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4 Volume II - Dicembre 2010 EDITORE - Area Qualità S.r.l. Via Comelico 3 - 20135 MI news NUTRIZIONE EPATOLOGIA GASTROENTEROLOGIA AGGIORNAMENTO in ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI GASTROENTEROLOGIA EPATOLOGIA E NUTRIZIONE PEDIATRICA Con il contributo educazionale

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4Volume II - Dicembre 2010

EDITORE - Area Qualità S.r.l. Via Comelico 3 - 20135 MI

n e w s

NutrizioNe

epatologia

gastroeNterologia

aggiornamento in

orgaNo ufficiale

della società italiaNa

di gastroeNterologia

epatologia e NutrizioNe

pediatrica

Con il contributo educazionale

so m m a r i o

Topic High Light…Intervista a Dominique Debray: le malattie metabolichecon epatopatiedi Mariella Baldassarre

Meta-analysis ReviewsPatologie linfoproliferative e malattie infiammatoriecroniche intestinali di Patrizia Alvisi e Paolo Lionetti

Pediatric Nutrition Outside BoxAspetti nutrizionali del bambino con cerebropatia di Antonino Tedeschi

Training and Educational CornerMarkers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decenniodi Marco Cipolli

Gastroenterology Clinical ResearchLa patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzontidella chirurgiadi Maurizio Coscia, Lorenzo Gentilini, Mariangela Podda, Silvio Laureti e Gilberto Poggioli

News in Pediatric Gastroenterology PharmacologyEsomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinicodi Valentina Mancini e Costantino De Giacomo

Fellow’s Corner - L’angolo dello specializzandoEpatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevoledi Giulia Maria Tronconi, Martina Fomasi, Chiara Amoruso, Giovanna Weber,Gabriella Nebbia e Graziano Barera

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EditorialeClaudio Romano

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Con il contributo educazionale

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Consiglio Direttivo sigenp

Presidente Annamaria StaianoVice-Presidente Gian Luigi de' AngelisSegretario Valerio NobiliTesoriere Ruggiero FrancavillaConsiglieri Osvaldo Borrelli, Flavia Indrio, Sandra Brusa, Pietro Vajro

L’iscrizione alla SIGENP come socio è riservata a coloro che, essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano interesse nel campo della Gastroente-rologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. I candidati alla posizione di soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostra interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Di-rettivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolariz-zare il pagamento della quota associativa SIGENP. quota associativa annuale SIGENP: (anno solare) # 60.Specializzandi: iscrizione SIGENP gratuita previa presentazione di certificato di iscrizione alla scuola di specialità.

Come si Diventa soCi Della

per chi è interessato la scheda è disponibile sul portale sigenp

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Area qualità S.r.l. - Via Comelico, 3 - 20135 Milano Tel./Fax 025512322 e-mail: [email protected]

so m m a r i o

Endoscopy Learning Library Un caso di doppia membrana duodenale in lattante di Serena Arrigo, Paolo Gandullia, Silvia Vignola e Arrigo Barabino

Pediatric Gastroenterology Educational articleIpertransaminasemie di Raffaele Iorio

Ped GI snapshotsa cura del Comitato di Redazione

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EdITorE Area Qualità S.r.l. Azienda certificata da I.M.Q. in conformità alla norma ISO 9001:2008 con certificato CSQ n° 9175. AREQ www.areaqualita.com

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© 2010 Area Qualità S.r.l.

dIrETTorE rESPoNSAbIlE Giovanna Clerici [email protected]

dIrETTorE EdITorIAlE Claudio Romano [email protected]

rEdATTorE CAPo Mariella Baldassarre [email protected]

ComITATo dI rEdAzIoNE Salvatore Accomando [email protected] Graziano Barera [email protected] Barbara Bizzarri [email protected] Francesco Cirillo [email protected] Giovanni Di Nardo [email protected]

Erasmo Miele [email protected] Silvia Salvatore [email protected] Filippo Torroni [email protected]

Francesca Vincenzi [email protected]

ASSISTENTI dI rEdAzIoNE Andrea Chiaro, Donatella Comito

CoordINAmENTo rEdAzIoNAlE Fiorenza Lombardi Borgia

Con il contributo educazionale

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VIDEO

Consiglio Direttivo sigenp

Presidente Annamaria StaianoVice-Presidente Gian Luigi de' AngelisSegretario Valerio NobiliTesoriere Ruggiero FrancavillaConsiglieri Osvaldo Borrelli, Flavia Indrio, Sandra Brusa, Pietro Vajro

d i t o r i a l e

Ci siamo, è già trascorso un anno di lavoro e completiamo con la pub-blicazione del IV numero di SIGENP News.Leggendo il sommario si conferma un “trend scientifico” in conti-nua ascesa grazie al lavoro svolto dal Comitato di Redazione e dal livello degli autori.Completa e didatticamente molto utile la revisione di Dominique De-bray sulle epatopatie metaboliche, così come quella di Paolo Lionetti e Patrizia Alvisi sulle patologie linfoproliferative nelle IBD in età pe-diatrica. Una adeguata messa a punto sul rischio di malnutrizione ed i disturbi della condotta alimentare nel bambino cerebroleso rappre-senta sempre un topic di estremo interesse nella pratica clinica.Abbiamo lasciato uno spazio alla valutazione delle tecniche di ima-ging in gastroenterologia pediatrica (ultrasonografia) così come al contributo di esperienza di gastroenterologi e chirurghi dell’adulto nella gestione di una patologia molto frequente anche in età pediatri-ca (malattia paranale nelle IBD).L’angolo di farmacologia è dedicato alla conoscenza di una mole-cola con cui il pediatra si dovrà confrontare nel corso dei prossimi anni (esomeprazolo) avendo ottenuto l’indicazione di prescrivibi-lità anche nel bambino.Molto interessanti i Casi Clinici, il primo (epatite autoimmune in pa-ziente con celiachia) per la metodica di approccio diagnostico che vie-ne riportata ed il secondo (diaframma duodenale) che conferma come l’endoscopia in mani esperte può rappresentare una efficace metodica di trattamento e correzione di anomalie congenite.Non poteva mancare uno spazio dedicato anche alla patologia pan-creatica con una sistematica revisione della sensibilità, applicabilità e specificità delle metodiche di valutazione della funzionalità pancrea-tica esocrina. L’Educational Article a cura di Lello Iorio propone una semplice e completa flow-chart sull’ipertransaminasemia. Buona lettura quindi ed un arrivederci al nuovo Anno nel corso del quale SIGENP News ritornerà anche in versione cartacea e con altre importanti novità.Il supporto del nuovo CD e del nuovo Presidente, Annamaria Sta-iano, saranno determinanti per confermare l’importanza di questo strumento nella vita della SIGENP e nel convulso panorama scien-tifico-editoriale italiano.

Claudio Romano

3 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Il consuntivo e le novità per 2001

Topic High light…

a cura diMariella Baldassarre

Intervista a Dominique Debray:le malattie metabolichecon epatopatieMariella BaldassarreU.O. di Neonatologia e T.I.N., Policlinico Universitario di Bari

4 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Dominique Debray è attualmente professore associato

di epatologia pediatrica all’Ospedale Necker-Enfants

Malades a Parigi. Ha conseguito la specializzazione

in pediatria nel 1989 e dal 1989 sino al 1996 è stata assistente

in Epatologia Pediatrica. Dal 1991 al 1992 è stata “research

fellow” presso l”Health Sciences Center” a Denver, Università

del Colorado (USA). Professore associato di Pediatria dal 1996,

ha maturato un’estesa esperienza in epatologia e trapianto

epatico in età pediatrica lavorando dal 1996 al luglio 2010

a Parigi presso l’Ospedale Kremlin-Bicêtre, centro di riferimento

in Francia per le malattie colestatiche ed il trapianto epatico

nel bambino. Dal 1 agosto lavora all’Ospedale Necker-Enfants

Malades, centro di riferimento per le malattie metaboliche

con interessamento epatico.

Quali sono i più importanti segni clinici di una malattia meta-bolica con interessamento epatico? In quali condizioni cliniche dob-biamo soprattutto pensarci?

Le malattie metaboliche con interessa-mento epatico (Liver Based Metabo-lic Diseases, LBMD) costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie in cui gli errori congeniti del metabolismo posso-no dar luogo a gravi sintomi epatici e/o extraepatici. I sintomi specifici di ogni malattia sono relativi al particolare difet-to metabolico. La presentazione clinica può essere pertanto caratterizzata da sintomi a carico del fegato ma anche di altri organi ed apparati. L’insufficienza epatica acuta, la colestasi, l’epatomega-lia, la splenomegalia, la cirrosi epatica, gravi sintomi neurologici (encefalopatia e coma), ritardo dello sviluppo neuro-motorio, l’ipoglicemia, il ritardo dell’ac-crescimento, la miocardiopatia, disturbi renali che si manifestino a qualunque età

dall’infanzia all’età adulta devono sem-pre far indirizzare la diagnostica a consi-derare l’ipotesi di una LBMD.

Quali sono le più comuni ma-lattie metaboliche con interessamen-to epatico?

Le malattie metaboliche con interes-samento epatico possono essere sud-divise in due gruppi:a) malattie che provocano lesioni epa-tiche quali necrosi epatica, steatosi, fibrosi o cirrosi, insufficienza epatica, adenoma o epatocarcinoma;b) malattie con normale parenchima e funzionalità epatica. In ciascuno dei due gruppi l’espressione del difetto me-tabolico può risiedere solo a livello epa-tico o coinvolgere altri organi e tessuti.

LBMD associate a lesioni epatiche

Sono le più comuni.Il deficit di Alfa-1- antitripsina (AAT), malattia autosomica recessiva (inci-denza stimata in Europa: 1:2.500), è la

più comune causa genetica di malattia epatica durante l’infanzia. La malattia epatica si realizza circa nel 10-20% dei bambini con la mutazione omozigote PiZZ, che svilupperanno una cirrosi epatica durante l’età infantile.La Fibrosi Cistica (CF) è una malat-tia autosomica recessiva con una in-cidenza che va nella razza caucasica, da 1:2.400 a 1:3.400 nati vivi. La CF è causata dalla mutazione di un gene che regola la sintesi di una grossa pro-teina di membrana chiamata “cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR)” che ha funzione sia di trasporto di ioni (soprattutto cloro e bicarbonato) che di regolazione di al-tri transporters. La cirrosi epatica con ipertensione portale si sviluppa nel 5 - 10% di pazienti con fibrosi cistica.La malattia di Wilson (WD) è un di-sordine autosomico recessivo del me-tabolismo del rame con prevalenza di 1/30.000 nella popolazione gene-rale. La WD deriva da un difetto della proteina ATP7B, responsabile del tra-sporto del rame nell’organo del Golgi. Tale difetto determina un accumulo di rame nel fegato ed in altri organi tra cui l’encefalo, i reni, il cuore. L’accu-mulo di rame nel fegato è responsabile dell’insorgere insidioso della cirrosi epatica. I pazienti possono presentare nella prima infanzia una citolisi epati-ca cronica ed in seguito manifestare i segni di una cirrosi epatica scompen-sata o un’insufficienza epatica acuta con encefalopatia porto-sistemica.La Tirosinemia tipo 1 (TT1) è una malattia autosomica recessiva con inci-denza stimata in Europa da 1/100.000 ad 1/120.000, caratterizzata dal de-ficit dell’enzima fumarilacetoacetasi (FAA), enzima finale nel processo

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Topic High light... a cura di Mariella Baldassarre

Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche con epatopatie Mariella Baldassarre

di degradazione della tiroxina, con il conseguente sviluppo di numerosi metaboliti intermedi tossici. La Tiro-sinemia ha due modalità di presen-tazione clinica: l’insufficienza epatica acuta e la malattia epatica cronica con cirrosi associata ad una sindrome "porphyria like", ad una disfunzione tubulare "Fanconi like", rachitismo ed insufficienza renale. In questi pazien-ti è molto alto il rischio di sviluppare un’epatocarcinoma.La Galattosemia è un disordine auto-somico recessivo causato da deficit di galattosio-1-fosfato uridil-transfera-si. La maggior parte dei pazienti con galattosemia presentano un esordio in epoca neonatale (dopo l’assun-zione di galattosio) con insufficienza epatica, sepsi e cataratta.La Fruttosemia (intolleranza eredita-ria al fruttosio) è un disordine auto-somico recessivo causato dal deficit di aldolasi. I pazienti con fruttosemia di solito hanno un esordio clinico nella prima infanzia, quando vengono intro-dotti nella dieta cibi contenenti frutto-sio, caratterizzato da vomito, sudora-zione, ipoglicemia e acidosi metabolica.I disordini del metabolismo ener-getico dei mitocondri (Difetti della catena respiratoria) costituiscono un gruppo di malattie secondarie alla di-sfunzione della catena respiratoria (RC) con conseguente deficit intracellulare di ATP, incremento dei radicali liberi ed altri metabolici tossici e morte cellula-re. I disordini del metabolismo ener-getico dei mitocondri possono essere il risultato di una mutazione del DNA nucleare o mitocondriale e presenta-no differenti modalità di trasmissione genetica (autosomica recessiva, auto-somica dominante o X-linked, quindi trasmessa dalla madre). I difetti della catena respiratoria possono interessa-re qualsiasi organo o tessuto a qualun-que età ma ovviamente gli organi e tes-suti con alto metabolismo energetico (encefalo, muscolo, fegato) sono più comunemente affetti. La prevalenza dei disordini del metabolismo ener-getico dei mitocondri è stimata essere di 1/8.500 nella popolazione genera-le, nonostante sia difficile una stima davvero precisa a causa dell’alta varia-bilità delle modalità di trasmissione

come tratto autosomico recessivo. Sia il tipo A che B sono dovuti al deficit di sfingomielinasi acida. Il tipo A (forma infantile neuropatica) è più frequente e severa del tipo B (forma giovanile non neuropatica). Il tipo C è invece una ma-lattia distinta dovuta ad un difetto nella circolazione del colesterolo. La preva-lenza del tipo C è circa 1/150.000.La malattia di Wolman (WoD) e le malattie da accumulo degli esteri del colesterolo [cholesterol ester storage disease (CESD)] risultano entrambe dal deficit di lipasi acida lisosomiale, che causa l’accumulo degli esteri del colesterolo, dei trigliceridi e di altri li-pidi nei lisosomi. Si tratta di disordini autosomici recessivi. L’incidenza della WoD è circa 1/500.000 e delle CESD di 1/300.000. La WoD è una variante se-vera ad esordio infantile in cui l’exitus di solito interviene nel primo anno di vita.Le malattie da accumulo lisosomiale (LSD) sono dovute al deficit di vari en-zimi lisosomiali con conseguente ac-cumulo nei lisosomi di complessi ma-cromolecolari. L’incidenza delle LSD è stimata intorno a 1/7.500 nati vivi.L’emocromatosi neonatale (NNH), una severa malattia epatica neonatale in associazione con la sierosi extraepa-tica è stata classificata in modo classico come una malattia metabolica epatica, ma recenti evidenze suggeriscono che si tratti di un’epatite autoimmune.

LBMD non associate a lesioni epatiche

I disordini del ciclo dell’urea (UC-Ds) costituiscono un gruppo di di-fetti della sintesi dell’urea e delle sue vie metaboliche. Sono le più comu-ni LBMD con un’incidenza di circa 1/30.000-46.000 nati vivi. Tra le UC-Ds, il deficit dell’enzima ornitina-transcarbamilasi (OTCD) è il più co-mune, con trasmissione X-linked, che determina sintomi neurologici severi conseguenti all’iperammonemia. La sindrome di Crigler-Najjar (CNS), un disordine autosomico recessivo fa-miliare molto raro, è caratterizzato da un’iperbilirubinemia indiretta molto severa sin dalla nascita con normale funzionalità epatica. La CNS è dovuta al deficit totale (tipo 1) o parziale (tipo 2) dell’enzima Uridildifosfato Glicuro-nosil Transferasi a causa delle mutazio-

genetica e di presentazione clinica. Le malattie da accumulo di glicogeno [Glycogen storage diseases (GSD)] sono un gruppo di disordini metabo-lici autosomici recessivi, caratterizzati dall’accumulo di un tipo di glicogeno abnorme o in enormi quantità, con un’incidenza di 1/50.000 nati vivi. La GSD tipo I non determina insufficienza epatica, ma i pazienti possono svilup-pare adenomi epatici che evolvono in displasia ed epatocarcinoma. La GSD tipo Ia è dovuta al deficit di glucosio-6-fosfatasi, la GSD tipo Ib al deficit del carrier di glucosio-6-fosfatasi. La GSD tipo III è dovuta al deficit di amilo-1-6-glucosidasi con conseguente deposito nel fegato e nei muscoli di un glicogeno anomalo. Può verificarsi, pur se rara, la progressione verso la cirrosi epatica; in età adulta la miopatia e la cardiomiopa-tia sono cause frequenti di mortalità.La GSD tipo IV è dovuta al deficit di 1,4-Glucano-6-glicosil transferasi con deposito di un glicogeno abnorme, che assomiglia all’amilopectina, nel fegato, muscolo, cuore, encefalo, nervi periferici e cute. La forma classica epatica dà luogo ad una malattia epatica nella prima in-fanzia, con progressione verso la cirrosi che porta all’exitus prima dei 5 anni.La malattia di Gaucher (GD) è un di-sordine autosomico recessivo causato dal deficit dell’enzima beta-glucosidasi, risultante nell’accumulo del glicolipide glicosilceramide nelle cellule del siste-ma reticoloendoteliale di tutto l’or-ganismo. L’incidenza è 1/57.000 nella popolazione generale e 1/855 nella popolazione degli ebrei Ashkenazi. Nella malattia di Gaucher tipo 1, il gli-colipide si accumula nel fegato, nella milza e nel midollo osseo provocando epatosplenomegalia, pancitopenia, do-lori ossei, osteoporosi, fratture pato-logiche, ritardo di crescita ed infiltrato polmonare. Nella malattia di Gaucher tipo 2 e 3 c’è in più il coinvolgimento neurologico e l’exitus precoce, nei pri-mi due anni di vita.La malattia di Niemann-Pick (NPD) (tipo A, B, C) rappresenta in realtà un gruppo eterogeneo di malattie causate da un accumulo lisosomiale di sfingo-mielina ed altri lipidi in varie cellule dell’organismo, in particolare dei ma-crofagi/monociti. La NPD si trasmette

in alcuni bambini con deficit di Al-fa-1- antitripsina e Fibrosi Cistica, senza tuttavia effetti clinici dimo-strati di efficacia sull’outcome. Non esistono trattamenti medici ef-ficaci per la Glycogen storage diseases (GSD) tipo IV, la malattia di Wolman (WoD), le malattie da accumulo degli esteri del colesterolo (CESD), l’acide-mia Metilmalonica (MMA), i difetti della catena respiratoria e la malattia di Niemann-Pick (NPD). Nelle CE-SD le statine e la colestiramina sono utili a ridurre i livelli di colesterolo sierico, ma non ci sono dati signifi-cativi che ne dimostrino l’efficacia a lungo termine. Sono tuttora in corso i trials terapeutici iniziati nel 2006 ri-guardanti l’uso della terapia enzima-tica sostitutiva nella NPD.Nei casi in cui non sia possibile ri-correre ad una terapia medica, il trapianto epatico è a tutt’oggi il trat-tamento elettivo in grado di correg-gere completamente il difetto meta-bolico e di curare la malattia quando il difetto metabolico è espresso uni-camente nel fegato.La sopravvivenza dei pazienti dieci anni dopo il trapianto è > 80%. In alcuni casi può essere presa in con-siderazione la donazione da vivente, dopo la valutazione del fenotipo del donatore, che ha il vantaggio di ot-timizzare il timing della procedura. Le indicazioni al trapianto di fega-to sono la presenza di una malattia epatica in stadio avanzato con insuf-ficienza epatica (come in alcuni casi di malattia di Wilson (WD), deficit di Alfa-1- antitripsina (AAT), fibrosi cistica), l’insufficienza epatica acuta che non risponde alla terapia medica (come in alcuni casi di tirosinemia tipo I), la malattia epatica associata a displasia o ad epatocarcinoma loca-lizzato (come nella tirosinemia tipo I o nella GSD tipo II, III). Vi è indi-cazione al trapianto epatico anche nelle LBMD con normale parenchi-ma epatico ma con coinvolgimento extraepatico poco controllato dalla terapia medica [come i difetti del ci-clo dell’urea (UCD) o la sindrome di Crigler Najjar tipo 1] al fine di pre-venire il danno neurologico. Nel caso di iperossaluria primitiva ti-

Può parlarci in breve delle te-rapie tradizionali e delle più recenti possibilità terapeutiche?

Alcune LBMD possono essere curate con un precoce trattamento medico e/o dietetico che è efficace nel bloccare la malattia epatica. È il caso della ga-lattosemia (che risponde rapidamente all’esclusione del galattosio dalla dieta) e della fruttosemia (che risponde ad una dieta priva di fruttosio). In nessu-na di queste due malattie vi è pertanto indicazione al trapianto epatico. La storia naturale della tirosinemia tipo 1 è stata trasformata dall’intro-duzione nel 1993 del [2-(2-nitro-trifluorometilibenzoil)-1,3-ciclohe-xenedione] NTBC (Nitisinone), che blocca la formazione dei metabolici tossici. Con una dieta povera di feni-lalanina e tiroxina e l’NBTC la lesione epatica non progredisce, rendendo quindi inutile il trapianto epatico.Nella malattia di Wilson bisogna ini-ziare urgentemente i chelanti del rame in modo da prevenire la progressione del danno epatico e neurologico.La terapia enzimatica sostitutiva per la Malattia di Gaucher tipo 1 (GD 1) è possibile dal 1991, inizialmen-te grazie all’alglucerase, un compo-sto derivato dalla placenta umana (Ceredase®, Genzyme Corporation, Cambridge, MA) e dal 1994 grazie all’imiglucerase, formulazione ri-combinante (Cerezyme®, Genzyme Corporation).Sono stati riportati effetti benefici a carico dell’apparato emopoietico, viscerale, scheletrico e polmonare. La deprivazione del substrato con il Miglustat (Zavesca®; Actelion Ltd, Basilea, Svizzera) è un nuovo tratta-mento orale per i pazienti con GD 1, recentemente approvato in Europa e negli Stati Uniti in casi particolari (pazienti impossibilitati ad assumere l’ERT a causa di un cattivo accesso va-scolare o di reazioni allergiche). Mi-glustat inibisce in modo reversibile la glicosilceramide sintetasi, riducendo così la produzione di glicosilceramide (e altri glicolipidi) con conseguente riduzione dell’accumulo tissutale.L’acido ursodesossicolico può mi-gliorare i test di funzionalità epatica

ni del gene UGT1A1. L’accumulo di alti livelli di bilirubina non coniu-gata provoca un danno neurologico severo. L’Iperossaluria primaria tipo 1, è un disordine autosomico recessivo causato dal deficit dell’enzima epa-tico perossisomiale Alanina Glico-silato Aminotransferasi (AGT). Il deficit di AGT determina iperpro-duzione a livello epatico di ossalati con conseguente ipereliminazione urinaria e depositi di ossalati di cal-cio insolubili sia nel rene e nelle vie urinarie con progressione verso l’in-sufficienza renale, sia in altri tessuti (ossa, cuore, arterie, retina, nervi pe-riferici e pelle). L’acidemia metilmalonica (MMA) e l’acidemia propionica (PA) sono i due più comuni errori congeniti au-tosomici recessivi del metabolismo degli acidi organici. La MMA, che ha un’incidenza stimata di 1/80.000 nati vivi, è causata da un deficit completo o parziale di metil-malonil-CoA mu-tasi o dai difetti nella sintesi del suo cofattore adenosilcobalamina (co-fattore derivato dalla vitamina B

12).

L’acidemia propionica (PA) è deter-minata da un disordine autosomico recessivo dell’enzima propionil-CoA carbossilasi.

Quali sono la prognosi ed il follow-up ?

La maggior parte delle LBMD han-no un pessimo outcome spontaneo. È sempre auspicabile una diagnosi precoce e poi l’invio ad un centro specializzato. Quando disponibile, il trattamento specifico va iniziato im-mediatamente dopo la diagnosi per prevenire la progressione della ma-lattia epatica o delle manifestazioni extraepatiche. La prognosi è legata al rischio dell’irreversibilità dell’in-sufficienza d’organo, soprattutto per quanto riguarda il Sistema nervoso centrale, che può controindicare il trapianto epatico, cura elettiva in molti casi di LBMD. Gli errori con-geniti del metabolismo rappresen-tano il 10-15% per ciò che riguarda l’indicazione primaria al trapianto di fegato.

Topic High light... a cura di Mariella Baldassarre

Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche con epatopatie Mariella Baldassarre

6 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

po I con insufficienza renale è indica-to un trapianto sequenziale o simul-taneo di fegato e reni.Quando il difetto metabolico è espresso in tessuti diversi dal fega-to, il trapianto epatico corregge solo parzialmente il difetto, e la malattia extraepatica può pertanto ugualmen-te progredire. L’assenza di coinvolgi-mento extraepatico è di solito consi-derato un prerequisito per il trapianto epatico. Tuttavia, nonostante prima del trapianto non sia stata evidenziata nessuna malattia extraepatica, il coin-volgimento di altri organi dopo il tra-pianto è sempre possibile e richiede un

attento follow-up, soprattutto a livel-lo neurologico. Il trapianto epatico è stato effettuato con successo in alcuni pazienti con CESD, difetti della catena respiratoria, GSD tipo IV.Al momento il trapianto epatico è con-troindicato nella malattia di Niemann-Pick (NPD) poiché la progressione della malattia si realizza comunque dopo il trapianto. A causa del costan-te deterioramento neurologico, il tra-pianto epatico è formalmente con-troindicato nella sindrome di Alper e nell’insufficienza epatica associata al valproato (del gruppo delle malattie da difetti della catena respiratoria).

Il trapianto di midollo osseo è sta-to effettuato con successo in alcuni bambini con malattia di Wolman.

Nuove terapie

Una parziale correzione del difetto metabolico è stato ottenuto dopo il trapianto allogenico di epatociti nel-la UCD. Gli epatociti derivati dalle cellule sta-minali potranno costituire in futuro una fonte alternativa per l’approvvi-gionamento di cellule. Le terapie geniche sono tecniche promettenti.

Learning Points¬¦ Le malattie metaboliche con interessamento epatico (LBMD) si suddividono in:

a) malattie che provocano lesioni epatiche (le più comuni) b) malattie con normale parenchima e funzionalità epatica

¬¦ A qualunque età si manifestino, l’insufficienza epatica acuta, la colestasi, l’epatomegalia, la splenomegalia, la cirrosi epatica, gravi sintomi neurologici (encefalopatia e coma), il ritardo dello sviluppo neuromotorio, l’ipoglicemia, il ritardo dell’accrescimento, la miocardiopatia, i disturbi renali sono sintomi che possono orientare verso una LBMD

¬¦ In alcune LBMD è possibile il trattamento dietetico (galattosemia e fruttosemia) e medico (tirosinemia, malattia di Wilson, GD 1)

¬¦ Quando il difetto metabolico è espresso unicamente nel fegato, il trapianto epatico è a tutt’oggi il trattamento elettivo in grado di correggere completamente il difetto metabolico e di curare la malattia. Quando il difetto metabolico è espresso in tessuti diversi dal fegato, il trapianto epatico corregge solo parzialmente il difetto, e la malattia extraepatica può pertanto ugualmente progredire

Topic High light... a cura di Mariella Baldassarre

Intervista a Dominique Debray: le malattie metaboliche con epatopatie Mariella Baldassarre

7 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Meta-analysis Reviews

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) sono patologie ca-ratterizzate da uno stato infiammato-rio cronico della mucosa intestinale, che necessitano l’impiego di terapie più o meno aggressive per lunghi pe-riodi di tempo. Un numero sempre maggiore di far-maci sono stati via via impiegati nel trattamento delle MICI, per raggiun-gere quella “remissione profonda” che comporta non solo la remissio-ne clinica, laboratoristica ed endo-scopica ma, secondo il concetto più recente, anche quella istologica. Farmaci di largo impiego sono le tiopurine ed il metotrexate (MTX), immunosoppressori conosciuti da tempo in quanto usati per patolo-gie ematologiche ed autoimmuni, e le molecole di nuova generazione, inibitori di un mediatore dell’infiam-mazione, l’anti-tumor necrosis factor (TNF-a), anche questi considerati immunosoppressori. Il primo far-maco anti-TNF ad essere impiegato nelle MICI è stato l’infliximab (IFX), anticorpo monoclonale umano-murino chimerico IgG1, seguito poi dall’adalimumab (ADA), di origine completamente umana e da altre molecole più recenti. È dal 2006 che l’uso dell’IFX è stato approvato in USA e dal 2007 in Europa per i casi di malattia di Crohn (MC) pediatrica resistente alle terapie convenzionali.In questi ultimi anni, diverse sono state le segnalazioni in merito all’in-sorgenza di tumori in pazienti affetti da MICI, con particolare riguardo per i linfomi, poiché sono le neoplasie più frequenti. Diversi sono i fattori chiamati in causa nell’insorgenza di tali patologie, fra cui lo stato infiam-matorio cronico e/o le terapie immu-nosoppressive.I linfomi sono neoplasie che origina-

no dai linfociti e vengono suddivisi, semplificando molto la classificazio-ne internazionale, secondo la loro origine in: • Linfomi non Hodgkin (LnH) (90% circa)

- a cellule B;- a cellule T/NK;- non B, non T

• Linfomi di Hodgkin (LH) (10%)

Linfoma miCi-CorreLato Lo sviluppo di linfomi intestinali ed extraintestinali in corso di MICI è stato oggetto di numerose segnalazioni fra cui la prima, un caso di “linfosarco-ma”, descritto in un gruppo di pazienti che svilupparono carcinomi del colon in corso di colite ulcerosa (CU) (1). Sono seguiti quindi altri report che se-gnalavano l’insorgenza di linfomi inte-stinali su aree di infiammazione attiva, suggerendo che proprio l’infiamma-zione poteva aumentare il rischio di trasformazione in senso neoplastico della mucosa. Per ciò che riguarda i linfomi extraintestinali, nel corso degli anni, diversi lavori non hanno dimo-strato un aumentato rischio statistica-mente significativo di sviluppare linfo-mi in corso di MICI rispetto a quanto atteso nella popolazione generale (2-5), ad eccezione di qualche rara segnalazione (6).Queste pubblicazioni presentano pe-rò alcuni limiti: sono studi retrospetti-vi, alcuni con follow-up troppo breve e con scarse notizie sul trattamento a cui sono stati sottoposti i pazienti. Per chiarire meglio il ruolo dell’infiam-mazione, un contributo importante è stato fornito da lavori che riguardano l’associazione di altre patologie croni-che con l’insorgenza di linfomi, fra cui l’artrite reumatoide (AR). In particola-re un recente studio svedese dimo-stra che la severità dell’infiammazione nell’AR rappresenta il fattore più im-

portante nell’insorgenza dei linfomi, ancora più del trattamento (7). Valutando quindi i dati emersi dalla letteratura, oggi non siamo ancora in grado di dare un giudizio definitivo sul ruolo delle MICI nel favorire l’insorgen-za dei linfomi. Probabilmente ancora molti sono i fattori malattia-correlati, di cui non conosciamo l’importanza.

Linfoma terapia-CorreLatoLa terapia immusoppressiva (IM) im-piegata nelle MICI, comprende le tio-purine (Azatioprina e 6-mercaptopuri-na), il MTX e la ciclosporina. Di questi farmaci sono ben conosciuti gli effetti collaterali “a breve termine”, mentre meno sono quelli “a lungo termine”, fra cui l’insorgenza di neoplasie riportate in più lavori. Due studi importanti, uno pubblicato nel 2005 di Kandiel ed uno del 2009 di Beaugerie, hanno correla-to in maniera abbastanza precisa il ri-schio linfomi con l’uso delle tiopurine, riportando che l’aumento rispetto alla popolazione generale era di circa 4-5 volte (8,9). Gli stessi autori ribadisco-no ancora una volta come nelle forme moderate-severe che necessitano di terapia IM, l’infiammazione cronica può avere un ruolo nell’insorgenza del linfoma. Inoltre non è ben chiaro se il rischio si riduca con la sospensione del farmaco e se sia dose-correlato. Non esistono dati in letteratura in merito a linfomi indotti dal MTX nelle MICI, in quanto impiegato solo se c’è intol-leranza o non risposta alle tiopurine. Segnalazioni invece esistono di linfo-mi in pazienti affetti da AR trattate con MTX, spesso in associazione all’inibito-re del TNF-a (10). Nessun dato invece è emerso riguardo al rischio correlato all’uso della ciclosporina. Interessante è poi la segnalazione, in pazienti affetti da MICI in terapia IM, di LnH B, a localizzazione intestinale, dove

a cura diErasmo Miele Patologie linfoproliferative e malattie

infiammatorie croniche intestinaliL'associazione fra malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) e patologie linfoproliferative, in particolare i linfomi, è stata oggetto di nuove segnalazioni, anche controverse, in letteratura. Viene riportato il ruolo della terapia immunosoppressiva e biologica come fattori di rischio nell’insorgenza dei linfomi in pazienti con MICI e quello della stessa malattia di base.patrizia alvisi e paolo Lionetti1UOC Pediatria, Ospedale Maggiore di Bologna e Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino 1Università di Firenze - AOU Meyer

8 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Meta-analysis Reviews a cura di Erasmo Miele

Patologie linfoproliferative e malattie infiammatorie croniche intestinali Patrizia Alvisi et al

sono state trovate numerose copie di DNA appartenenti al virus Epstein Barr (EBV). Le tiopurine avrebbero un ruolo ben definito: svolgono infatti un’azione citotossica sui linfociti T ed NK e per questo inibiscono il controllo sulla pro-liferazione delle cellule B, EBV infettate, rese “immortali” dalla replicazione virale. In questi pazienti sarebbe utile monito-rare il numero delle copie di Dna virale, nel tentativo, qualora queste aumentas-sero, di identificare i soggetti “a rischio” di neoplasia, anche perché la pronta sospensione della terapia IM, può far regredire il linfoma EBV correlato.Dall’introduzione dei farmaci anti-TNF, è stata segnalata una possibile asso-ciazione con il rischio di LnH. Diversi studi hanno cercato di precisare questo rischio con dati non sempre univoci, stimandolo come inesistente ad esem-pio nel registro TREAT dell’FDA (11) o aumentato in altri, come in una recente metanalisi di Siegel (12).Nell’agosto 2008 un report dell’FDA, ha segnalato 48 casi di neoplasie in-sorti in pazienti trattati con farmaci anti-TNF in età < 22 anni (tabella 1). I dati più importanti che emergono sono:• i linfomi sono le neoplasie più fre-quenti;

• 31 pazienti sono stati trattati con IFX, 2 con ADA e 15 con etanercept;

• 88% dei pazienti sono stati trattati anche con IM;

• 25 pazienti hanno MICI e sono stati tutti trattati anche con tiopurine;

• non ci sono correlazione con la dose anti-TNF;

• l’incidenza di neoplasia è 4 volte supe-riore all’atteso nella popolazione pe-diatrica americana, mentre quella dei linfomi (escluso HSCTL) è di 9 volte.

I ricercatori concludono che esiste un più alto rischio di neoplasia, soprattut-to di linfoma, nei pazienti pediatrici trattati con farmaci anti-TNF, senza pe-rò riuscire a dimostrare una relazione causale certa.Particolare attenzione è stata rivolta all’associazione fra linfoma epatosple-nico (HSTCL) e MICI, la cui insorgenza è stata messa in relazione al tratta-mento (13). Si tratta di un raro LnH a cellule T, che origina nella polpa rossa della milza, da cellule effettrici dell’immunità in-nata. Clinicamente l’HSTCL si presenta in pazienti giovani, spesso maschi ed è caratterizzato da segni quali spleno-

megalia, epatomegalia, piastrinopenia da infiltrazione midollare e sintomi ti-pici dei linfomi B, quali febbre, perdita di peso e sudorazioni notturne; non vi è interessamento linfonodale (tabella

2). La diagnosi si basa sulla biopsia

ConCLusioniLa relazione causale fra linfomi, attivi-tà di malattia e terapia è complesso e piuttosto controverso. I dati sembra-no non supportare un ruolo autono-mo della malattia nell’insorgenza dei linfomi e probabilmente va associata a più fattori, fra cui il trattamento. È oramai assodato che pazienti tratta-ti con IM hanno un rischio di linfomi maggiore di quello riscontrato nella popolazione generale, mentre ancora non si è riusciti a quantificare quello relativo all’uso degli anti-TNF, anche se oramai documentato. Fermo re-stando il ruolo terapeutico irrinuncia-bile svolto attualmente da tali farmaci, riteniamo che i pazienti specie in età pediatrica, debbano essere sottoposti a questi trattamenti con estrema cau-

Tab. 1 Neoplasie pediatriche riportatedall’FDA

HSTCL 10

LnH 7

MH 6

Leucemia/Mielodisplasia

7/1

Melanoma 3

Neoplasie solide 14

Tab. 2 Sintomi e dati di laboratorio dell’HSTCL

sintomi/segni %

Splenomegalia 100

Epatomegalia 77

Sintomi "B correlati" 70

Ittero 29

Infezioni 24

da Burger D. (12) modificata

Dati di laboratorio %

Infiltrazione midollare 100

Trombocitopenia 89

Anemia 80

Leucopenia 50

Ipertransaminasemia 40

osteomidollare, richiede valutazioni in citofluorimetria, immunoistochimiche e citogenetiche. Ha un andamento clinico molto aggressivo, con una so-pravvivenza nel 15% dei casi.In letteratura sono circa 200 casi de-scritti di HSTCL, fra cui uno insorto in un paziente con AR trattato solo con ADA. Circa il 10% sono pazienti affetti da MICI (18 MC, 5 CU), tutti trattati con tiopurine ed il 70% anche con IFX (14). Per i pazienti in età pediatrica, nel report dell’FDA già citato l’HSTCL rappresenta la neoplasia più frequen-te (10 casi) (15). Le caratteristiche rilevabili sono:

• 10/10 pazienti sono affetti da MICI;• 100% sono stati trattati con IFX in asso-ciazione a tiopurine;

• 2 pazienti hanno anche ricevuto ADA;• non c’è correlazione con la dose assun-ta di anti-TNF;

• 9/10 sono deceduti entro 1 anno.

tela, impiegando la minor dose possi-bile per il periodo di tempo più breve ed evitando l’associazione anti-TNF e tiopurine. Inoltre i nostri sforzi devono essere anche rivolti ad identificare i pazienti con malattia più severa, per i quali il rapporto rischio-beneficio del trattamento sia più accettabile.E per concludere alcune domande sorgono spontanee... ”È la malattia un fattore di rischio per lo sviluppo del linfoma, con la possibilità che alcune terapie riducendo l’infiammazione, ri-ducano il rischio neoplastico? Oppure questi pazienti in terapia immunosop-pressiva stanno pagando il prezzo per un più efficace controllo dell’infiamma-zione, però riducendo la sorveglianza anti-neoplastica? E forse un intervento terapeutico che riesca stabilmente a modificare alcuni fattori, come la flora intestinale, potrebbe controllare me-glio la malattia nei nostri bambini?”

9 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

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Key Points¬¦ Nuova è l’associazione fra mICI e patologie linfoproliferative

¬¦ I fattori correlati alla malattia intestinale (come l’infiammazione cronica) non hanno ancora un ruolo oncogenetico definito

¬¦ documentato è invece il rischio correlato all’uso delle tiopurine nell’insorgenza di linfomi

¬¦ I farmaci anti-TNF secondo diversi studi, aumenterebbero il rischio di insorgenza di linfomi, con particolare riguardo al linfoma epato-splenico

¬¦ Per l’importante ruolo terapeutico svolto dai farmaci biologici ed immusoppressori, malgrado il rischio correlato all’insorgenza delle neoplasie, riteniamo che al momento il bilancio costo-beneficio sia comunque a favore dell’utilizzo di tali terapie. Andrà posta particolare attenzione nella selezione dei pazienti da trattare con tali farmaci

Meta-analysis Reviews a cura di Erasmo Miele

Patologie linfoproliferative e malattie infiammatorie croniche intestinali Patrizia Alvisi et al

10 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Testatina apertura rubricaPediatric Nutrition Outside Box

Aspetti nutrizionali del bambino con cerebropatia Il 90% dei bambini con cerebropatia ha problemi nutrizionali. L’intervento nutrizionale deve tener conto della funzione orofaringea, della presenza di reflusso gastroesofageo (GER) e dei fabbisogni energetici antonino tedeschiCentro di Riabilitazione "Tripepi-Mariotti" di Reggio Calabria

a cura diGraziano Barera

Il 90% dei bambini con cerebropa-tia ha problemi di alimentazione (1). Circa il 75% ha GER che aumenta il rischio di polmonite “ab ingestis” e di malnutrizione (2). Normalmente sia l’anatomia che la fisiologia della deglutizione evolvono con la cresci-ta. Il pasto richiede inoltre un insie-me di capacità motorie che si svilup-pano parallelamente allo sviluppo della deglutizione, come la capacità di sostenere il capo, di mantenere la posizione seduta con il tronco drit-to, di afferrare oggetti e portarli alla bocca. Nei bambini cerebropatici la capacità di alimentarsi in modo indi-pendente, che si acquisisce all’età di 24-30 mesi, spesso manca. anamnesi Le difficoltà di alimentazione variano con differenti consistenze del cibo? I bambini con incoordinazione oro-fa-ringea sono a maggior rischio di aspi-razione con i liquidi e non riescono a masticare i solidi.Qual è la posizione durante il pasto? Il rischio di aspirazione aumenta con l’estensione del collo e del tronco; l’eccessiva flessione restringe le vie aeree e può indurre ipossia.Ha vomito? È irritabile? Rifiuta il cibo? Può essere un segno di disfunzione motoria orale, di dolore gastrointesti-nale, e/o di un disturbo relazionale con i genitori.Ha, quando mangia, tosse, crisi di soffocamento, apnea, respiro rumo-roso, ha fuoruscita di alimento dal naso? Ha eccessiva perdita di saliva dalla bocca? Ha una storia di malat-tie respiratorie (polmoniti, asma)? Tutti questi sintomi potrebbero esse-re causati da problemi di coordina-zione tra la suzione, deglutizione e la

respirazione. Quanto dura il pasto? In generale la durata del pasto non dovrebbe superare i trenta minuti.Quali farmaci sono adoperati: le ben-zodiazepine possono indurre una ridotta coordinazione dei muscoli fa-ringei e un eccesso di salivazione (3); fenitoina e barbiturici possono deter-minare una carenza di folati e vitamina D (4). L’uso di olio minerale per il trat-tamento della stipsi cronica può indur-re deficit di vitamine liposolubili (4).

esame obiettivoIl pasto andrebbe osservato per alme-no 15-20 minuti. Il drammatico au-mento della frequenza cardiaca può indicare che la fatica è eccessiva. La bradicardia può essere un segnale di rischio imminente di vita. Bassi valori di saturazione durante i pasti indicano mancanza di coordinazione tra deglu-tizione e respiro. I segnali del deficit motorio orale sono indicate dalla pre-senza dei seguenti segni:

dall’handicap neurocognitivo per sé ed è considerato l’indice antropo-metrico migliore per valutare lo sta-to nutrizionale (6). I dati biochimici più utili nella valutazione dello stato nutrizionale sono i valori di ferro e di emoglobina (4,8). La ridotta mo-bilità, la ridotta esposizione al sole, l’assunzione di farmaci induttori della metabolizzazione epatica della Vit D quali carbamazepina e barbi-turici e la terapia con olio minerale predispongono all’osteoporosi e a dolorose fratture patologiche che affliggono un bambino su 4 con cerebropatia. La supplementazio-ne di vitamina D raccomandata nei pazienti trattati con carbamazepina o barbiturici è di 1200-2000 UI al giorno (4,7).

vaLutazione strumentaLeIl pasto baritato consente di iden-tificare eventuale dismotilità gastro-esofagea, possibili anomalie come la sindrome dell’arteria mesenterica superiore, frequente nei bambini con scoliosi o che hanno avuto una rapida perdita di peso e, nei pazienti con scoliosi, un’eventuale posizione dello stomaco in torace. Lo studio vi-deofluoroscopico della deglutizione è finalizzato a studiare la fase farin-gea e consente di valutare la risposta alle tecniche di trattamento. Tuttavia la riproducibilità del test, che studia pochi atti deglutitivi, è discutibile, per cui è opportuno non basare la valutazione in merito ad eventuale aspirazione solo sul risultato dello studio (8). La scintigrafia con tec-nezio, utile per valutare il tempo di svuotamento gastrico, può eviden-ziare eventuale aspirazione polmo-

11 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

protrusione della lingua, perdita dalla bocca di liquidi o cibo durante il pasto, tosse, crisi di soffocamento, lunga durata, difficoltà nell’as-sumere cibi che richiedono masticazione, ri-gurgiti nasali.

L’associazione di più sintomi indica un danno maggiore.

stato nutrizionaLe La maggior parte dei bambini con cerebropatia sono malnutriti. Circa il 10-15% è sovrappeso (5). A causa delle deformità fisiche può essere difficile persino pesare un bambi-no costretto a posture obbligate e non deambulante. Lo spessore del-la plica tricipitale non è influenzato

Testatina apertura rubricaPediatric Nutrition Outside Box a cura di Graziano Barera

Aspetti nutrizionali del bambino con cerebropatia Antonino Tedeschi

cinesie, invece, possono avere richie-ste energetiche straordinariamente elevate. Per la stima dei fabbisogni energetici è raccomandato il calcolo del valore del metabolismo basale moltiplicato per l’indice di attività (ta-

bella 1). Gli alimenti liquidi prepa-rati in casa comportano un maggior rischio di contaminazione batterica ed il contenuto in nutrienti è difficile da calcolare. Le formule polimeri-che sono di solito ben tollerate, tut-tavia l’alta densità può determinare un più lento svuotamento dello sto-maco. È stata osservata una riduzio-ne del tempo di svuotamento dello stomaco e una più bassa incidenza di GER in bambini con grave deficit neurologico alimentati con formule a base di idrolizzato di lattoalbumina.

nare da GER. La specificità è elevata ma la sensibilità è bassa. La pH-metria esofagea può non essere attendibile nei bambini con scoliosi nei quali è più difficile il posizionamento accu-rato dello strumento e può essere normale in alcuni bambini che han-no complicanze respiratorie associate con GER per cui la diagnosi di reflusso è spesso basata sui sintomi (9).

Tali formule sono pertanto indicate nei bambini cerebropatici con ritar-dato svuotamento dello stomaco. Le formule elementari a base di ami-noacidi liberi possono essere utili nel reflusso gastro-esofageo resistente alla terapia farmacologica (10). nell’ali-mentazione a boli la somministra-zione troppo rapida comporta il rischio di causare rigonfiamento dello stoma-co, crampi dolorosi, nausea, diarrea e aspirazione. La velocità di somministra-zione va aggiustata in base alla tolle-ranza del paziente. L’alimentazione continua può essere il solo modo di alimentare pazienti con ritardato svuo-tamento gastrico e/o anomalie del transito intestinale e va sempre adope-rata nell’alimentazione digiunale.

12 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Le strategie compensatorie riguardano la po-sizione della testa e del corpo, il volume del bolo di alimento, la velocità con cui è dato il cibo e la sua consistenza.

Non c’è una posizione ideale utile per tutti i bambini. La flessione della testa in avanti restringe le vie aeree; il piegarla all’indietro può determinare il passaggio in faringe del bolo prima che sia scattato il riflesso di degluti-zione ed aumentare il rischio di aspi-razione. Il collo deve essere tenuto allineato in una posizione neutrale. I liquidi si spostano rapidamente per gravità e hanno un alto rischio di an-dare a finire nelle vie aeree se c’è un ritardo nell’attivazione dei sistemi di protezione della deglutizione farin-gea. Sono consigliati alimenti di con-sistenza cremosa. Può causare aspi-razione il cibo dato più velocemente di quanto il bambino possa gestirlo. È consigliabile avere a casa un aspi-ratore da usare in caso di abbondanti secrezioni che non sono rimosse dal-la tosse. Sono inoltre suggerite delle strategie terapeutiche indirette in cui la bocca del bambino è in vario modo stimolata, sia all’esterno che all’inter-no, per mantenere il tono muscolare e la sensibilità, senza deglutizione di alimenti. L’alimentazione enterale è indicata per la deglutizione non si-cura con rischio significativo di aspi-razione dell’alimento, per una dura-ta eccessiva dei pasti e l’inadeguato incremento ponderale. È indicata la gastrostomia per l’alimentazione enterale prolungata oltre 3 mesi (8). Il fabbisogno energetico di un bambino con cerebropatia è di solito molto ridotto e può diventare un problema dargli tutti i nutrienti in quantità adeguata. Può essere utile l’uso di una formula ad alto rapporto nutrienti-energia. I bambini con iper-

Tab. 1 Stima dei fabbisogni energetici

metabolismo Basale

Età (anni) (K cal/kg/d) Femmine (K cal/kg/d) maschi

1 56.4 57

2 54.3 53.65

3 53.0 53.60

4 51.0 50.80

5 50.9 48.43

6 47.4 46.72

7 44.7 44.80

8 42.0 41.5

9 39.1 40.30

10 37.1 38.3

11 35.2 36.6

12 32.0 35.1

13 30.0 33.4

14 27.0 30.9

15 26.0 29.5

16 25.5 28.4

17 24.8 27.6

18 24.5 27

19 24.3 26.5

20 24.2 26.4

Calcolo dei fabbisogni energetici giornalieri

MB x 1.2 Paziente confinato a letto

MB x 1.5 Paziente sedentario

MB x 1.7 Normale attività

MB x 2.0 Atleta

A. Tedeschi. L’handicap neurologico in A. Rubino ed. Gastroenterologia Pediatrica.Pisa: Pacini Editore, 2008

Testatina apertura rubrica

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Key Points¬¦ Un'anamnesi accurata dei vari aspetti legati all'alimentazione è indispensabile per inquadrare bene

ogni singolo caso

¬¦ È importante condurre un'osservazione attenta delle modalità con cui avviene il pasto e delle reazioni fisiche e comportamentali del bambino

¬¦ la posizione della testa e del collo durante il pasto è sempre un punto critico

¬¦ Il corretto posizionamento del capo e del collo e la consistenza del pasto adeguata alle capacità di masticazione e deglutizione del bambino sono valide strategie compensatorie

¬¦ Nei soggetti con grave cerebropatia l'alimentazione enterale si rende necessaria e ne può migliorare la qualità di vita

Pediatric Nutrition Outside Box a cura di Graziano Barera

Aspetti nutrizionali del bambino con cerebropatia Antonino Tedeschi

13 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Training and Educational Corner

Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decennioI test di funzione pancreatica vengono utilizzati per definire principalmente la capacità da parte del pancreas di produrre enzimi digestivi ed elettroliti e di svolgere quindi correttamente il suo lavoro nel processo di assorbimento intestinale dei nutrienti. marco CipolliCentro Fibrosi Cistica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona

a cura diBarbara Bizzarri Francesca Vincenzi

Diretti

Invasivi

Test con secretina

Test secretina-colecistochinina

Test secretina-ceruleina

Test secretina-bombesina

indiretti (tubeless)

Pancreolauril test

Test alla bentiromide

Test di Schilling

Misurazione quantitativa dell’escrezione dei grassi fecali

Breath test con trigliceridi

La pancreatite cronica e la fibrosi cistica sono le più comuni malattie caratteriz-zate da una insufficienza pancreatica e che, in presenza di una riduzione al di sotto del 5% della funzione della ghiandola, sono caratterizzate da una steatorrea (1). Vi sono a disposizione molti test per definire una diagnosi di insufficienza pancreatica ma possono venir utilizzati anche per determinare la severità della patologia considerata, questo in partico-lare nel caso di una pancreatite cronica. Abbiamo a disposizione test in grado di documentare l’insufficienza esocrina della ghiandola e test in grado anche di quantificare l’entità di questa diminuita capacità secretoria. Nel primo caso i test risultano patologici in presenza di uno stadio avanzato di malattia ad esempio della pancreatite cronica, nel secondo caso invece i test sono in grado di defini-re il danno pancreatico ad un livello più precoce di coinvolgimento rispetto ai test precedenti. Tuttavia questo vantag-gio di sensibilità viene in parte limitato dal fatto che i test che misurano la capa-cità secretoria del pancreas vengono ef-fettuati solo in pochi centri specialistici. Di seguito cercheremo di descrivere i molteplici test a disposizione, il loro razionale d’uso, l’accuratezza, i costi e la loro utilità clinica.I test di funzione pancreatica sono basati sulla capacità di misurare direttamente la secrezione pancreatica (bicarbonati e/o enzimi digestivi) o di misurare gli effetti secondari risultanti dal deficit di produzione degli enzimi digestivi.I test di misurazione della funzionalità pancreatica esocrina vengono definiti come diretti o indiretti. Possiamo consi-derare i test diretti come quelli che van-no a misurare la concentrazione (livelli) degli enzimi pancreatici nel siero o nelle feci e come test indiretti quelli che de-terminano la funzione pancreatica at-

traverso la misura di effetti determinati da una secrezione inadeguata di enzimi digestivi o di bicarbonato (1-4).In tabella 1 sono elencati i principali test diretti ed indiretti di funzione pancreatica.

Tab. 1 Test di funzionalità pancreatica

test diretti di funzionepanCreatiCaTest diretti di stimolazione pancreaticaQuesti test sono considerati i “gold standard” nella misurazione della fun-zionalità pancreatica. Sono dei test di tipo invasivo e si basano sulla capacità di raccogliere e misurare le secrezioni pancreatiche e quindi di determinare la capacità secretoria della ghiandola. Per l’esecuzione è necessario stimolare l’attività pancreatica con l’infusione di

secretina (stimolazione dei bicarbo-nati) e colecistochinina o uno dei suoi analoghi (stimolazione enzimatica), posizionare una sonda in duodeno e mantenerlo in aspirazione per rac-cogliere il secreto. Questo tipo di test ha subito nel tempo numerosi adatta-menti, si è tentata una standardizzazio-ne ma spesso ogni centro utilizza un proprio protocollo. Non è poi seconda-ria la metodica per la raccolta e la mi-surazione del succo pancreatico e dei bicarbonati. I due problemi maggiori da considerare sono la possibile conta-minazione dell’aspirato duodenale da parte dei succhi gastrici e la perdita di secreto duodenale in digiuno o nello stomaco, per reflusso. Nel primo caso una sonda posizionata nello stomaco, in grado di aspirare il contenuto gastri-co, riduce il rischio di contaminazione dell’aspirato duodenale. Nel secondo caso si sono esplorate alcune possibili-tà, la più utilizzata è quella di infondere un marker non assorbibile in duodeno per misurare l’adeguatezza della rac-colta di succo nel duodeno steso. Un recupero ≥ 85% del marker infuso vie-ne considerato come una raccolta sod-disfacente rassicurando quindi che la perdita eventuale di succo duodenale è minima. La discussione poi è rimasta sempre aperta se la misurazione di tre o più enzimi (tripsina, amilasi, lipasi) fornisce più informazioni rispetto alla misurazione di un solo enzima (gene-ralmente la tripsina). A questo punto occorre prendere in considerazione i possibili potenziali vantaggi di questo tipo di esame. Alcu-ni lavori mostrano come questo tipo di test sia in grado di identificare pazienti con pancreatite cronica che hanno un danno funzionale di stimolo secretorio ma non ancora un danno strutturale evidenziabile ad una colangiopancrea-tografia retrograda (ERCP). Tuttavia si è

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lundh test

Non-invasivi (tubeless)

Tripsina sierica

Chimotripsina fecale

Elastasi-1 fecale

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Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decennio Marco Cipolli

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anche visto in alcuni casi esattamente il contrario, anche se poi solo in una bassa percentuale si è sviluppata nel tempo una pancreatite cronica. I test di funzione pancreatica appaiono essere più sensibili della ultrasonografia nella diagnosi di pancreatite cronica. Nonostante il test da stimolo pancreati-co sia particolarmente sensibile per va-lutare la funzione pancreatica, presenta sicuramente numerose limitazioni:

Test di LundhAnche questo test prevede l’intubazio-ne del duodeno, seguita da 300 ml di pasto standardizzato contenente il 6% di grassi, il 5% di proteine ed il 15% di carboidrati. Viene successivamente aspirato il contenuto duodenale; la trip-sina è l’enzima più utile da misurare in quanto meno sensibile ai cambiamenti di pH ma è comunque raccomandabile la misurazione di almeno due enzimi. La sensibilità del test è inferiore a quello del test con secretina, inoltre il test dipende dal rilascio endogeno di CCK e secretina e può quindi essere inaffidabile in pa-zienti con alterazioni della mucosa inte-stinale (ad esempio nei celiaci).

Test non invasivi (tubeless)Tripsinogeno siericoIl pancreas è l’unico organo che produce questo enzima, quindi livelli bassi posso-no indicare o una riduzione del conte-nuto tissutale o della secrezione duttale o entrambe le cose. I limiti di questo test sono legati ad una estrema oscilla-zione nel siero della immunoreattività tripsino-simile. Il test è poi estremamen-te inaffidabile nei pazienti senza steator-rea. Tuttavia delle misurazioni ripetute potrebbero essere utili per evidenziare un calo dei livelli sierici ad indicare una progressione di una pancreatite cronica. Da ricordare che valori bassi di tripsina si ritrovano anche nei tumori del pancreas.

Chimotripsina fecalePer molti anni questo è stato il test di riferimento per la funzione pancreatica.

Un basso valore di chimotripsina fecale può quindi essere un indice di insuffi-cienza pancreatica. Per quanto riguarda la sensibilità, la maggior parte degli stu-di mostra valori tra il 70 e il 90% circa, la specificità oscilla tra il 50 e il 90%. Si è visto che i valori di chimotripsina fecale possono essere legati ad un pH basso, quindi utile sarebbe una deter-minazione di un pH fecale in presenza di valori bassi dell’enzima nelle feci. Il test risulta al di sotto della normalità nei pazienti con steatorrea pancreati-ca e mostra una correlazione negativa significativa con l’escrezione dei grassi fecali. La determinazione della chimo-tripsina fecale è un test affidabile in presenza di una compromissione fun-zionale pancreatica avanzata ma non è affidabile nelle fasi precoci di compro-missione della ghiandola. Questo test presenta alcuni indubbi vantaggi rispetto alla misurazione di altre proteasi nelle feci:

non esiste una standardizzazione comune del test che renda confrontabili i risultati dei vari centri che eseguono questo esame;il test è eseguito solo in un numero limitato di centri di riferimento;esistono delle difficoltà nell’approvvigionamento della secretina di origine porcina necessaria per il test; il test è invasivo e generalmente mal tollerato dai pazienti, in particolare se di età pediatrica; possibili falsi positivi, ad esempio in presenza di diabete, celiachia, cirrosi.

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è un test semplice e poco costoso; usa una misurazione automatica; il campione è stabile per parecchi giorni a temperatura ambiente e può essere spedito a centri diagnostici; per i pazienti con insufficienza pancreatica e supplementazione terapeutica enzimatica il test può indicare se la terapia è adeguata o meno documentando i livelli esogeni di chimotripsina (5).

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Da ricordare che questo test viene uti-lizzato in Europa ma non è disponibile negli Stati Uniti.

Elastasi-1 fecaleÈ una proteasi specifica pancreatica umana e che subisce solo una mini-ma degradazione durante il transito intestinale ed è all’incirca sei volte più concentrata nelle feci rispetto al succo duodenale. Vi è poi una buona corre-lazione tra i livelli di elastasi-1 fecale e i livelli di amilasi, lipasi e tripsina nel suc-co duodenale sia in soggetti sani che in soggetti con pancreatite cronica. Sono stati pubblicati numerosi studi di comparazione tra l’elastasi-1 fecale e la chimotripsina fecale come indicatori di compromissione pancreatica. La sen-sibilità dell’elastasi nelle forme “mild” di pancreatite cronica è tra 0-65%, in quelle tra il moderato e il severo risulta essere tra il 33 e il 100%. La specificità varia tra il 29 ed il 95%. Importante ricordare come una steatorrea di origine non-pancreatica può mostrare una concentrazione artifi-cialmente più bassa molto probabilmen-te dovuti ad una diluizione per la diarrea.

A questo punto risulta importante capi-re gli eventuali vantaggi e/o svantaggi di questo test rispetto alla determinazione della chimotripsina fecale. Purtroppo vi sono sia studi che evidenziano una mi-glior sensibilità dell’elastasi nel determi-nare una insufficienza pancreatica mo-derato-severa, sia studi che non hanno messo in evidenza questa superiorità dell’elastasi rispetto alla chimotripsi-na. Gli svantaggi della determinazione dell’elastasi-1 fecale rispetto alla chimo-tripsina fecale sono il costo più elevato e l’incapacità di valutare la risposta alla terapia enzimatica supplementare.Entrambi i test sono affidabili nel deter-minare una condizione severa di insuf-ficienza pancreatica, ma poco accurati per evidenziarne una forma precoce.

test indiretti di funzione panCreatiCaIl principio su cui si basano questi test è il misurare gli effetti degli enzimi pan-creatici nell’intestino. Questo include la misura di parti di cibi indigeriti nelle feci (grassi) o di prodotti di digestione degli enzimi pancreatici nel sangue o nelle urine. Quindi questi test risultano positivi solo quando si è sviluppata una maldigestione, pertanto sono precisi in presenza di uno stato avanzato di com-promissione, e poco sensibili nelle fasi precoci di coinvolgimento pancreatico.

Grassi fecaliLa misurazione dei grassi fecali è il mo-do più semplice di valutare l’azione de-gli enzimi pancreatici. Occorre sempre ricordare che si ha una maldigestione dei grassi solo quando si arriva ad una perdita di capacità secretoria di lipasi pancreatica ≥ 90%. La raccolta delle feci delle 72 ore men-tre il paziente assume una dieta con 100 g/giorno di grassi è il test che me-glio evidenzia la maldigestione dei gras-si. Una perdita ≥ di 7 gr/giorno di grassi con le feci è da considerarsi patologico. L’analisi quantitativa dei grassi fecali non è né specifica né sensibile per determi-nare la funzione pancreatica esocrina. In ogni caso questo test è di difficile esecuzione al di fuori di centri specia-lizzati e non è un test particolarmente popolare tra i tecnici di laboratorio.

Test alla BentiromideLa bentiromide è un peptide sintetico legato all’acido paraminobenzoico (PA-BA), che viene scisso selettivamente dalla chimotripsina.Questo test consi-

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ste nella raccolta di urine o di siero 1 ora dopo l’ingestione orale di ben-tiromide e nel dosaggio del PABA. La sensibilità è probabilmente massima con un periodo di raccolta di 6 ore. Il riscontro nelle urine di meno di 50% della dose orale suggerisce fortemen-te una malattia pancreatica. La mag-gior parte degli studi mostra una sen-sibilità del 60-90% ed una specificità del 60-100%, tuttavia questi valori dipendono dalla gravità della malattia al momento del test. Anche questo test non è molto affidabile in una fase iniziale di pancreatite cronica.

Pancreolauril testIl principio che sottende a questo test è il medesimo del test alla bentiromide. Si somministra fluorescina dilaureato in-sieme ad una colazione standardizzata. Una colesterolesteridrolasi specifica del pancreas agisce su questo composto per rilasciare fluorescina idro-solubile, che viene assorbita dall’intestino, coniu-gata nel fegato ed escreta nelle urine. Le urine devono essere raccolte per10 ore e su questo campione viene misurata la fluorescina libera. La specificità e sensi-bilità è simile al test alla bentiromide.

Test di schillingUn malassorbimento della vitamina B12 è stato osservato in un 30-50% di soggetti adulti con insufficienza pancreatica eso-crina. Questo è determinato dal fatto che la proteina R salivare, che ha maggiore affinità per la cobalamina rispetto al fatto-re intrinseco (FI), in presenza di un deficit delle proteasi esocrine del pancreas non può essere scissa. Per il test di Schilling con doppio isotopo, vengono sommi-nistrati 57CO-Cobalamina-FI; 58Co-cobalamina-proteina R. L’insufficienza pancreatica dovrebbe essere indicata da un basso rapporto 58CO/57CO in circolo e nelle urine. La sensibilità di questo test è controver-sa e al momento il suo utilizzo è estre-mamente limitato.

Breath test con trigliceridiIl breath test viene utilizzato in molte pa-tologie gastrointestinali. Sono stati messi a punto diversi test con trigliceridi mar-cati con il carbonio per misurare la dige-stione intraluminale dei grassi da parte delle lipasi pancreatiche. L’esalazione di 14CO2 viene misurata dopo l’ingestione di 14C-trigliceridi che vengono general-mente dati con una colazione standard. Sono stati messi a punto test con diffe-

renti substrati (acido trioctanoico, tripal-mitico, triolenico, etc). Sembrerebbero avere una buona sensibilità e specificità nell’insufficienza pancreatica severa, ma scarsa nelle forme mild.Occorre poi ricordare come il metabo-lismo dei trigliceridi a CO2 dipende non solo dall’idrolisi da parte delle esterasi pancreatiche ma anche dall’assorbi-mento intestinale, dal metabolismo epatico e dalla ventilazione. Quindi, malattie del piccolo intestino, del fega-to e del polmone possono interferire con l’accuratezza dei breath test e al momento attuale non trovano molto spazio nell’uso clinico.

Risonanza magneticae valutazione pancreaticaUn capitolo a parte merita in questo momento l’utilizzo della risonanza ma-gnetica nucleare (MRI), della colangio-pancreatografia (MRCP) e della MRCP con stimolo secretinico (sMRCP) per determinare il danno pancreatico. In particolare la sMRCP, scarsamente in-vasiva e sufficientemente sicura, è in grado di fornire sia risposte sul danno parenchimale sia sull’impegno funzio-nale della ghiandola. Lo stimolo secre-tinico aumenta il flusso ed il volume del dotto pancreatico e la sMRCP può for-nire una stima della funzione esocrina pancreatica attraverso la valutazione del grado di riempimento duodenale (6). Un problema è sicuramente il fatto che questa tecnica misura il volume del flus-so pancreatico e non la concentrazione di bicarbonato. Quindi, alterazioni di tipo ostruttivo o uno spasmo dello sfintere di Oddi potrebbero fornire un risultato

positivo in assenza di una reale pancre-atite cronica. È poi da considerare il tem-po durante il quale vengono acquisite le immagini, generalmente 30’, e che potrebbe essere insufficiente durante la stimolazione con secretina e che quindi potrebbe ridurre la sensibilità del test.

FuNzIONE PaNCREaTICaEd usO CLINICO dEI TEsTSono quindi molti i test a disposizione dei clinici per valutare la funzione pan-creatica. Molti di questi potrebbero es-sere utilizzati non solo per la diagnosi di insufficienza pancreatica, ma anche per definire il grado di severità dell’in-sufficienza pancreatica o per seguire nel tempo i pazienti nel determinare ad esempio la progressione di una pancreatite cronica. Tuttavia il maggior uso che viene fatto dai clinici è per eseguire una diagnosi (7). Non dob-biamo dimenticare che una diagnosi di una patologia pancreatica può essere eseguita anche con l’utilizzo di test di immagine, quali ad esempio la ecogra-fia addominale, la tomografia assiale computerizzata, la risonanza magne-tica, l’endoscopia ultrasonografica e la ERCP. La scelta del test o dei test dovrebbe essere fatta considerando la situazione clinica che si ha di fronte, nel senso del grado di severità della si-tuazione pancreatica e quindi del test più utile da utilizzare. Tuttavia la scelta del test non dovrebbe solo basarsi sul-la sensibilità e specificità del test ma anche sulla disponibilità, sul costo e sul rischio del test stesso. Un approccio ragionevole (figura 1) in grado di evidenziare un impegno

Fig. 1 Algoritmo diagnostico per insufficienza pancreatica/pancreatite cronica

Sospetto di insufficienza pancreatica/pancreatite cronica

Considerare altre diagnosi

Positivo

Positivo

Stop

Negativo

- Tripstina sierica, o chimotripsina fecale, o elastasi fecale

- Ecografia addominale (da considerare)

- Test alla secretina (o altri test di funzione pancreatica se disponibili)

- TAC con protocollo per il pancreas

- sMRCP

Negativo

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KeyPoints¬¦ I test per definire l'insufficienza

pancreatica e la pancreatite cronica possono venir usati sia per la diagnosi che per il follow-up.

¬¦ la diagnosi di insufficienza pancreatica e pancreatite cronica può richiedere l'interpretazione clinica di più esami (sia di laboratorio che strumentali).

¬¦ I test diretti non invasivi (chimotripsina fecale, elastasi-1 fecale) non sono molto sensibili per evidenziare un coinvolgimento precoce della funzione pancreatica.

¬¦ Spesso vi è necessità di rivolgersi a centri specialistici per una valutazione approfondita del quadro funzionale pancreatico.

avanzato della funzione pancreatica può essere quello di eseguire una valutazione della tripsina sierica, della chimotripsina fecale (o dell’elastasi-1 fecale) ed una ecografia addominale. Questa è una valutazione poco costosa e priva di rischi per il paziente e se i test risultano patologici la diagnosi è sicu-ra. Se i test non risultassero patologici occorre procedere con test diretti di funzione pancreatica. In assenza della disponibilità di questi test, una possi-bilità è quella di eseguire una TAC ad alta definizione secondo un protocollo specifico per il pancreas, oppure una RMI o una sMRCP. Solo successiva-mente si potrebbero prendere in con-siderazione test più costosi e rischiosi (ecografia endoscopica, ERCP). In conclusione, in presenza di una compromissione avanzata della fun-zione pancreatica (pancreatite croni-ca in stadio avanzato, fibrosi cistica), praticamente tutti i test di funzio-ne pancreatica sono accurati, così come la diagnostica per immagini risulta in grado di definire una situa-zione di malattia avanzata. Nelle for-me più sfumate di compromissione pancreatica, la diagnosi può essere sicuramente più complicata e i test

di funzione pancreatica con stimolo ormonale sono quelli che hanno una più alta possibilità di fornire una rispo-sta adeguata. Purtroppo, come già accennato, questi test sono effettuati solo in pochi centri e quindi in genere poco disponibili alla maggior parte dei clinici. Appare quindi necessario pro-muovere l’impegno che ci permetta di sviluppare un test sensibile, semplice e di facile disponibilità per la definizio-ne della funzione pancreatica e che ci permetta di seguire questa condizione in tutti i gradi della sua severità.

1. Goldberg DM, Durie PR. Biochemical tests in the diagnosis of chronic pancreatitis and in the evaluation of pancreatic insufficiency. Clin Biochem 1993;26:253-275.

2. Lankisch PG, Schmidt I, Konig H, et al. Faecal elastase 1: not helpful in diagnosing chronic pancreatitis associated with mild to moderate exocrine pancreatic insufficiency. Gut 1998;42:551-554.

3. Dominici R, Franzini C. Fecal Elastase-1 as a test for pancreatic function: a review. Clin Chem Lab Med 2002;40:325-332.

4. Chowdhury RS, Forsmark CE. Review article: panceatic function testing. Aliment Pharmacol Ther 2003;17:733-750.

5. Littlewood JM, Wolfe SP, Conway SP. Diagnosis and treatment of intestinal malabsorption in cystic fibrosis. Pediatric Pulmonology 2006;41:35-49.

<<<<Bibliografia >>>>

6. Balci C. MRI assessment of chronic pancreatitis. Diagn Interv Radiol published online 14 October 2010.

7. Lieb II JG, Draganov PV. Pancreatic function testing: here to stay for the 21st century. World J Gastroenterol 2008;14:3149-3158.

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Markers dell’insufficienza pancreatica: il punto della situazione all’inizio di un nuovo decennio Marco Cipolli

Asking Questions in Immunologia, Microbiologia e Genetica

La patologia anorettale nelle IBD:nuovi orizzonti della chirurgiaMaurizio Coscia, Lorenzo Gentilini, Mariangela Podda, Silvio Laureti e Gilberto Poggioli Unità di Chirurgia Generale, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna

a cura diSilvia Salvatore

Ha un’incidenza elevata nei pazienti affetti da Malattia di Crohn ed in molti casi si assiste a quadri clinici complessi e altamente invalidanti. L'approccio chirurgico è radicalmente modificato e, con il supporto della terapia con immunomodulatori, è aumentata la percentuale di remissione.

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La complicanza perianale nella Malattiadi Crohn (MC) pediatrica rappresenta

una condizione frequente, spesso manifestazione d’esordio ma con una

variabile incidenza in relazione al tipo di lesione (8-15% per fistole ed ascessi,

49% per fissurazioni e ragadi). Nell’ambito della storia naturale

della malattia, un fenotipo ad esordio tipicamente infiammatorio secondo i

dati provenienti dall’Olmstead County (Schwarz et al, Gastroenterology 2000)

sviluppa fistole nel 12% dei casi ad 1 anno e nel 20% dei casi a 2 anni. Nel bambino, il coinvolgimento rettale ed il

rischio di stenosi appare più elevato con indicazione ad un aggressivo approccio

terapeutico anche se appare limitata l’evidenza di efficacia di steroidi, immunosoppressori e biologici.

I corticosteroidi sistemici aumentano il rischio di sepsi, gli antibiotici hanno una efficacia immediata ma limitata nel mantenimento della remissione e non vi sono trials riguardo l’utilizzo dei salicilati. Gli immunomodulatori

appaiono utili nel mantenimento della remissione dopo bonifica chirurgica in caso di fistola . Un approccio integrato

medico-chirurgico per le lesioni complesse (fistole ed ascessi) anche in

età pediatrica sembra migliorare la prognosi nel breve e lungo termine

dopo avere definito con certezza la tipologia e l’estensione delle lesioni

(entero-RMN ed ecografia trans anale) ed il fenotipo di malattia (stenosante,

fistolizzante). Ospitiamo in questo numero il contributo di Gilberto Poggioli e del suo Gruppo da sempre impegnati nella chirurgia delle IBD con particolare riferimento al trattamento della malattia

perianale complessa. Claudio Romano

INTRODUZIONEL’incidenza delle patologie anorettali benigne nella popolazione generale è di circa 10 casi su 100.000 individui per anno. Tale incidenza aumenta no-tevolmente in presenza di una malattia infiammatoria cronica intestinale come la malattia di Crohn.Lesioni anali e perianali complicano la malattia di Crohn con una prevalenza variabile compresa fra il 13-38% dei pazienti; nell’ambito della localizzazio-ne paranale sono comprese lesioni come marische cutanee, ragadi, ulce-re del canale anale, emorroidi, stenosi anali, fistole paranali, ascessi perianali e fistole retto-vaginali (tabella 1).

mento è diverso ed è spesso neces-sario l’approccio chirurgico. La malattia paranale di Crohn frequente-mente si presenta con quadri comples-si e altamente invalidanti associandosi a sintomatologia dolorosa, perdita di ma-teriale purulento e fecale che peggiora-no significativamente la qualità di vita di pazienti nella maggior parte giovani.L’incidenza media della fistole paranali varia dal 17% nelle localizzazioni ileali della malattia al 43% nelle localizza-zioni coliche, con picchi che superano il 95% nelle proctiti di Crohn. L’ezio-patogenesi di questa espressione di malattia non è ancora perfettamente definita anche se si ritiene maggior-

mente imputato nello sviluppo delle fistole l’approfondirsi di ul-cere del retto o del canale anale responsabili del passaggio di materiale fecale nello spazio perirettale con conseguente formazione di ascessi. Nei casi più gravi, la malattia parana-le assume un andamento, per così dire, "maligno" ed è stata giu-stamente definita "malignant perianal Crohn's disease" da Alexander-Williams (1). Rientrano nell’ambito della ma-lattia paranale “maligna” quei pazienti con fistole alte e com-plesse, fistole retto-vaginali, for-

me progressive, non responsive alla terapia medica e chirurgica, spesso non correlate allo stato di attività della malat-tia intestinale e con ampia distruzione tissutale. Il rischio di evoluzione in tal senso della malattia è stimato in una percentuale variabile fra il 3-7% dei pa-zienti con una storia di malattia di Crohn a localizzazione addominale di vecchia data e fra lo 0-7% dei pazienti con inte-ressamento paranale da molti anni.

Tab. 1 Malattia di Crohn a sede perianalee relativa incidenza

Patologia Incidenza

marische cutanee 5%

ragadi 27%

ulcere del canale anale 2-5%

emorroidi 1%

stenosi anali 2%

fistole paranali 17-43%

ascessi perianali 29%

fistole retto-vaginali 5%

Nella maggior parte di queste mani-festazioni viene consigliato un atteg-giamento conservativo. Il trattamento chirurgico di marische cutanee (skin tags), ragadi, ulcere ed emorroidi in pazienti con IBD deve essere evita-to se non fortemente sintomatico. Il rischio è un peggioramento della malattia paranale con comparsa di ascessi e fistole.Nella malattia fistolizzante l’atteggia-

Gastroenterology Clinical Research

Testatina apertura rubrica

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risolvere la sepsi ma anche di rendere cronica la fistola in modo da eliminare, nel limite del possibile, la formazione di altri tragitti fistolosi. Questo tipo di approccio chirurgico permette di otte-nere la soluzione del problema acuto della sepsi restituendo al paziente una qualità di vita accettabile, vista la buona tollerabilità di questi setoni, anche per anni. Il setone è un drenaggio quindi deve essere un “loose seton”, non va messo in tensione (figura 2).

Storicamente il ruolo della chirurgia, oltre al miglioramento della qualità della vita, è sempre stato quello di evitare o almeno differire la proctec-tomia per i pazienti affetti da forme maligne di malattia (2). L’introduzione nell’ultimo decennio dei farmaci biologici ha radicalmente modificato l’algoritmo del trattamen-to di questa patologia. Attualmente, infatti, dati sempre più convincenti in letteratura dimostrano come grazie ad un trattamento integrato medico-chirurgico si sia potuti passare dal so-lo controllo della sepsi ad una vera e propria prospettiva di guarigione.

TERAPIA CHIRURGICALa fistulotomia, che rappresenta il trat-tamento di scelta per le fistole sempli-ci idiopatiche, raramente è indicata in pazienti con localizzazione perianale di Crohn dato che nella maggior par-te dei casi sono presenti fistole com-plesse o plurirecidivanti in cui essa comporterebbe un rischio di danno sfinteriale grave. In queste situazioni il primo obiettivo della chirurgia è il con-trollo e la cura della sepsi.Le raccolte ascessuali ed i tramiti fisto-losi devono essere trattati mediante un ampio drenaggio, anche se questo comporta una consistente apertura de-gli spazi perianali procedendo ad una fistulectomia. Tale manovra consiste nell’escissione del tessuto circostante la fistola, con partenza dalla cute cir-costante l’orifizio esterno ed il tessuto adiposo che circonda il tramite, fino all’emergenza del tramite dalla parete del retto o del canale anale. La forma di tale escissione deve essere conica (cone-like technique), con ampia base a livello della cute ed apice a livel-lo dell’origine della fistola, allo scopo di garantire una progressiva chiusura della ferita chirurgica per seconda intenzione dall’apice verso la base; in tale modo si riduce significativamente il rischio di chiusura precoce della porzione più esterna della fistulectomia a cui con-seguirebbe inevitabilmente la recidiva ascessuale (figura 1).Per fistole alte o complesse il tramite fi-stoloso residuo deve essere trattato con il posizionamento di un setone di dre-naggio, manovra che consente un’ac-curata identificazione del tragitto fistolo-so per evitare di creare “false strade”.Tale metodo ha la funzione non solo di

un 25% di origine murina (nella re-gione variabile) in grado di legarsi sia al TNF libero sia a quello legato alle membrane esercitando una potente azione antiinfiammatoria. Diversi studi clinici effettuati nell’ulti-mo decennio hanno evidenziato co-me la terapia con infliximab sia effica-ce nell’induzione e nel mantenimento della remissione clinica, nella chiusura delle fistole enterocutanee, perianali e rettovaginali e nel mantenimento del-la chiusura di queste.I primi impieghi dell’infliximab nel trat-tamento della malattia paranale di Cro-hn sono descritti dagli studi di Rutgeerts (3) e di Present (4) nel 1999-2000. I dati riportati da questi lavori eviden-ziano una percentuale di guarigione del 50-55% in pazienti con malattia paranale fistolizzante se trattati con terapia biologica e.v. Da queste prime esperienze è quindi emerso come l’infliximab possa essere considerato un potente strumento terapeutico, ma che se usato non correttamente può esporre il paziente al rischio di complicanze settiche. Un’analisi cri-tica dello studio di Present ha infatti evidenziato come le fistole perianali venivano considerate chiuse se, dopo valutazione clinica mediante la sem-plice compressione dell’orifizio cuta-neo esterno, non si verificava gemizio di materiale purulento. Il persistere in molti casi della pervietà dei tramiti fistolosi e dell’orifizio interno sarebbe alla base di complicanze ascessuali o della ripresa della malattia peri-anale al termine del trattamento. Alla luce di questa considerazione è quindi strettamente indicato organiz-zare uno stretto follow-up continuo medico e chirurgico per tutti i pazienti con malattia paranale fistolizzante e in trattamento con infliximab sistemico al fine di ridurre il rischio di complican-ze ascessuali o di ripresa di malattia.Diversi studi inoltre sottolineano co-me l’efficacia del trattamento siste-mico con infliximab sia decisamente migliore se associato alla bonifica chirurgica (fistulectomia più posizio-namento di setone di drenaggio) sia in termini di effettiva chiusura del tra-mite fistoloso sia nel mantenimento a lungo termine di tale risultato (5,6).Una grossa limitazione all’uso di questo farmaco è la presenza di stenosi serrate a livello soprattutto ileale; vanno però

Fig. 1 Fistulectomia a cono

Fig. 2 Drenaggio paranalecon “Loose seton"

TERAPIA CHIRURGICA:APPORTO DEI NUOVI FARMACIL’introduzione delle terapie biologi-che, primo fra tutti l’infliximab, ha ra-dicalmente modificato l’approccio al paziente affetto da malattia di Crohn sia nelle sua espressione addomina-le sia nella gestione della localizza-zione paranale. L’infliximab, prima molecola biologica impiegata nella malattia di Crohn, è un anticorpo monoclonale chimerico A2 che consiste nel 75% di IgG uma-ne (nella regione costante) unite ad

Gastroenterology Clinical Research a cura di Silvia Salvatore La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia Maurizio Coscia et al

Fig. 4 Iniezione sottomucosa di adalimumab

esclusi tutti i pazienti che presentano una stenosi severa a livello dell’ultima ansa o una recidiva anastomotica.

Iniezione locale di infliximab Un tentativo di by-passare l’impedi-mento determinato dalla stenosi è sta-to proposto da Lichtiger (7) del Mount Sinai di New York attraverso l’infusione locale di infliximab. Questa procedu-ra, oltre a permettere di selezionare pazienti altrimenti non candidabili al trattamento, permette di impiegare una più alta dose del farmaco a livello del tramite fistoloso, riducendo inoltre i costi per singolo paziente. I pazienti ideali per questo trattamento sono quindi tutti quei pazienti che, in presenza di malattia paranale, presen-tano controindicazione all’infusione si-stemica del farmaco, cioè stenosi ad-dominali. Devono comunque essere rispettati i criteri di esclusione comuni al trattamento con farmaci biologici co-me la presenza di positività alla TBC o markers virali positivi con viremia alta. La procedura prevede l’infusione sot-tomucosa del farmaco all’interno del canale anale attorno all’orifizio fistoloso interno, al fine di evitare una chiusura precoce dell’orifizio esterno che potreb-be causare una recidiva ascessuale. Il nostro gruppo ha fortemente svi-luppato questa idea con un protocol-lo di trattamento integrato che pre-vede l’iniezione locale di infliximab dopo opportuna bonifica chirurgica. Dopo aver ottenuto un buon con-trollo della sepsi, i pazienti vengono sottoposti ad iniezione locale di infli-ximab. La procedura viene eseguita in regime di day surgery con pazien-te in anestesia generale o spinale e somministrazione di una dose di farmaco compresa fra 15-20 mg per paziente per seduta. Il protocollo pre-vede l’iniezione a zero settimane ed infusioni successive ogni 4 settimane fino alla risoluzione della clinica o al riscontro di mancata risposta. Globalmente sono stati trattati fino ad oggi 81 pazienti di cui 77 per ma-lattia di Crohn fistolizzante e 4 per fistole associate ad anastomosi ileo anale per rettocolite ulcerosa. La per-centuale di successo complessivo, in termini di chiusura dei tramiti fistolo-si, è del 64.1% (53.2% terapia biolo-gica isolata, 11.1% terapia biologica associata a stomia derivativa) con

Fig. 3 Risultati dopo terapia con infliximab locale

Fig. 5 Risultati dopo terapia con adalimumab locale

un mantenimento della guarigione, ad un follow-up medio di 48 mesi, nell’84% dei casi (8) (figura 3).

Iniezione locale di adalimumabL’introduzione nella pratica medica di nuove molecole biologiche per il trat-tamento della malattia di Crohn, co-me l’adalimumab (immunoglobulina di classe IgG1 completamente uma-nizzata), ha arricchito ulteriormente le possibilità terapeutiche della ma-lattia paranale. Sulla scia dei risultati incoraggianti ottenuti con le iniezioni locali di infli-ximab infatti, presso il nostro gruppo è iniziata una sperimentazione che ha lo scopo di valutare l’efficacia di tera-pia con adalimumab locale. Questa terapia, inizialmente proposta come “rescue therapy” in pazienti non più responsivi all’infliximab locale, è at-tualmente impiegata anche in pazienti naive: essa ha dato risultati preliminari soddisfacenti. I vantaggi dell'adalimu-mab possono essere ricercati nella formulazione del farmaco che lo ren-de particolarmente funzionale ad un trattamento locale e nell’assenza del-la componente murina che ne ridu-ce l’immunogenicità e ne migliora la tolleranza e l’efficacia. Pertanto risulta essere una valida alternativa terapeuti-ca per i pazienti non-responder o che sono intolleranti all’infliximab.Il protocollo terapeutico con adalimu-mab locale prevede l’iniezione di 40

mg di farmaco in regime ambulato-riale senza assistenza anestesiologica con cadenza bisettimanale (figura 4).I risultati preliminari della terapia locale con adalimumab, su 29 pazienti trattati (8 rescue therapy e 21 naive therapy) hanno evidenziato una chiusura com-pleta dei tramiti fistolosi nel 27% dei casi dopo una media di 10 infusioni con un 59% dei pazienti ancora in trat-tamento ad un follow-up relativamente breve medio di 8 mesi (9) (figura 5).

TERAPIA CHIRURGICA:OLTRE IL BIOLOGICOL’associazione di terapia chirurgica e biologica ha permesso di arrivare ad una completa risoluzione del quadro clinico in circa il 65% dei pazienti. Tuttavia in oltre un terzo dei casi non si ottiene una chiusura dei tramiti fi-stolosi; pertanto nuove procedure terapeutiche devono essere prese in

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Gastroenterology Clinical Research a cura di Silvia Salvatore

La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia Maurizio Coscia et al

Chiusura con IFXChiusura con IFX e stomiaIn trattamentoProctectomiaRescue therapycon adalimumabPersi al follow-up

Guariti con ADAIn trattamentoFallimento terapeutico

considerazione come: flap mucoso endorettale, protesi biologiche, colle di fibrina e l’iniezione di cellule stami-nali. Tutte queste metodiche possono giovare di un preliminare trattamento dei pazienti con farmaci biologici pur in mancanza di una completa chiusu-ra del tramite fistoloso. Con la terapia biologica si ottiene infatti un controllo della sepsi ed un netto miglioramento della mucosa endorettale, condizioni che favoriscono il successo delle me-todiche successive.Il flap di avanzamento endoretta-le è un trattamento storico particolar-mente indicato per fistole transfinte-riche che consiste nella trasposizione di un lembo di mucosa e muscolatura circolare del retto detto “flap” posto a chiudere l’orifizio fistoloso interno senza intervenire sull’apparato sfinte-riale esterno e quindi senza provocare difetti di continenza. Dati in letteratu-ra dimostrano come questa tecnica assicuri una percentuale di successo compresa tra il 50 e 60% (10). Nella nostra esperienza, dopo falli-mento della terapia biologica, sono stati sottoposti al confezionamento di un flap endorettale 18 pazienti con malattia paranale di Crohn o fistole pouch-anali con un successo com-plessivo della procedura, in termini di chiusura della fistola, nel 78% dei casi (61% di successo al primo tentativo e 17% al tentativo successivo).Per migliorare i risultati, in accordo con quanto sostenuto da diversi Au-tori, riteniamo indicato accompagnare o far precedere a questa procedura la costruzione di una loop ileostomy, condizione indispensabile per il mi-glioramento dei risultati.Protesi biologiche. Il trapianto di fibroblasti umani autologhi e lo xenotra-pianto di sottomucosa intestinale porci-na liofilizzata sono ulteriori opzioni tera-peutiche indicate nelle fistole semplici.Solo recentemente è stato introdotto nel trattamento della malattia perianale in pazienti affetti da Crohn l’uso dei bio-materiali quali il Surgisis®.Il Surgisis® è un biomateriale acellulare per la riparazione tissutale attraverso una matrice (ECM) simile ad una impalcatu-ra tridimensionale e biodegradabile con struttura e composizione del tutto natu-rali. Il prodotto, materiale non “cross-lin-ked”, non dà allergie crociate, non viene incapsulato dopo l’impianto chirurgico,

ma gradualmente rimodellato, ottenen-do così tessuto neoformato dall’ospite (o tessuto nativo). La matrice extracel-lulare (ECM) deriva dalla sottomucosa di intestino di maiale (Small Intestinal Submucosa). Il prodotto finale è una matrice tridimensionale (ECM) formata per il 90% da vari tipi di collagene, e per il 10% da proteine non-collageniche ed altre biomolecole che comprendono glicosamminoglicani, proteoglicani, gli-coproteine, elastina, laminina.Al contrario dei trattamenti con biologici locali, che richiedono più sedute tera-peutiche per paziente, l’applicazione del Surgisis® si propone l’obiettivo della chiusura dei tramiti fistolosi più semplici già dopo la prima applicazione del pro-dotto.Il trattamento viene eseguito in regime di day surgery e consiste nell’applicazio-ne del biomateriale all’interno del trami-te fistoloso (figura 6).Il plug posizionato attraverso l’orifizio esterno della fistola e quindi trascina-to all’interno della stessa viene fissato mediante punti riassorbibili alla sotto-mucosa e ricoperto sul versante rettale da un flap mucoso. Una volta in sede il biomateriale promuove un progressivo

Fig. 6 Applicazione di Surgisis®

rimodellamento tissutale favorendo la crescita di tessuto nativo che garantisce la chiusura del tramite fistoloso.Studi preliminari condotti su questo pre-

sidio hanno evidenziato la sua sicurezza ed efficacia.Armstrong e collaboratori (11) hanno riportato una casistica di 36 pazienti trat-tati con Surgisis® affetti da malattia pa-ranale di Crohn riportando un 80% di risultati terapeutici positivi al primo trat-tamento. Sempre dallo stesso autore è stata sottolineata la superiorità terapeu-tica in termini di efficacia del Surgisis® rispetto ad altri presidi biologici come l’applicazione nel tramite fistoloso di colla di fibrina. La nostra esperienza di 14 pazienti, da noi adottata dopo il fallimento della terapia chirurgica associata a farmaco biologico, ha dato risultati sovrapponibili a quelli pubblicati in letteratura. Si è otte-nuto una chiusura completa del tramite nel 71% delle fistole a ferro di cavallo e nel 100% delle fistole sovra sfinteriche. Risultati decisamente peggiori si sono ottenuti nel trattamento delle fistole pouch-anali e retto-vaginali (figura 7).Le colle di fibrina, introdotte in ambito chirurgico come emostatici sugli organi parenchimatosi, da molti anni vengono impiegate nel trattamento delle fistole perianali come terapia di risparmio del-lo sfintere. I dati in letteratura sulla loro efficacia so-no contrastanti con percentuali di suc-cesso riportate variabili dallo 0 al 100 % dei casi. Recentemente si è assistito ad un’evoluzione di tali presidi con lo svi-luppo di colle biologiche. L’azione di questi presidi è duplice: da un lato creano un coagulo di fibrina che sigilla il tramite fistoloso e dall’altro han-no azione chemio tattica con richiamo e promozione della proliferazione fibro-blastica lungo il tramite stesso.Un’ulteriore evoluzione delle colle è rappresentata dalle schiume biologi-che dove alla colla viene associata una matrice schiumosa espansibile capace di organizzarsi in uno scaffold poroso che rappresenta un ottimale supporto per la rigenerazione cellulare del tes-suto.

La nostra esperienza in tale am-bito è preva-lentemente o r i e n t a t a ad un’asso-ciazione tra colle/schiu-me biologi-

Fig. 7 Risultati dopo applicazione di Surgisis®

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Gastroenterology Clinical Research a cura di Silvia Salvatore La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia Maurizio Coscia et al

Fistola ferro di cavalloFistola sovrasfintericaFistola retto-vaginaleFistola pouch-vaginale

Asking Questions in Immunologia, Microbiologia e Genetica

che e confezionamento di flap di avan-zamento endorettale. Infatti i risultati preliminari su un numero ristretto di pazienti mostrano una percentuale di successo dell’80%.

LA MALATTIA PARANALE:RISCHIO DI CANCERIZZAZIONE?La modificazione dell’algoritmo tera-peutico fin qui descritta ha portato ad un netto miglioramento della gestione dei malati affetti da localizzazione pa-ranale di Crohn. Se da un lato ciò ha nettamente migliorato la qualità di vita dei pazienti e ridotto significativamen-te la necessità di stomia e/o proctec-tomia per molti pazienti, dall’altro ha portato alla cronicizzazione di situazio-ni anche clinicamente complesse. Diversi studi in letteratura riportano la possibilità, in pazienti con malattia pa-ranale di vecchia data di una seppur rara degenerazione neoplastica. Dati ottenuti da una revisione della letteratura eseguita da Thomas e pubblicata nel 2009 su Gastrointesti-nal Surgery, hanno evidenziato una maggior incidenza di sviluppo di ne-oplasie su malattia paranale di Crohn, prevalentemente adenocarcinomi, nel sesso femminile e in pazienti con ol-tre 20 anni di malattia (12). Alla luce di queste considerazione va quindi indagato il ruolo che può assu-mere il prolungarsi delle terapie nello sviluppo di neoplasie e l’eventuale influenza della terapia biologica nella cancerogenesi.Dalla nostra personale casistica, su oltre 220 pazienti trattati con chi-rurgia associata a biologici sistemici o locali per la malattia paranale, è emerso una rilevante associazione fra prolungamento della cure, terapia

Fig. 8 Adenocarcinoma mucinoso insorto su malattia paranale

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<<<<Bibliografia>>>>>

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Gastroenterology Clinical Research a cura di Silvia Salvatore

La patologia anorettale nelle IBD: nuovi orizzonti della chirurgia Maurizio Coscia et al

Key Words¬¦ malattia paranale fistolizzante

¬¦ Fistulectomia a cono

¬¦ Farmaci biologici

¬¦ Flap endoanali

¬¦ protesi e colle biologiche

News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology

Esomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinicoL’esomeprazolo è un farmaco che svolge un’azioneantisecrezione acida mediante il suo effetto inibitore della pompa protonica a livello delle cellule parietali gastriche

Valentina Mancini e Costantino De Giacomo S.C. Pediatria, Dipartimento Materno Infantile, A.O. Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano

a cura diGraziano Barera

PROFILO FARMACOLOGICO Farmacocinetica e FarmacodinamicaL’esomeprazolo è l’isomero S (5-me-tossi-2-[(4-metossi-3,5-dimetil-2-piri-dinil) metil]sulfinil]-1H-benzimidazolo dell’omeprazolo (IPP) (figura 1).

lo di farmacocinetica dell’esomeprazo-lo simile a quello degli adulti (2). Nel bambino tra 6 e 11 anni di età la Cmax è risultata di 1.77 o 3.73 µmol/L a 1.79 e 1.75 ore dopo 10 o 20mg/die per 5 giorni di esomeprazolo, con valori di AUC∞ di 3.70 e 6.28 µmol · h/L, mentre in bambini tra 1 e 5 an-ni la Cmax è risultata di 0.62 e 2.98 µmol/L a 1.33 o 1.44 ore dopo 5mg o 10mg/die di esomeprazolo e una AUC∞ di 0.74 e 4.83 µmol · h/L (3). Nel bambino di età tra 1 e 24 mesi studi di farmacodinamica hanno evi-denziato che l’esomeprazolo 0,25 mg/kg/die e 1mg/kg/die determi-nava, dopo 7 giorni di trattamento, un aumento del tempo di ph>4 nel-le 24 ore (da 7.3 a 11.5 e da 6.9 a 16.6) con una differenza tra i due gruppi statisticamente significativa (P<0.001 vs valore basale) che si traduceva in una ridotta esposizione acida dell’esofago (da 2.8 a 1.3 ore e da 3.0 a 2 ore, P <0.001 e P< 0.05

rispettivamente). Come negli altri studi i risultati esprimevano un effetto dose dipendente, con una importante variabilità della AUC nei bambini di età inferiore ai 12 mesi. Quest’ultimo dato veniva attribuito dagli autori alla diversa maturazione degli enzimi del citocro-mo P450 nel corso della crescita (4). Tutte queste caratteristiche sarebbero legate ad una combinazione di ridotta eliminazione al passaggio intraepatico e di ridotta clearance sistemica (1). Infine, nei neonati a termine e preter-mine l’esposizione sistemica ad eso-meprazolo alla dose di 0.5mg/kg/die ha mostrato una AUCτ di 2.45 µmol · h/L e una Cmax di 0.74 µmol/L con valori, proporzionali alla dose, più elevati rispetto a quelli riscontrati nei bambini più grandi (1-24 mesi) con dosi di 0.25 e 1mg/kg (AUCτ 0.65 e 3.51 µmol · h/L). Anche in que-sto caso i dati sarebbero da correlare all’immaturità enzimatica (5). È evidente quindi come la biodisponi-

Fig. 1 Formula dell’esomeprazolo

II metabolismo dell’omeprazolo ha la caratteristica di essere stereo selettivo per cui dopo la somministrazione di una stessa dose di farmaco, l’isomero S (la cui conformazione rimane sta-bile nel tempo), è metabolizzato in quantità minore rispetto all’isomero R, raggiungendo una concentrazione plasmatica maggiore. L’area sotto la curva di concentrazione plasmatica (AUC) è il parametro che più di ogni altro risulta strettamente correlato al tempo di ph>4 nelle 24 ore e quindi all’effetto di soppressione acida. Studi condotti su adulti sani hanno dimo-strato che somministrazioni ripetute di esomeprazolo 20mg e 40mg de-terminano un incremento progressivo della AUC del 90% e 159%, con una riduzione della clearance totale del 29% e 46% e con un incremento della biodisponibilità al 5° giorno di somministrazione dal 50% al 68% e all’89% rispettivamente (1). Studi successivi condotti su adolescenti (12-17 anni) hanno mostrato un profi-

Fig. 2 Rappresentazione schematica dell'asse cellula Enterocromaffine-gastrina-cellula parietale e della secrezione acida dello stomaco e i siti di azione degli H

2RA e dei PPI

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bilità, la clearance sistemica e l’efficacia dell’esomeprazolo sembrano essere sia dose-dipendente che età-dipendente.

Meccanismo d’azioneCome tutti gli IPP, l’esomeprazolo è un pro farmaco che deve essere convertito all’interno delle cellule parietali gastriche in molecola attiva (achiral sulfenamide). Quest’ulti-ma agisce inibendo la H+, K+ ATPasi (pompa protonica) in maniera irre-versibile, bloccando in questo modo la fase finale di produzione acida a livello gastrico (figura 2) (6). Ad es-sere inibite sono sia la secrezione acida basale che quella secondaria a stimolazione (7).

Metabolismo ed eliminazioneAssorbito a livello dell’intestino tenue, si lega per il 97% alle proteine circo-lanti e viene metabolizzato a livello epatico dagli isoenzimi del citocromo P450 (CYP), CYP2C19 e CYP3A4. L’80% viene escreto a livello urina-rio sottoforma di metaboliti inattivi, il resto viene eliminato sottoforma di metaboliti fecali, mentre meno dell’1% del farmaco viene rinvenuto nelle urine. Studi condotti in vitro hanno mostra-to che la clearance dei metaboliti dell’esomeprazolo è 1/3 rispetto a quella dell’R-omeprazolo, suggeren-do che anche in vivo possa essere ridotta e quindi la concentrazione ematica del farmaco più elevata nel tempo (1). Il minor metabolismo a livello epatico rispetto all’omeprazo-lo deriverebbe dall’inibizione com-petitiva del CYP2C19 sia da parte dell’esomeprazolo stesso, sia più probabilmente, dal suo metabolita sulfone (8). Nei bambini di età 1-5 anni la clea-rance media per kg di peso corporeo dopo somministrazione di 10mg/die di esomeprazolo è risultata maggiore del 50% rispetto a quella di bambi-ni di età compresa tra 6 e 11 anni (5.99 e 7.84 L/h; 0.39 e 0.25 L/h/kg) con un tempo di dimezzamento medio (t1/2½β) dopo 10mg/die di esomeprazolo di 0.74 ore in quelli di età compresa tra 1 e 5 anni e di 0.88 ore nei più grandi (6-11 anni) dimo-strando un metabolismo più rapido nella prima fascia di età (3).

GENETICALa mutazione o il difetto degli isoen-zimi CYP2C19 e CYP3A4 porta il sog-getto ad essere un debole o un forte metabolizzatore sebbene il polimor-fismo del CYP2C19 abbia un minor effetto se comparato all’omeprazolo (9). Infatti l’esomeprazolo viene tra-sformato prevalentemente in sulfone e 5-O dismetil metabolita per mezzo dell’isoenzima CYP3A4, mentre la trasformazione in idrossi metabolita è inferiore rispetto a quello dell’iso-mero R dell’omeprazolo. Risultato di ciò è che la AUC dell’esomeprazolo è comunque superiore a quella per l’omeprazolo sia nei forti (60%) che nei deboli (20%) metabolizzatori dopo somministrazione di una stessa dose di farmaco (1). La maturazione degli enzimi CYP2C19 e CYP3A4 che notoriamente inizia subito dopo la nascita completandosi nel corso della vita, potrebbe determinare nel bam-bino una variabilità interindividuale maggiore rispetto a quella riscontrata nell’adulto (10). Questo dato è da tenere presente anche per quanto ri-guarda l’assunzione contemporanea di altri farmaci.

INDICAZIONI CLINICHELa malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) e l’esofagite erosiva sono le principali indicazioni alla terapia con esomeprazolo. In bambini e adolescenti di età compre-sa tra 12 e 17 anni l’esomeprazolo 20 e 40mg/die per 8 settimane ha deter-minato una significativa riduzione dello score sintomatico rispetto al valore basa-le per entrambi i dosaggi (P<0.0001), con una completa risoluzione della sin-tomatologia in un numero di pazienti progressivamente maggiore dopo 1 e 8 settimane (30% e 65% pirosi, 36% e 52% epigastralgia, 43% e 65% rigur-gito con 20mg/die; 41% e 56% pirosi, 30% e 56% epigastralgia, 45% e 67% rigurgito con 40 mg/die) (11). In bambini più piccoli (1-24 mesi) è risultato invece efficace nel controllare la secrezione acida e quindi l’esposizio-ne acida esofagea alla dose di 0.25mg e 1mg/kg, sebbene questo migliora-mento non si sia tradotto sempre in un contemporaneo miglioramento della sintomatologia (4).In uno studio condotto su neonati

pretermine e a termine (23-41 setti-mane), l’esomeprazolo alla dose di 0,5mg/kg/die ha determinato una ri-duzione degli episodi di reflusso (30 vs 8, P< .001), dell’indice di reflusso (15.7% vs 7.1%, P< .001) e del tem-po di clearance acida (206 vs 96 sec P = .004) associati ad una riduzione dei sintomi (P < .05) (4). Infine, in uno studio multicentrico ran-domizzato controllato condotto in dop-pio cieco su 109 bambini con esofagite (1 - 11 anni), stratificati in base al peso a ricevere 5 o 10 mg/die (< 20kg) e 10 o 20mg/die (>20 kg) per 8 setti-mane, ha portato ad un miglioramento dello score sintomatico e in 40 dei 45 pazienti con evidenza di esofagite ero-siva all’endoscopia basale, sottoposti a controllo endoscopico, ha determinato la scomparsa delle lesioni e la guarigio-ne completa dell’esofagite (12).

Eradicazione dell'Helicobacter pyloriL’esomeprazolo è stato utilizzato con successo nella terapia eradicante l’H.pylori. In uno studio condotto su 58 bambini di età compresa tra 2 e 18 anni trattati per 7 giorni con esomeprazo-lo (0.8-1.3mg/kg/die), amoxicillina (42-67mg/kg/die) e claritromicina (21-33mg/kg/die) o metronidazo-lo (17-27mg/kg/die), a seconda del risultato del test di suscettibilità prece-dentemente eseguito, l’eradicazione è avvenuta con successo in 40 (92%) dei 53 bambini trattati con esomepra-zolo, amoxicillina e claritromicina e nei 5 trattati con metronidazolo in sostitu-zione della claritromicina, con un rate di eradicazione del 93% (intervallo di confidenza 95%, 83%-98% analisi in-tention- to-treat) (13).

TOLLERABILITÀL’esomeprazolo è risultato ben tolle-rato sia in bambini di età 1-11 anni con MRGE(3,14) che in adolescenti di 12-17 anni (2,11). Gli effetti colla-terali più frequentemente riscontrati sono stati la diarrea (2.7%) nei bam-bini di 1-11 anni mentre negli adole-scenti oltre alla diarrea (1-3%), sono stati riscontrati cefalea (8%), dolore addominale (1-4%), nausea (1-3%) e vomito (0-3%). L’esomeprazolo non è mai stato associato ad eventi avversi seri in tutti gli studi in cui è stato somministrato (2,3,11,14).

24 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology a cura di Graziano Barera

Esomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinico Valentina Mancini et al

POSOLOGIALa dose giornaliera raccomandata è di 10mg per bambini di 1-11 anni di peso <20 kg e di 10 o 20mg per quelli di peso >20 kg per 8 settimane in caso di esofagite erosiva, mentre è di 10mg/die in caso di MRGE ed eso-fagite non erosiva. Negli adolescenti (12-17 anni) la dose raccomandata è di 20 o 40mg/die in caso di esofagite erosiva e di 20mg/die nel trattamento della MRGE ed esofagite non erosiva per 4-8 settimane. La biodisponibilità e l’efficacia non sembrano essere in-fluenzati dalla via e dalla modalità di somministrazione (14).

CONTROINDICAZIONIL’esomeprazolo somministrato in sog-getti adulti con epatopatia anche di grado severo ha mostrato un Tmax di 2 ore, indicando un tempo di assorbi-mento simile a quello di soggetti sani, così come la AUC e la Cmax. Già a 24 ore l’esomeprazolo e il suo metabolita idrossilato non sono stati più riscontrati, mentre era ancora presente il metabolita sulfone con una concentrazione simile alla somministrazione basale del farma-co al giorno 5 e dopo 24 ore, ad indicare che non vi è pericolo di accumulo dopo

Key Points¬¦ L’esomeprazolo è sicuro e ben tollerato nel bambino dall’anno di vita

¬¦ La farmacocinetica e la farmacodinamica sono dose-dipendente ed età dipendente (influenza genetica?)

¬¦ Dose raccomandata: bambini 1-11 anni con esofagite erosiva 10 mg/die (peso< 20 kg)

10 o 20 mg/die (peso ≥20kg)

bambini 1-11 anni con mRGE sintomatica ed esofagite non erosiva: 10 mg/die

adolescenti (12-17 anni) con esofagite erosiva 20 o 40 mg/die

adolescenti (12-17 anni) con mRGE sintomatica ed esofagite non erosiva 20 mg/die

¬¦ Durata del trattamento: 8 settimane

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25 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology a cura di Graziano Barera

Esomeprazolo: approfondimento farmacologico e clinico Valentina Mancini et al

somministrazioni ripetute (1). È comun-que raccomandato di non superare il do-saggio di 20mg/die in pazienti adulti con severa compromissione della funzionali-tà epatica mentre non sono attualmente disponibili dati su pazienti pediatrici.

1. Andersson T, Hassan-Alin M, Hasselgren G. Pharmacokinetic studies with esomeprazole, the (S)-isomer of omeprazole. Clin Pharmacokinet 2001;40(6):411-426 (2bB).

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<<<<Bibliografia>>>>>

Asking Questions in Immunologia, Microbiologia e Genetica

Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevoleGiulia Maria Tronconi1, Martina Fomasi1, Chiara Amoruso2, Giovanna Weber1,Gabriella Nebbia2 e Graziano Barera1 1U.O. Pediatria e Neonatologia - IRCCS Ospedale San Raffaele - Università Vita-Salute San Raffaele di Milano 2U.O. Pediatria II - Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

a cura diClaudio Romano L’attività di formazione di uno specializzando è correlata alla gestione

condivisa di casi clinici che spesso rimangono impressi per la loro peculiarità, per l’impegno assistenziale e perché hanno rappresentato l’occasione per un adeguato approfondimento dell’argomento. Questa rubrica concede uno spazio che consente di definire il percorso diagnostico che ha portato alla risoluzione di un complesso caso clinico e relativa revisione critica della letteratura.

Claudio Romano

Spesso alcune semplici diagnosi pos-sono invece accompagnarsi all’identifi-cazione di condizioni cliniche associate o complicanze in cui solo un adeguato ed attento follow-up può consentire una precoce identificazione. Sapere imposta-re una corretta diagnostica differenziale appare necessario per un approccio si-stemico e guidato specie nell’ambito di una condizione come l’ipertransamina-semia “orfana”. I Colleghi ci offrono un didattico esempio di approccio ragiona-to al Caso Clinico. C.R.

PRESENTAZIONE CLINICA Riportiamo il caso di una bambina di 5 anni con un’importante familiarità per patologie autoimmuni (madre e zia ma-terna affette da tiroidite di Hashimoto; padre affetto da diabete mellito insuli-no dipendente). L’anamnesi patologica remota risultava muta. Nell’anamnesi patologica prossima riferiti iperattività con sbalzi d’umore nell’ultimo anno. Durante un ricovero ospedaliero c/o altro Centro per pleuropolmonite in corso di varicella, venivano effettuati accertamenti diagnostici per il riscontro di tachicardia persistente associata a re-cente comparsa di esoftalmo bilaterale e gozzo tiroideo. Veniva quindi posta diagnosi di Morbo di Graves (MG) (TSH 0,004 mU/L, v.n. 0,25-5; anticorpi anti tireoglobulina 136 U/mL, v.n. 0-100; anti tireoperossidasi 368 U/mL, v.n. 0-100, anti recettore TSH >40 UI/mL, v.n. 0-1; esame ecografico compatibile con tiroidite). Si impostava terapia con metimazolo (0.5 mg/kg/die) e propa-nolo (0.47 mg/kg/die), sospeso dopo circa un mese per la normalizzazione della frequenza cardiaca. Dopo circa 8 settimane dall’inizio della terapia con metimazolo si documentava ipertransa-minasemia persistente (AST 293 U/L,

v.n. 5-35; ALT 155 U/L, v.n. 6-50) per cui la paziente veniva inviata presso nostro Centro per ulteriori approfondimenti.

ESAME OBIETTIVOAll’esame obiettivo la bambina pre-sentava buone condizioni generali, con una frequenza cardiaca di 130 battiti per minuto, un gozzo tiroideo visibile e palpabile a collo esteso (lo-bo tiroideo destro di 4 cm, sinistro di 5 cm, circonferenza collo di 26 cm) (figura 1) ed esoftalmo bilaterale; re-stante obiettività nella norma.

La funzionalità tiroidea evidenziava la persistenza di uno stato ipertiroideo, con un TSH inibito (0,02 mU/L) ed elevazione degli ormoni tiroidei liberi (FT4 5,11 ng/dl, n.v. 0,7-1,7; FT3 17,3 pg/ml, v.n. 1,6-5,2) in associazione a persistente ipertransaminasemia (AST 87 U/L; ALT 177 U/L). IPOTESI DIAGNOSTICHE1) Tossicità epatica indotta da tionamidi: la comparsa di ipertran-saminasemia in corso di terapia con tionamidi va infatti sempre indagata in quanto rappresenta un temuto ef-fetto collaterale di questi farmaci, so-

prattutto del propiltiouracile. Un qua-dro di epatite è infatti documentabile in più del 25% dei bambini trattati con propiltiouracile con un rischio di evo-luzione verso l’insufficienza epatica in 1:2000-1:4000 pazienti (1). Per tale motivo la Endocrine Society e la Food and Drug Administration raccoman-dano di non utilizzare il propiltioura-cile come farmaco di prima linea nel trattamento del MG in età pediatrica. Il metimazolo risulta infatti associato ad un danno epatico più lieve e non sono stati documentati casi di insuffi-

cienza epatica durante il suo utilizzo (2). 2) Patologia infettiva o metabolica concomi-tante: processi infettivi indotti dai virus epatotropi maggiori (A,B,C) o minori (Epstein-Barr, Citomegalo-virus, Herpes Simplex 1-2, Parvovirus); malattie me-taboliche (es. Malattia di Wilson, deficit di alfa 1 anti tripsina), seppur più rare.

3) Malattia celiaca (MC): è noto che la prevalenza di MC in soggetti affetti

da patologia autoimmune tiroidea è superiore rispetto alla popolazione generale, variando dal 2 al 5% (3): infatti tali patologie possono con-dividere lo stesso aplotipo HLA. Il danno epatico, espresso soprattutto come ipertransaminasemia cripto-genica, rappresenta una delle prin-cipali manifestazioni extraintestinali della MC (4) riscontrabile all’esordio in circa la metà dei pazienti. La for-ma più frequente di danno epatico MC-correlato è caratterizzato da un modesto aumento delle transamina-si associato ad un quadro istologico non specifico di epatite reattiva (epa-

Fig. 1 Gozzo tiroideo alla presentazione clinica

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Fellow’s Corner - L’Angolo dello Specializzando

Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole

tite celiaca): tale condizione risulta reversibile nell’arco di 6-12 mesi di rigorosa dieta priva di glutine (DPG) (5) (tabella 1).

4) Epatite autoimmune (EA): si trat-ta di forme con una spiccata prevalenza nel sesso femminile (75-80%), una au-mentata associazione con patologie au-toimmuni concomitanti (circa nel 20%) e familiari (40%), tra cui tiroiditi come nel presente caso (6). È inoltre nota l’as-sociazione con la MC: è stato infatti di-mostrato da un recente lavoro multicen-trico italiano che più del 16% dei pazienti pediatrici affetti da EA sono celiaci (7): si tratta prevalentemente di forme di EA di tipo 1 anche se sono state documentate possibili associazione con il tipo 2 e con colangiti autoimmuni. La diagnosi di EA è definita dai criteri dell’International AIH Group (8) e si basa sulla presenza di un quadro istologico caratteristico in associa-zione alla positività di autoanticorpi epa-tici, di autoanticorpi non organo specifici, elevazione della transaminasemia e del livello sierico delle IgG/gammaglobuline, in assenza di altre cause note (tabella 1).

SVILUPPO DEL CASO CLINICOPoiché l’aumento delle transaminasi poteva essere conseguente sia ad un inadeguato controllo dell’ipertiroidi-smo, sia ad un effetto collaterale da me-

timazolo, si sospendeva tale farmaco e si impostava terapia con propiltiouracile, con il raggiungimento di eutiroidismo.La funzionalità epatica valutata nei gior-ni seguenti dimostrava una costante ipertransaminasemia associata ad iper-gammaglobulinemia. Gli accertamen-ti effettuati escludevano le principali cause infettive e metaboliche. L’eco-grafia addominale risultava nei limiti. La sierologia per MC mostrava invece positività della classe IgG degli anticorpi anti transglutaminasi (>100 U.A., v.n. 0-8) in paziente con deficit selettivo di IgA. La diagnosi di MC veniva quindi confermata dall’esecuzione di esofa-gogastroduodenoscopia che docu-mentava la presenza di atrofia villare completa (tipo 3c secondo Marsh/Oberhuber). Veniva quindi posta in-dicazione ad intraprendere DPG e si poneva iniziale sospetto diagnostico di “epatite celiaca”. Tuttavia, nei mesi successivi, nonostante una rigorosa compliance dietetica, si documen-tava persistenza dell’ipertransamina-semia (4-5 volte i livelli di norma), associata a elevati livelli di gamma-globuline (2,36 g/dl), di IgG (2157 mg/dl vn <1300), presenza di au-toanticorpi anti nucleo 1:280 (vn < 1: 20 ) ed HLA DRB1*03: si poneva quindi indicazione dopo circa 8 mesi

Fig. 2 Biopsia epatica

Tab. 1 Principali differenze tra l’epatite celiaca e l’epatite autoimmune (5,6)

Epatite celiaca Epatite autoimmune

manifestazioni cliniche - Asintomatica

- Sintomi gastrointestinali ed extra-intestinali associati alla MC

- 40% casi: sintomi non specifici (malessere, nausea- vomito, anoressia, dolore addominale)

- 25-40% casi: esordio insidioso (astenia ingravescente, ittero intermittente, cefalea, anoressia, perdita di peso)

- 10% casi: segni da ipertensione portale (splenomegalia, varici esofagee, diatesi emorragica, diarrea cronica, perdita di peso).

Elevazione transaminasi Modesta, soprattutto delle ALT Anche significativa, associata ad aumentodi IgG/gammaglobuline

presenza di anticorpi MC correlati

- EA tipo 1: Anti muscolo liscio (SMA) +/- anti nucleo (ANA)- EA tipo 2: Anti microsomi epatici e renali (LKM-1, LC1)

Quadro istologico

Non specifico, come da epatite reattiva: modesta infiammazione periportale, iperplasia delle cellule del Kupffer, infiltrazione di cellule mononucleate. Raro e modesto il riscontro di steatosi e fibrosi

Tipico: infiltrato di cellule mononucleate e plasma-cellule nelle aree portali con estensione nei lobuli epatici; distruzione degli epatociti alla periferia dei lobuli epatici con erosione della lamina limitante (epatite d’interfaccia); collasso del tessuto connettivo; rigenerazione epatica con formazione di rosette

Terapia Dieta priva di glutine Immunosoppressiva

Effetto DpG Risoluzione in 6-12 mesi Nessuno

di DPG, ad effettuare biopsia epatica nel sospetto di EA.L’esame istologico mostrava parenchi-ma epatico con architettura conservata, sede di lieve fibrosi portale e di infiltra-to flogistico cronico portale (prevalen-temente linfocitario ma con presenza di alcune plasmacellule), con modera-ta necrosi della lamina limitante (inter-face hepatitis) e focale diffusione nei lobuli (lobular hepatitis) (figura 2).In considerazione di tale dato istolo-gico, dei dati clinici ed ematochimici, veniva posta diagnosi di EA di tipo I ed iniziato trattamento immunosoppres-sivo con prednisone ed azatioprina, associati a gastroprotettore, a supple-mentazione di calcio e di vitamina D. La bambina mostrava completa nor-malizzazione delle transaminasi do-po 5 settimane di terapia.

27 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Fellow’s Corner a cura di Claudio Romano

Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole Giulia Maria Tronconi et al

PUNTI CRITICI DELLA DIAGNOSI DIFFERENZIALECome nel presente caso, spesso si re-gistra un ritardo nella diagnosi di EA in pazienti affetti da MC: questo si verifica per la asintomaticità di tale condizione clinica e per la diagnosi spesso ingan-nevole di epatite celiaca. Di solito la diagnosi di MC può precedere anche di anni l’esordio dell’EA che si manifesta solitamente in forma di epatite acuta (7). La comparsa di una ipertransami-nasemia in corso di MC merita sempre grande attenzione, in particolar modo se l’anomalia persiste dopo l’esclusio-ne del glutine dalla dieta. In presenza inoltre di MG è fondamentale esclude-re anche una tossicità epatica indotta da tionamidi, soprattutto in corso di terapia con propiltiouracile.

CONCLUSIONIIn letteratura sono riportati pochi casi (9) in età pediatrica di diagnosi contem-poranea di MC, MG e EA. Il ruolo della DPG nella prevenzione dell’insorgenza delle patologie autoim-

muni è un argomento molto dibattuto, anche se esistono dati a favore (10) di una relazione fra la prevalenza di disor-dini autoimmuni in pazienti con MC e la durata di esposizione al glutine: l’au-mento della permeabilità intestinale ver-so antigeni intraluminali potrebbe infatti innescare un processo autoimmune. La seconda teoria postulata per spiegare la comorbidità tra MC e patologie autoim-muni ipotizza invece la presenza di un linkage disequilibrium tra i geni respon-sabili di tali malattie (11).Il presente caso riconferma l’importanza di effettuare uno screening per la MC nei pazienti con malattia tiroidea au-toimmune, così come con altre patolo-gie autoimmuni: una precoce diagnosi e l’inizio di una rigorosa DPG, potrebbe avere un ruolo preventivo nell’insorgen-za di ulteriori patologie autoimmuni.

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Key Points¬¦ La terapia medica del mG con tionamidi, soprattutto mediante propiltiouracile, può associarsi a danno

epatico anche severo

¬¦ La prevalenza di mC nei pazienti pediatrici affetti da mG varia dal 2 al 5%

¬¦ Un difficile controllo della funzionalità tiroidea nel mG può derivare da un quadro di malassorbimento mC-correlato

¬¦ Un’ipertransaminasemia modesta è di frequente riscontro alla diagnosi di mC

¬¦ L’epatite celiaca si associa a normalizzazione del livello di transaminasi entro 6-12 mesi dall’inizio della DpG

¬¦ La presenza di ipertransaminasemia persistente, in presenza di patologie autoimmuni multiple, deve sempre far sospettare la presenza di EA

<<<<Bibliografia >>>>

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Fellow’s Corner a cura di Claudio Romano

Epatite celiaca: una diagnosi talvolta ingannevole Giulia Maria Tronconi et al

a cura diGiovanni Di NardoFilippo Torroni

Un caso di doppia membrana duodenale in lattante

Serena Arrigo, Paolo Gandullia, Silvia Vignola e Arrigo BarabinoUO Pediatria III-Gastroenterologia, Istituto G. Gaslini di Genova

Vi presentiamo il caso di una paziente di 11 mesi valutata per vomitopersistente, con diagnosi di doppia membrana duodenale trattata endoscopicamente con successo.

CASO CLINICOUna lattante di 11 mesi, nata a ter-mine da gravidanza normodecorsa, viene ricoverata per vomito ricor-rente, spesso biliare, ad andamento ingravescente. L’esame obiettivo è normale, con peso di 8,180 kg (10° percentile) e lunghezza di 70.5 cm (10-25° percentile). Non alterazioni significative agli esami di laborato-rio. La radiografia del primo tratto digerente evidenzia dilatazione del duodeno con immagine curvilinea di stop nella seconda porzione, com-patibile con diaframma duodenale. Si decide di procedere a gastrosco-pia operativa, in collaborazione con i Colleghi Chirurghi, pronti ad interve-nire in caso di insorgenza di compli-canze o di fallimento. Viene utilizzato un videogastroscopio standard (8.6 mm ∅, GIF 160, Olympus) che con-ferma la presenza di un diaframma duodenale con un piccolo foro cen-trale di circa 2 mm di diametro. La papilla di Vater non viene identificata. L’intervento endoscopico è eseguito usando un ago diatermico con punta protetta da pallina elettricamente iso-lata (ITDK, M.G. Lorenzatto, Torino), connesso ad elettrobisturi (ICC 200 E, ERBE, GA, USA) settato in moda-lità ENDO-CUT® (80 W taglio/40 W coagulo). Il device viene portato a livello del foro della membrana duo-denale attraverso il canale operativo del gastroscopio e si avvia resezione “step by step” del diaframma. Al fine di evitare un potenziale trauma della papilla di Vater, idealmente posizio-nata sulla parete sinistra e dietro alla membrana, si procede radialmente verso ore 3. Raggiunta un’adeguata apertura, al tentativo di oltrepassar-re la membrana con il gastroscopio, si riscontra un secondo diaframma translucido fibrotico, con vasi visibi-

li nel suo spessore. Tale membrana presenta un foro eccentrico più am-pio, per cui si rende necessaria solo una minima incisione alle ore 3 con successivo agevole passaggio dello

strumento nella terza porzione duo-denale. Nel periodo post-procedura, a circa sei ore di distanza, si assiste ad isolato rialzo di amilasi (7,5xN) e lipasi (32xN), senza alcuna sintoma-tologia associata. La bambina viene mantenuta a digiuno fino a norma-lizzazione del profilo pancreatico, osservato entro 24 ore. Successiva-mente si riavvia l’alimentazione per os con dimissione in terza giornata. A distanza di un mese: buon accresci-mento ponderale (peso 8,7 kg, 10-25° percentile) e miglioramento dei reperti radiologici, che dimostrano no-tevole riduzione della dilatazione duo-denale e risoluzione dello stop prima evidenziato. La bambina rimane ad oggi asintomatica.

CONCLUSIONII diaframmi duodenali sono molto rari (1/10000-1/40000) e si mani-festano soprattutto in lattanti e bam-bini. Ancor più raro è il riscontro di un doppio diaframma duodenale. Prima degli anni ’80 il trattamento era esclusivamente chirurgico. I pro-gressi dell’endoscopia operativa han-no rivoluzionato tale approccio diven-

Fig. 3 seconda membrana duodenalecon foro eccentrico e più ampio

Fig. 4 immagine radiologica dopo 1 mesedal trattamento endoscopico

Fig. 1 immagine radiologica primadel trattamento endoscopico

Fig. 2 ITDK e membrana prossimalecon il piccolo foro centrale

29 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Endoscopy Learning Library

1. Kay GA, Lobe TE, Custer MD, Hollabaugh RS. Endoscopic laser ablation of obstructing congenital duodenal webs in the newborn: a

<<Letture consigliate>>

tando la prima scelta nell’adulto ed affacciandosi anche nel bambino. In questo caso è stato utilizzato l’ITDK, device normalmente usato per la mucosectomia nell’adulto. L’ITDK è a nostro avviso prezioso strumento per la membranotomia per prevenire il trauma dei tessuti circostanti ed in particolare di una possibile seconda membrana retroposta. Nel periodo post-procedura suggeriamo di porre attenzione al possibile rialzo asinto-matico degli enzimi pancreatici a ra-pida risoluzione. Tale riscontro è mol-to probabilmente correlato al danno

termico (transmural burn syndrome) ed all’edema del parenchima pancre-atico contiguo. La decisione di un ap-proccio endoscopico nel trattamento delle membrane duodenali in età pe-diatrica dovrebbe tenere conto del-le abilità dell’endoscopista e di una stretta collaborazione con i Chirurghi nel caso si rendesse necessario un pronto intervento.

case report of limited success with criteria for patient selection. J Pediatr Surg 1992;27:279-81.

2. Torroni F, De Angelis P, Caldaro T, di Abriola GF, Ponticelli A, Bergami G, Dall'Oglio L. Endoscopic membranectomy of duodenal diaphragm: pediatric experience. Gastrointest Endosc 2006;63:530-1.

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30 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Endoscopy Learning Library a cura di Giovanni Di Nardo e Filippo Torroni

Un caso di doppia membrana duodenale in lattante Serena Arrigo et al

IpertransaminasemieRaffaele IorioDipartimento di Pediatria, Università degli Studi “Federico II” di Napoli

a cura diSalvatore Accomando

Vista la molteplicità delle cause di ipertransaminasemia (Box 1), è auspicabile valorizzare al massimo l’anamnesi e l’esame obiettivo (Box 2 e 3) per favorire il più possibile una ricerca mirata” dell’etiologia ed evitare approfondimenti “eccessivi”. Punti chiave: - Un aumento transitorio delle transaminasi si può verificare in corso di episodi infettivi intercorrenti.- Un’ipertransaminasemia che dura più di 6 mesi riflette solitamente una patologia cronica.- La diagnosi di alcune epatopatie croniche, quali m. di Wilson, intolleranza al fruttosio, epatite autoimmune, deve essere tempestiva perché, in assenza della specifica terapia, il decorso clinico può essere molto severo.

Flow chart Ipertransaminasemia: algoritmo diagnostico

Se aumento isolato dell’AST con ALT normale, considerare macro-AST (BOX1)

Aumentato

Nei casi di ipertransaminasemia modera-ta-severa e comunque ogni qualvolta si sospetti un danno epatico significativo, testare: INR, albuminemia, bilirubinemia, glicemia, ammoniemia

Normale

GGT elevata Testare GGT

Ricercare segni anamnestici e clinici suggestivi di specifiche epatopatie (BOX 1 e 2)

In particolare:• Ricercare eccesso ponderale

e steatosi all’ecografia• Effettuare anamnesi alimentare

per individuare avversione al fruttosio o a cibi proteici (deficit OTC)

• Effettuare anamnesi farmacologica per farmaci convenzionali e non

• Ricercare segni di malassorbimento (celiachia, fibrosi cistica)

• Sierologia per virus epatotropi maggiori e minori

• Sierologia celiachia (AGA, EMA, tTGasi)

• Test sudore• Test autoimmunità (Ig sieriche

e autoanticorpi)• Test per malattie metaboliche,

quali Wilson, deficit di α

1-antitripsina

Ricercare segni clinici • endocrinopatia (Addison, ipotiroidismo)

GGT normale

Negativa per patologia biliari diagnosticabili all’ecografia

CalcolosiCisti coledocoMalattia di Caroli

Testare CK

Miopatie:• miositi virali• distrofie muscolari• miopatie dismetaboliche

Considerare cause di ipertransami-nasemia prevalentemente epatiche

Epatopatiacolestatica

Effettuare ecografia epatobiliare

Considerare epatopatie colestatiche quali ipo-plasia duttulare, Sindro-me di Alagille, PFIC 3, colangite sclerosante. Oltre ad escludere tali entità, procedere come per ipertransaminasemia con GGT normale

31 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Pediatric Gastroenterology Educational Article

Testatina apertura rubrica

Box 1 Principali cause di ipertransaminasemia in età pediatrica

InfezioniHAV, HBV ± HDV, HCV, HEV, EBV, CMV, HIV,brucellosi, salmonellosi, TBC, leishmaniosi, toxoplasmosi, sepsi

Epatite autoimmuneTipo 1 (positività degli anti-nucleo, ANA, e/o degli anti-muscolo liscio, SMA)

Tipo 2 (positività degli anti-microsomi di fegato e rene, LKM-1, e/o degli anti-liver citosol tipo 1, LC1)

malattie metaboliche (*)

Intolleranza ereditaria al fruttosioTirosinemiaGlicogenosiDeficit di α

1-antitripsina

Malattia di WilsonDeficit di ornitina carbamiltransferasi (OCT)

patologie biliari (**)

CalcolosiCisti del coledocoSindrome di Alagille (ipoplasia duttulare)Malattia di CaroliColangite sclerosante primitiva

Epatopatie di diversa natura

ObesitàFarmaciCeliachiaFibrosi cisticaSindrome di Turner

Cause extraepatiche

MiopatieMiocardiopatieDisordini emoliticiPancreatopatieNefropatieMacro-AST(***)

(*) Sono citate solo quelle che possono presentare ipertransaminasemia come unica o prevalente espressione clinica(**) Di solito è presente anche iper-GGT(***) La macro-AST è caratterizzata da un aumento isolato dell’AST con livelli normali di ALT. E’ dovuta alla presenza in circolodi macrocomplessi tra AST e altre molecole (di solito Ig), non dipende pertanto da un’aumentata dimissione in circolo di ASTda danno tissutale. Si tratta in età pediatrica di una condizione a decorso favorevole

Dato anamnestico Orientamento Diagnostico

Trasfusioni di sangue ed emoderivati, interventi chirurgici, cure odontoiatriche e otorinolaringoiatriche, assunzionedi cibi potenzialmente contaminati, contatto con pazienti affetti da epatite virale, presenza di madre con epatite virale

Casi analoghi in famiglia, decessi di fratelli in età pediatrica non spiegati, consanguineità dei genitori, provenienza di entrambii genitori da un piccolo centro

Epatiti infettive

Ricorrenza di vomito o di crisi di torpore o di altri segnidi squilibrio metabolico, correlazione della sintomatologiacon l’assunzione di particolari elementi o sostanze

Epatopatie dismetaboliche

Assunzione di farmaci convenzionali e non Epatotossicità da farmaci

Eccessivo incremento ponderale Epatopatia steatosica da obesità

Alvo diarroico, crescita stentata, bassa statura Celiachia, malattie infiammatorie croniche intestinali

Ritardo nell’acquisizione delle tappe dello sviluppo motorio Distrofie muscolari

Storia di dolori addominali ricorrenti, episodi ricorrentidi feci ipoacoliche e/o ipercromia delle urine

Patologie primitive delle vie biliari

Storia di infezioni respiratorie e/o di steatorrea Fibrosi cistica

Familiarità per malattie autoimmuni. Presenza nell’anamnesi personale di altre malattie autoimmuni

Epatite autoimmune

Box 2 Dati anamnestici utili per l’orientamento diagnostico nel bambino con ipertransaminasemia

32 SIGENP NEWS Volume II - n. 4 dIcembre 2010

Pediatric Gastroenterology Educational Article a cura di Salvatore Accomando

Ipertransaminasemie Raffaele Iorio

Box 3 Dati clinici utili per l’orientamento diagnostico nel bambino con ipertransaminasemia

1. Pratt DS, Kaplan MM. Evaluation of abnormal liver-enzyme results in asymptomatic patients. N Engl J Med 2000;342:1266-71.

2. Iorio R, Sepe A, Giannattasio A, Cirillo F, Vegnente A. Hypertransaminasemia in childhood as a marker of genetic liver disorders. J Gastroenterol 2005;40:820-6.

<<<<Bibliografia >>>>

Segni clinici Orientamento diagnostico

Facies da bambolaGlicogenosi (le forme VI e IX possono manifestarsi con ipertransaminasemia ed epatomegalia, in assenza di ipoglicemia)

Facies triangolare, fronte bombata, occhi infossati,ipertelorismo, mento appuntito

Sindrome di Alagille. Poiché l’ittero può mancare,i pazienti possono venire all’osservazione peripertransaminasemia. Dal punto di vistalaboratoristico è sempre presente iper GGT

Rapporto peso/statura < 2DS oppure BMI < 2DS Celiachia, epatopatie colestatiche croniche

Obesità, acanthosis nigricans Epatopatia steatosica da obesità

Bassa statura Celiachia, Sindrome di Turner

Vitiligine Epatite autoimmune

Ippocratismo digitale Fibrosi cistica, epatopatie colestatiche croniche

Enfisema polmonare Fibrosi cistica

Tremori, distonia, disartria, ipersalivazione, ridotto rendimento scolastico, disturbi comportamentali, anello di Kayser-Fleischer“Tenere presente che la sintomatologia neurologica da m. di Wilson non è frequente in età pediatrica. è molto più comune invece che i bambini Wilson abbiano all’esordio ipertransaminasemia ed epatomegalia con segni di steatosi all’ecografia”.

Malattia di Wilson

Cataratta Galattosemia, infezioni connatali

Linfoadenomegalia Infezioni da CMV, EBV, toxoplasma, leucemie, linfomi

Pseudoipertrofia dei gastrocnemi,manovra di Gowers positiva Miopatie

Epatomegalia severa “isolata”Epatopatie dismetaboliche (glicogenosi, fruttosemia, Wilson ecc.) tumori epatici

Lesioni da grattamento Tutte le epatopatie a impronta colestatica

Nevi stellari, eritema palmare Cirrosi di qualsiasi eziologia

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Pediatric Gastroenterology Educational Article a cura di Salvatore Accomando

Ipertransaminasemie Raffaele Iorio

a cura delComitato di Redazione

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