REPORTAGE - ilsaggiatore.com · Difcile scoprire a prima vista che l’impero degli uomini colpisce...

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REPORTAGE Ragazzi al Laundromat Café di Reykjavík.

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R E P O R TAG E

Ragazzi al Laundromat Café di Reykjavík.

VIAGGIO IN ISLANDA,

DOVE UOMINI

E DONNE SONO

DAVVERO ALLA PARI.

O NO?di Andrea Tarquini

sono donne quasi metà dei nuovi deputati dell’Althingi, il piccolo Parlamento appena rieletto. La vittoria dei conserva-tori e la delusione di Pirati e loro alleati di sinistra non tocca il primato della gender parity: la splendida isola dei ghiacci e dei geyser, della laguna blu e dell’aurora boreale lo tiene saldo in pu-gno. Chiunque governi o abbia governato, l’Islanda è da tem-po il paese numero uno al mondo nella realizzazione del diritto delle donne alla parità. Numero record di ministri e politici di rango di governo e opposizione, pilote nelle due compagnie ae-ree, donne ai piani alti di molte aziende. E donne, molte, anche nell’altro campo del record islandese: la letteratura. Sono donne molte delle grandi frme del paese che vanta il più alto numero di scrittori per abitante. Ci sarebbe di che vantarsi, se sei islandese, e da prendere esempio da parte di molte altre nazioni, Italia inclu-sa. Eppure, non tutto va bene: i problemi di discriminazione, lo scontro continuo, sordo, dietro le quinte con l’astuto e ben radi-cato potere patriarcale-maschilista, continua anche qui. E spesso fa male, ferisce nell’animo proprio loro, le acute donne islandesi che pure tanto hanno saputo conquistare.

SIl paesaggio islandese.

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R E P O R T A G E

Difcile scoprire a prima vista che l’impero degli uomini colpisce ancora, passeggiando nella bella Reykjavík. Perché ti accorgi di come tutto, qui più che altrove, porti l’impronta femminile. Dal numero di ufciali di polizia ai grandi nomi di design, moda e big del turismo. Fino a un dettaglio che vedi in città molto più che altrove: quando a sera gli islandesi stac-cano la spina, e si lanciano nella movida o nel relax tra i mille locali di tendenza giovanili e no, tra Bankastraeti, Laugavegur e Austurvöllur, a un passo dal Parlamento, in nessun altro luo-go del mondo vedi che i gruppi di ragazze o donne sole sono in maggioranza. Escono per una birra, per parlare senza volere né doversi mostrare per forza con un compagno a fanco, “fan-no banda” ovunque, dalle discoteche ai locali di karaoke, ai migliori ristoranti. Molti dei migliori locali di tendenza sono gestiti da donne o da ragazze, non da uomini.«Eppure non basta, siamo il paese più avanti al mondo per indi-ce di gender parity, ma c’è sempre un grande scalino di diferen-za», dice la giovane, brava e giallista Yrsa Sigurdardóttir, impor-tante voce nella cultura del paese e nel movimento femminile

islandese. «L’indice di gender parity da noi è dell’87,4 per cento. Capisci? Vuol dire che resiste pur sempre un vantaggio di 12,6 punti da parte degli uomini. Non è l’uguaglianza piena sancita dalla Costituzione. E il gap lo cogli spesso in settori chiave. Molte volte se ne avvantaggiano i politici coinvolti nell’aprile scorso dallo scandalo dei Panama Papers, colpevolmente colti con sommi enorme evase laggiù in Centroamerica. O proprio quegli stessi uomini che erano in maggioranza ai vertici delle banche con pochi scrupoli quando la crisi fnanziaria del 2008 ci mise a terra. E, purtroppo, devo dire che il predominio ma-schile ai vertici delle banche non era segno di maggiore onestà delle donne. Signifcava piuttosto che erano state aperte loro meno vie di carriera ai vertici delle banche poi coinvolte in afa-ri criminali: appena due su dieci, in media».Ombre sul primato, dunque. «Non è fnita», continua Yrsa mentre l’ascolto all’Apotek, l’antico, illustre ristorante del cen-tro. «Nonostante la forte solidarietà attiva tra noi donne, le di-screpanze di livello retributivo a pari lavoro sono un’ingiustizia sotto gli occhi di tutti. Una triplice ingiustizia. Perché più donne

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sono assunte in lavori meno pagati (infer-miere, maestre d’asilo, badanti); perché anche in lavori più qualifcati gli uomini a pari grado sono pagati meglio. E perché nel settore chiave della pesca armatori, ca-pitani ed equipaggi dei pescherecci sono uomini, ben retribuiti visto il pericolo e la pesantezza del lavoro, mentre alle donne resta il lavoro d’impacchettare o congela-re i pesci, pagato al minimo».«Anche nei media», continua Yrsa, tra-dotta con successo in tutta Europa (in Italia per Sperling&Kupfer e Il Saggia-tore), «appaiono più spesso gli uomini. I sociologi ci dicono che noi siamo spesso troppo timide, non sappiamo farci avan-ti nel modo spavaldo maschile». Pessimismi analoghi li colgo ascoltando Gerdur Kristny, l’altra giovane star della letteratura islandese (inedita in Italia), le-ader carismatica del neofemminismo di sinistra. «La stessa arro-ganza con cui i politici maschi conservatori hanno tentato di ag-grapparsi al potere dopo lo scandalo dei Panama Papers e la stessa vittoria conservatrice alle elezioni sono sintomi della potenza del maschilismo patriarcale da noi: la vera gender parity, per quanto avanzati siamo nelle classifche, afronta sfde enormi. E la nostra società è troppo ingenua, ha fretta di perdonare e dimenticare», mi dice al cafè letterario del Museo di storia nazionale. Restano poche - nonostante l’alto numero di deputate e ministre - anche le donne con vero ruolo di leader po-litici, mi fa capire Gerdur. Pensa alla sua amica del cuore Katrín Jakobsdóttir, alla guida dei verdi di sinistra, e alla re-sponsabile dei pirati Birgitta Jónsdóttir. Leader coraggiose

ma sconftte al voto dal Partito dell’In-dipendenza del ministro delle Finanze «che ha vinto con una lista di candidati con uomini predominanti, e facendosi fotografare paterno a feste di comple-anno di bambini». Le donne islandesi afrontano sfde anche nella vita quo-tidiana, confessa Gerdur, madre di due fgli, 12 e 8 anni: «I politici conservato-ri hanno sì rilanciato l’economia col tu-rismo, ma il boom economico ha reso il caro-casa proibitivo per i giovani. Già oggi mi preoccupo del futuro dei miei due fgli quando vedo quanti ventenni sono costretti dal costo di mutui o ftti a restare con i genitori. È uno strappo grave, per un paese scandinavo: qui nel Nord i giovani dai 18 in su per tradi-zione hanno fretta di andare a vivere da soli. E siccome i conservatori hanno

vinto promettendo di tagliare le tasse, saranno i servizi socia-li, i giovani, le donne e gli asili, a farne le spese». In provincia, nell’Islanda profonda, è anche peggio. «Ci vuole una politica di quote rosa», lamenta Gerdur. E dal pro-fondo della società, da dietro la cortina di ferro della pace fa-miliare patriarcale, emergono storie atroci. Come quella che Gerdur raccolse e narrò in uno dei suoi libri di maggior suc-cesso, A picture of dad -Telma’s story, nella versione in inglese. «Telma, 34enne, undici anni fa venne a cercarmi. La sua vita era distrutta, aveva scelto di trovare il coraggio di rompe-re il silenzio col mio aiuto. Per anni suo padre aveva sistemati-camente violentato lei e la sorella minore, e le aveva vendute a dei pedofli senza scrupoli». Storia atroce, anche per il suo svi-

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Foto a lato, la giallista Yrsa Sigurdardóttir e, sotto, la leader dei pirati Birgitta Jónsdóttir. A sinistra, la scrittrice Gerdur Kristny.

«SIAMO ALL’87,4%

NELLA GENDER PARITY.

MA CONTA IL 12,6%

ANCORA DA FARE»

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Le band delle Reykjavíkurdætur.

luppo giudiziario. «Telma si era decisa a venire da me chie-dendo di narrare tutto anni dopo che la magistratura, lenta ed esitante, si era decisa ad afrontare il caso e indagare sulle denunce delle due ragazze. Erano i primi Anni ’70. I giudici dichiararono di ritenere impossibile che simili crimini potes-sero essere avvenuti in Islanda, le ritenne ragazzine suggestio-nate. Il padre fu assolto. Solo da allora si cominciò a discu-tere di rendere più severe le pene per reati sessuali contro le donne. Ancora adesso vogliamo un’eguaglianza vera: potere diritti e ruoli, nulla di meno. Vogliamo che le leggi vengano applicate e non restino sulla carta». Ombre cupe patriarcali e di violenza maschile quotidiana, insomma, oscurano anche il paese primo della classe nella gender parity. n

Quando vengono invitate in tivù, lo scandalo è assicurato. In un talk show di recente hanno fatto irruzione vestite da infermiere, calandosi i pantaloni in diretta e scandendo frasi pesantemente hard. Ma il repertorio delle Reykjavíkurdætur, letteralmente “le figlie di Reykjavík”, il più famoso collettivo rap della scena musicale islandese, non conosce davvero inibizioni. Queste venti ragazzine, che si esibiscono sempre in abiti succinti e con trucchi pesanti, mentre fumano e bevono, cantano canzoni che parlano di sesso e corruzione, droghe e stupri. I loro testi contengono sempre un grido di denuncia contro il maschilismo dominante, anche in una società emancipata come quella islandese. «Abbiamo cominciato

nello stesso modo in cui hanno avuto origine movimenti come l’hip hop e il punk: nessuna di noi sapeva suonare uno strumento, ma avevamo tutte bisogno di far sentire la nostra voce», racconta Salka Valsdóttir, una delle fondatrici del gruppo. La band è nata casualmente nel luglio 2013, da una serata rap organizzata in un club di Reykjavík, e aperta solo alle donne. Un evento al quale parteciparono in centinaia, ma quattordici ragazze si alternarono in quell’occasione al microfono, improvvisando dei testi che davano sfogo a esperienze tutte femminili, spesso frustranti. Nelle settimane successive continuarono a vedersi per comporre delle canzoni, in gruppi di due o tre. È così che sono nate le Reykjavíkurdætur, un collettivo che da allora ha variato sempre il numero, ma non lo stile: con canzoni di un femminismo militante, che fanno della trasgressione, la provocazione e l’insulto, la propria bandiera. «Prima di noi non c’erano donne che facevano rap», continua Salka, capelli corti e piercing al naso, «siamo entrate in un ambiente dominato completamente da uomini, non c’era uno spazio per noi e abbiamo dovuto crearcelo». Un’apparizione, la loro, che ha scatenato un putiferio di polemiche anche da parte

di colleghi musicisti, in una scena rap come quella islandese, affollata da dozzine di band, tutte però rigorosamente maschili. «La gente comincia a riconoscerci come gruppo hip-hop», aggiunge Salka, «ma la cosa più importante è che i rapper ormai si stanno abituando alla presenza di donne, e anche i loro testi stanno cambiando». L’industria discografica locale però non sembra ancora aver accettato le loro provocazioni, così che, nonostante i tanti concerti, le Reykjavíkurdætur hanno dovuto ricorrere al crowdfunding per finanziare il loro primo album. «In Islanda il pubblico o ci adora o ci odia», conclude Salka. C’è anche chi invita “le figlie di Reykjavík” a tornarsene in cucina. Uscire dai ruoli convenzionali dà fastidio anche in una piccola nazione dove quasi la metà dei seggi in Parlamento e dei consigli d’amministrazione è occupato da donne. Eppure per la piena parità dei sessi, anche nell’Islanda del Partito Pirata di Birgitta Jónsdóttir (terza forza politica alle recenti elezioni), c’è ancora molta strada da fare. Pure nella musica.

PROVOCAZIONI

ROSA RAPdi Sandro Orlando