Sanità seminario 30 nov 2013

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Relazione introduva di Alboresi Mauro, Segretario Regionale del Parto dei Comunis Italiani dell’Emilia-Romagna, al seminario interregionale “ Il dirio alla salute: tra realtà e possibili prospeve”svoltosi a Bologna il 30 Novembre 2013. L’odierno seminario interregionale rappresenta, nelle intenzioni del Partito che l’ha promosso, e che si prefigge di coinvolgere con analoghe modalità anche le altre realtà del Paese, un’importante occasione di analisi e di confronto finalizzata a definire, in tempi celeri, una sorta di “piattaforma rivendicativa” relativamente ad una questione di primaria importanza quale quella in oggetto. Attorno ad essa è necessario impegnare il PdCI ai diversi livelli e ricercare le più ampie alleanze possibili con le molteplici realtà sociali, organizzate e non, interessate. Quanto definito costituirà parte integrante del programma che lo stesso, in coerenza con i propri deliberati congressuali, intende esplicitare e promuovere, attraverso una specifica Conferenza di Programma, agli inizi del 2014, e per il quale intende battersi, rappresentando una alternativa possibile oltre che necessaria. L'Organizzazione Mondiale della Sanità colloca il Servizio Sanitario Italiano ai primi posti nel mondo, rappresentando quindi una sanità di eccellenza. Come noto il Servizio Sanitario Nazionale ha nella Legge 833 del 1978 il suo fondamento. Numerosi sono i processi di riforma che, in coerenza con tale legge istitutiva, sono intervenuti nel tempo: dai Decreti Legislativi 502 del 1992 e 503 del 1993 al Decreto Legislativo 229 del 1999, meglio noto come “Riforma Bindi”, dal nome dell'allora Ministro della Sanità. Tale quadro legislativo sottolinea che la tutela della salute, diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione (la cui valenza è ancora una volta sottolineata) è garantita dal Servizio Sanitario Nazionale, ancorato ai principi di universalismo dell’assistenza, uguaglianza di accesso, solidarietà, e finanziato attraverso la fiscalità generale. Non v’è dubbio che alla base dell’attuale configurazione dell’assetto della sanità nel nostro Paese vi è soprattutto il su richiamato Decreto Legislativo 229/99. Tale processo di riforma ha innanzitutto portato, attraverso l’adozione del Piano Sanitario Nazionale, triennale, all’individuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ossia dell’insieme dei servizi e delle prestazioni che debbono essere garantite in modo omogeneo nel Paese. La garanzia degli stessi, come noto, è stata posta in capo allo Stato, la responsabilità della loro effettiva applicazione sul territorio è ricondotta alle Regioni. 1

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documento di introduzione al Seminario sulla sanità Relazione introduttiva di Alboresi Mauro, Segretario Regionale del Partito dei Comunisti Italiani dell’Emilia-Romagna, al seminario interregionale “ Il diritto alla salute: tra realtà e possibili prospettive”svoltosi a Bologna il 30 Novembre 2013.

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Relazione introduttiva di Alboresi Mauro, Segretario Regionale del Partito dei Comunisti Italiani dell’Emilia-Romagna, al seminario interregionale “ Il diritto alla salute: tra realtà e possibili prospettive”svoltosi a Bologna il 30 Novembre 2013.

L’odierno seminario interregionale rappresenta, nelle intenzioni del Partito che l’hapromosso, e che si prefigge di coinvolgere con analoghe modalità anche le altre realtà delPaese, un’importante occasione di analisi e di confronto finalizzata a definire, in tempiceleri, una sorta di “piattaforma rivendicativa” relativamente ad una questione di primariaimportanza quale quella in oggetto. Attorno ad essa è necessario impegnare il PdCI ai diversi livelli e ricercare le più ampiealleanze possibili con le molteplici realtà sociali, organizzate e non, interessate.Quanto definito costituirà parte integrante del programma che lo stesso, in coerenza con ipropri deliberati congressuali, intende esplicitare e promuovere, attraverso una specificaConferenza di Programma, agli inizi del 2014, e per il quale intende battersi,rappresentando una alternativa possibile oltre che necessaria.L'Organizzazione Mondiale della Sanità colloca il Servizio Sanitario Italiano ai primi postinel mondo, rappresentando quindi una sanità di eccellenza. Come noto il Servizio Sanitario Nazionale ha nella Legge 833 del 1978 il suo fondamento.Numerosi sono i processi di riforma che, in coerenza con tale legge istitutiva, sonointervenuti nel tempo: dai Decreti Legislativi 502 del 1992 e 503 del 1993 al DecretoLegislativo 229 del 1999, meglio noto come “Riforma Bindi”, dal nome dell'allora Ministrodella Sanità.Tale quadro legislativo sottolinea che la tutela della salute, diritto fondamentaledell’individuo ed interesse della collettività, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione (la cuivalenza è ancora una volta sottolineata) è garantita dal Servizio Sanitario Nazionale,ancorato ai principi di universalismo dell’assistenza, uguaglianza di accesso, solidarietà, efinanziato attraverso la fiscalità generale.Non v’è dubbio che alla base dell’attuale configurazione dell’assetto della sanità nelnostro Paese vi è soprattutto il su richiamato Decreto Legislativo 229/99. Tale processo di riforma ha innanzitutto portato, attraverso l’adozione del Piano SanitarioNazionale, triennale, all’individuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ossiadell’insieme dei servizi e delle prestazioni che debbono essere garantite in modoomogeneo nel Paese.La garanzia degli stessi, come noto, è stata posta in capo allo Stato, la responsabilità dellaloro effettiva applicazione sul territorio è ricondotta alle Regioni.

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Alcune tra esse, ad esempio l’Emilia-Romagna, hanno ampliato lo spettro dei LEAdefinendo tali anche le cure a domicilio per gli anziani non autosufficienti e le terapieriabilitative per i bambini disabili. Una prima riflessione alla quale è chiamato l’odierno seminario attiene al grado di effettivagaranzia dell’utenza rispetto alla fruizione di tali livelli essenziali di assistenza, sull’interoterritorio nazionale, nelle realtà regionali chiamate oggi a confrontarsi, anche e soprattuttoin considerazione del fatto che è stato sovente denunciato più di un caso di evidentedisomogeneità.Tale processo di riforma ha sottolineato il Servizio Sanitario Nazionale quale complessodelle strutture, delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi Sanitari Regionali. Gli stessi sono evidenziati come parte fondante del sistema di protezione sociale ed èposto l’accento sull’obbiettivo dell’integrazione, innanzitutto tra il complesso dei servizisanitari, socio-sanitari e sociali ( quest’ultimi potestà dei Comuni). Le Regioni, coerentemente con tale riferimento ed in considerazione della riforma relativaal Titolo V, parte seconda, della Costituzione, intervenuta nel 2001, hanno ridisegnato,attraverso specifici atti legislativi, l’organizzazione ed il funzionamento del proprio sistemasanitario.Una ulteriore possibile riflessione è quindi relativa al se l’articolazione dell’assettoorganizzativo e gestionale del Servizio Sanitario Nazionale su base regionale determinatasiha prodotto i risultati attesi o se, di contro, come più di un osservatore tende asottolineare, non ha finito, non finisce con lo spingere sempre più in direzione dellaprogressiva frammentazione del quadro di riferimento dato, prefigurando addirittura “venti diversi modelli di sanità”. Ad una prima lettura delle scelte compiute dalle diverse realtà regionali, soprattutto quellequi rappresentate, si colgono rilevanti convergenze, innanzitutto relative all’assetto delsistema, ma anche significative differenze, in particolare per quanto riguarda la suagestione, sicuramente si evidenziano molteplici problemi comuni. I diversi riferimenti legislativi regionali sottolineano il ruolo degli Enti Locali quali soggettidi rappresentanza del territorio esplicitando l’obbiettivo del suo rafforzamento, inparticolare in materia di programmazione, verifica e controllo delle politiche sanitarie. I fatti, tuttavia, palesano una loro marcata difficoltà di intervento, nonostante ladefinizione di specifici strumenti di rappresentanza ( ad esempio la Conferenza TerritorialeSociale e Sanitaria definita in Emilia-Romagna) nonostante il ruolo e le funzioni assegnatealle articolazioni territoriali delle Aziende ( generalmente il Distretto) per promuovere esviluppare, secondo il principio di sussidiarietà, il rapporto con i Comuni ed i soggettirappresentati, per evidenziare le necessità assistenziali ed elaborare i relativi programmi diintervento, per assicurare l’accesso ottimale all’assistenza sanitaria primaria ed ai servizisocio-sanitari, nonché per il coordinamento delle attività.Gli Enti Locali sono spesso chiamati, senza un preventivo ed adeguato coinvolgimento, aratificare le decisioni assunte dalla Regione, a sostenere le scelte delle Aziende, sanitariee/o socio-sanitarie territoriali che dir si voglia, che consolidano sempre più la propriadimensione, con i relativi vincoli di spesa, sovente definiti insormontabili.

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La distinzione tra le responsabilità politiche, manageriali, professionali, operata con ilquadro legislativo richiamato, va sicuramente e coerentemente praticata, ma il ruolo e laresponsabilità degli Enti Locali rispetto ai servizi sanitari e socio-sanitari, al loro governo,paiono davvero necessitare di un cambio di passo nell’insieme delle realtà considerate. Anche per quanto attiene al ruolo dell’utenza, alla sua rappresentanza, è evidente loscarto tra ciò che è presente al riguardo nei molteplici atti definiti a governo del sistema,tra gli strumenti individuati per il suo esercizio, ed una pratica che è ben lungi dalgarantirne l'incisività.Anche in relazione a ciò occorre quindi un salto di qualità che consenta all'utenzaorganizzata di concorrere fattivamente alla definizione dei processi, al loro governo,soprattutto al controllo dei servizi e delle prestazioni rese.Un'altra possibile considerazione attiene all’integrazione fra le Aziende, che dall'eserciziocongiunto di determinate funzioni, in primo luogo quelle relative alla gestioneamministrativa e finanziaria delle stesse, si è orientata sempre più ad una gestionecongiunta, centralizzata, di funzioni prettamente sanitarie ( ad esempio quelle relative alleanalisi di laboratorio).Più di una voce solleva dubbi e perplessità in merito, innanzitutto sull’efficacia di talescelta, nonché in relazione alla definizione di ulteriori figure di coordinamento, chefiniscono con il rendere ancora più complessa ed onerosa la “filiera “del governo delsistema.E’ un dato di fatto che in sanità si è di fronte a processi aggregativi crescenti cheinvestono la stessa dimensione aziendale affermatasi e ne prospettano uno svilupposempre più ancorato alle logiche che gli sono proprie, a scelte ed ipotesi che spingono indirezione dell’affermazione di aziende sovra provinciali, regionali, che per loro naturacomportano un crescente allontanamento dal territorio, dalla sua rappresentanzaistituzionale, e finiscono con il porre la questione della reale titolarità del governo e delcontrollo delle politiche sanitarie. Già oggi, in tanti casi, per molti, si assiste al prevalere della tecnocrazia sulla politica. Relativamente alle modalità di gestione dei servizi le diverse Regioni considerateevidenziano orientamenti e scelte difformi. Se relativamente alla dimensione sociale e socio-sanitaria si coglie la tendenzageneralizzata ad un’ampia presenza di soggetti privati, segnatamente non profit, fattioggetto di più o meno stringenti livelli di autorizzazione al funzionamento e/o diaccreditamento, per quanto concerne la dimensione sanitaria la presenza del soggettopubblico registra percentuali diverse (l’80% in Emilia-Romagna). E’ un dato di fatto che siamo di fronte a crescenti pressioni sul sistema affinché lo spaziogestionale del privato, accreditato o no, si ampli ed investa l’intero spettro dei servizisanitari.Ciò generalmente in nome di una presunta necessaria libertà di scelta del cittadino/utente.Noi diciamo no.Siamo per la sanità pubblica e la nostra è una scelta di fondo, che poggia innanzituttosulla considerazione della rilevanza della sanità, sul suo essere un diritto, che come taleè opportuno sia tenuto fuori da mere logiche di profitto.

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La scelta dell’integrazione gestionale tra pubblico e privato, assunta dal nostro sistemasanitario ai diversi livelli, non è oggi in discussione. Il nostro obiettivo, in questa fase, non può che essere quello di mantenere gli attualirapporti percentuali, evitando nel contempo che il privato si affermi in determinati specificiambiti come gestore unico (più di un segnale in tale direzione è presente) ma la questioneresta aperta ed eventuali scelte di riequilibrio debbono andare in direzione del soggettopubblico. E’ fuori di dubbio che la modifica del quadro costituzionale ha cambiato il sistema digoverno della sanità e che lo strumento “pattizio” sarà sempre più utilizzato a tal fine.Anche relativamente alla programmazione molto è cambiato nel tempo, a livello nazionalee, soprattutto, a livello regionale.Il Piano Sanitario Nazionale si è affermato sempre più come strumento per la definizionedelle macro linee d’indirizzo della programmazione sanitaria. Esso è sempre più sottolineato come una sorta di cornice di sintesi all’interno della qualevanno ricondotti i diversi accordi, piani e programmi, l’elemento di garanzia dell’uniformeapplicazione degli obbiettivi e dei LEA a livello nazionale, ciò nella salvaguardia dellespecificità territoriali, in rispondenza alle analisi dei bisogni di ciascun contesto locale.In una prima fase le diverse Regioni, attraverso la propria azione legislativa e normativa, sisono uniformate al quadro delineato, definendo i propri Piani Sanitari Regionali, nonchéquanto necessario a garantirne la realizzazione.Le Regioni, successivamente, in particolare a seguito della affermazione della leggequadro nazionale sull’assistenza ( Legge 328/2000), di quanto ne è disceso anche esoprattutto a livello territoriale, si sono misurate con la crescente esigenza di unaprogrammazione sanitaria, socio-sanitaria, sociale integrata, finalizzata ad organizzarerisposte ed interventi fondati sul riconoscimento delle persone nella loro globalità ed inrapporto ai loro contesti di vita, in grado di rispondere a bisogni sempre più complessi. Le parole chiave sono integrazione socio-sanitaria, ma anche integrazione istituzionale(Comune, Provincia, AUSL attraverso accordi di programma, atti di delega, etc.),integrazione comunitaria (il concorso di molteplici soggetti istituzionali e non attorno allepolitiche sociali e sanitarie, attivate attraverso la partecipazione alle specifiche fasi dellaprogrammazione, organizzazione, produzione dei servizi), integrazione gestionale(l’interazione dei soggetti istituzionali presenti in ambito distrettuale volta a realizzarel’unicità dei fattori organizzativi e delle risorse, a garantire costituzione e regolazione delfunzionamento delle reti dei servizi sanitari, socio-sanitari, sociali). Tale processo ha portato quindi da una programmazione separata, pur se posta inrelazione, ad una fortemente intrecciata, nella quale è sempre più rimarcata la necessità didefinire e sostenere un processo che porti a massimizzare l’appropriatezza delleprestazioni e l’efficienza nell’uso delle risorse disponibili.Molteplici sono le considerazioni possibili relativamente al merito ed ai risultati di taleprocesso, agli obiettivi della programmazione ed al loro livello di attuazione, sui qualihanno pesato e pesano sempre più le scelte di finanza pubblica affermatesi nel tempo aidiversi livelli.

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Per scelta, in questo contesto, ragioniamo dei limiti e delle risposte generalmentepalesatesi necessarie a monte ed a valle della dimensione più propriamente ospedaliera, ilche non significa che non sussistano problemi ed esigenze relativamente a quest’ultima.Ci concentriamo su ciò anche per i bisogni, l'attenzione crescente che cogliamo al riguardosul territorio, tra la gente. Nel merito, ragionando di una possibile ed opportuna piattaforma, sottolineiamo che unaprima questione è rappresentata dal Dipartimento di Sanità Pubblica.Come sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità si tratta dell’insieme degli“sforzi organizzati della società per sviluppare politiche per la salute pubblica, laprevenzione delle malattie, la promozione della salute e per favorire l’equità socialenell’ambito di uno sviluppo sostenibile”.Condividiamo quanto al riguardo è generalmente stato definito dalla programmazione,quanto ne è seguito, anche con specifiche direttive, cogliamo tuttavia l’esigenza di fare unulteriore salto di qualità. L'ambiente, il contesto urbano, il luogo di lavoro costituiscono gli ambiti da considerare.Molto, troppo di ciò che è presente, di ciò che accade si evidenzia in contraddizione conl’obiettivo dichiarato.Ciò in particolare in relazione all’entità delle attività ispettive, troppo poche in rapporto allacomplessità e problematicità data ( in particolare nelle realtà produttive, come la cronacasottolinea con sempre maggiore frequenza) alla incisività delle stesse, a ciò che ne derivaanche in termini sanzionatori.Un'altra questione attiene al Dipartimento delle Cure Primarie.Parliamo delle cure erogate vicino ai luoghi di vita delle persone, identificabilinell’assistenza offerta dalla medicina generale e dalla pediatria di libera scelta, presso iconsultori, nei servizi rivolti alle fasce deboli (anziani, disabili, adolescenti, famiglie multiproblematiche, immigrati), nell’assistenza specialistica ambulatoriale ed in quellafarmaceutica.I luoghi della risposta assistenziale di cui alle cure primarie sono principalmente lestrutture residenziali, la casa, i centri diurni, insieme alle sedi ambulatoriali ed aiconsultori.I Piani vigenti sottolineano la centralità dei Nuclei di Cure Primarie quale unità operativafondamentale dell'assistenza territoriale.Si tratta, come noto, di una forma organizzativa che punta ad aggregare, in undeterminato ambito territoriale, all'interno di una specifica struttura ambulatoriale ( ilriferimento è alle cosiddette Case della Salute) i medici di medicina generale, i pediatri dilibera scelta, i professionisti sanitari, organizzati in forme associative, nonché equipeinfermieristiche dedicate all’assistenza domiciliare. La scelta è generalmente quella di articolare sul territorio i NCP con ambulatori aperti finoa 24 ore giornaliere nei casi di bacini di utenza oltremodo consistenti e di almeno 12 orenegli altri casi. In relazione a ciò si impone una riflessione circa i limiti odierni dei NCP, sia sul piano dellaloro articolazione territoriale che su quello delle caratteristiche operative degli stessi.

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Occorre insistere, molte sono le esperienze in essere, quelle prospettate, ma molto restaancora da fare.Le Case della Salute debbono affermarsi nei diversi contesti territoriali e strutturarsiadeguatamente al fine di garantire alla cittadinanza le risposte attese.Per noi, a partire da ciò, è possibile dare allo stesso Servizio di Continuità Assistenziale,una esigenza alla quale solo in parte si è riusciti a rispondere, un maggiore orientamento esviluppo .Come sottolineato, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta hanno unruolo cardine nel contesto delle cure primarie, dei NCP , ed è sicuramente necessariovalorizzare l’apporto di tali figure. Le Regioni hanno investito nel tempo rilevanti risorse per favorire la loro aggregazione, irisultati ad oggi sono importanti ma non sufficienti. E’ necessario un salto di qualità, se del caso prospettando un sistema diconvenzionamento più vincolante dell'attuale, con chiari e misurabili indicatori circa lefunzioni svolte, i risultati acquisiti.Un altro tema che attiene alle cure primarie e che deve e può trovare una più incisivarisposta nella programmazione futura è rappresentato dai Consultori.Essi debbono tornare ad essere un punto di riferimento tra le realtà di promozione e tuteladella salute, della sessualità e della procreazione responsabile, per la promozione dellamolteplicità di azioni volte a fornire il necessario sostegno durante la gravidanza, lanascita, il puerperio.E' indubbio il rischio che i Consultori siano “piegati” sempre più a logiche altre, ad esempioalla messa in discussione degli stessi contenuti della Legge 194 del 1978 e successiveintegrazioni e/o modificazioni, ed è pertanto necessario tenere alta la guardia e fare delloro rilancio e della loro qualificazione un punto rilevante della nostra azione.Una ulteriore questione da affrontare è rappresentata da quanto attiene al Dipartimento diSalute Mentale e Dipendenze Patologiche. Focalizziamo l’attenzione sui problemi di salute mentale, che costituiscono una quotarilevante del carico di sofferenza e disabilità della popolazione generale in tutte le fasce dietà. Non indaghiamo in questo contesto le molteplici cause di ciò. Poniamo l’accento sul fatto che la salute mentale della popolazione è un concetto ben piùvasto della semplice assenza di malattia e la sua tutela abbisogna di una molteplicità disoggetti, istituzionali e non, volti ad affermare un ampio sistema di relazioni ed unamolteplicità di azioni a ciò funzionali. Analizzando quanto affermatosi nel tempo, si pensi, ad esempio, al processo disuperamento dei residui manicomiali, degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, alla messa incampo ed allo sviluppo dei servizi di salute mentale, è indubbio che molto è stato fatto.Relativamente alle politiche volte alla salute mentale, tuttavia, la realtà ci consegnaevidenti limiti, innanzitutto nella relazione tra dimensione sanitaria e dimensione sociale,sia sul piano della prevenzione che su quello del sostegno, della integrazione. Sempre più famiglie lamentano l’essere lasciate sole.

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Molto resta quindi da fare al riguardo ed a ciò debbono essere chiamati i diversi livellipreposti. Quanto sin qui schematicamente e non esaustivamente evidenziato attiene in gran partealla dimensione sanitaria “pre ospedaliera”.Come sottolineato la nostra attenzione è rivolta anche alla dimensione sanitaria “postospedaliera” e rimarchiamo pertanto, in relazione all'area della lungodegenza, la questionespecifica delle dimissioni protette. Tale area, come noto, da un lato sviluppa relazioni funzionali con i reparti ospedalieri peracuti, dall’altra con le residenze per la cronicità e con il domicilio, con l’obiettivo distabilizzare il paziente, riabilitarlo ed affrontare le riacutizzazioni di moderata entità. L’efficacia del servizio offerto dall’area della lungodegenza passa attraverso la propriacapacità di completare il percorso di cura, ma anche dalla capacità di saper valutare lacomplessità dei bisogni socio-famigliari e di accompagnare il paziente verso la collocazione(struttura residenziale o domiciliare) più appropriata, con risposte flessibili epersonalizzate. La dimissione protetta è pertanto decisiva, ma in relazione a ciò molte sono lesegnalazioni di crescenti difficoltà in capo ai pazienti , ai loro famigliari , spesso costretti amisurarsi in solitudine con la riduzione dei propri livelli di autonomia, a cercaredirettamente soluzioni . Occorre superare tale situazione, serve una rete certa ed articolata di strutture e servizi ingrado di dare le necessarie risposte.Da ciò deriva anche il possibile giudizio sull'adozione del sistema dei DRG, che ha portatoalla definizione dei costi standard delle prestazioni erogate e quindi dei riferimenti per irimborsi delle stesse, ad una maggiore produttività del sistema, ma anche esposto ipazienti a dimissioni vissute come premature, ad una situazione inerente il rapportopubblico/privato nella quale la cura della malattia rischia di prevalere sulla prevenzionedella salute.Se quanto sottolineato può essere parte di una possibile ed opportuna “piattaformarivendicativa” attorno alla quale impegnare il nostro Partito ai diversi livelli, non vi è dubbioche la questione delle risorse, della loro allocazione, è sempre più stringente. E’ indubbio che gli obbiettivi della programmazione, siano essi nazionali e/o territoriali,sono conseguibili nei limiti delle risorse programmate a legislazione vigente, innanzituttose lo Stato garantisce quanto definito ai fini del finanziamento del Servizio SanitarioNazionale ( ad esempio l’incertezza del quadro finanziario in materia sanitaria ha portatorecentemente al differimento al triennio 2011/2013 del Piano Sanitario Nazionale giàprevisto per il triennio 2009/2011, e la definizione dei nuovi LEA è conseguentementerinviata a data da destinarsi). La realtà e soprattutto la prospettiva inerente il finanziamento del Servizio SanitarioNazionale risultano essere, ai diversi livelli, assai problematiche, preoccupanti eprospettano pesanti ripercussioni sul sistema. Tutto ciò non è casuale, meramente riconducibile alle ripercussioni della crisi finanziaria edeconomica che ha investito il Paese.

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E’ in atto una vera e propria controriforma del Servizio Sanitario Nazionale e quantorelativo al suo finanziamento ne è parte decisiva.Come da più parti sottolineato il sistema sanitario italiano è il prodotto dell’azionesviluppata nel tempo dalle forze progressiste ed è unanimemente considerato tra lemaggiori conquiste sociali realizzate in Italia. Da anni, in coerenza con l’insieme delle politiche liberiste imperanti a livello europeo,attraverso le scelte che hanno caratterizzato e caratterizzano l’azione dei governirecentemente postisi alla guida del nostro Paese, anche tutto il sistema di Welfare italianoè stato impoverito, dequalificato, messo in discussione. Ciò risponde a tale precisa filosofia, ad una idea di società, di relazione tra le suecomponenti, che con sempre più forza è esplicitata ai diversi livelli ( si pensi, ad esempio,al cosiddetto Libro Verde dell’ex Ministro Sacconi, alle recenti dichiarazioni di esponenti dipunta della cosiddetta “Troika”). L’obbiettivo di tali politiche reazionarie è quello di colpire un modello di società volto allasolidarietà, all’uguaglianza, alla coesione sociale, contrapponendogliene un altro nel qualeil privato aumenti progressivamente i propri spazi fino a condizionare ciò che resterà dipubblico, a relegare questi ad un ruolo marginale, nel quale faccia premio, anche ai finidella tutela della salute, la condizione economica. Quando ciò non si realizza attraverso vere e proprie controriforme, come nel caso dellaprevidenza, esso avviene mediante un processo di svuotamento strisciante delle riformerealizzatesi, attraverso la non attuazione di quanto dalle stesse prospettato, la privazionedi risorse, mezzi e strumenti funzionali alla loro realizzazione.Si colloca in tale ottica il pesante attacco al quale è da tempo sottoposto il lavoro in sanità,in particolare attraverso i limiti imposti al turnover ( soltanto un lavoratore su quattroviene sostituito) il blocco del rinnovo contrattuale ( che data dal 2009) il progressivovenire meno della sua tutela e valorizzazione. Non vi è dubbio che lo stesso è parte di quello più generale che ha investito il settorepubblico e quello privato, nelle diverse articolazioni, e che punta a relegarloprogressivamente a fattore marginale, subordinato.Anche e soprattutto in questa fase, caratterizzata dalla profonda crisi strutturale delsistema capitalista, che ha prodotto un marcato impoverimento, una diffusa insicurezza,una crescente precarizzazione sociale, è sostenuta una cultura secondo la quale vi èincompatibilità tra politiche di welfare e politiche di sviluppo, per la quale le primedebbono essere subordinate alle seconde.La crisi, in altre parole, è usata per colpire il welfare ed anche quanto relativo alla sanità èdi ciò emblematico.E’ fuori di dubbio che da anni il Servizio Sanitario Nazionale è oggetto di scelte chel’hanno fortemente scosso. Esse attengono innanzitutto al suo finanziamento, e non casualmente si è parlato e siparla di sotto finanziamento strutturale del sistema.Le cifre relative, il loro andamento, il rapporto tra fabbisogno dichiarato e risorsedisponibili evidenziano ciò.

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In particolare la scelta operata dagli ultimi Governi succedutisi alla guida del Paese, ossiaquella di affrontare la crisi attraverso politiche finanziarie restrittive, caratterizzate dariduzione dei trasferimenti, tagli lineari, vincoli crescenti relativi al patto di stabilità interno,ha acuito il problema. Le Regioni sono state ripetutamente costrette ad intervenire, attraverso proprie manovrefinanziarie, per garantire il pareggio nell’esercizio di bilancio annuale ( si colloca adesempio in tale contesto la scelta di alcune di avvalersi dell’addizionale regionaleall’IRPEF).Lo stesso “Patto sulla Salute per il triennio 2010 – 2012”, definito il 3 Dicembre 2009 insede di Conferenza Permanente Stato/Regioni/Provincie Autonome, evidenziato come uncambio di passo rispetto alle precedenti politiche del Governo sul piano del finanziamentodel sistema sanitario, nonché funzionale a gettare le basi, al netto di quanto riconducibileal cosiddetto Federalismo Fiscale di cui all’articolo 119 della Costituzione, per un governopiù adeguato della spesa sanitaria nel nostro Paese, è stato di fatto inficiato.Con tale Patto, infatti, erano previste risorse pari a 106 miliardi di euro per il 2010, 108miliardi di euro per il 2011, 111 miliardi di euro per il 2012, ossia aumenti percentualisull'anno precedente rispettivamente del 2,3% per il 2010, del 2,3% per il 2011, del 2,8%per il 2012.Ma in quegli stessi anni, a seguito del perdurare di tali politiche governative, delle lororicadute sul complesso delle Autonomie Locali ( si pensi ad esempio alla sostanzialecancellazione del Fondo Nazionale per la non Autosufficienza) sono venute a mancare albilancio delle Regioni ulteriori ingenti risorse.In particolare le ultime manovre finanziarie hanno inciso fortemente sul fabbisognofinanziario del sistema sanitario, finendo con il violare quanto stabilito dallo stesso Patto,generando indiscutibili negativi effetti sull’erogazione dei LEA, che le Regioni debbonocomunque garantire (e sullo sfondo si pone la questione dei costi standard dei livelliessenziali delle prestazioni sanitarie e della riduzione dell’IRAP che, come noto,costituisce, unitamente alla compartecipazione all’accisa sulle benzine e allacompartecipazione all’IVA, una parte decisiva del sistema di finanziamento del ServizioSanitario Regionale). La cosiddetta “revisione della spesa” approvata nel Giugno del 2012, ha portato ad unariduzione di 4,5 miliardi di euro nel 2012, 10,5 nel 2013, 11 nel 2014. La riorganizzazione della rete ospedaliera, la riduzione dei posti letto, rappresentanoalcune delle risposte indotte, con tutto il loro carico di problematicità, ma i possibili marginidi manovra vanno esaurendosi. Due sono gli aspetti sui quali tali politiche hanno soprattutto pesato, pesano: ilfinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, gli investimenti per l’aggiornamentostrutturale e tecnologico.Ciò investe la capacità del sistema di mantenere fede ai principi di equità edappropriatezza delle prestazioni, nonché l’unitarietà e l’uniformità delle stesse.Non vi è dubbio che un finanziamento decrescente dei Servizi Sanitari Regionali pone ilproblema del mantenimento degli attuali standard assistenziali, della declinazione dei LEAin rapporto al fabbisogno attuale ed alla evoluzione dello stesso, dell’aumento delle risorse

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disponibili mediante ulteriori misure a carico dell’utenza ( a partire da un incremento deiticket).Nell’anno in corso, stante la medesima politica governativa in materia di finanza pubblica estante l’assenza di una adeguata politica di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale,la situazione volge ad un ulteriore peggioramento.Per quanto concerne il 2014 in relazione a quanto ad oggi prospettato sul piano generale,a partire dalla Legge di Stabilità e da quanto si prospetta in tema di revisione della spesadella pubblica amministrazione, è diffusa la convinzione di un ulteriore aggravamento dellastessa. E’ quindi evidente che la progressiva riduzione delle risorse disponibili, dei margini dimanovra a disposizione delle Regioni fanno temere, per molti addirittura prospettano, lamessa in discussione del sistema sanitario conosciuto. Ciò a fronte di un trend della spesa sanitaria, complessivamente intesa, in crescitacostante e variamente motivato: cresce la domanda di salute (indotta da molteplici fattori,innanzitutto dai cambiamenti demografici intervenuti, in primis l'invecchiamento dellapopolazione, ma anche in conseguenza dell’acquisizione di una maggiore consapevolezzadi sé, dei propri diritti, da parte del cittadino/ utente), profonde sono le innovazioni diprodotto e di processo intervenute e/o in atto (sviluppo tecnologico, modifica del rapportotra professioni sanitarie, tendenza alla specializzazione, etc.).Nei giorni scorsi più di un organo di stampa e/o di informazione ha dato conto di unadrastica diminuzione delle visite e degli esami diagnostici e di laboratorio erogati dallasanità pubblica e/o privata convenzionata nel 2012 rispetto al 2011 sull’intero territorionazionale ( oltre 7 milioni in meno nella sola Emilia-Romagna).E’ un dato che non può non fare riflettere e che non può essere spiegato con unacrescente spinta all’appropriatezza delle prescrizioni da parte dei medici. Esso è accompagnato da un calo della spesa farmaceutica, del numero di ricoveri nellestrutture ospedaliere, degli assegni a favore degli anziani e dei disabili non autosufficienti,dalla difficoltà crescente delle famiglie a trovare una risposta al bisogno, dall’essere lestesse sempre più lasciate sole ad affrontarlo. Ciò è indice di quanto la crisi in atto, la sua gestione, incidano anche relativamente altema della tutela della salute, di quanto pesino in rapporto alla sanità le scelte operate neltempo dai governi, in particolare relativamente alla compartecipazione alla spesa da partedell’utenza.Siamo infatti da tempo di fronte ad una crescente richiesta di concorso dei cittadini/utentialla spesa sanitaria, i valori pro capite sono di ciò emblematici, la stessa ha finito conl’essere oggetto, soprattutto in relazione alla dimensione socio-sanitaria, di pronunciamentigiurisprudenziali riguardanti la sua liceità.E’ sicuramente possibile affermare che essa è in tanti casi giunta alla soglia dellasostenibilità, sicuramente ad un livello tale di onerosità da spingere tanti, soprattutto tra lefasce più disagiate della popolazione, a rinunciare alle prestazioni, a fare prevenzione, acurarsi, ed è un fatto, questo, che finirà un domani con lo scaricare sul sistema i costidell’inevitabile peggioramento delle loro condizioni, che sicuramente mina il concettostesso di universalità del sistema.

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Noi chiediamo che si rispetti il dettato costituzionale, diciamo basta alla compartecipazionealla spesa da parte dell’utenza, diciamo basta ad un sistema che finisce con il fare pagaredue volte i cittadini per avere accesso alle prestazioni delle quali abbisognano, ed alriguardo ci sentiamo impegnati a promuovere adeguate iniziative.E’ un dato di fatto che quote sempre più consistenti di utenza sono spinte, a causa diquanto loro richiesto per le prestazioni presso le strutture sanitarie pubbliche e/o privateaccreditate, a rivolgersi alle strutture private, al mercato, che almeno, a fronte di un costoin tanti casi equivalente, è in grado di garantirle in tempi assai più celeri. Qui si colloca la questione delle liste di attesa, che costituiscono sempre più, per tanti,come da più parti da tempo sottolineato, una sorta di cartina di tornasole delfunzionamento del Servizio Sanitario. Molteplici sono le considerazioni possibili: ad esempio sulla ineluttabilità o meno delle listed’attesa, che per molti sono connaturate alle caratteristiche della sanità odierna; su quale“filtro a monte”, in particolare sul ruolo dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri diLibera Scelta, che per tanti risente di un approccio tendenzialmente sempre più difensivo,circa la appropriatezza o meno della richiesta di prestazioni avanzata e nel rendereconsapevoli gli utenti circa la tempistica necessaria; sul grado di utilizzo dellastrumentazione disponibile, che è largamente al di sotto delle sue possibilità. In tale ottica si sottolinea anche quanto relativo alla cosiddetta “mobilità sanitaria passiva”extra regione, indirizzata generalmente a realtà sanitarie private accreditate.È un dato di fatto che tra la popolazione crescono l’insoddisfazione e l’insofferenza equesto porta con sé rischi rilevanti circa la percezione della centralità del servizio pubblico,la necessità della sua difesa.Non vi è dubbio che tra tante cittadine e cittadini sta passando l’idea di una maggioreefficienza del privato rispetto al pubblico, che solo attraverso il ricorso allo stesso èpossibile accedere tempestivamente a molte prestazioni. Occorre quindi agire con determinazione sul sistema, proporsi di abbattere le liste diattesa, anche affrontando la stessa questione dell’attività libero professionale, disciplinataa partire dalla citata Legge 229 del 1999.Diversi sono gli interventi realizzati al riguardo da allora ma il problema resta.Dopo tanti anni è tempo di bilanci e per noi l’attività libero-professionale è questione daridefinire con determinazione privilegiando decisamente il servizio pubblico, la strutturapubblica, la risposta pubblica ai cittadini.Come evidente la nostra analisi e le nostre proposte relativamente al Servizio SanitarioNazionale sono assai diverse rispetto a quelle progressivamente affermatesi.La prospettiva per la quale ci battiamo è alternativa a quella propostaci.L’esigibilità dei diritti sociali è per noi fondamentale.Ci battiamo per un welfare che non si limiti a contenere i danni e gli squilibri che l’attualesistema di sviluppo produce, ma che, rispondendo alle nuove domande ed ai nuovi bisogniche si presentano nelle società moderne, si proponga come fattore attivo di uno sviluppodi qualità, socialmente sostenibile.Poiché l’investimento nel welfare è indispensabile per realizzare ciò il tema delle risorsepubbliche da mettere in campo è decisivo.

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Resta quindi, anche in questi tempi di crisi, la questione del reale incremento delle risorsead esso dedicate, del recupero del divario esistente, in gran parte acuitosi, tra la spesasociale italiana e quella dei principali paesi europei.Ciò non è compatibile con le scelte governative di una riduzione non selettiva della spesapubblica, con l’idea di una generalizzata riduzione della pressione fiscale, ma neppure conquella di una riduzione della spesa relativa a singoli capitoli del Welfare a vantaggio dialtri ( ad oggi, peraltro, siamo di fronte ad una generalizzata compressione di quantorelativo ad ognuno di essi, da quello previdenziale a quello sanitario, da quello perl’assistenza a quello per la casa, etc.). Ciò che è in campo e che viene prospettato non risponde a tale esigenza, spinge indirezione della su richiamata strumentale contrapposizione tra sviluppo e welfare.Serve una profonda revisione in senso fortemente progressivo della politica fiscale vigente,una efficace lotta all’evasione, serve innanzitutto una diversa politica economica, unapolitica che non consideri la spesa sociale come improduttiva.Occorre riaffermare la centralità del sistema pubblico e del suo operare attraverso i criteridi efficacia, di efficienza, di economicità, occorre una adeguata lettura della domanda e larazionalizzazione dell’offerta di prestazioni che ne evidenzi l’appropriatezza e l’essenzialità.La funzione del pubblico, contrariamente a quanto sostengono coloro che in nome dellafilosofia liberista spingono in direzione del modello non inclusivo sottolineato, non stasoltanto nella programmazione, nella definizione delle regole e degli standard qualitativi,nel controllo, ma nella gestione stessa dei servizi, a partire dalla sanità.Se si procede, come sempre più è accaduto in questi anni, in tante realtà, attraversoappalti, esternalizzazioni, cessioni di servizi a privati, project financing, modelli gestionalipubblico-privati, funzionali alla logica di riservare al pubblico il cosiddetto “core business”,alla lunga si rende improbabile, se non impossibile, l’esercizio di quelle stesse funzioni. Affidarsi alle sole regole di mercato significa creare disuguaglianze, iniquità, selezionareprogressivamente gli aventi diritto sulla base del censo.La sanità pubblica va difesa, qualificata, sviluppata, e ciò è possibile oltre che necessario.In tale direzione il nostro Partito si sente impegnato.

Bologna, 30 Novembre 2013

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