Se l'impresa sceglie l'etica

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1° Convegno Nazionale CGIL La Responsabilità Sociale dell'Impresa

Relazione di Marigia Maulucci

(Bozza) Roma, 5 novembre 2003 CGIL - Sala Di Vittorio 1

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Perché un convegno della CGIL Per quale ragione la CGIL si occupa di Responsabilità sociale dell’impresa? Per quale ragione non se ne è mai occupata prima? Che cosa ci spinge oggi ad affrontare in modo, speriamo, organico e ragionato questo tema? La questione è di grande spessore, costruisce un modo d’essere, fonda una visione del mondo, proietta in una dimensione sociale un soggetto economico come l’impresa, lo accompagna lungo gli impervi sentieri della morale individuale e dell’etica collettiva, ne fa un attore protagonista della crescita per tutti, dovunque questi tutti siano. In fondo, poi, non è vero che la CGIL non se ne è mai occupata: la tematica, sulla quale alcune categorie e alcuni territori hanno già lavorato è molto dentro la natura del nostro impegno complessivo per i diritti umani e del lavoro, fa da sfondo alla nostra ricerca sugli strumenti utili funzionali alla costruzione delle condizioni di un cambiamento sociale rispettoso dei bisogni della parte che rappresentiamo. Vorremmo sempre considerare l’impresa alleata, ognuno con le sue specificità, in questa battaglia e dunque quando incrociamo tensioni che vanno in questa direzione non possiamo che cogliere positivamente le opportunità che si aprono. Da molto tempo stavamo girando intorno al tema chiedendoci da che parte cominciare, quando siamo venuti a conoscenza dell’iniziativa del Governo Italiano, che organizza sul tema addirittura un Grande Evento del semestre italiano di Presidenza dell’UE. Non che il tema non lo meriti, per carità, è che le iniziative di questo governo ci inquietano sempre, segnatamente quando si esercitano sull’etica, sulla responsabilità, sul sociale. Infatti, abbiamo avuto ragione a preoccuparci: non c’è una parola dell’impostazione della lettura governativa sulla RSI che condividiamo, non siamo d’accordo sul carattere della sussidiarietà che viene proposta, non siamo d’accordo sul modello di Welfare che ne viene fuori, non siamo d’accordo quando vediamo che alla fine tutto si trasforma di nuovo in ennesimi sgravi fiscali alle imprese. Niente di più lontano dalla natura dell’esperienza e dagli sviluppi che ha avuto al punto tale che moltissime imprese impegnate in questi anni rischiano di 2

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abbandonare il campo se questo è strumentalmente occupato dal ministro del Welfare alla disperata ricerca di qualcuno diverso da lui che faccia Welfare. Cominciamo dunque ad occuparci organicamente della questione RSI e siamo intenzionati a proseguire nel lavoro. Come nasce la RSI Tema complesso, quello delle origini: lo spirito del tempo degli anni ’90, il rapporto della Commissione Brundtland, il summit di Rio del '92, la ricostruzione dei sindacati anglosassoni, la ricerca negli USA. Tutto ciò precipita nella discussione nell’UE al tempo della presidenza di Delors, che inizia a rivolgersi al mondo delle imprese perché collabori nella lotta contro l’esclusione sociale. Stiamo parlando del 1993 e nel 2000 questo appello diventa un cardine del consiglio UE di Lisbona che definisce l’obiettivo, l’alto obiettivo di un’Europa competitiva perché a maggior tasso di conoscenza del mondo. Le imprese possono esercitare un ruolo centrale, prevedendo interventi nel campo della “formazione lungo tutto l’arco della vita, l’organizzazione del lavoro, le pari opportunità, l’inclusione sociale e lo sviluppo sostenibile”. La competitività che nasce a Lisbona è fondata sul potenziamento della ricerca, dell’innovazione e del sostegno alle imprese innovative, a questo fine vanno dirette le riforme economiche, l’integrazione dei mercati finanziari, il coordinamento delle politiche macroeconomiche. Questo dunque il contesto di nascita della RSI: la specificità, la qualità del modello economico produttivo e sociale europeo. E in questo contesto noi siamo interessati che si sviluppi. Che cos’è la RSI Sarà poi il Libro Verde della Commissione Europea, del 2001, a dare una definizione della RSI come “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali 3

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ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Quattro sono gli ambiti interni all’impresa: le risorse umane, la salute e la sicurezza nel lavoro, le riconversioni e ristrutturazioni, l’ambiente e le risorse naturali. Nella dimensione globale, poi, i diritti umani. L’anno successivo, a seguito della consultazione prevista sul suddetto Libro Verde, la Commissione produce una Comunicazione specifica nella quale vengono evidenziati i limiti al consolidamento dell’esperienza (insufficiente formazione, problemi specifici delle pmi, coerenze delle politiche pubbliche, accettazione e riconoscimento di consumatori e investitori di comportamenti di responsabilità sociale) e indicate le possibili strategie di promozione (informazione, scambio di esperienze, convergenza e trasparenza di buone pratiche, strumenti e politiche comunitarie). Libro Verde e Comunicazione sono punti di riferimento importantissimi. Aiutano nella definizione, sostanziano con chiarezza la natura fondativa, strutturale, olistica della scelta. Stiamo parlando di un modo diverso di fare impresa: non si tratta di sostituire (leggi, convenzioni internazionali, contrattazione) ma di aggiungere interventi, integrando le scelte dentro un modello di governance che inevitabilmente dovrebbe uscirne modificato. I campi di azione e intervento sono i diritti dell’uomo, i diritti del lavoro, l’ambiente. La posizione della CES Quattro i contenuti fondamentali che la CES indica per l’esercizio della RSI: lo sviluppo di un lavoro di qualità e il costante sviluppo delle competenze attraverso formazione e riqualificazione professionale, i diritti di informazione, partecipazione e consultazione, l’informazione preventiva su riconversioni e ristrutturazioni, la promozione e il rispetto dei diritti sociali fondamentali scritti nella Carta di Nizza, nei documenti dell’OIL e dell’OCSE. In un quadro di valutazione complessivamente positiva sul Libro Verde, la CES critica tre convinzioni espresse nel documento.La prima riguarda la convinzione 4

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che la RSI metterà fine alle relazioni industriali conflittuali: auspicio utile a prescindere, quello della Commissione, e da verificare sempre e comunque, a prescindere. Certo non può essere né un obiettivo né meno che mai un punto di partenza. La seconda che i portatori di interessi siano partners a pari merito in questa politica rispetto agli azionisti: affermazione generosa, al punto tale da destare qualche legittima diffidenza.Vedremo in seguito come affrontare questo tema: certo, la RSI modifica il meccanismo di formazione delle decisioni ma proprio perché siamo interessati alla definizione di questi nuovi percorsi, diffidiamo delle semplificazioni. Infine la CES esprime perplessità rispetto alla volontarietà del meccanismo e al valore in sé della volontarietà come unico propulsore di interventi in grado di accrescere il grado di responsabilità sociale e ambientale. In sintesi, la CES mette in guardia rispetto ad una lettura semplicistica della RSI: il modello europeo uscito a Lisbona può realizzarsi dentro un quadro certo di esigibilità dei diritti sindacali, di pratiche negoziali non surrogabili, di centralità del valore del lavoro. La rispondenza della RSI a questi parametri ne fa un’esperienza interessante. La distanza dagli stessi un’insidia da respingere. Con questo spirito, la CES sta lavorando per produrre una proposta complessiva di orientamenti sulla RSI, che indichino con chiarezza il discrimine tra volontarietà e autoreferenzialità, tra volontarietà e unilateralità. Questi i parametri che condividiamo e che riteniamo utili per un approccio di natura sindacale. Volontarietà e convergenza/trasparenza La comunicazione della Commissione registra le differenti posizioni, delle imprese e dei sindacati, sulla volontarietà e individua ambiti certi nei quali realizzare convergenze e trasparenza per permettere la comparabilità delle esperienze. E’ di fatto una mezza risposta che elude la richiesta formulata dal sindacato di un quadro regolamentare europeo. 5

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E’ comunque importante avere a disposizione uno schema certo di riferimento che dovrebbe provare a realizzare un equilibrio tra la volontarietà dell’approccio e l’esigibilità del percorso, quando non addirittura dei risultati. Questo schema si sostanzia dei seguenti strumenti: I codici di condotta non devono sostituire le legislazioni nazionali e la contrattazione. Occorre prevedere sedi e strumenti di monitoraggio, di verifica della corretta applicazione, di esame dei risultati. La dizione è corretta ma subito si apre un nuovo problema: che succede quando legislazioni nazionali coercitive colpiscono diritti umani fondamentali? Il codice di condotta non è muto e parla, proprio per la volontarietà della scelta originaria, il linguaggio per il quale è stato adottato. Tutto bene ma chi verifica la correttezza dell’applicazione, della rispondenza alle convenzioni internazionali, chi commina le sanzioni? In altri termini, lo strumento per noi è interessante nella misura in cui non si presenta come assunzione unilaterale ma si declina dentro accordi quadro, dentro i contratti nazionali di lavoro che ne prevedano verifiche, attuazione certezze. La tracciabilità dei prodotti dev’essere anche tracciabilità di processo :solo così posso provare a controllare il ciclo produttivo e la catena dei fornitori. Le norme di gestione: pur non mettendo in discussione la volontarietà del meccanismo di adozione, è bene che la scelta ricada su sistemi consolidati di gestione che premino un intero percorso di sviluppo dell’obiettivo e che dunque valutino l’intera catena. Vale a dire, il risultato ma anche e soprattutto il metodo. La misurazione delle prestazioni: si afferma e si consolida come buona pratica il cosiddetto triplo approccio, vale a dire la combinazione di indicatori economici ma anche sociali ma anche ambientali.Il bilancio di sostenibilità è misurazione complessa, per il quale sono importanti linee direttive e criteri comuni. Il marchio di qualità: si rende esigibile il diritto del consumatore ad una corretta uniforme accertata informazione. Ancora una volta, la partecipazione a programmi di certificazione è volontaria ma i marchi dovranno essere attuati in maniera obiettiva trasparente e credibile. 6

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Investimento socialmente responsabile: le agenzie di valutazione – siano esse consulenti indipendenti o sezioni ISR delle banche di investimento – sono tenute a definire criteri e indicatori che chiariscano “i vantaggi concorrenziali e le riuscite commerciali delle imprese socialmente responsabili”. Questi, in estrema sintesi, i criteri guida o meglio l’indicazione di criteri guida da costruire da parte del Forum Multilaterale che dovrebbe presentare una relazione di attività la primavera 2004. Linee guida OCSE. Dichiarazione tripartita OIL. Global Compact: globalizzazione e regole Le linee guida dell'OCSE sulle multinazionali, approvate nel giugno 2000, sono uno strumento importante in capo ai governi e da questo punto di vista più forte dei codici di condotta. Essenziale dunque nella difesa e nel riconoscimento dei diritti dell'uomo e del lavoratore che gli strumenti siano integrabili per costruire un quadro di regole nei processi di globalizzazione. Le linee guida riguardano le politiche generali, i diritti di informazione (peccato che manchino riferimenti alle informazioni circa i fornitori e gli appalti. etc.), l'occupazione e le relazioni industriali, l'ambiente e prevedono anche strumenti istituzionali di attuazione. Alle linee guida OCSE e Dichiarazione tripartita OIL si è aggiunto il Global Compact, presentato al Quartier generale delle Nazioni Unite nel luglio 2000. Si tratta non di un codice ma di uno strumento di promozione, dunque molto meno vincolante: invita le aziende ad aderire a nove principi universali nelle aree dei diritti umani, delle condizioni di lavoro e dell’ambiente, rendendo parte integrante della propria visione strategica. “Scegliamo di unire il potere dei mercati all’autorevolezza degli ideali universalmente riconosciuti.Scegliamo di riconciliare la forza creativa dell’iniziativa privata con i bisogni dei più svantaggiati e le esigenze delle generazioni future”, dice Kofi Annan. Aggiunge, parafrasando un topos della Visione del mondo Capitalistica, con la quale e nella quale siamo cresciuti e 7

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nella quale non ci siamo mai riconosciuti, che ciò che è bene per la società è bene per l’impresa. Centinaia di imprese hanno aderito al Global Compact ma molte si sono limitate all’adesione senza far seguire buoni comportamenti a buone intenzioni o, peggio, promuovendo grandi iniziative sociali intanto che frodavano gli azionisti. E’ per esempio il caso della Enron nel cui rapporto 2000 sulla responsabilità sociale si legge: ” i principi che guidano il nostro comportamento includono il rispetto, nel senso che noi vogliamo lavorare per promuovere il rispetto reciproco con le comunità e i portatori di interessi che sono toccati dalle nostre attività: noi trattiamo gli altri come vorremmo essere trattati noi stessi.” Una classica sindrome masochista. Dobbiamo dunque fare i conti che grandi contraddizioni e purtroppo anche clamorosi fallimenti (basta pensare a Cancun) continuare pervicacemente la nostra battaglia. L’etica e l’impresa Il concetto stesso di responsabilità rimanda all’etica e l’etica alla morale e alla legge. La legge è equilibrio di egoismi, la morale è la libertà interiore di adesione alla stessa, l’etica la compenetrazione della coscienza individuale con la sostanza morale e sociale della collettività. Senza scomodare Hegel, che peraltro con questa triade giustificò lo stato prussiano, è indubbio che ci dobbiamo misurare con un’evoluzione del pensiero economico di lunga e importante tradizione nel connettere il principio dell'utile alla giustizia sociale (Bentham, Cattaneo, Rawls, Sen). Le autonome scelte dell’impresa nascono dalla e si riflettono nella costruzione della società: l’impresa dunque come corpo intermedio tra il singolo e la collettività. 8

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Come il sindacato, come le associazioni della società civile, come tanti altri soggetti che costituiscono oggi l'antibiotico più efficace contro il dilagare contagioso di infezioni batteriche che attentano alla salute della democrazia. Troverete nella documentazione delle utili dimostrazioni di ciò, gli interventi che seguiranno saranno più espliciti . Sottolineo l’importanza di organizzazioni come Cittadinanzattiva e del suo manifesto della cittadinanza d’impresa. L’espressione è particolarmente felice e indica” l’impegno costante da parte delle aziende private a promuovere una integrazione tra esigenze di mercato e nuove responsabilità sociali” Così come credo sia di grande interesse la campagna , promossa da una serie di associazioni, detta “Meno beneficenza più diritti” che ci libera dall’angoscia del capitalismo compassionevole, del filantropismo delle buone intenzioni per strutturare comportamenti nazionali e internazionali fondati sulla difesa, il consolidamento e l’espansione dei diritti dell’uomo, del lavoratore, dell’ambiente. “Il vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più elevati profitti producendo così ricchezza e lavoro per tutti, nel modo più efficiente per tutti”, scriveva Milton Friedman agli inizi degli anni ’70:compito dell’impresa è massimizzare il profitto e questo, in sé, produce ricchezza e lavoro per tutti . La catena del valore economico e quella del valore sociale verranno spontaneamente a coincidere. La storia di questi anni ci ha dimostrato che spontaneamente, di buono, non succede praticamente nulla rendendo centrale l’autonoma assunzione di responsabilità delle stesse imprese.”Tali responsabilità divengono, quindi, delle specifiche “morali di sostegno” del mercato, frutto dell’autoriflessività dell’impresa, del suo riconoscersi come società intermedia e distinta nella sua autonomia funzionale nella relazione tra stato e cittadino e che opera per ampliare le sfere della legittimità d’impresa, della cittadinanza d’impresa della difesa dell’impresa come istituzione”, sostiene Giulio Sapelli. Ne potrebbe così derivare una sorta di “capitalismo temperato” dalla difesa della persona e dei suoi valori, patrimonio non mercificabile. 9

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Siamo al punto: se diventa centrale la responsabilità e l’etica nell’assunzione delle scelte, se queste vengono costruite dentro un processo collettivo, se il campo d’azione sono i diritti, è possibile dunque fare in modo che la giustizia sociale incroci il capitalismo? Possiamo dunque ricominciare a parlare di democrazia economica, partendo dalle regole, dai processi e dai valori? In altri termini: è dunque riformabile il capitalismo? L’esercizio della RSI Scendendo dal cielo stellato sopra di noi, verifichiamo che le esperienze di questo tipo nel nostro apparato produttivo non sono diffusissime. Verifichiamo comportamenti assolutamente difformi, combattiamo tutti i giorni con una propensione alla competizione fondata sulla riduzione dei costi, contrastiamo con tutte nostre forze il tentativo di mortificazione del lavoro e dei suoi diritti. Molto spesso non abbiamo neanche la possibilità di discutere perché la sede decisionale di un'impresa è altrove: la finanziarizzazione del capitale allontana lo stesso dal luogo della produzione e ne fa oggettivamente un'entità astratta indisponibile a relazioni sindacali. Altre volte l'azienda di fronte a noi è una scatola che ne contiene altre: la catena dei fornitori, la frammentazione del core businnes sia essa su scala mondiale o no è un altro serio limite nelle pratiche negoziali. Se dunque da qualche parte echeggiano rumori fuori scena, non possiamo che cogliere con attenzione il messaggio. Un certo spirito del tempo parla di tendenze dei consumatori verso prodotto etici, di vincoli in questa direzione di investitori istituzionali, di vantaggio competitivo per le aziende quotate. Il fattore reputazione pesa , e questo da sempre. Forse la novità di oggi è la qualità della domanda sensibilizzata al futuro del pianeta e delle nuove generazioni, ai diritti umani. Stante dunque che non possiamo parlare solo di politica d’immagine, stante che non si tratta di buonismo capitalistico, stante come si è detto che la scelta ha carattere olistico occorre capire, nell’esercizio concreto del comportamento 10

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socialmente responsabile, quali modificazioni deve necessariamente introdurre nel modello di governance. Ci riesce difficile immaginare un ragionamento su RSI e governance che non abbia come terzo corno la contrattazione e la partecipazione e le forme nelle quali oggi, a valle delle esperienze fatte negli anni '80 e '90 e al netto dell'azionariato dei dipendenti che ci vede, come è noto, contrari, essa può declinarsi: relazioni sindacali, informazioni, formazione delle decisioni, strumenti di sorveglianza e controllo. Ci sembrerebbe utile aprire questa discussione proprio quando esperienze come la RSI propongono modelli più avanzati di governance, che non possono certo prescindere, nel momento in cui un'impresa guarda al suo esterno, da cosa succede, al suo interno. Si tratta infatti, come propone il prof. Sacconi, di una governance allargata nella quale la responsabilità dell’osservanza dei doveri fiduciari nei confronti della proprietà si allarga a quelli contratti verso i portatori di interessi che ruotano dentro e fuori l’impresa. Per portatori di interessi si intendono i collaboratori (il sindacato dovrebbe essere tra questi), i clienti, i consumatori, gli investitori, i creditori, i fornitori, i partners le comunità locali e nazionali, le associazioni, le istituzioni pubbliche, le generazioni future. L’approccio volontario non significa autoreferenzialità: significa impegno al dialogo per la costruzione comune di un programma di intervento, di un codice etico accettabile ex ante, verificabile durante e valutato ex post. Tutto ciò detto, ci sorgono subito degli interrogativi: in base a quale criterio vengono selezionati i portatori di interessi, dunque come si costruisce la platea di riferimento? quale il ruolo di promozione di questi? la proposta è in capo all’impresa o è il frutto del lavoro collettivo? E’ difficile pensare che l’insieme dei soggetti ai quali liberamente e volontariamente ci si rivolge non sia messo nelle condizioni di esercitare proposte, mediazioni, risultati. E ancora: che cosa succede quando gli interessi, tra i portatori degli stessi, confliggono? E’ una tipologia frequente, è successo, succederà. E’ evidente che, per quanto ci riguarda, siamo sempre disponibili a trovare le soluzioni che salvaguardino gli interessi della parte che rappresentiamo e l’interesse generale 11

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ma questa volontà non può evidentemente prescindere dall’autonomia dei percorsi negoziali e dei nostri processi decisionali. Un’ultima cosa: i portatori di interessi rispondono a chi? quali le verifiche, qualitative e quantitative, della loro rappresentanza? Il tema, per il sindacato, in ambiti diversi da questo, è cruciale: ci torna in mente con crudezza quando nelle allucinanti convocazioni a palazzo Chigi ci troviamo travolti da un fiume in piena di sigle sindacali sostanzialmente inesistenti che alleggeriscono automaticamente il peso specifico di ciascuno.Segnaliamo questo pericolo alle associazioni della società civile: in una democrazia traballante come la nostra, il contrappeso dei corpi intermedi funziona se essi sono soggetti veri, misurabili, con regole di democrazia tra loro e al loro interno. Ripeto: è un interesse di tutti noi che siamo qui, la nostra trasparente riconoscibilità, come possibile soluzione tra il monopolio di qualcuno o l’autolegittimazione reciproca di tutti. La volontarietà della scelta, l'incentivo dato dalla reputazione dovrebbe essere la garanzia della congruità dei comportamenti "Una deviazione dal profilo di RSI, o dagli impegni etici assunti, viene punita anche più di quanto il semplice interesse materiale non indurrebbe a fare", sostiene sempre il prof. Sacconi. Rimane il problema degli strumenti, in capo ai portatori di interessi, di verifica, misurazione, controllo del prodotto finale ma anche e soprattutto della coerenza del processo. Sappiamo di vari sistemi e modelli di certificazione e ci sembrano interessanti quei modelli che valutino il complesso del processo prima ancora del risultato. Ci fidiamo poco della corsa forsennata ad un bollo qualunque che dia un qualche vantaggio competitivo Sappiamo di un mercato in crescita sulla certificazione. In ogni caso, è bene dire con chiarezza che il soggetto che certifica dev’essere inevitabilmente un soggetto terzo, che niente abbia a che vedere con i contraenti il codice etico, che hanno diritto, tutti, a questa terzietà. Non sono particolarmente edificanti le migrazioni tra consulenti e certificatori. Stiamo già assistendo al dilagare del conflitto di interessi e vorremmo arginare questa deriva, almeno su queste materie,se non ci riesce su altre. 12

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In altri termini: quale il comportamento socialmente responsabile delle società di certificazione? Chi certifica i certificatori? In ogni caso, la CGIL rivendica un rapporto trasparente e cogente con tutti i revisori sociali, vorrebbe avere sedi di discussione sui criteri e le scelte della certificazione ma non può, per la chiarezza del suo ruolo e la trasparenza della sua funzione, partecipare a nessuna sede di certificazione . Insomma, è sufficiente un’Autorità della società civile che indichi standard, criteri, procedure come sostengono alcuni o, come sostengono altri, ci vuole un soggetto pubblico di vigilanza, supportato da una legge di tutela? Alcune amministrazioni locali si stanno organizzando (nella documentazione travate gli orientamenti della Regione Toscana ed Emilia Romagna). Gli approcci sono differenti ma comunque ci sembra interessante che si crei nei governi locali un clima e si attivino strumenti di promozione e verifica della RSI. Noi pensiamo che siano necessarie Linee Guida dell’UE che pur non mettendo in discussione il carattere volontario delle decisioni costruiscano la condizioni perché le scelte, volontariamente compiute, si esercitino secondo regole percorsi verifiche certe. La CES ha opportunamente previsto un approfondimento finalizzato alla costruzione della nostra proposta alla Commissione . Quale il ruolo del sindacato Quanto detto fin qui dovrebbe essere sufficiente a motivare le ragioni per le quali la RSI è per il sindacato una problematica, come dire, “amica”: parliamo insieme il linguaggio della qualità dello sviluppo, della competizione “alta” fondata sulla valorizzazione del lavoro, sul rispetto dei diritti, sul loro consolidamento ed espansione. Dunque, le opportunità che si aprono sono consistenti ed è nostra intenzione cogliere attivamente la sfida. Sfida che non può non partire dalla chiarezza sulla natura degli interventi di RSI che sono, per definizione, aggiuntivi all’applicazione di leggi e contratti e dunque mai sostitutivi delle corrette 13

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relazioni sindacali nei tavoli nazionali di contrattazione e nei posti di lavoro. Il diritto alla libera associazione sindacale e alla contrattazione è uno dei diritti fondamentali del lavoratore e possiamo trovare la strada, anche attraverso la RSI, perché esso venga riconosciuto dovunque l’impresa localizzi le sue produzioni per sé e per la rete di imprese locali fornitrici. Per questa ragione, è molto importante che i contratti nazionali di lavoro assumano al loro interno i codici di condotta , si diano gli strumenti per verificarne l’applicazione , costruiscano le condizioni per accordi quadro che rendano coerenti e cogenti gli impegni sottoscritti. Il sindacato aziendale e territoriale è per sua natura un portatore di interessi e come tale può contribuire alla promozione dell’adozione da parte delle imprese del suo territorio del codice etico, può contribuire alla composizione dello stesso. Il sindacato sul posto di lavoro può verificarne l’applicazione così come può costruire nella contrattazione aziendale e/o di gruppo le premesse perché ulteriori interventi implementino l’esercizio della RSI. Lo scambio può essere proficuo se i ruoli sono chiaramente definiti: la migliore garanzia perché le relazioni all’interno di un codice etico non abbiano una natura negoziale è che nelle sedi giuste la negoziazione si faccia. Contiamo molto, per esempio, ma è un esempio che ci sta particolarmente a cuore, che se in un codice etico si affermi il valore del lavoro, questo comporti una disponibilità delle imprese a negoziare col sindacato strumenti di accesso solidi, rafforzati da formazione, aggiornamento e riqualificazione, per i quali è possibile contrattare flessibilità, non precarietà. Il Governo italiano L’interpretazione che il Governo italiano dà della RSI è la chiara dimostrazione del fatto che ci troviamo di fronte ad un Governo socialmente irresponsabile. Parafrasando la parafrasi di Kofi Annan possiamo dire che “ciò che è bene per il Governo è bene per tutti”. 14

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Il punto di partenza è, di nuovo, la sua interpretazione del concetto di sussidiarietà, intesa non come implementazione di interventi a favore di cittadini e lavoratori, una volta garantito il sistema pubblico universale inclusivo e solidaristico di Welfare. Sussidiarietà significa in realtà progressivo arretramento del soggetto pubblico e sua sostituzione progressivamente più invasiva di quello/i privato/i. D’altronde, è proprio su questo cardine che si fonda la differenza vera tra un governo di destra e uno di sinistra:il senso dello Stato, la dimensione del vivere collettivo, la politica fiscale come patto coi cittadini per il finanziamento dei servizi pubblici e, in ultima analisi, per la redistribuzione della ricchezza. La politica delle entrate di questo Governo e la sua volontà di smantellare lo Stato sociale ne fanno strutturalmente un governo di destra. Era dunque inevitabile che si strumentalizzasse anche la RSI per questo scopo, aggiungendo gli ennesimi sgravi fiscali alle imprese che adottino comportamenti di coinvolgimento sociale nella erogazione dei servizi. In aggiunta, il documento preparatorio accenna persino, dandola come cosa fatta, lo smobilizzo del TFR maturando che metterà sul mercato dei fondi pensione integrativi 12 miliardi di euro l’anno. Ricordo che la misura è presente nella delega previdenziale oggetto del nostro sciopero fatto e di quelli da fare e registra, anche su questo aspetto specifico, la nostra contrarietà trattandosi di un prelievo coatto che abbiamo definito anticostituzinale. La pelle dell’orso dunque, ancora non ce l’hanno. Dunque l’intenzione e la modalità di approccio è strutturalmente sbagliata: peraltro, se avessero ascoltato, non dico il sindacato, per carità, ma almeno le imprese avrebbero intanto realizzato che simile quadro di riferimento demotiva le imprese, non le stimola. Per quale motivo un’azienda dovrebbe essere interessata a erogare servizi al posto di Maroni? Non ascoltando nessuno dei soggetti in campo su queste materie,il ministro ha prodotto un sistema , diciamo così, agile assolutamente autoreferenziale, ai confini dell’applicazione di leggi e contratti. Nel caso poi di richiesta di sgravi fiscali, il sistema da autoreferenziale diventa autocertificatorio saltando a piè pari la terzietà della certificazione. 15

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Ci aveva già provato in altra sede sostituendo le procedure applicative della legge 626 (salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) con interventi di RSI : la parola d’ordine è semplificare delegificare depenalizzare. Questa è la RSI per il Governo italiano. Ulteriori impegni della CGIL Con la prima discussione di oggi, non si esaurisce l'impegno della CGIL. Pensiamo di sviluppare ulteriori approfondimenti specifici che ci aiutino nella formulazione di una proposta complessiva. Stiamo lavorando con l'IRES - CGIL ad una ricerca sulla RSI in Italia in comparazione con altre esperienze europee. Di finanza etica parleremo in un convegno al quale cominciamo a lavorare da subito e che pensiamo di tenere entro la metà di dicembre. Vorremmo ragionare poi sulla RSI nella PA. E' infine nostra intenzione riflettere su quali politiche pubbliche, in capo all'UE, lungo quali coordinate potrebbero muoversi Linee guida della Commissione finalizzate alla promozione, al sostegno, alla verifica e al controllo. Costruiremo con gli altri portatori di interesse, le nostre proposte, perché, senza alcun dubbio, la CGIL è organizzazione socialmente responsabile.

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Intervento di: Gabriele Guglielmi Filcams CGIL

Dieci anni fa abbiamo discusso del Libro Bianco di Delors, ancora prima le discussioni sui temi della partecipazione, della democrazia di impresa han sempre fatto parte del dibattito in CGIL.

CSR, da un po’ di anni gira questa sigla.

Rientra dalla finestra del mercato di consumatori di prodotti e servizi (specie finanziari),per di più in lingua anglosassone e con forte accento americano, quello che da anni costruiamo, (o cerchiamo di farlo) e spesso lo si è fatto entrando dalla porta principale della partecipazione, della contrattazione in azienda e nel territorio, ad es. nelle cooperative ma anche in quelle imprese, spesso piccole, magari a sistema e in distretto integrate con il territorio.

Da qualche anno ci troviamo travolti da: CORPORATE, MULTINAZIONALI, GLOBALIZZAZIONE; dobbiamo fare continuamente i conti con una lingua ed una cultura che non ci sono familiari, e comunque non ci sottraiamo al confronto e alla sfida, sapendo anche che possiamo avere una marcia in più e strumenti di lavoro originali che si chiamano:- esperienze reali- contrattazione, anche di secondo livello, in azienda ma anche nel territorio

Dopo significative iniziative svolte dalle categorie (i tessili, gli alimentaristi la stessa filcams), iniziative svolte anche a livello internazionale; la Cgil torna nuovamente sul tema con tutto il peso che rappresenta.

Le esperienze più significative della Filcams.

1. Chicco-Artsana

In Cina, in uno stabilimento nel quale si produceva per conto della Chicco-Artsana muoiono 87 lavoratrici: Nonostante i tentativi di nascondere il fatto da parte delle autorità locali, la notizia arriva alle Organizzazioni Sindacali italiane; il confronto con l’azienda ha un primo risultato: la costituzione di un fondo per assistere le vittime, poi l’adozione, nel 1998 di un codice di condotta aziendale, oggi, unitamente al coinvolgimento del SAI, si sta procedendo alla certificazione SA8000 dell’azienda e, conseguentemente, del monitoraggio della filiera dei fornitori.

2. ECPAT

ECPAT è l’associazione che ha consentito l’approvazione della legge in materia di procedibilità penale di abusi sessuali perpetrati nei confronti di minori; la principale innovazione di tale noma è che i cittadini italiani sono perseguibili anche se i fatti sono stati commessi all’estero. Con ECPAT , Fisascat, Uiltucs e le associazioni datoriali degli organizzatori di viaggi abbiamo dapprima sottoscritto il codice etico; nel 2003 tale codice è stato allegato al CCNL del settore Turismo in occasione del rinnovo.

3. CCNL del Terziario

Nella piattaforma rivendicativa per il rinnovo del CCNL del Commercio (Terziario, distribuzione e servizi) è stato inserito un capitolo sulla Responsabilità sociale di Impresa.

4. G.R.I. e TOI project (Global Reporting Initiative & Tour Operators Iniziative)

All’interno di tale progetto, coordinato da UNEP (l’agenzia ambientale delle Nazioni Unite), la Filcams CGIL per conto della UITA (il sindacato mondiale dei lavoratori dell’alimentazione e del turismo) ha partecipato alla redazione degli indicatori specifici per il settore finalizzati alla corretta applicazione delle linee guida GRI. Il nostro ruolo, nell’ottica dello sviluppo sostenibile dell’attività dei Tour Operators, è stato quello di mettere in primo piano gli aspetti sociali; identificando quali diritti umani anche quelli della libera associazione sindacale, del diritto alla contrattazione collettiva, del rispetto delle condizioni di lavoro specialmente nelle località di destinazione dei flussi turistici che, spesso, sono in paesi in via di sviluppo. Partecipare a questa esperienza ci ha consentito di affrontare nello specifico le problematiche del settore e di

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definire le modalità per risolverle (ad es. la piaga del lavoro minorile che, in questo settore, in troppi paesi del sud del mondo coincide con lo sfruttamento sessuale dei minori). I limiti dei codici etici come delle rendicontazioni sul tipo di quelle previste dal GRI sono nell’assenza di controlli esterni.Sulla base di questo progetto, proprio per verificare i comportamenti della aziende a partire da quelle che hanno aderito al TOI Project, su nostra sollecitazione, la UITA ha deciso di dotarsi di una rete di controllo, dapprima interna ai sindacati affiliati a livello internazionale, poi aperta alla società civile, per verificare e pubblicizzare la correttezza di comportamento, o meno, delle imprese.

5. Chi controlla i controllori

Il mondo delle consulenze sui processi di qualità e sulle loro certificazioni non pare avere un sufficiente grado di trasparenza; il caso ENRON e quanto sta emergendo dalle indagini della magistratura USA sempre più ci fa percepire questo mondo quale una specie di far west. Appare quindi indispensabile un livello superiore di controllo, anche istituzionale e pubblico quale ad es. quello proposto dal sottocomitato etico dell’ONU con il provvedimento 2003-16, ma anche operato dagli stakholders e dalle stesse organizzazioni sindacali (vedasi la proposta UITA). Gli stessi Enti Bilaterali potrebbero essere impegnati in questa opera. In questo contesto l’EBIT (Ente Bilaterale dell’industria Turistica formato da Federturismo Confindustria e Filcams CGIL, Fisascat CISL, Uiltucs UIL) sta sviluppando un progetto finalizzato a facilitare la CSR delle imprese turistiche attraverso un utilizzo mirato al settore e agevolato delle Certificazioni sociali (a partire da SA8000) ed un controllo esterno partecipato anche dall’Ente stesso.

Altro aspetto importante del convegno di oggi, oltre a chiarire cosa sia la responsabilità sociale e cosa non lo è affatto e a farlo sapere in coro alla Presidenza italiana dell’Unione Europea il prossimo 14 novembre a Venezia, è la possibilità di mettere in rete le esperienze, sia all’interno del Sindacato che all’esterno e dare continuità all’iniziativa.

Gabriele GuglielmiFilcams CGIL

5 novembre 2003

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