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Utilizza la funzione Segnalibri Scienza delle finanze MODULO II - Le entrate pubbliche – Imposte sul reddito Indice del modulo II 1. Classificazione delle entrate Tipologie di entrate Classificazione delle imposte I contributi sociali 2. I princìpi delle imposte Princìpi generali Equità Neutralità 3. Le Imposte personali sul reddito Imposta sul reddito delle persone fisiche: il reddito e la progressività L’unità impositiva: la tassazione del reddito famigliare Reddito guadagnato o reddito speso: la doppia imposizione del risparmio Imposte personali sul reddito delle società. Tipologie e metodi di applicazione Domande di esame 1. Metodi per la progressività 2. L’unità impositiva e la tassazione del reddito famigliare 3. Imposte personali sul reddito delle società 1. Classificazione delle entrate Tipologie di entrate Si distinguono, in base ad una classificazione di tipo economico, le entrate correnti e le entrate in conto capitale. ENTRATE CORRENTI 1. Prezzo privato e quasi privato Sono entrate derivanti dalla gestione di beni e servizi prodotti e venduti sul mercato da soggetti del settore pubblico in concorrenza con produttori e venditori del settore privato. Le entrate sono assimilabili ai prezzi di beni e servizi privati. Tale genere di entrate era diffusa in periodi precedenti nella c.d. finanza patrimoniale e rappresentava una quota consistente delle entrate pubbliche (ad es. nel sec. XIX). Nel prezzo privato si possono far rientrare i proventi da vendite di prodotti provenienti da beni del demanio o del 1

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Indice del modulo II

1. Classificazione delle entrate

Tipologie di entrate Classificazione delle imposte

I contributi sociali

2. I princìpi delle imposte

Princìpi generali Equità

Neutralità

3. Le Imposte personali sul reddito

Imposta sul reddito delle persone fisiche: il reddito e la progressività L’unità impositiva: la tassazione del reddito famigliare

Reddito guadagnato o reddito speso: la doppia imposizione del risparmio Imposte personali sul reddito delle società. Tipologie e metodi di applicazione

Domande di esame 1. Metodi per la progressività 2. L’unità impositiva e la tassazione del reddito famigliare 3. Imposte personali sul reddito delle società

1. Classificazione delle entrate Tipologie di entrate Si distinguono, in base ad una classificazione di tipo economico, le entrate correnti e le entrate in conto capitale. ENTRATE CORRENTI 1. Prezzo privato e quasi privato Sono entrate derivanti dalla gestione di beni e servizi prodotti e venduti sul mercato da soggetti del settore pubblico in concorrenza con produttori e venditori del settore privato. Le entrate sono assimilabili ai prezzi di beni e servizi privati. Tale genere di entrate era diffusa in periodi precedenti nella c.d. finanza patrimoniale e rappresentava una quota consistente delle entrate pubbliche (ad es. nel sec. XIX). Nel prezzo privato si possono far rientrare i proventi da vendite di prodotti provenienti da beni del demanio o del

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patrimonio pubblico e quelli dei monopoli fiscali (imprese pubbliche operanti in regime di monopolio nella produzione di beni e servizi e che servono solo a fini di garantire entrate, non per finalità sociali). Vi sono anche le entrate che provengono dalla gestione di patrimoni, reali e finanziari, di soggetti pubblici: canoni di locazione e concessioni, interessi, dividendi. Si parlava di prezzo quasi privato quando, nella produzione e nella vendita di alcuni beni e servizi (ad es. nella vendita di prodotti del demanio forestale o nella gestione delle banche pubbliche) era presente qualche elemento di controllo e di indirizzo di politica economica a tutela di interessi generali. 2. Prezzo pubblico Si tratta delle tariffe pubbliche, ovvero delle tariffe applicate dalle imprese pubbliche, le quali producono e vendono servizi a pagamento. Ne sono esempio le tariffe dei servizi di pubblica utilità (luce, gas, acqua, telefono, raccolta rifiuti, trasporti, servizi postali). Le tariffe possono essere discriminate, perciò possono variare a seconda della tipologia del contribuente, della quantità di consumo, dall’essere riferite alla prima casa o ad altre abitazioni, dalla dimensione della famiglia o anche dal livello di reddito famigliare. Una caratteristica del prezzo pubblico è quella di contenere elementi di socialità che mancano nel prezzo privato, così da permettere il consumo di beni e servizi con caratteristiche pubbliche anche a persone a basso reddito o ritenute meritevoli (ad es. gli abbonamenti ai trasporti per studenti, pendolari, anziani, i consumi per fasce sociali per altri servizi) attraverso riduzioni di prezzi individualizzati per categoria. Il prezzo pubblico può essere considerato come una variante pubblica della discriminazione di prezzi del monopolista. Altra caratteristica del prezzo pubblico è quella di puntare alla copertura dei costi. Alcuni utenti pagano meno del costo medio altri pagano di più, in modo che le differenze si compensino attraverso un meccanismo di redistribuzione. Alcuni consumatori finanziano il consumo di altri. L’efficienza di un’impresa pubblica è interpretata come requisito minimo del pareggio del bilancio delle imprese pubbliche. In realtà l’obiettivo del pareggio è realistico per alcune imprese pubbliche, per altre non lo è (ad es. nei trasporti, nelle forniture di acqua). Per altre ancora è considerata l’opportunità che vi siano profitti anche per l’autofinanziamento degli investimenti. Il monopolio sociale è un’impresa gestita, a livello nazionale o a livello locale, da un soggetto pubblico che mira a realizzare finalità ritenute meritevoli perché socialmente apprezzabili. Solitamente agisce in perdita, in quanto la copertura, totale o parziale, dei costi non è affidata alle tariffe, ma è rinviata alla fiscalità generale (trasferimenti ed imposte) e quindi non c’è una stretta relazione tra utenti e tariffe pagate. 3. Prezzo politico I prezzi politici hanno la caratteristica di coprire solo in parte i costi di produzione di beni e servizi pubblici. Sono tipi di prezzi politici: a) La tassa: si tratta del pagamento per un bene o servizio pubblico domandato individualmente. Tale pagamento è inferiore al costo del bene o del servizio, talvolta ne rappresenta solo una quota minima. Ne sono esempio le tasse per l’istruzione pubblica e le tasse per i servizi sanitari pubblici (ticket). Se non c’è domanda privata per il bene/servizio pubblico non si paga una tassa. b) Il contributo speciale: è un pagamento forzoso, che viene imposto quando, ad es. con la costruzione di un’opera pubblica (strada, metropolitana, porto) o di un piano regolatore urbanistico, aumenta il valore dei terreni e dei fabbricati nell’area interessata. Una parte di questo incremento di valore viene recuperata attraverso il pagamento di un contributo speciale (un esempio è l’antico contributo di migliorìa), ma questo recupero non copre il costo di tutta l’opera. Nel caso dei prezzi politici si ha un finanziamento parziale del costo di beni e servizi pubblici e necessita un finanziamento aggiuntivo. 4. Imposte Sono prelievi forzosi che non sono collegati direttamente all’erogazione di beni e servizi. Sono pagate prevalentemente in moneta, ma possono consistere in acquisizione forzosa di prodotti o di beni. Le imposte nel corso del tempo, si sono trasformate da prelievi in natura (l’istituto medievale delle decime dei raccolti da versare al clero) e prestazioni personali imposte in modo coercitivo (le corvée, apparse in Francia nel sec. IX, come lavoro obbligatorio o anche forzato prestato gratuitamente ad un signore, anche nella forma di prestazioni militari) in prelievi monetari.

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Secondo il principio dell’unità dei bilanci pubblici tutte le entrate sono un insieme unico e tutte le spese sono pure un insieme unico e non ci possono essere legami contabili tra i due insiemi. Così in generale non si possono introdurre vincoli di destinazione di imposte al finanziamento di spese specifiche né vincoli di dipendenza di una spesa con un’entrata. In casi anomali ci può essere una destinazione precisa del gettito di un’imposta ad un tipo di spesa (si parla, in questo caso, di imposta di scopo). Classificazione delle imposte Due definizioni preliminari:

- Contribuenti: soggetti, persone fisiche o giuridiche, tenuti a pagare l’imposta. - Imponibili: elementi economici alla base del calcolo dell’imposta. -

Una distinzione generale delle imposte è per imponibili:

Imposte Dirette su reddito e patrimonio; si pagano con regolarità temporale in determinati periodi dell’anno, in base ad incassi annuali, guadagni netti, proprietà.

Imposte Indirette su consumo, scambio, produzione, vendite, prezzi, fatturato, trasferimenti: si pagano in occasione di determinati atti economici, principalmente passaggi e movimenti di merci e servizi.

La classificazione delle imposte adottata nel sistema di contabilità ESA 95 (o SEC 95) comprende:

1. Imposte sulla produzione e sulle importazioni (D.2), suddivise in:

a) imposte sui prodotti e sulle importazioni (D.21) (1) imposte sul valore aggiunto (D.211) (2) imposte e prelievi sulle importazioni (esclusa IVA) (D.212) - dazi di importazione (D.2121) - altre imposte sulle importazioni (D.2122) b) imposte su prodotti e importazioni, esclusa IVA (D.214) (accise, imposte di bollo e registro, imposte su assicurazioni, giochi, transazioni finanziarie, imposte generali sulle vendite diverse da IVA). c) Altre imposte sulla produzione (D.29) (imposte pagate dalle imprese per uso di immobili, impianti e macchinari, imposte commisurate al monte salari,

strumenti finanziari, licenze, imposte per inquinamento).

2. Imposte correnti su reddito, patrimonio, ecc. (D.5): a) Imposte sul reddito (D.51) (imposte su reddito di lavoro, profitti, proprietà). b) Altre imposte sul reddito (D.59) (imposte sulla spesa, imposte fisse, imposte sul

capitale, su licenze, su transazioni internazionali).

3. Imposte in conto capitale (D.91) (sui trasferimenti di proprietà, donazioni, successioni, imposte straordinarie sul patrimonio).

La struttura delle imposte dirette e indirette: imponibile, aliquota, gettito Una distinzione antica delle imposte:

per contingente (prima l’ammontare aggregato delle imposte è determinato per una categoria di contribuenti o di imponibili: successivamente si procede al riparto delle imposte tra i contribuenti);

per quotità (l’imposta si calcola come quota percentuale di un imponibile). In base all’uso di aliquote ed imponibili si distingue tra imposte dirette ed indirette.

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Imposte dirette R è l’imponibile (ad es. il Reddito); t l’aliquota o tasso dell’imposta (in %); T il gettito (o l’imposta): T = tR dall’imponibile R si sottrae l’imposta tR; quindi R - tR = R(1 - t).

Esempio: un reddito R di 100 è tassato con un’aliquota t del 30%; risulta 100 – 30 = 70. L’imponibile R (100) è ridotto dell’ammontare dell’imposta diretta T (30) e diventa reddito netto R(1-t) (70). Il contribuente con un reddito R si trova con un reddito diminuito, perché l’imposta è tolta dall’imponibile. Imposte indirette P è l’imponibile (ad es. il Prezzo); ti l’aliquota o tasso (in %); Ti il gettito (o l’imposta): al prezzo P si aggiunge l’imposta tiP; quindi abbiamo P + tiP = P(1 + ti) Esempio: P = 100; ti = 20%; 100 + 20 = 120. ………………………………………………….. L’imponibile P (100) è aumentato dell’ammontare dell’imposta indiretta Ti (20) e diventa prezzo lordo P(1 + ti) (120). Il contribuente paga un prezzo più alto perché l’imposta indiretta è aggiunta all’imponibile. Si ricordi che T e Ti sono valori assoluti, mentre t e ti sono valori percentuali. Tasso nominale/effettivo Talora ci si trova di fronte ad un imponibile che è stato ridotto da un’imposta diretta o aumentato da un’imposta indiretta ed il contribuente deve calcolarsi l’imposta già applicata. Per far questo si definisce il tasso effettivo (o aliquota effettiva) di un’imposta diretta o di un’imposta indiretta. Le aliquote t e ti sono tassi nominali, che si applicano all’imponibile per avere l’imposta. Si definiscono tassi effettivi:

- per l’imposta diretta: l’aliquota (o tasso) t* che, applicata sull’imponibile netto R(1 - t), dà lo stesso gettito T ricavato applicando t ad R. Quindi:

- t*R(1-t) = tR , da cui t* = t/(1-t). - per l’imposta indiretta: l’aliquota (o tasso) ti* che, applicato su P(1 + ti), dà lo stesso gettito di ti applicata a P; quindi

ti*P(1 + ti)=tiP, da cui ti*= ti/(1+ti). Dalle due formule si ricava che

a) t* > t : il tasso effettivo è maggiore del tasso nominale per un’imposta diretta; b) ti* < ti: il tasso effettivo è minore del tasso nominale per un’imposta indiretta.

Nella classificazione delle imposte si trovano altre distinzioni.

Imposte reali: sono imposte che si applicano considerando oggettivamente la natura economica dell’imponibile e non il soggetto (persona fisica o impresa) che percepisce gli imponibili. Si chiamano anche imposte cedolari. Ad esempio, per tassare il reddito si applicano aliquote diverse sul reddito di lavoro, sul reddito degli immobili, sui redditi finanziari, indipendentemente da chi li percepisce.

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Imposte personali: sono imposte che si applicano considerando soggettivamente un imponibile costruito e riferito ad un contribuente. Il contribuente può essere una persona fisica, un’unità famigliare, un’impresa, una società di capitale. ………………………………

Imposte generali: si applicano su tutti gli imponibili appartenenti ad una categoria generale: ad es. imposte che colpiscono tutti i redditi (imposta generale sul reddito), tutti i consumi (imposta generale sul consumo), tutti i patrimoni (imposta generale sul patrimonio). In pratica esistono imposte solo tendenzialmente generali, in quanto è impossibile tassare tutti i redditi, tutti i consumi o tutti i patrimoni.

Imposte speciali: si applicano solo su uno o su alcuni imponibili appartenenti ad una categoria. Ad es. un’imposta che tassi solo il reddito dei fabbricati e non il reddito di lavoro e gli altri redditi; un’imposta che colpisca il patrimonio immobiliare ed esenti i patrimoni finanziari.

Imposte fisse: sono imposte che vengono fatte pagare in una somma definita e che

individuano solo un contribuente, ma non sono collegate ad un imponibile (livello di reddito, consumo, patrimonio). Ne erano esempi l’antico testatico (il pagamento di una somma fissa a testa) e le imposte di capitazione (pure calcolate e addebitate pro capite). Oggi esistono rari esempi di piccole imposte addebitate in somma fissa (lump sum) ai contribuenti.

Imposte specifiche: sono imposte che si commisurano a caratteristiche fisiche di un imponibile e non al suo valore monetario (prezzo, valore monetario di un reddito o di un patrimonio). Ad es. l’imposta può far riferimento alla quantità o al numero di beni prodotti o venduti (un’imposta fissa per unità prodotta o venduta), al volume, al peso, alla gradazione alcolica. Ne sono esempi le imposte di fabbricazione sugli oli minerali, le imposte sugli spiriti, le imposte sul consumo di alcuni prodotti (caffè, tabacchi). Si noti che le imposte specifiche possono essere speciali o generali. Si chiamano anche con il termine di accise.

Imposte ad valorem: si tratta di imposte che si commisurano a prezzi espressi in valore monetari.

Imposte ordinarie e straordinarie La differenza sta nella presenza più o meno continua nell’ordinamento tributario. Le imposte ordinarie sono presenti in diversi esercizi e servono al finanziamento normale delle spese pubbliche. Si tratta di strumenti di finanza ordinaria. Le imposte straordinarie sono invece strumenti di finanza straordinaria (ENTRATE/IMPOSTE IN CONTO CAPITALE) Sono introdotte soprattutto per far fronte a necessità eccezionali dovute ad eventi negativi. Si usano, ad esempio, nei dopoguerra per le necessità di ricostruzione o in seguito ad eventi naturali disastrosi. Richiedono generalmente una situazione di eccezionalità che garantisca margini di consenso di gran parte dei contribuenti, ma non possono permanere come istituto tributario stabile. Ne sono esempi le imposte straordinarie sul patrimonio (miranti a obbligare alcuni contribuenti a smobilizzare patrimoni ‘non meritati’). Hanno aliquote molto forti, così che l’imposta non può essere pagata solo con il reddito dell’anno, ma richiede la liquidazione di una quota del patrimonio. In forma più attenuata sono state utilizzate, come imposte straordinarie in forma temporanea, aumenti di imposte di fabbricazione o anche incrementi temporanei di imposte sul reddito (ad es. per l’adesione all’UE). Può accadere che imposte straordinarie si trasformino in ordinarie con una successiva riduzione di aliquote (un’imposta straordinaria sul patrimonio del 20% diventa imposta ordinaria sul patrimonio con aliquota dello 0,5%). In un processo inverso con un forte aumento di aliquote si possono trasformare imposte ordinarie in imposte straordinarie (un’imposta sul reddito di aliquota 10% vede crescere l’aliquota al 120%). L’imposta straordinaria talora è considerata come anticipazione di pagamenti futuri di un’imposta ordinaria. Imposte centrali e locali Una distinzione tra le imposte riguarda i livelli di governo nelle quali sono applicate. Si distingue tra imposte centrali (federali o statali) ed imposte locali (regionali, provinciali, comunali) (v. MODULO III).

Per le imposte in Italia si trovano utili riferimenti nel dell’Agenzia delle Entrate.

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I contributi sociali I contributi sociali, definiti anche oneri sociali, hanno natura affine alle imposte e sono collocati tra le entrate tributarie nei bilanci pubblici. Si differenziano dalle imposte perché hanno una destinazione specifica al finanziamento di prestazioni individualizzate (pensioni, assistenza sanitaria). Si distingue tra:

Contributi sociali effettivi Indicano i versamenti che i lavoratori assicurati ed i loro datori di lavoro effettuano agli enti di previdenza ed assistenza che erogano prestazioni sociali, per poter avere il diritto a prestazioni previdenziali (contributi previdenziali) e sanitarie (contributi sanitari). Contributi sociali figurativi

Si tratta di prestazioni sociali corrisposte direttamente dai datori di lavoro ai propri dipendenti o ex dipendenti. Comprendono le pensioni provvisorie corrisposte dalle Amministrazioni Pubbliche ai propri dipendenti, le aggiunte di famiglia, l’equo-indennizzo, i sussidi al personale, le rendite, le indennità temporanee e le spese per cure e infortuni.

Considerando un reddito di lavoro dipendente R, un’aliquota t dell’imposta sul reddito ed un tasso percentuale s di contributi sociali abbiamo:

- Il datore di lavoro paga R al lavoratore dipendente e versa sR ad un ente previdenziale: in totale i pagamenti del datore di lavoro ammontano a R + sR = R(1 + s): questo è il costo del lavoro.

- Il lavoratore incassa un reddito netto R(1 - t), in quanto tR vanno al fisco. - Per cuneo fiscale si intende la differenza tra il costo del lavoro ed il reddito netto del lavoratore:

R(1 + s) – R(1- t) = sR + tR = (s + t)R. 2. I principi delle imposte Principi generali Alcuni dei principi delle imposte sono stati definiti fin da Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni (1779): l’imposta, secondo Smith, deve essere proporzionale, economica, efficiente, certa. Si riportano alcuni dei principi generali. Principio del beneficio o della controprestazione Le imposte devono essere pagate come se fossero prezzi per le prestazioni ricevute come spesa pubblica in beni e servizi. Si collega la spesa all’imposta, come se vi fosse un rapporto di scambio volontario (un rapporto contrattuale di prestazione/controprestazione) tra governo e contribuenti. I contribuenti devono pagare imposte in proporzione ai benefici ricevuti dalla spesa. Esclude misure redistributive e giustifica la proporzionalità delle imposte. E’ un’impostazione diffusa nei sec. XVIII e XIX, che trova ancora sostenitori, in particolar modo per decidere incrementi di imposte per finanziare nuove spese. Nei bilanci pubblici, come già ricordato, non è possibile collegare spese ad imposte, sia per le grandi dimensione dei bilanci, sia perché il più delle volte non è possibile individuare le domande individuali di beni e servizi pubblici, proprio per le caratteristiche (v. MODULO IV) dei beni e dei servizi pubblici, né si possono differenziare le imposte per ogni contribuente in base alla domanda. Il principio, se applicato in generale, avrebbe come scopo la trasparenza nel bilancio pubblico: il controllo dei contribuenti sull’uso del gettito ed il vincolo del gettito all’uso voluto dagli elettori-contribuenti.

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Principio della capacità contributiva E’ un principio che si è affermato dalla fine del sec. XIX, in alternativa al principio del beneficio. Le imposte vanno pagate secondo le dimensioni dell’imponibile e non per quello che si riceve in cambio come beni e servizi pubblici. La teoria è stata sviluppata prima per giustificare l’imposta proporzionale (ciascuno ritrae dal complesso delle spese pubbliche benefici proporzionali alla propria ricchezza, quindi deve pagare in proporzione a questa) e poi per giustificare anche l’imposta progressiva. E’ connesso anche con la crescita delle dimensioni del bilancio pubblico, che rendono impossibili i collegamenti tra le entrate e le spese. Se le imposte sono indipendenti dalle spese e l’individuazione dei beneficiari non è un criterio di riferimento servono indici di capacità contributiva (reddito, patrimonio, consumo, produzione) che misurino il sacrificio dei contribuenti, in funzione degli elementi economici che vengono sottratti dall’imposta. In base alla capacità contributiva sono stati definiti criteri di applicazione delle imposte. Queste devono essere distribuite a seconda delle capacità economiche del contribuente. Il problema può essere posto con modalità diverse:

a) i contribuenti devono avere lo stesso sacrificio assoluto, uguale per ciascuno (principio del sacrificio uguale);

b) i contribuenti devono avere lo stesso sacrificio in proporzione all’utilità della loro ricchezza (sacrificio proporzionale o equiproporzionalità)

c) si deve minimizzare il sacrificio del totale dei contribuenti (sacrificio minimo aggregato). La progressività delle imposte è stata teorizzata (alla fine del sec. XIX) come principio di eguaglianza. Le imposte su due redditi diversi dovrebbero imporre lo stesso sacrificio di utilità (la stessa perdita di benessere) a due contribuenti ( o allo stesso contribuente in due situazioni di reddito diverse). Equità Il concetto di equità è della parità di trattamento (non discriminazione) di contribuenti e di imponibili. Si distinguono due concetti.

Equità orizzontale: i contribuenti e gli imponibili con le stesse caratteristiche devono essere tassati con le stesse modalità. Si fonda sul principio della capacità contributiva. L’eguaglianza di imponibile comporta eguaglianza di trattamento.………………………………………………………………... In base al principio del beneficio la parità di trattamento sarebbe conseguente all’eguaglianza dei benefici ricevuti dalla spesa pubblica.

Equità verticale: i contribuenti e gli imponibili con caratteristiche diverse devono essere tassati con modalità differenti. In base alla capacità contributiva le imposte devono essere differenziate.

Si riportano casi tipici nei quali si richiama l’applicazione del principio di equità. La differenziazione delle aliquote è necessaria per l’eguaglianza nel trattamento. 1. Reddito di lavoro e di capitale (la c.d. discriminazione qualitativa dei redditi): il reddito di lavoro

comporta un sacrificio personale nella produzione, sacrificio consistente nell’impiego di tempo sottratto al consumo, nella stanchezza fisica, nell’assoggettarsi ad obblighi non graditi, mentre il reddito di capitale non comporta questi sacrifici. Due redditi eguali, dal punto di vista monetario, uno di 100 come reddito di lavoro, uno di 100 come reddito di capitale, avranno la stessa utilità lorda per un contribuente, ma il reddito di lavoro ha un’utilità netta inferiore per un reddito di lavoro. Ad es., se si quantifica l’utilità in 40 unità per il reddito di capitale, per il reddito di lavoro da questa utilità di 40 va sottratto un sacrificio (ad es. di 25), pertanto il reddito di capitale ha un’utilità netta di 40, mentre il reddito di capitale ha un’utilità netta di 15.

2. Reddito temporaneo e reddito perpetuo. A parità di valore monetario un reddito temporaneo va tassato meno di un reddito perpetuo. Il reddito di lavoro è temporaneo, il reddito di capitale è (almeno tendenzialmente) perpetuo. Il criterio guida dell’equità è quello di tassare meno il reddito di lavoro perché questo, attraverso l’accumulazione di risparmio, possa costituire nel tempo un capitale, trasformandosi, quando è cessata la produzione di reddito di lavoro (ad es. per il pensionamento), si possa avere un reddito di capitale, sostitutivo del precedente reddito di lavoro. L’idea si applica, in pratica, nell’esenzione del risparmio da reddito di lavoro (risparmio forzoso o volontario) per costituire fondi pensionistici.

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3. Reddito risparmiato e reddito speso: il ragionamento precedente si può estendere per sostenere che il reddito risparmiato va tassato meno del reddito speso. Il risparmio è un rinvio di attività che generano utilità individuale, è un’utilità futura che va tassata in futuro, mentre il consumo è utilità attuale che va tassata subito. Inoltre, secondo un’altra argomentazione, il consumo del reddito è qualcosa di personale ed egoistico che distrugge risorse, mentre il risparmio ha un’importanza ‘sociale’, nel senso che va a vantaggio della collettività e permette accumulazione di capitale.

4. Reddito rischioso e reddito sicuro: a parità di valore monetario il reddito (o il patrimonio) rischioso ha un valore effettivo minore rispetto ad un reddito (patrimonio) sicuro. Il rischio consiste nella probabilità che il reddito venda a cessare, temporaneamente o definitivamente. Per equiparare, ad esempio, un reddito sicuro di 100 ad un reddito rischioso di 100 quest’ultimo dovrebbe essere reso sicuro attraverso un’assicurazione. Per assicurare un reddito rischioso si dovrebbe pagare ad un’assicurazione un premio, in funzione della gravità del rischio, ad es. di 30. Pertanto il reddito di 100 in pratica vale 100 – 30 = 70, e solo questo importo andrebbe tassato.

Equità intertemporale e intergenerazionale

I contribuenti attuali possono modificare il benessere dei contribuenti futuri. Le imposte attuali possono, ad esempio, ridurre la formazione di capitale disponibile per le generazioni future. Le generazioni attuali possono influire negativamente sulle future con la distruzione di risparmio e di risorse non riproducibili. Possono esserci trasferimenti di carichi fiscali alle generazioni future con debiti attuali che dovranno essere ripagati in futuro, ad es. con il finanziamento della spesa pubblica mediante debito pubblico o con il finanziamento del sistema pensionistico. Succede che contribuenti più giovani pagheranno, in futuro, per spese i benefici delle quali sono a vantaggio di contribuenti attuali. Le generazioni sono sempre parzialmente sovrapposte, per via della compresenza di soggetti appartenenti a più generazioni (la composizione demografica) e si instaurano i c.d. patti intergenerazionali. Una generazione più forte (i più giovani) danno sostegno finanziario una più debole (i più anziani), ad esempio finanziando, con i propri imponibili, spese sanitarie e pensionistiche.

E’ un principio ulteriore l’idea che con gli strumenti fiscali non si devono alterare le posizioni relative dei contribuenti (equità fiscale). Si possono ridurre le differenze tra i contribuenti, ma non far sì che il contribuente Tizio più ricco di Caio prima dell’applicazione di imposte/spese diventi poi più povero di Caio solo in seguito agli interventi fiscali. Neutralità Il principio di neutralità delle imposte è assimilato all’efficienza ed afferma che:

• Le imposte non devono creare distorsioni degli equilibri che si stabiliscono nei mercati. Il principio di neutralità indica la necessità che le imposte non interferiscano con gli equilibri economici. Non devono provocare distorsioni nelle scelte, rispetto a quelle che verrebbero prese in assenza di imposte.

• Non devono generare effetti di sostituzione: per gli individui e le imprese non devono far spostare le

preferenze rispetto a decisioni prese in assenza di imposte. Questi effetti dipendono da comportamenti determinati da tentativi dei contribuenti di ridurre le imposte dovute riducendo, o evitando se possibile, gli imponibili (reddito, prodotti, consumo, ecc.).

Esempi di effetti di sostituzione: a) per un consumatore: tra consumare il bene X (non tassato o tassato di meno) piuttosto che il bene Y

(tassato o tassato di più): un bene tassato è parzialmente sostituito con un bene non tassato; b) per un produttore: tra produrre il bene X (non tassato o tassato di meno) piuttosto che il bene Y

(tassato o tassato di più); c) per un lavoratore: tra lavorare o non lavorare, se è tassato il reddito di lavoro; d) per un’impresa: tra l’impiego di un fattore di produzione (lavoro, capitale) ed un altro fattore se uno

è tassato più dell’altro;

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e) per una società: tra la costituzione di una società di capitali o di una società di persone, quando è tassata di più la società di capitali (o viceversa);

f) per una società di capitali: tra finanziarsi con capitale proprio (risparmio, accantonamenti) e l’indebitarsi, se le imposte sono più pesanti con una tipologia di società;

g) nella scelta di uno status famigliare piuttosto che di un altro, se le imposte sulla famiglia sono discriminanti.

h) Non devono spingere individui ed imprese a scegliere un paese piuttosto che un altro per svolgere attività economiche o incassare redditi (neutralità internazionale).

o La presenza di effetti di sostituzione è sintomo di perdite di benessere, nel senso che i soggetti economici sono indotti a scelte diverse da quelle che ritenevano le migliori, in assenza di imposta. Perciò la neutralità è assimilata all’efficienza (massimo benessere, massimo di produzione).

o L’unica imposta che non permette al contribuente effetti di sostituzione perché non può influire sul suo ammontare è l’imposta fissa, assai poco pratica.

o Perciò nei confronti tra le imposte, per decidere qual è la più efficiente, si vede quale imposta minimizza le distorsioni e le perdite di benessere determinando un minor onere in termini di sacrificio, a parità di gettito con altre.

Talora le imposte intenzionalmente sono non neutrali, in quanto vogliono creare distorsioni, per incentivare o disincentivare una scelta o un comportamento. Gli incentivi si realizzano con esenzioni da alcune imposte o con aliquote più basse per gli imponibili incentivati rispetto agli altri. I disincentivi si realizzano con imposte speciali o con aliquote maggiorate rispetto ad altri imponibili. Esempi di imposte incentivanti:

- si tassa il reddito risparmiato con aliquote più basse (o si esenta del tutto) rispetto al reddito speso, per favorire l’accumulazione di risparmio;

- si tassa un bene di produzione interna di meno rispetto a beni importati, per favorire il consumo interno di beni di produzione nazionale;

- si tassa con aliquote basse o si esenta un prodotto che viene esportato per favorire la competitività sui mercati internazionali;

- si abbassano le aliquote di un’imposta indiretta su di una merce per favorirne il consumo; - si riduce un’imposta sui profitti a condizione che l’impresa aumenti l’occupazione.

Esempi di imposte disincentivanti:

- si tassano le produzioni, le emissioni o i carburanti inquinanti per ridurre o eliminare gli effetti di inquinamento e indurre a utilizzare diverse tecnologie e carburanti migliori (le c.d. imposte verdi, la carbon tax, ecc.).

- Si tassano i comportamenti che hanno effetti inflazionistici (ad es. profitti eccessivi delle imprese, incrementi eccessivi dei redditi di lavoro, incrementi eccessivi dei prezzi di alcuni prodotti, ecc.: eccessivi rispetto ad una media di incrementi di prezzi o di redditi o di profitti).

- Si tassano i trasferimenti nei mercati finanziari (ad es. le compravendite di titoli in borsa) per rallentare la velocità dei trasferimenti e contenere i rischi di speculazione e di instabilità.

- Si tassano di più alcuni consumi legalmente ammessi, ma ritenuti socialmente non meritevoli o dannosi (tabacchi, alcoolici, giochi e scommesse).

- Si tassano di più i profitti distribuiti dalle imprese rispetto ai profitti accantonati, con l’obiettivo di favorire la capitalizzazione (i.e. un maggior capitale proprio) delle imprese.

Qualche altro principio delle imposte, già presente nella classificazione di Smith, viene pure richiamato. Economicità Le imposte devono essere scelte e strutturate secondo criteri di economicità, nel senso che devono quindi minimizzare alcuni costi:

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a) costi per il contribuente che paga l’imposta (adempimenti, assistenza, impiego di tempo); b) costi per l’amministrazione che riscuote: costi burocratici nell’organizzare uffici, modalità di riscossione e costi degli intermediari esattori, costi degli accertamenti e del contenzioso per contrastare l’evasione; questi costi equivalgono ad una riduzione del gettito da destinare alla spesa pubblica; c) costi per l’economia: effetti negativi quali aumenti di prezzi, riduzione di redditi e della produzione, discriminazioni; si tratta, in gran parte, di costi connessi all’assenza di neutralità. Certezza L’imposta deve essere certa nella definizione normativa e nell’applicabilità delle norme riguardanti l’imponibile, l’aliquota. La certezza nel gettito significa che l’imposta non deve presentarsi come strumento al quale il contribuente possa facilmente sottrarsi, attraverso processi di evasione ed elusione. La certezza del contribuente significa che il contribuente dovrebbe essere colui che effettivamente è individuato dalla norma tributaria. 3. Le imposte personali sul reddito Imposta sul reddito delle persone fisiche: il reddito La definizione di reddito è stata piuttosto elaborata e complessa e, dalla fine del sec. XIX, ha sviluppato concetti diversi.

Reddito prodotto: è il concetto di contabilità nazionale: l’insieme di beni e servizi valutabili in moneta prodotti in un anno in un ambito territoriale (nuova ricchezza). Non vi rientrano i trasferimenti (redditi prodotti da qualche soggetto e trasferiti ad altri) né i plusvalori (v. MODULO III).

Reddito entrata: è il consumo (C) di un anno sommato alla variazione di patrimonio dall’inizio alla fine dell’anno (DK): quindi

Reddito entrata = C + DK che è uguale a Consumo + Risparmio + Plusvalori – Perdite patrimoniali). Il reddito entrata comprende sia il reddito prodotto, sia i trasferimenti che i plusvalori ed è il concetto che le imposte sul reddito tengono presente in prevalenza.

Reddito ordinario o normale: si usa per definire, in alcuni casi, il reddito presunto di terreni, fabbricati, piccole imprese, quando è troppo costoso accertare per il singolo caso il reddito effettivo. Il reddito ordinario è un reddito medio presunto, costruito a campione. Di solito diverge dal reddito effettivo. Per il reddito ordinario si utilizzano i catasti (dei terreni, dei fabbricati) o si costruiscono delle imprese rappresentative di settori e categorie. Talvolta è stato considerato come eventuale imponibile il reddito potenziale di un individuo o di un’impresa, sulla base di capacità di produzione di reddito anche non sfruttate (abilità e qualificazione personale, potenzialità produttiva).

Sovrareddito: è la differenza di un reddito effettivo rispetto ad un reddito medio. Ad es. il sovrapprofitto è l’eccesso di reddito sul rendimento normale del capitale investito.

Plusvalore o incremento di valore patrimoniale (plusvalenza, per le società di capitali): è l’incremento di valore di un cespite (un capitale immobiliare o finanziario) al quale non corrisponde produzione di nuova ricchezza. Ad es. un fabbricato (o un titolo di credito), acquistato a 100, dopo qualche tempo può essere rivenduto a 150. La differenza (50), se non dipende soltanto da un incremento del livello generale dei prezzi, contiene un plusvalore.

Nel caso di un decremento o perdita di valore di un cespite si è in presenza di minusvalore (o di minusvalenza per le società di capitali).

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La progressività Definizione di proporzionalità, progressività, regressività.

Imposta proporzionale: è un’imposta con aliquota costante: quando l’imponibile aumenta o diminuisce l’aliquota rimane costante.

Imposta progressiva: è un’imposta con aliquota crescente: quando l’imponibile cresce l’aliquota aumenta.

Imposta regressiva: è un’imposta con aliquota decrescente: quando l’imponibile cresce l’aliquota diminuisce.

Imponibile imposta proporzionale imposta progressiva imposta regressiva R T T/R = t T T/R = t T T/R = t 100 10 10/100 = 10% 5 5/100 = 5% 20 20/100 = 20% 200 20 20/200 = 10% 20 20/200 = 10% 30 30/200 = 15% 400 40 40/400 = 10% 60 60/400 = 15% 40 40/400 = 10% Si distingue tra:

Aliquota media: è il rapporto tra l’imposta T e l’imponibile R: T/R. Aliquota marginale: è il rapporto tra una variazione di imposta e la corrispondente variazione di

imponibile.

Seguendo l’esempio precedente: - le variazioni di R (DR) sono da 100 a 200 (DR=100) e da 200 a 400 (DR=200) - le variazioni di imposta: per l’imposta proporzionale sono da 10 a 20 (DT = 10) e da 20 a 40 (DT = 20). Nel passaggio da 100 a 200 si ha: DT = 10 = 10% e nel passaggio da 200 a 400 DT = 20 = 10% DR 100 DR 200 per l’imposta progressiva sono da 5 a 20 (DT = 15) e da 20 a 60 (DT = 40). Nel passaggio da 100 a 200 si ha: DT = 15 = 15% e nel passaggio da 200 a 400 DT = 40 = 20% DR 100 DR 200 per l’imposta regressiva sono da 20 a 30 (�T = 10) e da 30 a 40 (�T = 10). Nel passaggio da 100 a 200 si ha: DT = 10 = 10% e nel passaggio da 200 a 400 DT = 10 = 5% DR 100 DR 200 Elasticità dell’imposta Si definisce elasticità dell’imposta: il rapporto tra la variazione dell’imposta e la variazione dell’imponibile:

(DT/T)/ DR/R)

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che si può esprimere anche come il rapporto tra aliquota marginale e aliquota media: (DT/DR)/(T/R) Dall’esempio precedente si conclude che

- l’elasticità è uguale ad 1 con imposta proporzionale - è maggiore di 1 con imposta progressiva - è minore di 1 con imposta regressiva.

Ragioni della progressività La necessità di un’imposta progressiva è stata sostenuta, nel tempo, con diverse motivazioni.

- Giustizia e redistribuzione: se si ritiene che i mercati privati, nella produzione e nella distribuzione dei redditi, non operino secondo criteri di giustizia (valutati da un punto di vista politico), si può pensare di poter correggere tale distribuzione anche con un’imposta progressiva.

- Utilità e principio del sacrificio: nel finanziare una spesa pubblica è corretto prelevare risorse là dove si impongono sacrifici minori. Ne consegue che è corretto tassare più che proporzionalmente i redditi più elevati, in modo che il sacrificio aggregato sia minimo. 100 euro sottratte ad un contribuente povero rappresentano un grosso sacrificio, mentre 100 euro sottratte ad un contribuente ricco possono comportare un sacrificio molto inferiore.

- Compensazione: dato che le imposte sui consumi sono regressive rispetto al reddito, per compensare questo difetto è necessaria un’imposta progressiva sul reddito. Così l’insieme delle imposte, dirette e indirette, potrebbe essere almeno proporzionale.

Tecniche di applicazione dell’imposta progressiva

a) Progressività per deduzione/detrazione

E’ la forma più antica di progressività. Si tratta di un’imposta proporzionale corretta. Prima di applicare l’aliquota t ogni reddito R viene diminuito di un importo fisso D. L’imposta è T = t(R –D). La formula può essere riscritta come T = tR – tD. L’importo può essere sottratto da R (ed allora si definisce deduzione D) o da T (ed allora si definisce detrazione tD). Nel primo caso si ha un’imposta progressiva per deduzione, nell’altro un’imposta progressiva per detrazione. Esempio di imposta progressiva per deduzione con D = 100 e t = 50% R R-D t(R-D) t(R-D)/R 150 50 25 25/150 = 16, % 200 100 50 50/200 = 25% 400 300 150 150/400 = 37, % Si vede come diventa crescente il rapporto tra imposta ed R. E’una progressività ad aliquota unica (c.d. flat rate) che viene riproposta in diversi paesi.

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b) Progressività per classi

Gli imponibili sono ripartiti in classi. A ciascuna classe corrisponde un’aliquota proporzionale diversa. Esempio: Classe Redditi Aliquota I da 0 a 100 10%

II da 0 a 200 12% III da 0 a 400 15% Un reddito di 80 appartiene alla classe I (tassato al 10%); un reddito di 160 alla classe II (tassato al 12%); un reddito di 340 alla classe III (tassato al 15%). c) Progressività per scaglioni

Il reddito viene ripartito in scaglioni. Ogni scaglione ha una sua aliquota marginale tm. Esempio, con 3 scaglioni ed un imponibile di 500:

Scaglioni tm R=500 tmR

I da 0 a 100 5% 100 + 5 + II da 101 a 300 10% 200 + 20 + III da 301 a 600 15% 200 = 30 = 500 55 L’imposta totale si ottiene sommando le imposte calcolate in ogni scaglione: 5+20+30 = 55; l’aliquota media sul reddito di 500 è data da 55/500 = 11%. La progressività per scaglioni è la più comune. Anni addietro gli scaglioni, nei vari paesi, erano molto numerosi (anche una trentina), poi si sono ridotti a 3-5. Vi può essere uno scaglione iniziale, di dimensioni variabili in funzione delle caratteristiche del contribuente, di aliquota 0%: il reddito compreso in questo scaglione non è tassato. La progressività, riducendo il numero di scaglioni, può essere rafforzata utilizzando un livello di deduzione decrescente rispetto all’imponibile, fino a raggiungere una struttura di imposta progressiva per deduzione con: - aliquota marginale fissa (flat rate); - deduzione decrescente. In pratica, anziché far crescere le aliquote marginali (con gli scaglioni) al crescere dell’imponibile, si fa diminuire la deduzione (o si fa diminuire lo scaglione iniziale ad aliquota 0). d) Progressività continua L’imposta è calcolata con una formula. Per ogni minima variazioni di imponibile si ha un incremento dell’aliquota marginale. Era utilizzata in Italia (con l’imposta personale complementare sul reddito delle persone fisiche, dal 1923 al 1973). Una formula generale di imposta progressiva continua è del tipo T = aRb , dove R è l’imponibile, a un valore inferiore ad 1, b un valore maggiore di 1 (è l’elasticità dell’imposta). a aveva, in Italia, un valore intorno al 2% e b era di 1,5%. Si definisce continua perché la progressività varia continuamente: ad ogni minimo incremento del reddito imponibile c’è un incremento continuo dell’’aliquota marginale.

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Struttura dell’imposta progressiva L’imposta progressiva, nel tempo ed in diversi paesi, ha strutture molto differenziate. Le sue caratteristiche, oltre alla scala di aliquote marginali ed al numero di scaglioni, comprendono:

1. Minimo imponibile: è un livello di reddito minimo non tassabile. Il minimo imponibile può essere individuale o famigliare: se è famigliare tiene conto delle esigenze di un nucleo(coniuge, figli, altri famigliari a carico, con deduzioni/detrazioni per carichi di famiglia).

2. Detrazioni e deduzioni: sono deducibili o detraibili alcuni tipi di spese: a) le spese di produzione del reddito: gli oneri sostenuti per costi di trasporto, canoni; b) spese sanitarie, spese di istruzione; c) spese di gestione famigliare (ad es. assistenza domestica) e spese dovute ad eventi negativi; d) altre imposte sul reddito, applicabili a livello locale; e) spese per interessi su mutui, per assicurazioni, previdenza e sanità integrative; f) spese incentivate: donazioni, contributi di carattere culturale, religioso. g) Possono esistere deduzioni o detrazioni speciali, ad es. per il reddito di lavoro dipendente o

di pensione. Alcune deduzioni sono di carattere analitico (l’importo deve essere documentato, di solito fino ad un massimo), altre di carattere forfetario (l’importo è fisso e non richiede documentazione); le detrazioni sono di importo forfetario, fisso o decrescente al crescere del reddito. La deducibilità può essere realizzata:

- sottraendo dal reddito complessivo lordo gli oneri e poi applicando l’imposta sull’imponibile ricavato per differenza;

- tassando prima il reddito lordo (e calcolando un’imposta lorda TL), poi calcolando un’imposta sugli importi degli oneri deducibili (con l’aliquota del primo scaglione o con un’aliquota distinta e ricavando TD), quindi calcolando l’imposta netta TL-TD; in questo modo si combinano deduzioni e detrazioni.

L’unità impositiva: la tassazione del reddito famigliare Il contribuente dell’imposta sul reddito delle persone fisiche può essere: - l’individuo: si tengono in conto principalmente le caratteristiche individuali e si ammettono detrazioni e deduzioni per caratteristiche famigliari solo in quanto queste possono influire sulla dimensione del reddito individuale (spese per persone a carico, coniuge e figli, individuate da vincoli famigliari); nel caso della famiglia civilistica, si procede alla tassazione separata del reddito dei coniugi. - La famiglia: intesa, in senso stretto, come famiglia civilistica o, in senso più ampio, come unità di convivenza (focus). L’imponibile è il reddito famigliare, al quale contribuiscono tutti i componenti della famiglia. Per la tassazione del reddito famigliare si possono seguire diversi metodi:

a) il cumulo dei redditi: si sommano i redditi e si tassano come se fossero un reddito unico: questo sistema è fondato sull’idea che il matrimonio e la permanenza in un’unità di convivenza generino un maggior reddito per la presenza di economie interne che permettono di risparmiare con l’uso di beni e servizi comuni e per i redditi derivanti da reciproca assistenza. Da altro punto di vista il cumulo è stato considerato un disincentivo al matrimonio o un ingiustificato aggravio tributario sul reddito di uno o più dei soggetti conviventi.

b) Lo splitting (metodo tedesco-americano): anche in forma opzionale rispetto ad altri metodi,

prevede la possibilità prima di sommare i redditi dei coniugi (famiglia civilistica), poi di

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suddivisione a metà la somma, quindi l’applicazione delle aliquote proprie di questa metà del reddito. Il metodo punta ad abbassa le aliquote sul reddito famigliare e si fonda sull’idea di una comunione (comproprietà al 50%) dei redditi tra i coniugi, indipendentemente da chi li guadagna.

c) Il quoziente familiare (metodo francese): mira ad abbassare le aliquote in funzione del numero

dei componenti di una famiglia, e quindi a premiare/ incentivare le famiglie numerose. Prima si sommano tutti i redditi dei componenti (coniugi, figli, parenti conviventi), poi la somma si divide per il numero, corretto, dei componenti (inclusi quelli che non hanno reddito) e si determina l’aliquota da applicare a tutto il reddito famigliare.

Per definire il reddito a livello familiare, e rilevarne la differenza rispetto al reddito individuale, si può ricorrere anche alla definizione di reddito familiare equivalente. E’ un reddito corretto in base alle dimensioni, alle caratteristiche del nucleo familiare ed alla disponibilità di patrimoni. Permette di confrontare unità familiari di diversa ampiezza e composizione demografica. Considera l’esistenza di economie di scala collegate alla dimensione della famiglia. Sono previsti pesi diversi in base al numero ed all’età dei componenti (ad es. il capofamiglia vale 1, i componenti con più di 14 anni valgono 0,5, quelli con meno di 14 anni 0,3). ……………………………………………… Una definizione più complessa di capacità contributiva famigliare intesa come potere economico discrezionale a livello di famiglia indica la capacità della famiglia nel suo complesso di acquistare beni e servizi dopo aver soddisfatto le necessità dei componenti. Il potere economico discrezionale è stato definito su base annuale come risultante dalla differenza A – B, dove A è il potere che ha la famiglia di disporre di beni e servizi per gli usi personali dei componenti, mentre B è il potere economico necessario per mantenere la famiglia ad un tenore di vita appropriato in relazione alle altre famiglie (in pratica un minimo imponibile famigliare). A include: 1. i consumi della famiglia (valore di beni e servizi consumati in un anno); 2. le donazioni effettuate verso altre famiglie (i patrimoni ed i redditi usciti dall’ambito famigliare); 3. la variazione delle attività nette della famiglia (risparmio, variazioni di patrimonio per donazioni ed eredità ricevute, incrementi di valore patrimoniale). Il flusso di ricchezza annuale della famiglia si ottiene sommando ai redditi tutti gli incrementi di patrimonio. Eredità e donazioni ricevute sono tassate come reddito, mentre sono esenti da imposta le eredità e le donazioni all’interno della famiglia, in quanto non modificano il potere economico discrezionale della famiglia stessa.. Sono tassati come reddito i trasferimenti da componenti della famiglia a soggetti all’esterno della famiglia. Reddito guadagnato o reddito speso: la doppia imposizione del risparmio La tassazione del reddito può dar rilievo al momento in cui il reddito viene guadagnato (incassato, percepito) da un percettore persona fisica o il momento in cui viene speso. Le conseguenze, sul piano dell’equità, sono diverse. Esempio. Tizio e Caio, due contribuenti guadagnano, nello stesso anno, un reddito R. Tizio spende tutto e Caio risparmia tutto. Vi sia un’imposta su R di aliquota t applicata sul reddito guadagnato. Al momento dell’incasso del reddito questo viene tassato e la situazione dei due individui è uguale. Abbiamo: Reddito netto di Tizio Reddito netto di Caio R(1 - t) R(1 - t) Imposta pagata da Tizio Imposta pagata da Caio tR tR

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Ora supponiamo che Tizio spenda subito tutto il suo reddito netto. Caio, invece, preferisce risparmiare tutto R(1-t), percepire un interesse annuo a tasso r e spendere ogni anno l’interesse sul risparmio, pari a rR(1-t). Tizio non paga altre imposte oltre a tR. Caio invece ogni anno dovrà pagare un’imposta, sempre di aliquota t, sull’interesse rR(1 - t), che rappresenta nuovo reddito guadagnato. Quindi ogni anno futuro pagherà tR(1-t). Quest’imposta può essere capitalizzata e corrisponde a trR(1-t)/r = tR(1-t). Confrontando nel tempo la situazione di Tizio e Caio vediamo che si è stabilita una discriminazione: Totale imposte pagate da Tizio Totale imposte pagate da Caio tR tR + trR(1 - t)/r Caio, il risparmiatore, viene a pagare imposte due volte, una volta per il reddito guadagnato R e poi per gli interessi. Si conclude che un’imposta sul reddito guadagnato discrimina contro il risparmio ed incentiva il consumo del reddito. Per eliminare questa discriminazione e per rendere l’imposta neutrale sulla scelta tra consumo e risparmio si sono suggerite alcune soluzioni. Oltre a quella di mantenere la tassazione del reddito guadagnato, ma esentando gli interessi, si è formulata la proposta di tassare il reddito al momento in cui viene speso. Vediamo cosa succede a Tizio ed a Caio con la tassazione di R con aliquota t, spostando il momento della tassazione. Tizio consegue un Reddito R che spende tutto: è tassato al momento della spesa ed il suo reddito diventa R(1 - t) e paga di imposta tR. Caio ha lo stesso reddito R di Tizio. Non spende nulla nel primo anno e quindi R non viene tassato. Nell’anno successivo consegue un interesse di rR che decide di spendere e che viene tassato: quindi spende rR(1 - t) e paga di imposta trR. Se negli anni futuri Caio decide di spendere i frutti annuali (rR) lasciando invariato l’R iniziale vi sarà un flusso di imposte annuali sul reddito di capitale speso, flusso che, attualizzato, darà trR/r = tR, che è uguale all’imposta pagata da Caio interamente nel primo anno. L’imposta così è neutrale, perché non influisce sulle decisioni individuali di risparmio e di consumo. Imposte personali sul reddito delle società. Tipologie e metodi di applicazione L’imposta personale sul reddito delle società è stata introdotta negli S.U. nel 1913, in Italia nel 1954. Prima si trattava di imposte speciali sui profitti di banche ed assicurazioni e poi vennero generalizzate. Sono soggetti contribuenti le società di capitali ed altri enti industriali e commerciali, pubblici e privati. Le giustificazioni di un’imposta autonoma sul reddito delle società (indicata anche come imposta sul reddito delle persone giuridiche o imposta sui profitti) sono state fondate su queste affermazioni:

- colpisce una capacità contributiva maggiore delle società di capitali rispetto a quella delle persone fisiche: la limitazione di responsabilità permetterebbe di assumere maggiori rischi e di conseguire maggiori redditi rispetto alle persone fisiche ed alle società di persone;

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- realizza una discriminazione rispetto al reddito di lavoro con un’imposta aggiuntiva su di un reddito di capitale;

- è strumento di politica economica, perché può essere usata per orientare gli investimenti; - equivale ad un metodo di riscossione: concentrando l’imposta su pochi contribuenti di grandi

dimensioni, anziché sugli individui, si ha un gettito più sicuro. Le società, successivamente, provvedono a far pagare le imposte alle persone fisiche includendole nei prezzi di vendita (trasformano una loro imposta diretta in un’imposta indiretta).

Imposte sul profitto contabile Con la contabilità di esercizio il bilancio di una società di capitali evidenzia, ogni anno, l’esistenza o meno di profitti. Si vede se ha un utile (ricavi netti, i ricavi superano i costi), una perdita (costi superiori ai ricavi) o un pareggio (ricavi uguali ai costi). L’utile di esercizio può essere distribuito come dividendo o accantonato a riserva. I dividendi possono provenire anche da utili di esercizi precedenti. Per sintetizzare scriviamo: Utili = Dividendi + Accantonamenti UT = DIV + AC. UT è anche indicato con il termine di reddito della società o più semplicemente di profitto. Riassumiamo le possibili modalità di imposizione basate sulla tassazione dell’utile, considerando una società che distribuisca dividendi ed un socio persona fisica che li incassa. L’aliquota sul reddito della società società è t, l’aliquota marginale applicata sul reddito del socio persona fisica è tm.

1. Metodo classico (o della doppia imposizione)

Questo metodo, adottato negli Stati Uniti, comporta l’applicazione dell’aliquota t all’utile, prima che venga distribuito.

• Il gettito dell’imposta è pari a tUT = tDiv+tAC. • L’utile netto è UT-tUT = UT(1-t); quando viene distribuito o accantonato dividendi e

accantonamenti sono già ridotti dell’imposta: pertanto • UT(1-t) = DIV(1-t)+AC(1-t).

Il dividendo è pagato ad un socio persona fisica che ha, in base al suo reddito personale, un’aliquota marginale tm. Questa aliquota si applica sul dividendo netto, quindi l’imposta è pari a tmDIV(1-t). Si ha una doppia imposizione sui dividendi, in quanto il dividendo, già tassato a livello di società con t è tassato ancora a livello di socio con tm. Se il percettore del dividendo fosse un’altra società di capitali e risultasse reddito anche per questa sarebbe tassato con t. L’accantonamento è tassato solamente con t. La doppia imposizione si ha solo con la distribuzione dei dividendi, o dall’utile dell’anno o da accantonamenti di anni precedenti. Questo metodo può essere un disincentivo a distribuire dividendi e ad autofinanziarsi con la costituzione di riserve. L’aliquota marginale (variabile a seconda del reddito del socio) sul dividendo netto può essere sostituita da un’aliquota fissa sugli utili netti distribuiti (metodo tedesco e italiano più recente). Anche in questo caso gli accantonamenti si tassano una volta ed i dividendi due volte, pur senza essere inclusi nell’imponibile del socio persona fisica. L’aliquota dell’imposta personale del socio persona fisica può essere applicata su una quota dei dividendi nel caso la persona fisica abbia una partecipazione rilevante nel capitale della società: ad es. il 10% dei dividendi ricevuti può essere tassato con tm ed il 90% con un’aliquota proporzionale.

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2. Doppia aliquota

L’aliquota t dell’imposta sulla società è sdoppiata in ta (aliquota applicata sui redditi accantonati) ed in td (aliquota applicata sui dividendi distribuiti). L’imposta è applicata dopo che è stata deliberata la destinazione dell’utile a dividendi ed accantonamenti.

• L’imposta diventa: taAC + tdDIV; • l’accantonamento netto è AC(1 - ta); • il dividendo netto è DIV(1-td).

Sul dividendo percepito da una persona fisica si applica l’aliquota marginale propria del reddito di quest’ultima: tmDIV(1 - td). Se il dividendo è incassato da un’altra società di capitali e costituisce reddito bisogna ancora attendere la sua destinazione (a dividendo o accantonamento) prima di applicare l’imposta. L’aliquota dell’imposta sui dividendi td è inferiore a quella sugli accantonamenti ta in quanto sui dividendi si applicano 2 aliquote (prima td e poi tm) mentre sugli accantonamenti si applica un’aliquota sola (ta). In pratica il sistema equivale ad una doppia imposizione attenuata sui dividendi. E’un metodo che, in passato, ha trovato applicazione in Germania e nel Regno Unito. Se, per ragioni di politica economica, si vogliono incentivare gli accantonamenti e scoraggiare la distribuzione di dividendi, td potrebbe essere superiore a ta.

3. Deduzione del dividendo

Il dividendo è assimilato agli altri costi finanziari. Come gli interessi sono deducibili in quanto costi del capitale preso a prestito (pagamenti a chi ha prestato fondi), così i dividendi sono deducibili in quanto costi del capitale proprio (pagamenti a chi percepisce dividendi in quanto possessore di azioni). L’imposta sulle società diventa un’imposta sui soli accantonamenti. Sul dividendo corrisposto ad una persona fisica si applica l’aliquota marginale propria del reddito di quest’ultima. L’imposta è

• tAC a livello di società; • tmDIV a livello di persona fisica.

Questo metodo ha trovato applicazioni temporanee in pochi paesi. L’equiparazione nel trattamento tributario tra dividendi ed interessi favorisce la neutralità dell’imposta rispetto alla scelta tra le fonti di finanziamento della società (capitale proprio o capitale preso in prestito). Tale neutralità è ottenuta, in questo caso, esentando dall’imposta sulle società sia gli interessi che i dividendi. Un altro modo di trattamento non discriminante sarebbe quello di includere nell’imponibile sia i dividendi che gli interessi e di tassarli entrambi.

4. Credito d’imposta parziale

Il sistema del credito d’imposta parziale (metodo francese) tassa l’utile prima della sua destinazione a dividendi e accantonamenti. Il percettore del dividendo (persona fisica o altra società) ha un credito d’imposta inferiore all’imposta pagata a livello di società sui dividendi. Si procede nel modo seguente:

• si definiscono un’aliquota t ed un tasso percentuale di credito d’imposta c; • si applica t ad UT e si ottengono l’imposta tUT e l’utile netto UT(1 - t); • UT(1 - t) è ripartito in AC(1 - t) e DIV (1 - t); • il socio persona fisica che riceve DIV(1- t) è accreditato anche di un credito d’imposta parziale

pari a cDIV(1 - t); il suo imponibile è pari a DIV(1 - t)+cDIV(1 - t); • su questo imponibile si calcola, in base a tm, un’imposta di tm[D(1 - t)+cDIV(1 - t)]; • dall’imposta si detrae il credito d’imposta e si ottiene l’imposta netta: tm[D(1 - t)+cDIV(1 - t)] – cDIV(1 - t).

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Esempio: sia UT =1000; t = 50%; c = 50%. Si ha: • tUT = 50%1000 = 500 e UT - tUT = UT(1 - t) = 1000 – 500 = 500 • Tutto l’utile, per semplificare il calcolo, è distribuito: UT(1-t) = DIV(1-t) • Il socio persona fisica, con aliquota tm = 20% riceve un dividendo netto di 500 ed un credito

d’imposta di cDIV(1 - t) = 50%500 = 250. • L’imponibile del socio è dato dalla somma di dividendo netto e credito d’imposta: 500 + 250 = 750;

su 750 si applica l’aliquota marginale del 20%; 20% 750 = 150. • Da 150 si detrae il credito d’imposta di 250: 150-250= -100. La differenza, negativa, significa che il

contribuente ha diritto a ricevere un rimborso di 150 dal fisco, in quanto l’imposta trattenuta dalla società è eccessiva rispetto all’imposta dovuta in base a tm.

• Se il socio avesse avuto una tm del 60% il 60% di 750 sarebbe stato di 450 (differenza positiva); detraendo 250 (il credito d’imposta) sarebbe rimasto da pagare un conguaglio d’imposta di 200. L’imposta trattenuta dalla società sarebbe stata insufficiente rispetto a quella dovuta con una tm del 60%.

Il credito d’imposta prima si somma al dividendo netto per definire l’imponibile e poi si detrae dall’imposta calcolata per definire l’imposta netta, con eventuale rimborso o conguaglio. Non c’è una relazione precisa tra t e c, ma il tasso del credito d’imposta è scelto in modo che la restituzione al socio dell’imposta pagata dalla società sul dividendo sia solo parziale.

5. Credito d’imposta totale

Il sistema del credito d’imposta totale (precedente metodo tedesco-italiano) tassa l’utile prima della sua destinazione a dividendi e accantonamenti. Il percettore del dividendo (persona fisica o altra società) ha un credito d’imposta uguale all’imposta pagata a livello di società sui dividendi. Equivale alla deduzione del dividendo. L’imposta sui dividendi è solo un acconto sull’imposta del percettore del dividendo. In questo sistema c’è una relazione precisa tra t e c, poiché il tasso del credito d’imposta è scelto in modo che la restituzione al socio dell’imposta pagata dalla società sul dividendo sia totale. Pertanto, una volta definita l’aliquota t, il tasso del credito d’imposta c è definito in modo che

• tUT = cUT(1 - t), perciò c = t/(1 - t). • c risulta essere il tasso effettivo di t.

Il meccanismo, nella forma, è simile a quello del caso precedente. • si applica t ad UT e si ottengono l’imposta tUT e l’utile netto UT(1 - t); • UT(1 - t) è ripartito in AC(1 - t) e DIV (1 - t); • il socio persona fisica che riceve DIV(1 - t) è accreditato anche di un credito d’imposta totale pari

a cDIV(1 - t) che è uguale a tDIV; il suo imponibile è pari a DIV(1 - t)+tDIV = DIV, cioè al dividendo senza l’imposta applicata a livello della società;

• su questo imponibile si calcola, in base a tm, un’imposta di tmDIV; • dall’imposta si detrae il credito d’imposta e si ottiene l’imposta netta: tmDIV – cDIV(1-t).

Esempio: sia UT =1000; t = 25%; c si calcola come t/(1 - t) = 25%/(1-25%) = 25%/75% = 1/3. Si ha:

• tUT = 25%1000 = 250 e UT - tUT = UT(1 - t) = 1000 – 250 = 750 • Tutto l’utile, per semplificare il calcolo, è distribuito: UT(1-t) = DIV(1-t) • Il socio persona fisica, con aliquota tm = 20% riceve un dividendo netto di 750 ed un credito

d’imposta di cDIV(1 - t) = 1/3 di 750 = 250. • L’imponibile del socio è dato dalla somma di dividendo netto e credito d’imposta: 750 + 250 = 100;

su 100 si applica l’aliquota marginale del 20%; 20% 1000 = 200.

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• Da 200 si detrae il credito d’imposta di 250: 200-250= -100. La differenza, negativa, significa che il contribuente ha diritto a ricevere un rimborso di 50 dal fisco, in quanto l’imposta trattenuta dalla società è eccessiva rispetto all’imposta dovuta in base a tm.

• Se il socio avesse avuto una tm del 60% il 60% di 1000 sarebbe stato di 600 (differenza positiva); detraendo 250 (il credito d’imposta) sarebbe rimasto da pagare un conguaglio d’imposta di 350. L’imposta trattenuta dalla società sarebbe stata insufficiente rispetto a quella dovuta con una tm del 60%.

Tutta l’imposta pagata a livello di società è accreditata al socio. Nei sistemi di credito d’imposta la società si sostituisce al socio nel versare l’imposta. Il socio è successivamente tenuto a calcolare eventuali conguagli o a chiedere rimborsi in base alla propria aliquota marginale. Questo metodo ha trovato applicazione in Italia dal 1978 al 2004.

6. Ritenuta sui dividendi.

Un metodo piuttosto semplice è quello di applicare un’aliquota t sull’utile, come nel caso del sistema classico e poi di aggiungere un’altra aliquota fissa t1 sui dividendi netti: prima tUT = tAc + tDIV e poi t1DIV(1 - t). Questa seconda imposta si può considerare:

o definitiva: in questo caso il contribuente non paga più nulla, in particolare non deve fare riferimento alla propria aliquota marginale tm se è persona fisica (ritenuta a titolo definitivo d’imposta o ritenuta secca). Questo metodo si avvicina a quello della doppia aliquota o anche del sistema classico, con un aggravio di tassazione dei dividendi rispetto agli accantonamenti, con un’imposta personale t ed un’imposta reale t1.

o Di acconto: in questo caso al percettore del dividendo è comunicato l’importo trattenuto dalla società t1DIV(1 - t) come acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Il socio contribuente dovrà prima includere dividendo netto e acconto nell’imponibile, applicare l’aliquota tm, calcolare l’imposta lorda, da questa detrarre la ritenuta di acconto t1DIV(1 - t) e vedere se deve ricevere un rimborso oppure pagare un conguaglio. Il meccanismo funziona come il credito d’imposta, senza che esista la necessità, per il socio, di calcolare da sé il credito d’imposta partendo dal dividendo netto.

Talora la scelta tra ritenuta definitiva o ritenuta di acconto è un’opzione del contribuente, il quale preferirà la ritenuta secca se la sua aliquota marginale tm è superiore a t1. Opterà per la ritenuta di acconto se prevede di ottenere un rimborso dal fisco, in quanto t1 è superiore a tm. Con questo sistema si agevolano i redditi con aliquote marginali più elevate. Qualche sistema prevede l’inclusione obbligatoria nel reddito tassato con tm del dividendo con ritenuta d’acconto solo per i soci che hanno una partecipazione qualificata al capitale azionario e quindi sono azionisti di controllo, mentre gli altri hanno una tassazione con ritenuta secca.

7. Il regime della trasparenza

Tratta le società di capitali come le società di persone e implica l'imputazione del reddito ai soci indipendentemente dall'effettiva percezione degli utili. La società trasparente o partecipata non risulta debitrice nei confronti dell'Erario, in quanto i responsabili sono i soci. Al socio persona fisica, con aliquota marginale tm, viene imputata, in base alla partecipazione al capitale, una quota di utile, senza distinguere tra accantonamenti e dividendi. Quindi pagherà tmDIV + tmAc. Il contribuente paga anche su di un imponibile che non è entrato nella sua disponibilità (gli accantonamenti). Imposte a base mista Le società di capitale possono essere tassate anche con imposte che non assumano immediatamente il reddito netto come imponibile, ma possono far riferimento anche al patrimonio netto o lordo.

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Il patrimonio netto (K) è il capitale proprio, definito come somma del capitale sociale (sottoscritto e versato: il capitale azionario nelle società per azioni) e delle riserve. Il patrimonio lordo comprende il patrimonio netto e il capitale di terzi preso in prestito = capitale azionario + capitale obbligazionario. L’imposta sul patrimonio netto può essere aggiuntiva rispetto all’imposta sul reddito. Oltre all’applicazione di questa ci può essere un’altra imposta di aliquota tk, con gettito tkK. Questa può anche essere detraibile dall’imposta sul reddito. Una forma più complessa (applicata anche in Italia dal 1954 al 1974) consisteva in:

- un’imposta sul patrimonio netto tkK (allora dello 0,75%); - un’imposta sul sovrareddito, inteso come il rendimento netto del capitale K al di sopra di una

data percentuale r (allora del 6%). In pratica prima si applicava tkK e poi si tassava, con t, la differenza R- rK. Altre modalità d’imposta sono state suggerite:

a) la tassazione della somma di dividendi e interessi, per la neutralità sulle scelte di finanziamento, mantenendo la deducibilità delle quote annuali di ammortamento.

b) La tassazione della differenza tra: entrate complessive della società (escluse le entrate derivanti dalla vendita di azioni) – spese totali, incluse quelle per investimenti, eliminando gli ammortamenti annuali. c) La tassazione della somma di dividendi, accantonamenti e interessi, eliminando la deducibilità degli

ammortamenti e permettendo la deducibilità integrale, nell’anno di acquisto, delle spese per beni di investimento (v. infra, imposta sul Flusso di Fondi). La tassazione di una base ancora più estesa includendo in c) anche i ricavi da operazioni finanziarie della società (v. infra).

Di recente sono state introdotte, nelle strutture d’imposta sulle società in diversi paesi, alcuni princìpi. La regola della capitalizzazione sottile (Thin Capitalization Rule o thin cap) consiste nell’assimilare agli utili distribuiti la remunerazione di finanziamenti eccedenti un dato rapporto capitale proprio/capitale di terzi.

Il trattamento differenziato di dividendi ed interessi costituisce causa di non neutralità. Di solito i dividendi sono trattati come imponibili e gli interessi come costi deducibili. Perciò sugli interessi INT la società risparmia tINT, e questo rappresenta un risparmio sul costo (interessi netti) del capitale preso a prestito. Invece sono tassati i rendimenti del capitale proprio (dividendi ed accantonamenti) e questo rappresenta una riduzione dei rendimenti stessi. Questa discriminazione è un incentivo all’indebitamento ed inoltre potrebbe indurre un socio a fare prestiti alla società di cui è azionista per eludere un’imposta sulle società.

Ad es. il socio Tizio presta 1000 alla sua società ed incassa 100 di interessi, anziché incassare 100 di dividendi. La convenienza sta nel fatto che, se 100 di interessi sono tassati al 10% mentre 100 di dividendi sono tassati al 40%, Tizio con gli interessi incassa 90, mentre con i dividendi incasserebbe 60. Allora prestando fondi alla sua società trasforma i dividendi in interessi. Nell’esempio precedente gli interessi sarebbero deducibili come costo e farebbero scomparire i 100 di dividendi. Per evitare che il finanziamento con debito sia eccessivo rispetto al patrimonio proprio della società, si adotta il sistema della thin cap, che consiste nel considerare eccessivi gli interessi oltre un certo limite, assimilandoli ai dividendi e tassandoli come questi. E’ una misura che vuole limitare la sottocapitalizzazione e l’eccesso di indebitamento, determinando gli interessi indeducibili in presenza di finanziamenti da parte dei soci. Questa disciplina prevede l'indeducibilità, dal reddito imponibile della società, della remunerazione dei finanziamenti erogati o garantiti da un socio qualificato, che abbia una partecipazione azionaria al di sopra di un livello minimo. Gli interessi passivi per effetto dell’applicazione della thin cap sono quelli erogati o garantiti dal socio qualificato intendendo per tali quelli derivanti da mutui, da depositi di danaro e da ogni altro in eccedenza di un determinato valore del rapporto indebitamento/patrimonio netto (varia da 4/ 1 a 2/1 nei diversi paesi).

L’esenzione di partecipazioni (Participation Exemption - PEX) Sono talvolta previste esenzioni dall’imposta sulle società per le cessioni di partecipazioni costituenti patrimonio immobilizzato, dopo che

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queste sono state tenute da una società di capitali per un periodo minimo (ad es. 1 anno). La percentuale di esenzione può essere variabile (del 100% o di una percentuale inferiore) e può essere previsto un livello di partecipazione minima (es. 5%) al capitale della società le azioni della quale vengono cedute. L’asimmetria tra l’esenzione della plusvalenza da cessione di azioni e la deducibilità della minusvalenza possono rappresentare occasioni di risparmio fiscale per la società. Se le plusvalenze sono esenti le minusvalenze, per simmetria, non dovrebbero essere deducibili. Una pratica elusiva è quella del dividend washing. Consiste nell’acquisto di azioni prima della distribuzione di dividendi e nella successiva cessione dopo aver incassato il dividendo. Con la vendita si determina una riduzione di valore del titolo e ne consegue una minusvalenza in capo al cessionario. Si può avere un effetto di elusione dell’imposta sulle società se è ammessa l’esenzione, o una tassazione ridotta, dei dividendi e la deducibilità piena delle minusvalenze realizzate su azioni vendute. La tassazione del consolidato. Si è diffusa la tassazione consolidata di gruppo di società di capitali, realizzata con la somma algebrica degli imponibili, aggregando i dati di tutte le società che partecipano al gruppo in unica dichiarazione. Si distingue tra:

Consolidato domestico o nazionale E’ previsto quando la società controllante (capogruppo) è residente oppure ha una stabile organizzazione nel paese che applica la tassazione su base imponibile consolidata. L’opzione per la tassazione di gruppo può essere esercitata esclusivamente dalle società controllate residenti. Sono considerate controllate le società in cui la capogruppo detiene, direttamente o indirettamente, la maggioranza dei diritti di voto. Consolidato multinazionale o mondiale

Per evitare effetti di doppia imposizione, può essere previsto il riconoscimento delle imposte pagate all’estero mediante il meccanismo del credito d‘imposta e il concorso dei redditi prodotti all’estero alla formazione del reddito base imponibile del gruppo. Diversamente da quanto avviene con il consolidato nazionale il consolidamento multinazionale delle basi imponibili avviene in base al criterio proporzionale di partecipazione (si effettua la somma algebrica degli imponibili proporzionali alle quote di partecipazione). E’ inclusa nel consolidamento solo la quota di utile o perdita detenuta dal gruppo.

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L’ imposta personale sulla spesa delle persone fisiche L’imposta personale sulla spesa è una proposta ricorrente, soprattutto in Gran Bretagna (1955, 1978) e negli Stati Uniti (1930, 1947, 1977) che nasce dalle riflessioni di John Stuart Mill alla metà del sec. XIX e che vuole esentare il risparmio dall’imposta sul reddito. Storicamente ha trovato solo rare e temporanee applicazioni. Nello schema teorico si applica un’imposta progressiva sul reddito guadagnato diminuito del risparmio ed aumentato del consumo di risparmio ed i debiti. La spesa in beni di consumo durevole e diretto (come l’abitazione) viene ammortizzata: il loro valore è tassato pro quota su base pluriennale. L’imposta personale sulla spesa tende ad accertare la spesa con un metodo personale indiretto, costruendo la base imponibile (spesa personale lorda) come risultante dalla differenza tra il potere di spesa teorico in un anno ed il residuo di fine anno: (A +B + E) – (C+D), dove A Incassi correnti 1. Saldi delle disponibilità monetarie (conti bancari e denaro liquido) all’inizio dell’anno; 2. incassi correnti (monetari e reali) come stipendi, interessi, dividendi, quote. B Incassi in conto capitale 3. donazioni, eredità, vincite occasionali; 4. denaro preso in prestito e denaro ricevuto in restituzione di prestiti; 5. incassi da vendite di beni di investimento e di beni di consumo durevole (inclusi gli immobili). C Spesa lorda in conto capitale 6. Denaro dato in prestito o denaro trasferito per estinguere precedenti prestiti; 7. Acquisto di beni di investimento (inclusi gli immobili); 8. Saldi delle disponibilità monetarie (conti bancari e denaro liquido) a fine anno. D 9. Spese personali esenti; 10. Ammortamenti delle spese in beni durevoli di uso diretto (come le abitazioni); E 11. Quota di spese in beni durevoli sostenute in anni precedenti e incluse nell’anno in corso.

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L’imposta sul Flusso di Fondi della società di capitali Le imposte sui profitti generalmente applicate sono imposte sui profitti contabili. La base è costituita dai profitti correnti reali, distribuiti o accantonati. Sono deducibili gli interessi netti sui debiti, una quota di ammortamento corretta per il tasso di inflazione. Si aggiungono le plusvalenze reali sulle attività della società, si correggono in base all’inflazione i valori delle azioni ed i valori monetari di attivo e passivo. Questa struttura è piuttosto complessa da realizzare completamente, perciò si applica con delle approssimazioni, in particolare per gli adeguamenti dei valori monetari all’inflazione. E’ stata avanzata in Gran Bretagna (1978) una proposta di imposta sul flusso di fondi che merita qualche attenzione, anche se non ha avuto conseguenze pratiche. L’imponibile è costituito dalla differenza tra Flussi in entrata (INFLOWS) e Flussi in uscita (OUTFLOWS) La base imponibile è rappresentata dal flusso di fondi (flow of funds) Si distingue tra:

• Imposta su base reale R • Imposta su base reale (R) e finanziaria (F) R+F • Imposta su base reale, finanziaria ed azionaria (R+F+S)

Tipo di Base Imponibile Flussi in entrata (INFLOWS) Flussi in uscita (OUTFLOWS)

Reale R Vendita di prodotti, servizi, attività fisse reali

Acquisto di materiali, lavoro (salari), attività fisse reali

Finanziaria R + F Nuovo indebitamento, interessi incassati, riduzione di liquidità

Restituzione di debiti, interessi pagati, aumento di liquidità

Azionaria S Aumento di azioni proprie, diminuzione di azioni di altre società, dividendi ricevuti da altre società

Riduzione di azioni proprie, aumento di azioni di altre società, pagamento di dividendi

Imposte..T Imposte rimborsate Imposte pagate Totale dei flussi netti (INFLOWS- OUTFLOWS) R+F+S+T La base imponibile può essere costruita includendo flussi di diverso tipo: 1 - Imposta sul flusso di fondi reali R (base R)

RICAVI TOTALI - RETRIBUZIONI - ACQUISTI (materie prime, beni per la produzione, servizi, investimenti) =

VALORE AGGIUNTO - RETRIBUZIONI - INVESTIMENTI =

DIVIDENDI + ACCANTONAMENTI + INTERESSI - INVESTIMENTI 2 - Imposta sul flusso di fondi reali e finanziari R + F Alla base R si aggiunge la base F

R + VARIAZIONE DELL’INDEBITAMENTO DELLA SOCIETA’ + (INTERESSI ATTIVI – INTERESSI PASSIVI) =

PROFITTI + VARIAZIONE DELL’INDEBITAMENTO - INVESTIMENTI

3 - Imposta sul flusso di fondi reali, finanziari e della variazione della base azionaria R + F + S

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