Quaderni di Comunicazione Pubblica - sangroaventino.it civiche it.pdf · comunicazione pubblica...

87
Quaderni di Comunicazione Pubblica Servizio Sistemi informativi per la comunicazione pubblica A cura di Piero Luisi Contributi di Giuseppe Caravita Fiorella De Cindio Dario De Jaco Paolo Dell’Aquila Sergio Duretti Mariella Gramaglia Leda Guidi Lucio Picci Giuseppe Piperata Andrea Pitasi Giorgio Prister Paolo Subioli Alessandro Volpi Gennaro Zezza

Transcript of Quaderni di Comunicazione Pubblica - sangroaventino.it civiche it.pdf · comunicazione pubblica...

Quaderni di Comunicazione Pubblica

Servizio Sistemi informativiper la comunicazione pubblica

A cura diPiero Luisi

Contributi diGiuseppe Caravita

Fiorella De CindioDario De Jaco

Paolo Dell’AquilaSergio Duretti

Mariella GramagliaLeda Guidi

Lucio PicciGiuseppe Piperata

Andrea PitasiGiorgio Prister

Paolo SubioliAlessandro VolpiGennaro Zezza

Punto e a capo

Le reti civiche in Italia

© 2001 by Regione Emilia-Romagna e CLUEB

Riproduzione vietata ai sensi di legge(art. 171 della Legge n. 633 del 22 Aprile 1941)

Senza adeguata autorizzazione scritta, è vietata la riproduzione della presente opera e diogni sua parte, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, an-che ad uso interno o didattico.

Editing a cura di Paolo Degli EspostiCoordinamento di Aurora Lucarelli

Le reti civiche in Italia. Punto e a capo.86 p. ; 21 cm(Quaderni di comunicazione pubblica ; 5)ISBN 88-491-1684-5

CLUEBCooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna40126 Bologna - Via Marsala 31Tel. 051 220736 - Fax 051 237758www.clueb.com

pag.5 Introduzione

7 Tre buoni motivi per considerare finita la rete civica(così come l’abbiamo sempre conosciuta)Piero Luisi

17 Meno reti civiche, più fattiLucio Picci

21 E-government, cioè la (solita) burocrazia a 155MbyteDario De Jaco

23 Rete civica: palestra di passione civileGiuseppe Caravita

27 Rete civica: giù la maschera.Alessandro Volpi

31 Ripartire dal basso senza la Pubblica AmministrazioneMariella Gramaglia

33 Le reti civiche sono morte. Viva le reti civiche!Paolo Subioli

35 Le reti civiche: un futuro possibileFiorella De Cindio

49 Verso l’amministrazione elettronicaGiuseppe Piperata

53 La bussola dell’e-government in ItaliaSergio Duretti

55 Reti civiche: da vetrine istituzionali a strumenti cooperativi?Gennaro Zezza

61 Il valore delle reti civiche e delle comunità virtuali localiLeda Guidi

67 Quali funzioni strategiche per le nuove tecnologie multimediali applicate allacomunicazione pubblica? Andrea Pitasi

71 Reti civiche o community network?Paolo Dell’Aquila

73 Cenerentola e le reti civicheGiorgio Prister

Indice

Per rendere sempre più concreto il percorso di avvicinamento tra

amministrazione pubblica e cittadini, ci si può oggi avvalere dei

fondamentali strumenti offerti dalle tecnologie dell’informazione

e della comunicazione. La realizzazione dell’e-government è uno

degli obiettivi delle politiche europee e nazionali:

amministrazione digitale ed elettronica invece che cartacea,

servizi pubblici online, accesso più veloce alle informazioni.

Le reti civiche promosse dagli Enti locali rappresentano

interessanti esperienze di amministrazione elettronica

sperimentata sul campo. Tuttavia, per l’effetto di stimoli di varia

natura (tecnologici, economici, politici), il fenomeno della

telematica civica sta mostrando evidenti segni di

cambiamento.

Per cercare di fare il punto della situazione di una materia in

evoluzione continua, il Servizio Sistemi informativi per la

comunicazione pubblica della Regione Emilia-Romagna ha

pensato di promuovere una sorta di tavola rotonda tra

operatori e studiosi del settore, chiedendo a Piero Luisi di

organizzare ed animare la discussione.

Il confronto sul tema del futuro delle reti civiche, considerate

quali prime esperienze delle politiche di e-government già

maturate nel Paese, si è sviluppato attraverso un dibattito

online, svoltosi nel luglio 2000 e costruito a partire da una tesi

provocatoria: “Le reti civiche sono morte”.

Il risultato, presentato in questo numero, è un quadro

approfondito e variegato di contributi ed opinioni, affidati a chi

ha già fatto esperienze e intende proseguire con convinzione

sulla strada dell’e-government.

7•

P i e r o L u i s i

Tre buoni motivi per considerare finitala rete civica(così come l’abbiamo sempreconosciuta)

di Piero Luisi

Nel 1997 Doug Schuler, fondatore del Seattle Com-

munity Network ed uno dei padri del movimento delle

community networks statunitensi, intervenendo al primo

convegno internazionale sulle reti civiche tenutosi in Ita-

lia1 presentava un intervento dal titolo “Three ways to

kill Community Networks. And three ways to save

them…”.

Per l’autore la strategia per uccidere l’esperienza di

una community network ha tre regole di sicuro effetto:

“Considerare la community network come un qualsiasi

altro servizio di pubblica utilità, quale gas o elettricità;

considerare la community network come un’occasione

di business; considerare la community network come un

progetto tecnologico”.

Nel raccogliere lo stimolante invito proposto, vorrem-

mo riprendere la provocazione di Schuler per tentare di

rileggerla alla luce del contesto italiano che, rispetto al

modello statunitense, connota le reti civiche come espe-

rienza in gran parte promossa e maturata da parte di

Amministrazioni Pubbliche locali.

L’esercizio retorico che proponiamo, ha lo scopo di

svolgere alcune considerazioni che ci porteranno a con-

cludere che la rete civica italiana, così come l’abbiamo

sempre conosciuta, non esiste più.

Questo il senso dei punti critici che sviluppiamo di

seguito, in cui tentiamo di astrarci dalla partecipazione

emotiva che ci provoca la trattazione dell’oggetto e cer-

chiamo di condannare – lasciando magari ad altri il

compito di salvare - un personaggio dalla vita controver-

sa.

Cosa è stata la rete civica in Italia in questi anni? Una

pura invenzione della letteratura “techno freak”, un gioco

tra l’utopia e lo spirito di avventura su cui si sono cimen-

tati ardimentosi pionieri della cultura di rete, una sfida

reale sferrata al ventre molle della burocrazia italiana

che, dopo averla sopportata come inutile corpo estra-

neo, oggi la espelle lontano da sé?

Oppure una grande palestra pubblica di alfabetizza-

zione telematica, un mezzo per innovare cultura e pro-

cessi di lavoro nella Pubblica Amministrazione, uno stru-

mento utile per affermare il principio del diritto universa-

1 ECN 97 “Prima conferenza europea delle reti civiche”, 3-5 luglio 1997, Milano. Rapporto in www.retecivica.milano.it/airec/.

8•

le all’informazione o, come dice Rodotà, dello stesso di-

ritto alla democrazia?

Se volessimo sintetizzare la cronistoria della rete civi-

ca italiana, potremmo partire dal processo di riforma av-

viato nel 1990 con l’adozione da parte del legislatore

delle leggi su accesso, trasparenza e partecipazione agli

atti della Pubblica Amministrazione e l’Ufficio Relazioni

con il Pubblico che avrebbe dovuto rappresentarne il

braccio operativo. Le suggestioni d’oltreoceano e il cre-

scente utilizzo del protocollo di comunicazione Internet

lungo la penisola ci portano, dalla metà degli anni ’90, a

conoscere un nuovo modo di informare e comunicare

con i cittadini, un nuovo modo di vivere e partecipare il

proprio territorio, il proprio contesto urbano, i luoghi e

gli spazi, cioè, che frequentiamo ed affrontiamo nella vi-

ta di tutti giorni.

In questi stessi anni il numero delle Pubbliche Ammi-

nistrazioni che promuovono la propria presenza in Inter-

net e che adottano soluzioni telematiche per la gestione

e distribuzione di servizi comincia a crescere in modo

inarrestabile; contestualmente, si avviano processi di ri-

forma amministrativa che identificano negli Enti locali le

istituzioni pubbliche più vicine ai bisogni del cittadino e

perciò “costrette” ad innovarsi per rispondere al meglio

alla richiesta di cambiamento rivolta alla Pubblica Ammi-

nistrazione.

Una Pubblica Amministrazione chiamata anche a rap-

presentare il vero e proprio motore dello sviluppo socio-

economico locale e non più il “burosauro” che frena e

condiziona negativamente l’iniziativa economica privata

(vedi la riforma dello Sportello Unico per le attività pro-

duttive).

Gli osservatori specializzati nel monitoraggio della

presenza degli Enti locali sul web2 diramano bollettini a

cifre sempre più alte, mentre la rete Internet, porta d’ac-

cesso alle città virtuali, si diffonde sempre più rapida-

mente e a costi sempre più bassi, anzi gratis, ovvero pa-

gando chi è connesso.

In questo sviluppo tumultuoso di eventi si moltiplica-

no le domande:

Quale definizione diamo di rete civica?

Chi la promuove, chi rappresenta, chi vi partecipa;

come si organizza, a chi si rivolge, come si sviluppa, qua-

li servizi propone; ha un’anima comunitaria o ammini-

strativa, nasce dal basso dell’associazionismo o dall’alto

della programmazione politico-amministrativa? Il caratte-

re pubblico è una risorsa o ne condiziona lo sviluppo?

A partire dal 1994, anno di esordio della prima rete

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

2 Città digitali, www.cittadigitali.it; Osservatorio Reti Civiche de “la Città Invisibile”, www.citinv.it/ossreti/civiche.

9•

civica in Italia – a proposito, quale è stata la prima? –

siamo ormai a 6 anni di esperienza di telematica civica

ed esprimiamo un parere.

La rete civica è morta! Questo il nostro atto di accusa.

1. La rete civica non può nascere da un

adempimento normativo

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (n. 136 del

13 giugno 2000) è entrata in vigore la legge 7 giugno

2000 n. 150 relativa alla “Disciplina delle attività di infor-

mazione e di comunicazione delle Pubbliche Ammini-

strazioni”. Tale provvedimento è frutto di un lungo dibat-

tito che ha visto coinvolti, a partire dall’emanazione (nel

1993) del decreto legislativo istitutivo degli URP, sosteni-

tori ed avversari della legittimazione della disciplina del-

la comunicazione pubblica in Italia.

Una disciplina che, per la burocrazia pubblica, signifi-

ca cultura della comunicazione, cultura dell’innovazione

organizzativa, cultura della cooperazione, cultura dell’a-

scolto e della qualità delle prestazioni orientata all’uten-

te: una vera e propria blasfemia!

Come tutte le leggi partorite da mediazioni che si svi-

luppano nel tempo (la prima proposta di legge risale al

1996), l’intero articolato suscita molte perplessità in ge-

nerale – a partire dalla definizione di “comunicazione

pubblica non pubblicitaria” adottata per definire l’ogget-

to - e, cosa che più ci interessa, è “costretto” a parlare di

reti civiche.

All’art.8, comma 2, lettera c), dopo averla citata al-

l’art. 2 tra gli strumenti dell’attività di informazione e co-

municazione, il testo di legge definisce la potestà regola-

mentare data alle Amministrazioni relativa alla “ridefini-

zione dei compiti e alla riorganizzazione degli uffici per

le relazioni con il pubblico” e sentenzia che essi devono

“promuovere l’adozione di sistemi di interconnessione

telematica e coordinare le reti civiche”.

Considerando che la presenza degli URP nelle Pub-

bliche Amministrazioni italiane conosce percentuali mol-

to basse e che il numero degli uffici inaugurati supera di

gran lunga quello degli uffici operativi, l’attuazione del

comma suddetto rappresenta uno schiaffo alla realtà or-

ganizzativa delle strutture pubbliche.

Le reti civiche in Italia, infatti, presentano situazioni

organizzative frammentate e non coordinate, sia tra gli

uffici competenti all’interno della struttura dell’Ente pub-

blico che tra gli Enti operanti in uno stesso ambito terri-

toriale.

I rapporti conflittuali tra uffici CED (Centro Elaborazio-

ne Dati), Sistemi Informativi, Servizio Stampa e Servizi di

informazione e comunicazione, laddove questi ultimi esi-

stono, sono quasi la prassi organizzativa che “dà vita” alle

reti civiche. Ed il plurale adottato dal testo di legge e rife-

rito alla stessa struttura burocratica, non ci pare casuale.

P i e r o L u i s i

10•

Spesso, infatti, ogni settore dell’Ente organizza un

proprio sportello di informazione e comunicazione al

pubblico, sviluppando proprie strategie comunicative e

soluzioni tecnologiche per la gestione dei servizi. Non

sono pochi i casi in cui lo stesso Ente presenta due o più

anime di “portali” civici: uno dedicato alla promozione

politica dell’Ente, uno dedicato al sostegno della comu-

nità sociale on line, uno dedicato alla promozione cultu-

rale-commerciale del territorio, uno dedicato a fornire

servizi informativi, uno dedicato a distribuire servizi inte-

grati da parte della Pubblica Amministrazione.3

La nuova disposizione di legge, quindi, affida all’URP

la soluzione di questo fitto groviglio composto da diffe-

renti competenze, strategie comunicative, soluzioni orga-

nizzative e scelte tecnologiche applicative. L’URP, quindi,

si affianca agli altri uffici che già oggi costruiscono policy

ad hoc per la gestione di reti civiche pubbliche, senza

avere risorse ed obiettivi chiari, e gettandosi nel confron-

to con gli organi di governo degli Enti che considerano

ancora oggi, troppo spesso, la propria presenza in Inter-

net soltanto quale vetrina informativa e non orientata al-

la definizione di prestazioni di servizio a valore aggiunto.

Pensare che sia sufficiente affidare con tale mandato

legislativo all’URP il compito di organizzare i servizi e le

tecnologie abilitanti per la realizzazione di reti civiche di

qualità, significa considerare per i cittadini italiani l’ac-

cesso elettronico ai servizi pubblici una chimera irrealiz-

zabile. E poi, come può crescere una rete civica, che sia

espressione della comunità civile di un territorio, se la

consideriamo come il risultato di una scelta organizzati-

va e tecnologica, al pari della distribuzione di un qualsia-

si atto amministrativo?

2. La politica non abita qui.

“Il primo e più continuo incontro del cittadino con il

sistema politico è quello che si realizza attraverso il con-

tatto con l’amministrazione”4; l’applicazione delle nuove

tecnologie per “liberare dai detriti burocratici” l’azione

della Pubblica Amministrazione è il primo, reale livello di

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

3 Tra gli esempi di nature differenti di reti civiche operanti all’interno di uno stesso ambito territoriale, ma tra loro scarsamente in-

tegrate ci sono Milano - rete civica “comunitaria” www.retecivica.milano.it/airec/ e rete civica “di servizio” www.comune.milano.it –

e Novara, in questo caso promossa da servizi differenti dello stesso Ente locale - rete civica “comunitaria” www.retecivica.novara.it

e rete civica “di servizio” www.comune.novara.it.

4 S. Rodotà, Repertorio di fine secolo, Bari, Laterza, 1992, p. 240.

11•

cambiamento del sistema democratico.

Tra le promesse non mantenute dall’esperienza di te-

lematica civica in Italia c’è certamente la mancata realiz-

zazione di un vero modello di amministrazione traspa-

rente, capace cioè: di mettere a disposizione del cittadi-

no tutte le informazioni da essa possedute; di consentir-

gli di esercitare, attraverso la garanzia dell’accesso, della

trasparenza e della pubblicità degli atti, il suo potere di

controllo dell’azione amministrativa; di orientare la sua

attività secondo i bisogni del suo utente-sovrano.

“(…) per realizzare lo scopo affidatole dalla Costitu-

zione un’amministrazione deve essere citizen oriented,

deve finalizzare tutti gli elementi che la compongono

(funzioni, organizzazione, procedure, personale, mezzi,

informazioni e controlli) alla realizzazione del pieno

sviluppo della persona umana. Ma poiché ogni cittadi-

no è diverso dagli altri, un’amministrazione non può

avere successo nel perseguimento della propria specifi-

ca ‘missione costituzionale’ se non si pone nei confron-

ti di ognuno dei propri referenti in una posizione di ri-

spetto, attenzione e ascolto: nella stessa posizione,

cioè, in cui ci si pone di fronte ad un ‘sovrano’. Se, in-

fatti, le Pubbliche Amministrazioni sono lo strumento

principale con cui la Repubblica persegue il principio

costituzionale di uguaglianza sostanziale (art. 3, 2°

comma), (...) il cittadino non è più ‘colui che usa’ un

servizio pubblico (cioè un utente), bensì ‘colui che è

servito’ (cioè un sovrano).”5

La telematica civica sembrava poter realizzare il so-

gno della definizione di luoghi in cui ridefinire le forme

di partecipazione politica del cittadino, in cui la demo-

cratizzazione del sistema amministrativo, riducendo il

gap informativo che divide coloro che decidono della co-

sa pubblica da coloro che sono soggetti alla decisione,

avrebbe determinato la ricostruzione del principio di so-

vranità.

L’accesso al patrimonio informativo dell’Amministra-

zione avrebbe dovuto rendere più matura la nozione di

cittadinanza, intrecciandosi sempre più con la capacità

data al cittadino di informarsi, conoscere e poter intera-

gire in tutte le fasi del processo politico di deliberazione

democratica, anche attraverso il responsabile utilizzo di

forme di democrazia diretta nell’ambito delle cosiddette

“microdecisioni” di livello locale. Il livello, cioè, che le

grandi organizzazioni burocratiche (dallo Stato, ai partiti)

tende inesorabilmente ad emarginare attraverso la sua

P i e r o L u i s i

5 G. Arena, La democrazia nell’amministrazione, ovvero l’utente-sovrano, in G. Gozzi (a cura di), Democrazia, diritti, costituzione,

Bologna, Il Mulino, 1997, p. 53-54.

12•

struttura gerarchica, verticale e non democratica.

“Grazie alle nuove tecnologie della comunicazione è

stato certamente avviato un processo di ‘liberazione’ del

sovrano da una serie di vincoli di spazio e di tempo, che

hanno avuto (e sempre più avranno) l’effetto di realizza-

re condizioni di indipendenza da apparati, da quelli bu-

rocratici in primo luogo.”6

Se tale processo non è stato avviato, la ragione è da

ricercare nella assoluta assenza dei rappresentanti degli

organi di governo, sia politico sia amministrativo, nelle

reti civiche in generale e dai luoghi di discussione di rete

in particolare.

La mancata volontà di accettare la sfida del confronto

democratico nei diversi luoghi della discussione virtuale

si allarga alla incapacità di fornire un efficiente servizio di

gestione della posta elettronica e una organizzazione in

grado di garantire risposte certe in tempi accettabili.

L’inefficienza dell’amministrazione reale nel fornire

servizi rivolti ai bisogni dell’utente e l’autoreferenzialità

delle organizzazioni politiche si riproducono negli spazi

virtuali, potenziate e messe a nudo dalla crescente diffu-

sione della telematica che rende le istituzioni come cor-

pi lenti ed incapaci di innovarsi per rispondere ai cre-

scenti bisogni della società.

Laddove sono stati compiuti esperimenti in tal senso,

il passaggio dalla discussione virtuale alla decisione rea-

le non si è realizzato perché ha sempre prevalso la me-

diazione dei circuiti convenzionali imposti dagli apparati

burocratici. La stessa partecipazione virtuale, poi, eviden-

zia il mancato allargamento dei soggetti che formano

l’opinione pubblica, in quanto la partecipazione resta la-

voro specialistico da parte di elite che avrebbero comun-

que modo di agire in altri luoghi o forme.

I politici non partecipano, le comunità virtuali che

crescono dentro le reti civiche non riescono ad incidere

nella vita reale e, nella loro organizzazione, ripropongo-

no schemi e gerarchie tipiche dei sistemi burocratici. La

partecipazione non ha sbocchi, spesso è fine a se stessa;

il “popolo della rete” che in rete crea pubblica opinione

non ha alcun modo di incidere nelle decisioni che ri-

guardano la vita reale dove si impongono e dettano leg-

ge vecchie e solide logiche di appartenenza.

Partecipare, anche da un punto di vista virtuale, ha

poi un altissimo costo in termini di tempo ed energie da

spendere e la mancanza di un’abitudine e di un’educa-

zione civica alla partecipazione politica, stimolata in que-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

6 S. Rodotà, La sovranità nel tempo della tecnopolitica. Democrazia elettronica e democrazia rappresentativa, in Politica del dirit-

to, n. 4, 1993.

13•

sto senso dall’assenza di ruolo da parte delle reti civiche,

determina una situazione in cui le nuove tecnologie fini-

scono per dare maggiori opportunità partecipative a chi

già ne ha, continuando a negarle a chi non le ha.

3. Il “sistema portale” ucciderà la rete civica

“Il settore pubblico, in virtù delle sue dimensioni e

della portata delle sue attività, rappresenta la maggiore

risorsa singola di contenuti informativi per la creazione

di servizi e contenuti informativi a valore aggiunto. Alcu-

ni studi hanno indicato che la maggior parte dei servizi

commerciali attivi sul mercato dell’informazione nell’UE

consiste in servizi attivi in settori ove il settore pubblico

detiene risorse molto importanti”.7

Nel momento in cui le istituzioni entrano in rete e

mettono a disposizione un immenso patrimonio fatto di

informazioni pubbliche e di servizi che incidono in modo

spesso determinante nella vita sociale ed economica di

un territorio, ecco che la rete civica diventa una vera oc-

casione di business da parte delle net-companies priva-

te.

Da parte dell’Ente locale, la scarsità delle risorse eco-

nomiche e del personale in grado di gestire e sviluppare

al meglio i servizi della rete civica configura uno scenario

che vedrà le esperienze di e-government italiane cedere

sistemi e servizi informativi ad aziende private che offri-

ranno “ospitalità” sulle proprie piattaforme tecnologiche.

Per l’impresa che vende servizi applicativi alla Pubbli-

ca Amministrazione, la possibilità di venire incontro alle

esigenze di sostenibilità della rete civica locale costitui-

sce un investimento di sicuro guadagno. La costruzione

di portali verticali della Pubblica Amministrazione con-

sente la penetrazione a livello locale di soluzioni pro-

prietarie di applicazioni e di servizi al territorio e l’allarga-

mento della propria azione di marketing rivolta a racco-

gliere e veicolare utenti sui propri canali web.

Per la Pubblica Amministrazione locale, l’outsourcing

consente di garantire la vita stessa della rete civica, il suo

aggiornamento, la sua evoluzione e margini di guadagno

dovuti alla vendita di nuovi servizi amministrativi on-line

rivolti a particolari target di utenti (ad es. ingegneri, geo-

metri ed architetti per la distribuzione di cartografia digi-

tale).

La trasformazione delle reti civiche di comunità in

portali civici orientati al mercato farà forse discutere per

P i e r o L u i s i

7 L’informazione del settore pubblico: una risorsa fondamentale per l’Europa. Libro verde sull’informazione del settore pubblico

nella società dell’informazione – COM, 1998, 585.

14•

la apparente inconciliabilità tra finalità e caratteristiche

del servizio pubblico e le logiche e gli scopi del mercato.

Nella situazione attuale, tuttavia per garantire alte pre-

stazioni di servizio per un numero di utenti più vasto ed

esigente, o si dovrà pensare ad un diverso ruolo dei ser-

vizi interattivi all’interno dell’Amministrazione Pubblica o

si dovrà necessariamente “vendere” il servizio telematico

pubblico ai privati al costo di alcune “piccole” rinunce.

È difficile, infatti, comprendere come una rete civica

privatizzata possa conservare un orientamento al servizio

universale, ovvero garantire l’accesso alle nuove tecnolo-

gie alle fasce di popolazione attualmente escluse ed ap-

partenenti alla celebre ed ancor vasta categoria degli “in-

formation have nots”.

Probabilmente le due funzioni, di alfabetizzazione e

di gestione dei servizi, possono essere programmate

parallelamente, ma siamo certi che le logiche e gli obiet-

tivi che sottendono le due funzioni, pubblica e privata,

siano identiche?

Se accogliamo la definizione di Pullet dei tre livelli di

accessibilità alle reti - fisica, economica e culturale8 -, il

nostro dubbio si pone a partire dall’ultimo e cruciale li-

vello.

I portali amministrativi privatizzati, drenando utenti,

forse riusciranno a stimolare investimenti privati sul lato

della diffusione degli strumenti, mentre i costi di connes-

sione già oggi sono gratuiti e conoscono sempre nuove

iniziative promozionali.

I compiti di un’Amministrazione, però, riguardano an-

che aspetti di comunicazione pubblica e sociale, quali:

l l’azione di alfabetizzazione dei contenuti;

l lo sviluppo di servizi efficienti per target di utenti non

economicamente appetibili;

l la garanzia che l’accesso universale ai servizi pubblici

sia realizzato non solo in maniera elettronica ma an-

che attraverso il miglioramento dell’efficienza degli

sportelli fisici;

l la realizzazione di interfacce di servizio orientate al ri-

spetto dei criteri di accessibilità, ovvero nell’utilizzo di

componenti grafico-strutturali nella progettazione e

realizzazione di siti web che non ne impediscano la

fruibilità da parte di persone affette da disabilità fisi-

che;

l l’attenzione alla rimozione delle barriere linguistiche;

l la promozione di spazi dove esercitare la partecipa-

zione democratica;

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

8 Yves Pullet, Nella società dell’informazione lo Stato diventa rapido e leggero, Telèma, n. 19, www.fub.it/telema/TELEMA19/Poul-

le19.html.

15•

l l’offerta di spazi dove ospitare organizzazioni sociali e

far crescere la cultura di rete9.

Con quale autonomia ed efficacia l’Ente locale potrà

agire in questi ambiti?

Se le istituzioni pubbliche non riusciranno a passare

dalle dichiarazioni di intenti di “Piani di azione”, “Linee

guida”, ecc., alla loro effettiva operatività; se non riusci-

ranno a porre una serie di obblighi in grado di assicurare

l’effettiva realizzazione del diritto sociale alle nuove tec-

nologie10; se non riusciranno ad inserire nella propria

agenda politica il tema della partecipazione democrati-

ca; se non accetteranno il cambiamento della cultura

della comunicazione; se l’Ente locale, ai diversi livelli,

non accetterà di giocare un ruolo di leader nell’accesso

del territorio nella società dell’informazione; se tutto

questo non accadrà, non si potrà che accettare la fine

delle reti civiche e della telematica pubblica per delegar-

ne il ruolo e le funzioni di servizio all’impresa privata.

P i e r o L u i s i

9 Anche se come aspetto marginale rispetto ai punti citati, la soluzione dei portali “porta” all’adozione di architetture informative

che standardizzano il formato della comunicazione in rete. Una delle caratteristiche peculiari della rete civica italiana è sempre sta-

to l’essere localizzata, ovvero fortemente legata al proprio territorio. Tale caratteristica emergeva anche dalle soluzioni grafiche di

interfaccia dove spesso lo studio dei colori e dei simboli della cultura del territorio “marcavano” la rete in maniera sempre diversa

e sempre particolare, dando una personalità ed identità simbolica alla istituzione. Con l’avvento dei portali commerciali, verticali

e/o orizzontali, si assiste ad una standardizzazione semantica delle interfacce: le architetture logiche di accesso ai servizi si ripeto-

no in maniera identica, così come il formato dei caratteri utilizzato, i colori di background e lo stile del linguaggio. Forse anche per

il web sta avvenendo la standardizzazione di senso e contenuti che ormai connota i “diversi” canali televisivi e radiofonici, non a

caso tutti votati ad una logica commerciale.

10 “Mentre i diritti di libertà nascono contro lo strapotere dello stato, e quindi per limitarne il potere, i diritti sociali richiedono per

la loro pratica attuazione, cioè per il passaggio dalla dichiarazione puramente verbale alla loro protezione effettiva, proprio il con-

trario, cioè l’accrescimento dei poteri dello stato.” N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 73.

17•

L u c i o P i c c i

Meno reti civiche, più fatti

di Lucio Picci

Nel 1996, l’Associazione “Città Invisibile” pubblicava

un documento dal titolo evocativo: “Le reti civiche di se-

conda generazione”. La diffusione di Internet in Italia era

ancora limitata, ma qualcuno riteneva che per le reti civi-

che fosse già giunto il momento di pensare a una se-

conda fase. Oggi, a quattro anni da allora, per le reti civi-

che ci viene proposta una argomentata relazione fune-

bre. Cosa è accaduto in questi anni, e cosa è andato

storto?

Un primo elemento di valutazione è quantitativo. I

dati in nostro possesso mostrano che un gran numero di

Enti locali oggi sono visibili da Internet. Tuttavia, soltanto

pochi dei progetti realizzati possiedono lo spessore e

l’organicità necessari per essere considerati delle reti ci-

viche, a meno di non voler considerare tale praticamen-

te qualunque realizzazione frutto di buone intenzioni.

Anche limitando l’attenzione alle esperienze migliori, le

analisi sono concordi nell’evidenziare che raramente si è

andati oltre alla presentazione di informazioni di pubbli-

ca utilità o si sono forniti servizi evoluti ai cittadini.

Anche dove gli amministratori hanno fatto meglio, i

buoni risultati spesso si sono avuti per le capacità e la

dedizione di poche persone sostanzialmente isolate al-

l’interno della macchina amministrativa. I politici e i diri-

genti, quasi sempre, hanno deciso di non offrire una

sponda vera ai realizzatori delle reti civiche, per evitare

l’ostilità della burocrazia che non ama l’innovazione. I

realizzatori delle reti civiche, dal canto loro, hanno forse

talvolta peccato di ingenuità, sottovalutando il problema

della gestione del cambiamento che le nuove tecnologie

consentono, ma non garantiscono.

Per gli amministratori, nella maggior parte dei casi, le

reti civiche hanno rappresentato un’opportunità per mo-

strarsi moderni in occasioni di convegni e di tavole ro-

tonde. Del resto, l’imperante liturgia della parola garanti-

sce un valore alla mera natura cartacea dei progetti, qua-

si a prescindere dalla loro realizzazione. Non è andata

meglio a chi, con coraggio, ha tentato la strada della rete

civica realizzata più o meno “dal basso” e senza il coin-

volgimento diretto dell’amministrazione. In quel caso,

l’autoreferenzialità delle discussioni in rete è stata totale:

gli amministratori non erano presenti, e non erano nep-

pure tenuti ad esserlo.

Il dibattito sulle reti civiche è stato allora inutile? Sen-

z’altro no. Ha posto una serie di problemi rilevanti. Ha

consentito delle realizzazioni talvolta mediocri, ma mai

inutili, soprattutto perché hanno permesso alle città, ai

loro abitanti e agli amministratori, di acquisire qualche

familiarità con la nuova tecnologia. Che, essendo nuova

per davvero, necessita di un complesso processo di so-

18•

cializzazione. Oggi però questo dibattito è invecchiato,

insieme alle aspettative che aveva alimentato. Per que-

sto motivo, il funerale delle reti civiche conviene cele-

brarlo senza esitazioni. Sarà meglio per tutti noi: un fu-

nerale oggi eviterà che domani si debba ancora assistere

a discussioni che si iscrivono alla categoria, mai vuota,

dei dibattiti inutili.

Gli stessi limiti del dibattito sulle reti civiche indicano

una nuova direzione di marcia. Laddove le reti civiche

hanno mostrato una delle loro principali inadeguatezze,

nella difficoltà di integrarsi con l’amministrazione vera

della città, hanno contribuito a chiarire, insieme, la cen-

tralità del problema della riforma delle Amministrazioni

Pubbliche, e il possibile ruolo delle tecnologie al loro in-

terno. Al pari dell’energia elettrica all’inizio di questo se-

colo, Internet oggi è quel che gli studiosi dei processi di

diffusione delle tecnologie chiamano una “general pur-

pose technology”: una tecnologia che influenza diretta-

mente la generalità degli ambiti dell’attività umana. Tra

questi ambiti vi sono tutte le attività che, in un modo o

nell’altro, sono riconducibili alle città e alla vita civica.

Più che continuare a discutere di reti civiche, convie-

ne definire concretamente le trasformazioni della vita ci-

vica che desideriamo e che possiamo ottenere per mez-

zo delle nuove tecnologie. Queste trasformazioni posso-

no tradursi in obiettivi molto concreti, come lo “sportello

unico” per il cittadino o per le imprese, oppure possono

prendere la forma di aspirazioni più generali, quali l’au-

mento della partecipazione alla vita civica e del capitale

sociale dei cittadini.

In questo senso, la rete civica rappresenta semmai

uno strumento, ma non un obiettivo. Per di più, si tratta

di uno strumento dalla natura ambigua, perché di esso

si sono date molte definizioni spesso contrastanti che

hanno contribuito a rendere più difficile un giudizio di

merito su quanto è stato effettivamente realizzato. Pro-

viamo oggi ad indurre gli attori rilevanti a definire con

chiarezza gli obiettivi che di volta in volta si pongono, e

separatamente la strategia, che possiamo chiamare di

“virtualizzazione”, necessaria per avere successo. Proce-

dendo in questo modo, saremo in grado di individuare i

successi e gli insuccessi con maggiore precisione rispet-

to a quanto avviene oggi.

È impostato secondo questi principi il recente piano

di azione del Governo. Nella sua parte sul “governo elet-

tronico”, esso elenca con chiarezza una serie di obiettivi

concreti, l’orizzonte temporale previsto per il loro rag-

giungimento, e la “strategia di virtualizzazione” indivi-

duata per ciascuno di essi. In corrispondenza delle sca-

denze dichiarate, sarà possibile giudicare il Governo per

quel che avrà fatto. Non è necessario essere d’accordo

con gli obiettivi individuati, ma è importante potere di-

stinguere chiaramente tra le intenzioni, che sono giudi-

cabili sin da ora, e la capacità di realizzazione, che sarà

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

19•

valutabile a tempo debito. Può sembrare una questione

ovvia, ma purtroppo non lo è stata sino ad ora.

Spendiamo il nostro tempo per indurre tutti gli am-

ministratori a procedere in modo simile. Evitiamo di for-

nire loro un alibi, e quel nascondiglio dalle responsabili-

tà che si trova dietro alla cortina di una discussione fu-

mosa.

L u c i o P i c c i

21•

D a r i o D e J a c o

E-government, cioè la (solita)burocrazia a 155Mbyte

di Dario De Jaco

Premetto che, secondo me, le reti civiche organizzate

o compartecipate dai Comuni non sono né sono mai

state reti civiche ma iniziative demagogiche o meri stru-

menti di “propaganda” delle Pubbliche Amministrazioni.

Al di là di illusioni vetero-qualcosa, credo sia necessario

smettere di tentare di accollare alle Pubbliche Ammini-

strazioni compiti non loro ma della componente politica

del Paese.

Sono d’accordo con alcune affermazioni del testo di

Luisi, a cominciare da quella che dice: “La rete civica

non può nascere da un adempimento normativo”; anzi,

a questo proposito, mi permetto di segnalare che, oltre

le considerazioni g ià fatte nel testo, nella legge

150/2000, “Disciplina delle attività di informazione e di

comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni”, art. 8

comma 2 lettera c), dove si dice “promuovere l’adozio-

ne di sistemi di interconnessione telematica e coordina-

re le reti civiche” si commette un errore ancora maggio-

re, poiché con questo viene normato un dovere proba-

bilmente contraddittorio con la Costituzione stessa, pro-

ponendo che la PA debba intervenire nel coordinare at-

tività di libere associazioni di cittadini. A meno che non

si intenda, invece, ribadire che l’URP debba essere l’uni-

ca forma di comunicazione della struttura della PA verso

l’esterno; cioè che sia una norma che nasce per aiutare

gli URP a non farsi fagocitare da iniziative di comunica-

zione di parti della PA stessa che lavorino in modo

scoordinato. Problema assai vero, che però non si af-

fronta con una legge ma con la (mitica) riorganizzazio-

ne della PA.

Perché un’organizzazione spontanea di cittadini (cioè

un’iniziativa civica) che si associano attraverso sistemi

telematici dovrebbe essere coordinata dal Comune?

Inoltre, ha ancora senso nella dimensione senza spazio

di Internet pensare ad un “coordinamento” territoriale?

Il contatto con l’Amministrazione (“il primo e più con-

tinuo incontro del cittadino con il sistema politico”) non

è né casuale né spontaneo. Chi entra in contatto con la

PA lo fa solo perché costretto da qualche adempimento

di legge e non perché andare in Comune sia una bella

cosa, magari da fare spesso. Di conseguenza il contatto

è sempre conflittuale.

È utopistico pensare di affrontare la riduzione del gap

informativo, che divide la PA dai sudditi della stessa, con

mezzi tecnologicamente più nuovi ma ininfluenti sulle

capacità di riorganizzazione e di governo della PA. Non ci

saranno informazioni utili o interessanti, in rete, finché le

Amministrazioni continueranno a pensare che i dati da

loro gestiti siano di loro proprietà.

22•

La partecipazione politica (alle decisioni di governo

locale o nazionale) è tutt’altra cosa. La PA direttamente

o indirettamente non c’entra niente, essendo il suo com-

pito quello di attuare (e non di decidere) le scelte fatte.

In questo senso, quindi, è sbagliato parlare di reti ci-

viche come sinonimo di “democrazia elettronica”, ap-

proccio sostanzialmente paternalistico e fuorviante, così

come era fuorviante parlare di “libertà di espressione”

negli anni dell’esplosione delle televisioni commerciali,

contribuendo paradossalmente in questo modo alla di-

fesa dei monopoli in corso di costruzione.

La “democrazia elettronica”, come è stata vissuta in

Italia, è una forma modernista di riproposizione di un

antico mito: la presunta democrazia diretta della demo-

cratica Atene periclea. Si tratta invece - di nuovo - di pia

illusione illuministica che non ha mai funzionato, nean-

che nell’Atene periclea (in genere finisce nelle piazze

osannanti e con sinistre sembianze - quando va bene -

di peronismo).

La partecipazione alle decisioni (politiche in senso la-

to) è sicuramente favorita dagli strumenti di telecomuni-

cazione ma non è possibile se non c’è una decisione

concreta di discussione reale sui problemi da affrontare.

Il Piano Regolatore in rete (esperienza che qualcuno ha

già fatto) è sicuramente utile. Se però va in rete dopo le

decisioni, è una buona informazione, ma non un ele-

mento di dibattito e di partecipazione alla formazione

delle scelte. Tutt’altro sarebbe se, prima di decidere, le

proposte fossero rese esplicite (magari in forma com-

prensibile, perché anche il linguaggio è una bella barrie-

ra: che mi importa delle delibere in linea, se neanche un

avvocato ne comprende il senso?).

Un approccio “ingenuo” (del tipo “la rete apre la ca-

pacità di comunicare”) mistifica il problema vero che è

la capacità di comprendere ed esigere i propri diritti, co-

prendola con una presunta e generica voglia di comuni-

care non finalizzata ad alcunché.

Il problema è diffondere non gli strumenti (“spazio a

chiunque voglia dire e fare, poi il mercato ci penserà”),

ma le capacità autonome di progettare, realizzare e ge-

stire progetti interessanti di comunicazione, favorendo lo

sviluppo di sistemi di interconnessione a basso costo,

senza però entrare nel merito delle iniziative “private”.

Chiunque abbia delle cose da dire deve essere mes-

so in grado di farlo (il che non significa che chiunque

abbia la favella, o il personal computer con un modem,

abbia anche delle cose da dire), con un aiuto concreto

nella realizzazione dei propri progetti e delle proprie

proposte.

Quelle reti civiche sono morte? Bene! Anzi meglio! È

morta con loro l’illusione (non sempre così ingenua) che

la telematica avrebbe ricostruito un rapporto “politico”

(probabilmente vecchio e sicuramente demagogico) che

non c’è più.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

23•

G i u s e p p e C a r a v i t a

Rete civica: palestra di passione civile

di Giuseppe Caravita

È molto facile gettare la spugna quando la battaglia

non la si è nemmeno combattuta. Questa è a mio avviso

la lezione, espressa in termini un po’ crudi, del fallimen-

to indubbio delle cosiddette e sedicenti reti civiche pro-

mosse direttamente dalle Amministrazioni comunali, in

particolare del centro-nord.

Costruire delle autentiche comunità è - lo affermo

per esperienza - un compito difficilissimo. L’organismo

comunità deve crescere per sua propria forza positiva in-

terna. Oppure, semplicemente, muore (o non nasce

nemmeno).

Bisogna creare un processo virale, innescarlo, lasciar-

lo crescere con attenzione, rispetto e costanza, seguirlo,

sostenerlo, arricchirlo ogni giorno di nuovi spunti. Mai

prevaricarlo o controllarlo. Accettare in silenzio anche

sconfitte personali. Sono necessarie risorse umane, forte

dedizione, resistenza agli incidenti di percorso, creatività

continua, motivazione diffusa, determinazione quasi ma-

niacale, allegria, ironia, auto-ironia. Sulla rete, che è bidi-

rezionale, siamo tutti praticamente alla pari. Ci teniamo

assieme sulla qualità delle nostre interazioni.

Ha la pubblica amministrazione italiana, anche nelle

sue migliori punte, un interesse tanto forte da suscitare

in sé tali fattori in modo permanente?

A sette anni di distanza la mia risposta è, francamen-

te, no. È la lezione che ho personalmente tratto dal pro-

blema posto in questa discussione.

Il soggetto per la creazione di un sistema di comunità

di rete italiane aperte e democratiche non può essere e

non sarà mai il funzionario pubblico, per quanto “eroe

locale” possa dimostrarsi. Sarà sempre soggetto a un

“regolamento”, a un Dna “altro” dalla rete. Né il politico,

che finora da Internet (salvo qualche cartellone pubblici-

tario web) si è tenuto sostanzialmente alla larga. Posso-

no sì contribuire e partecipare, e potentemente. Ma le

comunità non appartengono alle istituzioni, ma a chi le

nutre e vi evolve giorno dopo giorno. Sono il più puro e

nuovo dei beni collettivi.

Diciamocelo chiaro. Le reti civiche nacquero come

progetto politico nel 1992-93 e come naturale estensio-

ne sulla rete del grande movimento sorto con Mani Puli-

te. Il controllo democratico e diffuso dal basso era ed è

una necessità per questa Repubblica, tuttora infeudata,

poco trasparente, ingessata nelle corporazioni, nelle rigi-

dità, nel suo catenaccio difensivo.

Si cercò di creare uno strumento nuovo di evoluzione

degli italiani. E contemporaneamente, a Milano e Bolo-

gna, due gruppi quasi ignari l’uno dell’altro spontanea-

mente si mossero. I milanesi in una situazione politica-

mente non facile (a quel tempo la Lega dominava la cit-

24•

tà e il Nord), i bolognesi invece con l’aiuto pieno e l’ap-

poggio di quella che era generalmente ritenuta come la

più avanzata amministrazione di sinistra italiana.

Eppure già tre anni dopo il sogno di un grande siste-

ma di comunità civiche centro-italiane era sostanzial-

mente svanito. Iperbole non riusciva ad innescare il pro-

cesso virale chiave, ovvero la formazione spontanea di

contenuti, conferenze, attività, “giochi” liberamente pro-

mossi dal basso dai cittadini. Cominciava progressiva-

mente a rinchiudersi in una logica (classica e naturale

per le Amministrazioni, per carità) di servizi offerti dal

Comune, dal palazzo locale verso i cittadini. Modena

sceglieva solo questa strada: servizi (impeccabili) ma

non comunità. E così Siena, e Torino che offriva soltanto

una “bacheca”, a fronte di ottimi servizi. Il resto d’Italia

apprese la lezione. In primis Roma, che abbandonò ogni

progetto in materia. Le “strane” comunità lombarde fu-

rono messe in un canto, nelle appendici delle ricerche. Il

termine “rete civica”, tanto caro al modernismo della si-

nistra, fu usato per coprire un po’ di tutto. Dai piccoli siti-

brochure di un paese fino ai servizi su carte elettroniche.

Non voglio demonizzare nessuno, ma mi pare chiaro

dove si è sbagliato. La sinistra ha tentato, politicamente,

di delegare alle sue Amministrazioni la costruzione della

partecipazione in rete e della nuova, possibile, democra-

zia. Quando invece i soggetti dovevano essere altri: i gio-

vani intellettuali, le scuole e università, il volontariato, i

movimenti. E, semmai, su questo fiorire dal basso dove-

va (e tuttora può) innestarsi il contributo determinante

delle amministrazioni, in termini di progetti, servizi utili,

valore concreto, soluzioni e accessi.

L’approccio “milanese” ha avuto questa fortuna: sa-

per combinare in un “gioco a guadagno condiviso” la

qualità didattica e di ricerca in vivo di un laboratorio uni-

versitario con la voglia di creatività sociale. Risultato: gio-

vani studenti e ricercatori di prim’ordine (e motivati an-

che per il futuro della loro professionalità) si sono incon-

trati con auto-selezionati cittadini di prim’ordine, traen-

done reciproca co-evoluzione (non senza conflitti e criti-

cità, beninteso). Ma, per dirla in chiaro, quale ammini-

stratore pubblico avrebbe voglia e tempo di accollarsi la

delicatissima gestione di un aderente nazista sulla rete

(e ce ne sono) senza devastare con un atto di rigida au-

torità la paziente costruzione di una comunità che co-

mincia ad auto-governarsi, una comunità tenuta assieme

solo dalla fiducia e dall’entusiasmo reciproco. No: pro-

cessi di questo tipo esulano dalla sfera della comunica-

zione pubblica e dai suoi profili professionali. Afferisco-

no a qualcos’altro: alla passione civile, a quello che un

tempo si chiamava “impegno”, termine oggi démodé.

Concetto non molto sentito dalle giovani generazioni.

Facile chiudere oggi la partita parlando di “portali cit-

tadini” come esito nuovo. Facile e scontato. Tutti fanno

portali al giorno d’oggi. Yahoo ha insegnato che aggre-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

25•

gare utilità in rete funziona. Bisogna però vedere quanto

e come un “portale” è veramente utile, o non è piuttosto

fuffa. Fino ad oggi ne conosco solo uno per esperienza:

il pagamento in rete del bollo auto sul sito Aci.

Ma le reti civiche, quelle autentiche, sono e possono

essere molto di più.

Possono essere l’anima attiva della Internet italiana, il

catalizzatore di un nuovo stato sociale. Di una trasmis-

sione positiva di valori civili e di libertà autentica tra ge-

nerazioni. Ben al di sopra di Sinistra e Destra.

La rete civica è infatti di tutti. Ovviamente fatta salva

l’osservanza della sua regola (Galateo).

Il resto lo fanno gli aderenti in rete. E nel caso nostro

lo hanno fatto bene, anzi meravigliosamente, conside-

rando che nel 94 Rcm partì, per pura scommessa, con

un Mac e due modem e oggi ha quasi 10mila utenti e

oltre 1500 spazi creativi costruiti da loro.

Faccio alcuni altri esempi: perché e come è nata, in-

torno ai siti ecologisti e consumeristi di Internet, la gran-

de opposizione sfociata a Seattle?

Come, e come mai il popolo giovanile più radicale,

dei centri sociali, utilizza la rete come sua risorsa chiave?

Hanno avuto bisogno di amministrazioni, regolamenti in

linea, qualche decina di conferenze strettamente con-

trollate?

Questo potenziale dal basso della rete si esprime

ogni giorno, a dispetto della massiccia pressione perché

tutto si commercializzi. Già oggi Internet è, in un certo

senso, una enorme “rete civica”, capace di controllare i

poteri del mondo.

L’articolo di Fiorella De Cindio credo spieghi bene l’e-

voluzione di Rcm e delle altre reti civiche lombarde. Io,

che su Rcm sono solo uno dei 300 suoi moderatori vo-

lontari, mi limito a una sola constatazione. Chi, a distan-

za di sette anni di continuo lavoro, ha tenuto davvero in

piedi la comunità è stato innanzitutto il suo “motore”.

Ovvero il laboratorio universitario, il Lic, sorta di “porto

di mare” in cui sono confluite le competenze di giovani,

tenaci e straordinari tecnologi, di cittadini che hanno

scoperto le nuove possibilità di espressione autonoma

in rete (vedi il caso dei 4000 bambini di Scopri il Tesoro

e dei loro incredibili insegnanti), di amministratori illu-

minati che ci hanno capito e appoggiato, anche da

sponde politiche inaspettate.

Tutto ciò ha fatto sinergia, ha fatto gioco a guada-

gno condiviso, ha creato formazione qualificata e con-

creta per gli studenti, alfabetizzazione di massa (ho

personalmente stimato circa 50mila utenti formatisi

nelle reti civiche lombarde dell’Airec, con la spesa di

pochi amministratori e server), nuovo valore sociale.

Ha messo in moto e sostenuto, quantomeno finora, il

cruciale processo virale di creazione e di sostentamen-

to della comunità attiva. Che oggi, in gran parte, auto-

governa la stessa Rcm.

G i u s e p p e C a r a v i t a

27•

A l e s s a n d r o Vo l p i

Rete civica: giù la maschera.

di Alessandro Volpi

Se la rete civica è finita oppure è viva e lotta insieme

a noi non saprei dirlo, certo è che nei convegni deputati

alla discussione su questo tema aleggia una stanchezza

che ogni volta si fa più tangibile. Leggendo i report che

riportano annualmente il quadro dello sviluppo (o della

stagnazione) delle reti civiche nasce di frequente il so-

spetto che le classifiche riportate in merito alle diverse

esperienze italiane siano state spesso elaborate senza

nemmeno consultare materialmente il sito in questione,

e desunte quasi unicamente da una riclassificazione di

complessi questionari che un funzionario di turno ha

compilato in modo più o meno diligente.

La rete civica dunque non fa più notizia? Ha perso il

suo appeal per essere materia di convegno? Probabil-

mente sì, e questo può essere un bene perché vuol dire

che forse è diventata una commodity. È un po’ esagera-

to il paragone, ma è certo che a nessuna persona di

buon senso verrebbe in mente di organizzare oggi un

convegno sul fatto che alzando la cornetta del telefono

troviamo la linea libera o sul fatto che spingendo un in-

terruttore si accende la luce. Forse è morta la rete civica

come l’abbiamo conosciuta, ma di chi stiamo parlando?

dei soliti addetti ai lavori o delle persone che la consul-

tano? Ho l’impressione che di queste ci si sia spesso di-

menticati. Nella Pubblica Amministrazione infatti persi-

ste una scarsa abitudine a fare indagini di mercato

mentre invece ogni tanto potrebbe essere interessante

sapere che cosa ne pensano gli altri e magari che cosa

si aspettano.

TellNet, la rete civica del Comune di Pesaro, nasce

nel 1996 e la sua storia è costellata da molte difficoltà e

da qualche successo, difficoltà e successi talmente simili

a quelli che hanno connotato l’esperienza di tante altre

città italiane che non vale la pena di soffermarsi più di

tanto. Andando indietro con la memoria, ricordo che al-

lora non avevamo un’idea particolarmente precisa di che

cosa volevamo fare e immaginavamo la rete civica so-

prattutto come una sorta di prolungamento telematico

dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Era dunque il tema

della trasparenza quello che ci guidava, mentre non pen-

savamo (almeno fino alla fine del 1997) alla reale possi-

bilità di erogare servizi digitali a valore aggiunto.

Riguardando ai 3 modi che Doug Schuler1 identifica

per uccidere una Community Network e ai 3 che posso-

1 Per Schuler i tre modi per salvare un’esperienza di community network sono: “considerare la community network come un work-

28•

no salvarla debbo dire onestamente che noi abbiamo

confezionato un cocktail di tutti e 6 gli ingredienti. Ab-

biamo di certo concepito la nostra rete come un servi-

zio di pubblica utilità (kill) e siamo sempre stati convinti

che forse un work in progress (save), così come erava-

mo (e siamo) convinti che dietro una rete ci dovesse

essere un serio progetto tecnologico (kill); abbiamo

realizzato alcuni incontri con gli utenti di TellNet per ri-

cevere stimoli alla progettazione (save), abbiamo tenta-

to, e fallito quasi completamente, di fare sì che la rete

fosse parte di un movimento sociale (save). Infine, pro-

prio in questi giorni, stiamo ragionando intorno all’idea

che la rete civica possa essere anche un momento di

business (kill).

Quando cominciammo a discutere degli obiettivi che

il Sindaco, la Giunta e l’Amministrazione in generale vo-

levano raggiungere con la creazione di una rete civica

stabilimmo due grandi direttrici: fornire servizi ai cittadini

e alle imprese da un lato e creare un luogo di dibattito

politico dall’altro, con l’intento e la speranza di riavvici-

nare i cittadini alla politica ed in particolare di riuscire a

dialogare con quella fascia, rappresentata dai giovani,

che appare particolarmente lontana; se il primo obietti-

vo è stato raggiunto con buona approssimazione2 (e

sempre più lo sarà con la prossima disponibilità di servi-

zi transazionali), il secondo è stato, per usare un eufemi-

smo, ben al disotto delle aspettative. Capirne le motiva-

zioni non è facile, soprattutto se si tiene conto che nel-

l’Ente non la pensiamo tutti allo stesso modo né diamo

tutti la stessa valutazione dei risultati ottenuti. Riavvicina-

re i cittadini alla politica è un processo molto difficile

(tanto che qualcuno pensa sia arrivata ormai l’ora di

cambiarli un volta per tutte questi cittadini) ma soprat-

tutto non si può pensare che uno strumento di traspa-

renza (per altro non completa), come è una rete civica,

possa sovvertire di colpo uno stato di grande disagio.

Abbiamo per molti anni convinto i nostri cittadini che

dovevano tacere, ed ora pretendiamo di convincerli che

è arrivato il momento di parlare e che, per di più, il loro

parlare, la loro progettualità, la loro disponibilità a parte-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

in-progress, considerare la community network come una comunità che partecipa alla progettazione, considerare la community

network come parte di un movimento sociale”; la strategia per uccidere l’esperienza di una community Network ha tre regole di si-

curo effetto: “considerare la community network come un qualsiasi altro servizio di pubblica utilità, quale gas o elettricità; conside-

rare la community network come un’occasione di business; considerare la community network come un progetto tecnologico”.

2 Al recente Forum della Pubblica Amministrazione, TellNet è stata premiata come prima rete civica in Italia per la firma digitale, e

seconda al sito del Ministero delle Finanze.

29•

cipare sarà in grado di modificare realmente il governo

della cosa pubblica. Credo in sostanza (ma qui è proprio

a titolo personale che parlo) che dobbiamo abbassare

un po’ il tiro, senza diminuire la tensione, e accontentar-

ci magari di dare alla gente una Pubblica Amministrazio-

ne un po’ più efficiente e un po’ più consapevole della

loro sovranità.

Volendo ripercorrere, anche se molto celermente, la

storia attraverso la quale si è articolato lo sviluppo di

TellNet3, si possono identificare 3 stadi:

l la rete come sito biblioteca: TellNet contiene un nu-

mero di informazioni davvero consistente sull’Ammi-

nistrazione4 e sulla città. Presenta inoltre link a molti

altri siti, e fornisce infine una rassegna di più di 1000

siti consigliati; pur ribadendo il principio del work in

progress questo stadio è stato sviluppato con succes-

so. Sempre sul tema della trasparenza vale la pena di

citare un side effect prodotto dalla rete civica: l’Intra-

net dell’ente oggi molto sviluppata e molto utilizzata

dai dipendenti. Si parla di opacità verso l’esterno e ci

si dimentica che all’interno della Pubblica Ammini-

strazione c’è spesso un analogo bisogno di traspa-

renza;

l la rete come luogo di dialogo e di dibattito: mentre

la posta agli uffici e agli assessori è utilizzata con una

certa frequenza (ivi compresi alcuni pesaresi residen-

ti all’estero), i gruppi di discussione sono andati so-

stanzialmente deserti;

l la rete come mezzo per servizi digitali a valore ag-

giunto: sono quasi tutti in fase di avanzata progetta-

zione e riguardano le forme di pagamento on-line

(tributi, multe, rette, ecc…), le transazioni contrattuali

(iscrizione dei bambini agli asili, ad esempio) o le di-

chiarazioni (dichiarazioni di inizio o fine lavori, ecc.).

Proprio sulla scorta dello sviluppo dei servizi digitali a

valore aggiunto stiamo valutando da alcuni mesi l’ipotesi

di passare da una rete civica tradizionale ad un portale

cittadino e contemporaneamente stiamo anche conside-

rando l’ipotesi di costituire una società pubblica (per il

momento) cui affidare la mission dello sviluppo di que-

sto progetto.

Il progetto prevede la messa a punto di un metapor-

A l e s s a n d r o Vo l p i

3 La maggior parte dei nomi delle reti civiche richiama una qualche interpretazione: la radice Tell deriva dal fatto che un’importan-

te opera lirica del pesarese Gioacchino Rossini è il Guillaume Tell, ma in inglese “tell” vuol dire “dimmi”, prefigurando dunque nel

nome una certa propensione all’ascolto.

4 Oltre a numerose pagine html di tipo statico il sito permette la consultazione di una decina di database dell’Ente.

30•

tale cittadino e di una serie di portali verticali per lo più

orientati ai temi dell’e-government (il Comune, la sanità,

l’Università di Urbino, ecc.), ma aperto anche ad oppor-

tunità di e-commerce. La business idea che è alla base

di queste valutazioni ruota intorno al seguente interroga-

tivo: è possibile costruire un business basato prevalente-

mente su contenuti monopolistici a carattere pubblico

senza che con questo si perda l’identità istituzionale de-

gli enti che detengono i contenuti? Non c’è un’unica ri-

sposta, ma noi ci proviamo.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

31•

M a r i e l l a G r a m a g l i a

Ripartire dal basso senza la PubblicaAmministrazione

di Mariella Gramaglia

C’è una circoscrizione del Comune di Roma dove

qualche tempo fa è stato attivato un piccolo progetto

sperimentale di organizzazione del lavoro. Gli assistenti

domiciliari in organico nella zona hanno predisposto,

per alcuni mesi, una bacheca elettronica dove inserire,

ed aggiornare, le informazioni relative alle condizioni dei

loro assistiti in modo che il collega successivo potesse

essere messo al corrente dello stato del paziente prima

di arrivare sul posto. L’iniziativa pare sia stata accolta con

favore dagli stessi anziani, tanto che qualcuno ha comin-

ciato ad alfabetizzarsi con le tecnologie informatiche per

comunicare con il gruppo degli assistenti. Che cosa c’en-

tra tutto questo con le reti civiche? Apparentemente

niente; in realtà moltissimo e vedremo perché.

Per cominciare una discussione proficua sulle reti ci-

viche e sul loro futuro è opportuno chiarire subito una

questione nodale, almeno dal mio punto di vista. Non

esiste l’esperienza delle reti civiche italiane, così come

non esiste un’esperienza olandese o tedesca tout-court.

Esistono invece delle esperienze, che hanno storie, ca-

ratteristiche ed anche futuri probabilmente diversi. La re-

te civica di Roma, che fa riferimento ad una comunità di

quasi cinque milioni di abitanti, se comprendiamo tutto

l’hinterland, certo non potrà organizzarsi ed avere uno

sviluppo simili a quella della città di Siena. E non è solo

un problema di numeri, ovviamente. Alla specificità di

ogni rete concorrono molti altri fattori, storici, culturali,

finanche lo stile di vita di una comunità.

Ecco perché, alla domanda sul futuro delle reti civi-

che in Italia, risponderò partendo dalla nostra esperien-

za, quella di romacivica.net del Comune di Roma.

La rete civica di Roma fa la sua apparizione sul web

nel 1995, circa un anno dopo il primo esperimento ita-

liano di Bologna. Lo spirito con il quale nasce romacivi-

ca.net si può riassumere in due punti. Il nostro obiettivo

primario è stato quello di dare vita ad un nuovo spazio

di democrazia all’interno del quale far crescere la comu-

nicazione tra istituzioni e cittadini e dare impulso, al

contempo, alla partecipazione civile. Contestualmente ci

siamo impegnati affinché la rete civica potesse fare da

volano alla diffusione di una cultura telematica e multi-

mediale tra i cittadini.

Uno dei nostri primi programmi è stato infatti quello

di consentire alle scuole di Roma l’accesso ad Internet, e

in questi mesi stiamo concludendo un grande progetto

internazionale per la promozione della multimedialità

tra i giovani, una sfida mondiale al progetto più innovati-

vo.

Sin dai primissimi anni di sperimentazione della rete

32•

civica la nostra scelta è stata quella di mantenere e valo-

rizzare l’esperienza telematica delle bbs, molte e molto ra-

dicate nel comune di Roma, e di dare un ampio spazio di

manovra alle associazioni che sono, da sempre, una parte

vivacissima, e indispensabile, della nostra comunità.

Oggi romacivica.net conta una media di settecento-

mila visite al mese - sono otto milioni gli accessi totali

insieme al sito comunale - e ospita già oltre duecento

soggetti, fra scuole, gruppi di discussione e associazioni.

E sono loro, non c’è dubbio, il futuro di questa rete civi-

ca. Non solo perché non possiamo permetterci con i no-

stri cinque milioni di abitanti l’ambizione di Bologna: “un

accesso e un computer per ogni cittadino”. I bisogni e la

storia della nostra città sono diversi e troppo più com-

plessi. E le risposte a quei bisogni, scusate la presunzio-

ne, devono aiutarsi con un aggiunta di eclettismo e crea-

tività. Ecco che ritorniamo a quella circoscrizione di Ro-

ma, a quella piccola comunità di assistenti ed anziani

che hanno sperimentato per via telematica il modo di

prestare, e ricevere, una migliore qualità di cura.

La rete civica è viva? Questa rete civica, romacivica.net,

vivrà se riuscirà a seguire la nuova strada che io definisco

del “concorso di idee”, staccandosi man mano dall’ammi-

nistrazione centrale, autorganizzandosi e autoriproducen-

dosi. Perché siano le associazioni stesse, ad esempio, a

proporre e a gestire, attraverso la rete, servizi specifici per i

cittadini. Come ci insegna l’esperimento di quella circo-

scrizione.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

33•

P a o l o S u b i o l i

Le reti civiche sono morte. Viva le reticiviche!

di Paolo Subioli

Si sente parlare ultimamente di crisi delle reti civiche,

se non addirittura di fine imminente: un’ipotesi che può

apparire eccessiva, dal momento che le reti civiche sono

applicazioni recenti di una tecnologia molto giovane, de-

stinata, a parere di tutti, ad una diffusione universale e

capillare. Le prime sperimentazioni in questo campo ri-

salgono al 1993-94 e da allora, tra mille difficoltà, è stata

fatta molta strada: i decisori politici sono molto più inte-

ressati alle nuove tecnologie e il recente boom di Inter-

net nel nostro Paese fa sperare in un significativo allar-

gamento dell’utenza.

Eppure, non è senza significato che si parli di “crisi” o

di “fine”. A ben guardare, innanzi tutto, tra coloro che si

preoccupano maggiormente delle sorti delle reti civiche

ci sono proprio i loro responsabili, i promotori e gestori

dei servizi on line degli Enti locali. La mia opinione, di

osservatore esterno e un po’ cinico, è che queste perso-

ne, abituate per anni a vedere premiate le proprie batta-

glie all’interno delle Amministrazioni con continui rico-

noscimenti (soprattutto esterni) del proprio ruolo di in-

novatori, non sappiano più cosa inventarsi per tenere i

riflettori puntati su un settore i cui annunci riscuotono

sempre meno interesse, e dal quale ci si aspetta piutto-

sto risultati concreti. Quanti cittadini italiani, in sostanza,

oltre a comprare un libro on line possono andare sul

web per pagare l’ICI, iscrivere il figlio a scuola o comuni-

care alla Pubblica Amministrazione di aver cambiato ca-

sa?

Dopo la fase pionieristica, caratterizzata da redazioni

Internet isolate all’interno dei propri Enti e oberate di la-

voro per mantenere sempre un livello decente di aggior-

namento, si sta aprendo la ben più impegnativa prospet-

tiva dell’e-government, ovvero della piena e integrale in-

formatizzazione del lavoro amministrativo, sia interno

che tra Amministrazioni. Una strada che contempla la

realizzazione delle intranet degli Enti come della extra-

net dell’intero settore pubblico, l’adozione del protocollo

informatico come dell’archiviazione digitale dei docu-

menti, l’informatizzazione delle singole postazioni di la-

voro come la gestione elettronica dei rapporti con i citta-

dini, eccetera.

In questo senso, certamente è legittimo parlare di fi-

ne delle reti civiche, se con questo termine si intendono

le sperimentazioni sino ad oggi compiute per dare ai cit-

tadini nuovi servizi on line di interesse pubblico. Non è

più tempo di sperimentazioni, pertanto, ma di “reinven-

tare” il governo della cosa pubblica, alla luce dei nuovi

paradigmi di rete che si stanno affermando in tutta la

società, riorganizzando l’intera catena del valore che in-

34•

teressa le Pubbliche Amministrazioni, dal rapporto coi

fornitori a quello con i propri clienti (i cittadini), analoga-

mente a quanto le imprese dovrebbero fare rispetto al-

l’e-business.

Ma ci sono anche altri segnali, molto più palpabili,

che si sia chiuso un ciclo, per le reti civiche. Il più evi-

dente - forse anche il più grave, in quanto causa di crisi

d’identità - è legato all’importante ruolo di promozione

delle nuove tecnologie che le reti civiche hanno svolto

per tutta la seconda metà degli anni ’90, e che oggi non

è più necessario, perché tutti sanno che esiste Internet,

al quale si può accedere quasi gratuitamente e con mag-

giore facilità. Né può avvenire più che i responsabili In-

ternet dei Comuni agiscano indisturbati nell’indifferenza

generale, dal momento che ciascuno vuole dire la sua su

come deve essere fatto il sito, dall’assessore al responsa-

bile dell’ufficio stampa, senza dimenticare l’URP, legitti-

mato dalla recente legge 150/2000 a metter mano an-

che alla comunicazione interattiva. Presto verrà il giorno,

anzi, che l’opposizione in Consiglio comunale reclamerà

il potere di controllo sui contenuti del sito, per evitare

che si trasformi in strumento di propaganda per la coali-

zione in carica, come già molto spesso accade.

Le reti civiche sono morte, quindi. Viva le reti civiche!

Un nuovo ciclo si apre, meno pionieristico, certamente,

ma forse altrettanto glorioso, a patto che la generazione

emergente di comunicatori pubblici sappia raccogliere le

nuove sfide del decennio che viene.

1) Alfabetizzare all’uso delle nuove tecnologie è ancora

necessario, perché in Italia c’è ancora troppa poca

gente che sa usare il PC. La disponibilità in rete di

servizi utili può attrarre verso il web ulteriori neofiti.

2) La gente ha più fiducia nel proprio Comune che nella

maggioranza dei venditori attivi sulla rete. La presen-

za su Internet, specie se con servizi interattivi sicuri,

può incoraggiare i consumatori meno fiduciosi. Lo

stesso rapporto privilegiato può essere sfruttato per

certificare la qualità dei fornitori di contenuti e servizi

presenti su quei portali locali che le reti civiche sem-

pre più stanno diventando.

3) La firma digitale è ormai una possibilità concreta: la

normativa è pienamente operativa, ci sono i certifica-

tori iscritti all’albo, tra poco ci sarà persino la carta

d’identità elettronica. I dipendenti pubblici devono

essere dotati al più presto di certificati digitali, affin-

ché la digitalizzazione dei processi amministrativi di-

venti una realtà.

4) Le nuove tecnologie di accesso mobile alla rete (WAP

e GPRS, ma soprattutto UMTS) amplieranno notevol-

mente la base di utenza raggiungibile, mettendo let-

teralmente nelle mani di cittadini e amministratori in-

novativi strumenti per una piena comunicazione inte-

rattiva, dei veri e propri “URP portatili”.

Siamo pronti?

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

35•

F i o r e l l a D e C i n d i o

Le reti civiche: un futuro possibile

di Fiorella De Cindio

Mi è difficile concepire il contributo al dibattito

che Piero Luisi solleva sulla “fine delle reti civiche così

come le abbiamo sempre conosciute” come un eser-

cizio retorico: questa attitudine è forse possibile per

coloro che studiano ed osservano queste esperienze,

sia pure con (molta) partecipazione emotiva. Per chi

invece le porta avanti - giorno dopo giorno - da sei

anni, non si tratta di un esercizio, bensì della quoti-

diana necessità di chiedersi - giorno dopo giorno - se

quello che si sta facendo ha ancora senso o no, e

quanto potrà’ averne domani. In modo decisamente

poco emotivo, ma piuttosto colorato dai tratti della

concretezza e del vil denaro.

E non è neanche facile rispondere alla sua provoca-

zione in poco spazio e con il poco tempo che ci è stato

dato. Ma mi sono sentita in dovere di provarci a nome di

tutti coloro che ancora oggi dedicano allo sviluppo delle

reti civiche il loro tempo e il loro entusiasmo1. E mi scu-

so di non essere riuscita ad essere più concisa: ma è no-

to che per smontare anche un’accusa frettolosa ci vuole

un po’ di tempo.

Procederò per punti, seguendo in parte quelli proposti

da Luisi; e mutuando dal suo stile provocatorio una fran-

chezza che spero venga analogamente intesa come finaliz-

zata alla chiarezza. Iniziando dal refutare i fondamenti su

cui poggia l’atto di accusa: “La rete civica è morta!”. Il che

non implica in alcun modo che la telematica civica in Italia

non sia oggi davanti ad un importante punto di svolta: è

vero, infatti, che le scelte che si fanno in questa delicata fa-

se di passaggio saranno determinanti per il futuro di molte

delle iniziative avviate intorno alla metà degli anni 90.

1. Una reiterata confusione

L’analisi di Luisi prende avvio dall’intervento2 in cui

Doug Schuler, fondatore del Seattle Community Net-

1 Nel farlo, chiedo preventivamente scusa a tutti coloro le cui esperienze non ho potuto citare quanto avrei voluto, potuto e dovu-

to. In particolare mi riferisco alle reti civiche di A.I.Re.C. Lombardia che hanno arricchito l’esperienza di RCM con uno stimolante,

costante confronto. Ma il poco tempo che mi è stato dato per refutare l’atto d’accusa mi ha costretto a limitarmi principalmente a

RCM e a considerare le altre esperienze solo “di striscio”.

2 D. Schuler, Three ways to kill Community Networks, and three ways to save them…, Proc. First European Conference on Commu-

nity Networking, Milano, luglio 1997.

36•

work, discute del futuro delle community network. E

Luisi propone di rileggere quelle tesi “alla luce del

contesto italiano, che, rispetto al modello statunitense,

connota le reti civiche come esperienza in gran parte

promossa e maturata da parte di Amministrazioni

Pubbliche locali” facendone risalire l’origine alla “ado-

zione da parte del legislatore delle leggi su accesso,

trasparenza e partecipazione agli atti della Pubblica

Amministrazione” di cui “l’Ufficio Relazioni con il Pub-

blico avrebbe dovuto rappresentare il braccio operati-

vo”. Ma così facendo propone di applicare dei criteri

che Schuler ha sviluppato per esperienze nate dal bas-

so, avviate all’interno di o in contatto con luoghi di ag-

gregazione culturale - quali laboratori universitari e/o

biblioteche - radicati nelle comunità locali, o comun-

que indipendenti dall’Amministrazione e dal Governo,

a qualcosa di radicalmente diverso, cioè a iniziative

delle Amministrazioni Pubbliche che “adottano solu-

zioni telematiche per la gestione e distribuzione di

servizi”.

Alla radice di questa confusione - che si perpetua

da anni - c’è una questione terminologica: la scelta - di

cui credo di essere in parte responsabile3 - di “rete civi-

ca” per rendere l’idea che stava dietro i termini di

“community network” o “free net” (a cui Schuler fa rife-

rimento) e che non potevano essere tradotti in modo

letterale. Come il “senso civico” non dovrebbe essere

proprio della Amministrazione comunale, ma condiviso

dall’intera città, cioè dall’intera comunità locale in tutte

le sue componenti, così la scelta del termine “rete civi-

ca” voleva favorire l’idea che la rete civica fosse un luo-

go - virtuale ma strettamente intrecciato e con continui

scambi con la città reale su cui insiste - di tutti, di cui

nessuno è detentore: chi lo gestisce si fa in qualche

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

3 Scelsi prima il termine “informatica civica” per chiamare il Laboratorio di cui, nella primavera 1994, proposi l’apertura all’interno

del Dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università degli Studi di Milano per sviluppare progetti in quell’area che oggi

chiameremmo “applicazioni delle ICT alla società”, e che oltreoceano, ma anche in Europa, si è ormai andata chiamando commu-

nity informatics (si veda ad esempio la raccolta curata da Mike Gurstein dal titolo Community Informatics: Enabling Communities

with Information and Communication Technologies recentemente uscita da Idea Group Publ.). Già nel documento di proposta del

nuovo Laboratorio si dichiarava l’intenzione di promuovere la Rete Civica di Milano (RCM), che fu effettivamente avviata in fase

sperimentale, aperta a una cinquantina di utenti, anche esterni all’Università, nel luglio 1994, e fu resa operativa per il pubblico il

22 settembre successivo. Per rispondere ad una domanda di Luisi, credo dunque, di poter dire che RCM è stata la prima rete civica

attiva nel nostro Paese.

37•

misura garante del fatto che tutti abbiano in esso “dirit-

to di cittadinanza”. E se l’obiettivo di garantire il diritto

di cittadinanza telematica era sicuramente un obiettivo

condiviso tra le due prime esperienze italiane4 - la Rete

Civica di Milano e Iperbole di Bologna - anche se rea-

lizzato con scelte tecnologiche e “politiche” diverse5, al-

tre significative esperienze volutamente e coerente-

mente segnalavano fin nel nome la loro diversità: ad

esempio, a Torino si sottolineò chiaramente l’intento di

voler creare un “Servizio Telematico Pubblico”, cioè un

progetto con cui l’Amministrazione comunale si propo-

neva di realizzare servizi on line per i cittadini, di favo-

rirne l’accesso alla rete, ma senza la volontà di voler

promuoverne la “community”, la rete civica. Altri - molti

altri - però sono stati meno rigorosi: il termine “rete ci-

vica” per un certo periodo è stato un termine di suc-

cesso, un fiore all’occhiello che le Amministrazioni co-

munali volevano possedere a tutti i costi per dimostra-

re la propria capacità di innovazione. E, pur di averlo, si

chiamava “rete civica” anche la pura presenza su web

di qualche pagina di presentazione della città. Il che

non necessariamente era negativo perché dimostrava

comunque un’intenzione, era una sorta di “dichiarazio-

ne di intenti” che purtroppo però - in molti casi - non

ha avuto seguito: spesso la rete civica, più che “morire”,

non è mai nata.

In questo contesto sarebbe stato estremamente utile

che gli osservatori specializzati6 si facessero carico di

operare una chiarificazione evitando il perpetuarsi della

confusione tra “capre e cavoli”. Nonostante le molte, pri-

vate e pubbliche, sollecitazioni in tal senso, tanto il Cen-

sis nelle sue indagini annuali sulle “Città Digitali”, quanto

l’Osservatorio Reti Civiche non hanno intrapreso e favori-

to questa necessaria operazione chiarificatrice con la de-

F i o r e l l a D e C i n d i o

4 G. Casapulla, F. De Cindio, O. Gentile, L. Sonnante, Le Reti Civiche: una risorsa per la comunità, in “Problemi dell’informazione”,

anno XXIII, n.1, marzo 1998.

5 Oltre che nel lavoro già citato in nota 4, le diverse scelte tecnologiche sono discusse in: F. De Cindio, A. Grasso, L. Sonnante, V.

Cannada Bartoli, Scelte nel disegno di reti civiche nelle esperienze italiane e lombarde, Atti Congresso Annuale AICA, Milano,

1997.

6 Luisi cita in nota l’Osservatorio Reti Civiche e www.cittadigitali.it. Il primo è una iniziativa di Città Invisibile di cui da anni è re-

sponsabile Gennaro Zezza, mentre il secondo nasce nel 1999, come iniziativa di alcuni ricercatori tra cui lo stesso Zezza, Paolo

Subioli ed altri, sull’onda - ma non come diretta emanazione - degli omonimi rapporti curati nel 1997, 1998 e 1999 dal Censis per

conto di Assinform e RUR.

38•

terminazione, e direi la forza, che ci si sarebbe potuto at-

tendere. A tal proposito, è sgradevole ma doveroso ricor-

dare che più di una volta (anche se ne cito esplicitamen-

te solo una7) autorevoli esponenti del Censis, interve-

nendo sul tema delle reti civiche, hanno citato e portato

in palmo di mano iniziative in cui lo sviluppo della “com-

munity” era (ed è) davvero irrisorio, tralasciando, per

scelta, quelle a tutti note per la loro ricchezza di parteci-

pazione.

Per quanto ci riguarda, abbiamo fatto da tempo lo

sforzo di dare una definizione di rete civica, fin dall’av-

vio di RCM8, cercando poi di metterne a punto una

che inglobasse le diverse esperienze in atto in Italia e

all’estero9. Non riteniamo dunque di ripeterlo in que-

sta sede. Diversamente che in Italia (ma si sa che nel

Bel Paese nemo propheta in patria), all’estero il no-

stro sforzo “definitorio”, che sottolinea la natura dina-

mica dell’idea stessa di rete civica e la necessaria plu-

ralità di dimensioni lungo cui il suo sviluppo deve aver

luogo, è stato colto come un significativo contributo,

che ha anche consentito di interpretare l’evoluzione

dalle “free net” e “community network” della prima

ora (quelle associate nella NPTN, la National Public Te-

lecomputing Network, poi scioltasi) - erano politically

correct e rifiutavano qualunque interazione con Pub-

bliche Amministrazioni e settore business - a quelle

che oggi, in U.S.A. come in Canada e in Europa, cerca-

no di definire il proprio futuro attraverso un equilibrio

tra le diverse dimensioni - non profit, profit, istituzio-

nale - proprie di ogni società moderna, che caratteriz-

zano quindi anche la vita di ciascun individuo che in

essa vive e lavora.

2. I fattori di successo

RCM, la Rete Civica di Milano, è stata avviata al pub-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

7 Si veda, ad esempio, l’intervento di G. Roma, Le reti civiche ci consegnano le chiavi di una città più amica, apparso nel numero

speciale di Telema dedicato a “Burocrazia elettronica, società più civile” (anno V, n.19, Fondazione U. Bordoni).

8 Si vedano, ad esempio, i “principi ispiratori di RCM”, la cui sottoscrizione è richiesta ad ogni aderente all’atto della registrazione e

che sono rimasti sostanzialmente invariati (www.retecivica.milano.it/rcmprin.htm).

9 Una buona sintesi di questo sforzo di una precisa caratterizzazione di rete civica che tenga conto delle esperienze in atto si trova

nell’articolo già citato in nota 4 che è stato proposto a livello internazionale in occasione della “Second European Conference on

Community Networking”, Barcelona, luglio 1998.

39•

blico il 22 settembre 1994, come iniziativa del Labora-

torio di Informatica Civica del Dipartimento di Scienze

dell’Informazione dell’Università degli Studi di Milano,

con l’obiettivo di “mettere a disposizione dei cittadini

milanesi un ambiente telematico efficace e facile da

usare per favorire la comunicazione tra soggetti diversi:

cittadini e loro associazioni di fatto e di diritto, Enti

Pubblici e società che ne sono emanazione, aziende

che operano nei vari settori di mercato, operatori del-

l’informazione, e così contribuire a garantire nei fatti il

diritto alla cittadinanza telematica per tutti”. Non è

morta10, anzi è oggi una Fondazione di Partecipazione

(costituita nel dicembre 1998)11, cioè ha uno status

giuridico autonomo a cui concorrono gli Enti territoriali

(Regione, Provincia e Camera di Commercio; quanto al

Comune, siamo sempre in attesa) nel ruolo di fondato-

ri, alcune aziende come soci sostenitori, cittadini e as-

sociazioni in qualità di soci partecipanti. Tra i fondatori

figura anche l’Università degli Studi di Milano dove tut-

tora è la sede operativa di RCM. Per dimostrarne la vi-

talità, basti dire che nel corso dell’ultimo anno RCM ha

promosso - tra le molte altre iniziative - “Scopri il Teso-

ro”12, un gioco di apprendimento in rete, per avvicinare

alla telematica non solo i giovani studenti delle scuole

dell’obbligo, ma anche i loro insegnanti (di tutte le di-

scipline) e le loro famiglie. Progettato e condotto da

uno straordinario gruppo di insegnanti, grazie al “tam

tam” tra scuola e scuola l’iniziativa si è diffusa oltre i

confini di Milano e ha coinvolto centinaia di “ciurme”

di 15 regioni italiane (e persino della Svizzera Tedesca).

Divertendosi, quasi 5000 ragazzi e ragazze dai 5 ai 16

anni provenienti da 150 scuole (altri giocano da casa)

hanno imparato, tappa dopo tappa, a conoscere la re-

te, ad usarla per conoscersi, comunicare, apprendere,

cooperare, e creare assieme una rete fatta per loro e

con loro.

Il futuro di RCM è incerto come quello di tutte le “in-

traprese” di rete (pare che anche quello di Amazon.com

lo sia!). Ma le possibilità di avere un futuro risiedono

nelle specificità e nei punti di forza a cui è dunque ne-

cessario dedicare attenzione. Vediamo quindi di delinea-

re brevemente gli elementi determinanti che hanno per-

F i o r e l l a D e C i n d i o

10 Per una breve storia delle tappe salienti dello sviluppo di RCM, si veda l’articolo di G. Caravita apparso sul numero 17/18 di Tele-

ma (cfr. nota 7) dedicato a “Comunità On Line, Virtuali e Reali”.

11 www.retecivica.milano.it/fondazione

12 www.retecivica.milano.it/tesoro

40•

messo a RCM di mantenersi vitale, nella speranza e con-

vinzione che queste considerazioni siano di valenza più

generale e servano a delineare il futuro delle reti civiche.

2.1 Lo sviluppo “bottom-up”: il participatory

design in pratica.

Il primo elemento è una delle poche esplicite scelte

progettuali. RCM ha come proprio slogan, che campeg-

gia su desk-top e home page dal primo giorno: “La rete

siete Voi”. RCM fu presentata come una “dichiarazione di

possibilità “da riempire di contenuti da parte della co-

munità locale: tutti sono (stati) chiamati a fornire conte-

nuti e a progettare iniziative e servizi. Se le macro-aree

che oggi compaiono sulla home page di RCM13 sono so-

stanzialmente le stesse che figurano su tutti i portali,

non derivano, a differenza di queste, dalla identificazio-

ne a priori di possibili aree di interesse e discussione,

ma sono frutto di un processo di gemmazione e distin-

zione analogo a quanto è accaduto per i newsgroup di

Internet, con la sola non irrilevante aggiunta che la mo-

derazione - adottata fin dall’inizio - ha garantito che ne

venisse preservata la pertinenza.

Lo staff di RCM si è sempre concepito come “abilita-

tore” della community, dedicato a garantire il funziona-

mento della rete e a rendere possibile la realizzazione

dei progetti che man mano venivano proposti, da sog-

getti individuali e collettivi, dovendo “soltanto” (ma

quanto è difficile farlo!) attribuire priorità per allocare ri-

sorse comunque inferiori al necessario.

Queste scelte non sono casuali, ma sono la traduzio-

ne pratica di un principio di progettazione dei sistemi in-

formatici detto participatory design che li riconosce co-

me sistemi socio-tecnici. Ha avuto origine in Europa, pri-

ma in Inghilterra e poi nei Paesi scandinavi, e anche l’Ita-

lia ha dato negli anni ‘80 un significativo contributo al

suo sviluppo. Si è poi affermato oltre oceano: e quando

Schuler sottolinea come regola di sicuro effetto per ucci-

dere una community network quella di considerarla co-

me un progetto tecnologico, è a questo che fa riferimen-

to14. In positivo, si tratta di coinvolgere gli utenti nella

progettazione del sistema: la progettazione (che non è

qualcosa che si fa una volta per tutte, ma prosegue nel

tempo attraverso le varie tappe di aggiornamento) non è

fatta “per” gli utenti, ma possibilmente “con” essi, o, an-

cor meglio, direttamente “dagli” utenti. Che a questo

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

13 www.retecivica.milano.it

14 D. Schuler, A. Namioka (eds), Participatory design, principle and practice, Erlabaum (Hilsdale, NJ), 1993.

41•

punto non sono più tali, ma diventano co-progettisti. E

infatti, giusto per fare un esempio che dimostra come

questi principi sono stati messi in pratica, “Scopri il teso-

ro” è stato co-progettato da un gruppo di insegnanti e

dallo staff di RCM. E chi è co-progettista di qualcosa, è

direttamente interessato alla sua sopravvivenza e alla

sua crescita. Il coinvolgimento nella progettazione diven-

ta così coinvolgimento nella ricerca di contatti, nella rac-

colta di risorse, coinvolgimento nella progettazione del

futuro della rete civica come piattaforma di sviluppo dei

propri progetti, e non di progetti altrui15.

2.2 Il radicamento in Università

L’identificazione di questa scelta progettuale come

elemento determinante avviene per RCM grazie al con-

testo universitario in cui ha origine. Al DSI (Dipartimento

di Scienze dell’Informazione) c’è infatti una lunga tradi-

zione di ricerca ed esperienza sulle tecnologie di rete,

sulla cultura della comunicazione mediata da calcolato-

re, sulla sicurezza, sulle applicazioni di quel computer

supported cooperative work che è stato la culla per lo

sviluppo dei prototipi di molte delle applicazioni di rete

oggi più diffuse. La capacità di distillare le migliori tra le

molte idee e prodotti che il mondo delle IT (Information

Technologies) prima e delle ICT dopo (Information and

Communication Technologies) propone non è esclusiva

del contesto universitario né garantita da esso. Ma se le

cose funzionano a dovere, in Università ci sono maggiori

chances non solo di stare al passo con i tempi rapidissi-

mi dell’innovazione, ma anche di avere il polso della si-

tuazione, capire cosa ha futuro e cosa no. Vorrei dire

esplicitamente che questa capacità di conoscenza e va-

lutazione dell’innovazione si crea solo se e dove si gene-

ra un circuito virtuoso che coinvolge docenti e ricercatori

(che hanno maturato una capacità di astrazione), stu-

denti (che hanno la forza e l’entusiasmo verso il nuovo

che nei primi rischia col tempo di ridursi) e il mondo

esterno, aziende, professionisti, ex-studenti (che costrin-

gono a un continuo aggiornamento). Il DSI e il Laborato-

rio di Informatica Civica con i suoi laureandi, con la ca-

pacità di attrarre studenti di altre Facoltà e anche di altri

F i o r e l l a D e C i n d i o

15 La medesima enfasi sulla partecipazione dei cittadini allo sviluppo della rete civica è stata data, ad esempio, da Onde, On line

Desenzano sul Garda. Ma in questo caso la rete civica è stata finanziata interamente dal Comune, il che ha fatto col tempo un po’

scemare la caratteristica di rete progettata dal basso e, al cambio di Amministrazione, ha fatto emergere problemi simili a quelli in-

contrati da altre reti civiche nate come iniziativa del Comune.

42•

Atenei, sono stati la risorsa da cui RCM ha potuto attin-

gere sempre nuove risorse e nuove idee16, consentendo

quello che si potrebbe chiamare un turn-over “ammor-

tizzato” e arricchito. E poiché “fare reti civiche”, specie

quando questo comporta la gestione di comunità virtua-

li, è molto stressante e tende a consumare anche i più

resistenti, questa possibilità è forse la più importante

condizione per evitare la morte per affaticamento ed ab-

bandono17.

2.3 RCM e la Pubblica Amministrazione

Anche nei rapporti con la Pubblica Amministrazione

locale l’approccio è stato “dal basso” ed i maggiori suc-

cessi si sono registrati perché funzionari e dirigenti di

Ente hanno visto RCM come proprio strumento e risorsa

per la realizzazione di progetti e iniziative di innovazione

che all’interno dell’Ente avrebbero avuto tempi di realiz-

zazione molto maggiori e non li avrebbero visti altrettan-

to protagonisti. Uno strumento comunque riferibile, data

la collocazione all’interno dell’Università, ad un soggetto

pubblico, anzi, ancor meglio, ad un Ente pubblico, ma

super partes, in quanto non soggetto alle logiche della

politica. RCM prima e la Fondazione RCM poi hanno mu-

tuato dall’Università l’approccio istituzionale e “universa-

le”, il dovere di avere rapporti con tutti, anzitutto con i

Governi locali democraticamente eletti dai cittadini, di

non fare discriminazioni né creare vantaggi per nessuno,

ma offrire opportunità a tutti. Conquistando anche il cre-

dito che tale atteggiamento comporta e riuscendo, sulla

base delle cose fatte e dei risultati raggiunti, a consolida-

re il rapporto con le varie Amministrazioni che si sono

succedute nel governo degli Enti territoriali dell’area mi-

lanese. E così è stato, ed è, con Regione, Provincia, Co-

mune, Provveditorato, ciascuno con la propria specificità,

ed i propri “alti e bassi”18.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

16 In cambio, la rete civica costituisce per questi ragazzi una straordinaria “palestra” per la loro formazione sulle ICT che non sia di

tipo meramente tecnologico, ma anche attenta alle esigenze e dinamiche degli utenti: una professionalità oggi molto richiesta, per

le ragioni di cui al punto 3. Ma la rete civica offre qualcosa non solo agli studenti, ma anche all’Università in quanto tale: le dà in-

fatti visibilità e radicamento nella comunità locale. Per questi due fattori combinati, colleghi che nell’ultimo anno sono “migrati”

dal DSI verso altre Università della Lombardia di recente costituzione hanno deciso (o stanno valutando) di attivare una rete civica.

17 Che questa sia una reale ragione di possibile crisi delle reti civiche lo testimonia, forse meglio di tutto, la crisi della “mitica”

NPTN, la rete delle Free Nets statunitensi, molto legata alla crisi personale del suo leader Tom Grunder.

18 Tra questi ovviamente il rapporto con il Comune meriterebbe un’attenzione particolare per il ruolo centrale che il Comune, più degli

43•

Ad esempio, nel corso dell’ultimo anno, la collabora-

zione per RCM più stimolante è stata quella con la Pro-

vincia di Milano. Lo dimostrano due nuovi servizi. Da

qualche mese la Presidente della Provincia ha una sua

“linea diretta” con i cittadini19 che in parte smentisce l’af-

fermazione di Luisi che “i politici non partecipano”. È ab-

bastanza frequentata, ed è anche stata sede di vivaci dis-

cussioni riguardo a provvedimenti (sulla chiusura di un

Centro di accoglienza per gli immigrati) adottati dall’Am-

ministrazione Provinciale, che un gruppo di cittadini non

approvava. Anche intorno a tale vicenda è emerso con

evidenza che la partecipazione di un politico o ammini-

stratore pubblico ad un forum in rete non è banale, ha i

suoi tempi, deve essere voluta e resa possibile con una

serie di atti che la rendano reale e non velleitaria. Se vo-

gliamo che la rete avvicini amministrati e amministratori,

cittadini e politici, e divenga uno strumento di democra-

zia, la “rete” composta da chi la usa da tempo e ne ha

F i o r e l l a D e C i n d i o

altri Enti territoriali, ricopre, specie verso i cittadini. I rapporti ufficiali tra Comune di Milano e RCM furono avviati nel settembre 1995,

dopo che già da vari mesi le scuole civiche usavano RCM per il loro progetto “Civiche in rete”, quando l’allora Vice Sindaco Malagoli

volle stipulare una convenzione quadro con il DSI per sperimentare “le opportunità offerte dalle reti telematiche locali, nazionali ed in-

ternazionali”. Il rapporto è stato caratterizzato dal fatto del tutto anomalo che il Comune ha aperto il suo proprio sito web solo nel giu-

gno del 2000. Fino a quel momento RCM ha di fatto ricoperto un ruolo di supplenza (ad esempio, è stata RCM a curare il sito degli

Stati Generali organizzati dalla Giunta Albertini all’avvio del suo mandato) e di formazione di centinaia di dipendenti comunali che l’-

hanno usata (e la usano tuttora) come propria intranet. E quanto fatto in questi anni ha sicuramente influenzato lo stesso progetto del

sito del Comune (si può leggere quanto da me scritto a tale riguardo nel messaggio “www.comune.milano.it” reperibile all’URL:

www.retecivica.milano.it/EntieIstituzioni). A tutt’oggi è del tutto aperta la questione di quale sarà il futuro di questo rapporto.

19 La “linea diretta” non è nient’altro che un forum pubblico di discussione dedicato al dialogo tra i cittadini registrati a RCM e, in que-

sto caso, la Presidente Colli (ma ne esistono molti altri, direttamente accessibili dalla home page). Va notato che è molto diverso apri-

re una “linea diretta” o avere un indirizzo di email. Mandare una email privata è in fondo non molto diverso dal mandare una lettera

privata, o un fax. Il dialogo che la rete rende possibile è quello proprio dei gruppi di discussione: qui si crea quel “gioco a guadagno

condiviso”, quel senso di comunità (io dedico tempo per rispondere a te perché domani una tua domanda, o una tua risposta, può

essermi utile, ad esempio a conoscere e comprendere cosa pensano i cittadini) che oggi viene riconosciuto come il vero motore di

successo dei portali commerciali. Citando dalla relazione “Dalla New Economy alla New Society” di Edoardo Garrone, Presidente dei

Giovani Imprenditori ad un recente Convegno di Santa Margherita: questo è quell’immediate touch tra Pubblica Amministrazione e cit-

tadini che Garrone chiede a gran voce alla Pubblica Amministrazione italiana come vera prova della capacità di innovazione.

44•

grande dimestichezza deve - ad esempio - comprendere

che chi interviene con un ruolo istituzionale non può ri-

spondere all’istante e con la informalità che ha storica-

mente caratterizzato il linguaggio della rete, pur vigilan-

do affinché non si finisca con il creare un “burocratese

telematico” e non si ricada nei tempi brontosaurici tipici

della comunicazione con le Istituzioni.

Un altro esempio interessante rispetto alla innovazio-

ne possibile è dato da un servizio annunciato alla fine di

giugno da Provincia ed RCM: “@ppuntamenti metropoli-

tani” informa su quanto accade a Milano e nell’hinter-

land, via web e via wap20. L’aspetto rilevante ai fini del

nostro discorso è che la Provincia ha fatto propria la ca-

ratteristica di un precedente servizio di RCM e cioè la

possibilità che le segnalazioni di eventi possano perveni-

re anche da parte di cittadini, gruppi o associazioni. Il

che consentirebbe di essere informati non solo sui gran-

di appuntamenti ma anche sulle iniziative minori, ma

non per questo di minor valore o qualità, che inevitabil-

mente altri media finiscono per ignorare o quasi. Ciò

realizza l’idea che, grazie ad un uso appropriato della re-

te, chiunque può essere informato ma può anche infor-

mare.21

Tra tutte le collaborazioni tra RCM e Enti territoriali

una ha avuto un ruolo fondamentale per l’imprinting

che ha determinato. RCM infatti - come tutte le reti civi-

che lombarde - ha goduto di un vantaggio imprevisto e

straordinario che è stato l’avere avuto come primo rile-

vante referente istituzionale la Direzione Cultura della

Regione Lombardia. Ciò ci ha consentito di non restare

inviluppati nei conflitti tra URP e CED, cui lo stesso Luisi

fa riferimento, rafforzando la dimensione culturale ed

educativa che già ci veniva dalla matrice universitaria.

Una dimensione - come vedremo - fondamentale per

progettare il futuro.

Ma altrettanto importante è stata l’eccezionalità della

persona che era a capo di quella Direzione. Marzio Tre-

maglia - con un’apertura che pochi politici possiedono -

sapeva cogliere il meglio delle esperienze e stimolarle

con nuove sollecitazioni culturali e operative. Fu Trema-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

20 www.retecivica.milano.it/appuntamenti; l’interrogazione via wap è stata resa possibile grazie alla collaborazione con un’azienda

privata - Iris technologies - con cui la Fondazione RCM ha siglato all’inizio del 2000 un accordo di collaborazione. La rete civica ha

così fatto da ponte tra pubblico e privato nella realizzazione di un servizio sulla frontiera dell’innovazione.

21 Bisogna per onestà rilevare che per ora l’opportunità non è stata colta quanto ci si poteva augurare. L’abitudine ad una fruizione

passiva dei media è dura da superare, e forse anche i cittadini, e non solo i politici, usano le opportunità di partecipazione che la

rete offre meno di quanto potrebbero.

45•

glia a coniugare l’idea del participatory design di matrice

informatica di cui sopra si è detto, con i principi base

della democrazia. E da questo merge deriva quello slo-

gan: “non sudditi, né utenti, né clienti, ma cittadini so-

vrani” che oggi caratterizza l’A.I.Re.C., l’Associazione In-

formatica e Reti Civiche, che Tremaglia volle costituire

già nel ‘96 per favorire lo sviluppo della telematica civi-

ca, vista, in anticipo sui tempi, come strumento per la

valorizzazione e l’innovazione delle comunità locali nel-

l’epoca della globalizzazione.22

3. Un futuro difficile, un futuro possibile

Queste considerazioni, se servono a confutare la

tesi che le reti civiche sono già morte, potrebbero non

dire molto circa il loro futuro. Lo scenario che Luisi de-

scrive quando parla dei portali è reale: fino a un anno

fa puntare sulla community, avere sulla propria home

page un forum di discussione era una anomalia da

maniaci della comunicazione via rete. Oggi non c’è si-

to commerciale che non provi a fidelizzare i propri

utenti/clienti/visitatori sviluppando una comunità di

“affezionati”. Il rischio dei pionieri è che quando le pa-

role d’ordine che hanno portato avanti, a lungo e da

soli, prendono piede e diventano quasi senso comune,

loro, stanchi, si siedono e perdono il treno23. Per non

incorrere in questa brutta fine, è necessario capire se

le reti civiche hanno ancora qualcosa da dare a chi è

già in rete, a chi ad essa si avvicina solo ora (e sono

ancora in tanti a doverlo fare) e più in generale se

possono o meno contribuire allo sviluppo della Socie-

tà dell’Informazione. La mia risposta a tutti e tre i que-

siti è affermativa, ma le motivazioni seguono un ordi-

ne diverso.

Come ricordato all’inizio, tra gli obiettivi iniziali delle

reti civiche che non a caso ereditavano la tradizione del-

le free nets, c’era quello di garantire a tutti l’accesso gra-

tuito alla rete. Oggi questo obiettivo è apparentemente

garantito dal mercato con le sue numerosissime propo-

ste di connettività Internet a nessun costo aggiuntivo ol-

tre il costo telefonico. Ma ciò non significa garantire l’ac-

cesso a tutti: la pura connettività non basta, chi non ha

F i o r e l l a D e C i n d i o

22 Lo slogan ricorda molto la nozione di utente-sovrano cui fa riferimento Luisi; ed un concetto analogo si trova in “Digital Demo-

cracy” all’interno dello speciale su “Government and The Internet” pubblicato da The Economist nel numero del 24 giugno 2000

(vol. 355, n. 8176).

23 Questo è esattamente quanto ho detto in apertura dell’Assemblea annuale di A.I.Re.C., Milano, 10 aprile 2000.

46•

dimestichezza con la rete deve imparare ad usare le ap-

plicazioni di rete - come un qualunque altro programma

- ma soprattutto deve comprendere in che cosa la rete

può essere utile, nella vita quotidiana, riguardo i propri

interessi e problemi. A rendere le cose ancor più com-

plesse, c’è il fatto che questo percorso formativo non

può essere compiuto una volta per tutte perché la rete,

le sue tecnologie, le sue possibilità ed i suoi problemi

evolvono rapidissimamente e c’è bisogno di un costante

aggiornamento e di consigli su cosa è necessario impa-

rare e cosa si può tralasciare. La mia convinzione, matu-

rata sulle esperienze di RCM e dintorni24, è che le reti ci-

viche oggi costituiscono una learning community per un

apprendimento a portata di tutti, gradevole, continuo,

assistito e a distanza, delle stesse tecnologie di rete. Per

non restare tagliati fuori.

Cosa possono offrire le reti civiche a chi è già in rete?

Quale ruolo possono giocare per lo sviluppo della Socie-

tà dell’Informazione? La risposta a queste due domande

a mio parere sta nel recuperare il doppio senso dell’ag-

gettivo free proprio delle prime Free Nets: gratuite, per

garantire l’accesso a tutti, ma anche libere, cioè indipen-

denti ed autonome. Siamo, per fortuna, ancora agli inizi

della commercializzazione di Internet: Internet offre (an-

cora) ad una piccola impresa di uno sperduto angolo del

pianeta la possibilità di farsi conoscere al lato opposto

del globo. Ma la massa di capitali, che i grandi gruppi in-

vestono nella creazione dei loro portali, e i processi di

concentrazione potrebbero vanificare quelle possibilità.

E se all’inizio la rete è stato un grande strumento di dis-

intermediazione, il suo crescere a dismisura ridà ruolo a

chi fa da filtro tra produttori e consumatori. In questo

scenario le reti civiche, grazie al loro legame con una

specifica comunità locale, geograficamente definita, pos-

sono da una parte costituire una forza centripeta capace

di attrarre laddove Internet tende - come una forza cen-

trifuga - a disperdere25. E oggi la capacità di attrarre i na-

vigatori è uno dei maggiori problemi di tutti i player del-

la rete. Ed inoltre, se riescono a conquistare l’autonomia

giuridica ed economica, le reti civiche possono proporsi

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

24 Abbiamo illustrato questa idea in: F. De Cindio, Community Networks: a learning community for networking and groupware, in

ACM SIGGROUP Bulletin. vol. 20, n.2, August 1999; G. Casapulla, F. De Cindio, O. Gentile, L. Ripamonti, A. Scavuzzo, L. Sonnante,

Discover the Treasure: the value of a Learning Community, International Symposium on “Shaping the Network Society. The future

of public sphere in cyberspace”, Seattle, Washington US, May 20-23, 2000.

25 Devo questa immagine a Daniele Fornaciari che sta sviluppando la sua tesi di laurea presso il Laboratorio di Informatica Civica.

47•

come garanti e difensori civici: per creare comunità in

grado non solo di segnalare, ma anche di certificare la

qualità di prodotti e servizi offerti in rete. Non contro il

mercato, o lo Stato, ma per verificarne le proposte con

un controllo diffuso che la rete rende possibile, ma che

richiede - da parte di tutti - un’inversione di tendenza,

un salto culturale: diffondere la consapevolezza che tutti

possono (e direi devono) partecipare a costruire la So-

cietà dell’Informazione.

Questo è stato lo spirito con cui alcuni ricercatori e

attivisti provenienti dalle esperienze di community net-

working di tutto il pianeta, convenuti nel maggio 2000 a

Seattle - posto evocativo per il mondo dell’informatica

poiché ne ospita la più grande multinazionale, ma anche

simbolico, dopo le proteste contro il WTO, per coloro

che credono nel diritto di tutti di essere protagonisti e

non sudditi - per il Simposio “Shaping the Network So-

ciety” hanno proposto di sottoscrivere un Documento26

che è solo un primo passo verso una dichiarazione che

ripensi l’idea di cittadinanza nella Società globale dell’In-

formazione e sancisca il diritto di tutti di esserci per con-

tribuire al suo equilibrato ed armonico sviluppo. Le reti

civiche “come le abbiamo sempre conosciute” sono sta-

te le esperienze che hanno permesso di giungere a que-

sto Documento, e sono il punto di partenza, il “braccio

operativo” per procedere in questa direzione.

F i o r e l l a D e C i n d i o

26 www.retecivica.milano.it/seattlestatement.

49•

G i u s e p p e P i p e r a t a

Verso l’amministrazione elettronica

di Giuseppe Piperata

È evidente che l’affermazione di Piero Luisi “la rete

civica è morta! Questo il nostro atto di accusa” rappre-

senta più una provocazione diretta a richiamare l’atten-

zione sul fenomeno delle reti civiche, che non un giudi-

zio definitivo su di una rilevante novità per le Ammini-

strazioni locali, che proprio in quest’ultimo periodo è

stata oggetto di interventi istituzionali rivolti al fine di ri-

lanciarne la vitalità.

Non v’è dubbio che l’analisi dell’esperienza delle

reti civiche in Italia suscita un legittimo sconforto, tale

da giustificare quantomeno il provocatorio j’accuse

lanciato da Luisi. Basta leggere gli ultimi dati disponi-

bili sul fenomeno per averne conferma1: su 1355 città

digitali presenti in internet solo 501 rappresentano siti

ufficiali di Amministrazioni Pubbliche locali. Inoltre, la

situazione appare ancor meno rosea se si pensa che la

maggior parte delle Amministrazioni locali sfrutta la

rete come “vetrina” per la promozione turistica del ter-

ritorio, mentre solo in pochi casi (Bologna, Modena,

Siena, ecc.) sono state sperimentate forme di sportello

virtuale o di iniziative di comunicazione interattiva tra i

cittadini ed il potere politico. A ciò, poi, si aggiunga

che anche a livello teorico sono numerose le contrad-

dizioni e le incertezze interpretative riguardanti le reti

civiche: come si possono definire tali reti? Sono servizi

di pubblica utilità o sperimentazioni facoltative realiz-

zabili da parte dei Comuni ad elevata vocazione tele-

matica? Quali funzioni attribuire ad esse? Da ciò di-

scende, quindi, che la rete civica è stata utilizzata dalle

Amministrazioni italiane al di fuori di una logica unita-

ria e coerente di sviluppo, con la conseguenza di ridur-

re notevolmente le potenzialità innovative di tale stru-

mento.

Ritengo, tuttavia, che l’esperienza della telematica lo-

cale non può essere considerata conclusa o, peggio an-

cora, archiviata come un caso di tentativo fallito di inno-

vazione amministrativa. In un momento come quello at-

tuale caratterizzato da profonde trasformazioni del siste-

ma amministrativo italiano, lo strumento della rete civica

può contribuire in maniera rilevante alla realizzazione

degli obiettivi posti dalle recenti riforme amministrative.

Per far ciò, però, appare necessario che tutti i livelli isti-

1 v. RUR – Censis – Assinform, Le città digitali in Italia – Rapporto 1999, in www.rur.it.

50•

tuzionali di governo, ciascuno per i profili di propria

competenza, adottino strategie di intervento con lo sco-

po di rilanciare il fenomeno delle reti civiche in un con-

testo coerente di sviluppo omogeneo.

In tale prospettiva, un giudizio positivo merita la pre-

visione contenuta nella recente legge 7 giugno 2000,

n.150 (“Disciplina delle attività di informazione e di co-

municazione delle Pubbliche Amministrazioni”) che affi-

da agli Urp compiti promozionali per l’adozione di siste-

mi di interconnessione telematica e di coordinamento

delle reti civiche (art. 8, comma 2, lettera c).

In primo luogo, appare coerente con le riforme am-

ministrative degli anni ’90 la scelta legislativa di affidare

all’Urp un ruolo di stimolo nello sviluppo delle reti civi-

che e dei sistemi di interconnessione telematica. È vero,

come sostiene Piero Luisi, che gli Urp non sono operativi

in tutte le amministrazioni italiane e molto spesso ope-

rano nel settore della telematica locale in concorrenza

con altri organi senza una esatta definizione delle com-

petenze. Tuttavia, penso che proprio la ricordata scelta

normativa possa trasformarsi in una valida occasione per

realizzare la completa operatività degli Urp e l’esatta de-

terminazione dei ruoli e delle competenze in materia

(ad esempio tra Urp, da un lato, e sportelli per il cittadi-

no, sportelli unici della p.a., sportelli polifunzionali, spor-

telli per le imprese, dall’altro). A tal fine, infatti, l’art. 8,

comma 2 della citata legge obbliga le Amministrazioni

Pubbliche destinatarie a ridefinire, mediante un proprio

regolamento, i compiti spettanti in materia ad altri orga-

ni ed affida agli Urp solo funzioni promozionali e di co-

ordinamento dei sistemi telematici e delle reti civiche, in

modo da evitare sovrapposizioni gestionali o decisionali

tra più soggetti competenti.

In secondo luogo, la legge n.150/2000 appare co-

erente anche con il modello di rete civica introdotto in

Italia. È noto, infatti, che tra il modello americano di rete

civica (c.d. botton – up, realizzato dal basso grazie alla

spontanea iniziativa di singoli ed associazioni legati da

comuni interessi) e quello europeo (c.d. top-down, impo-

sto dall’alto alle realtà locali attraverso un intervento nor-

mativo o amministrativo diretto a realizzare nuovi modelli

di comunicazione tra amministrazioni e cittadini), in Italia

si è scelto il secondo, in quanto maggiormente compati-

bile con i caratteri della nostra tradizione civica2. Pertanto,

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

2 v. De Rosa R., Le reti civiche tra amministrazione e comunità, in Amministrare, 1998, 1, p.111 e ss. Proprio per la differenza tra le

reti civiche sperimentate in Italia e quelle da anni esistenti in America, non penso che la provocazione lanciata da Schuler riferen-

dosi all’esperienza statunitense possa valere anche riguardo al nostro sistema di telematica locale.

51•

la citata legge persegue lo scopo di stimolare lo sviluppo

di iniziative telematiche in modo omogeneo per tutto il

territorio nazionale, al fine di sopperire alla mancanza di

autonome e spontanee iniziative in tal senso da parte dei

soggetti pubblici e, soprattutto, dei soggetti privati.

Nella stessa prospettiva di rilancio delle reti civiche si

iscrive anche il recente Piano di azione di e-government

varato dal governo italiano a fine giugno 2000. Partico-

larmente significativa è la presa d’atto da parte dell’ese-

cutivo che l’avviato processo di riforma della Pubblica

Amministrazione non può essere realizzato senza una

politica pubblica che valorizzi, sfruttandole al massimo,

“le opportunità offerte dalle tecnologie dell’informazione

e della comunicazione”. L’obiettivo perseguito è quello di

rendere più efficiente l’attività delle Amministrazioni

Pubbliche, grazie ad una strategia di intervento basata

su azioni di informatizzazione delle strutture amministra-

tive e di maggior raccordo informativo e comunicativo

tra le stesse ed i cittadini. Per realizzare ciò, tutte le Am-

ministrazioni Pubbliche dovranno dotarsi di un sistema

informativo progettato sia per l’automazione delle pro-

cedure e delle funzioni, sia per l’erogazione dei servizi

agli utenti ed alle altre Amministrazioni. Inoltre, il Piano

prevede la realizzazione di una connessione in rete di

tutti i sistemi informativi pubblici, in modo da realizzare

una integrazione dei servizi resi dalle diverse Ammini-

strazioni Pubbliche.

Se alle dichiarazioni di intenti ed ai programmi posti

dal Piano governativo seguiranno i fatti da parte dei sog-

getti pubblici chiamati ad attuarli, si potrà dar vita ad un

modello di “amministrazione elettronica”, parallela a

quella tradizionale, in grado di adeguare l’azione dei

pubblici poteri a quei livelli di efficienza e di qualità mol-

te volte promessi ma poche volte rispettati.

Nella strategia governativa appena delineata un

ruolo fondamentale spetta agli Enti locali ed alle loro

reti civiche. Ad essi, infatti, il Piano affida espressamen-

te il ruolo di attori principali, “in quanto destinati a rea-

lizzare gli sportelli di front – office per la erogazione dei

servizi integrati al cittadino”. In tale contesto, le reti civi-

che dovranno svolgere una duplice funzione a vantag-

gio dei propri utenti. Da un lato, dovranno operare co-

me portali d’accesso a tutti i servizi erogati dalle Pub-

bliche Amministrazioni connesse in rete, e non solo di

quelli erogati dalla Amministrazione titolare del sito.

Dall’altro, dovranno contribuire allo sviluppo della co-

munità territoriale di riferimento, favorendo la parteci-

pazione dei cittadini alla vita politica e amministrativa

dell’Ente e promuovendo il contesto sociale, economi-

co e produttivo del territorio.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, riten-

go che la rete civica non è morta. Le sue sorti adesso

dipendono dalla capacità degli Enti locali di tradurre in

fatti concreti le indicazioni ed i progetti formulati dal

G i u s e p p e P i p e r a t a

52•

legislatore e dal Governo italiano. Mi rendo conto che

ciò sarà molto difficile, considerato che non tutti gli En-

ti locali presentano una cultura organizzativa ed una

vocazione telematica adeguata agli obiettivi da rag-

giungere. Tuttavia, prima di certificare il “decesso” della

telematica locale aspettiamo di vedere se è prima pos-

sibile “rianimarla”.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

53•

S e r g i o D u r e t t i

La bussola dell’e-government in Italia

di Sergio Duretti

Perché a metà degli anni ’90 sono nate le reti civiche

in Italia? Credo che per dare una risposta di “senso at-

tuale e futuro” non si possa che partire dal tentare una

risposta a questa domanda. Senza provare a ricostruire

le ragioni di un caso e senza rintracciarne le relazioni

con i processi politici, economici e sociali del tempo,

qualsiasi “buon motivo” rischia di essere ancorato al

passato. Affrontare sinteticamente ciò che merita più di

un libro, comporta l’uso di affermazioni secche (di cui

mi scuso), ma la sfida va accettata.

Perché, dunque? Diversi fattori, diverse ragioni, ma

soprattutto l’interesse e l’ostinazione ad esplorare – e

quindi provare, sbagliare, ri-provare – l’uso sociale e cul-

turale (anche di servizio) di una tecnologia di “comuni-

tà” in una sorta di “zona franca” dal primato del busi-

ness. Ciò ha permesso agli attori di questa fase di accet-

tare consapevolmente e criticamente che sotto la nozio-

ne di rete civica si raccogliessero le più diverse esperien-

ze: dal sistema telematico pubblico alla comunità orga-

nizzata di cives telematici, dalle esperienze di e-demo-

cracy ai progetti di comunità organizzata della Pubblica

Amministrazione.

Una forte affermazione di protagonismo locale, in

una logica di cooperazione-competizione, in anni in cui

temi quali semplificazione, sburocratizzazione, federali-

smo, autonomia della società civile sono quotidiani.

Senza indulgere in affrettate e banali considerazioni poli-

tico-sociali, il filo che unisce molte delle esperienze nate

e cresciute ha una relazione con quelle parole e un ten-

tativo vero di cambiamento del nostro Paese.

E ora? Ora vedo due funzioni chiare che l’insieme di

queste esperienze può utilmente mettere a disposizione

in questa fase qualificando un proprio ruolo.

Il Digital Divide

Dai vertici G8 ai Piani d’azione, dalle politiche di alfa-

betizzazione al gap di e-government esistente tra PA

sperata e PA reale: il Digital Divide, per usare un’espres-

sione europea, una società divisa tra Have e Have-nots,

è indicata come la sfida dei prossimi anni. L’esperienza

delle Reti civiche può fare moltissimo su questo terreno:

certo la funzione non è quella di insegnare a usare la

posta elettronica o la navigazione o magari a fare buone

pagine web (W3C approved). La funzione è quella di

portare e rinnovare il “senso” di una comunicazione che

necessita di codici – anche ma non solo di netiquette -

di relazione e che richiede la costruzione di una cultura

d’uso sociale della rete. Non si tratta di scrivere belle re-

54•

gole, ma di avviare un progetto condiviso di accompa-

gnamento e supporto a tutti coloro che per scelta o per

utilità decidono di “alfabetizzarsi” (termine orrendo).

Non è forse quella di imparare l’uso di nuovi linguaggi,

di organizzare diversamente i propri tempi, di consentire

di leggere-pensare-scrivere – di inter-agire - una delle

chiavi di maggior successo delle reti civiche?

Che cosa fa la PA?

Il secondo ruolo è quello di essere sempre più stru-

mento di verifica dei buoni propositi di una PA che si an-

nuncia sempre più on line, sempre più facile, sempre

più interconnessa. Chi raccoglie le segnalazione dei citta-

dini o degli stessi uffici della PA per ciò che, pur promes-

so, non c’è o non funziona? Chi verifica quanto sia ac-

cessibile, interagibile, trasparente una PA?

Per un e-government di qualità, reale, verificabile e

funzionante, non è necessario portare tutta la riflessione

e l’esperienza della stagione delle reti civiche?

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

55•

G e n n a r o Z e z z a

Reti civiche: da vetrine istituzionali astrumenti cooperativi?

di Gennaro Zezza

Il documento di Luisi contiene molti stimoli interes-

santi, ma non chiarendo qual e’ precisamente l’oggetto

della discussione - la “rete civica” - rischia di spostare il

discorso su un piano troppo generico.

L’esperienza italiana ha visto coesistere, e in alcuni

casi contrapporsi, due tipologie distinte di rappresenta-

zioni virtuali di territori urbani: (1) le interfacce degli Enti

locali su Internet, e (2) le comunità locali.

Mentre le esperienze del primo tipo sono ormai di-

verse centinaia, coprono la quasi totalità delle Province

ed una elevata percentuale dei Comuni, le esperienze

di community networks sono molto limitate, e riferibili

sostanzialmente alla Rete Civica di Milano e a Desenza-

no sul Garda (e alle esperienze che le hanno imitate) e,

con qualche distinguo, alla rete civica Iperbole di Bolo-

gna.

Credo sia opportuno quindi parlare distintamente

delle due tipologie di rete civica, per tentare di preveder-

ne l’evoluzione, lasciando alle conclusioni qualche consi-

derazione sulle interazioni tra le due esperienze.

1. Dai siti Internet dei Comuni ai “portali

territoriali”?

La quasi totalità delle iniziative denominate reti civi-

che in Italia è costituita da un servizio informativo per il

pubblico predisposto da un Comune sulla rete Internet,

molto spesso senza fornire la possibilità al visitatore del

sito di inviare a sua volta richieste, informazioni, ecc.

Questi servizi minimali costituiscono comunque un

progresso nelle forme di interazione tra Enti locali e cit-

tadini, quando sono utilizzati anche come strumento di

trasparenza amministrativa tramite la pubblicazione, ad

esempio, dei bandi di gara e delle delibere. Iniziative di

questo tipo spesso duplicano su Internet informazioni

già disponibili per altri canali, anche se con costi di ac-

cesso superiori per l’utente. Per l’Ente locale iniziative

del genere hanno costi irrisori e, almeno fino ad oggi,

garantiscono un ritorno di immagine per l’Amministra-

zione.

Diverso è il caso in cui si utilizza la telematica anche

come canale di ascolto del cittadino: in questi casi è già

necessario un intervento organizzativo interno per gesti-

re il front-office telematico. Una riorganizzazione ancora

più impegnativa è necessaria quando si voglia utilizzare

la telematica come strumento di lavoro “vero”, ossia: co-

me strumento di comunicazione interna ufficiale; come

spazio organizzativo dell’Ente locale; come canale per

fornire direttamente servizi all’esterno.

56•

Le esperienze che si muovono in questa direzione

sono ancora molto esigue e “pionieristiche”. E tuttavia i

recenti interventi legislativi in materia, in particolare la

possibilità di utilizzare la firma elettronica e, per ultimo,

il piano per l’e-government, stabiliscono che tutti gli Enti

locali, in tempi prefissati, debbano adeguarsi a queste

modalità di efficienza e trasparenza nella produzione dei

servizi. Per l’Ente locale non si tratta più di decidere se e

come predisporre una propria interfaccia su Internet, ma

di predisporre una propria strategia per realizzare gli

obiettivi definiti dal Governo: il buon funzionamento del

piano per l’e-government richiede infatti che tutte le Am-

ministrazioni abbiano implementato un insieme mini-

male di servizi, se non altro - ad esempio - per consenti-

re l’accesso da parte di un Ente ai dati identificativi di un

cittadino.

Già da anni ripetiamo che un percorso del genere,

che appare inevitabile se si vuol migliorare la qualità del-

la vita per i cittadini e facilitare la localizzazione delle im-

prese sul territorio, implica una vera e propria rivoluzio-

ne nelle Amministrazioni locali. Non tanto per gli aspetti

tecnologici, pur importanti, ma che troveranno o hanno

già trovato adeguate soluzioni tecniche, quanto per la ri-

organizzazione e la motivazione del personale. L’atten-

zione su questo fronte esiste, come testimonia il cospi-

cuo stanziamento di fondi per la formazione del perso-

nale degli Enti locali previsto nel piano per l’e-govern-

ment, ma ancora oggi l’informatizzazione di alcuni servi-

zi rischia di creare congestioni in altri reparti della Pub-

blica Amministrazione. Si pensi al controllo automatico

delle dichiarazioni dei redditi per i 1999, che ha accele-

rato enormemente le notifiche di errori di compilazione,

e può però causare la congestione degli sportelli al pub-

blico dove i cittadini ancora devono recarsi di persona

per discutere delle contestazioni segnalate.

È quindi necessario che l’utilizzo della telematica nei

diversi livelli della PA prosegua in modo sistematico e

coordinato, anche con l’introduzione di servizi di infor-

mazione e supporto per gli Enti locali che siano meno

preparati o più restii ad introdurre le innovazioni.

La necessità dello sviluppo di una rete coordinata ed

integrata degli Enti locali e centrali della PA sottolinea un

altro problema: quello del coordinamento tra le organiz-

zazioni locali. La legge, ad esempio, stabilisce che l’URP

deve “coordinare le reti civiche”. Ma di quale URP si sta

parlando?

Ad esempio, in una città di grandi dimensioni il Co-

mune, la Provincia, il Provveditorato, gli uffici sanitari e

gli ospedali, ecc., devono in qualche modo coordinarsi e

scambiarsi informazioni per poter produrre e fornire i lo-

ro servizi. Chi deve coordinare questo processo? In pas-

sato avevamo suggerito in varie occasioni che di questi

processi si occupasse la Provincia, ma le soluzioni non

sembrano univoche, e al momento tale ruolo sembra as-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

57•

sunto dall’Ente locale che gode di maggiore visibilità e

peso politico.

Uno stadio ulteriore di integrazione tra le istituzioni

del territorio riguarda la possibilità di far coesistere, in

unico servizio informativo, gli Enti locali, le associazioni

di categoria, le imprese, le associazioni di cittadini che

operano sul territorio.

Se vogliamo usare un termine un po’ abusato, po-

tremmo definire tale servizio come “portale territoriale”.

La creazione di “portali” dà luogo a numerosi problemi

organizzativi, che discendono in un’ultima analisi dalla

necessità di individuare un soggetto coordinatore. Nella

maggior parte dei casi, infatti, un Ente locale che predi-

spone un sito Internet guarda solo al rapporto tra la sua

struttura interna e i suoi utenti diretti. Creare e manute-

nere un portale è un’operazione molto più complessa e

costosa, che ha ricadute dirette ed indirette sull’econo-

mia e sulla vivibilità del territorio che però non benefi-

ciano direttamente chi promuove l’iniziativa.

A nostro avviso i “portali territoriali”, in particolare

quelli che fanno riferimento all’area metropolitana o al

territorio della Provincia, sono la naturale evoluzione dei

servizi oggi forniti dai singoli Enti locali.

Potrebbero essere realizzati da apposite società miste

pubblico-privato, in cui da un lato vengano garantiti gli

obiettivi democratici di tali iniziative (accesso all’infor-

mazione, accesso universale a determinate categorie di

servizi) e dall’altro venga soddisfatta l’esigenza di auto-

sostenibilità finanziaria dell’iniziativa stessa.

In conclusione, il piano per l’e-government sembra

proiettare la nostra Pubblica Amministrazione verso un

roseo futuro, se davvero la burocrazia locale - insieme a

quella centrale - inizierà ad agire considerando il cittadi-

no come “sovrano”. Purtroppo, la telematica e le reti civi-

che sono solo un aspetto di questo cambio di paradig-

ma. Un territorio può essere vivibile anche senza la tele-

matica, e la telematica può accentuare le differenze di

status e creare nuova emarginazione sociale: il successo

o il fallimento del piano per l’e-government non potrà

quindi essere misurato in termini puramente tecnici o

tecnologici, ma in base al progresso complessivo dei

rapporti sociali e dello sviluppo economico dei territori.

2. Rete, democrazia, politica: le “reti civiche

comunitarie”.

Le reti civiche comunitarie, o “reti civiche” in senso

proprio, sono esperienze ancora piuttosto recenti. È

quindi complesso trarne delle generalizzazioni, anche

perché il loro sviluppo è correlato ad un più generale

processo di distacco dei cittadini dalla vita politica, come

è misurato ad esempio dal tasso di astensionismo nelle

varie tornate elettorali.

Dal punto di vista teorico, la rete civica ha alcuni

G e n n a r o Z e z z a

58•

elementi intrinsecamente contraddittori: possiamo

considerare Internet come un nuovo territorio deterri-

torializzato, e la community network come il tentativo

di ricreare nel cyberspazio una contiguità territoriale

tra soggetti che altrimenti non avrebbe motivo di esi-

stere.

Nel momento in cui ci si collega ad Internet si può

entrare a far parte, con identità vere o posticce, dei

più diversi tipi di comunità, sia internazionali che na-

zionali, dove il concetto di “nazione” è legato solo alla

lingua adoperata per comunicare. Perché dunque

creare comunità nel virtuale che fanno riferimento al

territorio “reale”? Le risposte mi sembra possano rica-

dere in due tipologie: (a) la rete civica è occasione di

intrecciare rapporti sociali in situazioni dove mancano,

nel “reale”, le possibilità di incontro; (b) la rete civica è

uno strumento di informazione, discussione, proposta

per problemi che riguardano il territorio.

Lo sviluppo della socialità tramite una community

locale non credo sia in crisi, e anzi penso che si diffon-

derà progressivamente. Tutti i maggiori portali italiani

sono oggi in competizione per creare delle communi-

ties, in gran parte a fini commerciali, e le communities

locali hanno probabilmente maggiore probabilità di

successo, in quanto i partecipanti hanno facilmente il

modo di incontrarsi anche dal vivo, e stabilire in tal

modo rapporti di conoscenza reciproca e di fiducia,

che sono poi il collante anche delle communities vir-

tuali. Da questo punto di vista non ritengo che la co-

munità virtuale sia alternativa ad altri spazi di socializ-

zazione: semmai li rafforza. Lo stesso sembra sia acca-

duto con l’introduzione dei sistemi di teleconferenza:

il numero dei convegni (e delle persone che si sposta-

no per convegni) è aumentato piuttosto che ridursi, e

la possibilità di assistere in remoto ad un convegno ne

ha semplicemente aumentato la platea.

La rete civica diviene quindi un potente strumento

di socializzazione, che facilita la creazione di rapporti

interpersonali e favorisce la coesione sociale.

Molto più complesso è il caso in cui la community

locale che si costituisce in rete ha tra i suoi obiettivi

quello di sviluppare forme di partecipazione attiva alla

vita politica e sociale del territorio.

È evidente che, se ci si pone un obiettivo del gene-

re, si ritiene che i tradizionali sistemi di rappresentan-

za (partiti, associazioni di categoria, ecc.) non agiscano

in modo appropriato.

La community, o i singoli individui, possono quindi

utilizzare Internet e la telematica come nuovo stru-

mento di proposta e di controllo verso gli Enti locali.

La rapidità della comunicazione telematica in questo

caso può risultare più impegnativa nei confronti del-

l’Ente locale, i cui tempi di risposta possono essere fa-

cilmente monitorati. Da questo punto di vista, comun-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

59•

que, Internet e la telematica non fanno che fornire un

nuovo strumento di comunicazione al cittadino, in ag-

giunta a quelli più tradizionali dello sportello, del tele-

fono, del fax, senza cambiare però l’aspetto qualitativo

dell’interazione tra i cittadini e i loro rappresentanti.

Esiste poi una visione dell’utilizzo di Internet, appa-

rentemente promettente: la possibilità di comunicare

in rete in modo non gerarchico, senza strutture prede-

finite, dà l’illusione che la rete, e la rete civica in parti-

colare, sia un territorio vergine dal punto di vista orga-

nizzativo, in cui nuove e migliori forme di democrazia

possano essere sperimentate ed applicate per miglio-

rare il benessere ed il coinvolgimento della collettività.

Un proseguimento estremo di questa linea di pen-

siero porta alla consultazione continua del parere dei

cittadini, alla esasperazione e formalizzazione del

“sondaggismo”, in cui la telematica è utilizzata come

strumento per rilevare di volta in volta le opinioni del-

la maggioranza su ogni decisione che riguarda la col-

lettività.

Più diffusa è l’opinione che le reti civiche possano

essere forme di discussione, progettazione e azione

politica tra i cittadini, e che queste creino spazi di de-

mocrazia che altrove sono stati chiusi o non operino in

modo soddisfacente.

Credo che questi processi siano di grande interes-

se, ma che vada sfatato il mito della intrinseca demo-

craticità di uno spazio virtuale di discussione, come

quello che si crea nella mailing list di una rete civica.

Chi ha partecipato a tali comunità sa bene, ad esem-

pio, che anche in comunità numericamente esigue la

discussione su un argomento può svilupparsi in modo

esteso, richiedendo ai partecipanti un tempo conside-

revole per seguirla, leggere e valutare ogni intervento,

rispondere in modo appropriato. Il tempo è la risorsa

scarsa che può generare casi di selezione avversa: chi

è attivamente impegnato nella professione, in attività

sociali e politiche di altro genere può non avere tem-

po da dedicare alla comunità virtuale, che è solo un

luogo della partecipazione, e non il luogo della vita

della comunità. La discussione nella rete civica (come

in molte altre comunità su Internet) in questi casi si

svuota di professionalità e tende ad essere monopoliz-

zata da un numero esiguo di persone con molto tem-

po a disposizione.

Tra l’altro, va verificato il reale bisogno dei cittadini

di utilizzare un nuovo strumento di partecipazione de-

mocratica. Lo sviluppo dell’economia moderna, conno-

tato in alcuni casi dalla esasperazione dell’individuali-

smo e dalla diffidenza verso le strutture organizzative

tradizionali, può implicare che l’attenzione verso la

partecipazione a forme di democrazia elettronica non

sia maggiore rispetto agli altri luoghi della politica.

In ultimo, accentuare il ruolo della rete civica come

G e n n a r o Z e z z a

60•

strumento di partecipazione alla vita pubblica rafforza

il problema - che esiste comunque - degli have-not,

ossia di quelle fasce sociali già emarginate dai proces-

si di comunicazione e partecipazione pubblica, che di

solito hanno un minor bagaglio, in termini culturali e

tecnologici, per usufruire delle opportunità date da

nuove forme di comunicazione.

In definitiva, il futuro delle nuove forme di partecipa-

zione democratica nelle local communities, o reti civiche

in senso proprio, mi sembra, per quanto interessante, ir-

to di difficoltà.

Più interessante, e meno esplorato, mi sembra l’uti-

lizzo di Internet come memoria, in questo caso come

memoria della comunità o del territorio. La telematica ci

consente di archiviare e strutturare le informazioni, in

modo da renderle facilmente accessibili a prescindere

dalla distanza e dai tempi di accesso. Un utilizzo appro-

priato di questa potenzialità consentirebbe davvero un

aumento nel grado di partecipazione consapevole dei

cittadini.

3. Siti istituzionali e community network.

Ci sembra di aver mostrato come le due esperienze

di rete civica che coesistono oggi in Italia siano tra loro,

almeno in parte, in conflitto. Presupposto della rete civi-

ca comunitaria - che voglia agire in senso anche politico

- è un certo grado di sfiducia nelle istituzioni tradizionali.

Inoltre, gli Enti locali nella maggior parte dei casi ritengo-

no che i contenuti dei loro siti Internet debbano essere

prodotti esclusivamente all’interno dell’Amministrazione,

ed hanno difficoltà organizzative nel gestire spazi di

community che potrebbero sfuggire al controllo oppure

richiederebbero notevoli risorse per essere monitorati.

Una soluzione possibile è che questi spazi di com-

munity vengano sviluppati, laddove se ne avverta l’esi-

genza, dai portali di area di cui si è già detto, gestiti in

modo da garantire gli obiettivi di accesso ai nuovi servizi

universali che stanno sviluppandosi con la telematica, e

parallelamente promuovere il territorio e garantire, con

la compresenza di iniziative profit, la sostenibilità finan-

ziaria dell’iniziativa nel suo complesso.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

61•

L e d a G u i d i

Il valore delle reti civiche e dellecomunità virtuali locali

di Leda Guidi

Volutamente preferisco tralasciare pareri sull’analisi

che apre questo dibattito sullo stato di salute delle reti

civiche. Così come richiesto assumo l’artificio retorico

che evidenzia come si possano rilevare chiari segnali cli-

nici per considerarle almeno in prognosi riservata.

È forte la tentazione di ripercorrere criticamente le ra-

gioni che conducono, passo dopo passo, con l’inesorabi-

lità di un sillogismo aristotelico, a tale pessimistica/lucida

considerazione avanzata da chi ha stimolato questa dis-

cussione, ed eventualmente entrare nel merito delle ar-

gomentazioni addotte a sostegno della “pars destruens”,

ma la scelta di non farlo lo è altrettanto, motivata com’è

da una diffusa e palpabile sensazione di disagio (forse

emotivo, forse snobistico per chi è stato ed è “in medias

res”) alla lettura del documento in oggetto, sensazione

che consiglia una fredda sospensione del giudizio da par-

te di protagonisti, per definizione troppo coinvolti nella

materia trattata. Quello che l’estensore infatti rileva da

entomologo come problemi, criticità, nodi irrisolti, diffi-

coltà, occasioni mancate, ecc., sono - per chi scrive – solo

parte della quotidiana gestione, della progettazione e

dello sviluppo di un servizio (che proprio solo tale non è)

per il quale non esistono riferimenti consolidati e mutua-

bili. È naturale che le cose presentino altre facce se vissu-

te e guardate da un punto di osservazione diverso. L’arti-

colo di apertura tenta l’audace e provocatoria impresa in-

tellettuale di esaminare un fenomeno, che definire com-

plesso è riduttivo, fenomeno al quale in questi anni (anni

solari o anni web?) è stata tributata, in generale, un’at-

tenzione più convegnistico/giornalistica che militante.

Per circoscrivere il campo su cui concentrare gli sforzi

diagnostici si tenta giustamente ora di attribuire uno

“statuto” a oggetti diversi alla cui concettualizzazione e

forse utile definizione semantica pochi – in Italia, ma an-

che in Europa - si sono applicati dal ’94 in poi. Tra reti ci-

viche e città digitali, siti web, servizi telematici pubblici,

comuni virtuali e quant’altro abbiamo assistito e parteci-

pato, per l’ansia di nominare entità sfuggenti e così go-

vernarle, ad una sorta di babele definitoria che, in molti

casi – non in tutti – prescindeva da una comprensione

profonda di quanto si stava nominando, cioè una protei-

forme miriade di esperienze diverse probabilmente, e,

secondo il costume italiano, tante quante le Amministra-

zioni o comunità che le andavano esprimendo. Non cre-

do che questa differenziazione debba essere letta neces-

sariamente secondo una chiave di maggiore o minore

distanza da un “modello ideale” di telematica civica, ma

debba essere accettata come dato se si vuole almeno

tentare di capire che cosa è vivo e che cosa è morto, che

62•

cosa non è mai nato o ha emesso solo i primi vagiti, se

riferito agli elementi fondanti una rete civica in senso

“schuleriano”; probabilmente ciò di cui stiamo parlando

- comprendendo forse ancora cose diverse sotto la stes-

sa etichetta - semplicemente sta evolvendo verso “altro”,

non ancora noto, meticciandosi e allontanandosi dal di-

segno iniziale, di frequente originato da una scommessa

di innovazione e non da un progetto predefinito e preci-

so.

Interattività, senso comunitario, trasparenza, condivi-

sione, partecipazione alla produzione e alla progettazio-

ne dei contenuti, accesso facile e gratuito per tutti, dirit-

to all’informazione, feed-back di politici e amministratori,

e così via. Le caratteristiche e i principi che danno forma

a una rete civica – nell’accezione più alta e completa del

termine, un felice mix di bottom up e di top down – so-

no state, credo, in quasi tutti i casi concreti, di volta in

volta un po’ disattesi, un po’ enfatizzati, a volte – spesso

- realizzati: come? Nel solo modo possibile nei difficili

contesti dati, quello della sperimentazione, del tentativo,

della scommessa, dell’atto volontaristico di Amministra-

zioni decise a misurarsi con un mondo nuovo e immate-

riale nel quale sentivano di dover conquistare un ruolo

non secondario a quello del mercato nell’utilizzo delle

tecnologie di rete. Penso che questo sforzo da parte di

molti, che si è espresso secondo diversi gradi di rigore fi-

losofico, impegno e successo, sia di per sé, al di là delle

cogenze normative, per natura macchine celibi se non

accompagnate da “vision” strategica, una conquista per

le istituzioni pubbliche italiane.

Questa sorta di quinquennale apprendistato naziona-

le su e con Internet ha prodotto servizi (forse non sem-

pre reti civiche) per i quali decretarne la morte con l’ac-

cusa di inadeguatezza alle attese pare un po’ draconia-

no. Magari però è un salutare shock! Penso però che per

la mia funzione la “pars construens” sia quella più con-

seguente. Quindi, a questo approccio mi atterrò. Lo svi-

luppo in senso numerico delle reti civiche (assumiamo

questa definizione nella sua accezione più estensiva) so-

stenute da Pubbliche Amministrazioni, tipicamente dai

Comuni come istituzioni territoriali più vicine alle esigen-

ze, anche inespresse, di informazione, comunicazione e

servizi, obbliga certamente ad una riflessione sul futuro

di queste – secondo la mia opinione - preziose espe-

rienze, nate come “di frontiera” e divenute in alcuni casi

le avanguardie locali dell’apertura al globale. Come da

autorevoli fonti sottolineato, le reti civiche più impegna-

te in termini di interattività, dialogo con la collettività,

servizi disegnati per diversi target, sperimentazioni come

firma digitale, democrazia elettronica - per citare solo al-

cune delle prestazioni offerte - sono una risorsa non so-

lo per l’Ente che le ha promosse, scommettendo sull’in-

novazione tecnologica e organizzativa, investendo intelli-

genze e competenze, finanziando infrastrutture e conte-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

63•

nuti, ma per la comunità intera, per la “società dell’ in-

formazione e della conoscenza” locale.

Le reti civiche quindi – dopo l’esplosione di Internet

e della nuova economia virtuale – acquistano ancora più

valore per la comunità, in un quadro complessivo dove il

mercato “puro” tende ad occupare tutti gli spazi, mentre

una pluralità di voci e contributi deve essere presente e

attiva nell’agorà elettronica, con altri soggetti pubblici,

privati e del terzo settore uniti nella finalità comune di

crescere e competere nell’arena mondiale, senza perde-

re le proprie radici/vocazioni locali. La “cittadinanza elet-

tronica”, parallela alla cittadinanza tout-court, è una con-

dizione diversa e molto più ricca di quella prevista dai

portali tanto di moda (i quali, se mai, sono uno stru-

mento operativo efficace ma non autoconcluso), che an-

drebbe garantita e presidiata dal settore pubblico, il qua-

le dovrebbe basare il proprio “business model” – pur ne-

cessario per la sostenibilità finanziaria della rete civica -

su altri principi e criteri di ritorno degli investimenti (ad

esempio pubblicità sul web, non intrusiva, servizi tele-

matici “a valore aggiunto”, sponsorship, ecc.).

Le reti civiche, non sono servizi commerciali ma servi-

zi – appunto - civici, quindi gli utenti oltre ad avere

quanto sopra espresso – la cittadinanza telematica gra-

tuita - sono e devono sentirsi al riparo sul fronte della

tutela dei dati personali, della sicurezza delle transazioni,

della qualità dei contenuti/servizi offerti e dell’esercizio

di altre e multiformi attività extramercantili. È ovvio d’al-

tra parte che le comunità virtuali, come quelle che fre-

quentano e incrementano i siti delle reti civiche, si pre-

sentano come piattaforme ideali per la diffusione di in-

formazioni, servizi, prodotti, per la costruzione e il man-

tenimento di relazioni, elementi strutturali del concetto

di “servizio” anche nello spazio digitale. Essere cittadino

telematico – fare parte di una comunità telematica orga-

nizzata, regolata e aperta – comprende anche l’essere

consumatore/cliente/utente, ma ha a che fare soprattut-

to con il principio di sovranità e di diritto ai servizi pub-

blici in senso lato, anche digitali, più che con il solo ac-

cesso a Internet ancorché gratuito.

Pensare alla rete tout-court solo come un immenso

spazio di e-commerce, e non come a una nuova “sfera

pubblica”, è riduttivo e fuorviante, e alla lunga contropro-

ducente anche sotto il profilo commerciale. Nello spazio

plurale delle reti civiche il concetto di vendita è compre-

so nel concetto più esteso di scambio di valore (non so-

lo quindi business); all’interno di questo spazio il primo

elemento necessario è la fiducia e il sentirsi a proprio

agio, che è molto più dell’essere percepiti solo come de-

stinatari di prodotti da acquistare. Questo è tanto più ve-

ro in Italia dove la virtualità – per cultura o per ritardo -

non genera immediata fiducia. Sviluppare la rete con

servizi sempre più personalizzati e sofisticati, ma nello

stesso tempo semplici e “friendly” per l’utente, e pro-

L e d a G u i d i

64•

muovere l’allargamento della comunità telematica me-

tropolitana è un modo moderno per contribuire allo svi-

luppo del territorio e del tessuto socio-economico di

fronte alle sfide e ai rischi della globalizzazione.

Tenendo presente queste considerazioni, che metto-

no al centro del processo i cittadini e le città come inter-

locutori in un dialogo costante con le Amministrazioni e

al loro interno, è opportuno e necessario esplorare a tut-

to campo – e con una forte consapevolezza del proprio

potere contrattuale - possibili modalità di gestione pub-

blico-privata, dove gli aspetti “new economy” vengono

presi nella giusta considerazione nel contesto dato, cioè

vengono declinati su un più ampio interesse pubblico.

Condurre in porto operazioni di questo tipo significa es-

sere capaci, dal punto di vista strategico, di trovare con-

vergenza di obiettivi civici e imprenditoriali da parte di

più soggetti, essere in grado di mobilitare risorse, coniu-

gando interessi, missioni e programmi diversi ma, nel

contempo, coerenti con un progetto di equa comunità

locale reticolare che lavori, produca, apprenda, interagi-

sca con il pubblico e con il privato usando pienamente

le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

L’attenzione a questi temi e la promozione di una

percezione diffusa a livello locale della loro importanza

prospettica sono le migliori condizioni per chiamare a

raccolta gli attori potenzialmente più sensibili su di un

progetto che prima che economico è “politico” e che

sposta in avanti, se praticato, un dibattito che deve prefi-

gurare nuove frontiere di innovazione e di invenzione

sociale/culturale. Dovrebbe essere una funzione vista

come prioritaria dal settore pubblico – tipicamente i Co-

muni, ma non solo, come livelli di governo vicini ai citta-

dini - valorizzare ed aumentare le opportunità civiche,

culturali, sociali ed economiche dell’area su cui operano,

anche attraverso le nuove tecnologie di informazione e

comunicazione, candidate a diventare uno dei principali

motori locali e globali di sviluppo. Il tema della costru-

zione a livello locale della “società dell’informazione” sta

assumendo infatti un rilievo essenziale per il manteni-

mento dell’alto profilo sociale e culturale delle città, in

un contesto in cui le aree urbane sono sempre più i no-

di emergenti di una rete mondiale, e in cui le dinamiche

di globalizzazione sono una sfida reale per la competiti-

vità e una occasione per i sistemi territoriali.

La Pubblica Amministrazione si può fare dunque pro-

motrice di progetti di largo respiro e di sicura innovativi-

tà – tecnologica, civica e strategica - per le città, evitando

di essere passivamente inglobata o assorbita dagli onni-

presenti portali che vedono tutta l’appetibilità delle risor-

se informative e di servizio delle istituzioni e delle comu-

nità virtuali già formate e fidelizzate. L’inarrestabile - e

potente per risorse impiegate - spinta del mercato alla

conquista dell’utente in quanto consumatore ha eviden-

ziato la necessità di non lasciare il terreno di questa

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

65•

nuova frontiera economica e culturale solo, o prevalen-

temente, alla riduzionistica arena delle transazioni com-

merciali, et similia. Lo “shopping mall”, come paradigma

del luogo chiuso e “privatizzato” di socializzazione e di

comunicazione per eccellenza, mediato e guidato dal

consumo a distanza, sta facendo infatti fortuna in rete,

affermandosi velocemente come il modo più facile per

ridefinire lo spazio pubblico, utilizzando al livello più

basso le potenzialità semantiche e di agente mutageno

dei comportamenti sociali e comunicativi proprie del ca-

nale interattivo: l’interazione nel caso dei “mall” si esau-

risce quindi nell’azione del comprare sollecitata dal gla-

mour mediatico di vetrine ammiccanti. Anche comprare

- si sa - è un modo di comunicare, ma è la pervasività e

la facilità del modello che allarma. Non intende esserci

nessun moralismo in queste considerazioni anche per-

ché le funzioni commerciali tele-svolte e le transazioni

economiche possono liberare il nostro tempo da fatico-

se incombenze pratiche. La preoccupazione è determi-

nata dal rischio di impoverimento nelle proposte indotte

da modelli forti che danno un’interpretazione monote-

matica “marketing oriented” delle presenze virtuali.

Lo spazio elettronico, invece, per la sua particolare na-

tura di essere in qualche modo “doppio” della multifor-

mità del mondo (in un grado infinitamente maggiore ri-

spetto ad altri media “uno a molti”) ha bisogno di inven-

zione, sperimentazione, pluralismo e di visioni progettuali

diversificate per poter allargare l’orizzonte psicologico, so-

ciale, antropologico, comunicativo e non essere di questo

la replica banale o il simulacro. Ha bisogno, per evolvere,

della partecipazione agli eventi e alla vita della rete di

una popolazione (locale, nazionale, globale) disposta e

abituata all’interattività, non quella fraintesa, superficiale

e in fondo unidirezionale, di marca plebiscitaria sollecita-

ta dai sondaggi a risposte chiuse, non quella fortemente

finalizzata del consumo, ma di quella che è ricerca di

nuove forme dell’apprendimento, della comunicazione e

della produzione. Per questa nuova dimensione spazio-

temporale servono codici, regole, e per entrare in essa

nuovi diritti di cittadinanza, culturale, economica e socia-

le, che è auspicabile vengano garantiti o comunque sup-

portati dal settore pubblico: la sfida ancora aperta è, dun-

que, non lasciare mercato e “corporate” quali soli attori,

quali soli - o prevalenti - parlanti, produttori di significati

nella gestione del mondo digitale, nell’uso delle sue po-

tenzialmente infinite opportunità.

Probabilmente le reti civiche, e comunque la presen-

za delle Pubbliche Amministrazioni sul web, devono tro-

vare un nuovo “posizionamento”, ma sicuramente hanno

ancora molto futuro davanti, se sono capaci di mutare,

senza perdere il proprio codice genetico, in un mondo

Internet molto più affollato e commercialmente aggres-

sivo rispetto alla fase difficile ma elitaria, e per questo in

qualche modo protetta, delle origini.

L e d a G u i d i

67•

A n d r e a P i t a s i

Quali funzioni strategiche per le nuovetecnologie multimediali applicate allacomunicazione pubblica?

di Andrea Pitasi

Quali funzioni dovrebbero svolgere le tecnologie

multimediali applicate alla comunicazione pubblica?

Questo interrogativo richiede una risposta articolata in

nove punti, almeno a mio parere.

Ma prima di affrontarli reputo utile qualche premessa

di respiro teorico più ampio.

M. Crozier ha sempre sostenuto che cambiare la so-

cietà è necessario, ma volerla cambiare per decreto è

semplicemente ridicolo (Crozier 1987), e io sottoscrivo il

suo punto di vista.

La prospettiva dalla quale sviluppo brevemente que-

ste mie annotazioni è quella dell’esperto di strategie co-

municative applicate ai cambiamenti socio - economico

- culturali in atto in questo scenario ancora troppo da se-

condo millennio seppur in vista del successivo.

Ritengo che i vantaggi strategici delle innovazioni or-

ganizzative facilitate dalle tecnologie telematiche e mul-

timediali possano essere valorizzati uscendo dalla retori-

ca demagogica della comunità in generale e di quella

virtuale in particolare.

Personalmente, diffido tantissimo di quelle teorie che

si aggrappano a dicotomie scivolose come quella astra-

zione/empatia (ad esempio, Maffesoli 1988). Tali ap-

procci teorici, in sostanza, affermano che alcune “politi-

che di intervento” rendono i rapporti umani e le dinami-

che sociali più formalizzate, astratte, fredde, impersonali

(il mondo dell’astrazione), mentre altre svilupperebbero

un senso di appartenenza ed identità comunitaria uma-

namente più ricca e capace di permettere ad Ego di

mettersi nei panni - per dirla in linguaggio non scientifi-

co - dell’Altro (il mondo dell’empatia).

A mio parere, nel mondo dell’empatia, il modo di ge-

stire politicamente le innovazioni tecnologiche multime-

diali ha risentito di una certa retorica tipica di chi ha già

un quadro teorico preconfezionato e lo applica a tutti i

cambiamenti in corso. Personalmente, reputo che le

nuove tecnologie multimediali applicate alla comunica-

zione pubblica debbano svolgere funzioni meno dema-

gogiche e retoriche dello sviluppo del senso comunita-

rio, virtuale o meno.

Tali funzioni a mio parere dovrebbero essere:

a) Abbattere i costi di transazione (economici, organiz-

zativi e contrattuali) dell’attività della Pubblica Ammi-

nistrazione con conseguente decremento della spesa

pubblica e della tassazione;

b) potenziare le strategie di gestione della conoscenza

funzionalmente differenziata tra capitale umano, ca-

pitale strutturale e capitale clienti (Stewart 1999);

68•

c) agevolare ciascun individuo nel proprio progetto evo-

lutivo semplificandogli le modalità di accesso alle ri-

sorse pubbliche, eliminando dunque i casi di accesso

negato, autoesclusione e ricorso improprio secondo

strategie comunicative acentriche, averticistiche e

consapevoli dell’intrinseca autoreferenzialità di ogni

essere umano (Pitasi 1999a);

d) ridurre il potere dei politici (Pitasi 1999b), l’ultima

forma di potere non specifica né evolutivamente stra-

tegica;

e) facilitare una cultura del potere come servizio e ma-

nutenzione (Hilmann 1996) finalizzata ad ottimizzare

la gestione dell’esistente rendendo minima l’entro-

pia;

f) favorire ogni chance di relativizzazione funzionale dei

poteri e delle conoscenze attraverso strategie di co-

municazione policentriche;

g) prendere atto delle dinamiche di scambio di reciproci

interessi che sta alla base di ogni dinamica sociale,

interessi che studiosi quali Homans e Blau hanno as-

sai ben concettualizzato (per una sintesi del loro

pensiero si rimanda a Pitasi 1999a);

h) agevolare la privatizzazione morale dei valori cultu-

rali contro ogni pretesa di universalismo etico da

diffondere nei mondi multimediali definendo solo

pochi, precisi e chiari limiti negativi alla libertà indi-

viduale;

i) last but not least, lo sviluppo di studi interdisciplina-

ri di tipo applicativo sulla proprietà intellettuale. Le

sciocchezze epocali tipo l’intelligenza collettiva, na-

scono da una “truffa” macrosociale, quella cioè di

un sapere condiviso, comunitario e dunque privo di

un proprietario. Tanto le aziende a caccia di banche

dati per direct marketing quanto le istituzioni politi-

che a caccia di risorse umane da sfruttare al minimo

costo giocano spesso sul mito dell’intelligenza col-

lettiva per spersonalizzare la fonte delle conoscenze

che hanno acquisito, onde non avere obblighi verso

di essa ma piuttosto facendola sentire in obbligo

verso l’istituzione o la comunità a cui si appartiene;

dopotutto il tragico significato della parola “comuni-

tà” appartiene alla radice latina cum munus (Espo-

sito 1998) e rimanda all’obbligo che gli individui, in

sé insignificanti, hanno verso la comunità di donare

se stessi in parte o interamente (fino al sacrificio

estremo e quasi sempre inutile dei morti in guerra),

dato che la comunità gli consente di esistere, ram-

mentandogli che senza superiori istanze (la ragion

di stato, la coscienza di classe, la nazione, l’identità

etnica, il dogma religioso, un progetto storico più o

meno millenarista, ecc.) la sua vita di individuo non

ha senso.

Gli scenari del terzo millennio ci parlano di individui

in ambienti soprattutto mentalmente costruiti, altamente

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

69•

personalizzati in microcosmi densi di rapporti sociali

molteplici e multiformi più flessibili, ludici, edonisti, rilas-

sati, altamente organizzati ed ottimizzati che non hanno

più bisogno di immaginari collettivi, ideologie, etiche, va-

lori più o meno universali né di tradizioni culturali vinco-

lanti. La politica, le istituzioni statali e la storia diventano

i relitti marci delle tempeste socio - culturali di fine XX

secolo e la multimedialità diviene uno strumento strate-

gico prioritario per offrire ai cittadini-clienti, cittadini-pa-

zienti, cittadini-consumatori quelle microsfere di senso

nelle quali ciascun individuo può costruire e ricostruire

se stesso - psicologicamente e “bionicamente” - fin

quando non si sentirà pienamente soddisfatto di essere

ciò che è diventato attraverso mille giochi psico - speri-

mentali.

Fintanto che le istituzioni non comprenderanno che è

nel loro interesse fare l’interesse dei cittadini delle mi-

crosfere, ogni progetto di riforma istituzionale sarà, a

mio parere, mera demagogia e retorica.

Il presente scritto è una variante del mio articolo dal

titolo “Microsfere” © Andrea Pitasi, giugno 2000, con-

cesso in forma non esclusiva ed a titolo gratuito alla

Fondazione Bassetti la quale, nel luglio 2000, lo ha pub-

blicato su www.fondazionebassetti.org.

Bibliografia

M. Crozier, Stato moderno, stato modesto, EL, Roma

1987

R. Esposito, Communitas, Einaudi, Torino 1998

J. Hillmann, Forme del potere, Garzanti, Milano 1996

M. Maffesoli, Il tempo delle tribù, Armando, Roma 1988

A. Pitasi, Il sesto stratagemma - Il management strategi-

co della comunicazione pubblica, Seam, Roma

1999a

A. Pitasi, A Facilitative Agenda Setting for the 21st Cen-

tury Scenarios, World Futures vol. 54/99, pp 337-353

T. Stewart, Il capitale intellettuale, Ponte alle Grazie, Mi-

lano 1999

A n d r e a P i t a s i

71•

P a o l o D e l l ’ A q u i l a

Reti civiche o community network?

di Paolo Dell’Aquila

L’esperienza italiana delle reti civiche sembra oggi in

crisi, come rilevato da molti autori. Le disposizioni legis-

lative e le esigenze degli sponsor privati spesso trasfor-

mano la telematica pubblica in una vetrina vuota e cao-

tica, dominata dal puro presenzialismo dei vari Enti. La

rete civica viene concepita come uno strumento interno

alla Pubblica Amministrazione, per comunicare con il cit-

tadino e fornirgli alcuni servizi essenziali, tutelando an-

che il diritto alla trasparenza dell’attività amministrativa.

Questa concezione rende Internet un medium debo-

le e tutto interno all’autoreferenzialità della Pubblica

Amministrazione, che cerca così altri canali per svolgere

la sua normale azione.

La fallacia che sta alla base di questo meccanismo

consiste nel sottovalutare la domanda di partecipazione

ai processi decisionali ed al management di vari servizi.

Si realizzano network molto capaci di diffondere l’opera-

to della Pubblica Amministrazione, ma non di sviluppare

un tessuto civico diffuso che possa stimolare lo sviluppo

di una “civil society” operante attraverso la rete (Donati

1997).

La base indispensabile per sviluppare una rete civica

viva ed operante è la capacità di incentivare lo sviluppo

di molte associazioni, comunità di cittadini che usino la

rete per consultarsi, sviluppare degli skill specifici ed

aprire aree di dibattito. I community network americani

sono esemplari per la promozione di organizzazioni che

sviluppano l’autoaggregazione e lo spirito di iniziativa.

Perché possano nascere delle agorà virtuali efficienti, oc-

corre creare delle associazioni virtuali in grado di dotarsi

di strutture democratiche e di risolvere problemi in mo-

do innovativo (Lévy 1996; Picci 1999). Le tribù telemati-

che che ho cercato di analizzare nel mio volume (Dell’A-

quila 1999) sono capaci, a certe condizioni, di seleziona-

re la complessità dell’ambiente virtuale, proponendo

modi nuovi di problem solving e di autogoverno.

Perché questo accada, è necessario però che i parte-

cipanti vivano sentimenti condivisi ed obbiettivi comuni.

Occorre sviluppare delle culture locali (e glo-cali), in gra-

do di imporsi come modelli da seguire in tempi e luoghi

differenti.

Da un lato le associazioni virtuali possono nascere

soltanto dalla sedimentazione di valori collettivi, da

esperienze empatiche che rendono i partecipanti vicini e

solidali fra loro, indipendentemente dalle distanze spa-

zio-temporali. Dall’altro lato le teleorganizzazioni posso-

no operare tramite progressive decisioni che, prese at-

traverso Internet, permettono di selezionare linee di con-

dotta e piani di intervento specifici, impostando campa-

gne di opinione, appelli, progetti, ecc. Per questo esse

72•

adottano spesso una struttura decentrata ed a piccole

unità, dotandosi di interfacce con professionisti ed asso-

ciazioni “reali” e svolgendo la funzione di ponti fra terri-

torio tradizionale e virtuale. Queste teleorganizzazioni

funzionano meglio quanto più alta è l’empatia, il grado

di partecipazione ed i valori condivisi, così come avviene

per il settore non profit che opera off-line (Ardigò 1988).

I community network possono favorire la nascita di

associazioni virtuali perché riuniscono cittadini che vi-

vono nel medesimo territorio, hanno una storia comu-

ne e problemi condivisi. Vi sono molte innervazioni e

moltissimi modi di affrontare queste esperienze. Le as-

sociazioni virtuali rimotivano ed incoraggiano cittadini

che si sentono sempre più estromessi dall’autoreferen-

zialità della vita politica. Nei paesi più avanzati questi

organismi sono divenuti il volano per la costruzione di

Neigh-Net, di reti di vicinato più piccole e circostanzia-

te rispetto alla comunità globale (Doheny-Farina 1996).

Il livello del vicinato è strategico per consolidare una

cultura comune, a partire da problemi ed istanze di ba-

se che possono trovare anche soluzioni autoorganizza-

te, grazie al potenziale innovativo di reti specializzate e

flessibili di cittadini. Il ritrovamento di una domus reale

e virtuale può rappresentare il punto di partenza per la

creazione di community network che sappiano integra-

re la storia, i valori e la comunicazione telematica. Per-

ché le reti civiche assomiglino maggiormente a repub-

bliche elettroniche (Grossman 1995) è pertanto indi-

spensabile la promozione del fattore umano, lo svilup-

po di associazioni e di comunità capaci di autogoverno

ed ispirate da un ritrovato interesse per la vita pubbli-

ca, sia virtuale che reale.

Bibliografia

A. Ardigó, Per una sociologia oltre il post-moderno, La-

terza, Roma-Bari 1988

P. Dell’Aquila, Tribù telematiche, Guaraldi, Rimini 1999

S. Doheny-Farina, The Wired Neighborhood, Yale Univer-

sity Press, New Haven and London 1996

P. Donati (a cura di), La società civile in Italia, Mondado-

ri, Milano 1997

L.K. Grossman, The Electronic Republic, Viking, New York

1995

P. Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996

L. Picci, La sfera telematica, Baskerville, Bologna 1999

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

73•

G i o r g i o P r i s t e r

Cenerentola e le reti civiche

di Giorgio Prister

In un recente articolo, Janet Caldow, responsabile

dello “Institute for Electronic Government” della IBM a

Washington, confrontava il futuro delle reti civiche con la

favola di Cenerentola1: come nella favola le reti civiche

potranno essere scelte dal Principe nel ballo a corte; la

magia cesserà a mezzanotte. Solo nelle favole i messi

del Principe riusciranno poi a ritrovare Cenerentola fa-

cendole calzare la scarpina di cristallo.

Questa similitudine fantasiosa ha un fondamento

molto serio. In Italia, come nel resto del mondo, le reti

civiche sono nate in forme varie; si sono moltiplicate ma

solo poche hanno raccolto finora successi e sono cre-

sciute diventando pienamente operative.

Internet e l’e-business si sono sviluppati in modo tu-

multuoso ed anche in Italia gli Internet Service Providers,

le “Net Generation Companies”, i “Venture Capitalists” si

sono scatenati a cercare di cogliere le opportunità della

new economy realizzando nuovi modelli di business ove

la Pubblica Amministrazione ed in particolare le reti civi-

che hanno un ruolo nullo o al meglio, in qualche raro

caso, marginale.

Eppure il modello delle reti civiche ha potenzialmen-

te le possibilità di combinare in modo equilibrato la glo-

balizzazione rappresentata dalla new economy e la di-

mensione cittadina che a sua volta si compone sia della

vita di tutti i giorni vissuta dai cittadini che lavorano, so-

cializzano, s’istruiscono, utilizzano servizi pubblici e pri-

vati, sia delle aziende in cui lavoriamo le quali per ope-

rare e prosperare devono appoggiarsi al tessuto socio

economico locale.

È noto che la globalizzazione con la new economy ha

creato inediti modelli economici portando tanta nuova

ricchezza e posti di lavoro ad alcuni paesi, tra i quali si

trovano in testa gli Stati Uniti, ed ai paesi del mondo Oc-

cidentale. Anche l’India e pochi altri paesi, così detti “in

via di sviluppo”, hanno saputo cogliere tempestivamente

questa opportunità ed hanno saputo utilizzare l’immen-

so valore umano e culturale che possiedono per svilup-

pare una nuova classe imprenditrice la quale, a sua vol-

ta, ha creato nuova ricchezza basandosi su giovani con

istruzione ad altissimo livello, infrastrutture tecnologiche

e costi bassi. Oramai lì si trovano fra le migliori Universi-

1 Cinderella Cities by Janet Caldow - IBM Institute for Electronic Government - Washington DC -

http://www.ieg.ibm.com/index_nc.html.

74•

tà, fra le più avanzate industrie del software e dei servizi

che operano a livello mondiale.

Ma la globalizzazione non è tutto. Le città vinceranno

la competizione con le altre città vicine e con quelle di

altri Paesi, se si svilupperanno e saranno luoghi dove la

gente vorrà stabilirsi. Le aziende ed i commerci prospe-

reranno se sapranno creare la giusta combinazione di un

ambiente sociale e culturale favorevole, di eccellenti ser-

vizi pubblici e privati, di una invitante disponibilità di in-

frastrutture efficienti, e soprattutto di giovani con elevata

istruzione adatta alle esigenze della domanda di lavoro.

Nessuna azienda della new economy vorrà operare

in città ove ci vogliono settimane o mesi per avere i per-

messi, ove scuole e università sono insufficienti, ove non

è immediato ottenere linee di comunicazione a larga

banda, ove i trasporti non funzionano.

Nessun giovane vorrà rimanere in città dove le op-

portunità di lavoro sono scarse.

Le reti civiche debbono diventare un valido canale di

erogazione di servizi pubblici integrati ed efficienti, deb-

bono essere un valido stimolo e supporto alla imprendi-

torialità privata, specialmente alle piccole e medie indu-

strie, debbono fornire infrastrutture tecnologiche ed ap-

plicative avanzate, debbono integrare i cittadini nella lo-

ro dimensione sociale e culturale; in sostanza debbono

diventare il centro di aggregazione e sviluppo della new

economy e stimolare un nuovo modello di sviluppo

equilibrato e basato sulla dimensione locale ma aperto

ed attivo in quella globale, la quale si potrebbe chiamare

con un brutto neologismo dimensione “glocale”.

Ma sorge una serie di dubbi. Esistono degli esempi

che dimostrano che non si tratti di un’utopia, è possibile

realizzare tutto ciò? Chi deve prendere l’iniziativa? Quali

sono le formule del successo? Se la new economy rap-

presenta la nuova rivoluzione economica, dopo la rivolu-

zione agricola e quella industriale, esiste anche un mo-

dello per la “new governance” e per la “new democracy”

come stanno promuovendo Bill Clinton, Tony Blair, Lio-

nel Jospin e lo stesso Governo Italiano? Le reti civiche

possono rappresentare il canale di integrazione, sviluppo

ed erogazione di questi nuovi modelli?

Reti civiche nel mondo

Un’indagine della RUR2 del 1999 individuava 1355

città digitali in Italia. Alcune di esse rappresentano del-

le realtà significative come Bologna con Iperbole, mol-

te sono ancora delle semplici presenze informative su

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

2 www.rur.it

75•

Internet. Nella maggior parte dei paesi sviluppati la

realtà é sostanzialmente la medesima e offre solo po-

chi progetti significativi i quali sono spesso ancora allo

stadio pilota con funzionalità settoriali ed incomplete.

Il motivo di fondo di queste realizzazioni parziali è che

pochissimi sono i progetti nati su una forte spinta poli-

tica di alto livello, la quale abbia costruito piani di svi-

luppo basati su una “vision” ed una concreta strategia

realizzativa finanziata e di largo respiro che preveda

uno sviluppo progressivo e costante nel tempo di nuo-

vi e validi servizi. Quasi sempre si è trattato di esperi-

menti pionieristici affidati a organizzazioni marginali

del Comune quali quelle dedicate alla “ricerca sociale

e tecnologica” o alle relazioni esterne con pochi colle-

gamenti con il resto della organizzazione. Spesso que-

sti esperimenti sono serviti per annunci pubblici con

presenza di stampa e televisione in prossimità di ele-

zioni, e poi dimenticati.

Fanno eccezione alcuni rari casi che vale la pena cita-

re perché dimostrano che progetti di largo respiro sono

realmente realizzabili.

La cittadina di Naestved in Danimarca ne é un primo

esempio. Non era una ricca città dei Paesi nordici, con

mezzi economici abbondanti, largo uso di tecnologie di-

gitali, una popolazione pienamente integrata nel mondo

di Internet. Anzi, era una realtà in decadenza, con un’in-

dustria siderurgica, della carta e del legno in grave decli-

no; un futuro grigio con carenza di posti di lavoro, una

forte previsione di esodo dei giovani verso realtà più

promettenti; in sostanza era destinata a diventare una

città di anziani.

Nel 1995, il Comune, nella persona del Sindaco e del

City Manager, lanciava il progetto “Naestved Info Society

2000” da realizzare in cinque anni per poi consegnare

nel nuovo millennio un progetto diventato pienamente

operativo.

Venne definita la “vision” del Comune circa il futuro

della città, venivano disegnati obiettivi e piani realizzativi,

venivano create delle partnerships con industrie private,

venivano reperiti fondi significativi, provenienti inizial-

mente dall’Unione Europea nel progetto Infoville, ma

ben presto erogati anche localmente con preponderante

contributo del Comune.

Nel Maggio del 2000, con giusto orgoglio, Naestved

ha pubblicato il documento “Status report Naestved In-

fo-Society 2000” che in 24 pagine riassume i risultati ot-

tenuti ed i piani per il futuro.

Circa i risultati ottenuti il rapporto indica:

– la realizzazione della prima rete ad alta velocità in

una città danese;

– la realizzazione di un portale Internet cittadino con

elevato contenuto di servizi a valore aggiunto;

– la realizzazione del Naestved TouristNet, il primo in

Danimarca;

G i o r g i o P r i s t e r

76•

– lo sviluppo della più completa Amministrazione loca-

le digitale della Danimarca con il ridisegno e l’inte-

grazione dei processi amministrativi. Ora tutte le pra-

tiche sono gestite con nuovi processi integrati ed in

modo digitale. Tutti i cittadini e le imprese possono

accedervi via Internet in modo interattivo con garan-

zia di sicurezza e riservatezza;

– la realizzazione ed il rilascio della firma digitale per

tutti;

– una significativa riduzione dei costi interni dell’Ammi-

nistrazione e quindi il rilascio di nuove risorse econo-

miche per lo sviluppo di Naestved Info-Society 2000.

– la “Tele Education” per corsi interattivi in rete per stu-

denti e lavoratori, in particolare quelli da riconvertire

a nuove professioni;

– l’apertura di 7 “Open Data Centres” ove i cittadini, in-

clusi anziani, disabili e socialmente esclusi, come i

disoccupati e gli economicamente disagiati, possono

essere addestrati ad usare in modo continuativo il PC

ed Internet gratuitamente,

– l’ampio uso dei PC nelle scuole, incluse quelle prima-

rie, raggiungendo il rapporto di un PC per ogni cin-

que studenti;

– la piena integrazione del settore privato con infra-

strutture di e-commerce per le piccole e medie im-

prese, l’integrazione delle banche locali, ecc.;

– una significativa riduzione della disoccupazione;

– un piano aggressivo di sviluppo di nuovi servizi per il

prossimo futuro.

Una realtà socio-economica molto simile, anche se

più caratteristica del sud dell’Europa, si é trovata ad af-

frontare la Regione della Comunidad Valenciana in

Spagna. Nato anch’esso 5 anni fa dallo stesso progetto

europeo Infoville ed anch’esso poi sviluppatosi con

fondi pubblici e privati locali, il progetto è stato realiz-

zato inizialmente nella cittadina di Villena per poi

estendersi prima in altre sette cittadine, ed ora all’inte-

ra Regione. Particolare enfasi è stata data alla educa-

zione di massa della popolazione con corsi pubblici e

seminari a ripetizione che hanno coinvolto cittadini ed

imprese.

I PC sono stati acquistati dalle famiglie con incentivi

ed oramai sono diffusi presso la maggioranza di esse

che li usano per ogni tipo di attività: quella scolastica,

quella universitaria, quella delle pratiche amministrative,

quella bancaria, quella di e-commerce ma anche quella

ludica e quella di semplice e-mail.

La comunicazione è stata uno degli strumenti di co-

involgimento con ampio e continuativo utilizzo di stam-

pa e televisione sia locale che nazionale.

Anche la Città-Stato di Singapore merita una menzio-

ne particolare come una delle realizzazioni più complete

al mondo, ma ci é più lontana per le differenze culturali

e socio economiche, e per le sue caratteristiche di esse-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

77•

re allo stesso tempo un Governo locale e nazionale.

Gli Stati Uniti sono i pionieri della new economy e

grazie a Bill Clinton e Al Gore hanno da tempo lanciato

un piano nazionale di “e-government”. Se però andia-

mo ad analizzare le reti civiche nelle città, troviamo

molte iniziative private indirizzate ai cittadini come frui-

tori della città ovvero intesi come consumatori obiettivi

della pubblicità e dello “e-commerce”, come acquirenti

di biglietti per spettacoli e musei, come turisti che cer-

cano alberghi, luoghi da visitare ed intrattenimenti, o

come uomini d’affari che necessitano di contatti con

aziende locali o luoghi di lavoro e di riunione. Tutti ser-

vizi molto validi ma con un chiaro indirizzo di business

privato e quindi con un contributo ancora limitato o

nullo da parte del settore pubblico. Molti degli aspetti

chiave che il Sindaco e gli eletti devono curare sono

quindi trascurati come per esempio quelli dello svilup-

po socio-economico, dell’integrazione di tutti gli strati

della popolazione, ecc.

Un nuovo fenomeno si sta presentando negli Stati

Uniti da poco più di un anno: si sono create dal nulla

delle “Netgeneration Companies” specializzate nel forni-

re servizi Internet alle Amministrazioni Locali. Compa-

gnie come ezgov3, govworks4, NIC5, collegate con politici

molto influenti come per esempio Mario Cuomo, stanno

crescendo con successo nel fornire servizi e-business in

accordo e per conto delle Amministrazioni locali. Le

transazioni riguardano servizi a pagamento quali per

esempio il rinnovo delle tasse annuali per le patenti o le

licenze professionali. Il modello di business é vario: in al-

cuni casi prevede una percentuale sugli incassi, in altri la

possibilità di rivendere informazioni a compagnie private

quali assicurazioni.

Pur dando una buona spinta ai servizi degli Enti loca-

li, questo nuovo modello di servizi incide poco sulla loro

efficienza complessiva, in quanto si tratta di servizi Inter-

net di solito non integrati con i sistemi informativi pub-

blici e che quindi non incidono sui processi interni e sul-

la loro efficienza.

Anche in Italia si sono avuti recentemente annunci di

nuove società che intendono operare con modelli di bu-

siness simili.

G i o r g i o P r i s t e r

3 http://www.ezgov.com/

4 http://www.govworks.com/

5 http://www.NIC.com/

78•

Maneggiare con cura

Il quadro di sviluppo che si è disegnato soprattutto

nel corso degli ultimi cinque anni ha insegnato molto

circa le chiavi di successo e gli insuccessi.

Cerchiamo di riassumere gli ingredienti di successo

di una rete civica, essi sono:

– un Sindaco ed un City Manager che siano gli ideatori,

i leader ed i motori della rete civica come strumento

di sviluppo socio-economico della città e di erogazio-

ne dei servizi della Pubblica Amministrazione. Che ne

facciano oggetto di programma del Comune e che le-

ghino pubblicamente il loro nome al successo, o al-

l’insuccesso, del progetto;

– definire una chiara “vision” ed una strategia che iden-

tifichi i punti qualificanti per il futuro della città e che

illustri come la rete civica sia uno degli strumenti

chiave per consentirne l’attuazione;

– definire un piano di attuazione che sia di costante e

crescente impatto sul tessuto cittadino e che sia però

realistico, pragmatico, basato su risorse adeguate e

disponibili ben definite, sia umane, che economiche,

che tecnologiche. Iniziare semplicemente, ma arric-

chire costantemente la rete civica con nuovi servizi

dall’elevato valore aggiunto;

– educare con un piano diffuso e costante di addestra-

mento la cittadinanza e le imprese all’uso di Internet

e della rete civica con l’obiettivo di farla partecipare

attivamente alla vita socio-economica e di farla di-

ventare la protagonista nella new economy;

– coinvolgere quanto più possibile tutti gli strati della

popolazione, in particolare le famiglie, gli studenti, i

disoccupati, i meno abbienti, i disabili, ecc.;

– comunicare con ampio utilizzo di eventi pubblici,

stampa e televisione, soprattutto locali, i piani di svi-

luppo ed i progressi della rete civica;

– misurare l’impatto della rete civica, il valore dei servi-

zi erogati, il grado di utilizzo e la soddisfazione dei

cittadini e delle imprese;

– modificare o ridefinire radicalmente il piano di attua-

zione in funzione dei risultati ottenuti, di eventuali in-

successi e di nuove priorità che inevitabilmente pos-

sano presentarsi nel tempo.

Le esperienze di reti civiche attuate in Italia e nel

mondo hanno permesso di individuare le macro-aree

che hanno dimostrato un maggior impatto:

– lo Sportello Unico della Pubblica Amministrazione;

– le comunità virtuali e la democrazia digitale;

– la formazione permanente;

– l’economia, la piccola e media industria, il commer-

cio, il lavoro;

– il turismo, la cultura, gli spettacoli ed i servizi infor-

mativi della città.

Nel seguito tratteremo alcune di queste macro-aree

per indicarne le caratteristiche qualificanti e le prospettive.

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

79•

Lo Sportello Unico della Pubblica Amministrazione

Il quadro normativo in Italia è completo da tempo e

rimane per ora uno dei più avanzati al mondo. Da tem-

po è in vigore la legge sulla trasparenza. Sono stati isti-

tuiti gli sportelli URP per i cittadini e gli sportelli unificati

per le imprese. La firma digitale è operativa e numerose

società sono già abilitate a rilasciarla. Il Governo ha pub-

blicato il piano per lo “e-government” con stanziamenti

significativi pari a 1.335 miliardi di investimenti in due

anni. Fra le voci di spesa previste spiccano gli Enti locali

con 580 miliardi.

All’estero pochi paesi sono in questa situazione posi-

tiva: solo in questi giorni per esempio il Governo statuni-

tense ha introdotto ufficialmente la firma digitale e dal

1° Ottobre 2000 entrerà in vigore lo “Electronic signatu-

res in global and national commerce Act”

Oltre al quadro normativo anche le tecnologie sono

disponibili:

– server Internet di potenza scalabile fino a potenze

elevate in grado di gestire gli enormi e crescenti volu-

mi di transazioni che le reti civiche estese a tutta la

popolazione ed a tutti i servizi dovranno gestire;

– software di base;

– architetture di e-business6;

– “middleware” in grado di consentire funzionalità a

valore aggiunto, quale la personalizzazione dei conte-

nuti7;

– software applicativi quali per esempio quelli per la

gestione del “workflow management” e dell’accesso

via Internet basati su Lotus Notes e Domino;

– architetture per garantire la sicurezza e la riservatezza

consentendo all’utente dell’Amministrazione l’accesso

diretto via Internet alle proprie pratiche e alle transazio-

ni con i sistemi amministrativi dell’Ente locale.

Le modalità di gestione ed erogazione dei servizi

in rete da parte del Comune possono essere moltepli-

ci e vanno dall’usuale gestione in proprio ad un com-

pleto “outsourcing” in web-hosting o presso Applica-

tion Service Providers.

Da questo quadro felice si deve ora passare alla rea-

lizzazione. Infatti la trasparenza é rimasta spesso a livello

di intenzioni; pochi Comuni consentono ai cittadini l’ac-

cesso via Internet alle proprie pratiche. Gli Sportelli Uni-

G i o r g i o P r i s t e r

6 Ad esempio lo “e-business application framework” della IBM.

7 In questo ambito, ad esempio, prodotti quali Websphere o lo “Enterprise Information Portal” con la sua personalizzazione chia-

mata “e-government portal” annunciata di recente dalla IBM.

80•

ci, sia quelli ai cittadini, sia quelli alle imprese esistono

come sportelli informativi dotati di impiegati e terminali

informativi, ma non operano quasi mai come Sportelli

Unici da cui disbrigare pratiche integrando i processi am-

ministrativi.

Le comunità virtuali e la democrazia digitale

Le comunità virtuali cominciano a diffondersi. È arri-

vato il momento di arricchirle di strumenti di aggregazio-

ne e di discussione che vadano oltre le chat e le e-mail.

I “discussion groups” sono strumenti di aggregazione

e di socializzazione e sempre più stanno diventando

gruppi di opinione.

Siti americani ed europei con ampia platea in tutto il

mondo diffondono questi temi. Per esempio Democracy

On Line8 o E-groups9. Internet viene definito lo strumen-

to democratico che potrà riavvicinare i cittadini alle isti-

tuzioni ed alla politica grazie alla capacità di aggregare le

persone ed organizzarle in gruppi spontanei d’opinione.

I nostri politici dovranno cambiare il loro modo di fa-

re politica. Pochi ancora oggi sono avvezzi all’utilizzo del-

la semplice e-mail per colloquiare e sentire il polso degli

elettori.

Talkgov10 negli Stati Uniti è un’organizzazione operan-

te via web dalla parte dell’elettore che garantisce un ca-

nale di comunicazione e di discussione con i membri del

Congresso.

Politics On Line11 offre ai politici una vetrina su cui

promuovere la propria immagine, fare campagne e rac-

cogliere fondi per le elezioni.

L’Arizona ha recentemente condotto elezioni tramite

Internet.

Un recente sondaggio condotto da Talkgov negli Stati

Uniti indica che:

– la maggior parte delle persone poco coinvolte di-

chiarano che parteciperebbero molto attivamente

via Internet, se fossero ben informati dei problemi

sul tappeto e potessero avere un dialogo soddisfa-

cente con gli eletti e soprattutto se la loro opinione

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

8 http://www.e-democracy.org/

9 http://www.egroups.com/

10 http://www.talktogov.com/

11 http://www.politicsonline.com/

81•

venisse presa in considerazione;

– gli eletti vorrebbero utilizzare di più Internet ma han-

no bisogno di poter avere un modo di gestire il dialo-

go in modo ordinato e per categorie di temi. Per

esempio il Presidente Clinton riceve circa 5000 e-

mail alla settimana all’indirizzo president@whitehou-

se.gov. Il suo staff gli organizza la posta per temi. Per

ora meno del 25% dei membri del Congresso e del

Senato utilizzano abitualmente l’e-mail come una ri-

sorsa per sentire il polso dell’opinione pubblica.

Se questo è vero negli USA a livello del Governo cen-

trale un impatto ben maggiore potrebbe avere un collo-

quio di un Sindaco con i propri elettori sapendo quanto

la gente sente maggiormente i problemi della propria

città.

Il Consiglio comunale di Issy les Moulineaux vicino

a Parigi tiene le proprie sessioni sulla televisione locale

con gran seguito dei cittadini. Ha istituito un call center

che consente al cittadino di intervenire direttamente

durante il dibattito per porre quesiti e fare proposte.

La formazione permanente

La travolgente trasformazione in atto richiede uno

sforzo massiccio per formare professionisti della new

economy, cittadini capaci di operare e di essere integrati

nel nuovo tessuto socio-economico che si sta formando,

e aziende di produzione e di commercio capaci di utiliz-

zare gli strumenti di e-commerce “business to consu-

mer” e “business to business”.

Oltre ad operare verso la cittadinanza, il Comune ha

il compito prioritario di facilitare la trasformazione del

modo di operare dei propri dipendenti formandoli non

solo all’uso delle nuove tecnologie, ma anche al loro

cambio culturale da burocrati a fornitori di servizi efficaci

al loro cliente-cittadino.

Questo sforzo dovrà mantenersi ed evolversi nel tem-

po con modalità di erogazione sempre più legate ad In-

ternet. Il “distance learning” sia scolastico, sia universita-

rio, sia per la formazione di cittadini e di professionisti é

una tecnologia efficace e facilmente disponibile così co-

me le ampie biblioteche di corsi multimediali erogabili

via Internet sui più svariati temi.

La città di Naestved, già citata, sta per esempio

utilizzando la tecnologia Learning Space della Lo-

tus per erogare la formazione alla popolazione.

La Università dell’Illinois sta utilizzando una nuova

tecnologia Internet chiamata Iknow12 per la creazione di

G i o r g i o P r i s t e r

12 http://iknow.spcomm.uiuc.edu

82•

“Knowledge Networks”. La diffusione di Internet rende

oramai difficile individuare le persone con cui ci interes-

sa comunicare e condividere la nostra conoscenza. Ik-

now è uno strumento che utilizza una nuova generazio-

ne di “collaborative filters” e di “communityware” che

possono essere impiegati per individuare virtualmente la

struttura sociale e di conoscenza delle comunità che la-

vorano o fanno ricerca. Esso risponde in modo automati-

co a domande come: chi conosce cosa? a quale organiz-

zazione appartiene? Inoltre permette l’accesso a basi di

conoscenza ed individui in modo diretto ed anche indi-

retto (“chi conosce qualcuno di mio interesse?”).

L’economia, la piccola e media impresa, il lavoro

È chiaro come l’Ente locale può farsi carico di guida e

spinta nello sviluppo economico. La globalizzazione può

avere un impatto enorme ma esistono soggetti econo-

mici più deboli che debbono essere guidati ed aiutati ad

integrarsi nella new economy, altrimenti sono destinati a

soccombere sotto la pressione dei grandi operatori glo-

bali di Internet.

Le aree di intervento strategiche possono essere mol-

teplici, per esempio:

– l’Ente locale può rendere disponibili, direttamente o

tramite altri erogatori di servizi, le infrastrutture co-

municative e gli strumenti per la creazione di e-com-

merce diffondendone l’utilizzo presso la piccola e

media impresa e creando nuove opportunità di svi-

luppo e di lavoro;

– l’Ente locale deve anche essere il centro delle attività

di marketing territoriale che attraggano nuove impre-

se nazionali e straniere ad investire nella città. Lo

Sportello Unico alle Imprese deve diventare uno stru-

mento di efficace erogazione di informazioni e di effi-

cace svolgimento delle pratiche per le imprese che

vogliono stabilirsi e svilupparsi in loco. Ma oltre a

questo si deve creare una nuova disciplina professio-

nale, sinora sconosciuta nel Comune, che si chiama

marketing. Non si tratta di sola pubblicità. Si tratta di

individuare in modo preciso i punti di forza e le nuo-

ve opportunità di affrontare, risolvendo i punti di de-

bolezza dell’economia locale. Il marketing territoriale

consiste nel far leva sui punti di forza per attrarre

nuovi imprenditori. Bisognerà quindi definire un pia-

no strategico di sviluppo e renderlo funzionante

adattando i molteplici strumenti comunicativi ed

operativi che il marketing ha da tempo messo a pun-

to per le imprese private.

Le sperimentazioni sono finite, ovvero:

Cenerentola sposerà il Principe?

Gli Enti locali hanno una strada obbligata da percor-

L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a

83•

rere: o saltare subito e definitivamente sul carro della

new economy e guidare la città a percorrere questa

strada ed allora diventare il centro del nuovo sviluppo

sociale ed economico; oppure essere i semplici spetta-

tori dei successi degli altri e del proprio arretramento

progressivo.

Esistono altri attori che possono cooperare in mo-

do determinante al successo dell’impresa ma nessu-

no al di fuori dell’Ente locale può assumere con suc-

cesso il ruolo di leader.

Tutti gli ingredienti sono disponibili e la strada per il

successo é tracciata. Tocca ora ai Sindaci mettere mano

all’opera e guidare l’impresa associandovi la comunità

cittadina.

Le reti civiche possono rappresentare il nocciolo duro

su cui costruire il futuro.

La mezzanotte si sta avvicinando! Il Principe sta per

scegliere la propria sposa... Sarà Cenerentola?

G i o r g i o P r i s t e r

Le reti civiche in Italia

Contributi

Piero LuisiConsulente e-government

Lucio PicciUniversità di Bologna, Presidenza del Consiglio dei Ministri

Dario De JacoForum per la Società dell’Informazione, Centro di coordinamento per gli enti territoriali

Giuseppe CaravitaIl Sole 24 Ore

Alessandro VolpiDirettore dell’Area Politiche e Servizi per il Cittadino e l’Informazione del Comune di Pesaro

Mariella GramagliaVice Direttore Generale della Città di Roma e Presidente della rete Telecities

Paolo SubioliResponsabile area Pubblica Amministrazione di Atenea srl

Fiorella De CindioRete Civica Milanese, Università degli Studi di Milano

Giuseppe PiperataUniversità di Trento, Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione - Bologna

Sergio DurettiCSP - Centro di Eccellenza per la Ricerca, Sviluppo e Sperimentazione di Tecnologie

Gennaro ZezzaUniversità “Federico II” Napoli, Cittadigitali.it

Leda GuidiRete Civica Iperbole - Bologna

Andrea PitasiAffiliate Michigan State University, autore del libro “Il sesto stratagemma” (Seam, Roma 1999)

Paolo Dell’AquilaUniversità di Bologna

Giorgio PristerGlobal Segment Executive, Local Government, IBM Global Government Industry

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

[email protected]

Finito di stampare nel mese di gennaio 2001dalla Legoprint - Lavis (TN)