Sebastien Budgen, Stathis Kouvelakis, Slavoj lliek (a ...

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Sebastien Budgen, Stathis Kouve lakis, Slavoj lliek (a cura di), Lenin 2.0. La verità è di parte, Massa, Transeuropa, 2008, pp. 200. Quella di James D. White non è solo una biografia di Lenin, ma costituisce un ambizioso tentativo di ricostruire (come recita il sottotitolo) la sua pratica e la sua teoria della rivoluzione attraverso gli snodi storici e i passaggi cruciali che hanno scandito la sua vita politica. In questa prospetti- va, il libro segue un lineare andaDlento cronolo- gico, sottolineato dai titoli dei singoli capitoli: il background famigliare, il periodo dell'infanzia e della giovinezza, la scelta rivoluzionaria, gli anni del Che fare? e della battaglia con i menscevichi, la rivoluzione del 1905, la prima guerra mondiale, l'Ottobre e la costruzione del potere sovietico. Di indubbio interesse per il dibattito storiografico è il punto di partenza del testo, illustrato nell'in- troduzione: per indagare il contesto politico in cui Lenin ha operato è necessario analizzare i rapporti tra Marx e il movimento populista russo, molto più stretti - sostiene l'autore - dell'imma- gine che ne ha traDlandato la tradizione marxista. Lo dimostra, continua White, l'importanza che per la fOIDlazione di Lenin ha avuto la vita e la morte del fratello Aleksandr il'ic m'janov, divenuto mi- litante populista e giustiziato nel 1887 per essere stato tra gli organizzatori di un mancato atten- tato ad Alessandro m. Non a caso Aleksandr era grande studioso di Marx, a dimostrazione della complessità ed eterogeneità del bagaglio teorico- politico dei narodniki. Ciò può gettare nuova luce anche sulla po- lemica tra Lenin e i populisti, che ha nel famoso libro Lo sviluppo del capitalismo in Russia la sua migliore eseUlplificazione: ben altro spazio meri- terebbe una discussione approfondita sul tema, ma certalllente corretta è l'insistenza con cui White individua in quel dibattito una chiave fondaDlen- tale per leggere il percorso del leader bolscevico. Altrettanto corretta è la necessità di situare la sua pratica e teoria rivoluzionaria: tale indicazione ri- schia però di essere contraddetta, in varie parti del testo, da un'interpretazione piuttosto rituale di Lenin che non solo andrebbe rivista alla luce

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mento (alcuni dei quali inclusi nella ricca appen­dice al volume). Ciò a conferma di una rinnovatacentralità, nella seconda metà del secolo, delle«scienze della vita» quale frontiera decisiva dellaricerca scientifica.

il secondo spunto di riflessione è costituitoda un modo di concepire la carriera accademica e divivere !'istituzione universitaria che resero Borsel­lino capace di interpretare al meglio alcuni aspet­ti positivi del tanto discusso sistema «baronale».<<Principe rinascimentale più che barone medieva­le» (Garibaldi, p. 123), Borsellino fu, infatti, undocente autorevole e un organizzatore della ricercascientifica capace di attrarre fondi, di muovere conefficienza le leve interne al CNR, di dar vita a col­laborazioni internazionali, di selezionare e avviarealla carriera molti borsisti, non esitando a mandarea casa i meno capaci. il tutto muovendosi al difuori della burocrazia un po' asfittica dei «settoriscientifico-disciplinari», all'insegna della collabo­razione fra le discipline e le cattedre e dell'aper­tura a collaborazioni con il mondo dell'industria.Al tempo stesso chi lo conobbe lo descrive come«l'essenza di un antibarone» (Luzzatto, p. 58) peril rapporto paritario che sapeva istituire con gli al­lievi e per la capacità di andare alla sostanza dellequestioni, al di là di ogni retorica. il Sessantotto lovisse, in effetti, come spettatore curioso e un po'disincantato: contrario alla sostanza e ai metodidella contestazione, fautore di un riformismo prag­matico e non demagogico, comunque apprezzatodagli studenti per la disponibilità al confronto el'onestà intellettuale.

Borsellino concluse la carriera a Triestedove si trasferi negli anni Ottanta, affrontando,dopo tanti successi, ancora una nuova sfida.

Claudia Mantovani

James D. White,Lenin. The Practice andTheory of Revolution,New York, Palgrave, 2001, pp. 272.

David Austin,You Don't Play with Revo­lution,Oakland, AK Press, 2009, pp. 256.

Sebastien Budgen, StathisKouvelakis, Slavoj lliek (acura di),Lenin 2.0. La verità è diparte,Massa, Transeuropa, 2008, pp. 200.

Quella di James D. White non è solo una biografiadi Lenin, ma costituisce un ambizioso tentativodi ricostruire (come recita il sottotitolo) la suapratica e la sua teoria della rivoluzione attraversogli snodi storici e i passaggi cruciali che hannoscandito la sua vita politica. In questa prospetti­va, il libro segue un lineare andaDlento cronolo­gico, sottolineato dai titoli dei singoli capitoli: ilbackground famigliare, il periodo dell'infanzia edella giovinezza, la scelta rivoluzionaria, gli annidel Che fare? e della battaglia con i menscevichi,la rivoluzione del 1905, la prima guerra mondiale,l'Ottobre e la costruzione del potere sovietico. Diindubbio interesse per il dibattito storiografico èil punto di partenza del testo, illustrato nell'in­troduzione: per indagare il contesto politico incui Lenin ha operato è necessario analizzare irapporti tra Marx e il movimento populista russo,molto più stretti - sostiene l'autore - dell'imma­gine che ne ha traDlandato la tradizione marxista.Lo dimostra, continua White, l'importanza che perla fOIDlazione di Lenin ha avuto la vita e la mortedel fratello Aleksandr il'ic m'janov, divenuto mi­litante populista e giustiziato nel 1887 per esserestato tra gli organizzatori di un mancato atten­tato ad Alessandro m. Non a caso Aleksandr eragrande studioso di Marx, a dimostrazione dellacomplessità ed eterogeneità del bagaglio teorico­politico dei narodniki.

Ciò può gettare nuova luce anche sulla po­lemica tra Lenin e i populisti, che ha nel famosolibro Lo sviluppo del capitalismo in Russia la suamigliore eseUlplificazione: ben altro spazio meri­terebbe una discussione approfondita sul tema, macertalllente corretta è l'insistenza con cui Whiteindividua in quel dibattito una chiave fondaDlen­tale per leggere il percorso del leader bolscevico.Altrettanto corretta è la necessità di situare la suapratica e teoria rivoluzionaria: tale indicazione ri­schia però di essere contraddetta, in varie partidel testo, da un'interpretazione piuttosto ritualedi Lenin che non solo andrebbe rivista alla luce

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della complessità della figura in questione, che lostesso White fa emergere, ma soprattutto non tie­ne conto della specificità delle condizioni in cui illeader bolscevico pensava, scriveva e agiva. È dif­ficile, cioè, comprendere e ricostruire la teoria delpartito di Lenin se non la si colloca nel contestodella Russia zarista, o seguire i cambiamenti di rot­ta se non li si incarna nello sV11uppo dei processi dilotta, anche quelli interni all'organizzazione.

Qui come non mai la summenzionata li­nearità cronologica pone grossi problemi innan­zitutto dal punto di vista del metodo. AnnotandoLa sdenza della logica di Hegel, Lenin scrive ripe­tutamente «Bisogna saltare!»: lo sviluppo del ca­pitalismo non può essere evitato con un sempliceatto della volontà (questa è la sua critica ai popu­listi), ma al contempo la possibilità rivoluzionariava afferrata rompendo il supposto sviluppo linea­re e progressivo del capitalismo. Questo è il rom­picapo leniniano, o la misteriosa curva della suaretta, per citare un celebre passaggio di L'Armataa cavallo di Babel poi ripreso da Tronti nell'edi­toriale del primo numero della rivista operaista«Classe operaia». Un altro buon esempio di ciò èfornito dal dibattito interno al partito bolscevico,tra il 1920 e il 1921, sul ruolo dei sindacati, a cui

Alberto Basciani, AntonioD'Alessandri (a cura di),Balcani 1908. Alle originidi un secolo di conflitti,Trieste. Beit, 2010, pp. 224.

Nella storia dei Balcani il 1908 fu l'anno di unamolteplice crisi politica. Tutto avvenne in modoabbastanza inatteso tra i mesi di luglio e ottobre:nell'Impero ottomano, la minaccia dei Giovaniturchi di marciare su Istanbul con forze militarisimpatizzanti indussero il vecchio sultano AbdUlHamid a ripristinare la costituzione del 1876 e apermettere l'avvio di una riforma politica in chiaveliberale; questo vuoto di potere fu sfruttato dallaBulgaria per proclamare l'indipendenza formale edall'Austria-Ungheria per annettersi ufficialmentela Bosnia-Erzegovina, occupata e amministrata dal1878. Un atto, quest'ultimo, condannato dalle altre

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White dedica alcune pagine. C.L.R. James - in unciclo di lezioni tenute a Montreal sul finire deglianni Sessanta e ora raccolte in un prezioso volumecurato da David Austin - fornisce una lettura cheribalta quell'idea del feroce centralismo leniniano,o della rivendicata separazione tra intellettuali eoperai che sono parte delle classiche interpreta­zioni cui si faceva cenno. Per lo storico di Trini­dad, al contrario, proprio quel dibattito mostracome per Lenin lo sviluppo del potere sovieticodipendesse non dal ruolo dello Stato o dal mo­nopolio politico del partito, ma dalla conquista­ta centralità dell'autonomia della classe operaia.

In una direzione in parte simI1e si muovonoanche alcuni dei contributi che compongono il li­bro curato da Sebastien Budgen, Stathis Kouvelakise Slavoj Ziiek. Muovendosi su uno spettro ampio diquestioni (dalla filosofia alla guerra e all'imperiali­smo, dalla politica al partito), il testo indaga l'at­tualità di Lenin ed è uno dei libri che può essereaggiunto alla rassegna bibliografica offerta da Whi­te, che anche in questo caso offre utili strumentiper addentrarsi nella letteratura, in lingua russa einternazionale, sul leader bolscevico.

Gigi RoggeTO

potenze, che aprì la cosiddetta crisi dell'annessionee che, soprattutto, portò alla rottura di una lungaintesa diplomatica fra Vienna e San Pietroburgo inmerito ai Balcani (tenuti per decenni «congelati»).La Russia, in risposta a quello che interpretò cometradimento e smacco, promosse dal 1908 in poi unapolitica volta a far convergere la Serbia, la Bulgariae la Grecia in un'alleanza anti-ottomana e a fardestabilizzare la Turchia europea, cioè i Balcani.L'annessione bosniaca aveva, a sua volta, acceso la«questione jugoslava» in seno all'Austria-Ungheria,ovvero la rivendicazione dei croati, serbi e sloveni,sudditi di Vienna e Budapest, per una soluzionepolitica garante di maggiore autonomia naziona­le. TI 1908, insomma, diede un'accelerata alle variedinamiche politiche, imperiali e nazionali, nell'Eu­ropa sud-orientale.

TI volume, curato da due giovani espertidei Balcani, è frutto di un convegno interna-