Slavoj Žižek - ilsaggiatore.com · David lynch (Missoula, 1946) è un regista, sceneggiatore e...

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Slavoj Žižek (Lubiana 1949) è ricercato- re all’Università di Lubiana, e direttore del Birkbeck Institute for the Humanities dell’Uni- versità di Londra, nonché uno dei più discussi filosofi del nostro tempo. Ha pubblicato più di cinquanta libri ed è stato tradotto in più di venti lingue. Per il Saggiatore è uscito Contro i diritti umani (2006). Traduzione di Gabriele Illaretti e Marco Senaldi € 21,00 pp. 424 IN LIBRERIA DAL 16 GIUGNO Slavoj Žižek CHE COS’È L’IMMAGINARIO Come sottrarci alla tempesta di immagini, informazioni, relazioni tecnologiche da cui siamo sommersi? Dove trovare un punto saldo cui ancorare la percezione della realtà che ci circonda? Un tempo, dice Slavoj Žižek, le cose erano più semplici: si potevano criticare le ideologie come «mistificazioni» proprio facendo appello al senso di realtà. Oggi, invece, bisogna procedere al contrario: da quando la realtà si è fatta virtuale, la si deve criticare partendo dal suo supplemento illusorio: dal lato dell’immaginario. Uno dei compiti principali della filosofia oggi sarebbe dunque sottoporre a critica lo statuto dell’immaginario e il suo rapporto con la realtà; se non che Žižek, con la sua celebre capacità di rovesciamento dialettico, ci dimostra che le cose non stanno così: la distinzione tra realtà e immaginario è falsa, ed è reale e immaginaria essa stessa. Žižek intreccia i più grandi pensatori della storia – da Immanuel Kant a Jacques Lacan – con i più eterogenei esponenti della cultu- ra popolare – da Alfred Hitchcock a Woody Allen – e dà vita a un discorso eterodosso e serratissimo, attraverso il quale esamina la nozione di immaginario, il modo in cui esso anima il piacere e ne contempera gli eccessi, lo strutturarsi del feticismo – dalle origini religiose agli sconvolgimenti postmoderni – e infine la metamor- fosi della soggettività nell’era digitale. Che cos’è l’immaginario – già noto al pubblico italiano con il ti- tolo L’epidemia dell’immaginario e ora riproposto dal Saggiatore in un’edizione rivista – è un testo in cui i nostri abituali schemi di pensiero sono sottoposti a tensione estrema: un fondamentale per imparare a far deflagrare l’impalcatura delle categorie, quoti- diane e filosofiche, che ci mantengono in vita.

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Slavoj Žižek (Lubiana 1949) è ricercato-re all’Università di Lubiana, e direttore del Birkbeck Institute for the Humanities dell’Uni-versità di Londra, nonché uno dei più discussi filosofi del nostro tempo. Ha pubblicato più di cinquanta libri ed è stato tradotto in più di venti lingue. Per il Saggiatore è uscito Contro i diritti umani (2006).

Traduzione di Gabriele Illaretti e Marco Senaldi

€ 21,00pp. 424

In lIbrerIa Dal 16 gIugno

Slavoj ŽižekChe Cos’è L’immaginaRioCome sottrarci alla tempesta di immagini, informazioni, relazioni tecnologiche da cui siamo sommersi? Dove trovare un punto saldo cui ancorare la percezione della realtà che ci circonda? Un tempo, dice Slavoj Žižek, le cose erano più semplici: si potevano criticare le ideologie come «mistificazioni» proprio facendo appello al senso di realtà. Oggi, invece, bisogna procedere al contrario: da quando la realtà si è fatta virtuale, la si deve criticare partendo dal suo supplemento illusorio: dal lato dell’immaginario. Uno dei compiti principali della filosofia oggi sarebbe dunque sottoporre a critica lo statuto dell’immaginario e il suo rapporto con la realtà; se non che Žižek, con la sua celebre capacità di rovesciamento dialettico, ci dimostra che le cose non stanno così: la distinzione tra realtà e immaginario è falsa, ed è reale e immaginaria essa stessa.Žižek intreccia i più grandi pensatori della storia – da Immanuel Kant a Jacques Lacan – con i più eterogenei esponenti della cultu-ra popolare – da Alfred Hitchcock a Woody Allen – e dà vita a un discorso eterodosso e serratissimo, attraverso il quale esamina la nozione di immaginario, il modo in cui esso anima il piacere e ne contempera gli eccessi, lo strutturarsi del feticismo – dalle origini religiose agli sconvolgimenti postmoderni – e infine la metamor-fosi della soggettività nell’era digitale.Che cos’è l’immaginario – già noto al pubblico italiano con il ti-tolo L’epidemia dell’immaginario e ora riproposto dal Saggiatore in un’edizione rivista – è un testo in cui i nostri abituali schemi di pensiero sono sottoposti a tensione estrema: un fondamentale per imparare a far deflagrare l’impalcatura delle categorie, quoti-diane e filosofiche, che ci mantengono in vita.

Vittorio lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario presso la Facoltà di Me-dicina e Psicologia della Sapienza-Università di Roma, dove dal 2006 al 2013 ha diretto la Scuola di specializzazione in Psicologia clini-ca. Ha pubblicato più di 200 articoli su riviste italiane e internazionali e numerosi volumi. Con Nancy McWilliams è coordinatore scien-tifico della nuova edizione dello Psychodyna-mic Diagnostic Manual (Guilford Press, uscita prevista 2017). È anche autore, per l’edito-re nottetempo, di due raccolte di poesie: La confusione è precisa in amore (2012) e Al-terazioni del ritmo (2015). Dirige la collana «Psichiatria, Psicoterapia, Neuroscienze» di Raffaello Cortina editore e collabora all’inserto culturale Domenica del Sole 24 ore e al Vener-dì di Repubblica.

€ 20,00pp. 368

In lIbrerIa Dal 23 gIugno

Vittorio LingiardiCitizen gayAffetti e dirittiUn tempo erano discriminate per la loro «devianza», oggi perché rivendicano il diritto a una cittadinanza «normale» che comprenda matrimoni, famiglie, pensioni. Come mai le persone omosessuali, storicamente marchiate come peccatrici, invertite o malate men-tali, chiedono di poter adottare quell’ordine familiare che tan-to ha contribuito alla loro sfortuna? Dopo un faticoso cammino, anche in Italia, come in gran parte del mondo, le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono legge dello Stato. È un traguardo storico per la democrazia italiana, ma non è ancora il matrimonio egualitario. Soprattutto, non è una legge che riconosce diritto d’esistenza ai genitori gay e lesbiche e ai loro figli.Per raccontare le omosessualità e la lunga marcia verso l’ugua-glianza, Vittorio Lingiardi mette in dialogo psicoanalisi e biologia, psichiatria e scienze sociali, storia e giurisprudenza. Alla sua terza edizione, completamente aggiornata, Citizen gay è diventato un classico, che spiega la varietà degli orientamenti sessuali, gli in-ganni contenuti nella domanda «si nasce o si diventa?», le radici dell’omofobia – sociale e interiorizzata –, gli effetti psicologici del minority stress, i risultati delle ricerche scientifiche sulle famiglie omogenitoriali, la fine del pregiudizio psicoanalitico sull’omoses-sualità. Un libro per capire che ogni maggioranza è un insieme di minoranze, che la varietà è una ricchezza, che non c’è «natura» senza «cultura» e che la curiosità è meglio del sospetto.

«Questo libro descrive una realtà sociale viva, fatta di sentimenti e diritti, a cui la legge sulle unioni civili ha dato dignità giuridica.»

Sen. Monica Cirinnà

«Un libro su un tema vitale per passare dalla politica del disgusto a quella dell’umanità.»

Martha C. Nussbaum

Mario Monicelli (1915-2010) è stato uno sce-neggiatore e regista italiano. Per i suoi film ha ottenuto sei nomination all’Oscar e numerosi premi cinematografici internazionali. Nel 1991 è stato insignito del Leone d’Oro alla carriera.

Sebastiano Mondadori è nato a Milano nel 1970. Dal 2006 lavora a Lucca, dove ha fon-dato e dirige la Scuola di scrittura creativa Barnabooth. I suoi ultimi romanzi sono: Un anno fa domani (Instar Libri 2009 – seleziona-to per il Premio Strega 2010), Balliamoci so-pra. Sbandate letterarie (Zona Franca 2010), Miracoli sbagliati (Miraviglia 2013), Gli amici che non ho (Codice 2015), L’anno dello Stra-niero (Codice 2016).

€ 24,00pp. 344

In lIbrerIa Dal 23 gIugno

Mario MonicelliLa Commedia umanaConversazione con Sebastiano MondadoriIgnorata o screditata per anni dalla critica ufficiale, oggi la com-media all’italiana è celebrata come il filone più originale e fe-condo nella storia del nostro cinema. Mario Monicelli ne è stato fondatore e massimo esponente. In questo fitto dialogo con Se-bastiano Mondadori, il regista che ha inventato Totò neorealista e Vittorio Gassman comico, Monica Vitti mattatrice della risata e Alberto Sordi attore drammatico racconta passo dopo passo i suoi quasi sessanta film. Una storia artistica e personale che s’intreccia alla storia d’Italia, di cui Monicelli è stato testimone e censore, mettendo in scena fatti e misfatti, vizi e piccolezze di connazionali mediocri.Nella Commedia umana Monicelli fa emergere, come in un testa-mento spirituale, tutta l’essenza di un cinema in cui la risata sgor-ga, amara, da una vera «poetica del cialtrone», capace di svelare senza indulgenze la sproporzione tra l’atteggiamento sbruffone e millantatore degli italiani e le loro reali capacità, il loro individuali-smo tanto generoso di parole quanto gretto nell’animo e nei fatti. Ridere delle miserie umane, infierire sui disgraziati smascherando-ne difetti, tabù e pregiudizi: è la vena dissacratoria tipica di molta della migliore letteratura italiana ad animare la comicità spietata, spesso disperata di film come I soliti ignoti, La grande guerra, L’armata Brancaleone, Amici miei, Un borghese piccolo piccolo, Il marchese del Grillo, Speriamo che sia femmina.Monicelli ripercorre una vita dedicata con passione totalizzante al cinema, guardando ai ricordi di sessant’anni di carriera attraverso il velo dell’ironia e il gusto della provocazione, senza reticenze e senza prendersi troppo sul serio, sempre pronto a sminuire trage-die e verità assolute. Totò, Sordi, Mastroianni, Gassman, Tognaz-zi; Monica Vitti, Sophia Loren, Stefania Sandrelli; Germi, Fellini, De Sica, Rossellini; Suso Cecchi D’Amico, Steno, Age e Scarpelli… questi, e molti altri, i compagni di strada sorpresi a riflettori spen-ti, che Monicelli evoca nella sua trama preferita: un gruppo di disperati che falliscono l’impresa.

Marco Magurno è nato a Pescia (Pistoia) nel 1974, vive e lavora a Pisa. Si occupa di comu-nicazione visiva, design grafico e web. Questo è il suo libro d’esordio.

€ 24,00pp. 334

In lIbrerIa Dal 23 gIugno

Marco MagurnodioRamaSe si osserva da quelle feritoie che sono oggi gli schermi, la realtà sembra esplosa. Gli schermi stessi sembrano esplosi. Si toccano i dispositivi, per mobilitare ciò che non ha volume fisico e appare come una sterminata legione di fantasmi, un iperuranio abitato da immagini e suoni e infinite connessioni, in cui la vita umana si consuma secondo i ritmi di un’accelerazione prodigiosa e impre-vedibile. Il panorama in cui ci muoviamo, tra social, reti e reiterate abolizioni (del tempo, dell’istanza morale, dell’economia e della politica: di ciò che fu il mondo pretecnologico), è divenuto Dio-rama: una situazione infinita, in cui natura e artificio manifesta-no una continuità aberrante per chi non immaginava il futuro in questa forma. Testimoni voraci dell’osceno e dell’inerme, affamati di sogni da spendersi in una realtà immersiva e diversa da quella nativa, gli umani si sono repentinamente trasformati da frequen-tatori di ambienti virtuali nell’epitome dello spettatore: l’occhio che vede se stesso e assiste a tutto.Marco Magurno da anni opera all’interno di questo Supermondo, utilizzandone l’atmosfera, gli stili e le immagini come un artista rinascimentale impiegava i pigmenti. Accumulando icone e sug-gerendo apparentamenti inediti tra fatti che un tempo si sareb-bero detti storici, Magurno mostra la grande migrazione di cui il Diorama è il compimento, organizzando il regesto estetico di un mondo lanciato verso l’infinitudine, un museo dal vivo in cui si è da sempre entrati, l’età adulta delle immagini che nella pubertà apparvero televisive o popolari, non ancora autonome o «coinci-denti con noi stessi». Con Diorama si dà vita a una storia universa-le in cui affluiscono tutti i generi e le sovrascritture: da Warburg a Deleuze, da Kafka a van Gogh, dalla sapienza antica al postuma-nesimo. Diorama è l’Opera alchemica nel tempo singolare in cui il futuro collassa nel presente e disegna il destino della specie che si trascina oltre le colonne d’Ercole del cosmo fisico, compiendo tutte le profezie e consumando i confini tra farsa e tragedia.

David lynch (Missoula, 1946) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Ha diretto i lungometraggi Era-serhead. La mente che cancella (1977), The Elephant Man (1980), Dune (1984), Velluto blu (1986), Cuore selvaggio (1990, Palma d’oro per il miglior film), Fuoco cammina con me (1992), Strade perdute (1997), Una storia vera (1999), Mulholland Drive (2001, Palma d’oro alla regia) e Inland Empire. L'impero del-la mente (2006). Nel 2006 ha ricevuto il Le-one d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.

Traduzione di Marco Borroni

€ 22,00pp. 432

In lIbrerIa Dal 30 gIugno

David Lynchio vedo me stessoLa mia arte, il cinema, la vitaIl fuoco, il fumo. Strade notturne con semafori rossi mossi dal vento, tende rosse agitate da brezze invisibili. Il fischio delle se-gherie, le sirene sull’acqua. Queste e mille altre ossessioni af-follano la fantasmagoria allucinata di David Lynch, regista fra i più visionari della sua generazione, forse uno degli ultimi, come diceva Hitchcock, a «pensare per immagini». Il suo cinema è un’e-sperienza simile a quella che si vive al risveglio, quando il mondo del sogno sfuma lentamente nella consapevolezza. È un sogno vi-gile, un viaggio attraverso l’ignoto, l’oscuro, il bene e il male che forgiano ognuno di noi. Per questo Lynch è così difficile da spie-gare e così restio a spiegarsi, perché la parola non può attingere al nucleo dell’incubo, può solo lambirlo. Il Saggiatore propone un’opera indispensabile per esplorare le geografie immaginifiche di Velluto blu e Strade perdute, Elephant Man e Mulholland Dri-ve: la provincia americana scandita da staccionate bianche e rose rosse, resa insonne da night club dove bande inesistenti suonano avvolte dal fumo; e una Los Angeles perennemente notturna che è, insieme, viale del tramonto e fabbrica impazzita di fantasmi. Io vedo me stesso è il risultato di più di un decennio di interviste raccolte da Chris Rodley, a cui David Lynch ha affidato il racconto della propria formazione, la passione per la pittura e l’influenza di artisti come Oscar Kokoschka e Francis Bacon, il lavoro di foto-grafo e la collaborazione musicale con Angelo Badalamenti, fino alle grandi opere cinematografiche, spesso frutto di difficili com-promessi per mantenere il controllo creativo. Io vedo me stesso è però soprattutto la risorsa più preziosa per comprendere la vita, il cinema, l’arte di Lynch; la voragine in cui precipitare per esplo-rare il suo paese delle meraviglie, in cui la percezione, alterata ma mai falsificata, è proiettata al di là del visibile; uno spazio di sogno dove il banale può mostrare la sua intima ironia, la verità del desiderio rivelarsi con forza prorompente e dove lo sguardo, fendendo il reale, riesce ad affacciarsi sullo spazio nero tra un pensiero e il successivo, il mistero che non ci è dato conoscere.

James agee (1909-1955), americano del Tennessee, è considerato uno dei più grandi prosatori del Novecento. È stato anche poeta, giornalista, critico cinematografico e sceneg-giatore a Hollywood. Il Saggiatore ha pub-blicato Sia lode ora a uomini di fama (2013, fotografie di Walker Evans), Brooklyn è (2014) e Una morte in famiglia (2015).

Traduzione di Giorgio Monicelli

€ 18,00pp. 256

In lIbrerIa Dal 30 gIugno

James AgeeLa vegLia aLL’aLbaIn un austero collegio religioso, un sacerdote irrompe nella pe-nombra notturna del dormitorio e chiama uno a uno tutti i ragaz-zi. Il grande orologio segna le quattro meno un quarto: è il Vener-dì Santo, l’ultima ora di Nostro Signore. Sopraggiunge la notte più lunga dell’anno, dunque bisogna vegliare. Il tredicenne Richard e i suoi compagni si dirigono, ridendo sotto-voce, verso la cappella della scuola. Qui, tra l’odore d’incenso e il mormorio delle preghiere, Richard ha la possibilità di ricordare i momenti cruciali della sua vita: la perdita del padre, il desiderio nascosto di santità che lo ha spinto, più di una volta, a sognare di essere crocifisso insieme a Gesù, la vanità della sua giovinezza – orgogliosa e testarda come tutte le giovinezze. Una veglia che dura poche ore ma che ha la consistenza dell’eternità, rapinosa e lustrale, in cui si trova a fare i conti con l’ossessione per la morte, respinta con paura e timore, ma anche desiderata, attesa, inse-guita come raggiungimento del proprio martirio; per il sesso, in un incompreso, malcerto impulso di liberazione e divieto; e per il riconoscimento della propria individualità. Dall’oscurità della cap-pella alla luce che trafila da Grotta Bagnata – simbolico eden in cui si rifugia dopo la veglia, dove scorrono acque acquitrinose e sibila il serpente del peccato originale – la notte santa diventa il momento della rinascita interiore, e l’approdo a una libertà vera, originaria, assoluta, vissuta fuori dalle gabbie e dalle imposizioni del cattolicesimo. La veglia all’alba è il racconto, lirico e drammatico, della grande idea americana dell’iniziazione adolescenziale, vissuta come un processo che porta, per mezzo dell’esperienza e del dolore, alla conoscenza adulta e alla maturità. James Agee, autore tra i più si-gnificativi del Novecento e contemporaneo cronologico e spiritua-le di Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e Salinger, realizza un’opera in cui autobiografia e finzione si intrecciano continuamente, at-traverso una prosa mimetica e lacerante che penetra nei pensieri più claustrofobici del suo personaggio, nel rantolo delle sue am-bizioni ascetiche, e ne coglie l’orgoglio, i fallimenti, le scoperte: la tragica lotta interiore che si agita nel cuore delle anime pure.