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Organo ufficiale SIGENP Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea Diarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Disordini nutrizionali a esordio precoce Trattamento della epatite autoimmune giovanile GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE IBD HIGHLIGHTS Volume ViII 4/2016 Periodico trimestrale - POSTE ITALIANE SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - dicembre - Finito di stampare presso IGP - Pisa, dicembre 2016 - ISSN: 2282-2453 (Print) – ISSN 2499-7870 (Online)

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Organo ufficiale SIGENP

Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea

Diarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche

L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

Disordini nutrizionali a esordio precoce

Trattamento della epatite autoimmune giovanile

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY

RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE

IBD HIGHLIGHTS

Volume ViIIN˚ 4/2016

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Consiglio Direttivo SIGENP

PresidenteCarlo Agostoni Vice-PresidenteCostantino De GiacomoSegretarioMaria Elena Lionetti TesoriereMarina AloiConsiglieriAntonella Diamanti, Erasmo Miele, Maria Immacolata Spagnuolo

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Responsabile Commissione EditoriaClaudio Romano · [email protected]

Direttore EditorialeMariella Baldassarre · [email protected]

Capo RedattoreFrancesco Cirillo · [email protected]

Assistenti di RedazioneGiulia Medicamento · [email protected] Drimaco · [email protected]

Comitato di RedazioneSalvatore Accomando · [email protected] Bizzarri · [email protected] Borrelli · [email protected] Capriati · [email protected] Civitelli · [email protected] Diamanti · [email protected] Di Mauro · [email protected] Paci · [email protected] Oliva · [email protected]

© Copyright 2016 by Pacini Editore Srl · PisaEdizionePacini Editore Srl, Via Gherardesca 1 · 56121 PisaTel. 050 313011 · Fax 050 [email protected] · www.pacinimedicina.itMarketing Dept Pacini Editore MedicinaAndrea TognelliMedical Project - Marketing DirectorTel. 050 3130255 · [email protected] · twitter @andreatognelliFabio PoponciniSales Manager Tel. 050 3130218 · [email protected] Crosato Junior Sales Manager Tel. 050 3130239 · [email protected] MoriCustomer Relationship ManagerTel. 050 3130217 · [email protected]

RedazioneLisa Andreazzi - Tel. 050 3130285 · [email protected] scientifica Valentina Bàrberi - Tel. 050 3130376 · [email protected] grafico e impaginazioneMassimo Arcidiacono - Tel. 050 3130231 · [email protected] Grafiche Pacini · Pisa

Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org. I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Pisa.

Volume VIII - N˚ 4/2016 - Trimestrale

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EDITORIALEM. Baldassarre

GRAZIE A …

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW“Early life events” e disordini funzionali gastrointestinali: alla radice del problemaEarly life events and the onset of childhood functional gastrointestinal disordersV. Rizzo, M. Baldassarre

PEDIATRIC HEPATOLOGYAspetti clinici e fattori di rischio della malattia epatica associata a IBD (risultati dal registro IBD)Clinical features and risk factors of IBD-related autoimmune liver disease: data from the SIGENP IBD registryM. Bramuzzo, S. Martelossi

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE

Disordini nutrizionali a esordio precoceNutritional and feeding disordersC. Romano, S. Spadaro

IBD HIGHLIGHTSL’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinaliAnemia in inflammatory bowel diseaseS. Festa, G. Gallusi, R. Ballanti, C. Papi

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY

Trattamento della epatite autoimmune giovanileManagement of juvenile autoimmune hepatitis G. Maggiore, S. Nastasio, C. Malaventura, M. Sciveres

CASE REPORTUn’ematemesi come un’altra: si parte sempre dall’anamnesi!A hematemesis as another: it always starts by history!S. Iuliano, M. Manfredi, F. Gaiani, B. Bizzarri, P. Gismondi, F. Fornaroli, G.L. de’Angelis

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARYCriteri di appropriatezza della colonscopia nel bambinoAppropriateness of pediatric colonoscopyG. Lombardi, M.T. Illiceto

RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCEDiarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche Congenital diarrheal disorders: toward a new classification deriving from more recent scientific evidenceV. Pezzella, G. Castaldo, R. Berni Canani

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europeaA Consensus Statement about vitamin D in healthy European pediatric populationT. Capriati, S. Amarri, G. Lamberti

INVITED COMMENTARYReflusso faringo-laringeo in età pediatrica e otite media effusivaI. La Mantia

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Segreteria SIGENP

Biomedia srlVia Libero Temolo, 4 - 20126 Milano

Tel. 02 45498282 int. 215 - Fax 02 45498199E-mail: [email protected]

Sommario

COME SI DIVENTA SOCI DELLA

L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro (medici/ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroentero-logia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.I candidati alla posizione di Soci SIGENP devono compilare una ap-posita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP.

Soci ordinari e aderenti • € 50,00 quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD • € 90,00 quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD

Soci junior (età non superiore a 35 anni)• € 30,00 Quota associativa annuale SIGENP con DLD on-line

Per chi è interessato la scheda di iscrizione è disponibile sul portale SIGENP

www.sigenp.org

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141Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:141

EditorialeCarissimi,la prima cosa che desidero fare dalle pagine di questo editoriale è augurare buon lavoro al nuovo presidente della SIGENP, Prof. Carlo Agostoni, e ai nuovi consiglieri, Costantino De Giacomo, Immacolata Spagnuolo e Marina Aloi, che si affiancano ad Antonella Diamanti, Erasmo Miele ed Elena Lionetti, già presenti. Il Consiglio Direttivo della Società riparte con nuove energie e nuove competenze.Carlo Agostoni è professore ordinario di Pediatria e direttore della UOC di Pediatria della Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Università Statale di Milano; Costantino De Giacomo è direttore della UOC di Pediatria e del Dipartimento Materno-infantile dell’AO Niguarda Cà Granda a Milano, Immacolata Spagnuolo lavora presso il Di-partimento di Pediatria dell’Università “Federico II” di Napoli, con specifiche competenze in nutrizione clinica, Marina Aloi è ricercatrice presso il Dipartimento di Pediatria de “La Sapienza”, Università di Roma. Ognuno di loro saprà arricchire con la propria esperienza il cammino comune verso una maggiore conoscen-za dei problemi che riguardano la gastroenterologia, l’epatologia e la nutrizione pediatrica in Italia.In questo numero del giornale desidero segnalarvi innanzitutto l’articolo sulle linee guida della prescrizione della vitamina D. Teresa Capriati e Sergio Amarri si sono sforzati di sintetizzare e commentare in maniera cri-tica varie “consensus” europee e italiane, cercando di “stigmatizzare” i comportamenti prescrittivi più appro-priati, alla luce anche delle innumerevoli funzioni attribuite oggi a questa sostanza, che possiamo considerare a tutti gli effetti come un ormone. Si tratta di un articolo ad “alto impatto di conoscenza”, non solo per gli specialisti del settore gastroenterologico, ma anche per i pediatri di famiglia.Claudio Romano (Messina) ci descrive i “disordini nutrizionali a esordio precoce”. Un alterato rapporto col cibo può diventare un autentico catalizzatore di “stress” per tutta la famiglia. L’equazione “mio figlio non mangia quindi io non sono una buona madre” alimenta il senso di inadeguatezza delle madri, soprattutto quando sono alla prima esperienza, e può alterare il rapporto con il bambino, ma anche quello con il partner. L’articolo riferisce che alterazioni dell’interazione madre-figlio sono alla base di disturbi alimentari nel bambino: ansia, ipercontrol-lo, rigidità, iperprotezione sono le condizioni più comuni. Nella stessa ottica si colloca la review messa a punto da Valentina Rizzo e da me sulla disamina della relazione esistente fra gli eventi di vita precoci (early life events) e i disturbi funzionali gastrointestinali (DFGI). Non dobbiamo mai dimenticare che un disturbo intestinale è a volte un “avatar” di un disagio di relazione o psicosociale. Noi, che ci occupiamo di intestino e di nutrizione, dobbia-mo farci osservatori attenti del microcosmo nel quale vive il bambino, prima di medicalizzare magari inutilmente.Le malattie infiammatorie intestinali si arricchiscono in questo numero della descrizione di due aspetti: l’ane-mia, descritta da Stefano Festa e coll. (Roma), e la malattia epatica, a cura di Stefano Martelossi e coll. (Trie-ste), a esse correlate. Giuliano Lombardi (Pescara) e coll. ci parla dei criteri di appropriatezza della colonsco-pia in età pediatrica. Trattandosi di un esame invasivo, che viene effettuato in sedazione e a volte in anestesia generale, è bene avere le idee chiare. Come ci spiega l’articolo, infatti, le colonscopie sono “appropriate” se i benefici superano i rischi attesi con un margine tanto significativo da rendere indicate le procedure.Roberto Berni-Canani (Napoli) e coll. fa una disamina completa delle diarree congenite neonatali, malattie rare ma che vanno prontamente identificate e trattate. Giuseppe Maggiore (Ferrara) e coll. ci parla in questo numero, con un approccio sistematico ed estremamente chiaro, del trattamento dell’epatite autoimmune giovanile.Il caso clinico che ci presentano Silvia Iuliano e Marco Manfredi (Parma) è intrigante e insolito. Troverete poi un “commento su invito” del professor La Mantia, professore associato di otorinolaringoiatria a Ca-tania, sul reflusso faringo-laringeo, problematica a “ponte” con il reflusso gastro-esofageo, per cercare di mettere a fuoco le caratteristiche di tale patologia. È frequente infatti che l’otorino prescriva gli inibitori di pompa protonica per disturbi a carico delle alte vie aeree. Quali sono questi disturbi e quanto è corretto tale comportamento?Prima di terminare, visto che mentre scrivo siamo tra la fine di un anno e l’inizio di un altro, permettetemi di accogliere in un abbraccio virtuale tutto lo staff della redazione del giornale: i coordinatori di rubrica, gli assi-stenti di redazione, la segreteria. Un grazie speciale a tutti coloro che nel corso di quest’anno hanno dedicato un po’ del loro tempo a scrivere per noi e che ci hanno donato ricchezza attraverso i loro contributi. A tutti noi e a voi, che ci leggete, auguro un anno meraviglioso.

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Grazie a…Sponsor 2016

Aurora Biofarma Srl, Di Leo Pietro Spa, Dr. Schar AG, A. Menarini Industrie Farmaceutiche Riunite Srl, Neoox – Sooft Italia, Nutricia Italia Spa

Autori articoli annata 2016Lucia Adamoli, Daniele Alberti, Marina Aloi, Tommaso Alterio, Sergio Amarri, Renata Auricchio, Mariella Baldassarre, Riccardo Ballanti, Lisa Barkley, Roberto Berni Canani, Barbara Bizzarri, Giovanni Boroni, Osvaldo Borrelli, Matteo Bramuzzo, Teresa Capriati, Antonio Cascio, Giuseppe Castaldo, Carlo Catassi, Fortunata Civitelli, Maria Grazia Clemente, Fernanda Cristofori, Salvatore Cucchiara, Giulia D’Arcangelo, Gian Luigi de’Angelis, Antonella Diamanti, Domenica Elia, Stefano Festa, Fabiola Fornaroli, Ruggiero Fran-cavilla, Stéphanie Franchi-Abella, Federica Furfaro, Federica Gaiani, Giulia Gallusi, Antonella Gentile, Da-niela Giorgio, Pierpacifico Gismondi, Emmanuel Gonzales, Florent Guérin, Maria Teresa Illiceto, Silvia Iulia-no, Ignazio La Mantia, Giulia Lamberti, Robert Lane, Francesca Laureti, Elena Lionetti, Giuliano Lombardi, Vincenzina Lucidi, Giovanni Maconi, Giuseppe Maggiore, Cristina Malaventura, Roberta Mandile, Marco Manfredi, Daniela Marino, Stefano Martelossi, Giovanni Mazzola, Stefano Miceli Sopo, Serena Monaco, Monica Montuori, Silvia Nastasio, Salvatore Oliva, Giuseppe Pagliaro, Claudio Papi, Vincenza Pezzella, Valentina Rizzo, Claudio Romano, Francesca Romano, Giusy Russo, Cardile Sabrina, Silvia Salvatore, Camilla Salvestrini, Elena Scarpato, Marco Sciveres, Marco Silano, Sara Spadaro, Marina Tripodi, Marcello Trizzino, Riccardo Troncone, Chiara Maria Trovato, Pietro Vajro, Francesco Valitutti, Debora Vezzoli

Comitato editorialeMariella Baldassarre (Direttore editoriale)

Assistenti di RedazionePietro Drimaco, Giulia Medicamento

CaporedattoreFrancesco Cirillo

Comitato di redazioneSalvo Accomando, Barbara Bizzarri, Osvaldo Borrelli, Teresa Capriati, Fortunata Civitelli, Antonella Diamanti, Antonio Di Mauro, Salvatore Oliva, Monica Paci, Claudio Romano

Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:142

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143Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:143-146; doi: 10.19208/2282-2453-131

“Early life events” e disordini funzionali gastrointestinali: alla radice del problema

Early life events and the onset of childhood functional gastrointestinal disorders

Valentina Rizzo (foto)Mariella Baldassarre

Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sezione di Neonatologia e TIN, Università degli Studi “Aldo Moro”, Ospedale Policlinico, Bari

Key wordsFunctional gastrointestinal disorders • Early life events • Irritable Bowel Syndrome

AbstractFunctional gastrointestinal disorders (FGIDs) are common digestive conditions character-ized by chronic or recurrent symptoms in the absence of a clearly recognizable etiology. The biopsychosocial model, the most accepted con-cept explaining chronic pain conditions, pro-poses that the interplay of multiple factors such as genetic susceptibility, early life experiences, sociocultural issues, and coping mechanisms might affect children at different stages of their lives leading to the development of different pain phenotypes and pain behaviors. Early life events including gastrointestinal inflammation, trauma, and stress may result in maladaptive re-sponses that could lead to the development of chronic pain conditions such as FGIDs.In this review, we discuss novel findings from studies regarding the long-term effect of early life events and their relationship with FGIDs.

Indirizzo per la corrispondenza

Mariella Baldassarre Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sezione di Neonatologia e TIN,Università degli Studi “Aldo Moro”, Ospedale Policlinico piazza G. Cesare 11, 70124 BariE-mail: [email protected]

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEWa cura diOsvaldo Borrelli

IntroduzioneI disordini funzionali gastrointestinali (DFGI) rappre-sentano un insieme di sintomi ricorrenti o cronici, va-riabili per età, non associati a una patologia organica di base; possono essere fisiologici, espressione di un normale sviluppo (es. rigurgito del lattante), o derivare da risposte comportamentali anomali a stimoli interni o esterni (es. stipsi funzionale causata da defecazione dolorosa o da forzato toilet training).Un DFGI può essere considerato, pertanto, il prodotto clinico dell’interazione tra alterata fisiologia intestinale e fattori psicologici e socioculturali, capaci di amplifi-care la percezione dei sintomi, così che questi venga-no vissuti come severi, invalidanti e con un’importante ripercussione sulle attività di vita quotidiana 1.Nonostante i recenti progressi nelle conoscenze dei meccanismi fisiopatologici alla base di alcuni DFGI, non esiste a tutt’oggi alcun “marker” che possa porta-re alla diagnosi finale.Per valutare il ruolo della componente genetica o am-bientale nella patogenesi dei DFGI è stato condotto uno studio sulle famiglie dei bambini affetti da DFGI, in cui si è osservata una significativa aggregazione fa-miliare 2.I fattori genetici possono predisporre alcuni individui a sviluppare i DFGI, attraverso diverse modalità: bassi li-velli di IL-10 (citochina antinfiammatoria), polimorfismi del carrier responsabile del reuptake della serotonina, polimorfismi della proteina G, polimorfismi del recetto-re alfa-2 adrenergico. Tuttavia i fattori genetici da soli non rendono ragione del manifestarsi dei DFGI, se non in associazione a fattori psicosociali e culturali, il cui peso però è difficil-mente quantificabile e valutabile per l’estrema variabi-lità interpersonale, culturale e socio-economica.I fattori psicosociali (forti emozioni, stress) possono esacerbare l’intensità dei sintomi gastrointestinali, causando, per esempio, un’alterata motilità a livello dell’esofago, stomaco, piccolo intestino e colon. I pa-zienti affetti da DFGI, rispetto a soggetti non affetti, sono caratterizzati da un’alterata risposta motoria in seguito ad esposizione a fattori stressanti 3.

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V. Rizzo, M. Baldassarre

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L’ipersensibilità viscerale aiuta a comprendere meglio l’associa-zione del dolore con molti DFGI; i pazienti affetti da DFGI, infat-ti, hanno una più bassa soglia di percezione del dolore (iperalgesia viscerale) o un’aumentata sensibi-lità (allodinia), in presenza di una normale funzione intestinale 4.L’ipersensibilità può dipendere da un’attivazione a livello della mu-cosa intestinale di chemocettori o meccanocettori presenti sulle fibre nervose che originano dal plesso sottomucoso o dal pleasso meinetrico. Tale attivazione può essere indotta da un’infiammazio-ne mucosale, dalla degranulazio-ne delle mastcellule in prossimità delle fibre nervose, da un’aumen-tata attività serotoninergica o da un’alterazione della microflora in-testinale.La richiesta di cure mediche per disturbi funzionali dipende dal li-vello di preoccupazione dei geni-tori, legata a sua volta alle espe-rienze personali, allo stile di vita, alle aspettative e alla percezione della malattia da parte degli stes-si. Un’efficace gestione di questi disturbi si basa dunque sulla crea-zione di una solida alleanza con la famiglia. Sicuramente la presenza di aspetti psicopatologici nei ge-nitori può condizionare l’eventuale insorgenza di DFGI nel bambino e influenzarne l’outcome. Tuttavia questo aspetto andrebbe consi-derato all’interno di un contesto più ampio, che tenga conto anche degli eventi pre, peri e postnatali.Già nella vita intrauterina, infatti, il feto vive esperienze somatiche, pur non avendo una vera rappre-sentazione della propria immagine corporea e della propria individua-lità. Alla nascita, il tipo di travaglio, di parto, la prematurità e le com-plicanze a essa correlate, il modo in cui il bambino è accudito dal punto di vista fisico (handling), assieme all’atteggiamento corpo-reo assunto dalla madre quando

lo tiene in braccio e lo contiene (holding), favoriscono lo sviluppo di un Sé allo stesso tempo psichi-co e somatico, cioè di un senso di esistenza nel proprio corpo, pro-cesso che Winnicott ha descritto in termini di integrazione psicoso-matica.Le prime interpretazioni sulla rela-zione fra gli eventi di vita precoci (early life events) e i DFGI risalgono alle cosiddette “ipotesi qualitativa e quantitativa”. La prima afferma che i soli eventi negativi, legati a una perdita o a una situazione non controllabile, hanno un ruolo patogeno. Il modello quantitativo, invece, prevede che “l’evento” sia un fattore rilevante nella vita di ogni soggetto indipendentemen-te dalla sua positività o negatività, ma in grado di determinare uno squilibrio che si manifesta sotto forma di sintomi. Nel corso degli anni, gli studi scientifici hanno va-lutato altri aspetti sia psicologici sia biologici, rendendo il panora-ma ben più complesso. Sembra comunque che gli early life events favoriscano l’esordio dei disturbi non solo in quanto generano uno squilibrio, ma perché interagisco-no con fattori individuali, familiari e biologici.

ObiettiviObiettivo di questo articolo è sta-to quello di eseguire una revisio-ne della letteratura, allo scopo di comprendere la correlazione esi-stente tra disturbi funzionali ga-strointestinali ed early life events e la modalità in cui questi ultimi in-fluenzano insorgenza, andamento e compliance terapeutica.

MetodologiaSono stati inclusi in questa revi-sione tutti gli articoli disponibili su Medline pubblicati negli ultimi 20 anni, inerenti i disturbi funzionali

gastrointestinali, definiti secondo i criteri di Roma III, e gli eventi di vita precoci. Le parole usate per la ricerca sono state le seguenti: “Functional ga-strointestinal disorder”, “Chronic pain”, Gastrointestinal inflamma-tion”, “Early life events”, “Abdo-minal pain”.

RisultatiSono stati individuati 150 studi pubblicati tra il 1990 e il 2016. Di questi circa 30 hanno soddisfatto i nostri criteri di ricerca e sono stati considerati per questa revisione. Shuller et al. hanno condotto uno studio prospettico multicentrico, arruolando 280 neonati nati tra il 2007 e il 2010, con parto cesareo, parto spontaneo e parto operativo con vacuum extractor, escluden-do i neonati pretermine e neonati ricoverati in terapia intensiva ne-onatale (TIN). Scopo dello studio è stato quello di dimostrare come la modalità del parto e lo stress peripartum potessero influenza-re l’insorgenza di DFGI nel bam-bino, attraverso un’alterazione della percezione del dolore ac-quisita durante la vita perinatale: a tal proposito è stata misurata la quantità di cortisolo presente nella saliva dei neonati e la risposta allo stimolo doloroso (mediante EDIN scale e “Bernese Pain Scale for Neonates”) durante lo screening neonatale a 72 ore di vita (Guthrie test). I neonati nati con parto ope-rativo con vacuum extractor pre-sentavano una concentrazione di cortisolo significativamente mag-giore rispetto ai nati con taglio cesareo e un EDIN score più ele-vato 5.Nel 2006 Ramchandani et al. han-no dimostrato per la prima volta, attraverso uno studio prospettico di coorte longitudinale arruolando 8272 bambini di età media di 6 anni e mezzo, come l’insorgenza di DFGI fosse strettamente dipen-

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CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW “Early life events” e disordini funzionali gastrointestinali

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dente da disturbi del comporta-mento e/o della personalità dei loro genitori; nello specifico, i bambini i cui genitori avevano presentato di-sturbi d’ansia, di depressione e/o disturbi psicosomatici nel corso del primo anno di vita del proprio figlio, presentavano in epoca scolare co-liche addominali, dolori addomina-li ricorrenti, e IBS (Irritable Bowel Syndrome), con frequenza maggio-re rispetto ai controlli 6.Allo stesso modo Bonilla e Saps, nel 2013 in una revisione siste-matica, hanno dimostrato come alcuni early life events (tipo di par-to, allergia alle proteine del latte vaccino, stenosi ipertrofica del piloro, infezioni gastrointestina-li nel primo mese di vita, tipo di allattamento) giochino un ruolo fondamentale nella comparsa di DFGI. Neonati ricoverati in TIN e sottoposti a procedure invasive e dolorose (prelievo venoso o solo utilizzo del sondino naso gastrico) presentavano, rispetto a neona-ti “sani”, un’inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (APH), valutata mediante misurazione dei livelli del cortisolo, che correlava positivamente con un’alterata ri-sposta agli stimoli dolorosi 7.L’importanza dell’asse cervello-intestino e le conseguenze lega-te alla sua alterazione sono state evidenziate negli studi condotti da Van Oudenhove et al. nel 2004 e confermati da McCrory et al. nel 2010. L’asse cervello-intestino è composto all’incirca di tre parti: il sistema nervoso enterico (SNE), il sistema nervoso autonomo (SNA) e il sistema nervoso centrale (SNC) di cui fanno parte il midollo spinale e il cervello. Il SNE è strut-turalmente e funzionalmente com-plesso e si trova all’interno della parete del tratto gastrointestinale; a volte è chiamato “mini-cervello” o “cervello nell’intestino”, perché condivide alcune caratteristiche importanti con il SNC (comune origine embriologica e presenza

di neurotrasmettitori quali seroto-nina, oppiacei e colecistochinina). Per la frequente associazione tra sintomi e stress, o per la coesi-stenza di sintomi quali ansia o de-pressione, i disturbi funzionali ga-strointestinali, in particolar modo l’IBS, possono essere descritti come un’alterazione dell’asse “cervello-intestino”. L’integrità di questo asse è coin-volta nella modulazione dei pro-cessi digestivi (motilità gastro-intestinale e secrezione), della funzionalità immunitaria, della percezione e risposta emotiva a stimoli viscerali. Tale integrità è generalmente modulata sia dal microbiota intestinale, attraverso meccanismi neuro-endocrini non ancora del tutto chiari, che da di-versi neurotrasmettitori, in partico-lar modo la serotonina, considera-ta una molecola fondamentale per lo sviluppo cerebrale, in particolar modo nelle prime epoche di vita. O’ Mahony et al. nel 2015 hanno infatti dimostrato come una bas-sa concentrazione di serotonina, alterazioni del microbiota intesti-nale, dovute a terapie antibiotiche protratte per lunghi periodi, taglio cesareo, mancato allattamento al seno, potessero alterare l’integrità dell’asse APH e quindi predispor-re verso l’insorgenza di DFGI 8.Baldassarre et al. recentemen-te hanno condotto un trial clinico randomizzato, a doppio cieco, per dimostrare come l’assunzione di probiotici da parte della madre sia durante la gravidanza, che duran-te l’allattamento, potesse avere un ruolo “protettivo” nei confronti del-la comparsa di DFGI nei loro figli. Sono state arruolate 66 gestanti di età compresa tra 18 e 44 anni ricoverate c/o il Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia del Po-liclinico di Bari. A 33 donne sono stati somministrati probiotici per os, 4 settimane prima rispetto alla presunta data del parto e 4 setti-mane dopo il parto, alle restanti

è stato somministrato placebo. Il latte delle gestanti che avevano assunto probiotici, sia prima che dopo il parto, presentava livelli di citochine antinfiammatorie, nello specifico IL10 e TGF-β, più elevati rispetto alle gestanti a cui era stato somministrato placebo 9.

Conclusioni e prospettive di ricerca per il futuroI disordini funzionali gastrointesti-nali includono una variabile combi-nazione di sintomi cronici o ricor-renti, spesso età-dipendenti, non riconducibili a nessuna anomalia biochimica o strutturale. Sono enigmatici, non facilmente trattabili e soprattutto poco interpretabili.Gestire un disordine funzionale non è facile, soprattutto perché ci si trova a dover far fronte, oltre al ma-lessere del piccolo paziente, anche alle preoccupazioni dei genitori, che dal medico cercano risposte con-crete. Inoltre interpretare i sintomi in bambini molto piccoli non è lavoro semplice. Una diagnosi fallimenta-re e un trattamento inappropriato potrebbero causare sofferenze sia fisiche che emozionali. È assolu-tamente indispensabile una stretta alleanza tra medico e genitori.Stabilire un rapporto di fiducia e mi-tigare le preoccupazioni della fami-glia è sicuramente il primo passo da compiere. È pertanto fondamentale escludere i segni e i sintomi d’allar-me, e tranquillizzare la famiglia sulla benignità del disturbo, con un ap-propriato counselling.Complessivamente, i vari studi analizzati in questa review han-no dimostrato e confermato che diversi fattori eziologici, la cui importanza varia da paziente a paziente, possono rivestire un ruolo cruciale nella patogenesi dei DFGI: eventi precoci di vita avver-si, sofferenze pre, peri e postnata-li, disturbi della motilità intestinale,

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V. Rizzo, M. Baldassarre

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alterazione della soglia del dolore e di altre sensazioni viscerali, in-fiammazioni e infezioni intestinali, alterazione del microbiota intesti-nale, stress psicologico e disturbi di personalità.Agire in maniera costante, preci-sa ed efficace sui fattori di rischio modificabili e in parte noti, potreb-be essere il primum movens verso la prevenzione dei DFGI. È importante pertanto promuo-vere il bonding per consolidare la diade madre-neonato sin dalla na-scita attraverso il contatto fisico, l’allattamento al seno, la riduzione di manovre invasive e dolorose, in particolare in bambini che ne-cessitano di lunghi periodi di assi-stenza nelle terapie intensive. Recentemente studi di metage-nomica stanno tentando di carat-terizzare il microbiota comune nei pazienti affetti da DFGI, che sem-brerebbe essere diverso rispetto a quello presente nei soggetti normali e, sebbene i risultati degli studi per ora siano molto variabili e non del tutto significativi, la maggior parte di essi indica che nell’IBS le feci contengono concentrazioni signifi-cativamente minori di bifidobatteri e di lattobacilli (specie batteriche usualmente presenti nei prepara-ti probiotici). Pertanto l’utilizzo dei probiotici potrebbe rappresentare un ulteriore approccio nei pazienti affetti da DFGI, sebbene gli effetti positivi sono strettamente legati alle singole specie e ceppi batte-

rici, che possono anche essere ef-ficaci solo su determinati clusters di sintomi. Sono necessari trial clinici rando-mizzati (RCT) che coinvolgano po-polazioni molto più selezionate e numerose e che utilizzino probio-tici con proprietà microbiologiche meglio caratterizzate e definite. L’efficacia reale dei prebiotici in-vece sui sintomi da IBS, al di là dell’effetto positivo noto sulla re-plicazione della flora batterica e dei probiotici somministrati, resta tutta da dimostrare: sono indi-spensabili ampi RCT che valutino, anche con una intention-to-treat analysis, l’effetto sui singoli sinto-mi di IBS di regimi alimentari con e senza prebiotico e che misurino anche l’impatto di tali diete sul mi-crobiota gastrointestinale.Svariati sono ancora i quesiti da affrontare, le variabili da analizza-re e i filoni di ricerca, per ottenere un inquadramento completo del problema “DFGI”.

Bibliografia1 Kroenke K, Mangelsdorff AD.

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8 O’ Mahony SM, Clarke G, Dinan TG, et al. Early life adversity and brain development: is the mi-crobiome a missing piece of the puzzle? Neuroscience 2015;Oct 1. pii:S0306-4522(15)00895-7

10 Baldassarre ME, Di Mauro A, Mastromarino P. Administration of a multi-strain probiotic product to women in the perinatal period differentially affects the breast milk cytokine profile and may have beneficial effects on neonatal gastrointestinal functional sym-ptoms. a randomized clinical trial. Nutrients 2016;8. pii:E677.

• I DFGI possono essere considerati come derivanti dell’interazione tra alterata fisiologia intestinale e fattori psicologici e socioculturali, capaci di amplificare la percezione dei sintomi con un’importante ripercussione sulle attività quotidiane.

• Terapie antibiotiche protratte per lunghi periodi, taglio cesareo, mancato allattamento al seno, possono predisporre all’insorgenza di DFGI, attraverso le alterazioni del microbiota.

• È importante promuovere il bonding per consolidare la diade madre-neonato sin dalla nascita attraverso il contatto cutaneo, l’allattamento al seno, la riduzione di manovre invasive e dolorose, in particolare in bambini che necessitano di lunghi periodi di assistenza nelle terapie intensive.

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147Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:147-151; doi: 10.19208/2282-2453-132

Aspetti clinici e fattori di rischio della malattia epatica associata a IBD

(risultati dal registro IBD)Clinical features and risk factors of IBD-related autoimmune

liver disease: data from the SIGENP IBD registry

Matteo Bramuzzo (foto)Stefano Martelossi

Clinica Pediatrica, Istituto Materno Infantile IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

Key words Inflammatory bowel disease • Autoimmune hepatitis • Sclerosing cholangitis • Overlap syndrome

AbstractAutoimmune liver disease is frequently report-ed in children with inflammatory bowel disease and in those cases the intestinal disease seems to have distinguishing features. We investigated the relation between autoim-mune liver disease and inflammatory bowel dis-ease in Italian children analyzing the data from the SIGENP IBD registry.

Indirizzo per la corrispondenza

Matteo Bramuzzo Clinica Pediatrica, Istituto Materno Infantile IRCCS “Burlo Garofolo” via dell’Istria 65/1, 34137 TriesteE-mail: [email protected]

PEDIATRIC HEPATOLOGYa cura diFrancesco Cirillo

La malattia di fegato nelle IBDLe patologie a carico del fegato e delle vie biliari sono fra le complicanze extraintestinali che più frequente-mente si riscontrano nei pazienti con malattia infiam-matoria cronica dell’intestino (Inflammatory Bowel Disease – IBD) potendo coinvolgere fino al 50% dei pazienti adulti 1.Le patologie epatobiliari possono essere principal-mente: 1) malattie su base autoimmune che rappre-sentano l’espressione di una disregolazione basale del sistema immunitario condivisa con l’IBD; 2) la conse-guenza dello stato flogistico non controllato che riflette la gravità della malattia; 3) l’effetto avverso delle tera-pie sia in termini di tossicità diretta che, più raramente, a seguito della riattivazione di virus epatotropi in corso di trattamento immunosoppressivo (Tab. I) 1.In questa discussione ci occuperemo solamente del primo gruppo di patologie che indicheremo di seguito come malattie di fegato autoimmuni (autoimmune liver diseases – AILD). Le AILD coinvolgono circa l’8% dei bambini con IBD e si distinguono principalmente nei quadri della colangi-te sclerosante e dell’epatite autoimmune 2, 3.La colangite sclerosante è una malattia infiammato-ria fibrosante a progressivo andamento concentrico e obliterante delle vie biliari (Fig. 1). È ancora discusso se la colangite sclerosante sia sempre una vera pa-tologia autoimmune; tuttavia, almeno in età pediatri-ca, è raramente una patologia isolata e, in oltre l’80% dei casi, è associata a una IBD  4. Ne consegue che la colangite sclerosante del bambino impone sempre il sospetto di una IBD associata, anche in assenza di sintomi gastrointestinali.L’epatite autoimmune è una patologia infiammatoria cronica che coinvolge il parenchima epatico e che si esprime con l’aumento degli anticorpi sierici di classe IgG, con la positività di specifici autoanticorpi (anti-nucleo, ANA, e anti-muscolo liscio, SMA per l’epatite autoimmune (EA) di tipo 1, anti-microsoma di fegato/rene LKM-1 per l’EA di tipo 2) e, a livello istologico, con un’epatite di interfaccia (Fig. 2) 5. Il legame dell’e-

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M. Bramuzzo, S. Martelossi

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patite autoimmune con le IBD è meno stretto rispetto a quello del-

la colangite sclerosante, poiché solo il 20% dei pazienti con epa-

tite autoimmune ha un IBD e solo lo 0,5% dei pazienti con morbo di Crohn e di quelli con rettocolite ulcerosa presenta un’epatite au-toimmune associata 5.La distinzione tra colangite sclero-sante ed epatite autoimmune non è però sempre netta e i due quadri possono essere sovrapposti, an-dando a delineare la cosiddetta “sindrome da overlap” detta an-che “colangite autoimmune”. Non è chiaro se questa condizione sia data dalla semplice concomitan-za delle due patologie, se rap-presenti una fase nell’evoluzione di un’unica malattia o se sia una condizione a sé stante. Molti studi hanno però evidenziato come la sindrome da overlap sia forse la manifestazione di AILD associata alla IBD più frequente in età pe-diatrica. La diagnosi della patologia inte-stinale origina quasi sempre dal-la presenza di sintomi, mentre la malattia di fegato è il più delle volte scoperta occasionalmente a seguito del riscontro di segni di colestasi anche minimi (moderato aumento della transaminasi con gGT elevate). La definizione definitiva di AILD dovrebbe prevedere sia un ima-

Figura 1. Colangio-RM di un paziente con colangite sclerosante: l’albero biliare intraepa-tico presenta aree di stenosi e dilatazioni con un aspetto a “corona di rosario”.

Tabella I. Associazione tra IBD e manifestazioni epato-biliari (da Navaneethan et al. 2010 1, mod.).

Manifestazioni che condividono meccanismi patogenetici con le IBD

Colangite sclerosanteColangite dei piccoli dottiColangiocarcinoma Epatite autoimmune/sindrome da overlap con colangite sclerosanteColangite IgG4-associata

Manifestazioni che seguono la fisiopatologia delle IBD

ColelitiasiTrombosi della vena porta e ascesso epatico

Manifestazioni associate al trattamento delle IBD

Epatite farmaco-indotta (mercaptopurine, methotrexate, ciclosporina, infliximab)Riattivazione epatite B (infliximab)Linfoma epatosplenico a cellule T

Manifestazioni possibilmente associate alle IBD

Steatosi epaticaAmiloidosi epaticaGranulomatosi epaticaCirrosi biliare primitiva

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PEDIATRIC HEPATOLOGY Malattia epatica e IBD

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ging delle vie biliari (colangio-RMN o più raramente, data l’inva-sività dell’esame e l’esposizione a radiazioni ionizzanti, colangiogra-fia retrograda endoscopica) che la biopsia epatica, poiché nelle fasi precoci di malattia le alterazioni macroscopiche dei dotti possono mancare.Per le forme con una chiara com-ponente autoimmune (epatite au-toimmune e sindrome da overlap) il trattamento è codificato, ovvero la doppia immunosoppressione pre-vista per il trattamento dell’epatite autoimmune classica; mentre la gestione delle colangiti “puramente sclerosanti” è invece meno defini-ta: se da un lato, infatti, l’acido ur-sodeossicolico permette la norma-lizzazione degli enzimi epatobiliari, né questo né la terapia immuno-soppressiva sembrano in grado di limitare la progressione del danno e l’evoluzione cirrogena.

Nella popolazione adulta l’IBD as-sociata ad AILD è quasi sempre una rettocolite ulcerosa e sembra distinguersi per l’interessamento pancolico con risparmio del retto e backwash ileitis  6, 7. L’associa-zione delle due patologie ha an-che importanti risvolti prognostici: sebbene la malattia intestinale sembri caratterizzarsi per un’in-fiammazione modesta con lunghi periodi di remissione e poche ri-cadute  6, 7, la malattia epatica è l’unica tra le manifestazioni extra-intestinali a influenzare la prognosi quoad-vitam della IBD per l’evolu-zione cirrogena e per l’aumentato rischio di colangiocarcinoma e di carcinoma colon rettale. Scarsi sono i dati in età pediatrica e non è chiaro se anche le IBD pedia-triche associate a AIDL abbiano un fenotipo distintivo. Per fare maggio-re luce sulla relazione tra IBD e AIDL abbiamo quindi condotto uno stu-

dio di coorte analizzando i dati pre-senti nel registro delle IBD pediatri-che stabilito dalla Società Italiana di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica (SIGENP).

Lo studio dal registro SIGENPAbbiamo raccolto i dati dei pazien-ti inseriti nel registro IBD SIGENP dal 1 gennaio 2009 al 31 dicem-bre 2014 e abbiamo confrontato le caratteristiche anagrafiche e le caratteristiche della malattia inte-stinale, compreso il suo decorso clinico, dei pazienti con IBD e ma-lattia di fegato associata e di quelli senza malattia di fegato. Abbiamo poi analizzato e descritto le carat-teristiche della malattia epatica. Lo studio ha incluso 677 pazienti, 46 (6,8%) dei quali presentavano una malattia di fegato associata. I pazienti con malattia di fegato non sono risultati distinguibili per età, sesso, età alla diagnosi, durata dei sintomi intestinali prima della diagnosi e familiarità per IBD.La diagnosi di RCU è risultata più frequente nei pazienti con malat-tia epatobiliare (38/46 [83%] vs 322/631 [51%], odds ratio 6,8) (Fig. 3). In questi casi, l’interessa-mento pan-enterico e la positivi-tà degli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA) sono risultati significativamente più frequenti ri-spetto ai pazienti con IBD senza malattia di fegato. Il numero di pazienti con malattia di fegato affetti da morbo di Crohn è risultato molto ridotto e non ha permesso di individuare caratteri-stiche distintive. Non sono state osservate diffe-renze significative tra i due gruppi di pazienti per quanto riguarda la necessità di terapia di terza linea (biologici, ciclosporina, talidomi-de), mentre la necessità di inter-vento chirurgico è risultata minore per i pazienti con malattia epatica (0% contro 12%, p < 0,05).

Figura 2. Biopsia epatica di paziente con sindrome da overlap: marcata fibrosi portale e periportale associata a spiccato infiltrato infiammatorio misto linfo-granu-locitario eosinofilo e plasmacellulare, con numerose immagini di epatite di interfaccia e di necrosi lobulare su base flogistica (gentile concessione del dott. Aurelio Sonzogni, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo).

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M. Bramuzzo, S. Martelossi

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Il percorso diagnostico che ha condotto alla definizione di malat-tia di fegato ha incluso sia la co-langioRM, che la biopsia epatica nel 72% dei pazienti. Nei restanti casi la diagnosi è stata posta sul-la base di uno solo dei due esami combinati all’ecografia addomina-le e agli esami di laboratorio. 28 (61%) pazienti hanno ricevuto la diagnosi di colangite sclerosan-te, 3/46 (6%) di epatite autoimmu-ne, 15/46 (33%) di sindrome da overlap. La diagnosi di malattia epatica è stata posta contemporaneamente alla diagnosi di IBD in 25 (54%) pazienti; in 10 (22%) pazienti la diagnosi di malattia epatica ha preceduto quella di IBD, mentre in 11 (24%) pazienti è stata suc-cessiva. In entrambi i casi l’inter-vallo tra le due diagnosi è stato in media di circa 6 mesi. Sintomi riconducibili alla malattia epatica, come astenia, anoressia, dolo-re epigastrico, erano presenti nel 26% dei casi e solo un paziente (2%) riferiva prurito.Escludendo i pazienti con epatite

autoimmune isolata, nei 43 pa-zienti rimanenti il danno a carico delle vie biliari aveva localizzazio-ne sia intra che extra-epatica in 31 (72%) casi, esclusivamente extra-epatica in 9 (21%) casi ed esclu-sivamente intraepatica in 3 (7%).La valutazione degli auto-anti-corpi ha evidenziato la positività degli anticorpi anti-nucleo (ANA) in 27/41 (64%) pazienti, degli anti-corpi anti-muscolo liscio in 20/37 (54%) e degli anticorpi anti micro-soma di fegato e rene di tipo  1 (LKM1) in 1/29 (3%) pazienti. Tutti i pazienti con IBD e coinvol-gimento epatico sono stati trattati con acido ursodesossicolico; 39 (85%) sono stati trattati anche con azatioprina; 8 (17%) hanno ricevu-to una terapia di seconda linea o una terapia sperimentale: 3 (7%) ciclosporina, 3 (7%) mofetil mico-fernolato, 2 (4%) vancomicina per via orale. Durante un tempo di follow-up me-dio di quasi 3 anni (range 6 mesi-11,5  anni) alcuni pazienti hanno sviluppato una complicanza della malattia epatica: 2 pazienti un epi-

sodio di colangite batterica, in un paziente si è manifestata iperten-sione portale, un paziente ha pro-gressivamente sviluppato un qua-dro di insufficienza epatica che ha richiesto il trapianto di fegato.

DiscussioneIl nostro studio ha mostrato in una casistica non selezionata di pazienti pediatrici italiani che la diagnosi di AILD coinvolge il 6,8% dei pazienti affetti da IBD, in linea con quanto riportato in analoghe casistiche europee e statunitensi.La diagnosi di rettocolite ulcero-sa, specie se caratterizzata dalla localizzazione pancolica e dalla positività degli anticorpi ANCA, è risultata il maggiore fattore di rischio per l’associazione con un AILD. Né il risparmio del retto, né la backwash ileitis sono risulta-te caratteristiche endoscopiche distintive delle IBD associate a AILD, come invece descritto in al-tre casistiche.Anche se non abbiamo potuto valutare direttamente gli score di malattia, il numero e l’entità del-le ricadute, l’analisi delle tera-pie messe in atto per il controllo della malattia intestinale non ha evidenziato una diversa aggres-sività della IBD tra i pazienti con malattia epatica associata e nei casi di controllo. La ridotta neces-sità di interventi chirurgici sugge-risce tuttavia un andamento meno complicato. Il percorso diagnostico che ha condotto alla diagnosi di malattia di fegato ha incluso sia la colan-gio-RM, che la biopsia epatica nel 72% dei casi. Questo dato, che riflette la pratica clinica dei cen-tri italiani, mette in luce una par-ziale incompletezza del percorso diagnostico. La conoscenza sia della morfologia delle vie biliari che lo stato istologico del paren-chima epatico è fondamentale per inquadrare e definire in maniera

Figura 3. Distribuzione del tipo di IBD tra i pazienti con o senza AILD.

IBDU: IBD-non classificata; CD: malattia di Crohn; UC: rettocolite ulcerosa

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PEDIATRIC HEPATOLOGY Malattia epatica e IBD

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precisa la malattia epatica, stabi-lirne la prognosi e programmarne il trattamento. La colangite sclerosante con inte-ressamento delle vie biliari intra ed extraepatiche è risultata la forma di coinvolgimento epatico più fre-quente; in circa un terzo dei casi la colangite è apparsa associata alla flogosi del parenchima epati-co (sindrome da overlap), mentre il quadro di epatite autoimmune “pura” è stato raro. La diagnosi della malattia epatica è stata contemporanea a quel-la della malattia intestinale nella metà dei casi, ma si è conferma-to come possa sia precedere che seguire di diversi mesi. Come at-teso, la malattia di fegato è stata raramente sintomatica e il sospet-to diagnostico è nato il più delle volte dall’alterazione degli esami ematochimici di screening. La quasi totalità dei pazienti, anche in assenza di segni di infiamma-zione del parenchima, ha ricevuto terapia immunosoppressiva con azatioprina, anche se non abbia-mo potuto stabilire se per il con-

trollo della malattia intestinale o se, come suggerito da alcuni approcci terapeutici, anche per la malattia epatica “solo sclerosante”.Nonostante il limitato follow-up, la malattia di fegato si è dimostrata evolutiva già in età pediatrica nel breve periodo e le complicanze osservate sono state gravi e irre-versibili. In conclusione è fondamentale non solo sospettare e cercare una AILD nei pazienti con IBD e arri-vare a una diagnosi precisa attra-verso l’imaging delle vie biliari e la biopsia epatica, ma anche avviare un attento follow-up sia per il con-trollo delle possibili complicanze intestinali che, soprattutto, epati-che.

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• Le malattie autoimmuni di fegato e vie biliari (AILD) si riscontrano in circa il 10% dei pazienti con IBD.

• La AILD è quasi sempre associata alla rettocolite ulcerosa, la quale ha in genere localizzazione pancolica, positività degli ANCA e un decorso meno complicato.

• La malattia epatica è il più delle volte asintomatica ed è necessario avere un alto indice di sospetto diagnostico.

• In tutti i casi di sospetta AILD è necessario eseguire sia una colangio-RM che una biopsia epatica

• La malattia epatica può avere una rapida evoluzione sfavorevole e necessità di un attento monitoraggio laboratoristico e strumentale.

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152 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:152-155; doi: 10.19208/2282-2453-133

Disordini nutrizionali a esordio precoceNutritional and feeding disorders

Claudio Romano (foto)Sara Spadaro

Dipartimento di Patologia Umana dell’Adulto e dell’Età Evolutiva

“G. Barresi”, Università di Messina

Key wordsEating disorder • Feeding disorder •

Nutrition disorder • Non-organic feeding disorder • Early childhood

AbstractNutritional disorders may be pre-sent in children and correlated

with feeding disorders. Sometimes, these con-ditions can be secondary to an organic condi-tion. When non-organic etiology is present, in-adequate medical interventions can contribute to the maintenance of the problem. The risk of malnutrition or poor growth are present when there is a delay in diagnosis or inadequate in-terventions.

Indirizzo per la corrispondenza

Claudio RomanoDipartimento di Patologia Umana dell’Adulto e dell’Età Evolutiva “G. Barresi”, Università di Messinavia Consolare Valeria 1, 98124 MessinaE-mail: [email protected]

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE a cura di

Antonella Diamanti

DefinizioneIl DSM-5 fornisce la seguente definizione dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di com-portamenti collegati con l’alimentazione che determi-nano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”. Il DSM-5 include le se-guenti categorie diagnostiche come la Pica, il disturbo di ruminazione, il disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo, l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata, il disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con spe-cificazione, il disturbo della nutrizione o dell’alimenta-zione senza specificazione (e le prime tre riguardano soprattutto i disturbi della nutrizione dell’infanzia)  1. I disturbi alimentari dell’infanzia rappresentano proble-mi molto comuni. Si stima, infatti, che circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico e l’80% dei bambini con ritardo dello sviluppo possano pre-sentano un disturbo della nutrizione e dell’alimenta-zione. Esso si può manifestare con una incapacità di alimentarsi adeguatamente con conseguente difficol-tà a prendere peso o significativo rallentamento della crescita. I gruppi a maggiore rischio sono costituiti dai neonati pretermine, quelli con peso alla nascita infe-riore al 10° percentile per l’età gestazionale, i bambini con anomalie craniofacciali e/o sindromi genetiche 2. Tale condizione può avere un esordio molto precoce come nel caso del neonato, manifestandosi con pian-to, coliche, interruzione della suzione, ipereccitabilità e irritabilità, o comparire tra il primo e secondo anno di vita. In tal caso possono configurarsi quadri tipici di rifiuto alimentare, caratterizzati da atteggiamen-ti oppositivi da parte del bambino (allontana o getta il cibo, piange quando gli viene offerto e quindi alla vista del biberon) o da una sua apparente mancanza di interesse verso il cibo (si addormenta e smette di mangiare, tiene il cibo in bocca). In generale un distur-bo alimentare può esordire tra i 6 mesi e 4 anni di età quando viene tentato l’avvio del self-feeding e ciò ap-

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PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Disordini nutrizionali a esordio precoce

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pare correlato al periodo di tran-sizione dall’allattamento al “seno” al cucchiaio, bicchiere o tazza, o da una consistenza liquida a una semisolida 3. La variazione nel tipo di bolo (liquido o solido), le carat-teristiche (durezza, omogeneità, volume, viscosità, consistenza) e le capacità sensoriali (gusto) rappresentano le tappe principali dello sviluppo delle capacità oro-motorie. Nella maggior parte dei bambini, lo sviluppo delle abilità alimentari (masticazione e deglu-tizione di alimenti morbidi, solidi) inizia tra i 6-8 mesi di età 4. Inoltre, i bambini in questa fascia di età vogliono essere autonomi, cer-cano l’indipendenza e sono facil-mente distraibili dall’ambiente cir-costante durante il pasto. Diversi studi dimostrano che alterazioni dell’interazione madre-figlio sono alla base di disturbi alimentari nel bambino: atteggiamento ansioso e preoccupato, intrusivo, iper-controllante, rigido, depressione materna o problemi psicologici di diversa natura, atteggiamento iperprottettivo che non favorisce la ricerca di autonomia nel bambi-no possono essere considerate le condizioni più comuni 5. In questo ambito ed in questa fascia di età è più frequente il rischio di medi-calizzazione o ricerca di presunte cause organiche (allergia al latte, reflusso gastroesofageo ecc.) con vari cambi di latte o uso di farmaci (ranitidina) con accentuazione del problema. La classificazione di tali disordini comprende la distinzione dicotomica tra cause organiche o non-organiche e include la corret-ta interpretazione del ruolo dei fat-tori ambientali (atteggiamento dei genitori, cause mediche e disturbi del comportamento o dello svi-luppo psicomotorio). Nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) di natura non organica si possono riconoscere alcune categorie:1. Bambino con appetito limi-

tato/alimentazione restrittiva: questa categoria (picky eaters) comprende bambini che non solo restringono la scelta dei cibi, ma ne diminuiscono anche la quan-tità. Essi hanno poco appetito e non sono interessati al cibo. No-nostante ciò, presentano in ge-nere una crescita regolare. È una condizione comune negli anni prescolastici, ma se persiste per molti anni può compromettere il normale sviluppo. 2. Bambino vigoroso con poco interesse per l’alimentazio-ne: questa categoria comprende bambini attivi, energici, curiosi e molto più interessati a giocare che a mangiare. In genere si rifiutano di rimanere seduti durante i pa-sti, mangiano frequentemente, in piccole quantità e non riescono a prendere peso. Non sono presenti in genere cause organiche e Cha-toor associa a questa categoria il termine di “anoressia infantile”.3. Bambino depresso con poco interesse per l’alimentazio-ne: questa categoria comprende bambini poco attivi, poco interes-sati al cibo, ma anche all’ambien-te che li circonda e con scarsa comunicazione con i genitori. Il rischio di malnutrizione è più fre-quente in questo ambito.4. Bambino con alimentazio-ne selettiva: questa categoria descrive bambini che limitano la loro alimentazione a una gamma ristretta di cibi preferiti; mangiano cinque o sei cibi differenti, spesso carboidrati come pane, patate frit-te o biscotti. Essi non accettano di provare cibi nuovi (neofobici) e non si riesce a persuaderli a farlo in nessuna circostanza. Hanno lo stimolo “facile” al vomito, anche se non hanno chiaramente diffi-coltà ad assumere e digerire il loro cibo preferito. Questo rifiuto po-trebbe essere correlato ad aspetti sensoriali come il gusto, l’odore o il colore. In genere sono bambini che comunque hanno un apporto

calorico adeguato e tendono ad abbandonare questo comporta-mento quando la scuola e gli in-contri sociali diventano parte im-portante della loro vita.5. Bambini con paura o fobia specifica verso il cibo: questa categoria comprende bambini con paura a deglutire o che evi-tano cibi di consistenza aumenta-ta. Spesso è possibile individuare l’evento che ha scatenato questa fobia: un episodio di disfagia o soffocamento, episodi di diarrea e vomito in pubblico, durante i quali si è sporcato di fronte ad altre per-sone, o procedure orali dolorose o spiacevoli (alimentazione con sondino naso-gastrico) 6.

Criteri diagnosticiCirca il 20-60% dei genitori ritie-ne che i loro figli non mangino in maniera sufficiente, o mostrino un atteggiamento di tipo fobico nei confronti dei cibi nuovi 7. Rispetto a quanto riferito dai genitori, solo l’1-5% rispettano realmente i cri-teri per un sospetto di disturbo della condotta alimentare. Il rico-noscimento di un DCA può essere problematico anche in relazione al progressivo e costante stato di revisione dei criteri diagnostici e di classificazione. Di fronte a un bambino con il sospetto di DCA, è opportuno procedere con una attenta anamnesi (personale e familiare), esame obiettivo (com-presi dati antropometrici) e diario alimentare. L’anamnesi dovrebbe includere storia prenatale e pe-rinatale; storia familiare di atopia o problemi alimentari; malattie e ricoveri ospedalieri precedenti; e utilizzo, in epoca neonatale, di nu-trizione artificiale con sondino na-so-gastrico. Un’anamnesi alimen-tare specifica comprende il tipo di alimentazione alla nascita (allatta-mento materno versus artificiale), cambi di formule, epoca di intro-duzione dei solidi, la dieta attuale,

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C. Romano, S. Spadaro

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consistenza, modalità, durata dei pasti e postura durante il pasto. Il rilievo di alcuni sintomi correla-bili con il sospetto di disfagia o aspirazione dovrebbe indurre a ricercare cause di tipo organico. Indicatori clinici che suggeriscono una deglutizione incoordinata può determinare sintomi quale la tosse o il soffocamento. La valutazione della disfagia dovrebbe compren-dere quale fase della deglutizione (orale, faringea o esofagea) è di-sorganizzata e potrebbe richiede-re il supporto di un logopedista con specialità nell’educazione della funzione motoria orale. Lo stridore ai pasti potrebbe essere causato da anomalie glottiche o subglottiche. La coordinazione di succhiare-deglutire-respirare può essere influenzata dalla pre-senza di un’atresia delle coane. Scarsa crescita, vomito, diarrea e stipsi ostinata dovrebbero indur-re a escludere il sospetto di ma-lattia da reflusso gastroesofageo o allergia alle proteine del latte. Un dettagliato diario alimentare dovrebbe essere raccolto e in-terpretato in termini di adeguato ed equilibrato apporto calorico in rapporto all’età. L’esame obiettivo deve comprendere le misurazioni antropometriche, inclusa la cir-conferenza cranica, la ricostruzio-ne della curva di crescita, la pre-senza di anomalie craniofacciali, un esame neurologico completo associato alla valutazione dello sviluppo psicomotorio. La valuta-zione dello stato nutrizionale è un aspetto importante nella gestione dei DCA. La scarsa crescita è pre-sente nel 40-50% dei pazienti con DCA ed è correlata con un ritardo nella diagnosi. Nessuna indagine di laboratorio è indicata nel bam-

bino con esame obiettivo, curve di crescita e sviluppo normali. Una parte integrante dell’approccio al bambino con DCA deve presup-porre un’indagine per esplorare la presenza di stress sociali, altera-zione delle dinamiche familiari e la presenza di problemi emotivi. Ha una grande valenza diagno-stica l’osservazione del pasto e del comportamento dei genitori durante lo stesso. Ciò fornisce in-dizi sulle interazioni, le tecniche di alimentazione e la risposta agli sti-moli fisiologici o sociali del bam-bino. L’identificazione di alterate tecniche di alimentazione da parte dei genitori (alimentazione nottur-na, persecutoria forzata, condi-zionata da distrazioni e pasti pro-lungati) rappresenta un momento diagnostico fondamentale 8.

La gestione multidisciplinareLa maggior parte dei bambini con disordini nutrizionali può essere gestita da interventi di nutrizione e educazione del comportamento alimentare all’interno inizialmen-te dell’ambulatorio del Pediatra di Famiglia, e in taluni casi con un approccio multidisciplinare che prevede il coinvolgimento di uno specialista pediatra/gastro-enterologo e/o nutrizionista (ad es. valutazione, diagnosi e trat-tamento delle carenze della dieta e nutrizione), un logopedista (va-lutazione della capacità fisica di deglutizione, progettazione e rea-lizzazione dello schema di degluti-zione), terapisti della riabilitazione (valutazione di capacità fisiche adeguate all’alimentazione e di sensibilità sensoriale, implemen-

tazione di modifiche ambientali per migliorare le abilità d’alimen-tazione). Gli obiettivi dell’interven-to sono i seguenti: a) riabilitazione nutrizionale (garantire adeguate calorie, proteine e altri nutrienti), b) modificazione del comporta-mento alimentare e nutrizionale, c) educazione della famiglia sulle modalità di nutrimento e compor-tamento, d) il monitoraggio della crescita e dello stato nutrizionale, e) l’assistenza economica/sociale, quando necessario 9.

ConclusioniNella maggior parte dei casi i di-sordini nutrizionali sono transitori, ma nel 3-10% si possono asso-ciare al rischio di malnutrizione. Nella diagnostica differenziale devono comunque essere prese in considerazione alcune cause organiche come le allergie alimen-tari, la malattia da reflusso gastro-esofageo o i disturbi della deglu-tizione. L’approccio clinico deve essere rassicurante e “correttivo” nella gran parte dei casi, anche se devono essere evidenziati even-tuali segnali d’allarme (vomito, ri-tardo psicomotorio ecc.) o la ten-denza verso la scarsa crescita o la malnutrizione. Il Pediatra dovreb-be avere la capacità di intercettare già nelle prime fasi comportamen-ti o atteggiamenti suggestivi per un disturbo del comportamento alimentare e fornire indicazioni sulle modalità di gestione delle tecniche di alimentazione (Tab. I). Lo screening per la scarsa cresci-ta/basso peso e difficoltà nell’a-limentazione dovrebbero essere parte di regolari check-up della salute.

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Tabella I. Come riconoscere un disturbo del comportamento alimentare di tipo non organico.

Segni e sintomi di un disturbo alimentare

Pasti prolungati Rifiuto persistente dell’alimentoAlimentazione notturnaProlungamento dell’allattamento al seno o artificialeDifficoltà a introdurre cibi di maggiore consistenza

I “segnali d’allarme”

Organici DisfagiaAspirazioneDeglutizione incoordinataVomito e diarreaRitardo di crescita e dello sviluppo psicomotorioSintomi cardio-respiratori cronici

Comportamentali Fissazione per il cibo (selettiva, estreme limitazioni dietetiche)Tecniche di alimentazione sbagliate (dure e/o persecutorie)Cessazione brusca dell’allattamento dopo un evento scatenante

Fornire le regole generali per l’alimentazione

Evitare le distrazioni durante i pasti (televisione, telefoni) Mantenere un atteggiamento neutrale e piacevole durante tutto il pasto Porre un limite alla durata del pasto (20-30 min) e al numero dei pasti (4-6 al giorno intervallati solo da acqua)Servire cibi appropriati all’etàRiproporre regolarmente nuovi alimenti (fino a 8-15 volte)Incoraggiare self-feeding

• Il bambino che non riesce ad avviare un corretto svezzamento, mangia poco o rifiuta diversi alimenti potrebbe presen-tare un disturbo della nutrizione e del comportamento alimentare.

• La classificazione di tali condizioni comprende la distinzione dicotomica tra cause organiche o non-organiche.

• Quando la crescita è regolare non vi è indicazione a ricercare condizioni patologiche.

• La maggior parte dei bambini necessita solo di interventi di educazione al comportamento alimentare all’interno della famiglia e della comunità.

• Il Pediatra di Famiglia ha un ruolo determinante nel riconoscere precocemente disturbi del comportamento alimentare di tipo non organico.

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156 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:156-161; doi: 10.19208/2282-2453-134

L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinaliAnemia in inflammatory bowel disease

Stefano Festa1 (foto)Giulia Gallusi2

Riccardo Ballanti1

Claudio Papi1

1 UOC Gastroenterologia, UOS Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Ospedale san Filippo Neri,

Roma; 2 UO Gastroenterologia ed Epatologia, “La Sapienza” Università

di Roma, Policlinico Umberto I

Key wordsAnemia • Inflammatory bowel

disease • Iron deficiency • Anemia of chronic disease • Erythropoietin

Abstract Although anemia is one of the most common extra-intestinal manifestations of Inflammatory Bowel Disease (IBD), it is often overlooked both at diagnosis and during disease course. Anemia in-fluences not only morbidity and mortality but also IBD patient’s quality of life and health care costs. A prompt diagnosis and classification of anemia (mainly iron deficiency and/or anemia of chronic disease) is mandatory for a correct therapeutic approach.

Indirizzo per la corrispondenza

Stefano FestaUOC Gastroenterologia, UOS Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Ospedale san Filippo Nerivia G. Martinotti 20, 00135 RomaE-mail: [email protected]

IBD HIGHLIGHTS a cura diFortunata Civitelli

IntroduzioneL’anemia è una delle più comuni manifestazioni extra-intestinali delle malattie infiammatorie croniche inte-stinali (MICI) che incide in maniera significativa sulla disabilità, sulla spesa sanitaria e sulla qualità di vita dei pazienti, oltre ad avere potenzialmente un impatto sulla prognosi e la mortalità. L’eziopatogenesi dell’a-nemia è multifattoriale ma circa il 90% dei casi posso-no essere spiegati da una carenza di ferro e/o dall’in-fiammazione cronica 1. L’anemia nelle MICI è spesso sotto-diagnosticata, non adeguatamente monitorata, e non correttamente trattata  2. Per questi motivi, l’a-nemia nelle MICI rimane ancora oggi un argomento di estrema attualità per il gastroenterologo pediatra.

Epidemiologia e fattori di rischio associati all'anemiaNegli ultimi due decenni l’epidemiologia dell’anemia nei soggetti affetti da MICI ha mostrato una diminuzio-ne della prevalenza delle forme lievi e moderate grazie alla diagnosi più precoce delle MICI, una loro migliore gestione globale, e una sempre maggiore efficacia del-le terapie 3. Ciononostante, la prevalenza dell’anemia severa è ri-masta invariata con tassi globali che rimangono eleva-ti. Da una recente meta-analisi di 8 studi provenienti da diversi paesi europei emerge come la prevalenza globale dell’anemia nelle MICI sia del 24%, con per-centuali variabili dal 10 al 70%, che riflettono in parte sia differenti criteri usati per la definizione di anemia, sia differenti popolazioni incluse nei singoli studi  4. Studi osservazionali di coorte hanno dimostrato che la percentuale di pazienti anemici è più alta al momento della diagnosi: fino al 48% dei pazienti con Malattia di Crohn (MdC) e circa il 20% di quelli con colite ulcerosa (CU), con percentuali che tendono a diminuire nel tem-po. Inoltre l’anemia è più frequente nella MdC rispet-to alla CU. Nella popolazione pediatrica, al momento della diagnosi, la prevalenza dell’anemia è maggiore rispetto alla popolazione adulta 5. I pazienti a maggior rischio di anemia sono quelli con una proteina C reat-

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tiva (PCR) elevata e quelli con un fabbisogno di corticosteroidi più elevato, indicatori, rispettivamen-te, di una malattia in fase di attivi-tà e di una malattia a decorso più aggressivo.

L'anemia come fattore prognostico nelle MICI

DecorsoL’anemia è un fattore che influen-za negativamente la prognosi nelle MICI e questo è stato di-mostrato in diversi studi. Infatti, la presenza di anemia è associa-ta più spesso alla localizzazione colica nella MdC e all’estensione nella CU, due fattori, a loro volta, associati a una prognosi più sfa-vorevole 6. Inoltre, nei pazienti con MICI ospedalizzati, la presenza di anemia e la necessità di emotrafu-sioni, si associano a una maggio-re necessità di chirurgia  7. Infine, l’anemia, persistente o ricorrente, per tre o più anni si associa a un decorso più aggressivo e a un maggior grado di disabilità essen-do correlata al numero maggiore di visite ambulatoriali, ospedaliz-zazioni e interventi chirurgici 8.

Risposta al trattamentoÈ noto che un basso valore di emoglobina al momento dell’at-tacco severo nella CU rappre-senta un fattore predittivo di mancata risposta allo steroide sistemico e, quindi, è associato a un maggior rischio di necessità di terapia di salvataggio e di colec-tomia nel lungo termine  7. Più di recente, bassi valori di emoglobi-na (< 14,5 g/dl) al momento della sospensione di farmaci anti-TNF sono stati associati a un maggior rischio di relapse in pazienti adulti affetti da MdC 9.

Qualità della vitaTra varie condizioni croniche as-sociate alle MICI (es. comorbidi-tà cardiovascolari, artrite ecc.), la presenza di anemia condiziona in modo significativo la qualità di vita dei pazienti, andando a influenza-re gli aspetti che riguardano la sa-lute fisica globale (l’attività fisica, lavorativa e sociale) 10. Va ricorda-to infatti che la fatica cronica è un sintomo comune nelle MICI in cui è presente anemia e proprio la ca-renza di ferro è riconosciuta come uno dei principali fattori eziologici. Inoltre, la correzione dell’anemia, (mediante supplementazione di ferro e/o terapia con eritropoieti-na) è associata a un miglioramen-to della qualità di vita e degli indi-catori di abilità fisica.

Eziopatogenesi dell'anemia nelle MICILa patogenesi dell’anemia nelle MICI è complessa 11. Da un punto di vista fisiopatologico i due prin-cipali tipi di anemia che si riscon-trano nelle MICI sono l’anemia si-deropenica e l’anemia da malattie croniche. L’anemia sideropenica, che nel-la maggior parte delle casistiche riportate è la più comune, può esser legata sia a un ridotto as-sorbimento di ferro da parte degli enterociti, legato al danno diretto dell’epitelio intestinale, sia a una perdita ematica cronica dalle mi-croerosioni o ulcere che l’infiam-mazione della mucosa del tratto gastroenterico porta con sé, sia a una condizione di malnutrizione.L’anemia da malattie croniche (presente cioè in quelle condizio-ni associate ad attivazione croni-ca dell’immunità cellulo-mediata come le infezioni, le neoplasie maligne o i disordini infiammatori immuno-mediati) invece, è legata a un meccanismo infiammato-rio mediato da diverse citochine

(Fig. 1) che determina ridotti livelli ematici di ferro, sequestrato al li-vello del sistema reticolo-endote-liale, con il risultato quindi di una minore disponibilità di ferro per le cellule progenitrici eritroidi a livello del midollo osseo. Lo sta-to infiammatorio cronico inoltre, porta anche a un’inibizione diret-ta dell’eritropoiesi midollare e a un ridotto assorbimento di ferro a livello dell’epitelio duodeno-digiu-nale, rendendo i due meccanismi (quello dell’anemia sideropenica e quello dell’anemia da malattie croniche) strettamente connessi.Singolarmente, o associate tra loro, l’anemia sideropenica e l’a-nemia delle malattie croniche spiegano circa il 90% dei casi di anemia nelle MICI (Fig. 2). Più ra-ramente l’anemia nelle MICI può essere sostenuta da altri mecca-nismi:• Carenza di folati e/o vitamina

B12. La vitamina B12 è assorbi-ta soprattutto nell’ileo terminale complessata con il fattore intrin-seco secreto a livello dello sto-maco. L’infiammazione cronica o la resezione dell’ileo, partico-larmente nel MdC, possono por-tare a carenza di vitamina B12. La carenza di acido folico, in-vece, assorbito nel duodeno e nel digiuno, può essere dovuta a una dieta inadeguata, a ma-lassorbimento (per resezioni o localizzazioni di malattia), o a interazioni con farmaci specifici per le MICI (sulfasalazina, me-thotrexate);

• Anemia da farmaci. Le tiopuri-ne, farmaci utilizzati nella tera-pia delle MICI, hanno un effetto mielosoppressivo e quindi pos-sono nel tempo causare ane-mia, più spesso macrocitica. Le tiopurine da sole, però, ra-ramente sono causa di anemia e per tale motivo, prima della definitiva sospensione, altre cause di anemia vanno escluse. Va ricordato che il rischio di svi-

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luppare leucopenia o aplasia è elevato negli individui con bas-sa attività dell’enzima tiopurin-metiltransferasi (TPMT). L’attivi-tà del TPMT è determinata dal genotipo e quindi la genotipiz-zazione è stata proposta come un metodo di valutazione del rischio di sviluppare aplasia mi-dollare, sebbene la diffusione di tale metodo nella pratica clinica è limitata.

DiagnosiL’attuale definizione di anemia con valori di riferimento stabiliti dall’Organizzazione Mondiale del-la Sanità si applica anche ai pa-zienti con MICI (Tab. I).Il work-up diagnostico dell’anemia va iniziato in presenza di sintomi (astenia, disturbi del sonno, deficit dell’attenzione, irritabilità ecc.) e/o quando il valore di emoglobina ri-sulta sotto i limiti della norma. Se-condo le linee guida della ECCO (European Crohn’s and Colitis Organization) i test di laboratorio di primo livello includono emocro-mo completo con formula, ferriti-na, saturazione della transferrina, PCR e conta dei reticolociti 12. Un work up di secondo livello, volto a indagare cause più rare di anemia, comprende anche il dosaggio di folati, vitamina  B12, aptoglobina, lattico deidrogenasi, azotemia, creatinina. Il ragionamento dia-gnostico iniziale dovrebbe proce-dere secondo un algoritmo non diverso da quelli comunemente usati in ambito ematologico.In particolare però, nell’ambito dell’anemia associata alle MICI, la distinzione tra componente si-deropenica e componente lega-ta all’infiammazione cronica (o comunque il riconoscimento di quella prevalente) è di fondamen-tale importanza, poiché da essa dipende l’appropriatezza del trat-tamento (Fig. 3). In primo luogo va quindi valutata l’attività della malattia. In assenza

Figura 1.Eziopatogenesi dell’anemia nelle MICI.

Figura 2.Prevalenza e importanza relativa delle diverse cause di anemia alla prima diagnosi di MICI e nel follow-up.

CFU-E = cellule progenitrici eritroidi, Epo = eritropoietina, TNFa = tumor necrosis factor a

IRC = insufficienza renale cronica

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di segni clinici (diarrea, rettorra-gia, febbre), biochimici (Leuco-citi, PCR, calprotectina fecale) o endoscopici di infiammazione attiva, un valore di ferritina sieri-ca < 30 µg/L è suggestivo di una carenza di ferro pura. Se la malat-tia è in fase di attività, anche con riserve di ferro esaurite o ridotte, i livelli di ferritina possono essere elevati (tra 30 e 100 µg/L) indican-do la coesistenza di due meccani-smi patogenetici. Valori di ferritina > 100 µg/L sono invece indicativi di una patogenesi legata princi-palmente allo stato infiammatorio cronico (Fig. 3) 12. La concentrazione sierica del re-cettore solubile della transferrina (sTfR) è un indicatore delle riserve di ferro destinate all’eritropoiesi più affidabile della ferritina, poiché non è influenzato dall’infiamma-zione. Oltre a quest’ultimo, può esser d’aiuto nei casi dubbi, il cal-colo del rapporto tra il valore del recettore solubile della transferri-na e il logaritmo dei livelli di ferri-tina (sTfR/log Ferritina): se l’indice è maggiore di 2 la carenza di ferro è esclusa 12.

Trattamento

Anemia sideropenicaLa supplementazione di ferro è sempre raccomandata in pre-senza di una componente ferro-carenziale 12. Correggere l’anemia

significa migliorare la qualità della vita e tale miglioramento è indi-pendente dall’attività della malat-tia. In assenza di anemia, ma con

ridotti livelli di ferritina, la supple-mentazione va discussa caso per caso e dipende dalla presenza di sintomi del paziente e dalla sua storia clinica. L’obiettivo della te-rapia è quello di normalizzare i va-lori di emoglobina. Di solito, tanto più basso è il valore di partenza e tanto maggiore sarà il tempo per arrivare a normalizzare i valori. Un aumento dell’emoglobina di almeno 2 g/dL nell’arco di 4 set-timane dall’inizio del trattamento è considerata una risposta alla terapia accettabile. Il rischio di sovraccarico parziale nei pazienti con sanguinamento cronico/in-

Tabella I. Valori minimi di emoglobina usati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la definizione di anemia in persone che vivono al livello del mare.

Gruppo di riferimento Valore emoglobina (g/dl) Ematocrito

Bambini tra 6 mesi e 5 anniBambini tra 5 e 11 anniBambini tra 12 e 13 anniDonne Donne in gravidanzaUomini

1111,512121113

333436363339

Figura 3.Work-up per la diagnosi differenziale delle anemie nelle MICI.

Tsat= saturazione della transferrina

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termittente (come si verifica nelle MICI) è molto basso, ma una sa-turazione della transferrina > 50% e una ferritina > 800 µg/L vengono considerate le soglie massime, ol-tre le quali la terapia marziale va interrotta 12.La supplementazione di ferro per via endovenosa (ev) dovrebbe es-sere considerata la prima linea di trattamento nei pazienti con MICI in fase attiva, in quelli con storia d’intolleranza ai preparati di ferro per os, in quelli con emoglobina < 10 g/dL e in quelli in cui è sta-ta posta indicazione a terapia con eritropoietina 12.Il ferro per via ev è sostanzial-mente sicuro, ben tollerato e più efficace rispetto al ferro per os nel correggere l’anemia e nel man-tenere le riserve di ferro. È utile ricordare l’importanza di esegui-re l’infusione di ferro in ambiente protetto, considerato il potenziale rischio di reazioni d’ipersensibilità che, seppure siano rare, possono essere letali. Nella Tabella  II è ri-assunto uno schema che indica come calcolare in modo semplice il fabbisogno di ferro da sommini-strare ev.In commercio sono disponibili di-verse formulazioni di ferro ev: car-bossimaltosio ferrico, saccarato ferrico, sodio ferrogluconato, ma non esistono studi di confronto di-retto, in termini di efficacia e sicu-rezza, fra le diverse formulazioni.L’indubbio vantaggio del carbos-simaltosio ferrico, deriva dalla velocità d’infusione (15-30  minu-ti) e dalla possibilità di sommi-

nistrare elevate quantità di ferro (500-1000  mg) in una singola in-fusione 13. Inoltre in un trial clinico randomizzato controllato contro placebo, il carbossimaltosio fer-rico si è dimostrato efficace nel prevenire la ricorrenza dell’anemia in pazienti con MICI per i quali la somministrazione del farmaco (una dose da 500  mg) era previ-sta se la ferritina scendeva sotto i 100 µg/L 14.In caso di anemia lieve (Hb non inferiore a 11 g/dl), e con malattia in fase di remissione, il ferro per os è l’opzione di scelta. Poiché gli effetti collaterali del ferro per os sono dose-dipendenti e sono legati al contatto della quota di ferro non assorbita con le aree di mucosa ulcerata, la dose giorna-liera di ferro elementare non deve superare i 100 mg/die 12.Visto l’elevato tasso di recidive di anemia (circa il 50% a 10 mesi dalla fine della supplementazione) è consigliato un follow-up clinico-laboratoristico (emocromo, PCR, ferritina, TSat) ogni tre mesi per il primo anno ed è appropriato un trattamento marziale prima che i livelli di emoglobina scendano al di sotto dei valori di normalità 14.Una rapida ricorrenza dell’anemia può essere indicativa, di fronte a un paziente in remissione clinica e con test di flogosi normali, di un’attività infiammatoria subclini-ca. In tal caso l’ottimizzazione del trattamento dovrebbe mirare a un migliore controllo della malattia di base.

Anemia da malattie cronicheI pazienti con anemia da malattie croniche con una risposta insuffi-ciente alla supplementazione con ferro ev, e con un trattamento già ottimizzato per la MICI di base, sono dei candidati al trattamento con eritropoietina. In questo caso il livello target di emoglobina non dovrebbe superare i 12  g/dl. La presenza di anemia da malattie croniche è un chiaro indicato-re di malattia in fase di attività e per tale motivo l’ottimizzazione del trattamento per la MICI deve precedere il trattamento con eri-tropoietina  12. Nel management dell’anemia da malattie croniche va ricordato come altre condizioni concomitanti vanno escluse (infe-zioni, neoplasie o deficit midollari), soprattutto nei casi di improvvisa anemizzazione o di insufficiente risposta al trattamento.Infine, la trasfusione di emazie con-centrate va considerata in caso di emoglobina inferiore a 7 g/dl, o in presenza di sintomi o di particolari comorbidità cardio-polmonari 12.

ConclusioniL’anemia è una delle complicanze extra-intestinali più comuni asso-ciate alle MICI e, sebbene molto frequente, è un problema spesso sottovalutato dai gastroenterologi. L’eziologia dell’anemia nelle MICI è multifattoriale, ma la carenza di ferro e l’infiammazione cronica sono i fattori patogenetici da tene-re in considerazione per imposta-re il trattamento più appropriato. La corretta gestione dell’anemia non solo aiuta a migliorare la qua-lità di vita dei pazienti, ma anche a contenere le ospedalizzazioni e i costi sanitari.

Bibliografia1 Filmann N, Rey J, Schneeweiss

S, et al. Prevalence of anemia in inflammatory bowel diseases in

Tabella II. Schema pratico per la stima del fabbisogno di ferro endovena.

Emoglobina (g/dl)

Peso corporeo < 70 kg

Peso corporeo ≥ 70 kg

10-12 (donne)10-13 (uomini)

1000 mg 1500 mg

7-10 1500 mg 2000 mg

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IBD HIGHLIGHTS L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

161

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14 Evstatiev R, Alexeeva O, Boke-meyer B, et al. Ferric carboxymalt-osepreventsrecurrence of ane-mia in patients with inflammatory bowel disease. Clin Gastroenterol Hepatol 2013;11:269-77.

• L’anemia è una delle manifestazioni extra-intestinali più frequenti nelle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI).

• L’anemia è un problema spesso sottovalutato dai gastroenterologi: una corretta gestione dell’anemia non solo aiuta a migliorare la qualità di vita dei pazienti, ma anche a contenere le ospedalizzazioni e i costi sanitari.

• L’eziologia dell’anemia nelle MICI è spesso multifattoriale. La componente ferro-carenziale e quella da malattie cro-niche spiegano circa il 90% dei casi.

• L’esecuzione dei test di laboratorio ha lo scopo di differenziare la componente sideropenica da quella da malattie croniche ed è fondamentale per impostare il corretto trattamento.

• La supplementazione di ferro per via endovenosa dovrebbe essere preferita a quella per os, soprattutto nei pazienti con MICI in fase attiva e con anemia sideropenica di grado moderato-severo.

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162 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:162-166; doi: 10.19208/2282-2453-135

Trattamento della epatite autoimmune giovanileManagement of juvenile autoimmune hepatitis

Giuseppe Maggiore1 (foto)Silvia Nastasio1

Cristina Malaventura1

Marco Sciveres2

1 Dipartimento di Scienze Mediche, Sezione di Pediatria, Azienda

Ospedaliero Universitaria Sant’Anna, Università degli Studi di Ferrara;

2 Epatologia Pediatrica e Trapianto di fegato, IRCCS-ISMETT, UPMC,

Palermo

Key wordsJuvenile autoimmune hepatitis

• Autoimmune hepatitis • Immunosuppressive treatment • Liver tranplantation • Fulminant hepatic

failure

AbstractJuvenile autoimmune hepatitis characteristi-cally progresses to cirrhosis and organ failure if untreated. Treatment consists of immunosup-pressive drugs, mainly prednisone and azathio-prine, except in cases presenting with fulminant hepatic failure in which liver transplant may be immediately necessary. The majority of patients respond to immunosuppression. However, this needs to be prolonged, at the lowest possible dose, due to the substantial risk of relapse.

Indirizzo per la corrispondenza

Giuseppe MaggioreDipartimento di Scienze Mediche, Sezione di Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Anna, Università degli Studi di Ferraravia Aldo Moro 8, 44124 Cona (FE)E-mail: [email protected]

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY

PHARMACOLOGY a cura diMonica Paci

Il trattamento dell’epatite autoimmune giovanile (EAIG) si basa sull’immunosoppressione farmacologica, con l’eccezione di quei casi che esordiscono con il quadro dell’epatite fulminante, per cui può rendersi immedia-tamente necessario il trapianto di fegato 1. In generale, il trattamento dell’EAIG si articola in due fasi: la fase di induzione della remissione e quella del suo mante-nimento. La prima fase si avvale di farmaci ad azione rapida e potente, nella maggior parte dei casi il predni-sone o, in alternativa, la ciclosporina. Protagonisti del-la fase di mantenimento sono i farmaci ad azione più lenta, ma in generale ben tollerati in caso di terapie di lunga durata come, ad esempio, l’azatioprina.Esistono poi trattamenti che non rientrano in nessu-na delle due categorie: ad esempio l’utilizzo di farmaci biologici, sempre più frequentemente segnalato in for-ma aneddotica in letteratura.In Tabella  I sono riassunti i farmaci con evidenza di efficacia nel trattamento dell’EAIG.

Trattamento d'attaccoNella fase di induzione, l’obiettivo è ottenere: 1) la re-missione completa della malattia epatica (segni, sin-tomi e attività biochimica); 2) la normalizzazione della funzione epatocellulare (attività protrombinica; INR), se alterata alla diagnosi; 3) l’arresto della progressione della malattia in termini di fibrosi.In particolare, transaminasi e gammaGT dovranno es-sere ricondotte strettamente entro l’intervallo di nor-malità, così come, più lentamente, anche il livello di IgG. La scomparsa della sieroreattività autoanticorpale non è un requisito obbligatorio per definire la remis-sione di malattia. La situazione più comune è una flut-tuazione della rilevabilità degli autoanticorpi con oc-casionale presenza a basso titolo 2, 3, 4. La ricomparsa di positività ad alto titolo, specie in corso di variazioni di posologia o tentativi di sospensione, deve tuttavia indurre a particolare prudenza e vigilanza.La remissione clinica e biochimica di malattia non sem-pre riflette la remissione tissutale; la prova istologica di questa non è richiesta in questa fase del trattamento.

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NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Trattamento della epatite autoimmune giovanile

163

La rapidità della risposta al trat-tamento dipende dalla severità dell’attività di malattia alla diagno-si; comunque, una risposta clinica e di laboratorio misurabile è otte-nibile in almeno il 90% dei casi, entro otto settimane dall’inizio del trattamento, mentre la completa normalizzazione dei parametri di laboratorio può richiedere anche alcuni mesi.

Fallimento della terapia d'attaccoSi definisce così l’assenza di una risposta biochimica significativa in seguito a una terapia immunosop-pressiva con un farmaco di prima linea (tipicamente steroide o ciclo-sporina) a dose piena.In particolare i pazienti con ma-lattia più aggressiva e/o avanzata e che all’esordio presentano una marcata compromissione della funzione epatocellulare possono presentare una risposta insod-disfacente alla terapia. È quindi fondamentale verificare, nel più breve tempo possibile, l’efficacia del trattamento, per aggiungere,

eventualmente, un terzo farmaco immunosoppressore “di salva-taggio” (ad esempio associando ciclosporina e steroide), tenendo comunque sempre presente la possibilità del trapianto epatico in emergenza 1.In ogni caso, prima di ogni altra considerazione, sarà necessario anche rivedere criticamente la diagnosi: sono, ad esempio, de-scritti casi di leishmaniosi visce-rale con caratteristiche bioumorali e istologiche che ricordano quelle dell’EAIG 5.

Mantenimento della remissioneUna volta ottenuta la remissione, l’obiettivo della fase di manteni-mento è impedire il verificarsi di recidive che, in ogni caso, devo-no essere tempestivamente iden-tificate tramite una sorveglianza serrata.Nei singoli centri sono in uso diffe-renti protocolli di riduzione del trat-tamento, che tuttavia andrebbero il più possibile individualizzati in base alla storia clinica del paziente. In

caso di trattamento steroideo, ad esempio, la dose del prednisone dovrà essere ridotta con l’obietti-vo di guadagnare nel minor tempo possibile uno schema di sommi-nistrazione a giorni alterni, che è associato a una minore incidenza di effetti collaterali, in particolare il rallentamento della crescita statu-rale 7. L’azatioprina sarà mantenuta a piena dose terapeutica. In questa fase di riduzione posologica, potrà manifestarsi in qualsiasi momento una recidiva, specialmente in caso di scarsa aderenza al trattamento prescritto.

Durata della terapiaNon esiste certezza sulla durata totale del trattamento, anche se esiste evidenza di come la reci-diva sia molto probabile nel caso in cui il trattamento sia sospeso entro i primi due anni  2. L’espe-rienza personale suggerisce che la remissione debba essere man-tenuta per almeno cinque anni prima di qualsiasi tentativo di so-spensione. Una volta sospeso il

Tabella I. Farmaci utilizzati per il trattamento dell’EAIG.

Farmaco Posologia Note

Farmaci per la fase d’induzione

Prednisone 2 mg/kg a scalare Farmaco di prima linea nella maggior parte dei casi

Ciclosporina A 3-5 mg/kg/die Efficace alternativa al prednisone

Tacrolimus nd Uso aneddotico, non chiari vantaggi sulla ciclosporina

Budesonide 6-9 mg/die Scarsa esperienza, somministrazione problematica nei pazienti molto giovani

IVIG 1-2 g/kg Efficacia temporanea, esperienza aneddotica

Farmaci per la fase di mantenimento

Azatioprina 1,5-2,5 mg/kg/die Efficace in monoterapia per il mantenimento

Micofenolato Mofetil 20-40 mg/kg/die Seconda linea, in alternativa ad azatioprina

Altri farmaci

Rituximab nd Uso aneddotico

Alentuzumab nd Uso aneddotico

Nd= non determinata

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G. Maggiore et al.

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prednisone, il paziente rimane in monoterapia con azatioprina di solito per almeno un anno, prima di poter intraprendere un tentativo di sospensione. Non esistono elementi di labo-ratorio o istologici certamente predittivi di assenza di rischio di ricadute. Perfino la dimostrazio-ne di una completa remissione tissutale, tramite biopsia epatica, non risulta predittiva di assenza di rischio  2 e, viceversa, la persi-stenza di un lieve infiltrato portale, in assenza di attività d’interfaccia, non rappresenta una controindi-cazione assoluta a un tentativo di sospensione. Di conseguenza la necessità del controllo istologi-co prima della sospensione della terapia è oggetto di dibattito con ampie diversità di opinione tra dif-ferenti centri di riferimento. In alcune particolari forme di EAIG quali quella associata alla malattia celiaca o la forma sieronegativa della EAIG, in particolare se non associata a ipergammaglobuline-mia, è possibile tentare una so-spensione prima dei cinque anni di trattamento.

Il trattamento convenzionaleIl trattamento di “prima linea” o “convenzionale” dell’EAIG utilizza il prednisone (2  mg/kg/al giorno fino alla dose massima giornaliera di 60 mg) in monoterapia 2 o in as-sociazione con l’azatioprina 3. L’a-zatioprina è dosata inizialmente a 1  mg/kg/die con progressivo au-mento fino a 2-2,5 mg/kg/die, pre-via la verifica di assenza di segni di tossicità. Il trattamento combinato prednisone-azatioprina si è dimo-strato più efficace del solo predni-sone 6; ma, ancora più importante, l’effetto “risparmiatore di steroidi” dell’azatioprina permette una più rapida riduzione della dose del prednisone, limitandone gli effetti collaterali.

Questa indicazione posologica si riferisce in particolare alla forma sintomatica all’esordio dell’EAIG (ittero, astenia, marcata epato-citolisi, ipergammaglobulinemia) che caratterizza circa i tre quarti dei pazienti. Più difficile sarà la scelta terapeutica, specialmente nei termini di dose di corticoste-roidi, per quei casi il cui esordio è asintomatico, legato al riscontro occasionale di un’epatomegalia e/o splenomegalia o di un’eleva-zione degli enzimi epatici. In tali casi, la dose dello steroide dovrà essere personalizzata, partendo da 1  mg/kg/die, sulla base di una valutazione globale (biochi-mica e istologica) dell’attività di malattia.Come già accennato, in caso di schema terapeutico convenzio-nale, la fase di transizione verso la terapia di mantenimento pas-sa attraverso il passaggio alla somministrazione a giorni alter-ni dello steroide da completar-si idealmente, e nella migliore delle ipotesi, dopo 6-12  mesi di terapia. L’ulteriore riduzione del-la dose di prednisone, per una durata complessiva di 2-4  anni andrà compiuto riducendo ul-teriormente, di solito per “fette” di 2,5  mg, la dose di predniso-ne residua, fino a sospensione completa, per lasciare il paziente in monoterapia con azatioprina. L’azatioprina è generalmente effi-cace nel mantenere la remissione riducendo il rischio di ricadute 8 e andrà mantenuta per almeno un anno, per una durata complessi-va di terapia, come si è detto, di circa cinque anni.

Effetti collaterali del trattamento convenzionaleSono quasi esclusivamente cau-sati dai corticosteroidi, se man-tenuti a dosi elevate e per periodi prolungati e sono rappresentati,

in particolare, dall’eccessivo au-mento del peso e dalla riduzione della velocità di crescita statura-le. Questi effetti, trascurabili se i pazienti sono seguiti da medici esperti, potranno sfociare in obe-sità, blocco della crescita, com-parsa di strie cutanee deturpanti, collasso vertebrale, cataratta sin-tomatica, iperglicemia e disturbi psicotici se la dose di cortico-steroidi dovesse essere mante-nuta a livelli elevati e per periodi prolungati. L’azatioprina è invece raramente responsabile di effetti collaterali gravi quali, in particola-re, una citopenia tale da richiedere la riduzione fino alla sospensione del farmaco. La sua teratogeni-cità e oncogenità nell’uomo non sono dimostrate con certezza. È certamente auspicabile evitare l’uso dell’azatioprina in corso di gravidanza, anche se sono egual-mente segnalate gravidanze con buon esito in corso di trattamen-to con questo farmaco. In gravi-danza basse dosi di prednisolone sono l’alternativa all’azatioprina. La gravidanza è di per sé un po-tente immunosoppressore nello specifico caso dell’EAIG, tuttavia i pazienti andranno sorvegliati con attenzione sia durante la gravi-danza che specialmente nel post-partum, per il possibile rischio di ricaduta.Da quanto detto si possono de-

Tabella II. Controindicazioni relative alla terapia “convenzionale”.

Obesità/eccesso di peso

Diabete mellito/intolleranza glucidica

Spurt puberale

Ipertensione arteriosa

Ipostaturalità

Problematiche psichiatriche

Candidiasi muco-cutanea e/o viscerale

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NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Trattamento della epatite autoimmune giovanile

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sumere le controindicazioni, tutte relative, al trattamento convenzio-nale, riassunte in Tabella II.

Trattamenti alternativi La mancata risposta al trattamen-to convenzionale in circa il 10% dei pazienti e i possibili effetti col-laterali dei corticosteroidi hanno stimolato la ricerca di soluzioni terapeutiche alternative. La ciclo-sporina  A, la cui prima segnala-zione di efficacia nel trattamento dell’epatite autoimmune risale al 1985, è certamente il farmaco per cui esiste una consolidata espe-rienza di efficacia e di buona tolle-rabilità. La ciclosporina A (CYA) è efficace nell’indurre in remissione bambini e adolescenti con EAIG alla dose mediana di 5  mg/kg/die con ciclosporinemie residuali corrispondenti a 200-250 ng/ml 9. Una volta in remissione, la dose andrà progressivamente ridotta per ottenere ciclosporinemie resi-duali di 100-150 ng/ml. Il paziente potrà allora essere orientato verso un trattamento convenzionale di mantenimento, sia esso con due farmaci (azatioprina e prednisone a dose intorno a 1 mg/kg/die), sia con azatioprina in monoterapia.Un’altra opzione è quella di con-tinuare a utilizzare la CYA, a dosi ulteriormente decrescenti fino a ot-tenere ciclosporinemie residuali tra 50 e 100 ng/ml. Gli effetti collaterali della CYA, nel breve e medio termi-ne, sono pochi, ben tollerati e co-munque reversibili con la riduzione della dose  9,  10, mentre non sono stati ancora prodotti dati sull’effica-cia e sulla sicurezza a lungo termi-ne del trattamento con CYA.Il micofenolato-mofetile (MFM, 20  mg/kg due volte al giorno) è un’alternativa all’azatioprina per consolidare il mantenimento o per potenziare un farmaco di prima linea come lo steroide o la ciclo-sporina.

È stato impiegato con successo in associazione ai corticosteroidi in pazienti intolleranti all’azatiopri-na o nei pazienti scarsamente re-sponsivi alla terapia convenziona-le. Gli effetti indesiderati del MFM includono cefalea, diarrea, vertigi-ni, perdita di capelli e neutropenia.La budesonide, un corticosteroi-de rapidamente metabolizzato e quindi con bassa distribuzio-ne sistemica, è stato utilizzato in associazione all’azatioprina con minori effetti collaterali rispetto al prednisone  11. Tuttavia la bassa percentuale di remissione osser-vata in questo studio in rapporto ad altri, suggerisce cautela nel suo impiego come trattamento di prima scelta dell’EAIG. Più recentemente è stato riportato l’uso del rituximab, un anticorpo monoclonale anti-CD20 che pro-duce una marcata deplezione dei linfociti B, come terapia di salva-taggio di pazienti non responsivi ai trattamenti succitati.Il trapianto di fegato può essere discusso all’esordio, per quei pa-zienti che non rispondano al trat-tamento immunosoppressivo “di salvataggio”, sia nel medio-lungo termine per i pazienti con cirrosi alla diagnosi, che sviluppino una progressiva e irreversibile insuffi-cienza epatica terminale. La sopravvivenza post-trapianto in questi pazienti è dell’86% a cin-que anni, tuttavia con un rischio di recidiva dell’epatite autoimmune sul graft variabile dal 15 al 39%, quindi non trascurabile.

Evoluzione a lungo termineIl trattamento immunosoppres-sivo ha modificato radicalmente l’evoluzione dell’EAIG rispetto alle precedenti esperienze dell’adulto con epatite autoimmune, dove cir-ca il 40% dei pazienti con malattia severa sintomatica, non trattati, decedeva entro i sei mesi dalla

diagnosi e dove i pazienti che so-pravvivevano, sempre senza trat-tamento, sviluppavano una cirrosi in almeno il 40% dei casi.Tuttavia l’evoluzione a lungo ter-mine dei pazienti con EAIG, che hanno risposto al trattamento im-munosoppressivo, rimane ancora poco conosciuta nei dettagli, an-che se la prognosi è oggi conside-rata generalmente buona, anche in termini di qualità di vita.Nelle principali casistiche riporta-te, la sopravvivenza dei pazienti trattati supera l’80% a dieci anni, con fegato nativo in oltre il 60% dei casi.La presenza di cirrosi all’esordio non sembra impattare negativa-mente sulla sopravvivenza a lungo termine, mentre valori di bilirubina e INR alterati alla diagnosi sono stati identificati come rilevanti fat-tori di rischio di morte e/o di ricor-so al trapianto di fegato.Un trattamento immunosoppres-sivo, di solito rappresentato da una monoterapia con azatiopri-na, è richiesto nella maggioranza dei pazienti per il mantenimento di una remissione nel lungo ter-mine, anche se una percentuale variabile dal 13 al 20% dei casi riesce a mantenere una remissio-ne stabile anche dopo la comple-ta sospensione di ogni trattamen-to farmacologico. Lo sviluppo di un’insufficienza epatica terminale in pazienti cirrotici in remissione bioumorale farmacologica è tutta-via possibile in un numero limitato di pazienti giovani adulti.

ConclusioniL’epatite autoimmune giovanile sintomatica è una malattia rapi-damente evolutiva verso la cirrosi e l’insufficienza d’organo. La ra-pidità della sua evoluzione rende necessaria una diagnosi precoce. La maggioranza dei pazienti ri-sponde efficacemente a un trat-tamento immunosoppressivo che

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G. Maggiore et al.

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deve essere tuttavia mantenuto nel tempo, alla più bassa dose possi-bile, a causa del consistente ri-schio di ricaduta della malattia. Le informazioni disponibili sul destino a lungo termine di questi pazienti sono limitate e quindi è auspica-bile che siano prodotti nuovi studi concernenti la possibilità di mante-nere una condizione di remissione stabile e persistente dopo sospen-sione del trattamento immuno-soppressivo. Questa informazione avrà una fondamentale rilevanza per un adeguato “counselling” dei pazienti alla diagnosi.

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• Il trattamento dell’EAIG si basa sull’immunosoppressione farmacologica. Nei casi di esordio con epatite fulminante e nei casi di progressione di malattia con insufficienza epatica terminale può invece essere necessario un trapianto epatico.

• Il trattamento consta di una prima fase di normalizzazione della funzione epatocellulare e di induzione della remissio-ne clinica e biochimica della malattia e di una seconda fase di mantenimento volta a impedire il verificarsi di ricadute.

• Prednisone e azatioprina costituiscono il trattamento cosiddetto “convenzionale”, mentre tra le terapie “alternative” la ciclosporina è il farmaco per cui esiste una più consolidata esperienza di efficacia.

• La durata ottimale del trattamento non è nota, ma dato il significativo rischio di ricadute, il trattamento, alla più bassa dose possibile, deve certamente essere prolungato.

• La sopravvivenza dei pazienti trattati supera l’80% a dieci anni, con fegato nativo in oltre il 60% dei casi, tuttavia l’evoluzione a lungo termine rimane ancora poco conosciuta.

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167Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:167; doi: 10.19208/2282-2453-136

Un’ematemesi come un’altra: si parte sempre dall’anamnesi!

A hematemesis as another: it always starts by history!

Silvia Iuliano1 (foto)Marco Manfredi1

Federica Gaiani2

Barbara Bizzarri2

Pierpacifico Gismondi1

Fabiola Fornaroli2

Gian Luigi de’Angelis1, 2

1 Unità Operativa di Clinica Pediatrica, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma; 2 Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma

Indirizzo per la corrispondenza

Marco ManfrediUnità Operativa di Clinica Pediatrica, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Ospedale dei Bambini “Pietro Barilla”via Gramsci 14, 43126 ParmaE-mail: [email protected]

CASE REPORTa cura diANTONIO DI MAURO

Presentazione clinica C. è una bambina di 5 anni e 4 mesi. Peso: 13.850 kg (10-25°pct). Ex pretermine (34  settimane), ricoverata in patologia neonatale. Ipotiroidismo in terapia sostitutiva. Diagnosi di Sindrome di Turner all’età di 3 anni (monoso-mia X0, forma omogenea). Ipertransaminasemia di ndd di recente insorgenza. La settimana precedente, ricovero di 24 ore presso ospedale limitrofo per disidratazione e calo ponderale (-2 kg) in corso di gastroenterite febbrile. Dopo 4 giorni viene ricondotta presso l’Ambulatorio Urgenze del nostro ospedale per episodio di ematemesi, incostan-te febbricola e decadimento delle condizioni generali.

Esame obiettivoTC 37,2°C, FC 120/bpm, SATO2 97%. Aspetto distro-fico, cute ipoelastica e pallida, labbra secche, lingua impaniata. Faringe iperemico. Addome lievemente meteorico, trattabile, non dolente, guazzamenti sparsi. Organi ipocondriaci in sede. Si evidenziano: anemia normocromica normocitica (Hb 11,3 g/dL), leucocito-si neutrofila (12,970/Ul), lieve rialzo degli indici di flo-gosi (PCR 12,8 mg/dL) e di funzionalità epatica (AST 72  U/L), riduzione della p-colinesterasi (4732  U/L) e aumento della LDH (727  U/L). Diselettrolitemia (Na 132mEq/L, Cl 93, K 3 mEq/L). PT ratio 1,57 secondi. Intrapresa idratazione ev con correzione degli elettro-liti. Nuovo rialzo febbrile (TC 37,6°C). Addome teso, scarsamente trattabile. All’ecografia addominale: ascite discreta, fegato con ecostruttura accentuata, a carico del lobo sn “area micronodulare ipoecogena” (6 x 5 cm), ispessimento delle pareti della vena porta con lume ristretto. Modica splenomegalia (Fig. 1).

Possibili ipotesi diagnostiche • Epatopatia autoimmune • Malformazione epatica congenita• Neoformazione epatica• Cavernoma portale con epatopatia

Figura 1.Nodulo epatico del lobo sn con parenchima a im-pronta steato-fibrotica.Sviluppo e soluzione del caso clinico

a pagina 187

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168 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:168-171; doi: 10.19208/2282-2453-137

Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambinoAppropriateness of pediatric colonoscopy

Giuliano Lombardi (foto)Maria Teresa Illiceto

UOC Pediatria Medica, Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia

Digestiva Pediatrica Ospedale Civile “Spirito Santo”, Pescara

Key wordsPediatric colonoscopy • Guidelines •

Appropriateness of colonscopy

AbstractAppropriate care is a crucial element of quality. In 2008, the ASGE and NASPGHAN published guide-lines for the appropriate use of gastrointestinal endoscopy in children. Few data are available in Literature about their applicability in clinical prac-tice. A retrospective observational multicenter ex-ploratory review was performed in 13 Italian Cent-ers of Pediatric Gastroenterology. No statistically differences were found between clinical practice and NASPGHAN-ASGE guidelines.

Indirizzo per la corrispondenza

Giuliano LombardiUOC Pediatria Medica, Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Pediatrica, Ospedale Civile “Spirito Santo”via Fonte Romana 8, 65125 PescaraE-mail: [email protected]

a cura diSalvatore Oliva

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY

IntroduzioneNegli ultimi decenni la colonscopia ha rappresentato uno strumento diagnostico sempre più utilizzato per la sua elevata sensibilità e specificità nell’identifica-re le diverse patologie del colon, per l’ampia facilità di diffusione e per la capacità di campionamento dei tessuti come pure per eseguire manovre terapeutiche. Considerata la crescente necessità di garantire assi-stenza sanitaria di alta qualità e di contenerne i costi, risulta quindi di fondamentale importanza l’appropria-tezza delle procedure mediche, inclusa la colonscopia. I criteri di appropriatezza di una procedura dovrebbero essere basati sull’evidenza di efficacia, effetti collate-rali e risultati, e idealmente dovrebbero essere valutati in trial controllati randomizzati. Tuttavia l’evidenza spe-rimentale spesso non è facilmente applicabile e in gra-do di rispecchiare adeguatamente la pratica clinica.

backgroundNel 1998 un Panel di esperti europei (European Pa-nel on the Appropriateness of Gastrointestinal En-doscopy – EPAGE) ha utilizzato il “metodo di appro-priatezza RAND/UCLA”  1 per combinare le maggiori evidenze scientifiche con le proprie esperienze per-sonali, redigendo una lista di criteri di appropriatezza della colonscopia 1, poi revisionati nel 2008 (EPAGE II). Le colonscopie vennero definite appropriate se i be-nefici superavano i rischi attesi, con un margine tanto significativo da rendere indicate le procedure. Tali indi-cazioni furono ulteriormente valutate per determinare la necessità delle colonscopie non “appropriate”, che venne definita tale “nel caso in cui i benefici ottenuti fossero così significativi da ritenere la procedura l’uni-ca scelta eticamente corretta”.Nel 2000, anche la Società Americana di Endosco-pia Digestiva (ASGE) ha redatto le proprie linee guida sull’uso appropriato dell’endoscopia nell’adulto, clas-sificando le procedure “generalmente indicate” o “ge-neralmente non indicate” 2.La colonscopia in età pediatrica è un esame strumen-tale estremamente utile in casi selezionati, ma presen-

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ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambino

169

ta delle peculiarità proprie rispetto all’età adulta, sia per le indicazioni sia per le procedure da mettere in atto.Nel 2008, la stessa ASGE insie-me alla Società Nord-Americana di Gastroenterologia, Epatolo-gia e Nutrizione Pediatrica (NA-SPGHAN) ha revisionato le proprie linee guida, aggiungendo chiare indicazioni per l’endoscopia in età pediatrica (Tab. I) 3.In letteratura sono riportati diversi studi che hanno cercato di valu-tare l’applicabilità nella pratica cli-nica delle linee guida per l’adulto, dimostrando che la percentuale di procedure inappropriate rima-ne comunque alta (13-37% nel mondo)  4. Diversi autori, in un si-stema prescrittivo “open-access”, ritengono efficace un adeguato programma educativo per medici generici e specialisti, al fine di ri-durre la percentuale di procedure inappropriate 5.Per l’età pediatrica purtroppo sono disponibili dati molto limi-tati. Lee et al.  6 hanno condotto una valutazione su un campione di 345 procedure endoscopiche

(di cui solo 70 colonscopie), rile-vando che le linee guida ASGE-NASPGHAN risultano più efficaci nell’indicare un riscontro endo-scopico positivo, e meno sensibili nel modificare la diagnosi clinica iniziale o il conseguente piano te-rapeutico.Più recentemente la Società Euro-pea di Endoscopia Gastrointesti-nale (ESGE) e la Società Europea di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica hanno pub-blicato nuove linee guida, basate sull’evidenza e sul Consenso di un Panel di esperti, definendo chiare indicazioni cliniche alle procedure endoscopiche diagnostiche e te-rapeutiche, anche rispetto al loro timing. Per la colonscopia in età pediatrica le linee guida ESGE-NASPGHAN differiscono da quelle ASGE-NASPGHAN per la esclusione del dolore addomina-le tra le indicazioni diagnostiche, e l’inserimento della riduzione di volvolo del sigma tra quelle tera-peutiche; definite non-indicate le procedure per disturbi gastroin-testinali funzionali e stipsi, mentre controindicazioni assolute sono

rappresentate da megacolon tos-sico, recente perforazione intesti-nale e/o resezione intestinale.

Progetto SIGENPIn 13 Centri italiani di Endoscopia digestiva pediatrica (Brescia, Fi-renze, Foggia, Genova, Messina, Milano, Napoli Federico II, Pa-dova, Parma, Pescara, Roma La Sapienza, Roma OPBG, Trento) è stato condotto uno studio multi-centrico esplorativo retrospettivo osservazionale, per valutare la applicabilità e la corrisponden-za delle linee guida ASGE/NA-SPGHAN della appropriatezza della colonscopia in età pedia-trica nella pratica clinica in Ita-lia. 660 pazienti con età media 9,2  ±  4,8  anni, (365  M e 295  F) sottoposti a colonscopia sono stati valutati riportando: sinto-mi, indicazione alla colonscopia, tipo di sedazione e di ricovero, riscontri endoscopici e istologi-ci, diagnosi definitiva, grado di appropriatezza. Quest’ultima è stata definita dal Panel in base a: A) scala di appropriatezza “quan-titativa” da 1 a 9 (1-3 inappropria-ta; 4-6 dubbia; 7-9 appropriata), B) linee guida ASGE/NASPGHAN e C) giudizio di “necessità” defi-nito dal Coordinatore del Centro. È stata poi valutata l’accuratez-za diagnostica della colonscopia correlando diagnosi endoscopi-ca e diagnosi istologica (ritenuta gold standard), al fine di capire se le procedure ritenute appropriate siano statisticamente “accurate” ai fini diagnostici. Inoltre, al fine di meglio valutare il concetto di necessità, è stato considerato il “valore contributivo positivo e negativo” della procedura rispet-to all’iter diagnostico-terapeutico del paziente. Infatti, una colon-scopia “negativa” (non patologi-ca macroscopicamente né istolo-gicamente) potrebbe comunque modificare positivamente l’iter

TABELLA I.Indicazioni alla colonscopia in età pediatrica ASGE-NASPGHAN.

Diagnostica

Diarrea (cronica, perdita di peso clinicamente significativa, febbre, anemia)

Ematochezia/melena

Anemia di n.d.d.

Dolore addominale clinicamente significativo

Poliposi (diagnosi e sorveglianza)

Rigetto in trapianto intestinale

Lesioni del tratto gastro-intestinali “basso” evidenziate all’imaging

Scarso accrescimento/perdita di peso

Terapeutica

Polipectomia

Rimozione corpo estraneo

Dilatazione stenosi

Controllo sanguinamento intestinale “basso”

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G. Lombardi, M.T. Illiceto

170

diagnostico e/o terapeutico (va-lore contributivo positivo).

RisultatiI risultati dello studio, già presen-tati in ambito SIGENP e in fase di valutazione per pubblicazione, hanno identificato come indica-zioni più comuni alla colonsco-pia dolore addominale (58,8%), diarrea cronica (49,5%) e san-guinamento rettale (45,6%). Le colonscopie definite appropria-te dal Panel erano il 94%, verso il 95% delle linee guida ASGE/NASPGHAN, con un’elevata cor-rispondenza tra le due valutazioni (Tab. II). L’accuratezza diagnostica complessiva è risultata del 74% (il grado di accordo tra diagnosi en-doscopica e diagnosi istologica stimato tramite l’indice K pari a 0,66 indicava un valore statistica-mente significativo; test Z = 27,4; p < 0,001). La percentuale di co-lonscopie con effetto contributivo positivo è risultata statisticamente rilevante (95,4%).

Conclusioni e messaggiTanto maggiore risulta il grado di appropriatezza di una procedura, tanto più efficiente ed efficace ri-sulta il sistema di assistenza sa-nitaria. L’applicazione delle linee guida ASGE-NASPGHAN per la colonscopia in età pediatrica ri-sulta efficace nella pratica clinica, anche se ulteriori studi sono ne-cessari. Verosimilmente a questo contribuisce l’indicazione diretta alla procedura da parte degli en-doscopisti pediatri che, più spes-so dei loro colleghi dell’adulto, sono i diretti prescrittori oltre che esecutori della colonscopia.Sarà interessante valutare se e quanto le nuove linee-guida ESGE-ESPGHAN possano miglio-rare l’appropriatezza della colon-scopia nel bambino.

Bibliografia1 Gonvers JJ, Harris JK, Wietlisbach

V, et al. A European view of diag-

nostic yield and appropriateness of colonoscopy. Hepatogastroen-terology 2007;54:729-35.

2 American Society of Gastrointesti-nal Endoscopy. Appropriate use of gastrointestinal endoscopy. Gas-trointest Endosc 2000;52:831-7.

3 North American Society for Pedi-atric Gastroenterology, Hepatol-ogy and Nutrition; and American Society for Gastrointestinal En-doscopy. Modifications in en-doscopic practice for pediatric patients. Gastrointest Endosc 2008;67:1-9.

4 Harris JK, Froehlich F, Gonvers JJ, et al. The appropriateness of colo-noscopy: a multi-center, internation-al observational study. Int J Quality Health Care 2007;19:150-7.

5 Grassini M, Verna C, Battaglia E, et al. Education improves colo-noscopy appropriateness. Gastro-intest Endosc 2008;67:88-93.

6 Lee WS, Zainuddin H, Boey CCM, et al. Appropriateness, endo-scopic findings and contributive yield of pediatric gastrointestinal endoscopy. World J Gastroenterol 2013;19:9077-83.

7 Thomson M, Tringali A, Landi R,

TABELLA II.Multicentrica SIGENP: frequenza e percentuali di colonscopie ritenute appropriate rispetto ai sintomi.

SintomiAppropriata

7-9Necessaria

4-6Inappropriata

1-3

ASGE NASPGHAN

Appropriata DubbiaNon

appropriata

Dolore addominale 178 (46) 181 (47) 29 (7) 314 (81) 51 (13) 23 (6)

Diarrea cronica 161 (49) 152 (46) 14 (5) 288 (88) 30 (9) 9 (3)

Rettorragia 145 (48) 134 (44) 22 (8) 246 (82) 34 (11) 9 (3)

Stipsi cronica 119 (56) 81 (38) 11 (6) 167 (79) 31 (15) 13 (6)

Perdita peso 76 (48) 77 (49) 5 (3) 140 (89) 11 (7) 7 (4)

Febbre 50 (44) 57 (50) 6 (6) 98 (87) 9 (8) 6 (5)

Scarso accrescimento

38 (56) 26 (38) 4 (6) 60 (88) 8 (12) -

Ragadi anali 29 (52) 21 (37) 6 (11) 41 (74) 9 (16) 6 (10)

Fistola perianale 9 (60) 5 (33) 1 (7) 13 (87) 2 (13) -

Ascesso perianale 9 (60) 5 (33) 1 (7) 12 (80) 3 (20) -

Melena 8 (67) 4 (33) - 5 (42) 3 (25) 4 (33)

Totale 822 (49) 743 (45) 99 (6) 1384 (83) 191 (12) 88 (5)

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ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambino

171

et al. Pediatric Gastrointestinal Endoscopy: European Society of Pediatric Gastroenterology Hepa-

tology and Nutrition (ESPGHAN) and European Society of Gastroin-testinal Endoscopy (ESGE) Gui-

delines. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2016;Sep 12 [Epub ahead of print].

• Un elevato grado di appropriatezza delle colonscopie corrisponde a una buona pratica clinica, a una riduzione della spesa sanitaria e a una riduzione/adeguamento delle liste di attesa.

• Per l’età pediatrica si fa riferimento alle linee guida ASGE-NASPGHAN e più recentemente alle nuove linee guida ESGE-ESPGHAN.

• Lo studio condotto in 13 Centri italiani di endoscopia digestiva pediatrica ha evidenziato un elevato grado di appro-priatezza delle colonscopie effettuate.

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172 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VII:172-177; doi: 10.19208/2282-2453-138

Diarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche Congenital diarrheal disorders: toward a new classification deriving from more recent scientific evidence

Vincenza Pezzella1

Giuseppe Castaldo2, 3

Roberto Berni Canani3, 4, 5 (foto)

1 Dipartimento della Donna, del Bambino e Chirurgia Generale e

Specialistica, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli;

2 Dipartimento di Medicina Molecolare and Biotecnologie

Mediche, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 3 CEINGE Biotecnologie Avanzate, Università

di Napoli Federico II, Napoli; 4 Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali,

Sezione Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 5 Laboratorio Europeo per lo

Studio delle Malattie Indotte dagli Alimenti, ELFID, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

Key wordsChronic diarrhea • Genes • Molecular analysis

AbstractCongenital diarrheal disorders (CDDs) represent an evolving group of rare chronic enteropathies with a typical onset early in the life. Severe chronic diarrhea represents the main clinical manifestation, but in some patients diarrhea is only a component of a more complex systemic disease. The number of conditions has gradu-ally increased, and many new genes have been indentified and functionally related to CDDs, opening new diagnostic and therapeutic per-

spectives.

Indirizzo per la corrispondenza

Roberto Berni CananiDipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione Pediatria, Università degli Studi di Napoli, Federico II via Sergio Pansini 5, 80131 NapoliE-mail: [email protected]

a cura diSalvatore Accomando

RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE

IntroduzioneLe diarree congenite (CDD) sono un gruppo di rare en-teropatie a eziologia eterogenea ed esordio nei primi giorni di vita. Le forme più severe sono caratterizza-te da diarrea cronica con massiva perdita di fluidi a livello intestinale, che richiede spesso una nutrizione parenterale. La diarrea può essere il risultato di un meccanismo secretivo e/o osmotico o infiammato-rio. La diarrea secretiva si caratterizza per un aumen-to delle secrezioni di fluidi nel lume intestinale, come accade spesso nella malattia da inclusioni microvillari (MVID). La diarrea osmotica è causata dalla presen-za di nutrienti non assorbiti che richiamano fluidi nel lume intestinale. Un esempio tipico è rappresentato dal malassorbimento di glucosio-galattosio. La forma infiammatoria riconosce una disregolazione del siste-ma immunitario che conduce a infiltrato infiammato-rio e danno della mucosa intestinale, come si osserva nella sindrome legata all’X da immunodisregolazione-poliendocrinopatia-enteropatia (IPEX). Le nuove co-noscenze sulla patogenesi suggeriscono l’utilità di un sistema di classificazione basato sul principale mec-canismo patogenetico (Fig. 1). Questa classificazione comprende difetti: 1) della digestione e assorbimento di nutrienti ed elettroliti; 2) della struttura enterocitaria; 3) della differenziazione delle cellule enteroendocrine; 4) dell’omeostasi immunitaria intestinale 1.

Difetti nella digestione e assorbimento di nutrienti ed elettrolitiÈ il gruppo più numeroso. Non si osservano in genere alterazioni istologiche e ultrastrutturali a livello intestina-le. Classici esempi sono il malassorbimento di glucosio-galattosio e la cloridorrea congenita, ma nuove condi-zioni sono state descritte più recentemente 2, 3 (Tab. I).

Diarrea sindromica familiareRiscontrata in 32 membri di una famiglia norvegese e caratterizzata da diarrea cronica a esordio precoce, me-teorismo, dolore addominale, dismotilità e IBD (in una

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RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: nuova classificazione

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parte dei pazienti). Tutti i pazienti mostrano una mutazione missen-so in eterozigosi (p.Ser840Ile) del gene GUCY2C, codificante per il recettore della guanilato ciclasi intestinale. La mutazione provo-ca aumento di cGMP responsa-bile a sua volta dell’attivazione di protein chinasi GII che fosforilano il canale CFTR con conseguente severa diarrea secretiva cronica 4.

Deficit di DGAT1Una rara mutazione a carico del gene DGAT1 (codificante per una acyl CoA: diacylglycerol acyltran-sferasi1) è stata descritta in due neonati con diarrea severa ed en-teropatia proteino-disperdente. Questo enzima è importante nelle ultime fasi di sintesi di trigliceridi.

Si ipotizza che i diacilgliceroli e aci-di grassi non utilizzati per la sintesi dei trigliceridi raggiungono l’inte-stino e agiscono come composti tossici tramite vie del segnale dei lipidi oppure come detergenti 5.

Difetti della struttura dell'enterocitaSi distinguono per le tipiche ca-ratteristiche istologiche e ultra-strutturali, includono 2 condizioni principali: MVID e l’enteropatia a ciuffi (CTE). La diarrea sindromi-ca, detta anche diarrea fenotipica o syndrome trico-entero-epatica (THE), è comunemente inclusa in questo gruppo (Tab. I). I progres-

si nella gestione di questi pazienti con la nutrizione parenterale e il trapianto intestinale hanno ridotto il tasso di mortalità.

Malattia da inclusioni microvillariLa caratteristica patognomonica è la perdita del brush border apicale e la formazione di inclusioni mi-crovillari intracellulari. La maggior parte dei pazienti con esordio pre-coce presenta una mutazione inat-tivante del gene della miosina Vb (MYO5B) 6, che insieme alle GTPasi della famiglia RAB, è responsabile della polarità cellulare, del traffico intracellulare e della crescita dei microvilli. Un’alterazione di questo meccanismo conduce a una ridu-zione nei processi di assorbimento cellulare. Oltre alla diarrea cronica, i pazienti MVID possono svilup-pare colestasi. Il sequenziamento genico di pazienti con MVID con fenotipo clinico più sfumato, ha messo in evidenza un’alterazione nel gene della sintaxina 3 (STX3), responsabile del traffico proteico, fusione vescicolare e polarità cel-lulare a livello intestinale, epatico, renale e gastrico.

Enteropatia a ciuffiI pazienti mostrano le tipiche cel-lule a ciuffo che possono essere presenti dal duodeno al grosso intestino. La patologia è da corre-lare a mutazioni a carico del gene delle molecule di adesione cel-lulare epiteliale (EPCAM). Questi pazienti, in genere, mostrano solo diarrea cronica in assenza di altri sintomi extra-intestinali, a ecce-zione di una parte di pazienti che sviluppano artrite a esordio tardi-vo. Un secondo gruppo di pazienti mostra una mutazione in SPINT2, conosciuto anche come inibitore del fattore di crescita epatocitaria. Bambini con la variante SPINT2 presentano una forma sindromica di CTE, caratterizzata da diarrea cronica, cheratite puntata ed atre-

Figura 1. Classificazione eziopatogenetica delle diarree congenite.

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V. Pezzella et al.

174

Tabella I.Genetica ed epidemiologia delle principali diarree congenite.

Difetti nell’assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti

MalattiaGene(Numero OMIM)

Incidenza e trasmissione

Attività biologica alterata e proteine coinvolte

Cloridorrea congenita SLC26A3(126650)

AR; comune in Finlandia, Polonia, Golfo Persico; poche centinaia di casi in altri gruppi etnici

Alterata attività dello scambiatore Cl–/HCO3–

Sodiorrea congenita* SPINT2*(605124)

AR; pochi casi descritti Alterata funzione dello scambiatore Na+/H+ a livello digiunale dovuto a una ridotta attività dell’inibitore di serina peptidasiKunitz tipo 2

Deficit congenito di lattasi LCT(603202)

AR; 1:60,000 in Finlandia; poche centinaia di casi in altri gruppi etnici

Ridotta attività idrolasica dell’enzima lattasi

Deficit saccarasi-isomaltasi SI(609845)

AR; 1:5,000; più alta in Groenlandia, Alaska e Canada

Ridotta attività dell’enzima saccarasi-isomaltasi

Deficit maltasi-glucoamilasi

MGAM(154360)

AR; pochi casi descritti Ridotta attività dell’enzima maltasi-glucoamilasi

Malassorbimento glucosio-galattosio

SLC5A1(182380)

AR, poche centinaia di casi descritti

Alterato assorbimento di sodio-glucosio

Sindrome di Fanconi-Bickel SLC2A2(138160)

AR, poche centinaia di casi descritti

Alterata attività di un trasportatote di glucosio a livello epatico, pancreatico ed enterocitario

Acrodermatite enteropatica SLC39A4(607059)

AR; 1:500.000 Alterata attività del trasportatore di Zn2+

Intolleranza alle proteine con lisinuria

SLC7A7(603593)

AR; poche centinaia di casi descritti

Alterato trasporto di amminoacidi

Diarrea da acidi biliari primari

SLC10A2(601295)

AR, pochi casi descritti Ridotto riassorbimento enteroepatico di acidi biliari

Deficit di enterochinasi TMPRSS15(606635)

AR, pochi casi descritti Alterata attivazione di tripsinogeno da parte di una serina proteasi transmembrana

Abetalipoproteinemia MTTP(157147)

AR; 150 casi descritti Alterata attività trasferasica di trigliceridi microsomiali, sintesi più bassa di VLDL e ridotto assorbimento di lipidi

Ipobetalipoproteinemia Apo B(107730)

Autosomica co-dominante1:1,000–1:3,000

Alterata struttura e attività di apolipoproteinaB e conseguente ridotto assorbimento di lipidi

Malattia da accumulo di chilomicroni

SAR1B(607690)

AR, 40 casi descritti Alterato trasporto di chilomicroni a livello enterocitario dovuto all’alterata attività di piccole GTPase

Diarrea sindromica familiare

GUCY2C(601330)

AR, una famiglia descritta

Aumentata attività di guanil ciclasi 2C aumenta i livelli di cGMP, iperattivandoCFTR intestinale

Diarrea associata a mutazione di DGAT1

DGAT1(604900)

AR, una famiglia Ashkenazi descritta

Alterata attività della diacilglicerolo aciltrasferasi 1; effetti sconosciuti

*Analisi del brush border intestinale dei pazienti affetti ha rivelato che la condizione è causata da un difetto funzionale in uno degli scambiatori Na+/H+ localizzati sulla membrana apicale delle cellule epiteliali del piccolo intestino. Nessu-na mutazione è stata riscontrata a carico dei geni codificanti per uno degli scambiatori Na+/H+ identificati fino a oggi (NHE1,NHE2,NHE3, and NHE5). segue tab. I

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RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: nuova classificazione

175

Difetti nella struttura degli enterociti

MalattiaGene(Numero OMIM)

Incidenza e trasmissione

Attività biologica alterata e proteine coinvolte

Malattia da inclusioni microvillari

MYO5B(606540)

AR; rara; frequenza più alta tra i Navajo

Ridotta attività della miosina 5B causa un anomalo riciclo di endosomi

STX3(600876)

AR; 2 pazienti descritti Alterata attività di sintassina 3, coinvolta nella fusione apicale delle vescicole alla membrana

Enteropatia congenita a ciuffi*

EPCAM(185535)

AR; 1:50-100.000; più alta tra gli Arabici

Difetto nell’attività delle molecole di adesione epiteliale

SPINT2(605124)

12 pazienti descritti Alterata attività dell’inibitore della serina peptidasi KunitzTipo 2, coinvolto nella rigenerazione cellulare

Sindrome Trico-epatoenterica (Diarrea sindromica)

TTC37(614589)

AR; pochi casi descritti Alterata sintesi o localizzazione di trasportatori di membrana dovuto a una ridotta attività di TTC37

SKIV2L(600478)

AR; pochi casi descritti Meccanismo non conosciuto dovuto all’alterata attività dell’elicasiSKIV2L

* L’enteropatia congenita a ciuffi associata a mutazioni di EPCAM è caratterizzata solo dall’interessamento intestinale, mentre mutazioni in SPINT2 conducono a una forma sindromica con capelli lanugginosi, basso peso alla nascita, deficit immunitari e diarrea con alta concentrazione di sodio nelle feci.

Difetti nella differenziazione delle cellule enteroendocrine

MalattiaGene(Numero OMIM)

Incidenza e trasmissione

Attività biologica alterata e proteine coinvolte

Anendocrinosi enterica NEUROG3(604882)

AR, pochi casi descritti Neurogenina-3 alterata, regola lo sviluppo delle cellule epiteliali intestinali in cellule endocrine

Lissencefalia X-linked e MR ARX(300382)

X-linked, pochi casi descritti

Attività alterata del fattore di trascrizione ARX, che regola lo sviluppo delle cellule enteroendocrine

Deficit di proproteina convertasi 1/3

PCSK1(162150)

AR, pochi casi descritti Attività ridotta della proproteina convertasi 1/3 coinvolta nella attivazione di pro-ormoni prodotti dalle cellule enteroendocrine

Sindrome di Mitchell-Riley RFX6(612659)

AR, pochi casi descritti Ridotta attività del fattore regolatore X6 coinvolto nella morfogenesi e sviluppo del pancreas

Continua tab. I

segue tab. I

sia delle coane, insieme ad altre anomalie più rare 7.

Sindrome trico-entero-epaticaQuesti pazienti si caratterizza-no per diarrea cronica, dismorfismi facciali e anomalie dei capelli, che possono associarsi o meno ad al-tri segni e sintomi, come il ritardo di crescita intrauterino, immuno-deficienze, anomalie cutanee, pa-

tologia epatica, difetti cardiaci e anomalie delle piastrine. Il quadro istologico varia da una moderata a severa atrofia dei villi con infiltra-zione incostante di cellule mononu-cleate. È causata nel 60% dei casi da una mutazione in TTC37 e nel 40% dei casi da una mutazione in SKIV2L. Entrambi i geni fanno par-te del sistema di sorveglianza della produzione di mRNA 8.

Difetti nella differenziazione delle cellule enteroendocrineLa caratteristica principale di queste condizioni è un’anomalia dello svi-luppo o della funzione delle cellule enteroendocrine, che si può manife-stare con diarrea osmotica cronica, associata o meno ad altre anomalie endocrine sistemiche (Tab. I).

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V. Pezzella et al.

176

Anendocrinosi entericaBambini con deficit di neurogeni-na 3 presentano scarse cellule en-teroendocrine e sviluppano diabe-te mellito insulino dipendente nel corso dell’infanzia, in assenza di altre anomalie endocrine 9.

Sindrome di Mitchell–RileyMutazioni in omozigosi di RFX6 sono associate ad atresia duode-nale, anomalie biliari, diabete mellito neonatale e malassorbimento. RFX6 è una proteina legante il DNA ed è fondamentale per lo sviluppo e la funzione delle cellule enteroendocri-ne, senza intaccarne il numero 10.

Mutazioni nel gene ARXA trasmissione X-linked, è carat-terizzata da ritardo mentale, epi-lessia, lissencefalia, anomalie dei genitali e in alcuni casi diarrea congenita  1. Più del 50% dei pa-

zienti con perdita di funzione del gene ARX ha espansioni di po-lialanina che potrebbe essere re-sponsabile dell’elevata variabilità dei segni neurologici e intestinali 1.

Difetti nell'omeostasi dell'immunità intestinaleUna diarrea cronica severa ad esor-dio precoce può derivare anche da mutazioni a carico dei geni codifi-canti proteine che hanno un impor-tante ruolo della regolazione della risposta immunitaria intestinale. La diarrea può derivare da tre meccani-smi principali: risposta immunitaria alterata contro gli agenti patogeni, infiammazione o assenza di rego-lazione immunitaria. Le enteropatie a base autoimmune si riconoscono nei pazienti che mancano di mecca-

nismi specifici di regolazione immu-nitaria, responsabili dell’aggressio-ne tissutale incontrollata (Tab. I).

IPEXÈ il prototipo di questo gruppo. È dovuta a una mutazione nel gene FOXP3, fondamentale fattore di trascrizione per la funzione del-le cellule timiche T-regolatorie (TREG)  1. Queste cellule sono in grado di controllare le funzioni indesiderate delle cellule  T effet-trici. Le mutazioni sono distribuite lungo tutto il gene e determinano perdita di funzione. Il quadro cli-nico severo già nei primi giorni di vita, fa supporre che il danno intestinale inizi durante la vita fe-tale, indipendentemente da fatto-ri esterni, come la nutrizione e il microbioma intestinale. Utili nella diagnosi sono gli anticorpi anti-armonina  1, una proteina espres-

Difetti nell’omeostasi dell’immunità intestinale

MalattiaGene(Numero OMIM)

Incidenza e trasmissione

Attività biologica alterata e proteine coinvolte

Sindrome IPEX FOXP3(300292)

X-linked, poche centinaia di casi descritti

Alterata attività di FOXP3 coinvolto nello sviluppo delle cellule TREG CD4+CD25+

Sindromi IPEX-like CD25(147730)

AR Alterata sintesi delle catene del recettore per IL-2 sulle cellule TREG

STAT5b(604260)

AR Alterata attività di STAT5b coinvolto nel segnale di IL-2 delle cellule TREG

STAT-1(600555)

AD, perdita/guadagno di funzione

Alterata attività di STAT-1 causa la riprogrammazione delle cellule TREG in cellule TH1-like

ITCH(606409)

AR (una famiglia) Alterata attività di ITCHY E3 ubiquitina ligasi implicata nello sviluppo delle cellule TREG

LRBA (606453) AR,3 famiglie descritte

Alterata attività di LRBA, coinvolto nell’apoptosi delle cellule TREG

Enteropatia a esordio precoce con coliti

IL-10(124092

AR Alterato IL-10 o subunità del suo recettore coinvolti nel controllo della risposta intestinale agli stimoli microbiciIL-10R

146933

IL-10R123889

Continua tab. I

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RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: nuova classificazione

177

sa a livello delle cellule epiteliali. Diversi pazienti con la syndrome IPEX sono stati trattati con un tra-pianto di cellule staminali emopo-ietiche  1, ma questo approccio è limitato dalla disponibilità di dona-tori HLA-compatibili.

Sindromi IPEX-likeQueste condizioni sono associate a mutazioni in geni responsabili della funzione di mantenimento, segnale ed espansione delle cel-lule TREG  1. La diagnosi può es-sere agevolata dal dosaggio della percentuale di specifiche regioni TREG metilate del gene FOXP3 (TSDR) nel sangue periferico. Mutazioni in STAT5B, responsa-bili dell’attivazione del segnale dell’IL-2 dal CD25 a FOXP3, sono state descritte in associazio-ne a un numero ridotto di cellule TREG 1. Bambini con questa mu-tazione presentano altri sintomi oltre quelli intestinali, come ritardo di crescita e patologia polmonare interstiziale. Una condizione IPEX-like (caratterizzata da diarrea) con un profondo deficit delle cellule TREG, ma normale gene FOXP3, è stata associata a una mutazione non-senso nel gene LRBA (fattore responsivo ai lipopolisaccaridi)  1. Questi pazienti hanno immunode-ficienza comune variabile e altera-zioni dell’autoimmunità 1.

Deficit di IL-10 o IL10RCaratterizzate da enterocoliti con lesioni ulcerative in regione peria-

nale e a livello della mucosa inte-stinale 1. Fistole e ascessi possono essere presenti, richiendo multipli interventi chirurgici. Diversi farmaci anti-infiammatori sono stati usati con efficacia limitata. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche è stato usato con successo 1.

ConclusioniNegli ultimi anni, molti progressi sono stati fatti sulla comprensione della patogenesi di queste condi-zioni 1. La diagnosi molecolare ha ulteriormente cambiato lo scena-rio delle CDD, aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche come il trapianto di cellule sta-minali emopoietiche 1 e la terapia genica con endo-nucleasi, inclusi TALENs o CRISPR/Cas9 1. Studi a lungo termine sono necessari per fornire altre informazioni riguardo la prognosi di queste condizioni.

Bibliografia1 Berni Canani R, Castaldo G, Bac-

chetta R, et al. Congenital diar-rhoeal disorders: advances in this evolving web of inherited enter-opathies. Nat Rev Gastroenterol Hepatol 2015;12:293-302.

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10 Suzuki K, Harada N, Yamane S, et al. Transcriptional regulatory factor X6 (Rfx6) increases gastric inhibi-tory polypeptide (GIP) expression in enteroendocrine K-cells and is involved in GIP hypersecretion in high fat dietinduced obesity. J Biol Chem 2013;288:1929-38.

• Le diarree congenite (CDD) sono un gruppo di rare e severe enteropatie con tipico esordio nei primi giorni di vita.

• All’interno delle CDD possiamo distinguere: I. Difetti nell’assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti; II. Difetti nella struttura dell’enterocita; III. Difetti nella differenziazione delle cellule enteroendocrine; IV. Difetti dell’omeostasi immunitaria intestinale.

• Il numero di condizioni incluse nel gruppo delle CDD sta progressivamente aumentando, molti nuovi geni sono stati identificati e correlati funzionalmente a queste patologie.

• La diagnostica molecolare sta acquistando un ruolo sempre più importante e oggi consente di ricorrere a efficienti procedure di sequenziamento genico esteso a costi ragionevoli.

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178 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:178-186; doi: 10.19208/2282-2453-139

Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europeaA Consensus Statement about vitamin D in healthy European pediatric population

Teresa Capriati (foto)

Unità Operativa Semplice di Nutrizione Artificiale, Ospedale

Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma

Key wordsVitamin D • Metabolism of calcium and phosphorus • Milk derivatives

AbstractIn this position paper the ES-PGHAN summarize the published data on vitamin D intake, preva-lence of vitamin deficiency in the

European paediatric population and provide recommendations for the prevention of vita-min D deficiency in this population. The serum concentration > 50 nmol/L (> 20 ng/mL) indi-cate sufficiency and a serum concentration < 25 nmol/L (< 10 ng/mL) indicate severe defi-ciency. Infants should receive an oral supple-mentation of 400 IU/day of vitamin D and should be encouraged to follow a healthy lifestyle associated with a normal body mass index, in-cluding a varied diet with vitamin D – containing foods (fish, eggs, dairy products) and adequate outdoor activities with associated sun expo-sure.

Indirizzo per la corrispondenza

Teresa CapriatiUnità Operativa Semplice di Nutrizione Artificiale, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”piazza S. Onofrio 4, 00165 RomaE-mail: [email protected]

a cura diTeresa Capriati

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

Le raccomandazioniLa Consensus statement 1 della Società di Gastroen-terologia, Epatologia e Nutrizione (ESPGHAN) riassu-me le conoscenze relative al metabolismo e agli ef-fetti sulla salute della vitamina D e i dati relativi alla assunzione della vitamina D e alla prevalenza di ca-renza di vitamina D nella popolazione pediatrica eu-ropea. Al termine della Consensus vengono riportate le raccomandazioni per la prevenzione della carenza di vitamina D nella popolazione sana; vengono esclu-si da queste raccomandazioni i bambini con malattie croniche e i neonati prematuri, per i quali sono state pubblicate dall’ESPGHAN raccomandazioni a parte 2. La Consensus è stata realizzata andando a identificare le pubblicazioni rilevanti uscite fino a novembre 2012 tratte dai database di PubMed, ISI Web of Science, e dalla Cochrane Library. La vitamina D è un nutriente, ma può anche essere sin-tetizzata nella pelle umana attraverso l’esposizione alla luce solare. Alcuni studi sottolineano che l’esposizione solare è il fattore più importante nel determinare il li-vello sierico di vitamina D. La principale funzione della vitamina D è di regolare il metabolismo calcio-fosforo ed è quindi essenziale per il mantenimento della salute delle ossa. Sono stati studiati tuttavia nei bambini e negli adolescenti tanti altri effetti della vitamina D ed in particolare la prevenzione di malattie immuno-corre-late (asma, diabete mellito tipo 1), di malattie infettive (infezioni respiratorie, influenza), e delle malattie car-diovascolari. Negli adulti, inoltre, la vitamina D avrebbe un ruolo nel corretto funzionamento neurofisiologico enella prevenzione del cancro.Nella Tabella I sono riassunti i momenti fondamentali del metabolismo della vitamina D e nella Tabella II gli effetti principali della vitamina D sulla salute di lattanti,bambini e adolescenti secondo quanto riportato dalla Consensus.Per scopi scientifici e clinici, il Committee of Nu-trition dell’ESPGHAN raccomanda l’uso pragmati-co di una concentrazione sierica di 25 (OH) vitami-na D > 50 nmol/L (> 20 ng/mL) per indicare la sufficienza e una concentrazione sierica < 25 nmol/L (< 10 ng/mL)

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GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea

179

per indicare la grave carenza. Il do-saggio della 1,25 (OH) vitamina D, invece, non è utilizzabile per i sud-detti scopi, in quanto ha una breve emivita sierica e il suo livello non è regolato solo dalla assunzione di vitamina D, ma anche da altri fatto-ri quali il paratormone (PTH).

Nella Tabella  III sono riportate le definizioni di sufficienza e carenza di vitamina D secondo l’ESPGHAN e i gruppi a rischio per lo sviluppo di carenza di vitamina D. A com-pletamento dei dati riportati nella Consensus nella Tabella IV vengo-no riportati gli intake di vitamina D

confrontati con la prevalenza nella popolazione pediatrica del deficit di vitamina  D e i dati relativi alla tossicità della vitamina  D. Nella Tabella V riportiamo infine le rac-comandazioni per la prevenzione del deficit di vitamina D nella po-polazione europea pediatrica.

TABELLA I. Fonti, assorbimento, metabolismo e conservazione della vitamina D (calciferolo).

FONTI

Fonti alimentari

Pesci grassi (salmone, sgombro, sardine) Tuorlo d’uovo e alcune specifiche qualità di funghi (in minore quantità)Alimenti fortificati con vitamina D come latte, derivati del latte, margarina, cereali e succhi di frutta (in certi paesi europei) NB: Il contenuto di vitamina D nei latti formulati deve essere da 40 a 100 UI/100 kcal e da 40 a 120 UI/100 kcal nei latti di proseguimento (Direttiva 2006/141/EC Commissione europea) 3

Fonti solari

La pelle umana produce vitamina D con l’esposizione al sole (UVB con lunghezza d’onda 280-315 nm), per conversione del naturale 7-deidrocolesterolo (presente in alte concentrazioni nella pelle umana) in vitamina D3. Tuttavia, la quantità di sole può variare notevolmente da persona a persona.La produzione di vitamina D dipende dalla quantità di UVB e quindi da:• pigmentazione della pelle;• uso di creme solari: la produzione cutanea di vitamina D può essere completamente abolita quando ci si attiene alla quantità

di crema solare e fattore di protezione solare (SPF) raccomandato dalla OMS;• tipo di abbigliamento;• stagione dell’anno;• latitudine geografica. L’esposizione al sole non può portare a concentrazioni di vitamina D tossiche.

METABOLISMO

Le 2 forme principali sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo). Le vitamine D2 e D3 derivanti da fonti nutrizionali vengono assorbite nel piccolo intestino. L’assorbimento è dipendente dalla presenza dei grassi, in quanto questi stimolano la produzione di lipasi pancreatica e di acidi biliari. Le vitamine D2 e D3 sono entrambi pro-ormoni inattivi che si legano alla vitamina D-binding protein per essere trasportati al fegato, dove vengono convertiti in 25-idrossivitamina D (25-(OH)-D) grazie all’enzima 25-idrossilasi. La 25-(OH)-D subisce ulteriore idrossilazione da parte dell’enzima 1a-idrossilasi nel rene e diventa il metabolita attivo 1,25-diidrossivitamina D (1,25-(OH)-D). Questo secondo step di idrossilazione è regolato da calcio e fosfato e le concentrazioni dall’ormone paratiroideo (PTH). L’escrezione di metaboliti della vitamina D avviene principalmente attraverso la bile, e, in misura molto minore, attraverso l’urina.

DEPOSITO

La vitamina D si deposita e viene mobilizzata dal tessuto adiposo con meccanismi ancora sconosciuti. Bambini, adolescenti e adulti obesi hanno una concentrazione sierica di 25-(OH)-D, inferiore rispetto ai soggetti con BMI normale probabilmente a causa della sequestro della vitamina D da parte del tessuto adiposo in eccesso. Attualmente, tuttavia, non ci sono prove che la carenza di vitamina D associata ad aumento del grasso corporeo abbia conseguenze negative sulla densità minerale ossea e sulla salute delle ossa in età pediatrica.

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T. Capriati

180

TABELLA II. Conclusioni dell’ESPGHAN sugli effetti principali della vitamina D sulla salute di lattanti, bambini e adolescenti.

Salute dell’osso

L’importanza della vitamina D per la salute ossea in neonati e bambini è ben nota (in base a studi epidemiologici infatti la supplementazione di vitamina D durante l’infanzia impedisce il rachitismo e l’osteomalacia). L’integrazione con vitamina D nei bambini < 1 anno di vita con deficit può determinare un aumento della densità minerale ossea, mentre non ci sono prove a sostegno della supplementazione nei bambini con > 1 anno di vita e negli adolescenti con vitamina D. Non vi sono prove sufficienti per sostenere o rifiutare la supplementazione di routine di vitamina D oltre l’anno di vita.

Forza muscolare

I neonati e bambini con grave carenza di vitamina D e rachitismo possono presentarsi con sviluppo motorio ritardato, ipotonia muscolare, e debolezza (associati o no a ipocalcemia). Nonostante questa associazione ben nota (carenza di vitamina D e funzione muscolare alterata), il Committee of Nutrition ESPGHAN non ha potuto identificare rilevanti evidenze di un effetto benefico della supplementazione di vitamina D sulla funzione muscolare in neonati sani, bambini e adolescenti.

Prevenzione delle malattie infettive

Diversi studi suggeriscono che le malattie infettive hanno una maggiore prevalenza tra i neonati e i bambini con carenza di vitamina D e alcuni studi suggeriscono che la supplementazione di vitamina D possa essere associata a un ridotto rischio di infezioni respiratorie. In realtà su questo argomento ci sono dati contrastanti per cui il Committee of Nutrition dell’ESPGHAN conclude che “i dati attuali non sono sufficienti per raccomandare la supplementazione di vitamina D allo scopo di prevenire le malattie infettive nei neonati e nei bambini europei in buona salute”.

Prevenzione delle malattie allergiche

Un trial clinico randomizzato (RCT) ha suggerito una riduzione degli attacchi di asma (outcome secondario dello studio) in chi assumeva vitamina D. Uno studio osservazionale, tuttavia, ha riportato un’associazione tra supplementazione di vitamina D durante l’infanzia e aumento del rischio di malattie allergiche in seguito nella vita. Il Committee of Nutrition ESPGHAN conclude che “le evidenze disponibili sono insufficienti per sostenere la relazione tra supplementazione di vitamina D nei neonati e nei bambini e la prevenzione di malattie allergiche”.

Prevenzione del diabete mellito tipo 1

Prove fornite da 5 studi osservazionali, 1 revisione sistematica e una meta analisi suggeriscono che la supplementazionedi vitamina D può ridurre il rischio di diabete mellito tipo 1 durante l’infanzia e l’adolescenza. Nessun RCT ha mai affrontato la questione. Il Committee of Nutrition ESPGHAN conclude che i dati attualmente sono insufficienti per provare o confutare una relazione tra supplementazione con vitamina D e il rischio di diabete tipo 1.

Prevenzione delle malattie cardiovascolari

Ci sono alcune evidenze relative alla supplementazione di vitamina D come marker surrogato di rischio cardiovascolare; tuttavia, il Committee of Nutrition ESPGHAN conclude che sono necessari ulteriori studi prima di affermare l’effetto della supplementazione di vitamina D sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari.

TABELLA III. Definizioni di carenza di vitamina D secondo il Committee of Nutrition ESPGHAN e categorie a rischio per lo sviluppo di tale carenza.

Grave carenza Carenza Sufficienza

In base a concentrazioni sieriche di 25-(OH)-D

< 25 nmol/L(= < 10 ng/mL)

< 50 nmol / L (= < 20 ng/mL)

> 50 nmol /L(= > 20 ng/mL)

Categorie a rischio di insufficienza di vitamina D

Pelle scura;Insufficiente esposizione solare (uso eccessivo di filtri solari, stare in casa molto tempo, abiti che coprono la maggior parte della cute, vivere a latitudini nordiche durante l’inverno);Obesità;Malattie croniche (epatiche, intestinali, renali);Uso di farmaci: antiepilettici (fenitoina e carbamazepina) e glucocorticoidi sistemici.

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GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea

181

TABELLA IV. Intake e livelli di vitamina D nella popolazione pediatrica europea e dati sulla tossicità della vitamina D.

Intake di vitamina D in Europa

% bambini con assunzioni < a 200 UI (raccomandate da OMS)

Media di assunzioni

Germania 80% tra 1 e 12 anni 76 UI/die (bambini)100 UI (adolescenti)

Finlandia / 100-200 UI/die (inclusi integratori)

Spagna 86,9% 113,2-130,8 UI/die

Livelli di assunzione massima tollerabili (UL)

EFSA 4 IOM

1000 UI/die per i bambini da 0 a 12 mesi;2000 UI/die per bambini da 1 a 10 anni;4000 UI/die per bambini da 11 a 17 anni (e adulti).

1000 UI/die per i bambini età da 0 a 6 mesi;1500 UI/die per lattanti dai 7 ai 12 mesi;2500 UI/die per bambini da 1 a 3 anni;3000 UI/die per i bambini dai 4 a 8 anni;4000 UI/die per i bambini e gli adolescenti età 9 a 18 anni (e adulti).

LegendaOMS: Organizzazione Mondiale della SanitàUL: tolerable upper intake level ossia livelli di assunzione massima tollerabiliEFSA: European Food Safety AuthorityIOM: Institute of Medicine

TABELLA V. Raccomandazioni ESPGHAN relative alla carenza di vitamina D.

Una concentrazione sierica di 25 (OH) vitamina D > 50 nmol/L (> 20 ng/mL) indica una condizione di sufficienza di vitamina D mentre una concentrazione sierica < 25 nmol/L (< 10ng/mL) indica una grave carenza.

Tutti i lattanti fino a 1 anno di età dovrebbero ricevere una supplementazione orale di 400 UI/die di vitamina D. Tale somministrazione va fatta sotto la supervisione di pediatri o altri operatori sanitari.

In accordo con l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, il limite superiore di sicurezza per la supplementazione di vitamina D è fissato a 1000 UI/die per lattanti fino a 1 anno, 2000 UI/die per bambini dai 1 a 10 anni, e 4000 UI/die per bambini e adolescenti dagli 11 ai 17 anni.

I bambini sani e gli adolescenti dovrebbero essere incoraggiati a seguire uno stile di vita sano (che si associa a un BMI normale), una dieta sana con alimenti contenenti vitamina D (ad esempio, pesce, uova, latticini) e a effettuare attività all’aria aperta con un’adeguata esposizione solare.

Per bambini appartenenti a gruppi a rischio, deve essere considerata la supplementazione orale di vitamina D anche al di là di 1 anno di età.

Le autorità nazionali dovrebbero adottare politiche volte a migliorare lo stato della vitamina  D utilizzando misure come raccomandazioni dietetiche, fortificazione degli alimenti, supplementazione di vitamina D, esposizione solare corretta in base alle caratteristiche ambientali.

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Sergio Amarri (foto)Giulia Lamberti

UO Pediatria, Azienda Ospedaliera IRCCS Santa Maria Nuova Reggio Emilia

Indirizzo per la corrispondenza

Sergio AmarriUO Pediatria, Azienda Ospedaliera IRCCS Santa Maria Nuovaviale Risorgimento 80, 42100 Reggio EmiliaE-mail: [email protected]

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

a cura diTeresa Capriati

sta importante pubblicazione vanno ricordate anche le raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics (AAP) prodotte nel 2008 5 e aggiornate in 2 occasioni successive (2012 e 2013) 6, i nuovi apporti raccoman-dati di vitamina D pubblicati nel 2011 da parte dell’In-stitute of Medicine (IOM) 7 e nel 2012 in Italia, nell’am-bito dei LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti e di Energia) 8 e infine la Consensus “globale” sulla prevenzione e il trattamento del rachitismo rea-lizzata all’inizio del 2016 dall’Endocrine Society (ES) con la collaborazione di autori di tutti i continenti 9, e la Consensus italiana sull’argomento  10, redatta con-giuntamente dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) e dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS). Nelle raccomandazioni ESPGHAN  1 si precisa come il deficit di vitamina  D debba essere definito attra-verso la determinazione delle concentrazioni sieriche di 25-(OH)-D. Questo è infatti il migliore indicatore di stato della vitamina  D a seguito di apporto nutri-zionale e sintesi cutanea di vitamina  D, in quanto la 1,25 (OH) vitamina D ha una più breve emivita sieri-ca e ha un livello che è regolato non solo dall’apporto nutrizionale e dalla sintesi cutanea ma anche da al-tri fattori, come ad esempio il livello di paratormone. L’ESPGHAN poi utilizza nella definizione del deficit di vitamina D un approccio semplificato: una concentra-zione di 25-(OH)-D > 50 nmol/L (ossia > 20 ng/mL) è considerata condizione di sufficienza, mentre una con-centrazione < 25 mmol/L (ossia < 10 ng/mL) descrive una condizione di deficit (nella Tabella VI sono riportate abbreviazioni ed equivalenze relative ala vitamina D). Altre società (soprattutto nord-americane) definiscono con maggiore dettaglio lo spettro dei livelli sierici di vitamina D introducendo il concetto di insufficienza e differenziandolo da quello di deficit. Per esempio l’ES nella sua Consensus “globale”, distingue tre livelli: suf-ficienza (> 50 nmol/L ossia > 20 ng/mL), insufficien-za (30-50  nmol/L ossia 13-20  ng/mL) e deficit (<  30

Il commentoLa vitamina D è un micronutriente importantissimo in quanto contribuisce alla regolazione del meta-bolismo calcio-fosforo (ne aumenta l’assorbimento intestinale) e quindi ai processi di acquisizione della massa ossea. In presenza di livelli di vitamina D e quindi di calcio inadeguati nella dieta è possibile il riscontro, durante l’infanzia, anche di una condizio-ne di osteomalacia e rachitismo come conseguen-za dell’aumentato riassorbimento osseo del calcio e del fosforo. La vitamina  D, inoltre, ha non solo importanti funzioni scheletriche, ma anche extra-scheletriche immuni e non immuni.La vitamina  D e la patologia correlata a una sua carenza, il rachitismo, sono da sempre oggetto di interesse, studio e ricerca da parte delle principali società scientifiche di pediatria, nutrizione ed en-docrinologia. La Consensus presentata in questo commento 1 è statascritta nel 2012 dall’ESPGHAN, la società scienti-fica di riferimento per l’epatologia, la gastroentero-logia e la nutrizione pediatrica europee e concentra la sua attenzione sulla popolazione sana pedia-trica europea, analizzando le attuali conoscenze sulla vitamina D (fonti alimentari e non, metaboli-smo, effetti benefici sulla salute del bambino, dati epidemiologici sul deficit di vitamina D in Europa) ed esprimendo delle raccomandazioni relative alla prevenzione del deficit di vitamina D in una popo-lazione considerata non a rischio. Accanto a que-

TABELLA VI. Terminologia ed equivalenze relative alla vitamina D.

Equivalenze

1 µg = 2,5 nmol = 40 UI1 ng/mL = 2,5 nmol/L

Abbreviazioni e sinonimi

25 idrossivitamina D = 25(OH)D = calcidiolo1,25-diidrossivitamina D=1,25(OH)2D = calcitrioloVitamina A = calciferoloVitamina D2 = ergocalciferoloVitamina D3 = colecalciferolo

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nmol/L ossia < 13 ng/mL). Questi ultimi soggetti e quelli con un de-ficit grave (come definito in alcune pubblicazioni) possono meritare una terapia importante per ripristi-nare con maggiore efficacia livelli di vitamina D normali. I fabbisogni di vitamina  D defi-niti nel 2011 dall’IOM  7, accol-ti dall’AAP  6 e successivamente confermati anche dalla pubblica-zione della “IV revisione dei LARN per la popolazione italiana” 8 ven-gono espressi sempre in termini di apporto adeguato o Adequate Intake (AI) ossia come livello di assunzione di un nutriente ritenu-to adeguato a soddisfare i fabbi-sogni della popolazione e non di RDA (recommended dietary al-lowance, ossia dose giornaliera raccomandata), in quanto non ci sono sufficienti evidenze scientifi-che per calcolare l’RDA o il fabbi-sogno medio. Relativamente, dunque, alla pro-filassi con vitamina  D nel primo anno di età la maggior parte del-le società scientifiche è concorde nell’iniziare la profilassi sin dai pri-mi giorni di vita alla dose di 400 UI/die, indipendentemente dal tipo di allattamento e in assenza di fattori di rischio di deficit di vitamina D. Infatti, i neonati e i lattanti vengo-no scarsamente esposti alla luce del sole. Il loro livello di vitamina D dipende da quello materno e il lat-te materno contiene quantità di vitamina D insufficienti (< 80 UI/l) per la prevenzione dell’ipovitami-nosi  D. La vitamina  D contenuta nel latte materno, infatti, è circa 22  UI/l (range: 15-50  UI/l) in una madre con vitamina D sufficiente. Ipotizzando un consumo medio di 750 ml di latte al giorno, l’allatta-mento al seno esclusivo senza l’e-sposizione al sole fornirebbe solo 11-38 UI al giorno di vitamina D, che risulta di gran lunga inferiore anche alla vecchia assunzione mi-nima raccomandata dall’OMS di 200 UI al giorno. Pertanto 400 UI

al giorno (=  10  μg/die) sono suf-ficienti a prevenire il rachitismo e sono consigliate per tutti i bambini dalla nascita fino a 12 mesi di età, indipendentemente dalla loro mo-dalità di alimentazione. Le indicazioni dell’AAP si disco-stano solo lievemente raccoman-dando 400  UI/die sicuramente per tutti i bambini allattati esclu-sivamente al seno, mentre per i bambini allattati con latte formula fortificato con vitamina D la forti-ficazione va consigliata solo nel caso in cui il volume giornaliero di latte sia inferiore a 1  litro. In realtà però 1 litro di latte formu-lato al giorno viene assunto solo da un bambino di 5-6 kg di peso corporeo (quindi alcuni mesi dopo la nascita) nell’epoca in cui un lat-tante avvia anche il divezzamento e quindi riduce la quota di latte formulato assunta, per cui sostan-zialmente le indicazioni dalla AAP non si discostano da quelle dell’E-SPGHAN. Tale integrazione con vitamina D deve essere avviata nei primi giorni di vita, non ha effetti avversi significativi e non ha costi alti. I lattanti prematuri e i lattanti/bambini di pelle nera potrebbe-ro avere bisogno di integrazioni maggiori, soprattutto se risiedono ad alte latitudini (ad esempio in-torno a 40° di latitudine). L’ESPGHAN 1 non consiglia il do-saggio di routine della vitamina D, ma piuttosto una profilassi capil-lare sotto l’anno con una prescri-zione individualizzata nei soggetti appartenenti a categorie a rischio. La AAP 6, per parte sua, aggiunge delle indicazioni su quando effet-tuare uno screening per valutare un’ipotesi di deficit di vitamina D: in particolare in caso di sintomi non specifici (scarsa crescita, ri-tardo neuromotorio, irritabilità inu-suale), bambini con pelle nera che vivono ad alte latitudini (in inverno e primavera), bambini che fanno terapie croniche (anticonvulsivan-ti, glucocorticoidi, antiretrovirali,

antimicotici) o bambini con pato-logie croniche (insufficienza epati-ca e renale cronica) che sono as-sociate a malassorbimento (fibrosi cistica e malattie infiammatorie croniche, celiachia alla diagnosi), bambini con frequenti fratture e bassa densità minerale ossea (in cui potrebbe essere importante mantenere un livello ottimale di vitamina  D allo scopo di ottimiz-zare l’assorbimento del calcio). Tali situazioni corrispondono a quelle che vengono identificate dall’ESPGHAN come categorie di rischio. Lo scenario diventa molto più di-scorde fra le diverse società scien-tifiche se si considerano bambini di età superiore ai 12 mesi di età (vedi Tabella VII). Diverse società, infatti, e tra queste l’ESPGHAN, consigliano la profilassi solo in presenza di fattori di rischio per deficit di vitamina D. Altre socie-tà invece danno indicazioni diffe-renti. In particolare la Society for Adolescent Health and Medicine nel 2013, in funzione del fatto che gli adolescenti (insieme ai bambi-ni di età compresa tra 0-12 mesi) presentano un aumentato rischio di rachitismo e osteomalacia da carenza di vitamina D a causa del rapido accrescimento, indica la necessità di supplementazione di 600 UI/die anche negli adolescen-ti senza fattori di rischio e una supplementazione di 1000 UI/die in quelli a rischio di insufficienza di vitamina D.Altre società consigliano la sup-plementazione solo nei periodi considerati a rischio, per esem-pio la profilassi (a dosi giornaliere o intermittenti) durante il periodo invernale se l’esposizione solare durante l’estate precedente è sta-ta scarsa. Quest’ultima indicazio-ne viene data anche nella recente Consensus italiana 10 in cui si sug-gerisce la profilassi continuativa nei bambini con fattori di rischio persistenti per deficit di vitami-

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S. Amarri, G. Lamberti

na D e profilassi solo nel periodo invernale nei bambini in cui il fat-tore di rischio è legato a una scar-sa esposizione solare nell’estate precedente. Un aspetto interes-sante è che mentre l’ESPGHAN non si esprime chiaramente in merito alla necessità di profilassi nei bambini e adolescenti obesi (si limita a dire che non ci sono evidenze che la carenza di vitami-na  D associata all’obesità abbia conseguenze negative sulla den-sità minerale ossea e sulla salute delle ossa in età pediatrica), la Consensus italiana mette l’obesi-tà tra i fattori di rischio indicando la necessità di supplementare con vitamina D (dosi di 1000-1500 UI/die) tra il termine dell’autunno e l’inizio della primavera (novembre-aprile) ed eventualmente in tutto l’anno nei bambini obesi che non

hanno usufruito durante l’estate di un’adeguata esposizione solare. Naturalmente queste indicazioni vanno associate a quelle relative a un corretto stile di vita analoghe a quelle indicate dall’ESPGHAN.È importante sottolineare che la necessità o meno di profilas-si con vitamina  D oltre l’anno di vita dipende dall’esposizione al sole e dall’accesso a cibi fortifi-cati. Una questione estremamen-te importante, ma ancora aperta, è la determinazione all’interno della popolazione europea della percentuale media di vitamina  D derivante dalla produzione a li-vello cutaneo rispetto alla vitami-na D fornita dal cibo. La maggior parte della vitamina  D circolante sembrerebbe essere sintetizza-ta a partire dall’esposizione della pelle ai raggi ultravioletti B (UVB).

Il 90% delle scorte di vitamina D di un individuo derivano dall’e-sposizione alla luce solare, men-tre piccole quantità di vitamina D sono presenti in alcuni alimenti. Le radiazioni UVB stimolano la produzione di vitamina D da par-te dell’epidermide, e un’adeguata esposizione solare dovrebbe con-sentire la sintesi di tutta la vitami-na D necessaria all’individuo. Da 5 a 10 minuti di esposizione al sole di braccia, gambe o viso tre vol-te a settimana dovrebbero essere sufficienti a coprire il fabbisogno. In realtà esiste una notevole diver-sità geografica: per esempio tutta la penisola italiana si trova al di sopra del 34°N di latitudine, quin-di interamente nella zona del così detto vitamin D winter, all’interno della quale la sintesi cutanea di vitamina D non è completamente

TABELLA VII. AI o PRI nelle diverse fasce di età per le diverse società scientifiche.

Età Fonte AI o PRI

0-6 mesi IOM, 2011; AAP, 2012LARN, 2012ES, 2011

10 µg/die = 400 UI/dieNon specificato10-25 µg/die = 400-1000 UI/die

6-12 mesi WHO/FAO, 2004 5 µg/die = 200 UI/die

IOM, 2011; LARN, 2012; ESPGHAN, 2013; ES, 2016 10 µg/die = 400 UI/die

DACH, 2013; Nordic Council of Minister, 2014; Afssa, 2001

20-25 µg/die = 800-1000 UI/die

12-36 mesi WHO/FAO, 2004Health Council of the Netherlands, 2012; DACH, 2013; Nordic Council of Minister, 2014IOM, 2011; LARN, 2012; ESPGHAN, 2013; ES, 2016DACH, 2013

5 µg/die = 200 UI/die

10 µg/die = 400 UI/die15 µg/die = 600 UI/die20 µg/die = 800 UI/die

LegendaPRI (population reference intake): assunzione raccomandata per la popolazione per soddisfare i fabbisogni di quasi tutti (97,5%) i soggettisani in uno specifico gruppo di popolazioneAI (adequate intake): assunzione adeguata, osservata in una popolazione sana ed esente da carenze. Si ricava quando PRI non è desumibileda evidenze scientificheAAP: American Academy of PediatryLARN: livelli di assunzione raccomandati di nutrienti ed energiaES: Endocrine SocietyWHO/FAO: World Health Organization/Food and Agricolture OrganizationESPGHAN: European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition; DACH: Germania, Austria e SvizzeraAfssa: Agence francaise de sécurité sanitaire des alimentes

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efficace per l’intero anno. Pertan-to la maggioranza dei pediatri di famiglia italiana ha promosso e prescritto l’utilizzo di supplemen-tazione con vitamina D almeno nel periodo del tardo autunno e inizio primavera. In merito alle fonti nutrizionali di vitamina  D va ricordato che la vitamina D si trova in un numero limitato di alimenti, e l’assunzio-ne alimentare, a eccezione dei cibi fortificati, ha poco impatto sull’apporto complessivo. Le fon-ti naturali di vitamina  D includo-no pesci grassi come salmone, sgombro e sardine, olio di fegato di merluzzo, fegato e frattaglie (che presentano un elevato con-tenuto di colesterolo), e tuorlo d’uovo (che presenta un conte-nuto variabile di vitamina D). An-che la modalità di cottura degli alimenti può alterare il contenuto di vitamina D. Ad esempio, la frit-tura del pesce riduce il contenuto di vitamina D attiva di circa il 50%, mentre la cottura al forno del pe-sce non ne influenza il contenuto. La maggior parte delle fonti na-turali di vitamina D non vengono comunemente consumate dai bambini, pertanto, diventa impor-tante fortificare gli alimenti con vitamina  D se l’esposizione al sole risulta inadeguata. Esempi di alimenti fortificati con vitamina D sono: latte, olio, succhi di frutta. Negli Stati Uniti le formule per lattanti devono contenere da 40 a 100 UI di vitamina D per 100 kcal, perché questo contenuto potreb-be essere sufficiente a soddisfare la dose giornaliera raccomanda-ta per i bambini. In Canada, la fortificazione con vitamina  D è obbligatoria per alcuni alimenti come il latte e la margarina. Negli Stati Uniti la fortificazione di vi-tamina D degli alimenti non è un requisito obbligatorio, ma è ne-cessario se l’etichetta indica che il cibo è fortificato. Per il latte e il succo d’arancia, il contenuto di

vitamina D dopo la fortificazione dovrebbe includere 400 UI/l. L’u-tilizzo di cibi fortificati con vitami-na D, in particolare il latte, è mol-to diffuso in Nord America (U.S. latte fortificato con 100 IU/250 ml e Canada 35-40 IU/100 ml). I dati della letteratura indicano che questa pratica è efficace nel pre-venire il rachitismo e il deficit di vitamina D. Alla variabilità del contenuto di vitamina D degli alimenti, occorre aggiungere la variazione natura-le di vitamina D a seconda della stagione e delle condizioni clima-tiche, lo stato di fortificazione de-gli alimenti sul mercato, e le va-riazioni nelle procedure utilizzate per fortificare il latte. Le indagini di conformità dei vari caseifici che effettuano processi di fortifi-cazione in vitamina  D negli Sta-ti Uniti hanno indicato che molti campioni non risultano conformi (sono per lo più poco fortificati). In Europa, la margarina e alcuni cereali vengono arricchiti con vi-tamina D, mentre negli Stati Uni-ti viene presa in considerazione la fortificazione obbligatoria di formaggi, pane e cereali. Dopo la fortificazione del latte con la vitamina  D nel Nord America e del latte, margarina e cereali nel Regno Unito, la prevalenza di ra-chitismo è drasticamente diminu-ita. La fortificazione obbligatoria degli alimenti con la vitamina  D e calcio assicura un’adeguatez-za nutrizionale. La fortificazione di cibi comunemente consumati fornisce un adeguato apporto per prevenire la carenza. La tossicità della vitamina D è un ultimo ma non meno importan-te aspetto su cui soffermarsi. Le raccomandazioni ESPGHAN non indicano chiaramente dei livelli massimi tollerabili, ma riportano i dati dell’European Food Safety Authority (EFSA)  4 e dello IOM  7

(vedi Tabella  IV), nonostante vi sia una sostanziale carenza di

dati relativi alle dosi tossiche di vitamina D in neonati, bambini e adolescenti. L’ESPGHAN ricorda anche come non vi sia nessun accordo sulla soglia di tossici-tà per la vitamina  D. La prolun-gata assunzione giornaliera di vitamina  D fino a 10.000  UI o fino a concentrazioni sieriche di 25-(OH)-D di 240 nmol/L sembra essere sicura. L’intossicazione acuta da vitamina D è rara e di so-lito si ha per concentrazioni molto superiori a 10.000  UI/die, anche se non è stata stabilita la soglia chiara per definire il rischio di tos-sicità acuta. La Consensus italia-na  10 ricorda come i metaboliti o gli analoghi dei metaboliti (calci-fediolo, alfacalcidiolo, calcitriolo, didrotachisterolo) non devono es-sere utilizzati per la profilassi del deficit di vitamina D, a parte casi particolari (condizioni patologiche specifiche), sia perché espongono a un rischio significativo di iper-calcemia, sia perché sono prodot-ti che in realtà non sono in grado di mantenere e/o ripristinare le scorte di vitamina D.

ConclusioniLa Consensus prodotta dall’E-SPGHAN nel 2012 affronta solo alcuni degli aspetti relativi alla problematica della vitamina  D. In particolare rivolge la sua at-tenzione alla profilassi del deficit nella popolazione europea sana, rimandando ad altre pubblicazio-ni sia la profilassi di alcune delle categorie a rischio (pretermine per esempio), che l’eventuale te-rapia di deficit effettivi. Le indica-zioni date dall’ESPGHAN sono al momento ben recepite dai pedia-tri del territorio, che sempre più frequentemente somministrano una profilassi prolungata nel pri-mo anno di vita. Più discorde è lo scenario relativo alla supplemen-tazione nel bambino con più di un anno di età.

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S. Amarri, G. Lamberti

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3 Commission Directive 2006/141/EC of 22 December 2006 on infant formulae and follow-on formulae and amending Directive 1999/21/ EC. Off J Eur Union 2006.

4 EFSA Panel on Dietetic Products

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7 IOM. Dietary reference intakes for calcium and vitamin D. Committee to review dietary reference intake for calcium and vitamin D. Washington, DC: National Academy Press 2011.

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10 Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale. Consen-sus vitamina D in età pediatrica. Pediatria Preventiva & Sociale 2015;3:142-58.

• Il dosaggio sierico della concentrazione di 25-(OH)-D se è > 50 nmol/L (20 ng/mL), indica una condizione di sufficien-za, se < 25 nmol/L (< 10 ng/mL) indica grave carenza.

• Tutti i lattanti fino a 1 anno di età dovrebbero ricevere una supplementazione orale di 400 UI/die di vitamina D.

• Oltre l’anno di età non ci sono chiare indicazioni sulla supplementazione di vitamina D e l’ESPGHAN rimanda alle raccomandazioni nazionali. Sicuramente i bambini sani e gli adolescenti dovrebbero essere incoraggiati a seguire uno stile di vita sano (comprendente adeguate attività all’aria aperta) associato con un BMI normale e una dieta sana con alimenti contenenti vitamina D (ad esempio, pesce, uova, latticini). La supplementazione dovrebbe essere considerata nelle categorie a rischio anche oltre l’anno di età.

• I bambini appartenenti ai gruppi a rischio sono bambini con pelle nera che vivono ad alte latitudini (in inverno e pri-mavera), bambini che fanno terapie croniche (anticonvulsivanti, glucocorticoidi, antiretrovirali, antimicotici) o bambini con patologie croniche (insufficienza epatica e renale cronica), che sono associate a malassorbimento (fibrosi cistica e malattie infiammatorie croniche, celiachia alla diagnosi), bambini con frequenti fratture e bassa densità minerale ossea.

• In conformità con l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, il limite superiore di sicurezza è fissato a 1000 UI/die per lattanti, a 2000 UI/die per bambini dai 1 a 10 anni, e a 4000 UI/die per bambini e adolescenti dagli 11 ai 17 anni.

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187Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:187-189

Soluzione del caso clinico

di pagina 167

Silvia Iuliano1

Marco Manfredi1

Federica Gaiani2

Barbara Bizzarri2

Pierpacifico Gismondi1

Fabiola Fornaroli2

Gian Luigi de’Angelis1, 2

1 Unità Operativa di Clinica Pediatrica, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma; 2 Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma

Key wordsPortal cavernoma • Portal hypertension • Turner syndrome • Liver disease

AbstractWe report the case of a child of 5 years old, af-fected by Turner syndrome and hypothyroidism, admitted for hematemesis during a prolonged gastroenteritis. Upper GI endoscopy showed non-bleeding esophageal varices. Radiological investigations showed hepatic fibrosis, a portal cavernoma and portal hypertension, confirmed later by portography. Oral treatment with pro-panolole was started and close follow-up set up.

CASE REPORTa cura diANTONIO DI MAURO

Sviluppo caso clinico e risoluzioneI valori di albumina (3,3  g/dl) e protidemia (5,2  g/dl) sono inferiori ai limiti di norma. L’EGDS eseguita a 12 ore dall’episodio di ematemesi ha mostrato la presen-za di varici esofagee di grado F1-F2, non attivamente sanguinanti con gastropatia congestizia (Fig. 1A, B). Le ricerche infettivologiche sono negative. Lo screening per la celiachia, la funzionalità tiroidea e l’autoimmu-nità nella norma, così come il dosaggio dell’alfafeto-proteina. L’eco-color-doppler dell’asse spleno-portale evidenzia una riduzione dell’albero venoso portale in-traepatico con fibrosi epatica e irregolarità del lume portale in corrispondenza dell’ilo portale. Ipertensione portale di grado medio-alto. La RM addominale con-ferma la presenza di un’immagine a carico del lobo sn epatico, ascrivibile a nodulo di rigenerazione in epa-topatia con steatosi epatica diffusa. L’aspetto della vascolarizzazione epatica è compatibile con agenesia o cavernoma portale. Non visibili le vene sovraepati-che. Identificabile un vaso anomalo fra lobo epatico dx e sn, terminante in atrio destro. L’ECG e l’ecogra-fia cardiaca non hanno comunque mostrato anomalie vascolari. Alla portografia retrograda (eseguita presso altro centro, dopo stabilizzazione nutrizionale): ostru-zione dei rami segmentari e del recesso di Rex della vena porta, esclusiva opacizzazione di una vena epa-tica accessoria e del tratto terminale della vena cava inferiore. Non possibile la riperfusione epatica median-te by-pass meso-Rex, né altri interventi di correzione portale. È stata intrapresa terapia di profilassi primaria del sanguinamento di varici esofagee con beta-bloc-cante e avviato follow-up.

Punti critici diagnostica differenzialeNella gestione clinica del caso, l’ematemesi e la marca-ta disidratazione sono state in prima istanza interpreta-te quali possibili complicanze in corso di gastroenteri-te febbrile protratta. L’esofago-gastro-duodenoscopia ha mostrato la presenza di varici esofagee. Il riscontro

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S. Iuliano et al.

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di splenomegalia, ascite e “no-dulo epatico” ha portato a una valutazione epatica approfondi-ta, consentendo di escludere in-fezioni/infestazioni con tropismo epatico (pur essendo in tal caso il rialzo delle transaminasi mol-to modesto) e l’esordio di un’e-patopatia autoimmune. Benché rara, il sospetto diagnostico di neoplasia epatica è stato inda-gato mediante l’esecuzione in-tegrata dei markers neoplastici e successivamente di RM ad-dominale. L’attenta valutazione anamnestica e la chiara diagnosi descrittiva delle lesioni alla RM hanno costituito lo snodo princi-pale per la risoluzione del caso. La storia positiva per incannula-mento della vena ombelicale in epoca neonatale ha reso chiara la diagnosi di cavernoma por-tale da pregressa trombosi (fino a quel momento ignota); inoltre, la Sindrome di Turner, da cui è affetta la bambina, rientra fra le cause genetico-metaboliche di epatopatia steatosica non alco-lica  1. La sindrome è associata infatti sia a vasculopatia (rientra fra le sindromi che predispongo-

no al sanguinamento gastroin-testinale)  2, che allo sviluppo di disordini epatici (alterata funzio-nalità epatica, steatosi, steato-epatite, coinvolgimento biliare, cirrosi, iperplasia nodulare ri-generativa) secondo un mec-canismo eziopatogenetico non ancora chiaro  3. L’alterata fun-zionalità epatica, più frequente in età adolescenziale-adulta non è direttamente correlata allo svi-luppo di epatopatia e non con-troindica la terapia con estrogeni (è prudente, a ogni modo, usare con cautela farmaci epatotossi-ci). Qualora si associ epatopatia, può essere necessario effettuare una valutazione dei flussi me-diante eco-color-doppler e tal-volta la biopsia epatica; tuttavia, nella gran parte dei casi, in as-senza di fattori di rischio, non si assiste a una progressione della malattia stessa  3. Il rialzo delle transaminasi e/o di altri indici di funzionalità epatica in pazien-ti affette da sindrome di Turner, richiede un follow-up laboratori-stico ed ecografico  3; la conte-stuale epatopatia e/o ipertensio-ne portale devono invece essere

trattate secondo le evidenze di-sponibili 4-6.

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Figura 1 a-b.Varici esofagee.

A B

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CASE REPORT Soluzione del caso clinico

189

Gastroenterol 2012;18:1176-84.

6 Schneider B, Bosch J, de Fran-chis R, et al. Portal hypertension

in children: expert pediatric opin-

ion on the report of the Baveno V

Consensus Workshop on Method-

ology of Diagnosis and Therapy

in Portal Hypertension. Pediatr

Transplantation 2012;16:426-37.

• L’esecuzione di un’anamnesi completa e dettagliata rimane il punto di partenza nell’approccio al paziente, anche di fronte a casi clinici apparentemente “semplici”.

• L’ematemesi costituisce un’urgenza endoscopica e va sempre indagata, in quanto potrebbe anche rappresentare il primo segno di un’ipertensione portale scompensata.

• Nelle pazienti affette da Sindrome di Turner il rialzo delle transaminasi è un’evenienza frequente, per cui è necessario un approfondimento strumentale al fine di escludere l’insorgenza di epatopatia.

• Il follow-up dell’epatopatia associata è laboratoristico ed ecografico; il management dell’eventuale ipertensione por-tale va affidato a centri di riferimento con équipe dedicata.

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INVITED COMMENTARY

Indirizzo per la corrispondenza

Ignazio La MantiaUOC di Otorinolaringoiatria, PO S. Marta e S. Venera, ASP CT, Università di Cataniavia Caronia, 95024 Acireale (CT)E-mail: [email protected]

Reflusso faringo-laringeo in età pediatrica e otite media effusiva

Ignazio La Mantia

Prof. Associato di Audiologia, UOC di Otorinolaringoiatria PO S. Marta e S. Venera, ASP CT, Università di Catania

Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:190; doi: 10.19208/2282-2453-130

a cura diMariella Baldassarre

L’otite media effusiva (OME) è una delle più comuni malattie dell’infanzia e si caratterizza per una flogosi essudativa dell’orecchio medio, in assenza di segni clinici d’infezione acuta ma con una sintomatologia subdola e sottostimata, con importanti ricadute in ter-mini economici e sociosanitari: l’ipoacusia trasmissiva.È certamente un disordine complesso, legato a fattori anatomo-fisiologici individuali e ambientali, che può talvolta rappresentare l’unica manifestazione atipica

della lesione diretta del refluito acido sulle mucose delle vie aeree superiori.Sin dal 1903 Coffin ipotizzò che la “eruttazione di gas dallo stomaco” e la “iperacidità” fossero responsabili di sintomi laringei e naso-faringo-tubarici in pazienti con disfonia e post nasal drip.A partire dagli anni ’80, accanto alla definizione di “Reflusso gastro-esofageo” (RGE), nasce il nuovo concetto di reflusso laringo-faringeo (RLF) con sintomatologia atipica, espressione di differenti meccanismi fisiopato-logici, differente modalità di presentazione e risposta alla terapia medica.Tra tutte le patologie otorinolaringoiatriche che riconoscono nel RLF il possibile fattore eziologico causale o concausale, le manifestazioni a carico del distretto rino-faringo-tubarico sono sicuramente quelle “meno studiate”. Alla base della manifestazione clinica vi è una disfunzione della funzionalità tubarica e conseguente versa-mento endotimpanico responsabile di un deficit uditivo trasmissivo, principalmente sulle frequenze medio-gravi, solitamente inferiore a 40 dB, e di eventuali complicanze quali l’atelettasia della membrana timpanica, la timpanosclerosi e l’otite media cronica.Recenti studi evidenziano, dal punto di vista fisiopatologico, che la disfunzionalità della ventilazione tubari-ca possa essere legata a un danno mucosale tubarico da parte dell’acido cloridrico e della pepsina, i quali possono creare edema e iperplasia della mucosa peritubarica, iperplasia del tessuto linfatico adenoideo da stimolazione diretta dei linfociti e un importante blocco della clearance muco-ciliare, facilitando anche la formazione di biofilm.Uno studio in particolare ha evidenziato, nell’80% dei casi, la presenza della pepsina a elevate concentrazioni nell’essudato endotimpanico di bambini sottoposti a paracentesi timpanica.Il RFL sarebbe quindi responsabile della patologia otologica sia mediante il danno mucosale diretto, sia mediante l’edema peritubarico e l’ipertrofia adenoidea, conseguenza della prolungata esposizione del rino-faringe al RLF.La malattia da RLF può quindi essere considerata un’entità clinica, le cui manifestazioni atipiche nel distretto aero-digestivo superiore sono rappresentate, oltre che dall’OME, anche da tosse cronica, laringospasmo, rinofaringiti e iperplasia adenotonsillare.È importante quindi tenere sempre presente che i sintomi atipici di pertinenza ORL possono essere talvolta l’unica manifestazione clinica di reflusso e per questo motivo lo specialista deve sempre attuare provve-dimenti terapeutici nei casi di sintomi cronici e/o ricorrenti a carico del distretto ORL in assenza di chiara

eziopatogenesi e/o scarsa risposta alle terapie con-venzionali.