catena respi-ratoria mitocondriale (es. malattia di Alpers), epilessia parziale mi-grante dell’infanzia, epilessia con crisi mioclonico-atoniche, en-cefalopatia epilettica refrattaria secondaria a convulsioni febbrili (FIRES). Alcuni casi di lissence-falia e di encefalopatia ipossico-ischemica hanno mostrato una buona risposta alla DC 2.Deficit di GLUT1: il deficit di GLUT1 è una malattia metabo-lica caratterizzata da un alterato trasporto del glucosio attraver-so la BEE, responsabile di neu-roglicopenia, con conseguenti esiti neurologici quali epilessia generalizzata, ritardo dello svi-luppo e disturbi del movimento. La malattia può anche manife-starsi con crisi di assenza ad esordio precoce. Lo studio del rapporto glicorrachia/glicemia è il gold standard per la diagnosi e un valore < 0,5 rappresenta la soglia diagnostica. La diagnosi deve essere confermata gene-ticamente con la ricerca delle mutazioni nel gene SLC2A1. La DC è il trattamento di prima scelta in questa patologia in quanto attraverso i corpi cheto-nici fornisce una fonte di ener-gia alternativa per il cervello. Le convulsioni tipicamente regre-discono con l’inizio della dieta mentre gli effetti sul ritardo del-

Figura 1. Meccanismi neuroprotettivi della DC. I canali KATP-dipendenti a livello dei neuroni sono attivati (aperti) dalla riduzione della glicolisi che si verifica in seguito alla somministrazione della DC, e alla conseguente riduzione del rapporto intracellulare ATP/ADP. L’attivazione di questi canali provoca l’iperpolarizzazione della membrana cellulare, con con-seguente riduzione dell’eccitabilità neuronale. Inoltre, gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) forniti dalla DC agiscono sulle cellule neuronali con diversi meccanismi: inibiscono i canali Na + e Ca2+ voltaggio-dipenden-ti, e insieme ai corpi chetonici, possono attivare canali K2P e potenziare l’attività delle pompe Na+/K+ ATPasi che iperpolarizzano le membrane cellulari. Essi inducono inoltre l’espressione del recettore attivante la proliferazione α del perossisoma (PPARα), che a sua volta induce l’e-spressione della proteina disaccoppiante la fosforilazione ossidativa 2 (UCP2) che separa il trasporto degli elettroni dalla produzione di ATP e indirettamente diminuisce la produzione dei radicali liberi dell’ossi-geno (ROS). Anche se apparentemente la produzione di energia cellu-lare sembra essere ridotta, l’espressione cronica di UCP2 nelle cellule neuronali stimola la biogenesi mitocondriale, pertanto in ultima analisi l’ATP cerebrale risulta aumentato, ma parallelamente vi è una ridotta produzione dei ROS con conseguente riduzione della disfunzione mi-tocondriale provocata dalle convulsioni. Un altro meccanismo neuro-protettivo è l’aumento del tono noradrenergico e della produzione di GABA, con conseguente inibizione dell’eccitabilità neuronale. Infine, anche l’inibizione dell’attività di mTOR nei neuroni provoca un ulteriore effetto anticonvulsivante (da Bough et al., 2007 1, mod.).

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PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Dieta chetogena

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lo sviluppo neuromotorio sono meno evidenti. Bisogna tuttavia considerare che la diagnosi di deficit di GLUT-1 è spesso tar-diva, e le sequele neurocogni-tive potrebbero verosimilmente giovarsi di un inizio più precoce della DC. La supplementazione con trieptanoato di glicerina, un trigliceride di sintesi a catena media a numero dispari di ato-mi di carbonio con potenziale effetto anaplerotico sul ciclo di Krebs, è oggi in fase di studio come potenziale terapia inno-vativa per il deficit di GLUT1.Deficit di piruvato deidrogenasi (PDH): la dieta chetogena si è dimostrata efficace come fonte di energia alternativa per il cer-vello anche nei pazienti affetti da deficit di PDH, una malattia mitocondriale che impedisce la conversione del piruvato, deri-vato dall’ossidazione del glu-cosio, in acetilCoA. La patolo-gia è caratterizzata da acidosi lattica, gravi sintomi neurologi-ci e, occasionalmente, epiles-sia intrattabile. La DC viene uti-lizzata per produrre acetilCoA dall’acetoacetato bypassando il difetto enzimatico. Alcuni pa-zienti in DC mostrano esiti neu-rologici favorevoli.Iperglicinemia non chetotica (NHK): raro errore congenito del metabolismo dovuto al deficit dell’attività del siste-ma di clivaggio della glicina, caratterizzato da ipotonia, mioclonie ed epilessia far-maco-resistente. La diagnosi biochimica si basa sull’au-mento del rapporto glicina liquorale/glicina plasmatica (0,09-0,49 nella NKH classi-ca). Nei casi in cui la terapia farmacologica specifica non consente un controllo della

sintomatologia critica, la DC migliora il quadro clinico ed elettroencefalografico con conseguente miglioramento della qualità di vita 8.L’efficacia e la sicurezza della DC vengono valutate mediante: a) riduzione del numero ed in-tensità delle crisi epilettiche; b) modificazioni EEG; c) valutazio-ne degli aspetti neuropsicologi-ci; d) mantenimento dello stato di chetosi con monitoraggio degli eventuali effetti collaterali; e) compliance dietetica (stretta-mente legata alla compromis-sione cognitiva del paziente).

Ulteriori indicazioni clinicheAlcuni studi recenti suggeri-scono che la DC possa essere utilizzate anche in altre pato-logie. Queste condizioni inclu-dono, oltre ad alcune malattie metaboliche come la glicoge-nosi di tipo III (Fig.  2), anche

autismo, tumori cerebrali, de-pressione, narcolessia, morbo di Alzheimer, traumi cerebrali, sindrome di Parkinson, scle-rosi laterale amiotrofica (SLA), emicrania, disturbi del sonno, mioclono post-ipossico, dan-no cerebrale post-anossico e schizofrenia 3, 7.Le glicogenosi sono patolo-gie metaboliche caratterizzate da segni epatici e/o muscolari quali epatopatia, ipoglicemia, cardiomiopatia, intolleranza all’esercizio, debolezza mu-scolare. Studi recenti hanno dimostrato un’efficacia della DC sui sintomi muscolari di pazienti affetti da glicogenosi di tipo V e VII, e sulla cardio-miopatia ipertrofica nella glico-genosi di tipo III 4-6.

Controindicazioni e valutazioni di screeningLa DC in pazienti affetti da er-rori congeniti del metabolismo

FIGURA 2. Indicazioni e controindicazioni all’utilizzo della DC nella malattie me-taboliche.

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A. MAiorAnA et al.

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a carico del trasporto o dell’os-sidazione degli acidi grassi può causare conseguenze gravissi-me, anche mortali. La DC può inoltre aggravare i sintomi nei pazienti con porfiria acuta in-termittente (Fig. 2). L’incapaci-tà di mantenere una nutrizione adeguata, l’individuazione di foci chirurgici cerebrali causa di epilessia e la mancata com-pliance familiare costituiscono controindicazioni relative all’u-tilizzo della DC 7.

Effetti collateraliI genitori e gli operatori sani-tari dei pazienti in DC devono essere informati degli effetti avversi comuni, occasionali e rari che possono verificarsi in corso di questo trattamento (Fig. 3). La maggior parte degli effetti collaterali sono prevedi-bili, spesso prevenibili, e solo raramente portano all’interru-zione del trattamento 7.

Bibliografia1 Bough KJ, Rho JM. Anticonvulsiv-

ant mechanisms of the ketogenic diet. Epilepsia 2007;48:43-58.

2 Kossof EH, Hartman AL. Ketogen-ic Diets: new advances for metab-olism-based therapies. Curr Opin 2012;25:173-8.

3 Veech RL. The therapeutic implica-tions of ketone bodies: the effects of ketone bodies in pathological conditions: ketosis, ketogenic diet, redox states, insulin resistance, and mithocondrial metabolism. Prostaglandins Leukot Essent Fat-ty Acids 2004;70:309-19.

4 Valayannopoulos V, Bajolle F, Ar-noux JB, et al. Successful treat-ment of severe cardiomyopathy in glycogen storage disease type III with D,L-3-hydroxybutyrate, keto-genic and high-protein diet. Pedi-atr Res 2011;70:638-41.

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8 Cusmai R, Martinelli D, Moavero R, et al. Ketogenic diet in early myoclonic encephalopathy due to non ketotic hyperglycinemia. Eur J Ped Neurol 2012;16:509-13.

• La DC mima una condizione di digiuno promuovendo la chetosi mediante la restrizione dell’apporto di carboidrati e l’au-mento del contenuto lipidico.

• La DC fornisce un substrato energetico alternativo al glucosio.

• La DC ha effetti neuroprotettivi e anticonvulsivanti.

• La DC è indicata in malattie neurologiche, metaboliche, oncologiche, cardiovascolari, respiratorie.

• L’effetto neuroprotettivo della DC si esplica attraverso l’ aumento della produzione mitocondriale di ATP, la stimolazione della biogenesi mitocondriale, la riduzione dello stress ossidativo e la modulazione dell’eccitabilità neuronale mediante l’azione sui canali di membrana voltaggio-dipendenti e l’aumento della sintesi dei neurotrasmettitori inibitori.

FIGURA 3. Effetti collaterali della DC.

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113Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:113-115

La diagnostica allergologica in vivo nel management delle gastroenteropatie

eosinofileIn vivo allergy tests in the management of eosinophilic

gastroenteropathies

Erminia Ridolo (foto)Laura BonzanoValerie MelliIrene Martignago

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Parma

Key wordsEosinofilic gastroenteropathy • Eosinophilic esophagitis • Food allergy • Atopy patch test • Skin prick test

AbstractThe eosinophilic gastroenteropathies are a group of rare disease characterized by an high incidence of atopy (50-80% of all pa-tients). Even though the etiology is not clear, the role of inhalant and food allergens as trigger in the pathogenesis of these group of disease is unquestioned. Skin prick test and atopy patch test are the recommended tests to perform for a correct allergy diagnosis. In vitro test (specific IgE serum assay) is occa-sionally required.

Indirizzo per la corrispondenza

Erminia Ridolovia Gramsci 14, 43126 Parma E-mail: [email protected]

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERA CURA DI

BARBARA BIzzARRI

Le gastroenteropatie eosinofile sono un gruppo di patologie rare, che comprende l’esofagite, la gastroenterite e la colite eosinofila, tutte caratte-rizzate da intenso infiltrato eosinofilo a livello della mucosa in assenza di altre cause note.L’eziologia delle gastroenteropatie eosinofile non è nota. È ormai indiscusso, però, il ruolo svolto da allergeni inalanti e alimentari come fattori trig-ger dei processi infiammatori alla base di queste patologie 1, 2. In numerosi lavori si evidenzia come il meccanismo eziopatogenico prevalente sia IgE-mediato, con un ruolo fondamentale dei linfociti Th-2 e delle citochine IL-5 e IL-13 da essi prodot-te. Nel modello murino, infatti, IL-5 si è dimostra-to promuovere l’infiltrazione di eosinofili all’inter-no della mucosa esofagea; mentre in altri studi in vitro IL-13 aumentava il livello di eotassina-3, la cui concentrazione è correlata con la severità dell’esofagite eosinofila 3, 4.I pazienti affetti da queste patologie presentano, nel 50-80% dei casi, una storia personale e/o fa-miliare di atopia  1, 2. Tuttavia, resta da chiarire il motivo per cui, nonostante l’alta incidenza di sen-sibilizzazione nei confronti di allergeni alimentari, solo una minima parte di pazienti manifesti nella sua vita fenomeni di anafilassi dopo l’assunzione di tali alimenti. Diverso sembra essere il subset Th2 coinvolto: i pazienti con gastroenteropatia eosinofila e sensibilizzazione di tipo IgE per l’ara-chide mostrano linfociti Th2 IL-5 positivi, mentre nei pazienti con anafilassi secondaria ad assun-zione di arachide i linfociti Th2 IL-5 negativi sono predominanti 5.Anche gli allergeni inalanti hanno un ruolo impor-tante nella patogenesi, in particolare dell’esofagi-te eosinofila. I pazienti con rinite e/o asma allergici presentano riesacerbazioni della sintomatologia gastrointestinale in concomitanza della stagione pollinica. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato la

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E. Ridolo et al.

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presenza di infiltrati eosinofili a livello esofageo in concomi-tanza con i sintomi respiratori stagionali, anche in assenza di sintomatologia gastrointesti-nale 6, 7.Data l’elevata incidenza di ato-pia fra i pazienti affetti da que-sta patologia e il ruolo causale di alcuni allergeni, lo screening allergologico appare indicato ad ogni nuova diagnosi.L’esecuzione dei test allergo-metrici in vivo, quali prick test per allergeni inalanti e alimen-tari e atopy patch test, sono importanti nell’iter diagnostico e terapeutico dei pazienti affet-ti da gastroenteropatie eosino-file.I risultati combinati di entrambi i test allergometrici consento-no l’individuazione dell’even-tuale trigger e la conseguente formulazione di un’ adeguata terapia dietetica al fine di ot-tenere la risoluzione della sin-tomatologia e la scomparsa degli infiltrati eosinofili a livello mucosale. La sensibilità com-binata di entrambi gli esami è del 65-95% e la specificità del 78-90% 8.Tuttavia, l’interpretazione dei test allergometrici non è faci-le. Il riscontro di una positività a tali test non è sinonimo di allergia, ma il risultato è da in-terpretare in base alla sintoma-tologia clinica che il paziente presenta. Tale compito resta a carico dello specialista allergo-logo.Il primo meccanismo di iper-sensibilità da indagare è quel-lo IgE-mediato verso allergeni inalanti ed alimentari, che va verificata attraverso le prove cutanee (skin prick test). Questi test presentano alta specificità

e sensibilità e un elevato profilo di sicurezza, essendo raramen-te causa di reazioni sistemiche. Inoltre, possono essere eseguiti in pazienti di ogni età.I prick test vengono eseguiti solo su cute sana, utilizzan-do pannelli standardizzati di estratti allergenici, seguendo la tecnica raccomandata dalle linee guida internazionali 9: •porreunagocciadegliestrat-

ti commerciali contenenti l’antigene inalante o alimen-tare che si vuole testare, mantenendo una distanza di almeno 2 cm l’uno dall’altro, a livello della faccia volare dell’avambraccio;

•pungerelacuteconunalan-cetta sterile con una puntina del diametro di 1 mm attra-verso l’estratto, utilizzando una lancetta diversa per ogni allergene testato;

•eseguire un controllo positi-vo con istamina (soluzione di istamina idrocloridrata al 9%) e un controllo negativo con soluzione fisiologica;

•attendere10-20minperva-lutare la reazione cutanea.

La positività è data dalla com-parsa di un pomfo di diametro uguale o superiore al pomfo del controllo positivo (istamina), in genere di diametro ≥ 3 mm. Tuttavia esistono condizioni in cui non è possibile eseguire prick test per l’elevata possibi-lità di avere falsi positivi o falsi negativi 9. Falsi positivi si possono avere in caso di:•marcata iperreattività cuta-

nea:•reazione“irritante”,peresem-

pio in caso di sanguinamen-to in sede di passaggio della lancetta;

•reazione aspecifica per po-sitività ad un reagente con-tiguo dovuta al non aver ri-spettato la distanza minima di 2 cm fra i vari allergeni.

Falsi negativi possono essere dovuti, invece, a:•utilizzo di estratti commer-

ciali malconservati o scaduti;•utilizzodapartedelpaziente

di farmaci che riducono la re-attività cutanea: antistamini-ci, antidepressivi, ansiolitici, corticosteroidi topici utilizzati nell’area in cui si esegue il test;

•patologie cutanee e/o siste-miche che diminuiscono la responsività della cute (es. atrofia cutanea diffusa nel paziente anziano);

•utilizzodi tecnicaerrata (as-senza di puntura o puntura troppo debole).

In questi casi è indicato pro-cedere con il dosaggio di IgE specifiche su siero, utilizzando anche, come indagine di terzo livello, la diagnostica moleco-lare.Il secondo tipo di meccanismo da indagare è quello cellulo-mediato di tipo ritardato, che va ad accertare la presenza di reazioni non IgE-mediate ad al-lergeni alimentari. Il test utiliz-zato è l’atopy patch test, che si effettua con:•applicazione epicutanea de-

gli apteni da indagare, dilu-iti con solventi specifici per ogni sostanza e posizionati su appositi dischetti adesivi, definiti patch, a livello della parte superiore del dorso in regione interscapolare;

•utilizzodiuncontrollonegati-vo (es: vasellina);

•applicazione dimedicazioneocclusiva con cerotto piatto

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TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERDiagnostica della gastroenteropatia eosinofila

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in modo da favorire la pe-netrazione dell’aptene nella cute;

•mantenimentoinsedeper72ore.

A distanza di 72 ore va ese-guita la lettura che consiste nella valutazione delle even-tuali reazioni cutanee presenti in corrispondenza delle sedi di applicazione dell’aptene. La re-azione cutanea viene valutata secondo una scala qualitativa e quantitativa standardizzata, in modo da garantire una let-tura universale al patch test 10. L’area a livello della quale si effettua il test deve essere in-denne da lesioni, in modo da garantire che la normale re-attività cutanea del soggetto non sia alterata, sia in senso negativo (nel caso di cicatrici), che in senso positivo (nel caso di processi infiammatori attivi, come acne o la DAC) oppure che esistano condizioni che in-terferiscano con la lettura (per es. ampi tatuaggi). L’esame può essere eseguito solo se sono trascorsi almeno

dieci giorni dalla sospensione della terapia con cortisonici to-pici, per quanto riguarda l’area in cui si applica il patch test, e con farmaci antistaminici e cortisonici per via sistemica. L’allergologo ha un ruolo fon-damentale nell’eseguire ed interpretare i test allergome-trici e rappresenta una figura importante nella gestione del-le patologie gastrointestinali eosinofile, in particolare nella prescrizione di adeguate diete di eliminazione al fine di otte-nere una riduzione della flogosi eosinofila e la risoluzione della sintomatologia clinica.

Bibliografia1 Ridolo E, Montagni M, Olivieri E, et

al. Eosinophilic esophagitis: which role for food and inhalant allergens? Asia Pac Allergy 2012;2:237-41.

2 Pineton de Chambrun G, Desreu-maux P, Cortot A. Eosinophilic en-teritis. Dig Dis 2015;33:183-9.

3 Mishra A, Hogan SP, Brandt EB, et al. IL-5 promotes eosinophil traffi-cking to the esophagus. J Immu-nol 2002;168:2464-9.

4 Zhu X,   Wang M,  Mavi P, et al. Interleukin-15 expression is in-creased in human eosinophilic esophagitis and mediates patho-genesis in mice. Gastroenterology 2010;139:182-93.

5 Prussin C, Lee J, Foster B. Eosi-nophilic gastrointestinal disease and peanut allergy are alternati-vely associated with IL-5+ and IL-5(-) T(H)2 responses. J Allergy Clin Immunol 2009;124:1326-32.

6 Onbasi K, Sin AZ, Doganavsar-gil B, et al. Eosinophil infiltration of the oesophageal mucosa in patients with pollen allergy du-ring the season. Clin Exp Allergy 2005;35:1423-31.

7 Fogg MI, Ruchelli E, Spergel JM. Pollen and eosinophilic eso-phagitis. J Allergy Clin Immunol 2003;112:796-7.

8 Seema S. Aceves Food allergy te-sting in eosinophilic esophagitis: what the gastroenterologist needs to know. Clinical Gastroenterology and Hepatology 2014;12:1216-23.

9 Bousquet J, Heinzerling L, Ba-chert C, et Al. Practical guide to skin prick tests in allergy to aero-allergens. Allergy 2012;67:18-24.

10 Becker D. Allergic contact derma-titis. JDDG: Journal der Deutschen Dermatologischen Gesellschaft 2013;11:607-21.

• A ogni nuova diagnosi di gastroenteropatia eosinofila è utile eseguire una valutazione allergologica.

• I test di primo livello sono gli skin prick test per allergeni inalanti ed alimentari e gli atopy patch test (test in vivo).

• Il riscontro di sensibilizzazioni ai test allergometrici non significa manifestazione allergica.

• Il profilo di sensibilizzazioni riscontrate è di guida per un corretto iter terapeutico.

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116 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:116-120

Ruolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi delle IBDRole of environmental factors and diet in the pathogenesis of pediatric IBD

Marina Aloi (foto)Manuela Distante

Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile,

UOC di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica,

Università “La Sapienza”, Roma

Key wordsEnvironment • Diet •

Inflammatory bowel disease • Smoking • Antibiotic

AbstractA rapid increase of the incidence of pediatric IBD is reported worldwide, both in developed and developing countries, suggesting a role of environmental triggers in their pathogen-esis. Although a causative role for a specific factor has not been proven, the spread of the “Western” diet, high in fat and protein but low in fruits and vegetables, is regarded by many researchers as a strong candidate, and its in-fluence on gut inflammation is highly hypoth-esized.

Indirizzo per la corrispondenza

Marina Aloiviale Regina Elena 324, 00161 Roma E-mail: [email protected]

IBD HIGHLIGHTS a cura diFortunata Civitelli

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, da Inflammatory Bowel Disease), malattia di Crohn (MC) e rettocolite ulcerosa (RCU), sono processi infiammatori del tratto gastrointestinale ad andamento cronico-recidivante. La loro ezio-patogenesi, anche se non completamente chia-rita, è multifattoriale e coinvolge una complessa interazione tra geni, sistema immunitario, micro-biota intestinale e fattori ambientali.Le basi genetiche delle IBD sono state studiate in modo esaustivo tramite studi di associazione genome-wide (in inglese genome-wide associa-tion study, o GWAS). Finora, sono stati identifi-cati 163 loci di rischio, la maggior parte dei quali condivisi dalle due malattie  1. Nonostante i geni siano fattori necessari per lo sviluppo delle IBD, diverse evidenze indicano che da soli non sono sufficienti a determinarle, tra queste il basso tas-so di concordanza in gemelli monozigoti (10-15% nella RCU e 30-55% nella MC) e i rapidi cambia-menti epidemiologici che hanno caratterizzato le malattie negli ultimi decenni, non spiegabili con paralleli cambiamenti genetici (molto più lenti nel-la loro estrinsecazione). Sin dalla fine del secolo scorso è stato registra-to un aumento significativo dell’incidenza delle due malattie, parallelo ad enormi cambiamenti ambientali verificatisi all’inizio del 20° secolo nei paesi occidentali, tra cui una maggiore igiene personale, l’ampio uso di vaccini e antibiotici e l’introduzione di differenti abitudini alimentari, tra cui l’uso di cibi inscatolati. Più recentemente si è assistito ad ulteriori cambiamenti epidemiologi-ci delle IBD: infatti, sebbene la più alta incidenza sia ancora riportata nei paesi industrializzati, so-prattutto Nord America e Europa, paesi come il Giappone, l’India o Hong Kong, in cui tali malattie erano sconosciute fino a pochi decenni fa, hanno visto crescere il numero di casi diagnosticati, in

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IBD HIGHLIGHTS Ruolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi

delle IBD

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concomitanza con l’adozione di un stile di vita occidenta-le 2. La stessa tendenza è stata osservata in immigrati che si sono trasferiti da paesi in via di sviluppo in quelli occiden-tali. Questi dati suggeriscono che l’ambiente gioca un ruolo cruciale nel determinismo del-le IBD e diversi dati indicano che quanto più precocemente avviene l’esposizione ai fattori ambientali, tanto più il rischio di sviluppare le malattie au-menta. Sebbene a tutt’oggi un singolo trigger ambientale non sia stato definito, numerosi possibili fattori sono stati stu-diati, tra cui il fumo, la dieta, lo stress, l’igiene, l’allattamento al seno, l’esposizione agli an-tibiotici, gastroenteriti ricorrenti e altre infezioni contratte in età pediatrica, con risultati variabli (Tab. I).

Il principale problema nell’otte-nere dati convincenti sul ruolo dell’ambiente nella patogenesi delle IBD proviene dalla diffi-coltà metodologica di condurre studi in questo campo. Infatti, a causa della bassa incidenza del-le malattie, molti studi sono ca-so-controllo, fornendo un basso livello di evidenza. Inoltre, al fine di determinare una relazione causale tra un fattore ambien-tale e la malattia, l’esposizione deve precedere lo sviluppo della condizione, deve essere stabilita una relazione causale precisa fra più variabili possibili, e deve es-sere dimostrata una spiegazione biologica plausibile. Lo scopo di questo articolo è di valuta-re criticamente i dati sui fattori ambientali descritti in letteratu-ra, con particolare attenzione al ruolo della dieta nella patogene-si delle IBD.

La dietaLa diffusione della dieta occi-dentale è considerata come una possibile spiegazione dell’aumentata incidenza di IBD su scala mondiale. L’in-fluenza della dieta sulla pato-genesi delle IBD è stata ipotiz-zata considerando il suo effetto sulla composizione del micro-bioma intestinale e sullo stato immunitario a livello mucosale. Diversi componenti alimentari, comunemente presenti nelle diete occidentali, si sono di-mostrati inoltre potenzialmente lesivi per la barriera epiteliale 3. Ad esempio, alcuni detergenti ed emulsionanti sono in grado di danneggiare direttamente la barriera mucosale. Il polisorba-to 80, un emulsionante presen-te in diversi prodotti alimentari lavorati, aumenta la trasloca-zione di E. coli nelle placche del Peyer nella MC. Uno studio giapponese ha di recente iden-tificato una correlazione diret-ta tra la produzione annuale di emulsionanti alimentari e l’aumentata incidenza di MC in Giappone. Altri studi hanno dimostrato come il glucosio determini un aumento della permeabilità intestinale e mo-difichi la composizione protei-ca a livello delle tight junctions della linea cellulare umana Caco-2, con conseguente mi-nore coesione cellulare e dan-no della barriera intestinale. La gliadina, tossica nella malattia celiaca, è in grado di aumen-tare la permeabilità intestinale anche in soggetti non celiaci, mediante il legame al recetto-re epiteliale CXCR3 e il rilascio di zonulina. Il caprato di sodio, acido grasso a catena media, presente nei derivati del latte,

Tabella I.Correlazione tra fattori ambientali e rischio di malattia di Crohn (MC) e rettocolite ulcerosa (RCU).

Fattore di rischio MC RCU

DietaAcidi grassi omega-6 (n-6) Acidi grassi omega-3 (n-3)Allattamento al senoProteine animaliFibreZuccheri raffinati

+-+

+--

Vitamina D -

Esposizione ad antibiotici durante l’infanzia +

Gastroenteriti ricorrenti + +

Stress +

Fumo + -

Appendicectomia + -

Antiinfiammatori non steroidei +

Contraccettivi orali +

Igiene + +

+ = associazione positiva; - = associazione negativa/effetto protettivo

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M. Aloi, M. Distante

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aumenta la permeabilità a livel-lo ileale nel ratto e in campio-ni bioptici ileali di pazienti con MC. Infine, è stato dimostrato un ruolo nell’insorgenza del-la malattia da parte di alcuni mediatori lipidici con proprietà immunomodulanti e proinfiam-matorie. Una seconda linea di ricerca ha indagato la correlazione tra abitudini alimentari e rischio di sviluppare IBD. Un elevato apporto di acidi grassi polin-saturi n-6 (n-6 PUFA), presenti nella carne rossa, nell’olio da cucina e nella margarina, è as-sociato ad un più alto rischio di sviluppare RCU. Al contra-rio, un elevato consumo di acido docosaesaenoico  n-3 PUFA correla negativamen-te con tale rischio. n-6 e n-3 PUFA sono i precursori degli eicosanoidi, potenti mediato-ri lipidici con un ruolo chiave nella modulazione dell’infiam-mazione. Gli eicosanoidi che derivano dagli n-6 PUFA han-no attività proinfiammatoria, mentre quelli derivati da n-3 PUFA sono degli antiinfiam-matori. Nel corso degli ultimi decenni un aumento signifi-cativo del rapporto n-6:n-3 (~15:1) ha caratterizzato i mo-delli alimentari occidentali. È interessante notare come in parallelo l’incidenza delle IBD sia aumentata. Oltre agli aci-di grassi, un elevato consumo di zuccheri raffinati e proteine sembra essere correlato ad un aumentato rischio di MC. Al contrario, un elevato consumo di frutta e verdura ha un ruo-lo protettivo sullo sviluppo di MC, mentre non sembra influ-ire sul rischio di RCU. Il ruolo dell’allattamento al seno non è

ancora del tutto compreso, an-che se una recente review ne ha riportato un modesto effet-to protettivo (OR 0,69; 95% CI, 0,51-0,94) 4.Altri fattori, tra cui le vitamine e i micronutrienti, sono stati cor-relati con il rischio di IBD. Le prove più interessanti derivano dal legame tra i livelli di vitami-na D e il rischio di malattia. Un ampio studio condotto recen-temente su donne adulte (più di 70000 soggetti) ha dimo-strato una relazione tra livelli elevati di vitamina D ed una ri-duzione del rischio di sviluppa-re la MC, e, in misura minore, la RCU. L’ipotesi di una relazione tra livelli di vitamina D e rischio di IBD si basa su numerosi dati, tra cui il fatto che le aree geografiche a più alta inciden-za di malattia sono quelle con una bassa esposizione solare e che è stato ampiamente di-mostrato un ruolo diretto della vitamina D sul sistema immu-nitario e su processi chiave alla base delle IBD (trascrizione del gene NOD2, autofagia).Ulteriori dati sull’impatto dei modelli dietetici occidentali sul rischio di sviluppare IBD, sono stati pubblicati molto re-centemente: una dieta ricca in zuccheri e bevande gassate e povera in verdure è risulta-ta associata ad un maggiore rischio di RCU, mentre non è stata dimostrata alcuna corre-lazione con il rischio di MC. Al contrario una dieta di tipo “me-diterraneo” sembra non au-mentare il rischio di malattia 5. È tuttavia importante sottoline-are che verificare un rapporto di casualità è estremamente complesso, considerato che molto spesso tali studi sono

caso-controllo e retrospettivi. Esistono numerosi fattori con-fondenti, tra cui la definizione del tipo di dieta e la possibile influenza di altri fattori ambien-tali. Idealmente, ampi studi prospettici in popolazioni ad alto rischio, con interventi die-tetici mirati, potrebbero fornire risultati definitivi. Questi po-trebbero essere ulteriormente arricchiti da dati pediatrici, per l’opportunità unica di studiare la risposta immunitaria iniziale e per caratterizzare al meglio le correlazioni genotipo-fenotipo.

Il fumoIl fumo ha effetti diversi nel-le IBD: aumenta il rischio di sviluppare MC ma non RCU. Numerosi studi hanno dimo-strato una correlazione diretta tra fumo e rischio di sviluppare MC, inoltre tale rischio rimane aumentato nei primi anni dal-la sospensione e, in soggetti affetti da MC il fumo peggiora l’andamento in termini di reci-dive e complicanze. Al contrario, i fumatori hanno un ridotto rischio di sviluppa-re RCU e, quando affetti dalla malattia, sembrano avere un decorso più mite. I meccani-smi alla base di tali differenze rimangono sconosciuti. Re-centemente, si è ipotizzato che il fumo di sigaretta possa mo-dulare diversamente il fenotipo e le funzioni delle cellule den-dritiche in pazienti con RCU e MC, con conseguente aumen-to della prevalenza di cellule T CD4 Foxp3 + nei primi, e con uno spostamento dell’equili-brio Th1/Th2 a favore dei linfo-citi Th1 nei secondi. Sorpren-dentemente, però, paesi con

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IBD HIGHLIGHTS Ruolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi

delle IBD

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un’alta percentuale di adulti fu-matori, come la Cina, la Mon-golia o il Kenya, hanno una bassa incidenza di IBD, mentre i paesi del Nord-Europa, dove il numero di fumatori è netta-mente inferiore, hanno un’alta incidenza di malattia.

Gli antibioticiL’ampia diffusione di antibiotici nel XX secolo è coincisa con la comparsa di patologie cro-niche come le IBD, supportan-do l’ipotesi di un loro possibile effetto sulla patogenesi di tali malattie. Tali farmaci posso-no agire causando modifiche permanenti del microbioma intestinale, determinando uno squilibrio dell’interazione fi-siologica tra flora batterica, barriera intestinale e sistema immunitario, o, più probabil-mente, agendo ad entrambi i livelli. Diversi studi hanno inda-gato il rapporto tra antibiotici e rischio di IBD. Recentemente un’ampia meta-analisi, che ha valutato 11 studi osservazio-nali (8 caso-controllo e 3 di coorte), per un totale di più di 7000 pazienti affetti da IBD, ha riportato un lieve aumen-to rischio di IBD tra i soggetti esposti a qualsiasi antibiotico. L’esposizione a terapia anti-biotica è risultata significati-vamente correlata con la MC (OR 1,74, 95% CI 1,35-2,23), ma non con la RCU (OR 1,08, 95% CI 0,91-1,27). È interes-sante notare che il rischio era maggiore nei bambini che negli adulti e che, ad un’analisi delle classi di antibiotici associati al rischio di IBD, metronidazolo e fluorochinolonici risultavano le classi con la più alta associa-

zione di rischio (sebbene tutte le classi, ad eccezione delle pencilline, risultassero correla-te)  6. Alcuni dati suggeriscono che l’età di esposizione sia de-terminante, probabilmente per una modifica persistente della flora intestinale: l’uso precoce di antibiotici nel primo anno di vita ha una frequenza significa-tivamente maggiore nei bambi-ni con IBD, rispetto ai controlli. Il ruolo di episodi ricorrenti di gastroenterite o di altre infe-zioni è stato suggerito da al-cuni studi. Dati pediatrici sug-geriscono una correlazione tra ricoveri per gastroenterite durante l’infanzia e sviluppo di IBD. Tuttavia, altri studi non confermano tali dati, rendendo i risultati su tale argomento an-cora inconcludenti.

Lo stressLo stress è stato storicamente identificato come fattore ne-gativo sul decorso delle IBD. Studi su modelli di animali con colite hanno confermato tale dato. I meccanismi alla base di un effetto dello stress sull’an-damento della malattia sono diversi, tra cui i possibili cam-biamenti nelle interazioni tra microbiota e sistema immu-nitario, le modifiche dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del rilascio periferico di CRH (Cor-ticotropin-releasing  hormone) e l’attivazione delle mastcellule mucosali. Inoltre, le modifiche del tono dell’umore, come i disturbi depressivi, sembrano influire negativamente sull’atti-vità della malattia.Diversi studi hanno tentato di correlare stress e rischio di IBD, tuttavia le differenti defi-

nizioni di stress, l’inclusione di gruppi misti di pazienti (per tipo o stadio di malattia) e la pre-senza di variabili confondenti, rendono difficile l’interpreta-zione dei risultati. Alcuni dati suggeriscono una correlazione negativa tra stress e sviluppo di IBD, al contrario un recente studio caso-controllo pediatri-co, condotto in Danimarca, ha evidenziato come il verificarsi di eventi stressanti nella vita di un bambino, quale il divor-zio dei genitori, sia in grado di produrre un lieve incremento nel rischio di IBD (OR 1,7 95% CI 1,0-2,9), insieme ad una serie di altri fattori di rischio ambientali (fattori alimentari, storia familiare di IBD, infezioni gastrointestinali, condivisione della stessa camera da letto, eczema atopico).

ConclusioniLa conoscenza dei meccani-smi patogenetici delle IBD è significativamente aumentata negli ultimi decenni. È ormai ampiamente accettato che queste malattie siano il risulta-to di un’interazione tra tre fatto-ri chiave: geni, barriera intesti-nale e ambiente. Nei primi anni del 2000 la ricerca si è con-centrata sui primi, con grandi aspettative iniziali e successi-ve delusioni, dato che le co-noscenze acquisite non hanno ancora avuto un impatto diret-to sulla gestione dei pazienti e sulla storia naturale della ma-lattia. Recentemente l’interes-se della ricerca si è sempre più concetrato sullo studio dei fattori ambientali che, qualora identificati, potrebbero esse-re l’unico elemento del puzzle

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M. Aloi, M. Distante

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potenzialmente modificabile. Dati recenti suggeriscono che alcuni componenti alimenta-ri, tipici delle diete occidenta-li, potrebbero avere un ruolo diretto nella patogenesi delle IBD e alcuni tipi di diete po-trebbero aumentare il rischio di sviluppare le malattie. Studi al-trettanto recenti suggeriscono un possibile ruolo della dieta anche sul decorso delle ma-lattie. Tuttavia, condurre studi in questo campo è estrema-mente complesso, in quanto le variabili confondenti sono molteplici e i risultati spesso difficilmente interpretabili. Le ricerche in corso e future, in-

centrate sull’interazione tra geni, microbioma e ambiente, forniranno probabilmente nuo-ve conoscenze importanti per comprendere meglio la pato-genesi delle IBD e modificarne la storia naturale e la risposta alle terapie.

Bibliografia1 Brant SR. Promises, delivery,

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• La patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, da Inflammatory Bowel Disease) è multifattoriale e coinvolge la complessa interazione tra diversi fattori: predisposizione genetica, sistema immunitario, microbiota intestinale e fattori ambientali.

• Tra i fattori ambientali, la dieta e gli effetti dei diversi alimenti sul complesso sistema epitelio intestinale-microbiota-immu-nità sono oggi oggetto di numerosi studi e sembrano correlati al rischio di sviluppare IBD.

• Numerosi alimenti sono stati chiamati in causa, tuttavia definire il rapporto di causalità tra i diversi alimenti e la patogenesi di queste malattie è estremamente complesso.

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121Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:121-122

Ipertransaminasemia e fegato grasso: una diagnosi molto… “sudata”!

Elevation of serum aminotrasferases and fatty liver in an obese child: a very… “sweaty” diagnosis!

Sandra Brusa1 (foto)Maura Ambroni2

Fiorella Battistini2

1 Pediatria, Ospedale S. Maria della Scaletta, Imola;2 Centro Regionale Diagnosi e Cura per la Fibrosi Cistica, Ospedale Bufalini, Cesena

Key wordsHypertransaminasemia • Fatty liver • NAFLD • Cystic fibrosis

AbstractWe describe the case of an obese 11-year-old boy with dyslipidemia, high serum hepatobil-iary enzymes (mostly ALT) and hepatic stea-tosis at ultrasound, but no evidence of insulin resistance. As the ALT level remained elevat-ed despite lifestyle modification and weight loss, we proceeded to an additional workup to rule out other causes of hypertransamina-semia and fatty liver disease. The final diag-nosis was unexpected.

Indirizzo per la corrispondenza

Sandra Brusavia Montericco 4, 40026 Imola (BO)E-mail: [email protected]

CASE REPORTa cura diMariella Baldassarre

PRESENTAZIONE CLINICALeonardo giunge alla nostra osservazione a 11 anni per steatosi epatica. L’anamnesi patologica remota evidenziava nel primo anno di vita un epi-sodio di congiuntivite da Klebsiella oxytocica e micosi ricorrenti, a 12 mesi ripetuti episodi di en-terite da Cryptosporidium (“enterite cronica”). Gli accertamenti effettuati a quell’epoca mostravano un deficit dell’immunità cellulo-mediata, con sie-rologia negativa per HIV. All’età di 3 anni il piccolo iniziava a soffrire di flogosi ricorrenti delle basse vie respiratorie e fino all’età di 6 anni venivano ri-feriti alvo irregolare, con 3-4 scariche al giorno di feci molli e maldigerite, e scarso acccrescimento ponderale. All’età di 7 anni compariva iperfagia con progressivo incremento di peso, fino a 10 kg/anno negli ultimi 2 anni. Gli esami di laboratorio mostravano: colesterolo tot. 198 mg/dl; triglice-ridi 259 mg/dl; AST 76 UI/L (v.n. 0-37); ALT 187 UI/L (v.n. 0-40); gammaGT 51 UI/L. L’ecografia addominale mostrava un fegato aumentato di dimensioni, a profili arrotondati ed ecostruttura steatosica.

ESAME OBIETTIVOPeso Kg 55 (90°percentile); altezza cm 145 (50° percentile); BMI 26 kg/m2 (95° percentile); non acanthosis nigricans; obiettività cardiorespirato-ria nella norma; addome globoso, trattabile, con fegato palpabile a 4 cm dall’arcata costale di con-sistenza aumentata, milza non palpabile.

SVILUPPO DEL CASO CLINICONel sospetto di NAFLD (Non-Alcoholic Fatty Liver Disease) abbiamo consigliato dieta ipocalorica, esercizio fisico, assunzione per os di acidi gras-si poliinsaturi omega 3. Dopo 6 mesi il bambino

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S. BruSa et al.

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presentava calo ponderale di 5 kg; glicemia 81 mg/dl; insu-lina 8 microU/ml (HOMA-IR 1,6 - v.n.< 2); colesterolo tot 145 mg/dl; trigliceridi 109 mg/dl; AST 26 UI/L; ALT 83 UI/L;

gammaGT 25  UI/L. Steatosi epatica invariata.

IPOTESI DIAGNOSTICHENAFLDMorbo di WilsonEpatite autoimmuneCeliachia/Fibrosi cistica

Sviluppo e soluzione del caso clinico a pagina 141

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123Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:123-129

Quando gli eosinofili invadono l’intestino: terapie tradizionali e nuove immunoterapie dell’esofagite

e della gastroenteropatia eosinofila

Eosinophilic esophagitis and gastroenteritis: traditional therapy and new immunotherapy

Antonella Cianferoni

Division of Allergy and Immunology, The Children’s Hospital of Philadelphia, Philadelphia, Pennsylvania, Perelman School of Medicine at University of Pennsylvania, USA

Key words Eosinophilic esophagitis • Food allergy • Food impaction • Dysphagia

AbstractEosinophilic Gastrointestinal disease (EGID) can involve only the Esophagus (Eosinophilic Esophagitis-EoE) or more parts of the gastro-enteric (GI) tract (Eosinophilic gastroenteri-tis-EGE). EoE, the most common EGID, is a chronic atopic disease triggered by foods and is treated with the use of steroids or diet. EGE are rare, poorly defined and difficult to treat diseases diagnosed if other more common causes of GI hypereosinophilia have been ex-cluded.

Indirizzo per la corrispondenza

Antonella Cianferoni3615 Civic Center BlvdPhiladelphia, PA 19104-4399, USAE-mail: [email protected]

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY

PHARMACOLOGYa cura diMonica Paci

INTRODUZIONE Le malattie eosinofile dell’apparato gastrointesti-nale (GI) (EGID) si dividono in 2 gruppi principali: l’esofagite eosinofila (EoE) e le gastroenteropatie eosinofile (EGE). EoE è la più comune delle EGID associata, per definizione, ad un’infiammazione eosinofila isolata dell’esofago. La sua patogene-si, modalità di diagnosi e trattamento sono ben definite 1, 2. Le EGE costituiscono invece un gruppo di ma-lattie rare, eterogenee e maldefinite sia clinica-mente che in termini eziopatogenetici  6-8. Sono diagnosticate se si rileva ipereosinofilia in 1 o più parti dell’apparato gastrointestinale in assenza di una causa nota di eosinofilia 3 (Tab. I). La Dia-gnosi si basa per lo più su 3 criteri diagnostici 6-8: 1) presenza di sintomi aspecifici gastrointestinali (diarrea, vomito, dolori addominali), 2) infiltrazio-ne eosinofila in uno o più tratti dell’apparato ga-strointestinale, 3) esclusione di altre cause di eo-sinofilia gastrointestinale (malattia infiammatoria cronica, infezioni parassitarie, immunodeficienze primarie) (Tab. II).

EPIDEMIOLOGIA

EoE La prevalenza dell’EoE, descritta per la prima vol-ta nel 1968 e considerata inizialmente una malat-tia rara, ha registrato una rapida ascesa dal 2000 in poi, tanto che oggi ha un’incidenza annuale simile a quella della malattia di Crohn nei paesi altamente industrializzati quali USA e Australia 2. L’EoE colpisce maggiormente il sesso maschile e possono esserne colpiti più membri della stes-sa famiglia (avere un fratello con EoE aumenta il rischio di sviluppare la malattia di circa 80 volte rispetto alla popolazione generale) 2.

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A. CiAnferoni

124

EGE Sono disordini molto rari con un’incidenza da 1 a 30 casi su 100.000 abitanti 3.

PRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSI

EoE La EoE deve essere sospettata in caso di presenza di sintomi cronici di disfunzione e/o fibrosi esofagea (Fig.  1) non respon-sivi alla terapia a massimo do-saggio con inibitori di pompa protonica (PPI) (20-40  mg due volte al giorno negli adulti e 1 mg/kg due volte al giorno nei bambini) per 8-12 settimane  2. Il gold standard per la diagnosi è l’esecuzione di un’esofago-gastroduodenoscopia (EGDS) dopo aver effettuato la tera-pia anti-reflusso con PPI, e si basa sulla presenza di almeno 15 eosinofili (eos)/per campo ad alta risoluzione(High power field, HPF) in almeno una del-le 4 biopsie esofagee ottenute in assenza di ipereosinofilia in altre parti del tratto GI 2. L’eso-fago è l’unico tratto del sistema gastrointestinale a essere clas-sicamente privo di eosinofili in condizioni di normalità 1. Le sole patologie associate a eosinofilia

esclusivamente esofagea sono EoE, EoE responsiva a tratta-mento con PPI e GERD 1.

EGE La presentazione clinica varia in base al tratto gastrointesti-nale interessato, ma le mani-festazioni più frequenti sono vomito, diarrea, dolore addo-minale, perdita di peso o man-cato accrescimento dovuto a malassorbimento e perdita delle proteine, sanguinamento franco od occulto, anemia e ittero ostruttivo. Se sono coin-volti gli strati muscolari, dolori addominali, crampi e ostruzio-ne intestinale possono essere i sintomi di presentazione e in rari casi si può avere una per-forazione d’organo. Le forme a carico delle sierose sono asso-ciate ad ascite e distensione addominale 1, 6, 9. Una lieve eosinofilia nel sangue periferico (<  1500  mm3/ml) è presente nella maggioranza dei pazienti. Questo non sor-prende poiché la maggioranza dei soggetti affetti hanno altre manifestazioni atopiche 1, 6, 9.

La storia naturale delle EGE ri-mane a tutt’oggi sconosciuta. Uno studio francese, in cui si sono stati seguiti 43 pazienti trattati per EGE per 13 anni, ha riportato 3 diverse evoluzioni dell’EGE 9, 10: 1.un decorso cronico in cui si

alternano periodi di riacutiz-zazione e remissione della malattia;

2.un decorso progressivo; 3.la remissione (in una percen-

tuale limitata di pazienti). La diagnosi viene fatta con EGDS e colonoscopia che ri-velano la presenza di eosinofili in una o più parti dell’appara-to gastrointestinale. Uno dei maggiori problemi diagnostici è che, a differenza dell’esofa-go gli eosinofili sono presenti nel resto del tratto intestinale. Il tratto gastrointestinale è il maggiore organo non emo-poietico dove sono contenuti eosinofili in soggetti sani. Gli eosinofili, in assenza di un pro-cesso infiammatorio, risiedono nella lamina propria, e sono più numerosi nel cieco e nell’ap-pendice ma i loro valori non

TABELLA I.Cause più comuni di ipereosinofi-lia gastrointestinale.

Di tipo secondario (reattive):

– Infezioni da elminti e altri parassiti

– Reazioni da farmaci

– Malattia cronica graft-versus-host

– Infiammazioni croniche (e.g., IBD)

– Malattie autoimmuni

FIGURA 1.Sintomi tipici della EoE in base all’età.

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NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Terapia esofagite e gastroenteropatia eosinofila

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sono ben definiti, pertanto la diagnosi di eosinofilia patologi-ca diventa più difficile a meno che non sia particolarmente in-tensa e grave 6-8. Diversi autori hanno usato indicazioni diffe-renti per diagnosticare la EGE, da 20 eos/hpf in un singolo hpf a 30 eos/hpf in almeno 5 hpf, a 80  eos/hpf distribuiti sia in modo diffuso che in aggregati multifocali (con più di 3 hpf) 10. Le EGE vengono poi classifi-cate in base al tratto intestinale coinvolto (gastrite, gastroen-terite, colite, proctocolite etc) o in base alla localizzazione degli eosinofili a livello tissu-tale (serosica, mucosale o mu-scolare) 10. La forma mucosale è la forma più frequente e la muscolare la più rara  10. Data la rarità di queste malattie, prima di fare diagnosi di EGE, devono essere escluse cause comuni di eosinofilia tissutale quali infezioni parassitarie, ma-lattia infiammatoria intestinale, malattie del connettivo, allergia a farmaci, disordini linfoprolife-rativi 6-8 (Tab. I).

PATOGENESI

EoE C’è un accordo generale nello stabilire che, nel caso dell’EoE, gli eosinofili siano una manifesta-zione di una tipica flogosi atopica per le seguenti evidenze: 1. I pazienti con EoE sono af-

fetti da altre malattie atopi-che (rinite allergica, asma, allergie alimentari IgE me-diate e/o dermatite atopica) dal 50 al 90% dei casi (a se-conda dei diversi studi) 2.

2. L’infiammazione esofagea tipica della EoE ha tutte le

caratteristiche della flogosi atopica, cioè è di tipo T hel-per 2 (Th2) 1.

3. L’epitelio esofageo dei pa-zienti con EoE è predisposto geneticamente a secernere elevati livelli di linfopoieti-na timica stromale (TSLP), considerata uno dei princi-pali promotori dell’infiam-mazione locale allergica 1.

4. L’infiammazione è scatena-ta da allergeni sicuramente alimentari e molto proba-bilmente anche ambienta-li. Nella maggior parte dei pazienti sia adulti che bam-bini, causa dell’EoE sono gli alimenti, che scatenano un’infiammazione locale eo-sinofila con un meccanismo non-IgE mediato  1. Latte, grano, uova, soia, carne di manzo e pollo si sono rivelati essere gli alimenti scatenanti in molte popolazioni studiate indipendentemente 1.

5. L’infiammazione cronica porta rimodellamento tissu-tale e fibrosi esofagea che sono la causa dello sviluppo di stenosi irreversibili e, nei pazienti adulti, oggi l’EoE è la causa più comune di im-patto del bolo alimentare 1.

6. Come molte malattie atopi-che l’EoE ha un andamen-to cronico-recidivante, con periodi di remissione ma mai guarigione completa 1.

EGE Come per l’EoE la maggioran-za dei soggetti con EGE ha al-tre patologie atopiche. Il fatto però che la maggioranza dei pazienti non risponda al tratta-mento dietetico, anche quello elementare, fa pensare che la disregolazione degli eosinofili

sia dovuta a un’infiammazione Th2 di natura autoimmunitaria più che antigenica, che spie-gherebbe anche la resisten-za al trattamento steroideo riportata non raramente nelle EGE 6-8.

TRATTAMENTO

EoE La terapia attualmente con-siderata standard per la ge-stione dell’EoE si basa sull’u-so di steroidi per sopprimere l’infiammazione (Tab.  III) e/o diete di esclusione degli al-lergeni alimentari scatenanti l’EoE 2.

Trattamento tradizionale

Steroidi Steroidi orali risolvono ra-pidamente l’infiammazione esofagea eosinofila  2 (Tab.  II). Come in tutte le patologie al-lergiche, non sono indicati nella gestione a lungo termine della malattia e vengono usati solo per i casi di emergenza, quali disfagia grave, ricove-ro in ospedale ed importante perdita di peso  2. Corticoste-roidi tipicamente usati per via inalatoria, come fluticasone o budesonide, vengono invece somministrati per via orale e dal momento che hanno una bassa biodisponibilità e mini-mi effetti collaterali sistemici sono considerati “ad azione topica” 2 (Tab. II). È importante che dopo la somministrazione di steroidi per uso topico non venga assunto nessun cibo o bevande per 30 minuti, così

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A. CiAnferoni

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da evitare che il farmaco ven-ga diluito o rimosso 2.

Dieta Molti studi, sia in adulti che in bambini, hanno dimostrato che specifici alimenti causano la EoE e trattamenti dietetici sono efficaci per indurre una remissione clinica e istopatolo-gica della malattia 2. I tre approcci dietetici usati nel trattamento della EoE sono i seguenti: 1.dieta elementare, cioè una

dieta basata solo sull’assun-zione di miscele di aminoaci-di 2;

2.dieta specifica, in cui si elimi-nano alimenti specifici sulla base di test allergologici 4;

3.dieta empirica, in cui empi-ricamente si eliminano i più comuni allergeni alimentari (spesso chiamata eliminazio-ne dei sei alimenti o SFED) 2 (Tab. III).

Immunoterapie specifiche nel trattamento della EoE Dal momento che i trattamenti disponibili sono spesso aspe-cifici ed hanno molti effetti collaterali sono stati studia-ti trattamenti immunoterapici specifici per la EoE, che per lo si sono rivelati inefficaci o solo parzialmente efficaci. •Anti-Interleuchina (IL-5). IL-5 è

la citochina più importante per lo sviluppo e il reclutamento degli eosinofili 1. Due trials cli-nici in doppio cieco con place-bo con due anticorpi anti-IL-5 (Mepolizumab, SB240563, e Reslizumab, Sch55700) non sono risultati efficaci 1.

•Anti-Tumor Necrosis Factor a (Infliximab) e Anti-immuno-globuline IgE (Omalizumab):

- sono stati sperimentati in un numero estremamente limi-tato di pazienti e sono risul-tati inefficaci 1;

- Anti-CRTH2 (OC000459).

CRTH2 è un recettore altamen-te espresso sulle cellule tipiche dell’infiammazione Th2 quali linfociti Th2, eosinofili e baso-fili e determina la chemotassi delle suddette cellule in pre-senza della prostaglandina D2 (PGD2), specificamente pro-dotta dai mastociti durante la flogosi allergica. L’anti-CRTH2 (somministrato oralmente) ha indotto un miglioramento cli-nico e istiopatologico signifi-cativo senza provocare effetti collaterali significativi 5.

Desensibilizzazione L’immunoterapia orale è un ef-ficace trattamento delle aller-gie alimentari IgE mediate, ma ha come effetto collaterale fre-quente l’innesco dell’EoE per cui non viene usata nel tratta-mento della EoE 1. Nel futuro verranno probabil-mente sperimentate terapie specifiche contro altri fat-

TABELLA II. Terapia farmacologica.

Nome farmaco

Dose < 10 anni

Dose > 10 anni

Max dose Durata

Inibitori pompa

6-8 settimane prima di ogni EGD e prolungata

se c’è GERD coesistente

Omeprazolo 1 mg/kg due volte al dì 1 mg/kg due volte al dì 40 mg due volte al dì

Lansoprazolo 1 mg/kg due volte al dì 1 mg/kg due volte al dì 60 mg una volta al dì

Esomeprazolo 1 mg/kg due volte al dì 1 mg/kg due volte al dì 40 mg una volta al dì

Steroidi Almeno 6-8 settimane prima di ogni EGD di controllo e poi 1-2

anni-necessari talvolta per molti anni

Fluticasone 220 mcg due volte al dì 440 due volte al dì 880 due volte al dì

Budesonide 1 mg una volta al dì 2 mg una volta al dì 2 mg due volte al dì

Steroidi orali 1 mg/kg due volte al dì 1 mg/kg due volte al dì 30 mg due volte al dì

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NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Terapia esofagite e gastroenteropatia eosinofila

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tori chiave della patogenesi dell’EoE quali la linfopoietina timida stromale (TSLP).

EGE Data la rarità della malattia non vi sono ampi studi e il tratta-mento delle EGE si basa per lo più su esperienze su singoli casi  6-8. A differenza della EoE, le EGE in generale non sono malattie molto facili da control-lare e c’è una buona percentua-le di casi (10-64% a seconda degli studi) che non è respon-siva o lo è solo parzialmente a qualsiasi trattamento incluso l’uso di steroidi per via sistemi-ca 9. Anche le forme responsive spesso richiedono la combina-zione di 2-3 tipi di trattamento e i pazienti necessitano di ri-

petute endoscopie durante il trattamento  9 (Tab. IV). Gli ste-roidi orali sono i più efficaci ma il trattamento a lungo termine non è auspicabile dati gli effetti collaterali  9, 10. È stato riportato con successo l’uso di steroidi topici quale budesonide visco-sa o in capsule  9,  10. Il valore delle diete sia elementare che di esclusione dei più comuni al-lergeni è stata riportata in studi non controllati ma, sebbene sia risultata efficace in casi selezio-nati, il suo valore probabilmente è molto limitato  9, 10. Se in uno studio su pazienti pediatrici con gastroenterite eosinofila, la die-ta elementare e SFPED si è ri-velata efficace nella stragrande maggioranza dei pazienti, so-prattutto con malattia limitata

allo stomaco, altri studi hanno invece riportato successi mol-to più limitati (10-20%) senza differenza in efficacia tra bam-bini ed adulti 9, 10. Le EGE sono occasionalmente responsive al trattamento con PPI, antileuco-trieni e stabilizzatori delle cellu-le mastocitarie  9, 10. Trattamenti con immunoterapia specifica anti-IL5 e altri farmaci biologici non sono riportati in letteratura.

CONCLUSIONI L’EoE è una entità clinico-pato-logica caratterizzata da sintomi di disfunzione esofagea ed eo-sinofilia limitata all’esofago, in assenza di reflusso acido ga-stro-esofageo. È caratterizzata da un’infiammazione cellulare

TABELLA III. Terapia dietetica della EoE.

Cibi eliminati Vantaggi Svantaggi Uso

Elementare Tutti, alimentazione si basa su formule di aminoacide

Risoluzione dei sintomi e infimmazione esofagea nella stragrande maggiornza dei pazienti (> 95%)

Bassa qualità della vita, isolamento sociale, necessità di somministrazione con tubo gastrico o sondino nasogastrico. Molto costosa

• Per indurre rapida remissione in soggetto con patologia grave o resistente ad alter forme di trattamento

• Per fare diagnosi di allergia alimentare

SFED Latte, uovo, grano, soia, pesci, crostacei, nocciolini, frutti col guscio

Efficace nel 70% dei pazientiFacile da prescrivere per il medico non allergologo

Altamente restrittivaImpatto nutrizionale e sulla qualità della vita elevatoDifficile da seguire per periodi prolungatiInefficace nel 30% dei pazienti

• Usata epiricamente specialmente nell’adulto e dal medico non allergologo

Mirata con ausilio di test allergologici

Latte, grano, uovo, soia, carni

Efficace nell’70-80% dei casiSpesso solo 1-2 alimenti vengono eliminate

Test allergologici usati non standardizzati (patch test)Richiede l’ausilio dell’allergologoInefficace nel 20% dei pazienti

• Più spesso nei bambini

• In pazienti motivate disposti a sottoporsi a molte EGD per trovare allergene responsabile

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A. CiAnferoni

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di tipo Th2 spesso scatenata da allergeni alimentari in indivi-dui predisposti geneticamente. Ci sono due principali strategie di trattamento clinico clinica-mente accettate per EoE: elimi-nazioni dietetiche e terapia con corticosteroidi. Con l’aumen-to della nostra comprensione della patogenesi dell’EoE, è logico prevedere che in futuro ci saranno opzioni più specifi-che di trattamento per questa malattia che mostra un rapido aumento nella popolazione. Le EGE al contrario sono ma-lattie poco conosciute e rare. Occorre fare un’accurata dia-gnosi differenziale prima di ini-ziare il trattamento di queste patologie, che è spesso empi-

rico e richiede terapie multiple. Le EGE hanno un andamento spesso cronico recidivante, poco responsivo alla terapia.

Bibliografia 1 Merves J, Muir A, Modayur C,

et al. Eosinophilic esophagitis. Ann Allergy Asthma Immunol. 2014;112:397-403.

2 Liacouras CA, Furuta GT, Hirano I, et al. Eosinophilic esophagitis: updated consensus recommenda-tions for children and adults. J Al-lergy Clin Immunol 2011;128:3-28.

3 Jensen ET, Martin CF, Kappelman MD, et al. Prevalence of eosino-philic gastritis, gastroenteritis, and colitis: estimates from a national administrative database. J Pedia-tr Gastroenterol Nutr 2015. [Epub ahead of print]

4 Spergel JM, Brown-Whitehorn TF, Cianferoni A, et al. Identification of causative foods in children with eosinophilic esophagitis treated with an elimination diet. J Allergy Clin Immunol 2012;130:461-7.

5 Straumann A, Hoesli S, et al. Anti-eosinophil activity and clinical ef-ficacy of the CRTH2 antagonist OC000459 in eosinophilic esopha-gitis. Allergy 2013;68:375-85.

6 Straumann A, Safroneeva E. Eo-sinophils in the gastrointestinal tract: friends or foes? Acta Gastro-enterol Belg 2012;75:310-15.

7 Furuta GT, Forbes D, Boey C, et al. Eosinophilic gastrointestinal di-seases (EGIDs). J Pediatr Gastro-enterol Nutr 2008;47:234-8.

8 Mukkada VA, Furuta GT. Idiopathic eosinophilic disorders of the ga-strointestinal tract in children. Best Pract Res Clin Gastroenterol 2008;22:497-509.

TABELLA IV. Classificazione EGE. A)Localizzazione tissutale Serosica Mucosale Muscolare

SintomiDistensione addominaleAscite

VomitoDiarreaDolori addominaliMalassorbimentoPerdita di proteineSanguinamentoAnemia

Dolori addominaliCrampiOstruzione intestinalePerforzazione

Frequenza + ++ +/_Sesso più frequentemente colpito

Femminile Maschile Maschile

B)Localizzazione nel tratto gastrointestinale

Gastrite o gastroduodenite

Gastroenterite Ileite Colite

Oragani interessati

Stomaco or stomaco e duedenoSpesso Esofago è anche colpito

Stomaco e diverse parti dell’intestino (ileo, duodeno, colon)

Ileo Colon

Frequenza + +++ +/-i ++Responsività alla terapia

+++ ++

+ ++

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NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Terapia esofagite e gastroenteropatia eosinofila

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9 Reed C, Woosley JT, Dellon ES. Clinical characteristics, treatment outcomes, and resource utilization in children and adults with eosino-

philic gastroenteritis. Dig Liver Dis 2015;47:197-201.

10 Pineton de Chambrun G, Gon-

zalez F, Canva JY, et al. Natural history of eosinophilic gastroen-teritis. Clin Gastroenterol Hepatol 2011;9:950-956 e951.

• L’esofagite eosinofila (EoE) è un’infiammazione eosinofila isolata dell’esofago, a patogenesi, modalità di diagnosi e trattamento definite.

• Le gastroenteropatie eosinofile (EGE) costituiscono un gruppo di malattie rare, eterogenee e maldefinite, caratterizzate da infiltrazione di eosinofili in vari tratti dell’apparato digerente.

• Nel caso dell’EoE, gli eosinofili sono una manifestazione di una tipica flogosi atopica. Nel caso delle EGE, la disregola-zione degli eosinofili è dovuta ad un’infiammazione T-helper 2 di natura probabilmente autoimmunitaria.

• La terapia tradizionale per il trattamento dell’EoE si basa sull’uso di steroidi per sopprimere l’infiammazione e/o diete di esclusione degli allergeni alimentari scatenanti. Sono attualmente oggetto di studio immunoterapie specifiche, rivelatesi parzialmente efficaci.

• Gli steroidi orali sono i farmaci più efficaci nel trattamento delle EGE, che tuttavia sono malattie non molto facili da controllare. Sono riportati risultati poco soddisfacenti con il trattamento a base di diete di esclusione.

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130 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:130-133

La via “alternativa” per l’alimentazione enterale: gastrostomia e gastrodigiunostomia percutanea endoscopica (PEG e PEGJ) in età pediatricaThe alternative choice for enteral nutrition: percutaneous endoscopic gastrostomy and percutaneous endoscopic gastrojejunostomy (PEG and PEGJ) in paediatric age

Pietro Betalli (foto)Mara Colusso

Maurizio Cheli

USC di Chirurgia Pediatrica, Azienda Opsedaliera Papa

Giovanni XXIII, Bergamo

Key wordsPercutaneous endoscopic

gastrostomy (PEG) • Percutaneous endoscopic gastro-

jejunostomy (PEGJ) • Enteral nutrition • Children

AbstractPercutaneous Endoscopic Gastrostomy (PEG) and its variation Percutaneous Endoscopic Gastrojejunostomy (PEGJ), has become the method of choice to achieve an enteral access route in patients who require long term en-teral nutrition. The majority of PEG tubes are placed when poor oral intake is likely to persist for more than 3 months. PEGJ have since been used in children who are deemed too unfit for antireflux surgery or where fundoplication has failed. Such children include those with se-vere physical and neurological handicap who are at greater risk of surgical and anaesthetic complications and have an increased mortality from respiratory complications associated with gastrostomy tube feeding.

Indirizzo per la corrispondenzaPietro Betallipiazza OMS 1, 24127 BergamoE-mail: [email protected]

a cura diSalvatore Oliva

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY

INTRODUZIONELa nutrizione enterale rispetto a quella parente-rale è un metodo di alimentazione pratico e facile per tutti quei pazienti che presentano l’apparato gastro-intestinale integro ma che sono incapaci di alimentarsi per via orale. È una pratica sicura, economica e ben tollerata dai pazienti. La manie-ra più semplice per attuare una NE è rappresenta-ta dall’utilizzo di un sondino naso-gastrico (SNG). Il SNG è scarsamente accettato dai pazienti di età pediatrica ed è utile solo in caso di patologie che necessitano di un supporto nutrizionale di breve durata (< 3 mesi). Periodi superiori facilitano l’in-sorgenza di complicanze che ne sconsigliano la permanenza; per permettere alle sostanze nutriti-ve di raggiungere comunque il tratto digerente, il confezionamento di una gastrostomia rappresen-ta una valida e indispensabile alternativa al son-dino naso-gastrico. La gastrostomia può essere definita come la cre-azione di un tragitto fistoloso che mette in comu-nicazione lo stomaco con la parete addominale in modo da ottenere un accesso diretto al lume gastrico permettendo la somministrazione dei nu-trienti alimentari direttamente in stomaco.M.W.L. Gauderer  1 alla fine degli anni settanta, osservò come pazienti pediatrici affetti da gravi patologie (neurolesi) sottoposti ad intervento di gastrostomia chirurgica, fossero più predisposti a sviluppare complicazioni post operatorie gravi. Nel 1980 ideò e applicò in collaborazione con J.L. Ponsky la prima PEG. Nel corso degli anni questa metodica ha subito nu-merose modifiche che ne hanno facilitato l’utilizzo, rendendo più raro il ricorso alla tecnica chirurgica.

PEGLa PEG è indicata per tutti i pazienti che hanno la

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ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY PEG e PEGJ in età pediatrica

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necessità di una nutrizione en-terale per un periodo superiore a 3 mesi, dovuta a impossibilità di deglutizione (malattie neuro-logiche, malformazioni conge-nite, dismotilità oro-faringea, epidermolisi bollosa), inade-guato apporto calorico (fibrosi cistica, difetti cardiaci conge-niti, insufficienza respiratoria cronica), particolari esigenze dietetiche (malattie metaboli-che, assunzione di farmaci) e necessità di nutrizione entrale continua (malassorbimento) 2.La tecnica chirurgica della PEG si basa su tre principi fonda-mentali:•ilcontrollodellazonagastri-

ca dove verrà posizionata la stomia;

•lasicurezzanell’evitaredanniagli organi vicini;

•la possibilità di contatto trala sierosa gastrica e la parete addominale.

Il passo iniziale della mano-vra consiste nell’endoscopia e nell’insufflazione dello sto-maco. Per individuare il punto cutaneo in cui verrà inserita la gastrostomia, si effettua una pressione digitale dall’esterno verso l’interno. Questo punto corrisponde alla zona di lumi-nosità della transilluminazione e rappresenta il punto chiave per poter eseguire con tranquil-lità una PEG. Viene posizionata quindi un’agocannula che oltre-passa la cute e la parete dello stomaco (Fig. 1). Attraverso l’a-gocannula viene inserito un filo guida che presenta all’estremi-tà distale un anello, il quale vie-ne afferrato dall’endoscopista con un’ansa per polipectomia. L’endoscopio viene rimosso con l’ansa da polipectomia che afferra il filo guida. La sonda

gastrostomica viene collegata al filo guida che fuoriesce dalla bocca. Si esegue una trazione attraverso l’estremità del filo guida che fuoriesce dalla pare-te addominale. Attraverso tale manovra la sonda gastrostomi-ca dalla bocca, attraversa l’e-sofago, si posiziona in stomaco e fuoriesce dalla parete addo-minale. Essa viene quindi gen-tilmente trazionata fino a rag-giungere la completa aderenza della parete gastrica alla parete addominale (Fig. 2). L’accollamento fibroso che si verifica tra la parete dello sto-maco e la parete addominale, permette dopo circa 3 mesi, di sostituire in tutta sicurezza la sonda gastrostomica con un sistema a basso presidio. Pre-supposto indispensabile per la sua applicabilità è la pervietà esofagea, anche se viene co-munque utilizzata in quei casi di stenosi esofagee transitabili dall’endoscopio. Il rischio ele-

vato di perforazione esclude i pazienti affetti da varici eso-fagee. Creare una soluzione di continuità senza danneggiare altri organi addominali è fonda-mentale; questa procedura non è pertanto praticabile in pazienti gravemente obesi o che presen-tino un importante epato-sple-nomegalia. L’interruzione della continuità peritoneale senza la possibilità del controllo diretto che offre la tecnica open, rende inaccessibile la PEG ai pazienti con ascite massiva. Da recenti studi e dalla nostra esperien-za risulta invece praticabile per quei pazienti in trattamento dia-litico peritoneale 3.

FIGURA 1.Identificazione del corretto pun-to di inserzione.

FIGURA 2.La procedura endoscopica.

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P. Betalli et al.

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PEGJLa gastro-digiunostomia transgastrica (PEGJ) è una me-todica che prevede l’introduzio-ne di un tipo di sonda che per-mette una nutrizione artificiale diretta nel digiuno bypassando lo stomaco. Le principali indica-zioni al posizionamento di una PEGJ sono rappresentate dal vomito incoercibile, dalla grave gastroparesi, da episodi recidi-vanti di polmoniti ab-ingestiis, grave reflusso gastroesofageo in bambini cerebropatici in at-tesa di intervento chirurgico di plastica antireflusso (terapia ponte) e difetti deglutitori  2. Le sonde digiunostomiche più uti-lizzate presentano due vie per la somministrazione di alimenti e/o farmaci sia per via digiunale che per via gastrica. Solitamen-te attraverso la via digiunale si ha la possibilità di alimentare il bambino somministrando diete polimeriche o semi-elementa-ri mentre dalla via gastrica si possono somministrare farma-ci o decomprimere lo stoma-co in caso di sovradistensione (Fig. 3). La sonda può essere posi-zionata attraverso una pre-esistente gastrostomia intro-

ducendo l’endoscopio nello stoma gastrostomico. La me-todica prevede il rilascio di un filo guida in sede digiunale sul quale si posiziona la PEGJ. La verifica del corretto posizio-namento si ha aspirando dalla via digiunale secrezioni biliari oppure effettuando un control-lo radiologico con iniezione di mezzo di contrasto attraverso la via digiunale. Una PEGJ può essere confezionata per via en-doscopica anche se non è già

presente una gastrostomia: la tecnica è simile a quella della PEG e permette il diretto po-sizionamento di una sonda o bottone in sede digiunale. La gestione della PEGJ è so-vrapponibile a quella della ga-strostomia.

CONCLUSIONIPEG e PEGJ rappresentano le vie di accesso enterale a lungo termine più idonee in età pe-diatrica. La PEG è sicuramen-te la prima scelta per la facile gestione domiciliare mentre la PEGJ deve essere sempre considerata una seconda al-ternativa in quanto la gestione domiciliare non è sempre facile (Tab. I). Grande importanza nella scelta di questi due diversi presidi è data dalla presenza di reflus-so gastro-esofageo patolo-gico  4,  5. In Figura 4 abbiamo cercato di riassumere in modo schematico la nostra linea di condotta nel confezionamento di PEG o PEGJ tenendo con-to delle condizioni cliniche del bambino e dalla presenza o meno di patologia da reflusso gastro-esofageo.

TABELLA I.PEG e PEGJ: vantaggi e svantaggi.

Vantaggi Svantaggi

PEG Alimentazione in boli e/o continuaFacile gestione domiciliareEseguibile in sedazione

Non risolve la malattia da reflusso Ab-ingestiis

PEGJ Trattamento del vomito incoercibileIndicata nella grave malattia da reflussoEvita ab-ingestiisEseguibile in sedazione

Solo alimentazione in continuaEpatopatiaGestione domiciliare meno semplice

FIGURA 3.La sonda della digiunostomia trans-gastrica.

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ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY PEG e PEGJ in età pediatrica

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FIGURA 4.Algoritmo decisionale nella scelta del posizionamento di PEG e PEGJ, in associazione alla chiurgia anti-reflusso.

• La nutrizione enterale rispetto a quella parenterale è un metodo pratico e facile per tutti quei pazienti che presentano l’apparato gastro-intestinale integro ma che sono incapaci di alimentarsi per os.

• Le tecniche più appropriate per la nutrizione enterale a lungo termine sono la PEG e la PEGJ.

• Nonostante la loro semplicità di confezionamento, PEG e PEGJ possono avere controindicazioni e complicanze, che non devono essere sottovalutate.

• Questi presidi sono facilmente gestibili sul territorio, anche dai genitori che devono però essere sufficientemente istruiti sul loro utilizzo e sulle complicanze che possono insorgere.

Bibliografia1 Gauderer MW, Ponsky JL, Izant

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134 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:134-140

Linee guida ESPGHAN per la gestione della gastroenterite acuta nei bambini europeiESPGHAN Guidelines for the management of acute gastroenteritis in European children

Teresa Capriati

Unità Operativa Semplice di

Nutrizione artificiale, Ospedale Pediatrico

Bambino Gesù

Key wordsGastroenteritis • Diarrhea • Dehydration

AbstractThe new ESPGHAN/ESPID guidelines update and extend evidence-based indications for the management of children with acute gas-troenteritis in Europe. The main novelties are represented by the introduction of an entirely new section on the hospital management, the validation of clinical score to assess the de-gree of dehydration and an up-to-date of nu-tritional and pharmacological approaches to improve the outcome of children with acute gastroenteritis.

Indirizzo per la corrispondenza

Teresa Capriati piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma E-mail: [email protected]

a cura diTeresa Capriati

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

Nel 2014 la Società Pediatrica Europea di Gastro-enterologia, Epatologia e Nutrizione (ESPGHAN) e la Società Pediatrica Europea di Malattie Infettive (ESPID) hanno sviluppato delle linee guida (LG) “evidence-based” con lo scopo di definire lo stato dell’arte sulla gestione della gastroenterite acuta in età pediatrica. La gastroenterite acuta (GA) è un problema di notevole importanza nei bambini di età < 5 anni e consiste in una riduzione della con-sistenza delle feci (molli o liquide) e/o un aumento della frequenza delle evacuazioni (tipicamente ≥ 3 evacuazioni nelle 24 ore) con o senza febbre e vo-mito e dura, in genere meno di 7 giorni e mai più di 14 giorni (una durata > a 14 giorni definisce una condizione di diarrea cronica). Il documento del 2014 riporta un update delle rac-comandazioni con l’integrazione delle evidenze raccolte negli ultimi 5 anni ed è rivolto a medici di tutti i livelli di assistenza (medici di assistenza primaria, pediatri, medici di famiglia). Le racco-mandazioni cliniche sono state sviluppate in base alla valutazione delle evidenze secondo il metodo GRADE (Tab. I), tuttavia per renderle più facilmente confrontabili con la precedente versione del 2008, le raccomandazioni sono state accompagnate da una misura della forza della evidenza e dal grado della raccomandazione secondo il metodo Muir-Gray & Cook (Tab. II).La sintesi completa delle raccomandazioni è par-te integrante delle LG ed è disponibile all’indirizzo URL: http://links.lww.com/MPG/A317In questo numero il professor Guarino e il dottor Lo Vecchio, che hanno partecipato alla stesura del documento originale, riassumono e commentano le principali novità di queste linee guida.

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GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE ESPGHAN per la gestione della gastroenterite

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TABELLA II. Forza della evidenza e grado della raccomandazione (da Muir Gray, 1997) 2.

Forza della evidenza Grado della raccomandazione

I: forte evidenza da ≥ 1 revisioni sistematiche di studi clinici controllati, randomizzati

A Sostenuta da evidenze di livello I, altamente raccomandata

B sostenuta da evidenze di livello II, raccomandata

C Sostenuta da evidenze di livello III; varie azioni cliniche potenziali potrebbero essere considerate appropriate

D Sostenuta da evidenze di livello IV e V; dovrebbe essere applicato il metodo del consenso

II: forte evidenza da ≥ 1 studio clinico controllato, ben disegnato e di dimensioni appropriate

III: evidenze di studi ben disegnati non randomizzati, confronto pre-post in un unico gruppo, studi di coorte, serie di misurazioni nel tempo, studi caso-controllo con appaiamento

IV: evidenze da studi ben disegnati, non sperimentali in > 1 centro o gruppo di ricerca

Va: opinioni di soggetti autorevoli

Vb: evidenze cliniche, studi descrittivi o rapporti di comitati di esperti

TABELLA I. Sistema Grading of Recomendations, Assessment, Development and Evaluation (GRADE) (da Guyatt et al., 2008) 1.

SISTEMA GRADE

Qualità dell’evidenza Grado della raccomandazione

Qualità alta: ulteriori ricerche è improbabile che cambino la nostra fiducia nella valutazione dell’effetto

FORTE quando gli effetti desiderabili di un intervento sono chiaramente superiori agli effetti indesiderabili o viceversa

Qualità moderata: ulteriori ricerche è probabile che abbiano un importante impatto sulla nostra fiducia nella valutazione dell’effetto e possono cambiare la valutazione

Bassa qualità: ulteriori ricerche è estremamente probabile che abbiano un importante impatto sulla nostra fiducia nella valutazione dell’effetto ed è probabile che cambino la valutazione

DEBOLE quando le scelte sono meno certe (sia a causa della bassa qualità delle evidenze sia perché le evidenze suggeriscono che gli effetti desiderabili o indesiderabili sono perfettamente bilanciati)

Molto bassa qualità: qualsiasi valutazione dell’effetto è estremamente incerta

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Alfredo Guarino (foto)Andrea Lo Vecchio

Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di PediatriaUniversità degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

Indirizzo per la corrispondenza

Alfredo Guarinovia Pansini 5, 80131 NapoliE-mail: [email protected]

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

a cura diTeresa Capriati

RACCOMANDAZIONI E COMMENTINel 2014 è stata pubblicata la versione aggior-nata delle linee guida per la gestione della ga-stroenterite acuta nei bambini d’Europa redatta in modo congiunto da esperti gastroenterologi dell’ESPGHAN e da infettivologi dell’ESPID 3.Il lavoro di aggiornamento è stato reso impe-gnativo sia per l’aggiunta di una nuova sezione delle linee guida dedicata alla gestione della gastroenterite in ospedale, sia per l’applicazio-ne di un nuovo sistema di valutazione ossia il sistema GRADE che rappresenta attualmente il gold standard per i documenti di tipo evidence based. Le linee guida sono presentate in forma

TABELLA III.Triage telefonico e indicazioni alla visita medica.Età < 2 mesiPatologie di base (es. diabete, malattie infiammatorie croniche intestinali)Inadeguata reidratazione oraleElevato output fecale (> 8 evacuazioni /die)Vomito persistente che ostacola la reidratazioneOligo/anuriaSintomi neurologiciSegni di disidratazione severa riferiti dalla famiglia

di “domanda e risposta” per facilitarne l’applica-zione da parte di pediatri e medici generalisti. I fondamenti per la gestione del bambino con ga-stroenterite acuta sono riportate nei key points.Le indicazioni alla visita sono puntualmente in-dicate, nella convinzione che non sia possibile avere un intervento medico diretto per tutte le richieste di visita medica. Gli esperti forniscono quindi indicazioni (inevitabilmente “non evidence based”) per un triage telefonico e per l’identifica-zione dei pazienti che necessitano di una visita medica (Tab. III).Una novità riguarda la valutazione del grado di disidratazione. Le nuove Linee guida identificano nel “Clinical Dehydration Score” (CDS) il sistema di riferimento per la quantizzazione del grado di disidratazione (Tab. IV). Tuttavia un singolo segno, il tempo di riempimento capillare – peraltro non incluso nel CDS – è l’elemento clinico di maggiore affidabilità e un tempo di riempimento pari o infe-riore a 2 secondi consente di escludere un livello GRAVE di disidratazione. Le linee guida confermano la NON necessità di esami di laboratorio e microbiologici, e ribadisco-no la centralità della soluzione reidratante orale (ORS) nel rimpiazzo delle perdite idroelettrolitiche. La composizione della ORS è stata nel passato oggetto di dibattito, e anche le evidenze più re-centi raccomandano la soluzione “ESPGHAN” con 60 mmoli/L di sodio. La palatabilità dell’ORS non è elevatissima, ma i bambini disidratati l’accettano bene, e le mamme non devono preoccuparsi se il bambino rifiuta di berne, perché questo indica che la disidratazione è modesta o assente. Compo-sizioni diverse da quelle raccomandate non sono ottimali e vanno evitate bevande come the, coca cola e bevande per sportivi per l’elevata quantità di zucchero che può far peggiorare la diarrea per

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GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE ESPGHAN per la gestione della gastroenterite

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l’effetto osmotico. Sicuramen-te abbiamo opzioni efficaci per migliorare l’assunzione della ORS: possiamo somministrarla con il cucchiaino piuttosto che con il biberon, possiamo som-ministrarla fredda (più gradevo-le) e preferire l’aroma all’aran-cia o al miele. L’alimentazione non dovrebbe essere sospesa. Un’interessante dato nelle linee guida è l’osservazione che l’uso di formule prive di lattosio con-sente una riduzione della durata dei sintomi di circa un giorno. Gli esperti sottolineano che i dati a supporto dell’efficacia sono ot-tenuti esclusivamente in bam-bini ricoverati e non sono quindi

suggerite modifiche della dieta in bambini visti in regime ambu-latoriale. In pratica non ci sono prove che modifiche nutrizionali siano di qualche efficacia.La terapia attiva della gastro-enterite è oggetto di attenta valutazione nelle linee guida. Il documento incoraggia un in-tervento attivo con forza mag-giore rispetto alla precedente edizione. L’uso di alcuni pro-biotici e farmaci antidiarroici riduce l’intensità e la durata dei sintomi in modo signifi-cativo. Dati simili sono stati ottenuti con la diosmectite e con il Racecadotril. La scelta della terapia va fatta in modo

oculato. Le evidenze disponi-bili indicano che a fronte delle decine di farmaci e probioti-ci proposti, solo pochi di essi hanno un’efficacia provata dai dati disponibili (Tab.  V). Viene rilevato che per molti prodotti i dati di efficacia sono assenti o limitati ad un solo trial e quindi insufficienti per una raccoman-dazione all’uso. Le linee guida includono un puntuale e dettagliato elenco delle indicazioni al ricovero (Tab.  VI). Queste meritano at-tenzione in quanto largamente disattese nella pratica medica. Un recente lavoro riporta dati ottenuti in ospedali italiani che

TABELLA IV. Clinical Dehydration Score (CDS). Caratteristiche 0 1 2

Aspetto generale NormaliAssetato, inquieto o letargico ma irritabile quando toccato

Sonnolente, freddo o sudato, comatoso

Occhi Normali Leggermente infossati Infossati Membrane mucose (lingua)

Umide Appiccicose Asciutte

Lacrime Lacrime Diminuite Assenti

Disidratazione assente: 0; disidratazione media: 1-4; disidratazione moderato-severa: 5-8

TABELLA V. Terapia farmacologica della diarrea acuta.

Probiotici Lactobacillus GGSaccharomyces boulardii

(I A) (forte raccomandazione, moderato livello di evidenza)

Antiemetici Ondansetron*(IIB) (raccomandazione forte, basso livello di evidenza)

Antiperistaltici Loperamide(II B) (raccomandazione forte, basso livello di evidenza)

Adsorbenti Diosmectite(II B) (raccomandazione debole, moderato livello di evidenza)

AntisecretoriZinco**Racecadotril

(I A) (raccomandazione forte, moderato livello di evidenza)(II B) (raccomandazione debole, moderato livello di evidenza)

* In attesa dell’autorizzazione da Food and Drug Administration.** Soltanto in pazienti malnutriti o nei casi in cui si sia mostrata una carenza di zinco.

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A. GuArino, A. Lo Vecchio

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mostrano un largo eccesso di ricoveri non necessari 4. I dati del Ministero della Sa-lute identificano nella gastro-enterite acuta una delle più frequenti cause di ricovero nonché una delle aree più fre-quenti di inappropriatezza. Si stima che il numero di ricoveri per gastroenterite acuta sia in-torno a 40.000 bambini sotto i 5 anni/anno, di cui almeno il 25% non necessari. Con i costi attuali, le spese sanitarie sa-rebbero gravate di non meno di 15 milioni di euro, cui van-no aggiunti i costi difficilmente quantizzabili delle infezioni no-socomiali. L’applicazione delle raccomandazioni sulle indica-zioni al ricovero negli ambien-ti di pronto soccorso, i corsi disponibili anche online sulle linee guida (con l’e-learning) e l’implementazione della vac-cinazione contro il Rotavirus sono iniziative che si sono di-mostrate efficaci nel ridurre il numero di ricoveri non neces-sari  5,  6. L’uso di antiemetici è risultato efficace nel superare la fase di vomito e consentire un’efficace reidratazione per via orale di numerosi bambini in pronto soccorso 7. Gli antie-metici sono un problema non risolto nella pratica medica. L’ondansetron è efficace ed è stato in più studi proposto in

pronto soccorso per ridurre la necessità di reidratazione parenterale in lattanti e bim-bi piccoli con vomito. Tuttavia l’ondansetron è gravato da un “warning” della Food and Drug Administration relativo ad un rischio di gravi, seppur rari, ef-fetti collaterali cardiaci, fino ad un potenziale rischio di “Tor-sade de pointes” (torsione di punta, ndr)  8. Il rischio appare talmente basso da essere diffi-cile da provare e alcuni autori 9 suggeriscono la somministra-zione dell’antiemetico almeno in bambini in cui è necessario il ricovero per reidratazione per via endovenosa. Le linee guida per la gestione della gastroenterite in ospe-dale offrono tuttavia una inte-ressante e “nuova” proposta nella reidratazione per via naso gastrica. La somministrazione di soluzione reidratante orale con regime rapido (40-50 ml/kg in 3-6 ore) consente un veloce ripristino dell’equilibrio idrolet-trolitico ed evita la necessità di ospedalizzazione. Ci si chiede perché la reidratazione per via intestinale piuttosto che veno-sa sia così poco applicata nel mondo. Un lavoro recente mo-stra che sia il personale sani-tario che i genitori dei pazienti considerino l’uso del sondino naso gastrico più invasivo del-

la via venosa  10. In realtà non solo questa obiezione appare poco condivisibile, ma la via in-testinale offre il vantaggio della maggiore efficacia e flessibilità rispetto alla via venosa ed un ridotto rischio di effetti collate-rali.La reidratazione per via venosa è trattata con grande dettaglio e questa è un’altra novità delle linee guida. Molti lavori recenti mostrano che la reidratazione dei bambini con disidratazio-ne moderato-severa (ma non con shock) può essere fatta a 20 ml/Kg/ora per 2-4 ore di soluzione fisiologica o rin-ger lattato. Per i pazienti che dopo la fase di reidratazione endovenosa rapida non sono ancora in grado di assumere per via orale la soluzione rei-dratante orale, è indicato un mantenimento con glucosata al 5% e soluzione fisiologica in parti uguali. Lo scopo è som-ministrare non meno di 0,45% o 77 mEq/L di Na+ per ridurre il rischio di iponatremia nelle prime 24 ore. È utile l’aggiun-ta di KCl (20 mEq/L) una volta che sia assicurato un normale flusso di urine e controllati gli elettroliti. Al contrario, la corre-zione dell’acidosi non è inclusa negli interventi routinari. Sono stati proposti anche schemi di reidratazione più rapidi con

TABELLA VI. Indicazioni al ricovero. Shock Disidratazione severa (> 9% del peso corporeo) Fallimento della reidratazione orale con soluzione reidratante Alterazioni neurologiche (letargia, convulsioni, etc.) Vomito intrattabile o biliare I caregivers non sono in grado di assicurare cure adeguate a casa Sospetta condizione chirurgica

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GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE ESPGHAN per la gestione della gastroenterite

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TABELLA VII. Terapia antimicrobica.Basata sul patogenoAgente Indicazioni Farmaco di prima sceltaShigella Infezione certa o sospetta. Azitromicina o CeftriaxoneCampylobacter Se i sintomi sono iniziati da meno di due giorni. Azitromicina

SalmonellaBambini ad alto rischio per ridurre il rischio di disseminazione extraintestinale.

Ceftriaxone

Clostridium difficileInfezioni moderate e severe, ed infezioni in pazienti a rischio. Sotto i 3 anni alto tasso di portatori sani.

Metronidazolo

E.coli Enterotossigeno Diarrea del viaggiatore AzitromicinaRotavirus Forme severe in bambini ricoverati Immunoglobuline per via oraleCitomegalovirus Se sintomi gravi in bambino a rischio Ganciclovir

Basata sui sintomiEtà: neonati e bambini sotto i 3 mesi (se febbre) Da considerare anche in bambini con dissenteria (febbre + sangue + muco nelle feci) soprattutto se immunodepressi affetti da gravi malattie croniche

l’infusione di 50-60  ml/kg/1 ora di liquidi  11. Tuttavia que-sti regimi sono associati a un maggiore rischio di ricovero dopo la dimissione dal pronto soccorso. In pratica i regimi ul-trarapidi hanno il vantaggio di evitare i costi legati al ricovero (e sono quindi apprezzati dalle compagnie di assicurazione, i

“payers” del sistema sanitario nordamericano), ma non han-no la sicurezza degli schemi tradizionali. L’ultima sezione delle linee guida è dedicata alla terapia antinfettiva e sottolinea l’op-portunità di limitare l’uso di antibiotici. Le indicazioni alla terapia antibiotica includono

le indicazioni basate sull’ezio-logia, sul quadro clinico e sulle condizioni basali del bambino. In pratica la terapia antibiotica è limitata a pochissimi casi. Esiste, inoltre, un’indicazione alla somministrazione orale di immunoglobuline in bambini ospedalizzati per gastroenteri-te da Rotavirus (Tab. VII).

• L’approccio al bambino con gastroenterite prevede l’immediata valutazione del grado di disidratazione e l’identifica-zione di fattori di rischio per forme di diarrea severa o protratta.

• Le indagini di laboratorio e microbiologiche vanno limitate a casi selezionati.

• La reidratazione orale, ed eventualmente enterale o parenterale nei bambini severamente disidratati, va rapidamente promossa e somministrata.

• L’allattamento al seno non va interrotto e l’alimentazione non va cambiata nella maggior parte dei casi.

• Terapia attiva della diarrea con uso di farmaci dimostratamente efficaci può ridurre la durata e la severità dei sintomi.

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A. GuArino, A. Lo Vecchio

140

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141Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:141-142

Soluzione del caso clinico

di pagina 121

Sandra Brusa 1

Maura Ambroni 2

Fiorella Battistini 2

1 Pediatria Ospedale S. Maria della Scaletta, Imola;2 Centro Regionale Diagnosi e Cura per la Fibrosi Cistica, Ospedale Bufalini, Cesena

CASE REPORTa cura diMariella Baldassarre

Sviluppo del caso clinico e risoluzionePer il persistere di ALT eleva-ta, abbiamo proceduto a un workup addizionale, con i se-guenti risultati: ceruloplasmina e cupruria normali; ANA, SMA e LKM assenti; alfa-1 antitrip-sina normale; sierologia dei principali virus epatotropi ne-gativa; sierologia della malattia celiaca negativa. Viene consi-gliato anche un test del sudo-re, eseguito presso il Centro Regionale per la Fibrosi Cistica di Cesena con il metodo Gib-son-Cooke: 1° campione Cl 57,9 mmoli/kg; 2° campione Cl 63,1mmoli/kg (normale <  40). Amilasi e lipasi pancreatica a norma, elastasi fecale norma-le. Alla coltura dell’espettora-to si evidenziava la presenza di Stafilococco aureo. Spiro-metria indicativa di compro-missione delle piccole vie re-spiratorie (Flow50 = 59%). Rx torace: discreto enfisema, dif-fusa accentuazione della tra-ma interstiziale specialmente in regione perilare bilaterale. Sequenziamento del gene per ricerca mutazioni fibrosi cistica (FC): negativo. Sulla base del test del sudore patologico e del coinvolgimento dell’apparato respiratorio si pone diagnosi di fibrosi cistica a pancreas suffi-ciente.

PUNTI CRITICI DELLA DIAGNOSI DIFFERENZIALEL’ipotesi diagnostica più ve-rosimile di fronte a un ragaz-zo preadolescente obeso con ipertransaminasemia ed epa-tosteatosi è una NAFLD. La malattia grassa del fegato è la più comune malattia epatica cronica del bambino e dell’a-dolescente, presente nel 10% della popolazione pediatrica generale e nell’80% dei bam-bini obesi o sovrappeso 2. Ol-tre alla forma primitiva, gene-ralmente associata ad obesità (NAFLD), ne esiste una secon-daria, dovuta a cause tossiche, nutrizionali o metaboliche.Anche per Leonardo il primo orientamento diagnostico è stato quello di NAFLD, ma la mancata normalizzazione del-la ALT, dopo di 6 mesi di dieta ipocalorica e attività fisica, ha indotto a cercare altre cause, in particolare il morbo di Wilson e l’epatite autoimmune. Sono patologie potenzialmente fata-li, se non prontamente ricono-sciute e trattate, ed entrambe possono presentarsi con una elevazione asintomatica della ALT 4. Nel nostro caso, la storia di diarrea cronica e scarsa cresci-ta poteva orientare verso una patologia da malassorbimento, quale ad esempio la celiachia. Ipertransaminasemia e fega-to grasso che non rispondono

alla dieta e persistono per più di 6 mesi devono far pensare anche alla fibrosi cistica e por-re l’indicazione ad effettuare un test del sudore. Inoltre già da tempo erano presenti segni extraepatici, in particolare re-spiratori, che avrebbero potuto anticipare la diagnosi.La malattia epatica nella FC è frequente, ma solo raramente isolata, più spesso associata ad altri sintomi. Sono descritte forme “atipiche” di FC, circa il 2% di tutte le diagnosi; sono forme di malattia ad espressi-vità lieve e variabile da appa-rato ad apparato; in molte di queste non si riscontrano mu-tazioni del gene 3. La malattia epatica associata a FC è inizialmente asintomatica e di solito diventa clinicamen-te evidente prima o durante la pubertà, con una prevalenza del 13-17%. La presentazione clinica più comune è l’epato-megalia, associata all’aumento degli enzimi epatici (transami-nasi) a cui corrisponde un fe-gato più grasso e più grosso. La steatosi è la più comune lesione epatica associata alla FC, può essere rilevata nel 67% dei pazienti di qualsiasi età e correla con la malnutri-zione 1.

Bibliografia1 Colombo C, Russo MC, Zazzeron

L et al. Liver disease in cystic fi-

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S. BruSa et al.

142

brosis. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2006;43(Suppl. 1):S49-55.

2 Nobili V, Alkouri N, Alisi A, et al. Nonalcoholic fatty liver disease. A challange for pediatricians. JAMA

Pediatr 2015;169:170-6.3 Paranjape SM, Zeitlin PL. Atypical

cystic fibrosis and CFTR-related diseases. Clin Rev Allergy Immu-nol 2008;35:116-23.

4 Vajro P, Lenta S, Socha P, et al. Diagnosis of nonalcoholic fatty liver disease in children and ado-lescents: position paper of the ES-PGHAN Hepatology Committee. JPGN 2012;54:700-13.

• Bambini obesi con ipertransaminasemia ed epatosteatosi dovrebbero essere sottoposti ad un workup diagnostico completo per escludere tutte le cause di malattia grassa del fegato.

• Una ALT marcatamente elevata, o comunque superiore al doppio del valore normale, soprattutto se persiste per più di 6 mesi, è riscontro raro nella NAFLD e pertanto è una indicazione a procedere nell’iter diagnostico.

• Il 95% dei bambini con NAFLD presenta i markers di insulinoresistenza (iperinsulinismo con acanthosis nigricans, HOMA-IR > 2), in assenza di questi è opportuno pensare ad altre diagnosi.

• Per escludere la FC è necessario eseguire sia il test del sudore che la ricerca delle mutazioni genetiche causa di FC. Ancor oggi, infatti, i criteri per la diagnosi di FC sono: il test del sudore positivo o il riscontro di due mutazioni note come causa di malattia (CFF consensus statement J Pediatrics 1988).

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE.

DIOSMECTAL 3 g polvere per sospensione orale. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Una bustina contiene: principio attivo: diosmectite 3 g. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere per sospensione orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. Numerose sono le esperienze cliniche condotte con diosmectite nell’adulto e nel bambino, con affezioni del: - tratto digerente superiore, che sono di tipo prevalentemente funzionale o iatrogeno: ipersecrezione acida, associata a ridotta attività protettiva della mucosa gastroduodenale, reflusso gastroesofageo e/o duodeno-gastrico, discinesie, assunzione di farmaci potenzialmente lesivi a carico delle mucose; - tratto digerente inferiore, che sono di tipo prevalentemente infettivo: virulentazione della flora batterica saprofita e/o colonizzazione da parte di agenti patogeni. La patologia funzionale o iatrogena è più frequente nell’adulto, mentre quella infettiva è dominante nel bambino. I risultati di queste esperienze sono concordi nel riconoscere un’elevata incidenza di guarigioni o di miglioramenti marcati della sintomatologia ottenuti con diosmectite rispetto a quelli dei gruppi omogenei di confronto trattati con farmaci attivi di pari indicazione e, soprattutto, a quelli trattati in doppio cieco con placebo. 4.1. Indicazioni terapeutiche. • trattamento sintomatico orale della sintomatologia dolorosa delle affezioni esofago-gastro-intestinali, quali reflusso esofageo e sue complicazioni (esofagite), ernia dello hiatus, gastrite, ulcera gastroduodenale, bulbite, colite, colopatie funzionali, meteorismo. • trattamento delle diarree acute e croniche nei bambini (inclusi i neonati) e negli adulti, in aggiunta ai trattamenti con soluzioni reidratanti saline. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Posologia Trattamento della diarrea acuta: Bambini e neonati:- al di sotto di 1 anno: 2 bustine al giorno per 3 giorni, poi 1 bustina al giorno fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il medico. - al di sopra di 1 anno: 4 bustine al giorno per 3 giorni, poi 2 bustine al giorno fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il medico. Adulti:- la dose giornaliera raccomandata è di 6 bustine al giorno Trattamento delle altre indicazioni: Bambini e neonati:- al di sotto di 1 anno:1 bustina/die; - da 1 a 2 anni:1-2 bustine/die; - al di sopra dei 2 anni:2-3 bustine/die. Adulti: - in media 3 bustine al giorno. Modo di somministrazione: Il contenuto della bustina deve essere disperso in sospensione poco prima dell’uso. Si consiglia di somministrare preferibilmente dopo i pasti nella esofagite ed a distanza dei pasti nelle altre indicazioni. Bambini e neonati: Il contenuto della bustina può essere disperso in sospensione nel biberon in 50 ml di acqua e suddiviso in 2-3 dosi nel corso della giornata o mescolato con qualsiasi altra bevanda o alimento semiliquido. Adulti: Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare. 4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. La somministrazione di altri eventuali farmaci orali deve essere effettuata a distanza dall’assunzione di DIOSMECTAL. Usare con prudenza nell’adulto con storia pregressa di stipsi cronica grave. Il trattamento della diarrea acuta nei bambini deve essere associato ad una somministrazione precoce di sali minerali (integratori salini orali) per evitare la disidratazione. Negli adulti, il trattamento con Diosmectal non esime dalla reidratazione, quando questa appaia necessaria. L’entità della integrazione con sali minerali e della reidratazione, eventualmente anche per via venosa, deve essere adattata sulla base della gravità della diarrea ed in funzione dell’età e del quadro clinico del paziente. Il medicinale contiene glucosio monoidrato quindi i pazienti affetti da rari problemi di malassorbimento di glucosio-galattosio, non devono assumere questo medicinale. 4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione. Il suo elevato potere adsorbente può interferire con l’assorbimento gastrointestinale di alcuni farmaci somministrati per via orale. Le altre eventuali terapie orali devono, pertanto, essere assunte a distanza da DIOSMECTAL. 4.6. Fertilità, gravidanza e allattamento. Diosmectal non viene assorbito. Pertanto, non presenta limitazione d’impiego nelle suddette condizioni. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non pertinente. 4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti indesiderati riportati durante gli studi clinici con le seguenti frequenze, sono sempre stati lievi e transitori ed hanno interessato il sistema gastrointestinale: - non comune (≥ 1/1.000, ≤ 1/100): episodi di stipsi. Questi episodi sono migliorati dopo aggiustamenti individuali della posologia. Ulteriori informazioni derivanti dall’esperienza post-marketing includono casi molto rari (frequenza non nota) di reazioni di ipersensibilità, inclusi orticaria, rash, prurito o angioedema. 4.9. Sovradosaggio. Non sono segnalati casi di sovradosaggio o di intossicazione. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: adsorbenti intestinali, codice ATC: A07BC05. DIOSMECTAL possiede proprietà gastroprotettive in quanto interagisce con le glicoproteine del film mucoso che riveste la parete gastroduodenale, modificandone le caratteristiche fisico chimiche in modo tale da accentuare le funzioni protettive nei

confronti dell’ipersecrezione acida, che è implicata nella patogenesi dell’ulcera gastroduodenale, degli enzimi proteolitici, di talune sostanze gastrolesive e di microrganismi patogeni. Possiede inoltre attività antifermentative, legate essenzialmente alla sua struttura cristallina in lamelle sovrapposte che gli conferisce un elevato potere adsorbente. Questo potere si esercita nei confronti di sostanze neutre o ionizzate, della flora e delle tossine microbiche, dei gas intestinali. Infine ha la proprietà di attivare alcuni fattori della coagulazione (VII, VIII, XII) che può risultare utile in sede locale in caso di sanguinamento da erosioni o ulcerazioni della mucosa. È radiotrasparente e non influisce sul tempo di transito gastrointestinale. I risultati dei dati combinati di due studi clinici randomizzati in doppio cieco controllati con placebo condotti su 602 bambini di età compresa tra 1 e 36 mesi con diarrea acuta ai quali è stato somministrato Diosmectal o placebo in combinazione con integratori salini orali, hanno mostrato una diminuzione significativa nelle prime 72 ore della emissione di feci nella popolazione complessiva: in media 94,5 (deviazione standard 74,4) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 104,1 (94,2) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0016). Nella sotto-popolazione (n = 91) positiva a rotavirus, la media di emissione di feci (g / kg di peso corporeo) è 124,3 (deviazione standard 98,3) nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 186,8 (147,2) nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0005). Un terzo studio in doppio cieco controllato con placebo condotto su 243 bambini di età compresa tra 2 e 36 mesi con diarrea acquosa acuta trattato con diosmectite in combinazione con integratori salini orali non ha mostrato alcuna significativa differenza nell’emissione media di feci: la quantità media (± Deviazione standard) cumulativa nelle prime 48 ore è stata di 98.5 ± 78.0 g/kg di peso corporeo nel gruppo trattato con diosmectite rispetto a 112.1 ± 91.8 g/kg di peso corporeo nel gruppo trattato con placebo (NS). Tuttavia, l’endpoint secondario “diminuzione della durata degli episodi di diarrea” è stato raggiunto in maniera significativa nel gruppo trattato con diosmectite: mediana [range] 43 ore (10-289) nel gruppo trattato con diosmectite, 72 ore (12-287.5) nel gruppo placebo (p=0.0263). I risultati di uno studio randomizzato in doppio cieco effettuato su 329 adulti con diarrea acquosa acuta hanno evidenziato un significativo decremento della durata della diarrea nel gruppo di pazienti trattati con la diosmectite (mediana di 53.8 ore [3,7 – 167,3] rispetto al gruppo di pazienti trattati con placebo (mediana di 69 ore [2,2-165,2]), p=0.029. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Studi sperimentali e clinici hanno dimostrato che il preparato non supera la barriera gastroenterica neppure nei pazienti con alterazioni funzionali e strutturali della mucosa gastroenterica, che potrebbero costituire un fattore favorente sull’assorbimento. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Gli studi di tossicità cronica condotti nel ratto e nel cane per un periodo di un anno, dimostrano che il principio attivo del preparato anche a dosi 10-15 volte superiori a quella terapeutica non induce modificazioni ed alterazioni specifiche a carico di organi e funzioni, in considerazione anche del suo non assorbimento. Si sono registrate in alcuni animali modificazioni a carico del metabolismo lipidico in particolare aumento di trigliceridemia alle alte dosi che non trovano una spiegazione ragionevole ma che in ogni caso non sono mai dose-dipendente, spesso regrediscono nel tempo e non raggiungono livelli patologici. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Saccarina sodica, glucosio monoidrato, aroma vaniglia, aroma arancio. 6.2. Incompatibilità. Nessuna, ad esclusione delle interferenze in fase di assorbimento nei confronti di alcuni altri farmaci somministrati contemporaneamente. 6.3. Periodo di validità. 3 anni a confezione integra. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Astuccio di cartone contenente 30 bustine termosaldate da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 20 bustine termosaldate da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 10 bustine termosaldate da 3,760 g. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare regolarmente. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A. - Via Lungo l’Ema, 7 - Bagno a Ripoli FI. Su licenza: SCRAS S.A. - Parigi (Francia). 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. AIC n. 028852010 (30 bustine). AIC n. 028852034 (20 bustine). AIC n. 028852022 (10 bustine). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data di prima autorizzazione: - 30 bustine: 31.10.1995. - 10 e 20 bustine: 18.11.1999. Data dell’ultimo rinnovo: 31.10.2010. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Luglio 2011.

CONFEZIONI: 3g 30 bustinePREZZO AL PUBBLICO: € 14,30CLASSE C

Concessionario per la vendita: F.I.R.M.A. S.p.A. - Via di Scandicci, 37 - FirenzeTitolare A.I.C.: Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A., via Lungo l’Ema, 7 - Bagno a Ripoli, Firenze.Su licenza SCRAS S.A. - Parigi (Francia)

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L’equilibrio internoaccende il benessere generale

Kaleidon (Lactobacillus rhamnosus GG ATCC 53103)

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