Rivista Aprile 2015

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donne e uomini in ricerca e confronto comunitario empi di fraternità Spedizione in abbonamento postale art. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353 conv. in L. 27/2/2004 n. 46 L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resa ISSN 1126-2710 4 numero anno quarantaquattresimo aprile 2015 I migranti non sono i benvenuti Ritorna in Africa Lascia stare i nostri vermi Altre migrazioni

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Tempi di Fraternità

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Spedizione in abbonamento postaleart. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353conv. in L. 27/2/2004 n. 46L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resaISSN 1126-2710

4numeroanno

quarantaquattresimoaprile2015

I migranti non sono i benvenutiRitorna in Africa

Lascia stare i nostri vermi

Altre migrazioni

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2 Aprile 2015

EDITORIALES. Sbragia - Non spaventatevi, è risorto! .............................. pag. 3CULTURE E RELIGIONIE. Vavassori - Vangelo secondo Matteo (32) ....................... pag. 10DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA?D. Pelanda - Il desiderio di radicali mutamenti ..................... pag. 5IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI ........... pag. 16

COSE DALL’ALTRO MONDOM.T. Messidoro - La rinascita di El Salvador .......................... pag. 19PAGINE APERTEG. Monaca - Risurrezione ...................................................... pag. 8L. Tussi - Venditori di fumo .................................................... pag. 13R. Orizzonti - Il dolore negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari .. pag. 14Ass. SenzaConfine - Centro operativo per il diritto all’asilo .. pag. 25L. Bravi - Campi nomadi e campi di concentramento ........... pag. 26L. Borghi - Amori diversi e buon ragionare filosofico .......... pag. 29D. Dal Bon - ... e la speranza continua ... ............................. pag. 30ELOGIO DELLA FOLLIA ................................................... pag. 32

IN QUESTO NUMERO

Il periodico Tempi di Fraternità è in regime di copyleft: ciò significa che gli scritti (solotesto) possono essere liberamente riprodotti a condizione di non apportare tagli o modifiche,di citare l’autore, di indicare il nome della testata e di inviarne copia alla redazione.

Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzionedella Repubblica italiana. La pubblicazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudiziodella Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e,quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito.Il materiale inviato alla redazione, anche se non pubblicato, non verrà restituito.

tempi di fraternitàdonne e uomini inricerca e confrontocomunitario

Fondato nel 1971da fra Elio Taretto

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Collettivo redazionale: Mario Arnoldi, GiorgioBianchi, Andreina Cafasso, Riccardo Cedolin,Daniele Dal Bon, Luciano Jolly, Danilo Minisini,Gianfranco Monaca, Davide Pelanda, GiovanniSarubbi.Hanno collaborato al numero: Arianna Boggione,Associazione SenzaConfine, Lidia Borghi, LucaBravi, Eliana Giraudo, Maria Teresa Messidoro,Ristretti Orizzonti, Sergio Sbragia, Laura Tussi,Ernesto Vavassori, Martina Viada.Direttrice responsabile: Angela Lano.Proprietà: Editrice Tempi di Fraternità soc. coop.Amministratore unico: Danilo Minisini.Segreteria e contabilità: Giorgio Saglietti.Diffusione: Giorgio Bianchi, Andreina Cafasso,Daniele Dal Bon, Pier Camillo Pizzamiglio.Composizione: Danilo Minisini.Correzione bozze: Carlo Berruti.Impaginazione e grafica: Riccardo Cedolin.Fotografie: Daniele Dal Bon.Web master: Rosario Citriniti.Stampa e spedizione: Comunecazione S.n.c.strada San Michele, 83 - 12042 Bra (CN)Sede:via Garibaldi,13 - 10122 Torinopresso Centro Studi Sereno Regis.Telefoni: 3474341767 - 0119573272Fax: 02700519 846Sito: http://www.tempidifraternita.it/e-mail: [email protected]

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QUANDO SI FA IL GIORNALEchiusura maggio 2015 1-04 ore 21:00chiusura giugno-luglio 2015 6-03 ore 21:00Il numero, stampato in 525 copie, è stato chiuso in

tipografia il 16.03.2015 e consegnato allePoste di Torino il 23.03.2015.Questa rivista è associata allaUNIONE STUNIONE STUNIONE STUNIONE STUNIONE STAMPAMPAMPAMPAMPA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITALIANALIANALIANALIANALIANAAAAA

Il Giubileo di papa Francesco- INTERROGATIVI -

In occasione del suo secondo anno di pontificato, Papa Francesco haannunciato un Giubileo straordinario di misericordia.

Abbiamo pensato di sottoporre a tutti i nostri abbonati/lettori alcunedomande per sollecitare possibili riflessioni.1. Che cosa vuol dire papa Bergoglio con questa uscita improvvisa?2. Che senso diamo alle sue parole?3. Qual è il significato che Francesco dà alla parola “misericordia”?4. Cosa significa “Dio perdona tutto, Dio perdona sempre”?5. L’indulgenza è il nome ecclesiastico del “condono”?6. Perché per ottenere la misericordia di Dio bisogna intasare Roma?7. Se la Chiesa è dei poveri, è più importante che chiedano

misericordia/perdono o giustizia/libertà?8. Il papa dice “il mio pontificato sarà breve”; che cosa vuole dire?

Che si ritirerà come Ratzinger? E chi verrà dopo di lui?Le risposte via telefono, fax, e-mail o posta ai recapiti di questa pagina

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EDITORIALE

di SergioSbragia

Non spaventatevi,è risorto !

«Non spaventatevi. Voi cercate Gesù diNàzareth, quello che è stato crocifisso.È risorto!» (Mc 16,5).

Con queste parole, rivolte da un anonimogiovane seduto nella tomba e rivolte a Mariadi Magdala, a Maria, madre di Giacomo, e aSalome, si compie la vicenda terrena di Gesùdi Nàzareth, iniziata qualche tempo prima suisentieri della Galilèa, dove egli aveva preso aproclamare il Vangelo, il lieto messaggio diDio, annunciando a quanti incontrava: «Il tem-po della salvezza è venuto: il regno di Dio èvicino. Cambiate vita e credete in questo lietomessaggio!» (Mc 1,15). Una vicenda che loha visto percorrere in lungo e in largo le regio-ni della Galilèa, della Giudèa, della Samarìa,insegnando, guarendo, mostrando misericor-dia e riconoscendo i segni della fede autenti-ca, e che ha visto il proprio culmine quando«lo inchiodarono alla croce, e si divisero le suevesti » (Mc 15,24).

La resurrezione è l’evento decisivo che fon-da la fede cristiana, ma anche la realtà unicache permette a noi, che abbiamo scelto di se-guire sulle vie della storia le orme di Gesù, dimostrare alle donne e agli uomini del nostrotempo il senso profondo della vicenda umanasulla terra. La resurrezione è il segno di comela creazione, in definitiva, sia incamminata ver-so la promessa di Dio: «Ora faccio nuova ognicosa» (Ap 21,5).

La novità, il cambiamento radicale, la tra-sfigurazione autentica sono il traguardo auten-tico verso il quale la vicenda umana, nonostan-te tutto, è incamminata. La domanda inevita-bile è allora come far percepire questa prospet-tiva agli uomini e alle donne del nostro tempo,nella consapevolezza di dover essere «sempre

pronti a rispondere a quelli che vi chiedonospiegazioni sulla speranza che avete in voi»(1Pt 3,15).

A prima vista i caratteri per tanti aspetti dram-matici della convivenza umana dei nostri giornipossono farci apparire ardua, se non impossi-bile, una prospettiva del genere, ma a questoproposito è opportuno ricordare le parole diGesù: «Ciò che è impossibile agli uomini èpossibile a Dio» (Lc 18,27).

E allora la Pasqua può davvero essere l’oc-casione per una riflessione comunitaria, che ciaiuti a comprendere i tre elementi dell’annun-cio, della croce e della resurrezione, che si sonomanifestati nella vita terrena di Gesù.

Gesù si è incamminato sulle stesse stradedegli uomini del suo tempo, li ha invitati a ri-conoscere i segni dell’imminenza del Regno,si è seduto alla mensa con giusti e peccatori, siè chinato sulla sofferenza dei poveri e degliumili, ha riconosciuto la forza della fede au-tentica, ha invitato a seguirlo lasciando ognicosa, ha accettato la sofferenza e la morte im-meritate, è risorto, mostrando che la realtà dellastoria umana è suscettibile di essere trasfigu-rata.

Oggi l’umanità fa i conti con problemi gra-vissimi e noi cristiani siamo invitati a “nonspaventarci”, sapendo che il Gesù di Nàzareth,che abbiamo scelto di seguire, “è risorto”.Come partecipare, allora, questo superamentodella paura alle donne e agli uomini del nostrotempo. In effetti quella della paura sembra unadelle dimensioni che maggiormente contrad-distinguono l’oggi.

È sufficiente solo una veloce panoramica(per quanto incompleta) dei principali proble-mi che si manifestano sul piano internazionale

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4 Aprile 2015

EDITORIALE

e su quello nazionale per renderci conto che, aprima vista, di ragioni per temere ce ne sonoin abbondanza.

Le inedite caratteristiche assunte dalla crisieconomica, che attanaglia le economie occi-dentali, stanno producendo forme drastiched’impoverimento di ampie fasce di popolazio-ne, la negazione del valore produttivo del la-voro umano, la concentrazione della ricchez-za e del potere in pochissime mani, la distru-zione di enormi riserve di risorse naturali, lavanificazione di grandi tesori di competenze ecapacità umane.

Le relazioni internazionali, nell’epoca in cuisi affermano le prospettive dorate dell’univer-salizzazione delle comunicazioni, appaionoesposte a pericoli sempre più gravi, che dopola lezione esemplare della tragedia del secon-do conflitto mondiale, apparivano in gran par-te scongiurati. E invece i timori di una nuovacatastrofe bellica mondiale si manifestanosempre più in tutta la loro crudezza, comeconfermato dai tanti conflitti in atto nel mon-do e dalle drammatiche possibilità di svilup-po che ciascuno di essi manifesta. Emergo-no, in effetti, tanti segnali inquietanti che fan-no davvero temere che il destino futuro dellapace mondiale sia legato a fili sottilissimi eche le possibilità di ristabilire condizioni pa-cifiche di vita nelle tante aree attualmente tra-fitte da sanguinosi conflitti siano davvero ef-fimere.

Nonostante solenni dichiarazioni internazio-nali di mero principio, che stentano (anzi nonriescono) a produrre effetti concreti, assistia-mo a un disprezzo sempre più ampio nei con-fronti della dignità e dei diritti dell’uomo, comeè testimoniato sia dalle stragi di popolazionimigranti che hanno trasformato aree come ilbacino del Mediterraneo, da luoghi di comu-nicazione e integrazione culturale in mefiticilaghi di morte, sia dal riaffacciarsi sulla scenadella storia del cancro della schiavitù, che for-se troppo ottimisticamente avevamo ritenutostoricamente debellato.

Analogo senso d’impotenza avvertiamo di-nanzi all’inconsistenza dell’azione per la sal-vaguardia del creato, nonostante i tanti allar-mi e i numerosi accordi internazionali, non siprofila all’orizzonte alcun’azione che abbiala consistenza necessaria per invertire i peri-colosi processi di degrado ambientale e ma-teriale di cui da molti decenni il pianeta è in-vestito.

Tutti questi scenari tragici che ho rapidamen-te richiamato, insieme ad altri egualmente pre-occupanti, caricano la nostra epoca di una re-sponsabilità decisiva circa il futuro dell’uma-nità e del pianeta. Paradossalmente l’età con-temporanea si trova a vivere allo stesso tempodue polarizzazioni apparentemente contraddit-torie; da un lato, per la prima volta, l’umanitàsi ritrova nella condizione di possedere la pos-sibilità e la capacità di assicurare a tutti gliuomini e a tutte le donne le condizioni per unavita dignitosa, dall’altro, sempre per la primavolta, l’umanità si trova nelle condizioni dipoter decretare la fine della vita sulla terra.Queste due possibilità sono una grande oppor-tunità di maturazione per la comunità umana,che noi credenti dobbiamo saper additare ainostri compagni di strada.

Noi sappiamo che quando s’incontra qual-cuno che ha fame, ha sete, è nudo, è forestieroo è in prigione, in realtà s’incontra Gesù, equesto ci mette nelle condizioni di stare nellastoria, senza isolarci in una torre privilegiata,senza avere in tasca soluzioni precostituite, maconsapevoli di avere una comune dignità e unacomune responsabilità. La scelta giusta puòessere allora quella dell’idea guida propostada papa Francesco, di una “chiesa in uscita”,capace di camminare mano nella mano con gliuomini e le donne di oggi, condividendonedolori e gioie, partecipando attivamente allaricerca di soluzioni, mettendo in guardia i com-pagni di strada dai sentieri ciechi e dai perico-li del cammino, ma proponendo con generosi-tà i valori della solidarietà, della dedizione,dell’impegno, in alternativa alle vie prived’uscita della competizione, della supremaziae dell’isolamento. Quella proposta da Gesù èla via di un’umanità adulta, che sceglie di avan-zare nella storia in forma solidale. È questaopportunità che dobbiamo annunciare alle don-ne e agli uomini di oggi, pronti a rimboccarcile maniche per farlo insieme. È una sfida affa-scinante che dobbiamo saper raccogliere. Sem-plici uomini tra gli uomini, ma certi di una spe-ranza capace di trasfigurare la storia.

Lasciare la navigazione in acque tranquilledi baie riparate dai venti, avere il coraggio diuscire in mare aperto, confrontarsi senza reti-cenze con le novità e le incognite della nostraepoca, a questo ci chiama l’evento della Pa-squa, quello che fa nuove tutte le cose. L’aper-tura alla novità è probabilmente il modo piùautentico per essere fedeli al Cristo risorto.

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DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

Il desiderio di radicali mutamenti«A monte della novità portata da papa Francesco vi è il

recupero di quelle intuizioni riformatrici emerse nel Vaticano II»Intervista alla pastora battista Lidia Maggi

di DavidePelanda Fin dalle prima battute colte in TV e

sui giornali su8 papa Francesco,Lidia Maggi, pastora battista a Va-rese, teologa, e nostra interlocutricein questa intervista, è stata subito entu-

siasta di questo pontefice. Tanto da scrivermi,in una mail amicale: «Voi cattolici siete statifortunati ad averlo a capo della vostra Chie-sa». Quasi che un po’ ci invidiasse. Per questoabbiamo preso la palla al balzo richiedendoleun colloquio di cui vi rendiamo conto in que-sta intervista.

Lidia, c’è stata una lunga serie di titoli dilibri su questo Papa “venuto dalla fine delmondo”, come ha detto lui stesso nel mo-mento dell’insediamento. Sembra che lecase editrici cattoliche abbiano vendutomolte copie al salone del libro di Torinosu di lui.Abbiamo scritto, qualche tempo fa, sul no-stro giornale, che «Il papa è un testimo-nial eccezionale ma, nel deserto che stia-mo attraversando, tutti rischiamo di ab-bandonarci alla tentazione del leaderismoesasperato, dalla quale il Vangelo ci mettein guardia in modo molto severo. La pa-polatrìa è sempre in agguato, e applaudi-re il papa è molto più facile che accoglier-ne il messaggio esigente».Ti chiedo: da come si muove è un Papaattento all’immagine? Non si rischia unpo’ la cosìdetta “papolatria”? Non ti sem-bra che sia un personaggio mediaticamen-te molto sovraesposto? Perchè piace allefolle? Puoi commentare?

«Molti, prima di me, hanno raccontato lo stu-pore di vedere il capo della chiesa cattolica com-piere gesti ordinari, rinunciando agli agi (e allasolitudine) del Vaticano per abitare a Santa

Marta... Credo che una delle cose più apprez-zate dalla gente comune sia proprio questo mododi porsi che lo fa sentire “uno di noi”, mostran-do un’immagine di sé che rimanda ad uno stiledi esercizio del ministero papale che prende ledistanze dal ruolo di principe di un antico im-pero (pur decadente), per ricoprire quello di unleader che si avvicina alla gente (l’odore dellepecore che ha addosso il pastore).

In molti si sono stupiti per quel suo primodiscorso, iniziato con un normale saluto come“buonasera”, per il suo abbassare il capo perricevere la benedizione della gente, perchéFrancesco non ha paura a prendere l’autobus…Ma dopo la sorpresa iniziale, alcuni cattolicisi sono chiesti: ma dove eravamo arrivati, seci sorprendono gesti così ordinari? Che imma-ginario ci eravamo costruiti sul papato, se cisorprende un leader che rinuncia a stole di er-mellino e non disdegna il cibo di una mensa?È forse questa la domanda che dovremmo por-ci, ancor prima di interrogarci sui rischi di unpapa troppo popolare, che attira la sua atten-zione, più ancora che per i suoi pronunciamen-ti, per il suo modo “semplice” di essere. Unostile semplice non vuol dire improntato adun’ingenua spontaneità. Il papa conosce beneil disagio di dover rappresentare una chiesaspesso accusata, a ragione o torto, di predica-re la povertà senza viverla, di annunciare larinuncia di privilegi nonostante le tante corsiepreferenziali a cui essa continua ad accedere.Come uscire da questa contraddizione struttu-rale, se non attraverso un cambiamento nelmodo di vivere il papato? Un cambiamento distile per poter suggerire un’altra immagine dichiesa, più vicina alla predicazione di Gesù edei suoi primi discepoli.

E su questo, il suo ministero è stato vincen-te. Ha recuperato consenso per un chiesa con-

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DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

tinuamente sotto l’occhio del ciclone, ha rida-to vigore e motivazione a tutti quei cattoliciche non riuscivano a riconoscersi in una ge-rarchia troppo ingessata e spesso incapace diparlare al cuore delle persone».

Papa Francesco I sembra voler cambiarela Chiesa. L’abbiamo visto nelle sue aper-ture nel Sinodo della famiglia. Qualcunoteme che, per le sue aperture, avrà deiproblemi...

«Quello che appare evidente a chi, come me,vive la fede cristiana, pur appartenendo adun’altra confessione, è che a monte della no-vità portata da papa Francesco vi è il recupe-ro di quelle intuizioni riformatrici emerse nelVaticano II. Prima di Francesco - almeno agliocchi di una sorella di un’altra tradizione cri-stiana - le intuizioni del Vaticano II, che ave-vano infiammato e suscitato tante speranzedi rinnovamento, apparivano congelate. Levoci di coloro che ne facevano memoria ap-partenevano alla minoranza dei “dissidenti”.Oggi questa memoria del Concilio la ritro-viamo nelle parole e, soprattutto, nei gestidella più alta guida spirituale della chiesaCattolica.

Il Vaticano II lasciava intravedere il volto rin-novato di una chiesa finalmente non preoccu-pata di sé ma del vangelo, che prova a spo-gliarsi dei privilegi e ritrova la Parola delleScritture dopo secoli di esilio. Ed è proprioquesta Parola che spinge a ripensare la chiesa,ad indicarle la via della conversione, indican-dole la strada di “una chiesa povera per i po-veri”. Nel stagione post-conciliare sono pre-valse altre immagini di chiesa, altre logiche:la paura di perdere la propria identità, la pre-occupazione di essere una chiesa presente eben visibile sulla scena storica, la ricerca diuno specifico confessionale per lo più giocatosu temi etici (e all’interno dell’etica, soprat-tutto nell’ambito della morale sessuale).

Ad occhi attenti (ma esterni), questo lungopost-concilio ha assunto i tratti di un contrac-colpo, piuttosto che di una recezione di quan-to emerso in quella nuova Pentecoste.

La novità di papa Francesco sta proprio inquesto: nel ridare legittimità alle grandi pa-role d’ordine del Concilio, che sono frutto diun ascolto attento del Vangelo nella storia. Edè qui il paradosso: perché ciò che appare comenovità andrebbe letto, piuttosto, come unaripresa.

La sapienza pedagogica di questo uomo diDio è di rimandare al Vaticano II e, dunque,alla centralità del Vangelo, non tanto attraver-so la continua citazione dei documenti conci-liari, quanto piuttosto attraverso uno stile chesuscita interrogativi. Come il Gesù dei vange-li, anche Francesco pone prima dei gesti e poichiede: “capite quello che ho fatto?” (Gv.13,12). La fede è questione di stile di vita, nonsolo di pronunciamenti. Lo stiamo imparandotutti con Francesco. Forma e contenuti, gesti eparole vanno assieme. Sento in ciò una grandesintonia con la mia tradizione: è stata propriola Riforma, infatti, ad aver posto il problemadella forma della chiesa».

Che cosa rimane da fare ancora nellaChiesa cattolica per trasformarla radical-mente?

«L’entusiasmo per questa primavera, a lungoattesa e giunta inaspettata, ci ha fatto passaredallo stupore iniziale al desiderio di radicalimutamenti. Francesco è un uomo di Dio, uneccellente comunicatore; dimostra una grandeempatia per la gente ed è acuto il suo modo dileggere ed annunciare la Parola di Dio: ma pursempre un uomo! È necessario tenere a badaattese troppo alte, dettate probabilmente dalfatto che il contesto in cui ci muoviamo è cosìarido da focalizzarci sulle poche figure lumi-nose di questo nostro tempo. Rispetto a questatentazione bisogna un po’ salvaguardarsi.

Papa Francesco sta lavorando sullo stileevangelico. Difficile, però, pensare che si possacambiare uno stile secolare in poco tempo. Difatto, la stagione post-conciliare ci ha insegnatoproprio questo: che la storia non la si cambiacon colpi di spugna. E tuttavia, con il papavenuto dalla fine del mondo, stiamo imparan-do che la fatica del seminare, sui tempi lunghi,troverà la gioia del raccolto.

La generazione che ci ha preceduto ha semi-nato, ora tocca a noi. Non possiamo delegarea un solo cristiano tale responsabilità.

C’è uno sketch di Crozza che esprime benela sfida che i cattolici (ma, a loro modo, anchegli altri cristiani) hanno di fronte. Il noto co-mico veste i panni del Papa che porta il fri-go. Tutti lo applaudono e nessuno lo aiuta. Unastagione di riforma si apre a condizione chesia coinvolto l’intero popolo di Dio. Dobbia-mo resistere alla logica dello spettacolo, chemette sotto i riflettore un protagonista e riducegli altri a spettatori».

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DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

Come diffondere uno stile?«I cristiani tutti si sono ritrovati sul terreno deipronunciamenti dottrinali, delle affermazionidogmatiche; e su quel campo si è consumatolo scontro. Per molti, quello sembra l’unico lin-guaggio su cui far emergere la propria fede e,magari, aprire il dialogo. In realtà Francescoci fa capire che ci sono altri linguaggi. Soprat-tutto ha recuperato quel linguaggio simbolicocapace di parlare non solo alle teste, ma ai cuo-ri. Il linguaggio simbolico non é impositivo:apre orizzonti, più che definire identità; fa in-tuire la direzione e lascia libero il cammino.Il problema è che noi cristiani abbiamo orec-chie ostruite, incapaci a recepire questo lin-guaggio. Ci aspettiamo ancora i pronunciamen-ti. Battiamo la strada di un ecumenismo tuttogiocato sulle questioni teologiche. Penso che ivicoli ciechi in cui ci siamo imbattuti possanodiventare sentieri riaperti se cercheremo insie-me un medesimo (e plurale) stile evangelico enon solo il consenso dogmatico.Riaprire una stagione di dialogo (non solo ecu-menico, intra-cristiano, ma a tutti i livelli), chevada - come amava dire Abramo Levi - oltre ilconsenso ed oltre il dissenso, per cercare in-sieme il senso. Mi sembra questa la strada sug-gerita da Francesco».

Quale è il volto di Dio che dobbiamo ren-dere presente nella storia che stiamo at-traversando? Che, come credenti, siamochiamati ad annunciare per questo nostrotempo?

«Nei gesti e nelle parole di Francesco, la gen-te percepisce soprattutto il volto di un Dio ac-cogliente, non giudicante; di un Dio che sor-prende, con una visita inaspettata, che spazza

via certi stereotipi chedi solito abitano l’im-maginario religioso;un Dio che si nutre disapienza ordinaria, chenon disprezza il corpo,tocca, bacia, si fa toc-care, si relaziona contutti senza porre condi-zioni etiche.Certo, ci sono anche lesemplificazioni a cuiinesorabilmente va in-contro ogni parola cherisuona nella nostra so-cietà dello spettacolo.

Come quando si mette in contrapposizione ilvolto misericordioso di Dio con l’attributo del-la giustizia. La Bibbia ci insegna una fede dia-lettica, che mette in tensione più aspetti, chenon semplifica né Dio né l’esistenza umana.Solo un ascolto attento della Parola ed unapostura non presuntuosa ci aiuterà a comuni-care un volto meno sfigurato di Dio».

Sulle colonne del nostro giornale la scrit-tirce Michela Murgia ci ha detto che, se-condo lei, «La Chiesa è in un momentostorico in cui, per la prima volta, non stainnovando, come molte volte ha fatto inpassato precedendo governi e filosofie, masembra muoversi a traino e non tenere piùil passo. Eppure mai come in quest’orastorica di autosufficienza e di potenza tec-nologica il mondo ha avuto bisogno delmessaggio liberante e umanizzante di Cri-sto Gesù; confidare nell’ignoranza dellemasse per indurle al fideismo attraversole paraliturgie e le devozioni tradizionalisignifica abdicare al primo dovere eccle-siale, quello dell’annuncio e della sua te-stimonianza». Che ne pensi? Rispecchiaquello che vuole Papa Francesco I per lasua Chiesa?

«Io colgo il dono che è stato fatto alla chiesacattolica tramite questo fratello; il dono fattoall’ecumenismo di avere un interlocutore ospi-tale e non giudicante.Non commetto però l’errore di delegare a lui,e solo a lui, il cambiamento.Così come non mi aspetto, soprattutto di fron-te a tale esposizione mediatica, che Papa Fran-cesco possa sempre essere all’altezza del Van-gelo che ci annuncia. Sono protestante e noncredo che il papa sia infallibile! Il suo lavoro,come quello di ogni credente, va sottoposto averifica e a dibattito. Di fronte ad un evidenteed ampio consenso, registro anche l’esistenzadi voci critiche nei confronti di Francesco.Queste critiche possono non piacere, ma han-no diritto ad esserci. Che stile di chiesa vo-gliamo assumere, se mettiamo a tacere il dis-senso? La sinodalità e la collegialità non han-no anche a vedere con questo? Non facciamoun buon servizio, se ci ergiamo ad avvocati diufficio del papa. Perché lo spirito del ConcilioVaticano II, riproposto con forza da France-sco, ovvero il sogno di una chiesa non più pi-ramidale ma comunionale, rischia di veniremeno se è solo lui a riempire la scena».La pastora Lidia Maggi

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8 Aprile 2015

MORTE E RESURREZIONE

È la confusa speranza inseguita da tutti gli esseri umani,da quando l’umanità ha iniziato ad esistere. Anzi, lapreoccupazione di trasformare in qualche modo la propriasepoltura in un segnale di vita ed elaborare qualche formadi rito funebre è il punto di passaggio alla fase “umana”dell’evoluzione.

RISURREZIONEIl Messaggio Pasquale non è da leggere “contro” i messaggidi altre tradizioni culturali, ma integrandolo ad esse.Credere che “qualcosa” possa prolungare la nostra vita inun “aldilà” di cui nulla sappiamo ma di cui avvertiamo lanecessità, ci affratella con tutto il genere umano.

Dopo il mio ultimo sguardo sul mondoQuando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo

sul mondo,non voglio pietra su questo mio corpo, perché pesante mi

sembrerà.Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio;voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman

di Dio.

Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino,come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche

mattino.E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovoe innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso.

Ed in estate, se il vento raccoglie l’invito fatto da ogni gemmafiorita,

sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita.E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l’albero e iosempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che

dicon di DioFRANCESCO GUCCINI

L’albero ed io

Donare il proprio corpoper studi medico-scientifici?Tempi di Fraternità Dicembre 2012

«Prima di ritornare cenere, o polvere, o terra, aseconda di come si voglia tradurre, - ci ricordaGrazia Mattutino, del Laboratorio per lo Studiodel Cadavere Dipartimento di Anatomia,Farmacologia e Medicina Legale all’Universitàdi Torino - possiamo ancora fare un ultimo donoa chi verrà dopo di noi, che è davvero propriol’ultimo possibile ma che è grandemente utile,poiché qualcuno, attraverso il mio cadavere,potrà imparare a curare meglio qualcuno chemorto ancora non è, che non conoscerò mai inquesta vita e quindi posso davvero dire che èun dono disinteressato e gratuito»... SanFrancesco di Sales fu il primo prelato adesprimere la volontà di donare il suo cadavereagli studenti di medicina. In seguito poi, nel2008, a Torino vi fu un convegno organizzatoappunto dal Laboratorio per lo Studio delCadavere di cui abbiamo accennato sopra conil patrocinio tra gli altri dell’Ufficio di Pastoraledella Salute dell’Arcidiocesi di Torino che videtra i relatori monsignor Sergio Pintor.E-mail: [email protected];

[email protected]

Capsula MundiL’idea del cerchio della vita e tornare da dove siamo venuti piace amolti di noi, a prescindere dalla nostra fede (o dalla assenza di fede)e questo è quello che propone il nuovo metodo di sepoltura svilup-pato in Italia. Il progetto ”Capsula Mundi” dei designer Anna Citellie Raoul Bretzel ha sviluppato una capsula di sepoltura organica ebiodegradabile che trasformerà il corpo del defunto in sostanze nu-tritive per un albero che crescerà dai suoi resti... la legge italianavieta questo tipo di sepoltura; se fosse tuttavia permesso di procede-re l’obiettivo del progetto sarebbe quello di creare interi parchi com-memorativi pieni di alberi al posto delle lapidi. L’idea che i nostriparenti e discendenti potranno visitare il nostro albero, prendersenecura e riposare sotto la sua ombra è davvero confortante.

a cura di Gianfranco Monaca

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MORTE E RESURREZIONE

Centro ArtemisiaÈ morto nel reparto geriatrico di una casa di cura in un paesedi campagna australiana, si credeva che nulla di valore egliavesse potuto lasciare.

Più tardi, le infermiere sistemando i suoi pochi averi,trovarono questa poesia. La qualità ed il contenuto impressio-narono lo staff che volle farne tante copie da distribuire agliinfermieri di tutto l’ospedale.

Un’infermiera di Melbourne volle che una copia dellapoesia comparisse nelle edizioni di Natale delle riviste ditutto il paese come unico lascito di questo vecchio per i posterie facendo in modo che figurasse su tutte le riviste per lasalute mentale.

È stata anche fatta una raccolta di immagini dedicata aquesta semplice ma eloquente poesia.

E così questo vecchio, che nulla pareva potesse dare almondo, ora è l’autore di questa poesia ‘anonima’ che volaattraverso la rete internet.

“Cranky” - uomo vecchio ...Cosa vedi infermiera ? ... Cosa vedete ?Che cosa stai pensando mentre mi guardi ?“ Un povero vecchio “ ... non molto saggio ...con lo sguardo incerto ed occhi lontani ...Che schiva il cibo ... e non da risposte ...... e che quando provi a dirgli a voce alta :... “ almeno assaggia “ !!!sembra nulla gli importi di quello che fai per lui ...Uno che perde sempre il calzino o la scarpa ...... che ti resiste, non permettendoti di occuparti di lui ...per fargli il bagno, per alimentarlo ...e la giornata diviene lunga ...

Ma cosa stai pensando ? ... E cosa vedi ??... Apri gli occhi infermiera !! ...perché tu non sembri davvero interessata a me ...Ora ti dirò chi sono ... mentre me ne sto ancora sedutoqui a ricevere le tue attenzioni ... lasciandomiimboccare per compiacerti.“ Io sono un piccolo bambino di dieci anni con unpadre ed una madre,Fratelli e sorelle che si voglion bene ...Sono un ragazzo di sedici anni con le ali ai piedi ...che sogna presto di incontrare l’amore ...A vent’anni sono già sposo ... il mio cuore batte forte ...giurando di mantener fede alle sue promesse ...A venticinque ... ho già un figlio mio ...che ha bisogno di me e di un tetto sicuro,di una casa felice in cui crescere.Sono già un uomo di trent’anni e mio figlio è cresciuto... velocemente, siamo molto legati uno all’altro da unsentimento che dovrebbe durare nel tempo.Ho poco più di quarant’anni, mio figlio ora è un adultoe se ne va, ma la mia donna mi sta accanto ...per consolarmi affinché io non pianga.A poco più di cinquant’anni ... i bambini mi giocanoattorno alle ginocchia ...Ancora una volta, abbiamo con noi dei bambini ioe la mia amata..Ma arrivano presto giorni bui ... mia moglie muore ...... guardando al futuro rabbrividisco con terrore ...Abbiamo allevato i nostri figli e poi loro ne hannoallevati dei propri.... e così penso agli anni vissuti ... all’amore che hoconosciuto.Ora sono un uomo vecchio ... e la natura è crudele.Si tratta di affrontare la vecchiaia ... con lo sguardo diun pazzo.Il corpo lentamente si sbriciola ...grazia e vigore mi abbandonano.Ora c’è una pietra ... dove una volta ospitavo un cuore.Ma all’interno di questa vecchia carcassa un giovaneuomo vive ancora ...e così di nuovo il mio cuore martoriato si gonfia ...Mi ricordo le gioie ... ricordo il dolore.Io vorrei amare, amare e vivere ancora ...ma gli anni che restano son pochissimi ...tutto è scivolato via ... veloce !!!E devo accettare il fatto che niente può durare ...Quindi aprite gli occhi gente ... apriteli e guardate ...... “ Non un uomo vecchio “ ...avvicinatevi meglio e ... vedete ME !!!

Ricordatevi questa poesia quando incontrate una personaanziana per evitare di metterla da parte senza guardareall’anima giovane che le sta all’interno perché tutti noi ungiorno, saremo così ... purtroppo.

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10 Aprile 2015

SERVIZIO BIBLICO

di ErnestoVavassori

a cura diGermana Pene

Kata Matthaion Euangelion (32)

Vangelo secondo Matteo

Mt 8, 1-4 (seconda parte)

Quando Gesù fu sceso dal monte, molte folle lo seguivano. Ed ecco venire unlebbroso e prostrarsi a lui dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi». E Gesùstese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii sanato». E subito la sua lebbrascomparve. Poi Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va’ a mostrartial sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianzaper loro».

“E Gesù, stese la mano”È l’unica volta in tutto il vangelo in cui Gesùtende la mano; è un’espressione tecnica, chetroviamo nell’AT, che viene usata ogni voltache Dio interviene nelle piaghe d’Egitto perprovocare sterminio, distruzione e morte.

Ogni volta che il Dio di Mosè stende la manoè per provocare dolore, distruzione e morte deinemici, e così pure Mosè. Gesù, il Dio con noi,l’Emmanuele, come l’ha chiamato Matteo, al-l’inizio del suo vangelo, di fronte al peccatoreper eccellenza, di fronte al maledetto, stendela mano, e anziché distruggere il peccatore lotocca. Perché?

Tante volte Gesù cura, purifica le personesenza alcun bisogno di contatto fisico, ma quilo tocca e questo perché la parola di Dio, nelLibro del Levitico, diceva che è proibito toc-care un lebbroso, essendo un morto civile ereligioso, che non può aver parte con gli altriper non infettarli, come sta scritto nel libro delLevitico: “Se ne starà solo fuori dell’accam-pamento”1.

Gesù lo tocca, dimostrando la falsità di unalegge che veniva contrabbandata come volon-tà di Dio (ecco l’autoritarismo degli scribi)quando invece era soltanto un’invenzione de-

gli uomini, e lo fa dicendo: Lo Voglio; cioè lavolontà di Dio è che nessuno, per la situazioneche vive (per la mentalità dell’epoca costui ècolpevole, non è un innocente) debba essereallontanato e ritenuto escluso dalla presenza evicinanza di Dio.

Gesù dichiara che non esistono persone im-pure e che non possano avvicinarsi a Dio; Dionon tollera che in nome suo ci possano esserediscriminazioni tra persone, indipendentementedalla loro condotta morale e religiosa; e se que-sto è scritto nella parola di Dio, come in que-sto caso nel Levitico, quella parola è falsa. Unaparola di Dio che discrimina, per qualunqueragione, non può essere “Parola di Dio”. Pernoi cristiani è Gesù il criterio ermeneutico-interpretativo per capire tutta la Bibbia.

L’amore di Gesù, quell’amore che purificale persone, arriva a tutti quanti, gratuitamente,non per i loro meriti; la religione insegnava epurtroppo insegna ancora che la persona do-veva essere pura per poter accogliere Dio; Gesùdimostra il contrario: è l’accoglienza di Dioquella che rende la persona pura.

La purità non è un merito dei propri sforzi,ma un dono gratuito di Dio, Dio che scendedal monte verso di noi ci rende puri.

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SERVIZIO BIBLICO

Qui il lebbroso non ha fatto niente per meri-tarsi questa purificazione: non ha compiuto attipenitenziali, preghiere, tantomeno si è confes-sato nel senso di dire: ho sbagliato, propongodi non farlo più se mi guarisci.

È difficile per noi entrare in questa mentali-tà, anche solo a livello inconscio; se chiedia-mo qualcosa dobbiamo offrire qualcos’altro incambio, che Dio veda che almeno mi sforzo dimigliorare.

“Se vuoi, puoi”. “Lo voglio, sii purificato”.E subito fu purificato dalla lebbra

Con questo gesto di Gesù, tutta quella tradi-zione spirituale che reggeva l’istituzione reli-giosa giudaica, crolla.

La paura dell’istituzione è sempre questa: sela parola di Dio, che deve regolare il nostrocomportamento, è sbagliata o può sbagliare,dove andremo a finire?

E la nostra chiesa ha sempre fatto un’enormedifficoltà ad ammettere di poter sbagliare. Ave-va provato Giovanni Paolo II a fare la richiestadi perdono subito ridimensionata dalla cortecardinalizia: si, qualcuno nella chiesa avevasbagliato, ma la chiesa in sé non sbaglia.

Gesù dice: il Levitico sbaglia; il lebbroso nonè ritenuto da Dio un appestato da evitare, maio ti dimostro che è un fratello da accogliere.

La lebbra, di qualunque tipo, compresa lamorte, non è più immonda, non esclude dallavita. Il tocco interiore della sua parola ci liberada qualunque lebbra e quindi dalla morte: ciguarisce e ci fa figli e fratelli, amati dal Padre.

È un processo che dura tuta la vita e si com-pie nella morte, ed è importante la sottoli-neatura: ...e subito fu purificato.

“E immediatamente fu purificato...”

È importante questo avverbio, che non è unanota cronologica e non è una conseguenzamorale, cioè dovuta ai buoni propositi dell’in-dividuo, che non ne ha fatti, ma si riferisce al-l’amore di Dio, che purifica, è il dono del suoSpirito, che viene consegnato interamente, euna volta per sempre. La grazia è già stata datae non può aumentare, come forse qualche ani-ma pia crede ancora, perché con Gesù, la Sto-ria è già satura della grazia che ci è stata dona-ta dalla sua croce: “Tutto è compiuto”. Nondobbiamo fare niente noi, solo aprirci al donogratuito di Dio. E non si può rappresentare(vedi fiction varie), altrimenti si fa il teatrinodella magia.

Non è una questione di tempo ma noi siamotempo, viviamo gli eventi in successione e al-lora il dono lo possiamo accogliere solo passodopo passo, lungo il cammino della nostra vita;siamo sempre in processo, in cammino. Pro-cesso che avrà il suo compimento nella morte,che sarà l’abbandono totale alla grazia, a cuidovremmo esserci allenati da sempre.

Ma anche lì si arriva a morire in maniera pro-gressiva, non si può morire così, all’improvvi-so, e quando succede (perché si sono anche lemorti improvvise), queste vite vanno riscatta-te, in qualche modo, perché sono vite incom-piute. Questo perché si sta facendo un cammi-no, Dio si sta facendo con noi, e lì è come seDio fosse stato bloccato nel divenire di quellapersona. Se ognuno di noi è fatto a immaginee somiglianza di Dio, espressione del suo mi-

Alvise Vivarini - San Matteo (c. 1480)Gallerie dell'Accademia, Venezia

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12 Aprile 2015

SERVIZIO BIBLICO

stero, vuol dire che lì manca qualcosa, comese si creasse un vuoto, e quel vuoto qualcunolo deve riempire.

“E Gesù gli dice: Guarda di non dirlo a nes-suno; ma va, mostrati al sacerdote e pre-senta l’offerta che ordinò Mosè in testimo-nianza contro di loro”

I lebbrosi vivevano al di fuori della società e aquell’epoca, sotto la voce lebbra, cadeva qua-lunque infezione della pelle, anche un eczema,un eritema, tutto ciò che provocava un’altera-zione della pelle o del cuoio capelluto, e se dal-la vera lebbra non era possibile guarire, da que-ste altre forme, a volte, c’era la guarigione.

Per rientrare in famiglia e nella società do-vevano presentarsi al tempio, essere esamina-ti attentamente dai sacerdoti (un ufficio di igie-ne del tempio) che, dietro modica offerta di treagnelli (in via eccezionale uno solo se la per-sona era un poveraccio), gli consegnavano ilcertificato di riammissione nella società.

Quindi era previsto il caso che Dio potesseguarire (la guarigione era sempre opera di Dio)dalla lebbra, ma bisognava, in qualche manie-ra, pagare questa guarigione. Questa è la leg-ge che i sacerdoti avevano inventato per lorouso e consumo e che Gesù dichiara falsa, ri-chiamandosi alla vera volontà di Dio, che i sa-cerdoti invece, per loro interesse, avevano resosempre più difficile da praticare.

I sacerdoti vivevano del peccato della gen-te; più la gente peccava e più loro si ingrassa-vano; quindi tuonavano contro il peccato maguai se la gente non avesse più peccato! Cosaimpossibile, peraltro.

Dice Osea:“Voi sacerdoti vi nutrite del peccato del miopopolo e siete avidi della sua iniquità”2; rice-vendo una parte importante dei sacrifici per ilpeccato3 e dei sacrifici di riparazione4, i sacer-doti traevano profitti dai peccati del popolo5.

Per mantenere costante il flusso di offerte altempio per il loro mantenimento rendevanosempre più difficile l’osservanza della leggedi Dio e il profeta Geremia, deluso dagli scribie dai sacerdoti, ha delle parole infuocate con-tro di loro che hanno falsificato la legge di Dio6.

Ecco come la legge di Dio viene falsificata:piegandola al proprio interesse, rendendo sem-pre più pesante e difficile l’osservanza dellalegge di Dio, moltiplicando i pesi, come dirà

Gesù un giorno (Mt 23,4ss.). La testimonian-za è “contro” di loro nel senso che il Dio cheloro presentano alla gente è falso.

Gesù, che è Dio, ha guarito questo lebbrososenza nessuna tangente, e il Dio di Gesù nonchiede i sacrifici degli uomini ma è lui che sisacrifica e si offre per loro, cioè il Dio di Gesùè il Dio del dono gratuito.

Il lebbroso testimonia ai sacerdoti che c’èuno che può dare quella vita che la loro leggedice senza dare veramente.

1 Lv.13,45.2 Os 4,8.3 Questa è la legge del sacrificio espiatorio: delluogo dove si immola l’olocausto, sarà immola-ta davanti al Signore la vittima per il peccato. Ècosa santissima, la consumerà il sacerdote chel’offrirà per il peccato (Lv 6,19-22).4 Il sacrificio di riparazione è come il sacrificioespiatorio, la stessa legge vale per ambedue: lavittima sarà del sacerdote che avrà compiutol’espiazione. Il sacerdote che avrà fatto l’olocau-sto per qualcuno, avrà per sé la pelle dell’olocau-sto da lui offerto. Così anche ogni oblazione cot-ta nel forno o preparata nella pentola o nella teglia,sarà del sacerdote che l’ha offerta. Ogni oblazioneimpastata con olio o asciutta sarà per tutti i figlidi Aronne, in misura uguale (Lv 7, 7-10).5 “Ora i figli di Eli erano uomini depravati; nontenevano in alcun conto il Signore, né la retta con-dotta dei sacerdoti verso il popolo. Quando unosi presentava a offrire il sacrificio, veniva il ser-vo del sacerdote mentre la carne cuoceva, con inmano un forchettone a tre denti, e lo introducevanella pentola o nella marmitta o nel tegame o nel-la caldaia e tutto ciò che il forchettone tirava su ilsacerdote lo teneva per sé. Così facevano con tut-ti gli Israeliti che venivano là a Silo. Prima chefosse bruciato il grasso, veniva ancora il servodel sacerdote e diceva a chi offriva il sacrificio:«Dammi la carne da arrostire per il sacerdote, per-ché non vuole avere da te carne cotta, ma cruda».Se quegli rispondeva: «Si bruci prima il grasso,poi prenderai quanto vorrai!», replicava: «No, mela devi dare ora, altrimenti la prenderò con la for-za». Così il peccato di quei giovani era molto gran-de davanti al Signore perché disonoravano l’of-ferta del Signore (1 Sam 2,12-17).6 “Come potete dire: noi siamo saggi, la Leggedel Signore è con noi? A menzogna, l’ha ridottala penna menzognera degli scribi! I saggi saran-no confusi, sconcertati e presi come in un laccio:essi hanno rigettato la parola del Signore, qualesapienza possono avere?” (Ger8,8-9).

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segue a pag. 28

RECENSIONE

Giuliano PavoneVenditori di fumo

Quello che gli italianidevono sapere

sull’ILVAe su Taranto

Barney EdizioniMilano, 2014

pp. 152 - € 9,00

VENDITORI DI FUMOQuello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto

di LauraTussi

segue a pag. 28

Il libro di Giuliano Pavone esordisce condue citazioni tratte dall’ordinanza di se-questro dell’area a caldo dell’Ilva di Ta-ranto, disposta dal Giudice per le inda-gini preliminari Patrizia Todisco, nel lu-

glio del 2012.“Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato

nell’attività inquinante con coscienza e volontàper la logica del profitto, calpestando le piùelementari regole di sicurezza”. “La gestionedel siderurgico di Taranto è sempre stata ca-ratterizzata da una totale noncuranza dei gra-vissimi danni che il suo ciclo di lavorazione eproduzione provoca all’ambiente e alla salutedelle persone”.

L’Autore dedica il Libro non solo alla me-moria del piccolo Lorenzo Zaratta, una delleinnumerevoli vittime dell’inquinamento indu-striale, ma anche “a chi ama Taranto e lo dimo-stra coi fatti”, riferendosi agli esperti attivistiche operano nell’associazionismo ambientali-sta tarantino e che si spendono e si sacrificanoquotidianamente per portare alla luce la verità,in quanto l’omertà, la menzogna e la conniven-za a Taranto fanno ancora più rabbia della non-curanza con cui l’industria ha devastato am-biente e distrutto vite umane, per la logica spie-tata del massimo profitto dei padroni.

Parafrasando Italo Calvino, Taranto sembrauna “Città invisibile”, in senso letterale, inquanto dimenticata e sconosciuta ai più. Lapolitica nazionale è sempre rimasta sorda allerichieste di aiuto giunte più volte dal capoluo-go jonico e, anzi, ha adeguato l’impianto nor-mativo alle esigenze dell’Ilva, della grande in-dustria, piuttosto che pretendere il rispetto delleregole da parte del colosso siderurgico.

La politica locale, inoltre, dopo anni di stasisostanziale, sembrava, anche grazie alle spin-te dell’associazionismo ambientalista e ecopa-cifista tarantino, aver preso a cuore il proble-ma; invece ha palesemente tradito le aspettati-ve, mostrando un asservimento perdurante alle

bieche logiche del profitto e della grande in-dustria. “Città invisibile” Taranto lo è in sensoletterale, perché sconosciuta, dimenticata, pococonsiderata e compresa, abbandonata.

Con “Le città invisibili” di Italo Calvino hain comune la natura fantastica, estrema, forte-mente allegorica: doppia come due sono i suoimari, piena di contrasti, liquida e sfuggente.Taranto, in questa congiuntura, sembra visibi-le, ma non è niente. Anche se potrebbe esseretutto. Una città dove regna la convinzione chenulla mai possa cambiare, in una sorta di annozero, dopo anni di sostanziale immobilismo: ilblocco, da parte della Magistratura, dell’azien-da matrigna, il siderurgico più grande d’Euro-pa, un colosso esteso che apre disparati oriz-zonti davanti alla città, dalla crisi occupazio-nale e irreversibile a tensioni sociali fuori con-trollo, nell’implosione più totale.

L’alternativa? Messa a norma degli impian-ti, riconversione, bonifiche e sostanziale ripen-samento dell’economia cittadina, come esem-pio di nuovo modello di sviluppo ecocompati-bile e ecosostenibile, per un futuro salubre eprospero. E se il terremoto politico-giudizia-rio si rivelasse l’ennesimo fallimento e tutto,ancora una volta, fosse destinato a tornarecome prima del sequestro degli impianti side-rurgici?

“A Taranto dominava un’accozzaglia di su-perficialità, scarsa preparazione, finta cono-scenza dei problemi, mischiata a rozza e in-sensata sicurezza. In tanti credevano che l’in-quinamento li avrebbe corazzati e che, respi-rando un po’ alla volta i veleni, si sarebberoimmunizzati. Una folle e insensata convinzio-ne che albergava anche nella mente di gentelaureata”.

Così ha scritto Alessandro Marescotti, pre-sidente dell’associazione ecopacifista Peace-Link, nell’introduzione del fumetto “L’eroe dei

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14 Aprile 2015

NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

a cura dellaredazionedi RistrettiOrizzonti

Rubrica a cura diRistretti OrizzontiDirettore:Ornella FaveroRedazione:Centro Studi diRistretti OrizzontiVia Citolo daPerugia n. 35 -35138 - Padovae-mail: [email protected]

Il dolore e la solitudine degli internatinegli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

La chiusura degli Ospedali psichia-trici giudiziari, che doveva avve-nire ancora un anno fa, pare noninteressi a nessuno. Non interessaa tante Regioni, che dovevano pre-

disporre dei percorsi di cura e riabilitazioneindividuali, potenziando i servizi socio-sani-tari territoriali, che servono a tutti i cittadini.E invece non hanno fatto quasi niente. Non in-teressa a tanta politica, che vive delle emer-genze e non sa pensare a progetti proiettativerso il futuro. Non interessa a tanta infor-mazione, che si è dimenticata in fretta di questimalati rinchiusi in strutture che di umano han-no ben poco, come certi OPG. Parliamone allo-ra, per evitare che si faccia slittare ancora que-sta necessaria chiusura: noi da parte nostra cer-chiamo di non dimenticare che questi “manico-mi criminali” vanno davvero chiusi, proponen-do ai lettori le riflessioni di due persone dete-nute, dedicate agli uomini rinchiusi negli OPG.

La morte di un “matto” fra le sbarreQualche giorno fa ho letto questa notizia sullarassegna Stampa di Ristretti Orizzonti: “Unaltro internato muore in cella come un cane.(...) Lo hanno trovato immobile sul letto. Inso-spettiti dalla sua strana posizione, gli uominidella Polizia penitenziaria dell’ospedale psi-chiatrico giudiziario di Aversa non hanno po-tuto fare altro che accertare la sua morte”. Echissà perché quando muore un “matto” in car-cere, che le persone perbene chiamano ospe-dali psichiatrici, mi incazzo di più. Forse per-ché nelle carceri ci si finisce perché lo vuoi tuo lo vuole la tua vita, invece nei manicomi ci

vai da innocente perché lo vuole Dio o la na-tura per lui. Forse, semplicemente, quandomuore un matto in carcere mi incazzo perchémi ricordo di quella volta, appena ventenne,che mi mandarono al manicomio dove mi riem-pirono di pugni nel cuore e calci nel corpo emi legarono per lungo tempo al letto di con-tenzione. Fu lì che conobbi Concetto. Chissàse è ancora vivo. Non penso, almeno lo speroper lui. Probabilmente, a quest’ora, per sua for-tuna, sarà nel paradiso dei matti. Spero soloche non sia morto legato nel letto di conten-zione o con la camicia di forza.

Mi ricordo che Concetto per il carcere deimatti era un osso duro. E gli operatori del ma-nicomio potevano fare ben poco contro di lui,perché lui non aveva più né sogni né speran-ze. D’altronde non ne aveva quasi mai avuti.Non c’era con la testa. Era quasi tutto cuore epoco cervello, ma era buono e dolce come losanno essere solo i matti. Non parlava quasimai con nessuno. Lo faceva solo con me. Miricordo che Concetto viveva di poco e di nien-te. Il mondo non lo interessava più. Il mondolo aveva rifiutato e lui aveva rifiutato il mon-do. Non gli interessava neppure più la libertàperché lui ormai si sentiva libero di suo. E nondava confidenza a nessuno, ma non gli sfuggi-va niente. Concetto mi aveva raccontato cheera cresciuto da solo. Senza nessuno. Prima incompagnia delle suore. Poi dei preti. La suainfanzia non era stata bella. Non aveva maiavuto famiglia. Nessuno lo aveva mai voluto.Nessuno aveva mai voluto stare con lui. Finda bambino aveva imparato a tenersi compa-gnia da solo. Solo con il suo cuore. E con la

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NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

sua pazzia. Neppure il carcere lo aveva voluto. E loavevano mandato al manicomio. Si era sempre rifiutatodi sottomettersi alla vita e al mondo. E dopo si era rifiu-tato di sottomettersi all’Assassino dei Sogni (il carcerecome lo chiamo io) dei matti, per questo lo tenevanoquasi sempre legato. Tutti pensavano che fosse pazzoda legare. Lo pensava pure lui. Io invece non l’ho maipensato. E non l’ho mai dimenticato nonostante sianopassati quarant’anni. Nel suo sguardo non c’era nessu-na cattiveria, quella cattiveria che invece vedo spesso,anche adesso, nelle persone “normali”.

Spero che chiudano molto presto gli OPG perché nonsono altro che luoghi di tortura. E chissà quanti Con-cetti ci saranno ancora dentro quelle mura.

Carmelo Musumeci

Quante persone in carcere avrebbero bisognodi cure psichiatriche!Recentemente nel carcere di Padova un detenuto è mor-to. Il suo nome era Antonio Prandato.

Sono nella mia cella e proprio in questo istante stavopensando al fatto che non ho sentito parlare di lui al dilà di questi muri, così ho pensato di farlo io. Qui da noiinvece lo conoscevamo, lo conoscevamo anche perchétanti disagi, rabbia e risse nati nella sua sezione di re-cente hanno avuto origine dal fatto che Antonio stavamale, e tardavano ad intervenire. L’abbiamo detto quan-do abbiamo ricostruito quei fatti, e la realtà ci ha datotristemente ragione: Antonio stava male, Antonio dopopochi giorni è morto.

Io sono stato in sezione con lui... Antonio era un uomodi corporatura grossa, quando camminava aveva unpasso lento e costante, ondeggiante e instabile. A voltele sue mani si chiudevano in un pugno la cui forza eravisibile ad occhio nudo. Antonio era soprannominato“Babbo Natale” per la sua lunga barba grigia e il coloredei suoi capelli. Quando rideva sul suo volto si esten-deva un sorriso fatto solo di gengive… non aveva ne-anche un dente. Non mancava mai di scendere al pas-seggio, poteva anche esserci una temperatura al di sot-to dello zero che lui con la sua camicia allacciata permetà e con sopra una giacca lunga, sporca e sempreaperta, camminava attorno ai muri dell’aria. Parlavamolto, ma lo faceva da solo. Era convinto che tutti lovolessero fregare in qualche modo. Era maniacale. An-tonio era identificato da tutti noi come il pazzo che avevaammazzato una lucciola. Ma Antonio non doveva esse-re in una struttura com’è oggi il carcere, però la secon-da ipotesi che poteva esserci per lui era quella di diven-tare uno dei tanti uomini rinchiusi in qualche OPG.

Non sono in grado di dirvi cosa poteva essere meglioper lui, perché gli OPG li identifico come l’inferno dan-tesco, vari gironi per ogni grado di dolore. Però sonocerto di una questione, tra l’altro anche molto banale, so

che qualcosa anche qui non ha funzionato e purtroppoancora non funziona.

Nelle carceri c’è una grande presenza di persone cheavrebbero bisogno di cure psichiatriche, ma quando siparla di “cura” non si può avere la presunzione di farlacon qualche raro colloquio con uno specialista. Dalmomento del nostro arresto la nostra vita è interamentenelle mani di altri uomini: io voglio però sottolineare laparola “uomini” proprio identificandoli come esseripensanti. Allora quello che mi chiedo è: come può es-sere che gli uomini che hanno in mano le nostre vitenon si pongano delle domande di fronte agli orrori chesi vivono negli OPG, e anche nelle carceri?

La chiusura degli OPG, con la conseguente cessazio-ne delle condizioni spesso poco umane nelle quali vi-vevano le persone rinchiuse lì dentro, doveva avvenireancora un anno fa. Forse dopo tanti rinvii si arriveràfinalmente a una conclusione, ma c’è una parte di meche mi dice: “aspetta a cantar vittoria”. Forse è pro-prio la mia parte razionale che subentra a frenare il mioentusiasmo. Non so il perché, ma questo Paese sta di-ventando sempre più un Paese di rinvii.

Sono un recluso e vi posso dire che nei penitenziaric’è molta sofferenza e ci sono molti casi dove il carcerenon serve a niente; per esempio questo credo sia il casodelle persone tossicodipendenti. Queste persone hannobisogno di più cure e meno galera.

C’è una cosa che sto imparando in questa mia deten-zione: i problemi vanno affrontati. Nella mia vita nonl’ho mai fatto e quello che questo modo di vivere mi haportato è un certificato con un fine pena datato 2037.Ma purtroppo vedo che chi dovrebbe decidere delle vitedi tanti, come i politici che dovrebbero chiudere gli OPG,continua a rinviare, si rinvia sempre tutto fino a quandoil problema non è più sostenibile e finisce spesso che lesituazioni diventano scandali pubblici. E poi mi chiedoquanto sia pubblico questo scandalo degli OPG, vistoche se ne parla così poco.

Anche se siamo detenuti, abbiamo il diritto di esserecurati in una maniera decente e che rispetti la dignitàche appartiene ad ogni essere umano, libero e non.

Aspetto con molta curiosità il 31 marzo per vedere sele parole dell’emerito Presidente della Repubblica Gior-gio Napolitano, che ha definito gli OPG come una si-tuazione di “estremo orrore” e inconcepibile in qualsi-asi Paese appena civile, sono state davvero ascoltate.

Lorenzo Sciacca

Nota: Nel Mattino di Padova dell’11 maggio 2011, nel-la cronaca del processo e della condanna di Prandato,si legge: “La pena a 10 anni, richiesta anche dal pub-blico ministero Paolo Luca, Antonio Prandato la scon-terà in un istituto idoneo e non in carcere”. E invece,guarda caso, Antonio Prandato è morto IN CARCERE.

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16 Aprile 2015

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

Con gli occhi dei giovani

In quale modo i giovani guardano il mondo caotico dei nostri tempi? Le nuove gene-razioni sono le principali vittime del sistema. Sparito (o quasi) il lavoro, si sarebbeportati a pensare che lo vedano come un luogo ostile che induce al pessimismo. Invece,

se permettiamo che si esprimano, abbiamo la sorpresa di trovarli propositivi, fiduciosi,disposti al cambiamento. Un vero antidoto alla malinconia di tanti adulti.

Su questo numero presentiamo la seconda puntata di questa nuova rubrica. Alcunigiovani riflettono su “il dono”, visto da diverse angolazioni (si parla anche dei doni diNatale!). I successivi interventi saranno scritti da giovani e si alterneranno con una “voce”più matura, quella di Elisa Lupano, counselor, che guarderà il loro mondo con occhidiversi, in una sorta di dialogo “a distanza” tra due generazioni su tematiche sociali e divita vissuta... - lei sta a Torino, mentre i giovani che abbiamo interpellato stanno a Cuneo,all’Istituto Magistrale Statale “Edmondo De Amicis”, ma anche in altri luoghi d’Italia - echissà che, tra qualche tempo, non ne nasca una sintonia ed una amicizia!

di AriannaBoggione,Eliana Giraudo,Martina Viada

I doni che portano gioia

Ho sempre adorato la festa di Na-tale. Sempre. È una di quelle po-che occasioni all’anno in cui cisi riunisce tutti insieme, nessunoescluso, e ci si diverte. È uno di

quei momenti che rimangono impressi nellatua memoria e che ricorderai per tutta la vitacome attimi dolci e ricchi di affetto. Questafesta fa ritrovare le persone, le lega con unfilo invisibile.

E poi gli acquisti! File di persone andrannoper negozi, ragionando su cosa farebbe piace-re ai propri parenti e amici. Pensare alla sor-presa che i propri regali susciteranno, pensareai sorrisi che si apriranno alla loro vista, pen-sare alla felicità che doneranno.

A molti questa occasione potrebbe sembrareil “reame del consumismo”, in cui tutti spen-dono per le cose più inutili. E forse hanno ra-

gione. Forse. Perché queste cose “inutili”, inrealtà, sono le cose che fanno meglio. Sono lamedicina perfetta contro la tristezza e la ma-linconia.

I regali non sono solo un oggetto che ti vie-ne dato da qualcuno, un qualcosa di cui avre-sti anche potuto fare a meno. Sono la provache qualcuno al mondo ti vuole bene. E pensaa te. Questo è il vero significato dei doni. Di-mostrare il tuo affetto verso qualcuno. E poi,non importa se quel regalo è solo un sopram-mobile che non serve a nulla, che verrà messosu una mensola e non sarà più spostato da lì.

Perché, per un attimo, quell’oggetto ha por-tato gioia. Avete mai fatto caso ai sorrisi quan-do qualcuno sta aprendo un regalo? Sapete, se-condo me, non c’è solo un tipo di sorriso. Chiha fatto il dono ha un’espressione di attesa,vuole vedere se piacerà il suo regalo, ma an-

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IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

che di consapevolezza, il tipico sorriso “io-so-qualcosa-che-tu-non-sai”.

E chi riceve il regalo, invece? Sul suo visoc’è un misto di stupore, eccitazione, felicità egratitudine. È uno spettacolo senza pari, unacosa semplice, ma a suo modo stupenda. I ge-sti più semplici sono sempre i migliori. Nonscordatelo mai.

Tornando a noi, abbiamo un terzo tipo di sor-riso. Quello degli altri invitati, che si sporgo-no curiosi per vedere cosa c’è dentro il pacco.Ed ecco qua. Visto che ci sono tanti tipi diespressioni? Tutte diverse, ma tutte all’inse-gna della stessa sensazione: la felicità. Quin-di, quest’anno, ricordatevi di fare un regalo aogni vostro parente e amico, non dimenticate-ne nessuno, cercate di fare sentire ognuno diloro importante ed apprezzato. In questo modo,potranno tutti passare un Natale felice.

Un ultimo pensiero ai più sfortunati. Speroche anche loro, anche se versano in situazio-ni economiche difficili o hanno problemi difamiglia, possano gioire di un regalo, di undono. Anche loro ne hanno il diritto. Tutti do-vremmo star vicino a queste persone, in par-ticolare nei momenti di festa. Fanno fatica adarrivare alla fine del mese, ma, probabilmen-te, non chiederanno mai una mano. Tante per-sone sono così. Sono orgogliose. Non accet-tano quasi mai un aiuto dagli altri, a menoche non siano davvero disperate. Perciò tro-vo giusto che, ogni tanto, siamo noi a occu-parci degli altri, senza che siano loro a chie-dercelo e senza pretendere un ringraziamen-to esplicito. Ci sono tanti modi per farlo, ba-sta solo trovare il proprio. C’è chi cerca dirisolvere i loro problemi, chi decide di farcapire loro indirettamente la soluzione, chiopta per semplici paroline confortanti.

Nessuno dovrebbe essere solo e triste neiperiodi di festa. Nessuno. Neanche quella per-sona che viene odiata a morte da tutti e lo me-rita, probabilmente. Perché in fondo, c’è delbuono in ognuno di noi, basta solo riuscire atirarlo fuori. Con alcuni viene più naturale,con altri meno. Ma tutti hanno qualcosa dicui andar fieri, qualche bella qualità da mo-strare agli altri. E, chissà, forse chi fa tanto ilduro è solo arrugginito dalla tristezza e dallamalinconia. Se avesse qualcuno con cui par-lare, qualcuno che gli facesse compagnia,ogni tanto, forse sarebbe anche più felice, equindi più gentile, più solare, più dolce emeno scostante.

Guardiamoci intorno. Dappertutto c’è qual-cuno bisognoso di affetto. Visto che siamo inun periodo dell’anno così bello, proviamo arenderlo speciale anche per questi individui.Proviamoci. Mettiamoci in ballo. Facciamopassare anche a loro dei momenti felici incompagnia di un amico. Ce la possiamo fare,basta solo rimboccarsi le maniche e utilizza-re l’arma più forte di tutte: il sorriso.

Il dono del volontariatoe l’impegno civile ci rendono felici

E se invece il regalo non fosse un oggetto?Potrebbe essere un po’ del nostro tempo, adesempio: sto pensando al volontariato. Esisto-no tanti gruppi e associazioni che, con l’impe-gno, la costanza e l’entusiasmo dei loro parte-cipanti, riescono a far risplendere il sole an-che là dove sembrava tutto avvolto dalle tene-bre dell’indifferenza e del male.

Mi spiace sentire alcuni, anche miei coeta-nei, dire che non vale la pena impegnare ani-ma e corpo in qualcosa che non viene ricam-biato economicamente e che non lascia un se-gno tangibile intorno a noi: dicono che è tuttotempo sprecato… Invece non è così: le picco-le azioni di pochi individui possono diventaregrandi operazioni di salvataggio ad opera digente con un cuore enorme.

Diventare volontario è semplice ed anchestimolante: ci sono talmente tante offerte nelmondo in cui viviamo, che ci sarà di certoanche quella più adatta alla nostra indole e altempo di cui disponiamo. Inoltre in questi am-bienti conosceremo altri volontari come noi:persone con una marcia in più rispetto allagente comune, con cui potremo lavorare, so-gnare, stringere legami di amicizia solidi eduraturi. Una cosa però è necessaria, anzi,fondamentale: bisogna essere così maturi daassumersi le proprie responsabilità, da nonarrendersi al primo ostacolo e da avere vo-glia di far prevalere i fatti concreti alle paroledette a vanvera.

È il menefreghismo a far peggiorare la si-tuazione di disagio in cui siamo: ognuno devecominciare ad agire non solo per se stesso,ma anche per gli altri, pensando al futuro.L’unico modo per annientare l’egoismo e lasuperficialità è diventare consapevoli di ciòche succede appena oltre il nostro naso e tro-vare quella carica interiore che spinge a vo-ler mutare la sorte, e che ci permetterà poi diaffermare, complimentandoci con noi stessi:

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IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

“Anch’io ho contribuito a rendere il mondo miglio-re!”.

Tutti, dopo aver compiuto una buona azione, ci sentia-mo pieni di positività, colmi d’orgoglio, con l’animo tra-boccante di gioia, già pronto a nuove iniziative. Solo fa-cendo del bene nella vita quotidiana, io, personalmente,mi sento meglio e riesco ad essere soddisfatta di me stes-sa. E in fondo non mi sento sola: dovunque mi volti,malgrado il disincanto imperante, trovo esempi di comenoi giovani ci stiamo rendendo conto di quanto sia es-senziale farci avanti, dare una mano, e di come ci sentia-mo a nostro agio attorno a persone in difficoltà, che ve-diamo a poco a poco stare meglio grazie a noi. È impa-gabile la soddisfazione che si prova notando gli effettidel nostro impegno nello sguardo e nelle parole di coluiche stiamo assistendo: i suoi occhi che brillano e l’espres-sione commossa non possono far altro che invaderci ericaricarci di energia. Il volontariato e l’impegno civilerendono felici sia i bisognosi che i volontari stessi.

Sarebbe bellissimo se con l’aiuto dato al mondo daparte nostra fossimo in grado di contribuire anche solodi poco a questo atteso cambiamento.

Donare una parte di noi stessi si puòA proposito di doni speciali: avete mai pensato che pos-siamo perfino donare una parte di noi stessi? Se il rega-lo, infatti, fosse dare il proprio sangue a chi ne ha biso-gno?

Donare il sangue è davvero una scelta che vale la pena.“Quando compio diciotto anni, faccio festa con gli

amici, prendo la patente e vado a donare il sangue”.Questa è la frase che spesso mi sono ripetuta. Questo èciò che ho realizzato.

Nella mia famiglia si è sempre parlato di “AVIS” . Dapiccola decisi che “da grande” sarei diventata una dona-trice, proprio come mia madre e mio nonno prima di lei.

Spesso sento frasi come: “Mi fa senso il sangue! Nondonerò mai!”; “Ho paura degli aghi, non ci penso nem-meno!”. All’inizio è passato anche nella mia testa il pen-siero del dolore; allora mi sono chiesta: “Ne vale lapena?”. Ecco la risposta, rapida e senza alcun dubbio: sì!

Le trasfusioni vengono usate per reintegrare il san-gue perso durante gli interventi chirurgici o in caso dilesioni gravi, oppure possono essere necessarie anchequando l’organismo non riesce a produrre il sangue, nor-malmente a causa di una malattia.

Ho conosciuto una ragazza malata di leucemia chemi disse: “Io vivo anche grazie al sangue degli altri - escherzosamente aggiunse - non sono un vampiro, eh!Ma è grazie ai donatori di sangue che io posso staremeglio”. Mi vennero i brividi. Lei era una ragazza comeme: aveva due occhi lucidi, un sorriso stampato in visoe una bandana in testa da far invidia ai capelli di Rape-ronzolo.

Aveva bisogno di una cosa. Sangue. Chi ci pensa maial sangue!? Scorre nelle nostre vene indipendentemen-te dal nostro volere. Il sangue.

Quando quel giorno arrivai a casa, accesi il computere digitai “donare il sangue “ e comparve:

IL NUMERO DEI DONATORI DI SANGUEin Italia è: 1.600.000.il 2.9% della popolazione totale.il 4.5% della popolazione tra i 18 e i 65 anni.In Italia ci sono circa 60.783.711 milioni di abitanti.

Decisi allora che io avevo il dovere di donare 450 mil-lilitri (più o meno il 10%) del mio sangue.

Ciò che mi piace particolarmente è il fatto che queimillilitri andranno a circolare nelle vene di qualcunoche realmente ne ha bisogno! Cosa me ne faccio io? Mipiace pensare che quei 450 ml renderanno più roseo ilpallore di un viso malato. Sarà un regalo che farò, dalprofondo del cuore. E che non costa economicamentenulla!

Mi piace pensare che ciò che il mio corpo ha prodot-to può essere trasferito in un altro e dargli benessere.

Mi piace pensare ad un bambino, una donna, un uomoo un anziano che non conosco, che magari non incon-trerò mai, ma che, con il mio semplice dono, avranno inloro qualcosa di mio. Senza quasi accorgermene avròfatto qualcosa per farli stare meglio! Lo trovo sempli-cemente speciale.

Mi piace il fatto che l’AVIS sia un’associazione aparti-tica, aconfessionale, senza discriminazione di razza, ses-so, religione, lingua, nazionalità, ideologia politica edescluda qualsiasi fine di lucro; è costituita da persone chedonano il loro sangue volontariamente, periodicamente,gratuitamente, anonimamente e responsabilmente.

Ho deciso di diventare una donatrice e lo sarò fino aquando potrò.

Quel primo giorno sono stata accompagnata da miamamma in ospedale e, dopo aver compilato una sche-da, mi trovai seduta su una poltrona con una dottoressache mi spiegava ciò che avrebbe fatto; mi disse che sevolevo potevo non guardare mentre metteva l’ago invena. Io invece guardai e pensai: tutto qua? Dopo circa10/15 minuti circa avevo finito; mi fecero stare altri 10minuti in tranquillità per evitare effetti spiacevoli. Poiuscii. Più leggera e più felice.

Invito tutti ad andare a donare il sangue perché c’èchi ha bisogno di noi.

Non siamo gli unici a non provare simpatia per aghi esiringhe, ma pensateci: magari c’è chi ne è assoluta-mente terrorizzato, ma purtroppo non ha scelta: è co-stretto a sottoporsi a determinate cure a causa della suamalattia; noi abbiamo una scelta, ma il non donare sa-rebbe quella sbagliata.

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COSE DALL’ALTRO MONDO

La rinascita di El Salvador

di Maria TeresaMessidoro (*)

La pace non si firma, si conquistaQuando nel febbraio del 1992 andai con Fran-cisco in El Salvador, per una visita lampo, conlo scopo di realizzare incontri con diverse or-ganizzazioni sociali impegnate nel campo deidiritti umani, era appena trascorso un mesedalla firma degli Accordi di Pace.

Le persone che incontrai proprio nel Cerrodi Guazapa, cuore della guerriglia, erano pro-fondamente stupite dal fatto di non sentire piùspari. Un vecchio contadino, con il suo tradi-zionale cappello leggermente calato sugli oc-chi, mi disse: “Questa guerra ha mille storie,per sentirle tutte ci vorrebbe una vita intera...”.

Allora non si utilizzava ancora internet, nèsi erano potuti stabilire dei contatti attraversola posta elettronica: la comunicazione era dun-que laboriosa e faticosa.

L’eco della grande festa di piazza, organiz-zata il 16 gennaio a San Salvador, in concomi-tanza con la sottoscrizione degli Accordi, cigiunse quindi in ritardo.

Alcune delle fotografie che ci fecero per-venire dal paese salvadoregno non rendonogiustizia dell’emozione, dei sentimenti e del-la speranza che pervase quel giorno indimen-ticabile.

El Salvador in cifreHa una superficie di 21.000 km quadrati, 6,3 milioni di abitanti, l’età media di 24 anni,mentre quella dell’Italia, ad esempio, è di 44 anni. Il Prodotto Interno Lordo pro capiteè di 6.990 dollari, quello dell’Italia è di 34.930 dollari, mentre alcuni paesi africani nonsuperano i 600 dollari pro capite.

Scorrendo i dati sociali degli ultimi anni, El Salvador compare al secondo posto nellasezione Criminalità: nel 2011, gli omicidi sono stati 69,9 su 100.000 abitanti, soltantol’Honduras vanta un record più negativo, con 91,4.

Per ciò che riguarda invece i telefoni cellulari, dato inserito nella fotografia socialedei differenti paesi, nel 2012, El Salvador è al 32° posto, con 137 abbonamenti ogni100 abitanti. L’Italia è al 14° posto, con 160 abbonamenti, Hong Kong sfiora i 230abbonamenti, secondo soltanto dietro Macao, con 290 abbonamenti registrati.

El Salvador compare ancora soltanto nella classifica relativa alle reti di strade piùaffollate: è all’11° posto, con 130 veicoli ogni km di strada, mentre il Principato diMonaco è al 1° posto, con 427 veicoli e l’Italia al 21°, con 84 veicoli.

Persone che si sono abbracciate dopo moltianni, combattenti clandestini che possono fi-nalmente esprimere pubblicamente la propriascelta, lacrime di gioia e di tristezza ricordan-do i compagni caduti, una moltitudine che gri-da e balla la propria allegria, con la sensazio-ne di aver scritto una pagina importante nellapropria storia.

Carlos Henriquez Consalvi, “Santiago”, nelsuo libro dedicato a Radio Venceremos, cheha diretto e guidato durante tutta la guerra, hascritto: “... Scendo (dal palco) e mi sommer-gono con abbracci e strette di mano. Una bim-ba, sulle spalle di sua madre, mi mostra le suedita, che formano un segno di vittoria. Provoun impulso irresistibile, rompo la fiumanaumana che mi circonda, bacio la creatura e ledico all’orecchio: “Venceremos!”.

Gli Accordi di Pace giunserodopo dodici anni di guerra civile

Il conflitto salvadoregno nacque per delle pre-cise cause sociali, basate su una enorme disu-guaglianza, che aveva radici profonde nellastoria del paese.

Per opporsi alla strategia del terrore, adotta-ta dai governi che via via si sono succeduti,

(*) Presidentedell’AssociazioneLisangà, che sioccupa di progettidi solidarietà conEl Salvador

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COSE DALL’ALTRO MONDO

portata avanti da un esercito sanguinario e feroce, gruppipreesistenti di opposizione si unirono, dando vita allacoalizione del FMLN-FDR, il cui progetto politico ri-voluzionario prevedeva una progressiva accumulazio-ne di forze, per giungere alla vittoria finale.

Se l’FMLN era il braccio armato della coalizione,quello diplomatico, FDR, fin da subito iniziò una com-plessa ed articolata attività diplomatica, i cui primi ri-sultati si videro già nel 1981.

In quell’anno, il 7 agosto, la Dichiarazione FrancoMessicana riconosce FMLN-FDR come una forza po-litica legittimata a partecipare al processo di nego-ziazione.

D’altra parte, proprio con il passare degli anni, inve-ce di cedere sotto i colpi della repressione militare, fo-raggiata e sostenuta economicamente dagli Stati Uniti,la coalizione ribelle acquista sempre più credibilità, gra-zie alla sua capacità militare, al dominio territoriale eser-citato e soprattutto all’ampio appoggio sociale conqui-stato giorno dopo giorno.

Forse pochi sanno che la prima proposta di negozia-zione da parte del FMLN data ottobre 1981, a cui neseguiranno altre.

Nel 1984, la Propuesta Global para la Solucion Po-litica Negociada y la Paz analizza lucidamente i motiviche hanno portato alla guerra civile in corso.

L’ingiustizia e l’assenza di democrazia sono “le cau-se che hanno spinto il nostro Fronte a lottare utilizzan-do i mezzi politici e militari, ancora oggi sono vigenti:non sono spariti gli squadroni della morte, nè le deten-zioni illegali, nè le torture, che unicamente sono diven-tate più sofisticate. La maggior parte del nostro popolocontinua ad essere escluso dalla partecipazione alla ric-chezza del paese e, anche se siamo un paese povero, èuno scandalo che un gruppo minoritario viva nella piùgrande opulenza, producendo la miseria della maggio-ranza del popolo”.

Si susseguono successi diplomatici e rotture, fino aquando, nel 1989, in una nuova proposta di dialogo, l’FMLN-FDR si impegna ad astenersi dal compiere at-tentati contro dirigenti dell’allora governo Cristiani, a

sospendere gli scioperi, al rispetto fisico di funzionarisalvadoregni e nordamericani, ad interrompere i sabo-taggi alle infrastrutture produttive; in cambio si esige,da parte del governo, un processo per il maggioreD’Abuisson e gli altri responsabili dell’assassinio diMons. Romero, lo smantellamento degli squadroni del-la morte, la cessazione della repressione contro le orga-nizzazioni civili di opposizione e tutto il popolo, le ri-forme strutturali dell’economia, la libertà di espressio-ne, il rispetto di tutti i diritti umani e garanzie preciseper i combattenti guerriglieri e le loro famiglie.

La proposta viene drasticamente rifiutata, mentre ilpaese è attraversato da una nuova ondata di violenze emassacri: il 31 ottobre, un attentato distrugge la sededel sindacato Fenastras, provocando dieci morti e unatrentina di feriti.

Il FMLN scatena una controffensiva su larga scala,che sembra voler essere la spallata finale alla dittatura,ma purtroppo, nonostante i numerosi successi raggiun-ti dal Frente, la guerra non termina.

Il 16 novembre sei gesuiti furono barbaramente ucci-si con due collaboratrici, nel giardino della loro casa,all’interno della UCA, Universidad CentroamericanaJosé Simeón Cañas, luogo simbolo in quegli anni dellacultura non asservita al potere.

Se l’assassinio di Mons. Romero viene spesso indi-cato come il momento iniziale del conflitto, per moltil’assassinio dei sei gesuiti ne indica l’inizio della fine:si prende atto dell’impossibilità di una vittoria militareda parte di uno dei due schieramenti in campo e le trat-tative riprendono, per giungere, con la mediazione diAlvaro de Soto, rappresentante dell’ONU, alla firma de-gli Accordi di New York, il 25 settembre 1991, prelu-dio alla firma degli Accordi definitivi di Pace del 1992.

Alla sottoscrizione degli Accordi saranno presenti, ac-canto ai rappresentanti del FMLN-FDR e del Governosalvadoregno, il Presidente messicano Salinas, il nuo-vo Segretario delle Nazioni Unite Boutros Ghali, il Se-gretario Generale dell OEA (Organizzazione degli Sta-ti Americani) Joao Buena Soarez e il Segretario di Sta-to Statunitense James Baker.

Il testo così inizia: “Il Governo di El Salvador e ilFrente Farabundo Martì per la liberazione nazionale, ...hanno raggiunto un insieme d accordi politici la cui ese-cuzione, unita a quella degli Accordi precedentementecitati, porrà fine, definitivamente, al conflitto armatosalvadoregno”.

Il primo punto si riferisce alla revisione del ruolo del-le Forze Armate, in particolare sospendendo il recluta-mento forzato, eliminando i battaglioni speciali e dis-solvendo la Guardia Nazionale; contemporaneamentesi stabilisce di creare una nuova Polizia Nazionale Ci-vile, totalmente indipendente dalle Forze Armate e di-retta da civili.Carta politica di El Salvador

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Gli accordi si occupano inoltre di sancire nuove rego-le di funzionamento del sistema giuridico, creando unaProcura Nazionale per i Diritti Umani; verrà modificatoil sistema elettorale, accettando inoltre la conversionedel FMLN in forza politica, nonostante il Governo aves-se tentato in precedenza di ottenerne la dissoluzione,come se si trattasse di una forza militare sconfitta.

Infine, si affronta il tema economico e sociale, conparticolare enfasi sul riconoscimento delle terre occu-pate nelle zone di conflitto, sulla necessità di finanzia-menti per la piccola e media impresa e su un piano diristrutturazione nazionale.

Molto si è parlato di questi Accordi, per alcuni rite-nuti una vittoria diplomatica del FMLN, per altri con-siderati un tradimento e una dimostrazione di resa.

Resta il fatto che il 16 gennaio 1992, in Messico, aChapultepec, si pone fine ad una guerra orrenda, carat-terizzata da esecuzioni sommarie, sparizioni, torture edattentati, una pagina che rimarrà indelebile nel cuore,negli occhi e nel ricordo di chi l’ha vissuta.

Dalla terribile verità alla sconcertante impunitàCome stabilito dagli Accordi di Pace, il Segretario Ge-nerale delle Nazioni Unite nominò la Commissione dellaVerità che, dal luglio 1992 al marzo 1993, indagò suigravi fatti di sangue avvenuti in El Salvador dal 1980fino al 1992 e su cui la società reclamava con urgenzadi conoscere la Verità.

La Commissione ascoltò più di duemila testimonian-za dirette e raccolse circa ventitremila denunce di vio-lazioni di diritti umani, scritte o presentate da organiz-zazioni.

I numeri testimoniarono una realtà terribile: dal 1980gli omicidi furono circa tredicimila, le sparizioni cin-quemila, praticamente altrettanti i casi di torture.

Tenendo conto delle dimensioni di El Salvador, gran-de come il Piemonte, allora con una popolazione dicirca quattro milioni di abitanti, questi dati ci diconoche praticamente ogni famiglia ha avuto un morto ouno scomparso da ricordare. Nessuno è stato rispar-miato, “la morte ti aspetta ogni giorno all’angolo del-la strada, e quando ci ritroviamo vivi, alla sera, pos-siamo soltanto ringraziare la nostra fortuna”, ci avevadetto una volta un giovane sindacalista.

Più del novanta per cento delle violazioni accertate fu-rono imputabili alle Forze Armate, ai corpi paramilitari eagli squadroni della morte; il FMLN fu dunque respon-sabile di meno del dieci per cento dei casi analizzati.

La Commissione individuò due elementi principaliche caratterizzarono il comportamento delle Forze Ar-mate durante il conflitto: il primo consiste nella strate-gia di “togliere l’acqua al pesce”, togliere cioè l’ap-poggio della società civile al FMLN, attraverso l’usodella forza e compiendo spesso dei massacri che colpi-

scono intere popolazioni di villaggi e regioni. Inoltre,chiunque sostenesse idee contrarie a quelle ufficiali, chefosse sindacalista, prete, catechista, maestro, medico,correva il rischio di essere assimilato ad un nemico inbattaglia e dunque eliminato.

Rosultava inoltre chiaro, nei documenti finali dellaCommissione, che molte delle azioni compiute eranostate dirette dagli alti vertici di comando, seguendo unastrategia ben precisa e non per decisioni improvvise dischegge impazzite.

Non solo. Al momento della pubblicazione delle con-clusioni, ad esempio, cinque dei sei alti ufficiali coin-volti nell’assassinio dei gesuiti, ricoprivano ancora im-portanti incarichi nell’esercito.

L’impunità di cui avevano goduto per troppo tempo imandanti delle violazioni dei diritti umani avrebbe do-vuto dunque essere definitivamente riconosciuta e can-cellata, per dare corso alla giustizia.

Non fu purtroppo così.Nel marzo 1993, l’allora Governo Cristiani promul-

gò una Legge di Amnistia, come un coperchio con cuichiudere definitivamente qualsiasi possibile indaginesulle violazioni compiute durante la guerra. E questalegge fu approvata proprio una settimana dopo la pre-sentazione da parte della Commissione di Verità deipropri risultati finali.

Un’azione illegittima, certo, ma compiuta da un par-tito che dimostrò di avere ancora saldamente nelle pro-prie mani il potere, così come furono evidenti gli in-trecci con gli alti comandi dell’esercito, che avrebberodovuto andare alla sbarra.

Quanto fosse grande questo potere lo si capisce dalfatto che fu necessario aspettare il 2012 perchè la CorteInteramericana di Diritti Umani dichiarasse illegittimala Legge di Amnisitia.

Il caso emblematico, portato davanti alla Corte Inte-ramericana, fu il “Massacro del Mozote”, quando, neigiorni 11, 12 e 13 dicembre del 1981, in alcuni piccolivillaggi della regione di Morazan, tra cui appunto ElMozote, il Battaglione Atlacatl, con alcuni elementi dellaTerza Brigada di Infanteria di San Miguel, assassinò936 inermi contadini. Quattrocentoquaranta vittime fu-rono individuate e, particolare raccapricciante, ben cen-toventi si chiamavano Marquez, un cognome diventatosimbolo di una maledizione.

La sentenza affermò: “Data la sua esplicita incompa-tibilità con la Convenzione Americana, le disposizionidella Legge di Amnistia per il Consolidamento dellaPace, che impediscono l’indagine e le sanzioni dellegravi violazioni dei diritti umani, accaduti nel presentecaso (quello del Mozote), sono illegali e di conseguen-za non possono continuare a rappresentare un ostacoloper le indagini sui fatti del presente caso e la identifica-zione, il processo e il castigo dei responsabili, nè devo-

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no ricoprire lo stesso ruolo in altri casi di gravi viola-zioni di diritti umani riconosciuti dalla ConvenzioneAmericana, che possono essere accaduti durante il con-flitto armato in El Salvador”.

Nello stesso anno, Maurizio Funes, primo presidenteeletto dopo la fine della guerra con i voti del FMLN, inuna cerimonia pubblica, ammise ufficialmente ciò cheavvenne nel Mozote, riconobbe le responsabilità delloStato e chiese perdono alle vittime. Ma questo gesto, sep-pure importante, non ebbe nessuna valenza giuridica.

L’Associazione delle Vittime del Conflitto Armato siaspetta dunque che ora, con il governo di Salvador Ce-ren, si possa finalmente dare seguito alla sentenza dellaCorte Interamericana, superando i balbettii, le indeci-sioni e le paure degli stessi giudici salvadoregni.

“Vogliamo perdonare, però dobbiamo sapere chi”. Lafrase pronucniata da Dorila Marquez, una delle sopra-vissute al massacro, appartenente proprio alla famigliapiù colpita, riassume chiaramente questi trentatrè anni,in cui il silenzio assordante della giustizia ha coperto conil manto dell’impunità i responsabili di quel genocidio.

Ai sopravissuti, a tutti i familiari delle vittime, a noiche avevamo allora lottato per denunciare ciò che stavasuccedendo in quel piccolo e lontano paese centroame-ricano, non resta che camminare lungo il Monumento ala Memoria y la Verdad, a San Salvador.

Nel Parque Cuscatlan, un muro nero, lungo diciasset-te metri ed alto più di due, creato dall’artista nazionaleJulio Reyes, che vi ha lavorato ininterrotamente per quat-tro mesi, riporta incisi i nomi di circa venticinquemilavittime, civili assassinati o scomparsi durante la guerra.

Il testo riportato all’inizio del monumento spiega per-chè è stato voluto ed inaugurato nel 2013: “Uno spazioper la speranza, per continuare a sognare e costruireuna società più giusta, umana ed egualitaria”.

Mi sono fermata a lungo davanti a questo impressio-nante murales, pieno di storia, di tante piccole ed ano-nime storie; il luogo è piacevole, attorniato da alberi efiori, chi vi cammina lo fa in silenzio, rispettoso di chinon c’è più.

Scorro quel lungo elenco di nomi, ricerco chi ho co-nosciuto, riesco fortunatamente a trovare ad esempio ilnome di Febe Velasquez, minuta sindacalista, dirigenteinnata, determinata e sempre sorridente, spazzata viadalla bomba che distrusse la sede di Fenastras, nel 1989.

Ritrovo le due righe dedicate al massacro a SanFrancisco Echeverria, nel 1984, poi mi soffermo sualcuni nomi per me senza volto e penso che ancheper loro dobbiamo continuare a lottare perchè sia fattagiustizia.

Il pericolo della veritàEcco due fatti sconcertanti, emblematici della posta ingioco in El Salvador.

Il 14 novembre 2013, la sede dell’associazione ProBrusqueda, a San Salvador, è stata oggetto di un ag-gressione da parte di un gruppo armato che entrò con laforza, minacciò il presidente della Giunta, maltrattò duedipendenti e soprattutto bruciò una grande quantità didocumenti.

I documenti distrutti sono gli originali conservati nel-l’archivio dell’associazione, il risultato di vent’anni diindagini relative a 921 casi di bambini scomparsi du-rante la guerra. La maggior parte di loro furono assas-sinati durante i combattimenti o rimasero orfani, disper-dendosi. 235 bambini sono stati identificati e riconse-gnati alle proprie famiglie, degli altri non si sa ancoraniente.

Il 4 ottobre dello stesso anno, dunque alcune settima-ne prima, l’Arcivescovado di San Salvador ha decisobruscamente di chiudere l’ufficio di Tutela Legal, sto-rico esempio di attività per la difesa dei diritti umani:fu creata il 3 maggio 1982 dall’allora vescovo di SanSalvador Mons. Rivera y Damas, con lo scopo di difen-dere la dignità umana, raccogliendo prove sui criminicommessi durante la guerra. Tutela legal continuò il suolavoro anche dopo gli Accordi di Pace.

Nel 2007 morì Maria Julia Hernandez, storica fonda-trice e presidente di Tutela Legal, che ho conosciuto eapprezzato in diversi incontri.

Le proteste sono state molte, provenienti da diversiambienti, primo fra tutti quello dei dipendenti, licen-ziati, semplicemente chiudendo loro la porta in faccia enon permettendo loro di riprendere il proprio lavoro.

L’accusa di conservatorismo nei confronti dell’attua-le vescovo di San Salvador è chiara, denunciando comeillegale, arbitraria ed indegna questa chiusura. Anchegli ambienti politici si sollevano, tenendo presente chequesti 50.000 documenti che contengono informazioniprecise e dettagliate sulle violazioni dei diritti umanipotrebbero essere utilizzati nel caso in cui la Legge diAmnistia venga giudicata incostituzionale e si riapranoi casi. Quegli stessi documenti che avevano rappresen-tato la base della Commissione di Verità e Giustizia.

C’è chi afferma che questa chiusura è stata spinta conpressioni non tanto velate da un gruppo di avvocati le-gati alle famiglie più potenti del paese, che ancora esi-stono.

In una intervista al giornale La Pagina, l’ex presi-dente di El Salvador e membro di ARENA, ArmandoCalderon Sol ha detto: “ Desidero dire a tutto il paeseche la Chiesa realizzò un obiettivo importante in un mo-mento difficile e tragico, però camminiamo avanti, inmano alla nuova democrazia. Gli uffici di Tutela Legalhanno chiuso perchè finalmente la democrazia può cam-minare sulle proprie gambe”.

Come può esserci democrazia quando la narrazionedella guerra civile è ancora nelle mani della minoranza

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potente, facendo tacere la memoria della maggioranza?Ma i tempi non sono più quelli...

L’esperienza della giustizia restaurativaSanta Marta è un canton, una frazione di Ciudad Victo-ria, nella regione di Cabañas.

Ha circa tremila abitanti, corrispondenti a ottocentofamiglie: è un classico villaggio contadino salvadore-gno, ha un efficiente Centro di Salute, con un medicofisso, tre promotori di salute, una farmacista, un denti-sta e persino un piccolo laboratorio di analisi. Ha unabella scuola, dalla materna fino alla nona classe, conpiù di cinquecento studenti.

Santa Marta ha una forte esperienza comunitaria, natae consolidatasi durante il periodo di permanenza nelCampo Profughi di Mesa Grande, in Honduras.

Mesa Grande fu uno dei due luoghi di rifugio, insie-me a Coloncagua, per le migliaia di salvadoregni che,all’inizio degli anni ottanta, iniziarono a fuggire dallaguerra.

Tradizionalmente, l’Honduras è sempre stata una na-zione in cui i contadini nicaraguensi provenienti dal sude quelli salvadoregni dall’occidente arrivavano in cer-ca di un lavoro temporaneo, o per stabilirsi definitiva-mente, coltivando un pezzo di terra e mantenendo lega-mi con le proprie famiglie che rimanevano dall’altraparte della frontiera. Questa frontiera, dunque, era unacorsia a doppio senso di percorrenza, muovendosi lepersone da un paese all’altro senza nessun problema.

Inoltre, storicamente, l’alta densità di popolazione pre-sente in El Salvador, la più alta del continente, unitaall’ingiustizia strutturale e alle profonde diseguaglian-ze sociali ha portato migliaia di salvadoregni a riempi-re i paesi dell’area centroamericana.

E non solo.“Los hacelotodo, los comenlotodo, los vendelotodo”,

“Fanno di tutto, mangiano di tutto, vendono di tutto”,

come li definì poeticamente Roque Dalton nel suo Po-ema de amor, gli “eterni indocumentati”, si spinseroanche fino in Arabia Saudita, come manodopera affa-mata e disposta a tutto, pur di sfuggire alla miseria esopravvivere anche lontani dai propri affetti.

Un altro poeta dirà giustamente che i salvadoregnisono “stranieri cronici”.

Ma a Mesa Grande e Coloncagua fu diverso: alla finedel 1979, l’ondata repressiva rese insicura la vita inmolte zone contadine di El Salvador, costringendo in-tere famiglie ad abbandonare i propri villaggi, per sfug-gire soprattutto ai nascenti gruppi paramilitari che agi-vano indisturbati.

Attraversarono così il Rio Lempa, iniziando ad in-grossare le fila dei rifugiati, che nel 1983 erano, secon-do stime ufficiali, circa ventimila.

I rifugiati non potevano uscirne per lavarsi o racco-gliere legna, non potevano allontanarsi oltre cinquantametri dal campo. I problemi principali erano la man-canza di acqua e la denutrizione, in un luogo abitatoper il cinquanta per cento da bambini. Cibo, vestiti emedicine erano razionate, per evitare che giungesseronelle mani della guerriglia. Perchè alcuni guerriglieri sirecavano a Mesa Grande, o Coloncagua, per svernare,per riposarsi, affermavano cinicamente funzionaridelll’esercito honduregno.

L’insicurezza in Honduras per i rifugiati salvadoregninon fu soltanto un’impressione, ma una tragica realtà.Il 14 maggio del 1980, truppe salvadoregne ed hondu-regne compirono un massacro, uccidendo un gruppo dicirca seicento persone che cercavano di sfuggire ad unoperativo militare in El Salvador, attraversando il RioSumpul.

In questo contesto, l’esperienza comunitaria comequella di Santa Marta fu fondamentale per non soccom-bere e contemporaneamente costruire le basi per unafutura vita collettiva, una volta ritornati a ripopolare ipropri villaggi abbandonati, alla fine della guerra civi-le, nel 1992. Santa Marta venne dunque scelta dal-l’IDHUCA, l’Istituto per i Diritti Umani dell’UCA,l’Università Centroamericana Cañas di San Salvador,per essere sede nel 2014 di una delle sessioni del Tribu-nale della Giustizia Restaurativa. La prima volta delTribunale Internazionale per la applicazione della Giu-stizia fu il 25 marzo 2009, simbolicamente proprio nel-la Cappella dei Martiri, all’interno della UCA. Le storiedi torture e sofferenze patite da tre prigionieri politicidurante gli anni del conflitto furono ascoltate in silen-zio da un gruppo di giudici nazionali ed internazionali.

Successivamente, un anziano signore, accompagna-to dalla nipote, raccontò la sua esperienza, avendo vis-suto la scomparsa illegittima di una figlia e l’assassi-nio di un figlio. Quando terminò il suo intervento di-chiarando con forza che la Legge di Amnistia doveva

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Delegazione di osservatori ONU alle elezioni in Salvadorcon Maria Teresa Messidoro (seconda da sinistra)

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essere abrogata, le sue parole furono accolte da un lun-go applauso dei presenti. Così, tra le lacrime, chi sta-va assistendo all’incontro, rivisse quel passato di re-pressione e di paura, solidarizzando con tutti coloro cheavevano perso padre, madre, figli o altre persone care.Ma per richiedere giustizia, quella giustizia negata edallontanata. Per cinque anni, l’IDHUCA, in collabora-zione con la Coordinadora Nacional de Comites de Vic-timas de Violaciones de los Derechos Humanos en elConflicto Armado, hanno convocato in luoghi diversidi El Salvador il Tribunale Internazionale, invitando apresiederlo organizzazioni internazionali, come adesempio la Fundacion por la Justicia di Valenza.

A differenza della giustizia tradizionale, in cui alcentro dei processi è chi ha compiuto i misfatti e in-torno a lui ruota il procedimento penale, nella giusti-zia restaurativa il punto focale sono le vittime e la re-stituzione di una dignità per troppo tempo negata. Perarrivare a questo punto, il percorso è molto lungo: aSanta Marta, ad esempio, alcuni esponenti di Psicolo-gi del Mondo di Torino hanno coadiuvato dirigentilocali e studenti di psicologia della comunità nell’or-ganizzazione di piccoli gruppi di narrazione, per la-vorare soprattutto sul tema delle conseguenze psico-logiche della guerra civile. Si realizza uno spettacoloteatrale, con il coinvolgimento di adulti ma anche digiovani, che non hanno vissuto direttamente il con-flitto ma ne subiscono, a volte senza rendersene con-to, le conseguenze. Si giunge così alla sessione delTribunale, previsto dal 26 al 28 marzo 2014: è comun-que un momento di festa, c’è il tavolo del Comedorcon bevande, caffè e le immancabili pupusas, il tradi-zionale piatto salvadoregno, composto da semplicitortillas ripiene di carne, fagioli, formaggio o anchesemplicemente verdura. C’è il tavolo ricolmo di do-cumenti storici e libri politici, ci sono le fotografie ele frasi scritte dai bambini della scuola. Ma un legge-ro velo di tristezza e di melanconia pervade tutti i pre-senti, si sa che la commozione non mancherà.

E così sarà: già la prima testimonianza coglie l’es-senza del tribunale, avvolge con le sue semplici paro-le l’uditorio, trasportato da una coinvolgente onda diricordi, di rabbia e di voglia di giustizia, che non ri-sparmia nemmeno i giudici internazionali presenti.Tutti sanno che il Tribunale della Giustizia restaurati-va ha un valore simbolico, ma permette alle vittime ditogliersi d’addosso quel senso di vergogna e di spor-cizia che i tragici fatti vissuti, spesso indicibili, ha ri-versato loro sulle spalle per molto, troppo tempo. Sene libera soltanto quando pubblicamente vengono ri-conosciuti i responsabili sulle cui spalle si può, ades-so sì, rimettere l’indecenza e l’inumanità: nella storiache si racconta e si denuncia le vittime ed i carcerierihanno ripreso il proprio ruolo corretto. Solo da questomomento si può rielaborare la sofferenza, ed andareavanti. A partire dall’emanazione della sentenza checontempla fondamentalmente tre punti: la condannadei responabili, come autori di crimini verso la popo-lazione civile, la richiesta ad organi statali competentidi misure a favore, ad esempio, degli invalidi di guer-ra e, infine, la sollecitazione agli organi legislativi perla revisione della Legge di Amnistia e per l’inizio diulteriori indagini su altri misfatti commessi nel paese.

Sigifrido Ochoa Perez, colonnello dell’Esercito Sal-vadoregno ora in pensione, accusato di crimini di lesaumanità, commessi proprio nella regione di Santa Mar-ta, così ha commentato lo svolgimento del Tribunale edi suoi risultati: “Se riprendiamo questi fatti, ricomince-remo la guerra di nuovo e noi che l’abbiamo vissutanon lo vogliamo”. Ed ha aggiunto: “Noi stavamo com-piendo una missione, il mio dovere era quello di pulirela regione, spazzando via la guerriglia, e questo io feci”.Fortunatamente, il Tribunale della Giustizia Restaura-tiva di Santa Marta ha dimostrato che si può voltarepagina, cercando di inventarsi un futuro migliore, apartire da un tessuto sociale ricostruito, ma senza di-menticare e cancellare ciò che è successo.

Giudicando e condannando i colpevoli.

Il libro sarà disponibile da fine maggioÈ possibile prenotarlo inviando una

e-mail a [email protected]

COSE DALL’ALTRO MONDO

Maria Teresa MessidoroDespues de diez años

El Salvadordalla paura alla speranza

Introduzione di Emanuela JossaDedicato a Luna Jarisol, nata in una

notte di luna piena in El Salvador Edizioni Stelle Cadenti

pp. 150 - € 14,00

PUBBLICAZIONE

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Centro operativoper il diritto all’asilo (*)

Il progetto Centro operativo per il di-ritto all’asilo si sviluppa all’interno delterritorio romano ed è operativo da otto-bre 2013. Promosso dall’associazioneSenzaConfine, ASGI e Laboratorio 53,

con il sostegno di Open Society, ha l’obietti-vo di contribuire a dare applicazione ai dirittidi richiedenti asilo e rifugiati, assicurando cheanche in Italia essi possano godere concreta-mente di diritti e tutele in linea con gli stan-dard internazionali.

La metodologiaIl progetto prevede un regolare monitoraggioper identificare comportamenti e procedurecorrenti in contrasto con norme internaziona-li, europee e nazionali. Al monitoraggio delleprassi delle pubbliche amministrazioni è sta-to affiancato un lavoro di tipo legale, voltoad avviare cause pilota. Fra gli obiettivi prin-cipali del progetto: identificare prassi illegitti-me delle pubbliche amministrazioni, accresce-re la consapevolezza circa le violazioni deldiritto d’asilo, accertare violazioni che si ri-percuotono pesantemente sulla vita di precisecategorie di cittadini, identificare i punti piùlacunosi dell’attuale legislazione, proporrecambiamenti legislativi. La metodologia si ècomposta, dunque, di tre tipi di azioni:

• Osservazione sul campo (accompagna-menti effettuati dalle operatrici socio-legali presso gli uffici della P.A. su segna-lazione delle associazioni o tramite losportello legale di SenzaConfine)

• Azione stragiudiziale

• Contenzioso strategico

Gli accompagnamenti sono stati effettuati set-timanalmente presso: Questura di Roma - Spor-tello Profughi, CIE di Ponte Galeria, Prefettu-

ra, CAF convenzionati, Municipi, ecc. Tra ot-tobre 2013 e settembre 2014 le operatrici delCentro Operativo hanno assistito più di 90persone, accompagnandole presso gli ufficipubblici competenti nel corso delle diverse fasidella procedura. Oltre agli accompagnamenti,le operatrici hanno anche partecipato, una voltaa settimana, ad incontri con la dirigenza del-l’ufficio immigrazione della Questura di Roma,al fine di proporre soluzioni per rendere piùrapida la risoluzione dei problemi riguardantisingoli richiedenti asilo la cui pratica era so-spesa o di particolare complessità. Seguendoil metodo sopra descritto, il Centro Operativosi è occupato con particolare attenzione di al-cune tematiche specifiche, che si procede adenucleare.

Il trattenimento dei richiedenti asilopresso il CIE di Roma, Ponte Galeria

La maggior parte delle persone assistite dalCentro Operativo presso il CIE di Ponte Gale-ria, 18 in tutto, sono state rinvenute in mare dalleimbarcazioni della Marina Militare impegnatenell’operazione militare-umanitaria denominata“Mare Nostrum” tra febbraio e maggio 2014.Molte di queste persone, richiedenti asilo di ori-gine nigeriana, sono state condotte, dopo losbarco in Sicilia, direttamente nel CIE di PonteGaleria, senza che fosse loro consentito di for-malizzare la propria domanda d’asilo; anzi,a tutte era stato in precedenza notificato un de-creto di “respingimento differito”, istituto del-la cui costituzionalità è lecito dubitare.

Ingiustificati ritardi nella formalizzazione dellerichieste di asilo, violazione del diritto al con-traddittorio in sede di udienza di convalida eproroga del trattenimento, violazione del di-ritto alla difesa dei trattenuti, i cui legali di fi-ducia vengono ostacolati nello svolgimento

a cura dellaAssociazioneSenzaConfine

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delle più banali attività di difesa (in primis nella comu-nicazione con i propri assistiti), errata applicazione dellenorme sulla competenza - del Giudice di Pace o del Tri-bunale - circa la convalida e proroga del trattenimentodei richiedenti asilo, convalida del trattenimento di ri-chiedenti asilo minorenni e altre, per nominarne soloalcune. Al fine di dare effettiva applicazione alle ga-ranzie per i richiedenti asilo rispetto alla misura del trat-tenimento, il Centro Operativo ha avviato otto causepilota presentate innanzi alla Corte di Cassazione tra laprimavera e l’autunno del 2014.

L’illegittima espulsione dal CARA diCastelnuovo di Porto a seguito dellapartecipazione a proteste pacifiche

Nel giugno 2014 la Prefettura di Roma ha ingiustamenteproceduto ad espellere dal CARA (Centri di Accoglienzaper Richiedenti Asilo) molti dei richiedenti asilo cheriteneva avessero partecipato a proteste. Ad ottobresono stati iscritti due ricorsi presso il TAR Lazio alfine di sospendere e annullare due provvedimenti pre-fettizi che indicavano genericamente i richiedenti asiloin oggetto come partecipanti a proteste e di conseguen-za li escludevano dal sistema dell’accoglienza.

Le prassi illegittime dello SportelloProfughi della Questura di Roma

L’osservazione sistematica del comportamento degliufficiali delle Pubbliche Amministrazioni si è svoltanell’arco di 11 mesi (novembre 2013-settembre 2014)e ha interessato in particolare l’Ufficio Immigrazionedella Questura di Roma, dove avviene la maggior partedelle fasi della procedura per la domanda e il riconosci-mento della protezione internazionale e di quelle suc-cessive a tale riconoscimento. Il dato più rilevante ri-scontrato dalle operatrici del Centro Operativo è quellodell’estrema discrezionalità con cui opera lo SportelloProfughi. Non esistono infatti prassi certe, durature neltempo e attuate con la stessa modalità da tutti i funzio-nari dell’ufficio stesso. Fra le principali tematiche af-frontate nell’ambito sia del contenzioso strategico chedelle azioni stragiudiziali, si ritrovano:

• l’ingiustificato ritardo nel rilascio del permessodi soggiorno;

• il sistematico rigetto delle istanze di rilascio deltitolo di viaggio per stranieri ai titolari di prote-zione umanitaria e talvolta sussidiaria;

• il diniego del rilascio del permesso di soggiornoper motivi umanitari in capo a soggetti “inespelli-bili” ai sensi dell’art. 19 D.lgs. 286/98;

• in generale la carenza di motivazione dei provve-dimenti della Questura.

Sono state avviate cinque azioni strategiche di tiposperimentale innanzi al Tribunale Civile di Roma e in-nanzi al TAR Lazio. Moltissime sono state inoltre leazioni stragiudiziali portate avanti dal Centro Operati-vo nei confronti della Questura di Roma.

L’accesso alla giustizia per i richiedenti asiloIl Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Roma rigettasistematicamente, da oltre due anni, le istanze dei ri-chiedenti asilo a causa dell’asserita mancanza della cer-tificazione consolare sui redditi nel paese d’origine (art.79.2 DPR 115/02) ma, come è noto, i richiedenti asilonon possono avere alcun contatto con le autorità con-solari del proprio paese d’origine, così come del restostabilito dalla normativa internazionale, europea e na-zionale. Un elevato numero di ricorsi è stato presen-tato dal Centro Operativo, attraverso i propri legali diriferimento, avverso il diniego reiterato, dal giudice diprimo grado, dell’istanza di ammissione al patrocinio aspese dello Stato. Lo stesso genere di problematica èstata riscontrata anche nell’ambito della giustizia pena-le. Tre ricorsi sono stati presentati, e sono stati vinti,innanzi al Tribunale Penale di Roma.Le azioni giudiziali del Centro Operativo, volte prin-cipalmente ad interrompere le prassi illegittime di vol-ta in volta riscontrate, hanno riguardato un numero com-plessivo di 38 richiedenti asilo assistiti e si sono so-stanziate in 50 azioni legali, di cui 12 sono state eserci-tate innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, 18 in-nanzi al Tribunale Civile di Roma, 3 innanzi al Tribu-nale Penale di Roma, 5 innanzi al TAR Lazio e le re-stanti, che riguardano la procedura relativa alla misuradel trattenimento, sono suddivise fra la competenza delGiudice di Pace e quella del Tribunale.

ConclusioniLa discrezionalità delle pubbliche amministrazioni è unfenomeno al quale si può e si deve opporre un freno,pena l’incertezza della condizione giuridica della per-sona, che non può contare su regole certe per quantoriguarda la sua posizione sul territorio, e di conseguen-za il godimento dei diritti riconosciuti. Approvare leggie regolamenti chiari, aderenti alla realtà, e non “puniti-vi” nei confronti di cittadini che spesso hanno dovutolasciare il loro paese a causa di guerre e persecuzioni,nonché per necessità economiche, è un dovere che puòportare unicamente beneficio, non solo al cittadino stra-niero, ma a tutta la collettività, incluse le stesse pubbli-che amministrazioni.

(*) c/o Associazione SenzaConfinevia di Monte Testaccio 23/a - 00153 RomaTel./Fax 06 57289579 - www.senzaconfine.orge-mail: [email protected]

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Campi nomadi e campi di concentramentoUna storia di oggi

Esiste un “Vietato l’ingresso agli zin-gari”, perché esiste un luogo recin-tato che si chiama “campo noma-di”, dove si presume debbano esse-re messi tutti quelli che la cultura

maggioritaria riconosce come “gli zingari”; inalcuni casi si va anche oltre, si pensa che queiluoghi siano voluti dagli stessi rom e sinti e,dunque, dovrebbe bastare la costruzione di uncampo a garantirsi uno “zingaro” immaginarioche disegniamo addirittura felice di vivere insimili ghetti. “Noi costruiamo, noi vietiamo,noi permettiamo o meno di vivere in un certoluogo” e la forma-campo serve a rendere con-creta questa differenziazione di ruoli, di accessoal potere ed agli spazi di vita.

La forma-campo è in realtà figlia di un di-spositivo pedagogico implicito che dai luoghidella rieducazione si è diffuso all’interno dellepolitiche sociali e delle strategie abitative. Ilcampo, infatti, non è altro che il posto doveammassare la gente valutata “in eccesso” (uneccesso che indica soprattutto il fatto di consi-

derarla strutturalmente inadatta a vivere accantoa noi). Ma la parola “campo” inquieta da quan-do questo termine ha conosciuto l’accezionedel “campo di concentramento” e del “campodi sterminio” ed allora, dalla seconda metà delNovecento, il “campo” continua ad essere co-munque utilizzato purché si nasconda la testasotto la sabbia dicendo che quel luogo è unposto transitorio in attesa di un’inclusione ef-fettiva che mai arriva, come mai arriva il pienoaccesso alla città.

L’attesa viene giustificata da progetti riedu-cativi che dovrebbero cambiare gruppi descritticome “asociali” in gruppi in grado di socializ-zare, ma in realtà il ghetto creato è già l’imma-gine dell’esclusione che continua ad incenti-vare (la progettazione nel campo porta proventisoltanto a chi dall’esterno lo amministra, comedimostrano i recenti fatti di Roma): lontano dalcentro, privo dei servizi, sovrappopolato dasoggetti segnati dalla stessa stigmate del “di-verso”. Il campo effettivamente insegna qual-cosa: a chi ne sta fuori insegna a costruire oconfermare stereotipi massificanti da gettaresugli abitanti, a chi sta dentro, ad auto-perce-pirsi come diversi. In definitiva s’innalza ilgrado di conflittualità.

Pochi lo sanno, ma si tratta di una storia chesi ripete.

Allo strutturarsi degli Stati-nazione, in Eu-ropa s’innalzò progressivamente anche il gra-do di antitziganismo, proprio per il fatto che irom ed i sinti, visti come non cittadini perchéclassificati come “nomadi”, furono percepiticome un gruppo “asociale”, un tipico outgroup(diventando anche un utile capro espiatorio).

Le politiche d’inclusione forzata, attuate perla prima volta durante il regno di Maria Teresad’Austria e di Giuseppe II, parlavano già il lin-guaggio della rieducazione coatta; ne scaturì unetnocidio con rom e sinti obbligati ad abbando-nare lingua, usi e costumi. Tale vicenda ha con-fermato però anche l’immagine del popolo rom

di LucaBravi (*)

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come “popolo-resistenza”, così come lo ha de-scritto Henriette Asséo, un gruppo in grado diopporre una strenua resistenza di basso profiloalla pressione esterna all’omologazione.

È questo tratto di popolo-resistenza che nelNovecento portò gli scienziati della razza adindicare come inutile qualsiasi tentativo di ap-proccio al popolo rom, perché segnato a livel-lo razziale da tare ereditarie inestirpabili, tra lequali l’istinto al nomadismo e l’asocialità.

Si apriva la strada che ha portato rom e sintiinsieme agli ebrei ed alle altre categorie di de-portati verso il più noto dei campi di concen-tramento e di sterminio, quello di Auschwitz.Si era passati dall’etnocidio al genocidio, at-traverso lo strumento della pratica rieducativa.

Nel post-Auschwitz, la tenuta a distanza dirom e sinti è proseguita, insistendo su caratte-ristiche di “asocialità” e di “nomadismo”, chesono scientificamente infondate, ma che han-no permesso di far permanere lo stereotipo mas-sificante. La colpa della “razza” si è trasfor-mata in una più accettabile colpa “culturale” esulla base di queste teorizzazioni diffuse neglianni sessanta da Hermann Arnold (uno studio-so fortemente legato alle teorie razziali nazisterispetto a rom e sinti, considerato un esperto inmateria anche dopo la guerra) ha preso formala strada che ha portato all’istituzione in Italiadi “classi speciali per nomadi” (per rieducarli)

e alla costruzione di nuovi campi, non più diconcentramento, ma “campi nomadi”, i luoghiin cui attendere il tempo dell’inclusione, che siè rivelato tempo infinito, battuto sempre da al-tri e mai da rom e sinti.

Ed allora cosa ci dice il cartello “Divieto d’in-gresso agli zingari!” esposto a Roma nel terzomillennio?

Testimonia che non c’è alcun fossato che oggici separa dalla logica che portò alla realizzazio-ne di Auschwitz e che le premesse di quel per-corso sono tuttora presenti nella società attuale.

Il 27 gennaio è sato di nuovo il Giorno dellaMemoria: narrare il Porrajmos a fianco dellaShoah può rappresentare oggi la scintilla percostruire quegli spazi d’incontro necessari adun’inclusione condivisa e paritaria. Lo ricor-diamo ancora in nome di una Memoria da ren-dere viva ed attuale, ma tutto questo dovrà tra-dursi nel concreto superamento dei campi dioggi, perché i cartelli dell’odio scompaianodavvero e definitivamente dalle nostre città.

(*) Università Leonardo Da Vinci, Chietitratto dal dossier-ricerca“VIETATO L’INGRESSO” curato dalla“Associazione 21 Luglio”www.21luglio.org - [email protected]: Associazione 21 luglioTwitter: @ass_21_luglio

due mari. Taranto, il calcio, l’Ilva e un sognodi riscatto” (Altrainformazione, 2012).

In quanto attivista e redattrice di PeaceLink,mi sento di denunciare che il caso Ilva; attual-mente, viene semplicemente rappresentatocome una vertenza occupazionale o una meraquestione di politica industriale. Ma i dram-matici dati di malattia e di morte, che ancoraqualcuno si ostina a mettere in dubbio e a con-futare, vengono “derubricati a fattore scatenan-te di un problema esclusivamente economico”,anziché essere considerati essi stessi il veroproblema.

Taranto, nella sua tragedia lenta, silenziosa,inesorabile, è schiacciata sotto il peso del ri-catto occupazionale e di relazioni pericolose ebieche connivenze che l’Ilva ha intrattenutocon coloro che erano preposti a controllare e

denunciare le emissioni inquinanti: i sindaca-ti, le forze dell’ordine, gli organi di giustizia,la stampa e la politica fino ai più alti verticiistituzionali ... e persino la Chiesa.

Il caso Ilva rappresenta, attualmente, il ter-reno su cui si misurano la credibilità e le au-tentiche priorità del nostro Paese, in una storiaprofondamente italiana, fondata su componentiumane e disumane di ignavia e di eroismo, dicinismo e solidarietà, di scelte avventate e cor-ruzione, di malaffare, di grandi opere e omis-sioni.

Dunque, Taranto è ormai la “Città visibile”in assoluto, al centro di un interesse legittimo,in quanto costituisce, nella propria esplicita eimplicita complessità, un caso che offre stru-menti per analizzare problematiche dibattutee per interpretare a fondo i rapporti che inter-corrono tra giustizia e informazione e tra poli-tica e potere economico.

VENDITORI DI FUMOsegue da pag. 13

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RECENSIONE

Amori diversi e buon ragionare filosofico

Nicla VassalloIl matrimonio

omosessuale ècontro natura.

(FALSO!)Idòla Laterza

Bari, 2014pp. 152 - € 9,00

di Lidia Borghi

Nicla Vassallo è docente universitaria, filosofa, epi-stemologa e scrittrice; sul suo sito professionale -www.niclavassallo.net - è possibile farsi un’idea

precisa delle sue pubblicazioni.A gennaio del 2015 ha visto la luce un volumetto di 130

pagine - ben tredici delle quali riservate alla sola bibliogra-fia - in cui Vassallo affronta uno dei temi più scottanti, nelnostro Paese, quello del matrimonio fra persone dello stes-so sesso; all’inizio di febbraio il libro era già in ristampa.

Negli otto capitoli di cui il saggio è composto, la docentesi avvale del metodo filosofico del buon ragionare, al finedi sgretolare tutte quante le più note asserzioni di coloro - esono davvero tanti in Italia - che si oppongono al same-sexmarriage. Vediamo quali, utilizzando come traccia l’indicedel testo.

Il matrimonio fra persone dello stesso sesso minaccia quel-lo sacro, nonché la complementarietà fra maschio/uomo efemmina/donna, ai quali spetta di mettere al mondo dellecreature; inoltre le persone omosessuali che instaurano re-lazioni d’amore sono contro natura, ammalate e promiscue;da ciò consegue che solo l’eterosessualità è buona, ergo: ilsame-sex marriage minaccia il matrimonio tradizionale,pertanto quel tipo di unione non s’ha da fare.

Con un’operazione chirurgica che si avvale del rasoio dellalogica, Nicla Vassallo affronta ognuna delle otto opposizio-ni in modo da distruggerle, finendo per smascherare i pre-giudizi legati ad esse; un esempio aiuterà a chiarire quantoappena esposto:

“Il concetto di disgusto si ritrova al centro di alcune argo-mentazioni contro il matrimonio same-sex, matrimonio checostringerebbe alcuni o molti cittadini ad accettare quantoper l’appunto avvertono come disgustoso. Ma se da un latosi potrebbe sostenere che il matrimonio tradizionale co-stringe alcuni o molti cittadini ad accettare quanto trovanodisgustoso (…), dall’altro vietare il matrimonio same-sexsulla base di argomentazioni del genere risulta insensatoquanto vietare ad alcuni di cibarsi di insetti, facendo levasul disgusto che altri provano per l’entomofagia”.

(pagg. 100/101 della prima edizione)

Durante la lectio magistralis Ragion pubblica e amori di-versi, svoltasi il 18 febbraio 2015 a Genova, presso la saladel Minor Consiglio di Palazzo Ducale, la Vassallo filoso-fa è tornata sui temi affrontati nel suo libro, per approfon-dire alcune questioni: nelle nazioni più incivili - e l’Italiasi trova fra esse - l’assenza del matrimonio same-sex hacome risultato quello di negare umanità alle persone lesbi-che e gay; nel nostro Paese la regressione è totale e ciò siverifica, oltretutto, in netto contrasto con la tradizione fi-

losofica europea; per fare solo unesempio, Kant parlava dell’usopubblico della ragione, pertanto laNazione in cui viviamo si collocafra quelle irrazionali, in merito almodo di considerare gli amori di-versi.

La buona filosofia - continua Vas-sallo - consiste nel ragionare bene,con lo scopo di rispondere ad istan-ze civili come il matrimonio same-sex; in tal senso, la ragion pubblicaha opposto ad esso un muro di gom-ma, che fonda la sua base sulla norma eterosessuale, allaquale non è possibile derogare. Pertanto, il buon ragionarefilosofico ci aiuta a liberarci dei pregiudizi, togliendo lorola maschera e fornendo a quella stessa ragion pubblica imezzi necessari ad uscire dalle sabbie mobili della disu-guaglianza.

Domande quali: che cosa è normale? Che cosa è consue-to? Che cosa è morale o immorale? occupano la maggiorparte delle pagine del libro in questione; in esso il buonragionare filosofico è messo a disposizione delle persone,per dar loro la possibilità di rispondere ad una domanda:“Se non comprendo bene qualcosa, come faccio ad assu-mermene la responsabilità?”.

In termini filosofici, per usare le parole della scrittrice:“Non si dimentichi, tuttavia, che nel nostro paese il matri-monio, in qualche misura, si presenta come un contrattoanomalo non solo e non tanto perché stipulabile esclusiva-mente tra due persone, ma soprattutto perché stipulabiletra due persone di sesso opposto: quale altro contratto im-pone la differenza sessuale tra i firmatari?”.

(pag. 96 della prima edizione)

Perché è bene leggere il libro Il matrimonio omosessuale ècontro natura. (Falso!)? Perché la differenza che passa trala convenienza e le convinzioni derivanti dal buon ragiona-re filosofico, con il suo sgretolamento dell’irrazionalità, cipone nella condizione di comprendere quanto sia stupida espiacevole l’opposizione al matrimonio fra persone dellostesso sesso, opposizione che, stante la complessità del fun-zionamento del linguaggio, ci fa apparire in tutta la sua in-coerenza l’asserzione contenuta nel titolo; per citare l’au-trice: “Che una certa cosa venga definita o ritenuta in undeterminato modo non comporta affatto che sia vero o giu-sto che essa sia in quel modo”.

“Love is love” (Barak Obama on Twitter)

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30 Aprile 2015

... E LA SPERANZA CONTINUA ...

Ritorno a Teófilo Otoni, in Brasilea cura di Daniele Dal [email protected]

[email protected]://danieledalbon.wordpress.com/

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene;crea come un Dio, sii generoso come un re

e lavora come uno schiavo. Il lavoro è importante,non si può raggiungere una vera professionalità

senza fatica, non bastano il talento e la voglia:bisogna fare. E sbagliare è importantissimo!

Carissimi,vi sto scrivendo da Teófilo Otoni in Brasile. L’anno scorso,ad aprile 2014, avevo presentato la Scuola professionalecooperativistica di don Giovanni Lisa, preannunciando iltrentesimo anniversario dell’associazione ed esprimendoil desiderio di ritornare. Altre volte ho presentato l’iniziati-va sulle pagine di “TDF”. Ci sono ritornato quest’anno.

Il Brasile è migliorato, si vede già in aeroporto: alla do-gana, impiegati gentili pronti a trattarti nel migliore deimodi. Poi le strade, gli autobus, le auto sono aumentate enuove. Il bus che ho preso di notte per andare a TeófiloOtoni, ogni due ore si fermava; si poteva mangiare, al con-trario di trent’anni fa, quando non era prudente sostare.

suoi tempi. Intanto nel mondo sono molte le persone chelavorano in quest’ottica, e poi c’è la memoria, ricordarsi dadove siamo venuti. Quelli che mi hanno accompagnato sonoragazzi nati negli anni ‘80 e ‘90, che non ricordano le diffi-coltà di quegli anni. La vita è cara, un salario minimo garan-tito per legge è sui 800 reais, circa 240 euro. Il bus da BeloHorizonte a Teófilo Otoni costa 41 reais. Dall’aeroporto allacittà, 11 reais. Una pizza tre euro. Un real vale 0,30 euro.

Ieri sera c’è stata una preghiera degli evangelici organiz-zata da don Piero Tibaldi molto frequentata per l’8 marzo(nella foto a sinistra, alcune donne all’incontro); domenicaci sarà una manifestazione cittadina.

Ora dopo un tempo favorevole, anche il Brasile sta en-trando in “recessione”.

Intanto, il progetto dell’APJ cammina con le proprie gam-be: il seme gettato tanti anni fa sta dando i suoi frutti.

Una legge in Brasile ha permesso l’istituzione di moltiasili, pubblici e privati, così che non si vedono più i ragazziper strada, se non quando vanno e tornano da scuola. Cisono alcune facoltà universitarie pubbliche e serali che per-mettono la frequenza anche a chi lavora. I precedenti go-verni si sono impegnati molto per la gente povera.

Non essendoci più ragazzi adolescenti per le strade, l’APJ,a partire dal 2010, non ha più la “casa per l’adolescente”.Sono stati fatti alcuni progetti e l’ultimo deve essere rinno-vato per una formazione per ragazzi, con borse-lavoroper alcuni anni.

Perché nonostante tutto, i problemi sociali sono in au-mento: più droga, sanità pubblica scarsa, ecc. Anche a Teó-filo Otoni è importante la formazione dei “futuri leader”,di coloro che saranno al governo. Esiste un’economia del-lo scambio, reinventata, ripensata, della condivisione, delco-working, del co-housing, un’economia della decrescitafelice. Si torna a privilegiare i mestieri antichi, gli orti co-munitari, per riavvicinarci alla terra e all’uomo, attraversouna nuova relazione basata sull’importanza dell’altro.L’APJ si è costituita come associazione e lavora “local-mente” in questa direzione, sulla formazione, sui pro-getti agricoli, culturali e gestisce una banca etica. Noiin Italia troviamo difficile da realizzare, ma ognuno ha i Nelle foto, immagini di vita quotidiana a Teófilo Otoni

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Aprile 2015 31

Incontri Ecumenici di preghieraGli incontri si terranno il primo sabato del mese alle ore 21. I prossimi appuntamenti saranno:sabato 30 marzo 2015 presso il Sermig, in Piazza Borgo Dora 61, si terrà un incontro ecumenico

in occasione della Pasqua.sabato 2 maggio 2015 presso la chiesa ortodossa copta di Santa Maria, in via San Donato 17Comunità di base di TorinoDomenica 10 maggio e 14 giugno, alle ore 11, presso la sede dell’Associazione Opportunanda,via S. Anselmo n. 28, la comunità di base celebrerà l’eucarestia, a cui tutti i lettori sono invitati. Prosegueinoltre la lettura del Vangelo di Matteo guidata da padre Ernesto Vavassori.Informazioni sulle date: Carlo e Gabriella 011 8981510.Incontro con Padre Stefano Campana ad AlbugnanoLa Fraternità Emmaus di Albugnano organizza un incontro con Padre Stefano Campana, domenica12 aprile presso la cascina Penseglio dalle ore 10 alle 16.30; si pranza insieme in cascina.Per informazioni: Fraternità Emmaus 011 9920841 (anche per prenotarsi per il pranzo).Chiesa di tutti, chiesa dei poveriIl 4° incontro, in occasione del 50° anniversario del Concilio Vaticano II, sul tema della Gaudiumet Spes, si terrà a Roma, sabato 9 maggio, all’auditorium di piazza dello Scoutismo.Sito: www.chiesadituttichiesadeipoveri.it. Per informazioni, adesioni e altro:Vittorio Bellavite, [email protected] - Tel. 02-2664753, cell.3331309765Franco Ferrari, [email protected] - Tel. 0521-242479 cell. 340082848Fabrizio Truini, [email protected] - Tel. 06-5190486, cell. 3398928097

Torino30 marzo2 maggio

Gli appuntamenti dell’Agenda sono consultabili sul nostro sito all’indirizzo:http://www.tempidifraternita.it/applicazioni/agenda/agenda.php

AGENDA

Albugnano12 aprile

Torino10 maggio14 giugno

Ciò che vi dico nelle tenebre,

ditelo in piena luce,

e ciò che vi si dice all’orecchio

predicatelo sui tetti.

mt. 10,27

EDITORIALEPasquale Colella, «Chiesa povera e dei poveri»

CHIESA

Cristofaro Palomba, Povertà evangelica in una società violenta

ETICA E POLITICA

Piero Bellini, Libertà di pensiero, libertà di stampaGuglielmo Forni Rosa, Simone Weil nel XXI secoloElio Rindone, Lo slogan della governabilità

DOCUMENTI

Comitati Dossetti, Nuove elezioni per riforme condivisePaolo Farinella, Appello a sostegno di Papa FrancescoAlberto Maggi, I dieci comandamenti dopo BenigniVittorio Bellavite, Ottopermille e la sua gestione

SEGNALAZIONI

Mario Gaetano Fabrocile, 2014 anno dei Papi SantiMario Gaetano Fabrocile, La giornata dei diritti umaniPaola Pariset, Il Werther allʼOpera di Roma

DOSSIERPUNTO E A CAPO

Pasquale Colella, Guido DʼAgostino, Aldo Masullo, Ermanno Rea,Laura Capobianco, Corrado Maffia, Annamaria Palmieri, Ugo Leone,Ugo Maria Olivieri, Mario Porzio, Andrea Proto Pisani, Mario Rovi-nello

LIBRI

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE - Piazzetta Cariati, 280132 NAPOLI - Telef. (081) 414.946.E-mail: [email protected]

il tetto

gennaio - febbraio 2015 n. 305

Roma9 maggio

L’incontro si terrà domenica 19 a19 a19 a19 a19 aprile prile prile prile prile conCCCCCECILIAECILIAECILIAECILIAECILIA G G G G GOSSOOSSOOSSOOSSOOSSO - - - - - Ph. D. Scienza Politica e Relazioni Internazionali

“LA MEMORIA ED IL PERDONO:“LA MEMORIA ED IL PERDONO:“LA MEMORIA ED IL PERDONO:“LA MEMORIA ED IL PERDONO:“LA MEMORIA ED IL PERDONO: STRA STRA STRA STRA STRATEGIE SOCIALI E POLITICHE”TEGIE SOCIALI E POLITICHE”TEGIE SOCIALI E POLITICHE”TEGIE SOCIALI E POLITICHE”TEGIE SOCIALI E POLITICHE”IIIIILLLLL CASOCASOCASOCASOCASO DIDIDIDIDI E E E E ELLLLL S S S S SALALALALALVVVVVADORADORADORADORADOR DOPODOPODOPODOPODOPO LALALALALA GUERRAGUERRAGUERRAGUERRAGUERRA CIVILECIVILECIVILECIVILECIVILE TRATRATRATRATRA RICONCILIAZIONERICONCILIAZIONERICONCILIAZIONERICONCILIAZIONERICONCILIAZIONE EEEEE IMPUNITÀIMPUNITÀIMPUNITÀIMPUNITÀIMPUNITÀ

cdbLa comunità di base di Torino e la frfrfrfrfraaaaaterterterterternità Emmausnità Emmausnità Emmausnità Emmausnità Emmaus

di Albugnano annunciano il terzo incontro 2015 sul tema:

Un’unica possibilità:il perdono

L’incontro si svolge alla Cascina Penseglio (Albugnano)dalle 10 alle 17. Alle ore 15:30 si celebra l’Eucarestia.

Per il pranzo prenotarsi direttamente al n. 011 9920841.Per altre informazioni: 011 8981510 - 011 733724 - 011 9573272

È necessario prenotare: tel. 011-9920841oppure e-mail: [email protected]

Pasquetta di solidarietà 2015Anche quest’anno la Fraternità Emmaus di Albugnano viinvita alla Paquetta sull’aia presso la Cascina Penseglio.Il ricavato sarà devoluto ad una iniziativa di solidarietà.L’appuntamento è alle ore 12.00 di lunedì 6 aprile.Verrà servito uno squisito pranzo agrituristico preparatodalla Comunità.

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32 Aprile 2015

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ELOGIO DELLA FOLLIAa cura di Gianfranco Monaca

Reciprocità

Nell'antico patrimonio della saggezza greca c'è la favoladelle due bisacce: ogni uomo porta al collo due bisac-ce, una gli pende sulla schiena, l'altra sul petto. Nella

prima stanno i suoi difetti, nella seconda i difetti altrui, il chespiega perché siamo più predisposti a vedere i difetti deglialtri che i nostri. La saggezza evangelica drammatizza: levala trave dal tuo occhio prima di cercar di togliere la pagliuz-za dall'occhio del tuo fratello (Matteo cap 7). All'inizio di ognibanchetto eucaristico la tradizione liturgica ci impone di re-citare il "Confiteor" per chiedere perdono per i NOSTRI pec-cati, non per quelli degli altri. Solo una comunità capace dibattere il "MEA CULPA" su di sé può essere disposta a man-giare e bere il Pane e il Vino che sintetizzano la vita e lamorte di un profeta di pace morto perdonando anche i suoiassasssini.

Per duemila anni NOI abbiamo edulcorato questo messag-gio, abbiamo trasformato il Profeta di pace in un "Dio deglieserciti" e ci siamo autonominati esecutori delle sue vendette,procurando di mettere sulle insegne dell'esercito più aggres-sivo del mondo il monogramma di Cristo senza neppure ac-corgerci che si trattava di una bestemmia. In suo nome abbia-mo incendiato città, annientato popolazioni, distrutto bibliote-che, avvelenato i fiumi e il mare, demolito le memorie e l'artedi intere civiltà al di qua e al di là degli Oceani. Abbiamo osan-nato come santo l'imperatore Costantino - colpevole di avere

fatto assassinare per motivi politici la moglie e i figli - che hadistrutto il cimitero "pagano" del colle Vaticano - scrigno dibellezza - per costruire al suo posto la basilica madre dell'on-nipotenza petrina, dimenticando, di Pietro, i ripetuti tradimentie le amare lacrime di pentimento.

Ora - per una atroce reciprocità - altri stanno copiando iNOSTRI crimini e la nostra follìa, con le nostre stesse motiva-zioni, scrivendo il nome impronunciabile del Signore della Pacesulle bandiere della vendetta. E noi stiamo pensando alla no-stra difesa armata anziché vestirci di sacco e invocare la mi-sericordia dell'Altissimo, senza immaginare che, invece, laPace e la Salvezza dovrebbero iniziare dalla NOSTRA con-versione, come fu per Ninive, secondo il libro di Giona.

Lo spettacolo delle decapitazioni umane e delle demoli-zioni del patrimonio storico e culturale a cui assistiamo sonouna retroproiezione con cui il Dio Misericordioso ci mostra iNOSTRI crimini storici, affinché NOI possiamo guardarci allospecchio e pentirci; guai a noi se non sapremo profittare diquesta lezione. Per la prima volta nella storia l'Occidente "cri-stiano" è costretto a prendere atto della propria vulnerabili-tà: risponderà come sempre speculando sul mercato dellearmi? Oppure saprà pentirsi rinunciando al proprio delirio disopraffazione per lavorare a un progetto globale di Giustiziae di Pace che trasformi le spade in zappe e i carri armati inmacchine agricole?