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1 COMUNITA’ DI SANTA MARIA DEL POPOLO ADORAZIONE EUCARISTICA – giovedì 4 febbraio 2010 QUESTI MIEI FRATELLI PIU’ PICCOLI (Mt 25, 40) Canto: Ubi caritas, Deus ibi est Guida: Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto. (Is 61, 1 – 3) Silenzio - Lettura personale – Giovanni Paolo II, dall’enciclica Dives in misericordia Dinanzi ai suoi compaesani a Nazaret, Cristo fa riferimento alle parole del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me.. ». Queste frasi, secondo Luca, sono la sua prima dichiarazione messianica, a cui fanno seguito i fatti e le parole conosciute per mezzo del Vangelo. Mediante quei fatti e quelle parole Cristo rende presente il Padre tra gli uomini. È quanto mai significativo che questi uomini siano soprattutto i poveri, privi dei mezzi di sussistenza, coloro che sono privi della libertà, i ciechi che non vedono la bellezza del creato, coloro che vivono nell'afflizione del cuore, oppure soffrono a causa dell'ingiustizia sociale, ed infine i peccatori. Soprattutto nei riguardi di questi ultimi il Messia diviene un segno particolarmente leggibile di Dio che è amore, diviene segno del Padre. In tale segno visibile, al pari degli uomini di allora, anche gli uomini dei nostri tempi possono vedere il Padre. (…) Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità. Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la «condizione umana» storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell'uomo, sia fisica che morale. Appunto il modo e l'ambito in cui si manifesta l'amore viene denominato nel linguaggio biblico «misericordia». Canto: O Lord, hear my prayer; when I call, answer me. O Lord, hear my prayer; come and listen to me. Preghiamo insieme con il salmo 34 (1 – 11; 16 – 19) Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino. Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce.

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COMUNITA’ DI SANTA MARIA DEL POPOLO ADORAZIONE EUCARISTICA – giovedì 4 febbraio 2010

QUESTI MIEI FRATELLI PIU’ PICCOLI (Mt 25, 40)

Canto: Ubi caritas, Deus ibi est

Guida: Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto. (Is 61, 1 – 3) Silenzio - Lettura personale – Giovanni Paolo II, dall’enciclica Dives in misericordia Dinanzi ai suoi compaesani a Nazaret, Cristo fa riferimento alle parole del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me.. ». Queste frasi, secondo Luca, sono la sua prima dichiarazione messianica, a cui fanno seguito i fatti e le parole conosciute per mezzo del Vangelo. Mediante quei fatti e quelle parole Cristo rende presente il Padre tra gli uomini. È quanto mai significativo che questi uomini siano soprattutto i poveri, privi dei mezzi di sussistenza, coloro che sono privi della libertà, i ciechi che non vedono la bellezza del creato, coloro che vivono nell'afflizione del cuore, oppure soffrono a causa dell'ingiustizia sociale, ed infine i peccatori. Soprattutto nei riguardi di questi ultimi il Messia diviene un segno particolarmente leggibile di Dio che è amore, diviene segno del Padre. In tale segno visibile, al pari degli uomini di allora, anche gli uomini dei nostri tempi possono vedere il Padre. (…) Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità. Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la «condizione umana» storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell'uomo, sia fisica che morale. Appunto il modo e l'ambito in cui si manifesta l'amore viene denominato nel linguaggio biblico «misericordia». Canto: O Lord, hear my prayer; when I call, answer me. O Lord, hear my prayer; come and listen to me. Preghiamo insieme con il salmo 34 (1 – 11; 16 – 19) Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino. Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce.

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L'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva.

Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia. Temete il Signore, suoi santi, nulla manca a coloro che lo temono. I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla. Gli occhi del Signore sui giusti, i suoi orecchi al loro grido di aiuto. Il volto del Signore contro i malfattori, per cancellarne dalla terra il ricordo. Gridano e il Signore li ascolta, li salva da tutte le loro angosce. Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti.

Guida: Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?" Gli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti".

Gli chiese: "Quali?". Gesù rispose: "Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso". Il giovane gli disse: "Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?". Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!". (Mt 19, 16 – 21) Silenzio - Lettura personale – da una riflessione di mons. Tonino Bello Non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina. Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c’è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi". E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salse sulla croce". Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera. E ce l'ha voluta insegnare. Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. Canto : Adoramus te, Christe, benedicimus tibi quia per crucem tuam redemisti mundum Guida: Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. (2 Cor 8,9)

Silenzio - Lettura personale – Giovanni Paolo II, dall’enciclica Evangelium vitae, 33

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È nella vita stessa di Gesù, dall'inizio alla fine, che si ritrova questa singolare «dialettica» tra l'esperienza della precarietà della vita umana e l'affermazione del suo valore. Infatti, la precarietà segna la vita di Gesù fin dalla sua nascita. Egli trova certamente l'accoglienza dei giusti, che si uniscono al «sì» pronto e gioioso di Maria. Ma c'è anche, da subito, il rifiuto di un mondo che si fa ostile e cerca il bambino «per ucciderlo», oppure resta indifferente e disattento al compiersi del mistero di questa vita che entra nel mondo: “non c'era posto per loro nell'albergo”. Proprio dal contrasto tra le minacce e le insicurezze da una parte e la potenza del dono di Dio dall'altra, risplende con maggior forza la gloria che si sprigiona dalla casa di Nazaret e dalla mangiatoia di Betlemme: questa vita che nasce è salvezza per l'intera umanità. Contraddizioni e rischi della vita vengono assunti pienamente da Gesù: “da ricco che era...”. La povertà, di cui parla Paolo, non è solo spogliamento dei privilegi divini, ma anche condivisione delle condizioni più umili e precarie della vita umana. Gesù vive questa povertà lungo tutto il corso della sua vita, fino al momento culminante della Croce: “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”. Guida: Le folle lo interrogavano: "Che cosa dobbiamo fare?". Rispondeva loro: "Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto". (Lc 3, 10 – 11)

Silenzio - Lettura personale – card. Carlo Maria Martini, Non temiamo la storia Nella Scrittura, la ricchezza in generale appare come una realtà buona, una benedizione di Dio:

pensiamo alle figure di Abramo, con possedimenti e greggi, di Giacobbe che moltiplica i suoi averi, di Giuseppe che diventa il grande sovrintendente del faraone d'Egitto, per benedizione di Dio. Ma successivamente la ricchezza manifesta i suoi caratteri ambigui, e il popolo d'Israele prende coscienza del fatto che realtà che vengono chiamate ricchezza, opulenza, sono spesso connesse con problemi di sfruttamento e di ingiustizia, oppure che ricchezza significa potere e che questo può prevaricare. Risuonano qui le parole di Gesù: «Guai a voi, ricchi» (Le 6, 24). E certamente vero che Gesù chiede a chi vuoi farsi suo discepolo di rinunciare ai propri beni donandoli ai poveri, però questo non avverrà sempre nel senso letterale della parola. Si tratterà, piuttosto, di operare per un nuovo ethos che prenderà sommamente sul serio i problemi dei poveri, della povertà, della fame, del sottosviluppo; un ethos modellato sull'attenzione ai bisogni autentici degli altri, un ethos che non cerca il potere dell'uomo sull'uomo come tale e l'adesione alla logica del più forte. Un ethos che si muove verso una profonda comunione planetaria - che noi oggi intendiamo come una cultura di pace - in cui l'economia non è annullata o svuotata, bensì ricondotta a un ordine di fini che non si esaurisce in essa, in quanto il fine ultimo dell'economia è la persona umana nella sua crescita integrale e solidale a livello planetario. Canto: With you o Lord is life in all its fullness, and in your light we shall see true light.

Preghiamo insieme con il salmo 72 (3 – 5; 12 – 14)

Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore. Il suo regno durerà quanto il sole, quanto la luna, per tutti i secoli.

Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero

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e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.

Guida: E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente.

Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza. (Giacomo 5, 1 – 6) Silenzio - Lettura personale – da una riflessione di mons. Tonino Bello Di fronte alle ingiustizie del mondo alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere. Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali. Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro. Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà! Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza. E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze. La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta. Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere. Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti. Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona. Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento. L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine. Canto: Mon âme se repose en paix sur Dieu seul: de lui vient mon salut

Guida: C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni,

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e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"".

Silenzio - Lettura personale – madre Anna Maria Canopi, da Costruire la casa sulla roccia «Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro».Nessuno è talmente sprovveduto

da non saper conoscere il bene e il male, da non poter scegliere tra la vita e la morte; nessuno è lasciato nell'ignoranza di quello che è riservato ai buoni e di quello che è riservato agli egoisti, ai duri di cuore, perché ciascuno ha la voce della propria coscienza che lo ammaestra; inoltre Dio manda continuamente i suoi «profeti», coloro che parlano in suo nome; in molti modi, attraverso persone o attraverso avvenimenti e situazioni, il Signore ci fa conoscere la sua volontà, ci guida sulla via della vita. Chiunque voglia ascoltare può conoscere la verità, chiunque desideri davvero il bene, può decidersi a cambiare vita, a convertirsi, a scegliere ciò che vale veramente e a rigettare ciò che è caduco e che genera morte. La ricchezza può davvero rendere ciechi e sordi, incapaci di vedere il povero che ci vive accanto e di ascoltare la voce di Dio che parla nelle Scritture e attraverso i suoi inviati. La povertà è invece da considerarsi una condizione privilegiata per l'uomo se vuole rimanere libero nello spirito. Occorre, però, vivere cristianamente la povertà, ossia viverla nello spirito delle Beatitudini evangeliche. Diversamente, essa ci può allontanare da Dio e dai fratelli quanto la ricchezza. La vera povertà è accompagnata dal distacco interiore, dall'umiltà, dalla mitezza.

E’ bello allora vedere nella parabola che anche in cielo Lazzaro è ancora il povero silenzioso; non parla mai, né prima sulla terra per protestare contro i ricchi, né in cielo per diffamarli. È il povero che si affida al Signore, contento di quanto egli dispone. Sulla terra egli non invidia il ricco, altrimenti cesserebbe di essere povero, perché avrebbe nel suo cuore il desiderio della ricchezza e questo sarebbe già come possederla; in cielo non lo schernisce, altrimenti mostrerebbe di godere non della vera gioia di Dio, ma di una meschina rivalsa nei suoi confronti; cosa impossibile per chi è entrato nella vita eterna ed è unito a Colui che è il Buono. Lazzaro è il vero povero che tace, che senza pretese e senza vanto riceve quanto gli è dato; il suo cuore è umile e libero: per questo è accolto nella casa del Signore. Durante l'esistenza terrena stava alla porta del palazzo del ricco sopportando pazientemente e umilmente la sua condizione di estrema indigenza, adesso sta presso il Signore nella pienezza della gioia, ma senza alcun sentimento di rivendicazione o di vanto poiché sa di avere tutto gratuitamente ricevuto. Canto: The Lord is my life, my life and salvation; in him I thrust

Guida: Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra:

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"Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?". Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna". (Mt 25, 31 – 46)

Silenzio - Lettura personale – don Virginio Colmegna, da Ho avuto fame Sento il bisogno di gridare ai quattro venti e a gran voce che non ho paura di Dio, che non vo-

glio averne, perché credo alla rivelazione della bontà che mi è stata offerta e sulla quale ho scommesso tutta la mia vita. Voglio scoprire ogni giorno una fede che nasce dalla bellezza e non dal bisogno di rassicurazione. Desidero camminare per le tante strade che ho di fronte con il cuore di chi è assetato di incontri, di chi vuole stringere legami e scoprire il fascino della fraternità. La mia fede è radicata in un Vangelo che mi presenta Cristo venuto a liberare gli uomini «resi schiavi per tutta la vita dalla paura della morte» (Eb 2,14-15). La mia ricerca e quella degli operatori con cui mi confronto si incontra allora con il sogno di oltrepassare la soglia della paura, che genera anche l’indifferenza come subdola forma difensiva, per riscoprire che la vita è un tesoro incalcolabile, da non temere, perché non siamo nello scenario della peste che Albert Camus descrive come fatto da uomini «impazienti del proprio presente, nemici del proprio passato e privi di futuro». E se su Dio rimane lo scarto dell’inconoscibile, avvertiamo però quanto benessere possa venire a noi quando ci liberiamo dalla sensazione del Dio che giudica per lasciarci affascinare dalla generosità di un Dio che si incontra amando e lasciandosi amare. Invertiamo la prospettiva: credevamo di dover scoprire cosa vuole Dio e poi obbedirgli, invece scopriamo che se compiamo le opere concrete dell'amore, tra l'altro quelle che ci mettono autenticamente in relazione con gli altri, abbiamo interagito con Dio in persona. «L'avete fatto a me», dice il Dio giudice. Ci viene cioè detto che la spontaneità dell'amore è la forma più ovvia della relazione con il Signore, con l'Onnipotente.

I gesti dell'amore che ci vengono chiesti e sui quali saremo giudicati sono i movimenti dell'ordinarietà, sono alla portata di tutti noi, ci vengono persino spontanei. Mangiare e bere insieme, condividere, essere ospitali, visitare chi è in difficoltà per la malattia, per la reclusione, per il peso di un senso di colpa non sono operazioni concettualmente complicate, che richiedono doti rare, iter di studio complessi, la conoscenza di diverse lingue, percorsi formativi costosi e accessibili a pochi. Non chiedono di abitare necessariamente in una terra ricca, piena di mezzi, di possedere case grandi, di conoscere gente potente che all'occorrenza dia una mano.

Canto: Veni, Sancte Spiritus, tui amoris ignem accende

Guida: Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù. La Chiesa, pertanto, è consapevole non solo che non si possono separare questi due elementi del messaggio contenuto nel Magnificat, ma che si deve, altresì, salvaguardare accuratamente l'importanza che «i poveri» e «l'opzione in favore dei poveri» hanno nella parola del Dio vivo. Si tratta di temi e problemi organicamente connessi col senso cristiano della libertà e della liberazione. Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. È a lei che la Chiesa, di cui ella è madre e modello, deve

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guardare per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza. (Giovanni Paolo II, dall’enciclica Redemptoris mater, 37)

Recitiamo una decina del rosario

Canto: Adoramus te, Christe; benedicimus tibi quia per crucem tuam redemisti mundum