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Quaderni di Comunicazione Pubblica
Servizio Sistemi informativiper la comunicazione pubblica
A cura diPiero Luisi
Contributi diGiuseppe Caravita
Fiorella De CindioDario De Jaco
Paolo Dell’AquilaSergio Duretti
Mariella GramagliaLeda Guidi
Lucio PicciGiuseppe Piperata
Andrea PitasiGiorgio Prister
Paolo SubioliAlessandro VolpiGennaro Zezza
© 2001 by Regione Emilia-Romagna e CLUEB
Riproduzione vietata ai sensi di legge(art. 171 della Legge n. 633 del 22 Aprile 1941)
Senza adeguata autorizzazione scritta, è vietata la riproduzione della presente opera e diogni sua parte, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, an-che ad uso interno o didattico.
Editing a cura di Paolo Degli EspostiCoordinamento di Aurora Lucarelli
Le reti civiche in Italia. Punto e a capo.86 p. ; 21 cm(Quaderni di comunicazione pubblica ; 5)ISBN 88-491-1684-5
CLUEBCooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna40126 Bologna - Via Marsala 31Tel. 051 220736 - Fax 051 237758www.clueb.com
pag.5 Introduzione
7 Tre buoni motivi per considerare finita la rete civica(così come l’abbiamo sempre conosciuta)Piero Luisi
17 Meno reti civiche, più fattiLucio Picci
21 E-government, cioè la (solita) burocrazia a 155MbyteDario De Jaco
23 Rete civica: palestra di passione civileGiuseppe Caravita
27 Rete civica: giù la maschera.Alessandro Volpi
31 Ripartire dal basso senza la Pubblica AmministrazioneMariella Gramaglia
33 Le reti civiche sono morte. Viva le reti civiche!Paolo Subioli
35 Le reti civiche: un futuro possibileFiorella De Cindio
49 Verso l’amministrazione elettronicaGiuseppe Piperata
53 La bussola dell’e-government in ItaliaSergio Duretti
55 Reti civiche: da vetrine istituzionali a strumenti cooperativi?Gennaro Zezza
61 Il valore delle reti civiche e delle comunità virtuali localiLeda Guidi
67 Quali funzioni strategiche per le nuove tecnologie multimediali applicate allacomunicazione pubblica? Andrea Pitasi
71 Reti civiche o community network?Paolo Dell’Aquila
73 Cenerentola e le reti civicheGiorgio Prister
Indice
Per rendere sempre più concreto il percorso di avvicinamento tra
amministrazione pubblica e cittadini, ci si può oggi avvalere dei
fondamentali strumenti offerti dalle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione. La realizzazione dell’e-government è uno
degli obiettivi delle politiche europee e nazionali:
amministrazione digitale ed elettronica invece che cartacea,
servizi pubblici online, accesso più veloce alle informazioni.
Le reti civiche promosse dagli Enti locali rappresentano
interessanti esperienze di amministrazione elettronica
sperimentata sul campo. Tuttavia, per l’effetto di stimoli di varia
natura (tecnologici, economici, politici), il fenomeno della
telematica civica sta mostrando evidenti segni di
cambiamento.
Per cercare di fare il punto della situazione di una materia in
evoluzione continua, il Servizio Sistemi informativi per la
comunicazione pubblica della Regione Emilia-Romagna ha
pensato di promuovere una sorta di tavola rotonda tra
operatori e studiosi del settore, chiedendo a Piero Luisi di
organizzare ed animare la discussione.
Il confronto sul tema del futuro delle reti civiche, considerate
quali prime esperienze delle politiche di e-government già
maturate nel Paese, si è sviluppato attraverso un dibattito
online, svoltosi nel luglio 2000 e costruito a partire da una tesi
provocatoria: “Le reti civiche sono morte”.
Il risultato, presentato in questo numero, è un quadro
approfondito e variegato di contributi ed opinioni, affidati a chi
ha già fatto esperienze e intende proseguire con convinzione
sulla strada dell’e-government.
7•
P i e r o L u i s i
Tre buoni motivi per considerare finitala rete civica(così come l’abbiamo sempreconosciuta)
di Piero Luisi
Nel 1997 Doug Schuler, fondatore del Seattle Com-
munity Network ed uno dei padri del movimento delle
community networks statunitensi, intervenendo al primo
convegno internazionale sulle reti civiche tenutosi in Ita-
lia1 presentava un intervento dal titolo “Three ways to
kill Community Networks. And three ways to save
them…”.
Per l’autore la strategia per uccidere l’esperienza di
una community network ha tre regole di sicuro effetto:
“Considerare la community network come un qualsiasi
altro servizio di pubblica utilità, quale gas o elettricità;
considerare la community network come un’occasione
di business; considerare la community network come un
progetto tecnologico”.
Nel raccogliere lo stimolante invito proposto, vorrem-
mo riprendere la provocazione di Schuler per tentare di
rileggerla alla luce del contesto italiano che, rispetto al
modello statunitense, connota le reti civiche come espe-
rienza in gran parte promossa e maturata da parte di
Amministrazioni Pubbliche locali.
L’esercizio retorico che proponiamo, ha lo scopo di
svolgere alcune considerazioni che ci porteranno a con-
cludere che la rete civica italiana, così come l’abbiamo
sempre conosciuta, non esiste più.
Questo il senso dei punti critici che sviluppiamo di
seguito, in cui tentiamo di astrarci dalla partecipazione
emotiva che ci provoca la trattazione dell’oggetto e cer-
chiamo di condannare – lasciando magari ad altri il
compito di salvare - un personaggio dalla vita controver-
sa.
Cosa è stata la rete civica in Italia in questi anni? Una
pura invenzione della letteratura “techno freak”, un gioco
tra l’utopia e lo spirito di avventura su cui si sono cimen-
tati ardimentosi pionieri della cultura di rete, una sfida
reale sferrata al ventre molle della burocrazia italiana
che, dopo averla sopportata come inutile corpo estra-
neo, oggi la espelle lontano da sé?
Oppure una grande palestra pubblica di alfabetizza-
zione telematica, un mezzo per innovare cultura e pro-
cessi di lavoro nella Pubblica Amministrazione, uno stru-
mento utile per affermare il principio del diritto universa-
1 ECN 97 “Prima conferenza europea delle reti civiche”, 3-5 luglio 1997, Milano. Rapporto in www.retecivica.milano.it/airec/.
8•
le all’informazione o, come dice Rodotà, dello stesso di-
ritto alla democrazia?
Se volessimo sintetizzare la cronistoria della rete civi-
ca italiana, potremmo partire dal processo di riforma av-
viato nel 1990 con l’adozione da parte del legislatore
delle leggi su accesso, trasparenza e partecipazione agli
atti della Pubblica Amministrazione e l’Ufficio Relazioni
con il Pubblico che avrebbe dovuto rappresentarne il
braccio operativo. Le suggestioni d’oltreoceano e il cre-
scente utilizzo del protocollo di comunicazione Internet
lungo la penisola ci portano, dalla metà degli anni ’90, a
conoscere un nuovo modo di informare e comunicare
con i cittadini, un nuovo modo di vivere e partecipare il
proprio territorio, il proprio contesto urbano, i luoghi e
gli spazi, cioè, che frequentiamo ed affrontiamo nella vi-
ta di tutti giorni.
In questi stessi anni il numero delle Pubbliche Ammi-
nistrazioni che promuovono la propria presenza in Inter-
net e che adottano soluzioni telematiche per la gestione
e distribuzione di servizi comincia a crescere in modo
inarrestabile; contestualmente, si avviano processi di ri-
forma amministrativa che identificano negli Enti locali le
istituzioni pubbliche più vicine ai bisogni del cittadino e
perciò “costrette” ad innovarsi per rispondere al meglio
alla richiesta di cambiamento rivolta alla Pubblica Ammi-
nistrazione.
Una Pubblica Amministrazione chiamata anche a rap-
presentare il vero e proprio motore dello sviluppo socio-
economico locale e non più il “burosauro” che frena e
condiziona negativamente l’iniziativa economica privata
(vedi la riforma dello Sportello Unico per le attività pro-
duttive).
Gli osservatori specializzati nel monitoraggio della
presenza degli Enti locali sul web2 diramano bollettini a
cifre sempre più alte, mentre la rete Internet, porta d’ac-
cesso alle città virtuali, si diffonde sempre più rapida-
mente e a costi sempre più bassi, anzi gratis, ovvero pa-
gando chi è connesso.
In questo sviluppo tumultuoso di eventi si moltiplica-
no le domande:
Quale definizione diamo di rete civica?
Chi la promuove, chi rappresenta, chi vi partecipa;
come si organizza, a chi si rivolge, come si sviluppa, qua-
li servizi propone; ha un’anima comunitaria o ammini-
strativa, nasce dal basso dell’associazionismo o dall’alto
della programmazione politico-amministrativa? Il caratte-
re pubblico è una risorsa o ne condiziona lo sviluppo?
A partire dal 1994, anno di esordio della prima rete
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
2 Città digitali, www.cittadigitali.it; Osservatorio Reti Civiche de “la Città Invisibile”, www.citinv.it/ossreti/civiche.
9•
civica in Italia – a proposito, quale è stata la prima? –
siamo ormai a 6 anni di esperienza di telematica civica
ed esprimiamo un parere.
La rete civica è morta! Questo il nostro atto di accusa.
1. La rete civica non può nascere da un
adempimento normativo
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (n. 136 del
13 giugno 2000) è entrata in vigore la legge 7 giugno
2000 n. 150 relativa alla “Disciplina delle attività di infor-
mazione e di comunicazione delle Pubbliche Ammini-
strazioni”. Tale provvedimento è frutto di un lungo dibat-
tito che ha visto coinvolti, a partire dall’emanazione (nel
1993) del decreto legislativo istitutivo degli URP, sosteni-
tori ed avversari della legittimazione della disciplina del-
la comunicazione pubblica in Italia.
Una disciplina che, per la burocrazia pubblica, signifi-
ca cultura della comunicazione, cultura dell’innovazione
organizzativa, cultura della cooperazione, cultura dell’a-
scolto e della qualità delle prestazioni orientata all’uten-
te: una vera e propria blasfemia!
Come tutte le leggi partorite da mediazioni che si svi-
luppano nel tempo (la prima proposta di legge risale al
1996), l’intero articolato suscita molte perplessità in ge-
nerale – a partire dalla definizione di “comunicazione
pubblica non pubblicitaria” adottata per definire l’ogget-
to - e, cosa che più ci interessa, è “costretto” a parlare di
reti civiche.
All’art.8, comma 2, lettera c), dopo averla citata al-
l’art. 2 tra gli strumenti dell’attività di informazione e co-
municazione, il testo di legge definisce la potestà regola-
mentare data alle Amministrazioni relativa alla “ridefini-
zione dei compiti e alla riorganizzazione degli uffici per
le relazioni con il pubblico” e sentenzia che essi devono
“promuovere l’adozione di sistemi di interconnessione
telematica e coordinare le reti civiche”.
Considerando che la presenza degli URP nelle Pub-
bliche Amministrazioni italiane conosce percentuali mol-
to basse e che il numero degli uffici inaugurati supera di
gran lunga quello degli uffici operativi, l’attuazione del
comma suddetto rappresenta uno schiaffo alla realtà or-
ganizzativa delle strutture pubbliche.
Le reti civiche in Italia, infatti, presentano situazioni
organizzative frammentate e non coordinate, sia tra gli
uffici competenti all’interno della struttura dell’Ente pub-
blico che tra gli Enti operanti in uno stesso ambito terri-
toriale.
I rapporti conflittuali tra uffici CED (Centro Elaborazio-
ne Dati), Sistemi Informativi, Servizio Stampa e Servizi di
informazione e comunicazione, laddove questi ultimi esi-
stono, sono quasi la prassi organizzativa che “dà vita” alle
reti civiche. Ed il plurale adottato dal testo di legge e rife-
rito alla stessa struttura burocratica, non ci pare casuale.
P i e r o L u i s i
10•
Spesso, infatti, ogni settore dell’Ente organizza un
proprio sportello di informazione e comunicazione al
pubblico, sviluppando proprie strategie comunicative e
soluzioni tecnologiche per la gestione dei servizi. Non
sono pochi i casi in cui lo stesso Ente presenta due o più
anime di “portali” civici: uno dedicato alla promozione
politica dell’Ente, uno dedicato al sostegno della comu-
nità sociale on line, uno dedicato alla promozione cultu-
rale-commerciale del territorio, uno dedicato a fornire
servizi informativi, uno dedicato a distribuire servizi inte-
grati da parte della Pubblica Amministrazione.3
La nuova disposizione di legge, quindi, affida all’URP
la soluzione di questo fitto groviglio composto da diffe-
renti competenze, strategie comunicative, soluzioni orga-
nizzative e scelte tecnologiche applicative. L’URP, quindi,
si affianca agli altri uffici che già oggi costruiscono policy
ad hoc per la gestione di reti civiche pubbliche, senza
avere risorse ed obiettivi chiari, e gettandosi nel confron-
to con gli organi di governo degli Enti che considerano
ancora oggi, troppo spesso, la propria presenza in Inter-
net soltanto quale vetrina informativa e non orientata al-
la definizione di prestazioni di servizio a valore aggiunto.
Pensare che sia sufficiente affidare con tale mandato
legislativo all’URP il compito di organizzare i servizi e le
tecnologie abilitanti per la realizzazione di reti civiche di
qualità, significa considerare per i cittadini italiani l’ac-
cesso elettronico ai servizi pubblici una chimera irrealiz-
zabile. E poi, come può crescere una rete civica, che sia
espressione della comunità civile di un territorio, se la
consideriamo come il risultato di una scelta organizzati-
va e tecnologica, al pari della distribuzione di un qualsia-
si atto amministrativo?
2. La politica non abita qui.
“Il primo e più continuo incontro del cittadino con il
sistema politico è quello che si realizza attraverso il con-
tatto con l’amministrazione”4; l’applicazione delle nuove
tecnologie per “liberare dai detriti burocratici” l’azione
della Pubblica Amministrazione è il primo, reale livello di
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
3 Tra gli esempi di nature differenti di reti civiche operanti all’interno di uno stesso ambito territoriale, ma tra loro scarsamente in-
tegrate ci sono Milano - rete civica “comunitaria” www.retecivica.milano.it/airec/ e rete civica “di servizio” www.comune.milano.it –
e Novara, in questo caso promossa da servizi differenti dello stesso Ente locale - rete civica “comunitaria” www.retecivica.novara.it
e rete civica “di servizio” www.comune.novara.it.
4 S. Rodotà, Repertorio di fine secolo, Bari, Laterza, 1992, p. 240.
11•
cambiamento del sistema democratico.
Tra le promesse non mantenute dall’esperienza di te-
lematica civica in Italia c’è certamente la mancata realiz-
zazione di un vero modello di amministrazione traspa-
rente, capace cioè: di mettere a disposizione del cittadi-
no tutte le informazioni da essa possedute; di consentir-
gli di esercitare, attraverso la garanzia dell’accesso, della
trasparenza e della pubblicità degli atti, il suo potere di
controllo dell’azione amministrativa; di orientare la sua
attività secondo i bisogni del suo utente-sovrano.
“(…) per realizzare lo scopo affidatole dalla Costitu-
zione un’amministrazione deve essere citizen oriented,
deve finalizzare tutti gli elementi che la compongono
(funzioni, organizzazione, procedure, personale, mezzi,
informazioni e controlli) alla realizzazione del pieno
sviluppo della persona umana. Ma poiché ogni cittadi-
no è diverso dagli altri, un’amministrazione non può
avere successo nel perseguimento della propria specifi-
ca ‘missione costituzionale’ se non si pone nei confron-
ti di ognuno dei propri referenti in una posizione di ri-
spetto, attenzione e ascolto: nella stessa posizione,
cioè, in cui ci si pone di fronte ad un ‘sovrano’. Se, in-
fatti, le Pubbliche Amministrazioni sono lo strumento
principale con cui la Repubblica persegue il principio
costituzionale di uguaglianza sostanziale (art. 3, 2°
comma), (...) il cittadino non è più ‘colui che usa’ un
servizio pubblico (cioè un utente), bensì ‘colui che è
servito’ (cioè un sovrano).”5
La telematica civica sembrava poter realizzare il so-
gno della definizione di luoghi in cui ridefinire le forme
di partecipazione politica del cittadino, in cui la demo-
cratizzazione del sistema amministrativo, riducendo il
gap informativo che divide coloro che decidono della co-
sa pubblica da coloro che sono soggetti alla decisione,
avrebbe determinato la ricostruzione del principio di so-
vranità.
L’accesso al patrimonio informativo dell’Amministra-
zione avrebbe dovuto rendere più matura la nozione di
cittadinanza, intrecciandosi sempre più con la capacità
data al cittadino di informarsi, conoscere e poter intera-
gire in tutte le fasi del processo politico di deliberazione
democratica, anche attraverso il responsabile utilizzo di
forme di democrazia diretta nell’ambito delle cosiddette
“microdecisioni” di livello locale. Il livello, cioè, che le
grandi organizzazioni burocratiche (dallo Stato, ai partiti)
tende inesorabilmente ad emarginare attraverso la sua
P i e r o L u i s i
5 G. Arena, La democrazia nell’amministrazione, ovvero l’utente-sovrano, in G. Gozzi (a cura di), Democrazia, diritti, costituzione,
Bologna, Il Mulino, 1997, p. 53-54.
12•
struttura gerarchica, verticale e non democratica.
“Grazie alle nuove tecnologie della comunicazione è
stato certamente avviato un processo di ‘liberazione’ del
sovrano da una serie di vincoli di spazio e di tempo, che
hanno avuto (e sempre più avranno) l’effetto di realizza-
re condizioni di indipendenza da apparati, da quelli bu-
rocratici in primo luogo.”6
Se tale processo non è stato avviato, la ragione è da
ricercare nella assoluta assenza dei rappresentanti degli
organi di governo, sia politico sia amministrativo, nelle
reti civiche in generale e dai luoghi di discussione di rete
in particolare.
La mancata volontà di accettare la sfida del confronto
democratico nei diversi luoghi della discussione virtuale
si allarga alla incapacità di fornire un efficiente servizio di
gestione della posta elettronica e una organizzazione in
grado di garantire risposte certe in tempi accettabili.
L’inefficienza dell’amministrazione reale nel fornire
servizi rivolti ai bisogni dell’utente e l’autoreferenzialità
delle organizzazioni politiche si riproducono negli spazi
virtuali, potenziate e messe a nudo dalla crescente diffu-
sione della telematica che rende le istituzioni come cor-
pi lenti ed incapaci di innovarsi per rispondere ai cre-
scenti bisogni della società.
Laddove sono stati compiuti esperimenti in tal senso,
il passaggio dalla discussione virtuale alla decisione rea-
le non si è realizzato perché ha sempre prevalso la me-
diazione dei circuiti convenzionali imposti dagli apparati
burocratici. La stessa partecipazione virtuale, poi, eviden-
zia il mancato allargamento dei soggetti che formano
l’opinione pubblica, in quanto la partecipazione resta la-
voro specialistico da parte di elite che avrebbero comun-
que modo di agire in altri luoghi o forme.
I politici non partecipano, le comunità virtuali che
crescono dentro le reti civiche non riescono ad incidere
nella vita reale e, nella loro organizzazione, ripropongo-
no schemi e gerarchie tipiche dei sistemi burocratici. La
partecipazione non ha sbocchi, spesso è fine a se stessa;
il “popolo della rete” che in rete crea pubblica opinione
non ha alcun modo di incidere nelle decisioni che ri-
guardano la vita reale dove si impongono e dettano leg-
ge vecchie e solide logiche di appartenenza.
Partecipare, anche da un punto di vista virtuale, ha
poi un altissimo costo in termini di tempo ed energie da
spendere e la mancanza di un’abitudine e di un’educa-
zione civica alla partecipazione politica, stimolata in que-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
6 S. Rodotà, La sovranità nel tempo della tecnopolitica. Democrazia elettronica e democrazia rappresentativa, in Politica del dirit-
to, n. 4, 1993.
13•
sto senso dall’assenza di ruolo da parte delle reti civiche,
determina una situazione in cui le nuove tecnologie fini-
scono per dare maggiori opportunità partecipative a chi
già ne ha, continuando a negarle a chi non le ha.
3. Il “sistema portale” ucciderà la rete civica
“Il settore pubblico, in virtù delle sue dimensioni e
della portata delle sue attività, rappresenta la maggiore
risorsa singola di contenuti informativi per la creazione
di servizi e contenuti informativi a valore aggiunto. Alcu-
ni studi hanno indicato che la maggior parte dei servizi
commerciali attivi sul mercato dell’informazione nell’UE
consiste in servizi attivi in settori ove il settore pubblico
detiene risorse molto importanti”.7
Nel momento in cui le istituzioni entrano in rete e
mettono a disposizione un immenso patrimonio fatto di
informazioni pubbliche e di servizi che incidono in modo
spesso determinante nella vita sociale ed economica di
un territorio, ecco che la rete civica diventa una vera oc-
casione di business da parte delle net-companies priva-
te.
Da parte dell’Ente locale, la scarsità delle risorse eco-
nomiche e del personale in grado di gestire e sviluppare
al meglio i servizi della rete civica configura uno scenario
che vedrà le esperienze di e-government italiane cedere
sistemi e servizi informativi ad aziende private che offri-
ranno “ospitalità” sulle proprie piattaforme tecnologiche.
Per l’impresa che vende servizi applicativi alla Pubbli-
ca Amministrazione, la possibilità di venire incontro alle
esigenze di sostenibilità della rete civica locale costitui-
sce un investimento di sicuro guadagno. La costruzione
di portali verticali della Pubblica Amministrazione con-
sente la penetrazione a livello locale di soluzioni pro-
prietarie di applicazioni e di servizi al territorio e l’allarga-
mento della propria azione di marketing rivolta a racco-
gliere e veicolare utenti sui propri canali web.
Per la Pubblica Amministrazione locale, l’outsourcing
consente di garantire la vita stessa della rete civica, il suo
aggiornamento, la sua evoluzione e margini di guadagno
dovuti alla vendita di nuovi servizi amministrativi on-line
rivolti a particolari target di utenti (ad es. ingegneri, geo-
metri ed architetti per la distribuzione di cartografia digi-
tale).
La trasformazione delle reti civiche di comunità in
portali civici orientati al mercato farà forse discutere per
P i e r o L u i s i
7 L’informazione del settore pubblico: una risorsa fondamentale per l’Europa. Libro verde sull’informazione del settore pubblico
nella società dell’informazione – COM, 1998, 585.
14•
la apparente inconciliabilità tra finalità e caratteristiche
del servizio pubblico e le logiche e gli scopi del mercato.
Nella situazione attuale, tuttavia per garantire alte pre-
stazioni di servizio per un numero di utenti più vasto ed
esigente, o si dovrà pensare ad un diverso ruolo dei ser-
vizi interattivi all’interno dell’Amministrazione Pubblica o
si dovrà necessariamente “vendere” il servizio telematico
pubblico ai privati al costo di alcune “piccole” rinunce.
È difficile, infatti, comprendere come una rete civica
privatizzata possa conservare un orientamento al servizio
universale, ovvero garantire l’accesso alle nuove tecnolo-
gie alle fasce di popolazione attualmente escluse ed ap-
partenenti alla celebre ed ancor vasta categoria degli “in-
formation have nots”.
Probabilmente le due funzioni, di alfabetizzazione e
di gestione dei servizi, possono essere programmate
parallelamente, ma siamo certi che le logiche e gli obiet-
tivi che sottendono le due funzioni, pubblica e privata,
siano identiche?
Se accogliamo la definizione di Pullet dei tre livelli di
accessibilità alle reti - fisica, economica e culturale8 -, il
nostro dubbio si pone a partire dall’ultimo e cruciale li-
vello.
I portali amministrativi privatizzati, drenando utenti,
forse riusciranno a stimolare investimenti privati sul lato
della diffusione degli strumenti, mentre i costi di connes-
sione già oggi sono gratuiti e conoscono sempre nuove
iniziative promozionali.
I compiti di un’Amministrazione, però, riguardano an-
che aspetti di comunicazione pubblica e sociale, quali:
l l’azione di alfabetizzazione dei contenuti;
l lo sviluppo di servizi efficienti per target di utenti non
economicamente appetibili;
l la garanzia che l’accesso universale ai servizi pubblici
sia realizzato non solo in maniera elettronica ma an-
che attraverso il miglioramento dell’efficienza degli
sportelli fisici;
l la realizzazione di interfacce di servizio orientate al ri-
spetto dei criteri di accessibilità, ovvero nell’utilizzo di
componenti grafico-strutturali nella progettazione e
realizzazione di siti web che non ne impediscano la
fruibilità da parte di persone affette da disabilità fisi-
che;
l l’attenzione alla rimozione delle barriere linguistiche;
l la promozione di spazi dove esercitare la partecipa-
zione democratica;
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
8 Yves Pullet, Nella società dell’informazione lo Stato diventa rapido e leggero, Telèma, n. 19, www.fub.it/telema/TELEMA19/Poul-
le19.html.
15•
l l’offerta di spazi dove ospitare organizzazioni sociali e
far crescere la cultura di rete9.
Con quale autonomia ed efficacia l’Ente locale potrà
agire in questi ambiti?
Se le istituzioni pubbliche non riusciranno a passare
dalle dichiarazioni di intenti di “Piani di azione”, “Linee
guida”, ecc., alla loro effettiva operatività; se non riusci-
ranno a porre una serie di obblighi in grado di assicurare
l’effettiva realizzazione del diritto sociale alle nuove tec-
nologie10; se non riusciranno ad inserire nella propria
agenda politica il tema della partecipazione democrati-
ca; se non accetteranno il cambiamento della cultura
della comunicazione; se l’Ente locale, ai diversi livelli,
non accetterà di giocare un ruolo di leader nell’accesso
del territorio nella società dell’informazione; se tutto
questo non accadrà, non si potrà che accettare la fine
delle reti civiche e della telematica pubblica per delegar-
ne il ruolo e le funzioni di servizio all’impresa privata.
P i e r o L u i s i
9 Anche se come aspetto marginale rispetto ai punti citati, la soluzione dei portali “porta” all’adozione di architetture informative
che standardizzano il formato della comunicazione in rete. Una delle caratteristiche peculiari della rete civica italiana è sempre sta-
to l’essere localizzata, ovvero fortemente legata al proprio territorio. Tale caratteristica emergeva anche dalle soluzioni grafiche di
interfaccia dove spesso lo studio dei colori e dei simboli della cultura del territorio “marcavano” la rete in maniera sempre diversa
e sempre particolare, dando una personalità ed identità simbolica alla istituzione. Con l’avvento dei portali commerciali, verticali
e/o orizzontali, si assiste ad una standardizzazione semantica delle interfacce: le architetture logiche di accesso ai servizi si ripeto-
no in maniera identica, così come il formato dei caratteri utilizzato, i colori di background e lo stile del linguaggio. Forse anche per
il web sta avvenendo la standardizzazione di senso e contenuti che ormai connota i “diversi” canali televisivi e radiofonici, non a
caso tutti votati ad una logica commerciale.
10 “Mentre i diritti di libertà nascono contro lo strapotere dello stato, e quindi per limitarne il potere, i diritti sociali richiedono per
la loro pratica attuazione, cioè per il passaggio dalla dichiarazione puramente verbale alla loro protezione effettiva, proprio il con-
trario, cioè l’accrescimento dei poteri dello stato.” N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 73.
17•
L u c i o P i c c i
Meno reti civiche, più fatti
di Lucio Picci
Nel 1996, l’Associazione “Città Invisibile” pubblicava
un documento dal titolo evocativo: “Le reti civiche di se-
conda generazione”. La diffusione di Internet in Italia era
ancora limitata, ma qualcuno riteneva che per le reti civi-
che fosse già giunto il momento di pensare a una se-
conda fase. Oggi, a quattro anni da allora, per le reti civi-
che ci viene proposta una argomentata relazione fune-
bre. Cosa è accaduto in questi anni, e cosa è andato
storto?
Un primo elemento di valutazione è quantitativo. I
dati in nostro possesso mostrano che un gran numero di
Enti locali oggi sono visibili da Internet. Tuttavia, soltanto
pochi dei progetti realizzati possiedono lo spessore e
l’organicità necessari per essere considerati delle reti ci-
viche, a meno di non voler considerare tale praticamen-
te qualunque realizzazione frutto di buone intenzioni.
Anche limitando l’attenzione alle esperienze migliori, le
analisi sono concordi nell’evidenziare che raramente si è
andati oltre alla presentazione di informazioni di pubbli-
ca utilità o si sono forniti servizi evoluti ai cittadini.
Anche dove gli amministratori hanno fatto meglio, i
buoni risultati spesso si sono avuti per le capacità e la
dedizione di poche persone sostanzialmente isolate al-
l’interno della macchina amministrativa. I politici e i diri-
genti, quasi sempre, hanno deciso di non offrire una
sponda vera ai realizzatori delle reti civiche, per evitare
l’ostilità della burocrazia che non ama l’innovazione. I
realizzatori delle reti civiche, dal canto loro, hanno forse
talvolta peccato di ingenuità, sottovalutando il problema
della gestione del cambiamento che le nuove tecnologie
consentono, ma non garantiscono.
Per gli amministratori, nella maggior parte dei casi, le
reti civiche hanno rappresentato un’opportunità per mo-
strarsi moderni in occasioni di convegni e di tavole ro-
tonde. Del resto, l’imperante liturgia della parola garanti-
sce un valore alla mera natura cartacea dei progetti, qua-
si a prescindere dalla loro realizzazione. Non è andata
meglio a chi, con coraggio, ha tentato la strada della rete
civica realizzata più o meno “dal basso” e senza il coin-
volgimento diretto dell’amministrazione. In quel caso,
l’autoreferenzialità delle discussioni in rete è stata totale:
gli amministratori non erano presenti, e non erano nep-
pure tenuti ad esserlo.
Il dibattito sulle reti civiche è stato allora inutile? Sen-
z’altro no. Ha posto una serie di problemi rilevanti. Ha
consentito delle realizzazioni talvolta mediocri, ma mai
inutili, soprattutto perché hanno permesso alle città, ai
loro abitanti e agli amministratori, di acquisire qualche
familiarità con la nuova tecnologia. Che, essendo nuova
per davvero, necessita di un complesso processo di so-
18•
cializzazione. Oggi però questo dibattito è invecchiato,
insieme alle aspettative che aveva alimentato. Per que-
sto motivo, il funerale delle reti civiche conviene cele-
brarlo senza esitazioni. Sarà meglio per tutti noi: un fu-
nerale oggi eviterà che domani si debba ancora assistere
a discussioni che si iscrivono alla categoria, mai vuota,
dei dibattiti inutili.
Gli stessi limiti del dibattito sulle reti civiche indicano
una nuova direzione di marcia. Laddove le reti civiche
hanno mostrato una delle loro principali inadeguatezze,
nella difficoltà di integrarsi con l’amministrazione vera
della città, hanno contribuito a chiarire, insieme, la cen-
tralità del problema della riforma delle Amministrazioni
Pubbliche, e il possibile ruolo delle tecnologie al loro in-
terno. Al pari dell’energia elettrica all’inizio di questo se-
colo, Internet oggi è quel che gli studiosi dei processi di
diffusione delle tecnologie chiamano una “general pur-
pose technology”: una tecnologia che influenza diretta-
mente la generalità degli ambiti dell’attività umana. Tra
questi ambiti vi sono tutte le attività che, in un modo o
nell’altro, sono riconducibili alle città e alla vita civica.
Più che continuare a discutere di reti civiche, convie-
ne definire concretamente le trasformazioni della vita ci-
vica che desideriamo e che possiamo ottenere per mez-
zo delle nuove tecnologie. Queste trasformazioni posso-
no tradursi in obiettivi molto concreti, come lo “sportello
unico” per il cittadino o per le imprese, oppure possono
prendere la forma di aspirazioni più generali, quali l’au-
mento della partecipazione alla vita civica e del capitale
sociale dei cittadini.
In questo senso, la rete civica rappresenta semmai
uno strumento, ma non un obiettivo. Per di più, si tratta
di uno strumento dalla natura ambigua, perché di esso
si sono date molte definizioni spesso contrastanti che
hanno contribuito a rendere più difficile un giudizio di
merito su quanto è stato effettivamente realizzato. Pro-
viamo oggi ad indurre gli attori rilevanti a definire con
chiarezza gli obiettivi che di volta in volta si pongono, e
separatamente la strategia, che possiamo chiamare di
“virtualizzazione”, necessaria per avere successo. Proce-
dendo in questo modo, saremo in grado di individuare i
successi e gli insuccessi con maggiore precisione rispet-
to a quanto avviene oggi.
È impostato secondo questi principi il recente piano
di azione del Governo. Nella sua parte sul “governo elet-
tronico”, esso elenca con chiarezza una serie di obiettivi
concreti, l’orizzonte temporale previsto per il loro rag-
giungimento, e la “strategia di virtualizzazione” indivi-
duata per ciascuno di essi. In corrispondenza delle sca-
denze dichiarate, sarà possibile giudicare il Governo per
quel che avrà fatto. Non è necessario essere d’accordo
con gli obiettivi individuati, ma è importante potere di-
stinguere chiaramente tra le intenzioni, che sono giudi-
cabili sin da ora, e la capacità di realizzazione, che sarà
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
19•
valutabile a tempo debito. Può sembrare una questione
ovvia, ma purtroppo non lo è stata sino ad ora.
Spendiamo il nostro tempo per indurre tutti gli am-
ministratori a procedere in modo simile. Evitiamo di for-
nire loro un alibi, e quel nascondiglio dalle responsabili-
tà che si trova dietro alla cortina di una discussione fu-
mosa.
L u c i o P i c c i
21•
D a r i o D e J a c o
E-government, cioè la (solita)burocrazia a 155Mbyte
di Dario De Jaco
Premetto che, secondo me, le reti civiche organizzate
o compartecipate dai Comuni non sono né sono mai
state reti civiche ma iniziative demagogiche o meri stru-
menti di “propaganda” delle Pubbliche Amministrazioni.
Al di là di illusioni vetero-qualcosa, credo sia necessario
smettere di tentare di accollare alle Pubbliche Ammini-
strazioni compiti non loro ma della componente politica
del Paese.
Sono d’accordo con alcune affermazioni del testo di
Luisi, a cominciare da quella che dice: “La rete civica
non può nascere da un adempimento normativo”; anzi,
a questo proposito, mi permetto di segnalare che, oltre
le considerazioni g ià fatte nel testo, nella legge
150/2000, “Disciplina delle attività di informazione e di
comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni”, art. 8
comma 2 lettera c), dove si dice “promuovere l’adozio-
ne di sistemi di interconnessione telematica e coordina-
re le reti civiche” si commette un errore ancora maggio-
re, poiché con questo viene normato un dovere proba-
bilmente contraddittorio con la Costituzione stessa, pro-
ponendo che la PA debba intervenire nel coordinare at-
tività di libere associazioni di cittadini. A meno che non
si intenda, invece, ribadire che l’URP debba essere l’uni-
ca forma di comunicazione della struttura della PA verso
l’esterno; cioè che sia una norma che nasce per aiutare
gli URP a non farsi fagocitare da iniziative di comunica-
zione di parti della PA stessa che lavorino in modo
scoordinato. Problema assai vero, che però non si af-
fronta con una legge ma con la (mitica) riorganizzazio-
ne della PA.
Perché un’organizzazione spontanea di cittadini (cioè
un’iniziativa civica) che si associano attraverso sistemi
telematici dovrebbe essere coordinata dal Comune?
Inoltre, ha ancora senso nella dimensione senza spazio
di Internet pensare ad un “coordinamento” territoriale?
Il contatto con l’Amministrazione (“il primo e più con-
tinuo incontro del cittadino con il sistema politico”) non
è né casuale né spontaneo. Chi entra in contatto con la
PA lo fa solo perché costretto da qualche adempimento
di legge e non perché andare in Comune sia una bella
cosa, magari da fare spesso. Di conseguenza il contatto
è sempre conflittuale.
È utopistico pensare di affrontare la riduzione del gap
informativo, che divide la PA dai sudditi della stessa, con
mezzi tecnologicamente più nuovi ma ininfluenti sulle
capacità di riorganizzazione e di governo della PA. Non ci
saranno informazioni utili o interessanti, in rete, finché le
Amministrazioni continueranno a pensare che i dati da
loro gestiti siano di loro proprietà.
22•
La partecipazione politica (alle decisioni di governo
locale o nazionale) è tutt’altra cosa. La PA direttamente
o indirettamente non c’entra niente, essendo il suo com-
pito quello di attuare (e non di decidere) le scelte fatte.
In questo senso, quindi, è sbagliato parlare di reti ci-
viche come sinonimo di “democrazia elettronica”, ap-
proccio sostanzialmente paternalistico e fuorviante, così
come era fuorviante parlare di “libertà di espressione”
negli anni dell’esplosione delle televisioni commerciali,
contribuendo paradossalmente in questo modo alla di-
fesa dei monopoli in corso di costruzione.
La “democrazia elettronica”, come è stata vissuta in
Italia, è una forma modernista di riproposizione di un
antico mito: la presunta democrazia diretta della demo-
cratica Atene periclea. Si tratta invece - di nuovo - di pia
illusione illuministica che non ha mai funzionato, nean-
che nell’Atene periclea (in genere finisce nelle piazze
osannanti e con sinistre sembianze - quando va bene -
di peronismo).
La partecipazione alle decisioni (politiche in senso la-
to) è sicuramente favorita dagli strumenti di telecomuni-
cazione ma non è possibile se non c’è una decisione
concreta di discussione reale sui problemi da affrontare.
Il Piano Regolatore in rete (esperienza che qualcuno ha
già fatto) è sicuramente utile. Se però va in rete dopo le
decisioni, è una buona informazione, ma non un ele-
mento di dibattito e di partecipazione alla formazione
delle scelte. Tutt’altro sarebbe se, prima di decidere, le
proposte fossero rese esplicite (magari in forma com-
prensibile, perché anche il linguaggio è una bella barrie-
ra: che mi importa delle delibere in linea, se neanche un
avvocato ne comprende il senso?).
Un approccio “ingenuo” (del tipo “la rete apre la ca-
pacità di comunicare”) mistifica il problema vero che è
la capacità di comprendere ed esigere i propri diritti, co-
prendola con una presunta e generica voglia di comuni-
care non finalizzata ad alcunché.
Il problema è diffondere non gli strumenti (“spazio a
chiunque voglia dire e fare, poi il mercato ci penserà”),
ma le capacità autonome di progettare, realizzare e ge-
stire progetti interessanti di comunicazione, favorendo lo
sviluppo di sistemi di interconnessione a basso costo,
senza però entrare nel merito delle iniziative “private”.
Chiunque abbia delle cose da dire deve essere mes-
so in grado di farlo (il che non significa che chiunque
abbia la favella, o il personal computer con un modem,
abbia anche delle cose da dire), con un aiuto concreto
nella realizzazione dei propri progetti e delle proprie
proposte.
Quelle reti civiche sono morte? Bene! Anzi meglio! È
morta con loro l’illusione (non sempre così ingenua) che
la telematica avrebbe ricostruito un rapporto “politico”
(probabilmente vecchio e sicuramente demagogico) che
non c’è più.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
23•
G i u s e p p e C a r a v i t a
Rete civica: palestra di passione civile
di Giuseppe Caravita
È molto facile gettare la spugna quando la battaglia
non la si è nemmeno combattuta. Questa è a mio avviso
la lezione, espressa in termini un po’ crudi, del fallimen-
to indubbio delle cosiddette e sedicenti reti civiche pro-
mosse direttamente dalle Amministrazioni comunali, in
particolare del centro-nord.
Costruire delle autentiche comunità è - lo affermo
per esperienza - un compito difficilissimo. L’organismo
comunità deve crescere per sua propria forza positiva in-
terna. Oppure, semplicemente, muore (o non nasce
nemmeno).
Bisogna creare un processo virale, innescarlo, lasciar-
lo crescere con attenzione, rispetto e costanza, seguirlo,
sostenerlo, arricchirlo ogni giorno di nuovi spunti. Mai
prevaricarlo o controllarlo. Accettare in silenzio anche
sconfitte personali. Sono necessarie risorse umane, forte
dedizione, resistenza agli incidenti di percorso, creatività
continua, motivazione diffusa, determinazione quasi ma-
niacale, allegria, ironia, auto-ironia. Sulla rete, che è bidi-
rezionale, siamo tutti praticamente alla pari. Ci teniamo
assieme sulla qualità delle nostre interazioni.
Ha la pubblica amministrazione italiana, anche nelle
sue migliori punte, un interesse tanto forte da suscitare
in sé tali fattori in modo permanente?
A sette anni di distanza la mia risposta è, francamen-
te, no. È la lezione che ho personalmente tratto dal pro-
blema posto in questa discussione.
Il soggetto per la creazione di un sistema di comunità
di rete italiane aperte e democratiche non può essere e
non sarà mai il funzionario pubblico, per quanto “eroe
locale” possa dimostrarsi. Sarà sempre soggetto a un
“regolamento”, a un Dna “altro” dalla rete. Né il politico,
che finora da Internet (salvo qualche cartellone pubblici-
tario web) si è tenuto sostanzialmente alla larga. Posso-
no sì contribuire e partecipare, e potentemente. Ma le
comunità non appartengono alle istituzioni, ma a chi le
nutre e vi evolve giorno dopo giorno. Sono il più puro e
nuovo dei beni collettivi.
Diciamocelo chiaro. Le reti civiche nacquero come
progetto politico nel 1992-93 e come naturale estensio-
ne sulla rete del grande movimento sorto con Mani Puli-
te. Il controllo democratico e diffuso dal basso era ed è
una necessità per questa Repubblica, tuttora infeudata,
poco trasparente, ingessata nelle corporazioni, nelle rigi-
dità, nel suo catenaccio difensivo.
Si cercò di creare uno strumento nuovo di evoluzione
degli italiani. E contemporaneamente, a Milano e Bolo-
gna, due gruppi quasi ignari l’uno dell’altro spontanea-
mente si mossero. I milanesi in una situazione politica-
mente non facile (a quel tempo la Lega dominava la cit-
24•
tà e il Nord), i bolognesi invece con l’aiuto pieno e l’ap-
poggio di quella che era generalmente ritenuta come la
più avanzata amministrazione di sinistra italiana.
Eppure già tre anni dopo il sogno di un grande siste-
ma di comunità civiche centro-italiane era sostanzial-
mente svanito. Iperbole non riusciva ad innescare il pro-
cesso virale chiave, ovvero la formazione spontanea di
contenuti, conferenze, attività, “giochi” liberamente pro-
mossi dal basso dai cittadini. Cominciava progressiva-
mente a rinchiudersi in una logica (classica e naturale
per le Amministrazioni, per carità) di servizi offerti dal
Comune, dal palazzo locale verso i cittadini. Modena
sceglieva solo questa strada: servizi (impeccabili) ma
non comunità. E così Siena, e Torino che offriva soltanto
una “bacheca”, a fronte di ottimi servizi. Il resto d’Italia
apprese la lezione. In primis Roma, che abbandonò ogni
progetto in materia. Le “strane” comunità lombarde fu-
rono messe in un canto, nelle appendici delle ricerche. Il
termine “rete civica”, tanto caro al modernismo della si-
nistra, fu usato per coprire un po’ di tutto. Dai piccoli siti-
brochure di un paese fino ai servizi su carte elettroniche.
Non voglio demonizzare nessuno, ma mi pare chiaro
dove si è sbagliato. La sinistra ha tentato, politicamente,
di delegare alle sue Amministrazioni la costruzione della
partecipazione in rete e della nuova, possibile, democra-
zia. Quando invece i soggetti dovevano essere altri: i gio-
vani intellettuali, le scuole e università, il volontariato, i
movimenti. E, semmai, su questo fiorire dal basso dove-
va (e tuttora può) innestarsi il contributo determinante
delle amministrazioni, in termini di progetti, servizi utili,
valore concreto, soluzioni e accessi.
L’approccio “milanese” ha avuto questa fortuna: sa-
per combinare in un “gioco a guadagno condiviso” la
qualità didattica e di ricerca in vivo di un laboratorio uni-
versitario con la voglia di creatività sociale. Risultato: gio-
vani studenti e ricercatori di prim’ordine (e motivati an-
che per il futuro della loro professionalità) si sono incon-
trati con auto-selezionati cittadini di prim’ordine, traen-
done reciproca co-evoluzione (non senza conflitti e criti-
cità, beninteso). Ma, per dirla in chiaro, quale ammini-
stratore pubblico avrebbe voglia e tempo di accollarsi la
delicatissima gestione di un aderente nazista sulla rete
(e ce ne sono) senza devastare con un atto di rigida au-
torità la paziente costruzione di una comunità che co-
mincia ad auto-governarsi, una comunità tenuta assieme
solo dalla fiducia e dall’entusiasmo reciproco. No: pro-
cessi di questo tipo esulano dalla sfera della comunica-
zione pubblica e dai suoi profili professionali. Afferisco-
no a qualcos’altro: alla passione civile, a quello che un
tempo si chiamava “impegno”, termine oggi démodé.
Concetto non molto sentito dalle giovani generazioni.
Facile chiudere oggi la partita parlando di “portali cit-
tadini” come esito nuovo. Facile e scontato. Tutti fanno
portali al giorno d’oggi. Yahoo ha insegnato che aggre-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
25•
gare utilità in rete funziona. Bisogna però vedere quanto
e come un “portale” è veramente utile, o non è piuttosto
fuffa. Fino ad oggi ne conosco solo uno per esperienza:
il pagamento in rete del bollo auto sul sito Aci.
Ma le reti civiche, quelle autentiche, sono e possono
essere molto di più.
Possono essere l’anima attiva della Internet italiana, il
catalizzatore di un nuovo stato sociale. Di una trasmis-
sione positiva di valori civili e di libertà autentica tra ge-
nerazioni. Ben al di sopra di Sinistra e Destra.
La rete civica è infatti di tutti. Ovviamente fatta salva
l’osservanza della sua regola (Galateo).
Il resto lo fanno gli aderenti in rete. E nel caso nostro
lo hanno fatto bene, anzi meravigliosamente, conside-
rando che nel 94 Rcm partì, per pura scommessa, con
un Mac e due modem e oggi ha quasi 10mila utenti e
oltre 1500 spazi creativi costruiti da loro.
Faccio alcuni altri esempi: perché e come è nata, in-
torno ai siti ecologisti e consumeristi di Internet, la gran-
de opposizione sfociata a Seattle?
Come, e come mai il popolo giovanile più radicale,
dei centri sociali, utilizza la rete come sua risorsa chiave?
Hanno avuto bisogno di amministrazioni, regolamenti in
linea, qualche decina di conferenze strettamente con-
trollate?
Questo potenziale dal basso della rete si esprime
ogni giorno, a dispetto della massiccia pressione perché
tutto si commercializzi. Già oggi Internet è, in un certo
senso, una enorme “rete civica”, capace di controllare i
poteri del mondo.
L’articolo di Fiorella De Cindio credo spieghi bene l’e-
voluzione di Rcm e delle altre reti civiche lombarde. Io,
che su Rcm sono solo uno dei 300 suoi moderatori vo-
lontari, mi limito a una sola constatazione. Chi, a distan-
za di sette anni di continuo lavoro, ha tenuto davvero in
piedi la comunità è stato innanzitutto il suo “motore”.
Ovvero il laboratorio universitario, il Lic, sorta di “porto
di mare” in cui sono confluite le competenze di giovani,
tenaci e straordinari tecnologi, di cittadini che hanno
scoperto le nuove possibilità di espressione autonoma
in rete (vedi il caso dei 4000 bambini di Scopri il Tesoro
e dei loro incredibili insegnanti), di amministratori illu-
minati che ci hanno capito e appoggiato, anche da
sponde politiche inaspettate.
Tutto ciò ha fatto sinergia, ha fatto gioco a guada-
gno condiviso, ha creato formazione qualificata e con-
creta per gli studenti, alfabetizzazione di massa (ho
personalmente stimato circa 50mila utenti formatisi
nelle reti civiche lombarde dell’Airec, con la spesa di
pochi amministratori e server), nuovo valore sociale.
Ha messo in moto e sostenuto, quantomeno finora, il
cruciale processo virale di creazione e di sostentamen-
to della comunità attiva. Che oggi, in gran parte, auto-
governa la stessa Rcm.
G i u s e p p e C a r a v i t a
27•
A l e s s a n d r o Vo l p i
Rete civica: giù la maschera.
di Alessandro Volpi
Se la rete civica è finita oppure è viva e lotta insieme
a noi non saprei dirlo, certo è che nei convegni deputati
alla discussione su questo tema aleggia una stanchezza
che ogni volta si fa più tangibile. Leggendo i report che
riportano annualmente il quadro dello sviluppo (o della
stagnazione) delle reti civiche nasce di frequente il so-
spetto che le classifiche riportate in merito alle diverse
esperienze italiane siano state spesso elaborate senza
nemmeno consultare materialmente il sito in questione,
e desunte quasi unicamente da una riclassificazione di
complessi questionari che un funzionario di turno ha
compilato in modo più o meno diligente.
La rete civica dunque non fa più notizia? Ha perso il
suo appeal per essere materia di convegno? Probabil-
mente sì, e questo può essere un bene perché vuol dire
che forse è diventata una commodity. È un po’ esagera-
to il paragone, ma è certo che a nessuna persona di
buon senso verrebbe in mente di organizzare oggi un
convegno sul fatto che alzando la cornetta del telefono
troviamo la linea libera o sul fatto che spingendo un in-
terruttore si accende la luce. Forse è morta la rete civica
come l’abbiamo conosciuta, ma di chi stiamo parlando?
dei soliti addetti ai lavori o delle persone che la consul-
tano? Ho l’impressione che di queste ci si sia spesso di-
menticati. Nella Pubblica Amministrazione infatti persi-
ste una scarsa abitudine a fare indagini di mercato
mentre invece ogni tanto potrebbe essere interessante
sapere che cosa ne pensano gli altri e magari che cosa
si aspettano.
TellNet, la rete civica del Comune di Pesaro, nasce
nel 1996 e la sua storia è costellata da molte difficoltà e
da qualche successo, difficoltà e successi talmente simili
a quelli che hanno connotato l’esperienza di tante altre
città italiane che non vale la pena di soffermarsi più di
tanto. Andando indietro con la memoria, ricordo che al-
lora non avevamo un’idea particolarmente precisa di che
cosa volevamo fare e immaginavamo la rete civica so-
prattutto come una sorta di prolungamento telematico
dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Era dunque il tema
della trasparenza quello che ci guidava, mentre non pen-
savamo (almeno fino alla fine del 1997) alla reale possi-
bilità di erogare servizi digitali a valore aggiunto.
Riguardando ai 3 modi che Doug Schuler1 identifica
per uccidere una Community Network e ai 3 che posso-
1 Per Schuler i tre modi per salvare un’esperienza di community network sono: “considerare la community network come un work-
28•
no salvarla debbo dire onestamente che noi abbiamo
confezionato un cocktail di tutti e 6 gli ingredienti. Ab-
biamo di certo concepito la nostra rete come un servi-
zio di pubblica utilità (kill) e siamo sempre stati convinti
che forse un work in progress (save), così come erava-
mo (e siamo) convinti che dietro una rete ci dovesse
essere un serio progetto tecnologico (kill); abbiamo
realizzato alcuni incontri con gli utenti di TellNet per ri-
cevere stimoli alla progettazione (save), abbiamo tenta-
to, e fallito quasi completamente, di fare sì che la rete
fosse parte di un movimento sociale (save). Infine, pro-
prio in questi giorni, stiamo ragionando intorno all’idea
che la rete civica possa essere anche un momento di
business (kill).
Quando cominciammo a discutere degli obiettivi che
il Sindaco, la Giunta e l’Amministrazione in generale vo-
levano raggiungere con la creazione di una rete civica
stabilimmo due grandi direttrici: fornire servizi ai cittadini
e alle imprese da un lato e creare un luogo di dibattito
politico dall’altro, con l’intento e la speranza di riavvici-
nare i cittadini alla politica ed in particolare di riuscire a
dialogare con quella fascia, rappresentata dai giovani,
che appare particolarmente lontana; se il primo obietti-
vo è stato raggiunto con buona approssimazione2 (e
sempre più lo sarà con la prossima disponibilità di servi-
zi transazionali), il secondo è stato, per usare un eufemi-
smo, ben al disotto delle aspettative. Capirne le motiva-
zioni non è facile, soprattutto se si tiene conto che nel-
l’Ente non la pensiamo tutti allo stesso modo né diamo
tutti la stessa valutazione dei risultati ottenuti. Riavvicina-
re i cittadini alla politica è un processo molto difficile
(tanto che qualcuno pensa sia arrivata ormai l’ora di
cambiarli un volta per tutte questi cittadini) ma soprat-
tutto non si può pensare che uno strumento di traspa-
renza (per altro non completa), come è una rete civica,
possa sovvertire di colpo uno stato di grande disagio.
Abbiamo per molti anni convinto i nostri cittadini che
dovevano tacere, ed ora pretendiamo di convincerli che
è arrivato il momento di parlare e che, per di più, il loro
parlare, la loro progettualità, la loro disponibilità a parte-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
in-progress, considerare la community network come una comunità che partecipa alla progettazione, considerare la community
network come parte di un movimento sociale”; la strategia per uccidere l’esperienza di una community Network ha tre regole di si-
curo effetto: “considerare la community network come un qualsiasi altro servizio di pubblica utilità, quale gas o elettricità; conside-
rare la community network come un’occasione di business; considerare la community network come un progetto tecnologico”.
2 Al recente Forum della Pubblica Amministrazione, TellNet è stata premiata come prima rete civica in Italia per la firma digitale, e
seconda al sito del Ministero delle Finanze.
29•
cipare sarà in grado di modificare realmente il governo
della cosa pubblica. Credo in sostanza (ma qui è proprio
a titolo personale che parlo) che dobbiamo abbassare
un po’ il tiro, senza diminuire la tensione, e accontentar-
ci magari di dare alla gente una Pubblica Amministrazio-
ne un po’ più efficiente e un po’ più consapevole della
loro sovranità.
Volendo ripercorrere, anche se molto celermente, la
storia attraverso la quale si è articolato lo sviluppo di
TellNet3, si possono identificare 3 stadi:
l la rete come sito biblioteca: TellNet contiene un nu-
mero di informazioni davvero consistente sull’Ammi-
nistrazione4 e sulla città. Presenta inoltre link a molti
altri siti, e fornisce infine una rassegna di più di 1000
siti consigliati; pur ribadendo il principio del work in
progress questo stadio è stato sviluppato con succes-
so. Sempre sul tema della trasparenza vale la pena di
citare un side effect prodotto dalla rete civica: l’Intra-
net dell’ente oggi molto sviluppata e molto utilizzata
dai dipendenti. Si parla di opacità verso l’esterno e ci
si dimentica che all’interno della Pubblica Ammini-
strazione c’è spesso un analogo bisogno di traspa-
renza;
l la rete come luogo di dialogo e di dibattito: mentre
la posta agli uffici e agli assessori è utilizzata con una
certa frequenza (ivi compresi alcuni pesaresi residen-
ti all’estero), i gruppi di discussione sono andati so-
stanzialmente deserti;
l la rete come mezzo per servizi digitali a valore ag-
giunto: sono quasi tutti in fase di avanzata progetta-
zione e riguardano le forme di pagamento on-line
(tributi, multe, rette, ecc…), le transazioni contrattuali
(iscrizione dei bambini agli asili, ad esempio) o le di-
chiarazioni (dichiarazioni di inizio o fine lavori, ecc.).
Proprio sulla scorta dello sviluppo dei servizi digitali a
valore aggiunto stiamo valutando da alcuni mesi l’ipotesi
di passare da una rete civica tradizionale ad un portale
cittadino e contemporaneamente stiamo anche conside-
rando l’ipotesi di costituire una società pubblica (per il
momento) cui affidare la mission dello sviluppo di que-
sto progetto.
Il progetto prevede la messa a punto di un metapor-
A l e s s a n d r o Vo l p i
3 La maggior parte dei nomi delle reti civiche richiama una qualche interpretazione: la radice Tell deriva dal fatto che un’importan-
te opera lirica del pesarese Gioacchino Rossini è il Guillaume Tell, ma in inglese “tell” vuol dire “dimmi”, prefigurando dunque nel
nome una certa propensione all’ascolto.
4 Oltre a numerose pagine html di tipo statico il sito permette la consultazione di una decina di database dell’Ente.
30•
tale cittadino e di una serie di portali verticali per lo più
orientati ai temi dell’e-government (il Comune, la sanità,
l’Università di Urbino, ecc.), ma aperto anche ad oppor-
tunità di e-commerce. La business idea che è alla base
di queste valutazioni ruota intorno al seguente interroga-
tivo: è possibile costruire un business basato prevalente-
mente su contenuti monopolistici a carattere pubblico
senza che con questo si perda l’identità istituzionale de-
gli enti che detengono i contenuti? Non c’è un’unica ri-
sposta, ma noi ci proviamo.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
31•
M a r i e l l a G r a m a g l i a
Ripartire dal basso senza la PubblicaAmministrazione
di Mariella Gramaglia
C’è una circoscrizione del Comune di Roma dove
qualche tempo fa è stato attivato un piccolo progetto
sperimentale di organizzazione del lavoro. Gli assistenti
domiciliari in organico nella zona hanno predisposto,
per alcuni mesi, una bacheca elettronica dove inserire,
ed aggiornare, le informazioni relative alle condizioni dei
loro assistiti in modo che il collega successivo potesse
essere messo al corrente dello stato del paziente prima
di arrivare sul posto. L’iniziativa pare sia stata accolta con
favore dagli stessi anziani, tanto che qualcuno ha comin-
ciato ad alfabetizzarsi con le tecnologie informatiche per
comunicare con il gruppo degli assistenti. Che cosa c’en-
tra tutto questo con le reti civiche? Apparentemente
niente; in realtà moltissimo e vedremo perché.
Per cominciare una discussione proficua sulle reti ci-
viche e sul loro futuro è opportuno chiarire subito una
questione nodale, almeno dal mio punto di vista. Non
esiste l’esperienza delle reti civiche italiane, così come
non esiste un’esperienza olandese o tedesca tout-court.
Esistono invece delle esperienze, che hanno storie, ca-
ratteristiche ed anche futuri probabilmente diversi. La re-
te civica di Roma, che fa riferimento ad una comunità di
quasi cinque milioni di abitanti, se comprendiamo tutto
l’hinterland, certo non potrà organizzarsi ed avere uno
sviluppo simili a quella della città di Siena. E non è solo
un problema di numeri, ovviamente. Alla specificità di
ogni rete concorrono molti altri fattori, storici, culturali,
finanche lo stile di vita di una comunità.
Ecco perché, alla domanda sul futuro delle reti civi-
che in Italia, risponderò partendo dalla nostra esperien-
za, quella di romacivica.net del Comune di Roma.
La rete civica di Roma fa la sua apparizione sul web
nel 1995, circa un anno dopo il primo esperimento ita-
liano di Bologna. Lo spirito con il quale nasce romacivi-
ca.net si può riassumere in due punti. Il nostro obiettivo
primario è stato quello di dare vita ad un nuovo spazio
di democrazia all’interno del quale far crescere la comu-
nicazione tra istituzioni e cittadini e dare impulso, al
contempo, alla partecipazione civile. Contestualmente ci
siamo impegnati affinché la rete civica potesse fare da
volano alla diffusione di una cultura telematica e multi-
mediale tra i cittadini.
Uno dei nostri primi programmi è stato infatti quello
di consentire alle scuole di Roma l’accesso ad Internet, e
in questi mesi stiamo concludendo un grande progetto
internazionale per la promozione della multimedialità
tra i giovani, una sfida mondiale al progetto più innovati-
vo.
Sin dai primissimi anni di sperimentazione della rete
32•
civica la nostra scelta è stata quella di mantenere e valo-
rizzare l’esperienza telematica delle bbs, molte e molto ra-
dicate nel comune di Roma, e di dare un ampio spazio di
manovra alle associazioni che sono, da sempre, una parte
vivacissima, e indispensabile, della nostra comunità.
Oggi romacivica.net conta una media di settecento-
mila visite al mese - sono otto milioni gli accessi totali
insieme al sito comunale - e ospita già oltre duecento
soggetti, fra scuole, gruppi di discussione e associazioni.
E sono loro, non c’è dubbio, il futuro di questa rete civi-
ca. Non solo perché non possiamo permetterci con i no-
stri cinque milioni di abitanti l’ambizione di Bologna: “un
accesso e un computer per ogni cittadino”. I bisogni e la
storia della nostra città sono diversi e troppo più com-
plessi. E le risposte a quei bisogni, scusate la presunzio-
ne, devono aiutarsi con un aggiunta di eclettismo e crea-
tività. Ecco che ritorniamo a quella circoscrizione di Ro-
ma, a quella piccola comunità di assistenti ed anziani
che hanno sperimentato per via telematica il modo di
prestare, e ricevere, una migliore qualità di cura.
La rete civica è viva? Questa rete civica, romacivica.net,
vivrà se riuscirà a seguire la nuova strada che io definisco
del “concorso di idee”, staccandosi man mano dall’ammi-
nistrazione centrale, autorganizzandosi e autoriproducen-
dosi. Perché siano le associazioni stesse, ad esempio, a
proporre e a gestire, attraverso la rete, servizi specifici per i
cittadini. Come ci insegna l’esperimento di quella circo-
scrizione.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
33•
P a o l o S u b i o l i
Le reti civiche sono morte. Viva le reticiviche!
di Paolo Subioli
Si sente parlare ultimamente di crisi delle reti civiche,
se non addirittura di fine imminente: un’ipotesi che può
apparire eccessiva, dal momento che le reti civiche sono
applicazioni recenti di una tecnologia molto giovane, de-
stinata, a parere di tutti, ad una diffusione universale e
capillare. Le prime sperimentazioni in questo campo ri-
salgono al 1993-94 e da allora, tra mille difficoltà, è stata
fatta molta strada: i decisori politici sono molto più inte-
ressati alle nuove tecnologie e il recente boom di Inter-
net nel nostro Paese fa sperare in un significativo allar-
gamento dell’utenza.
Eppure, non è senza significato che si parli di “crisi” o
di “fine”. A ben guardare, innanzi tutto, tra coloro che si
preoccupano maggiormente delle sorti delle reti civiche
ci sono proprio i loro responsabili, i promotori e gestori
dei servizi on line degli Enti locali. La mia opinione, di
osservatore esterno e un po’ cinico, è che queste perso-
ne, abituate per anni a vedere premiate le proprie batta-
glie all’interno delle Amministrazioni con continui rico-
noscimenti (soprattutto esterni) del proprio ruolo di in-
novatori, non sappiano più cosa inventarsi per tenere i
riflettori puntati su un settore i cui annunci riscuotono
sempre meno interesse, e dal quale ci si aspetta piutto-
sto risultati concreti. Quanti cittadini italiani, in sostanza,
oltre a comprare un libro on line possono andare sul
web per pagare l’ICI, iscrivere il figlio a scuola o comuni-
care alla Pubblica Amministrazione di aver cambiato ca-
sa?
Dopo la fase pionieristica, caratterizzata da redazioni
Internet isolate all’interno dei propri Enti e oberate di la-
voro per mantenere sempre un livello decente di aggior-
namento, si sta aprendo la ben più impegnativa prospet-
tiva dell’e-government, ovvero della piena e integrale in-
formatizzazione del lavoro amministrativo, sia interno
che tra Amministrazioni. Una strada che contempla la
realizzazione delle intranet degli Enti come della extra-
net dell’intero settore pubblico, l’adozione del protocollo
informatico come dell’archiviazione digitale dei docu-
menti, l’informatizzazione delle singole postazioni di la-
voro come la gestione elettronica dei rapporti con i citta-
dini, eccetera.
In questo senso, certamente è legittimo parlare di fi-
ne delle reti civiche, se con questo termine si intendono
le sperimentazioni sino ad oggi compiute per dare ai cit-
tadini nuovi servizi on line di interesse pubblico. Non è
più tempo di sperimentazioni, pertanto, ma di “reinven-
tare” il governo della cosa pubblica, alla luce dei nuovi
paradigmi di rete che si stanno affermando in tutta la
società, riorganizzando l’intera catena del valore che in-
34•
teressa le Pubbliche Amministrazioni, dal rapporto coi
fornitori a quello con i propri clienti (i cittadini), analoga-
mente a quanto le imprese dovrebbero fare rispetto al-
l’e-business.
Ma ci sono anche altri segnali, molto più palpabili,
che si sia chiuso un ciclo, per le reti civiche. Il più evi-
dente - forse anche il più grave, in quanto causa di crisi
d’identità - è legato all’importante ruolo di promozione
delle nuove tecnologie che le reti civiche hanno svolto
per tutta la seconda metà degli anni ’90, e che oggi non
è più necessario, perché tutti sanno che esiste Internet,
al quale si può accedere quasi gratuitamente e con mag-
giore facilità. Né può avvenire più che i responsabili In-
ternet dei Comuni agiscano indisturbati nell’indifferenza
generale, dal momento che ciascuno vuole dire la sua su
come deve essere fatto il sito, dall’assessore al responsa-
bile dell’ufficio stampa, senza dimenticare l’URP, legitti-
mato dalla recente legge 150/2000 a metter mano an-
che alla comunicazione interattiva. Presto verrà il giorno,
anzi, che l’opposizione in Consiglio comunale reclamerà
il potere di controllo sui contenuti del sito, per evitare
che si trasformi in strumento di propaganda per la coali-
zione in carica, come già molto spesso accade.
Le reti civiche sono morte, quindi. Viva le reti civiche!
Un nuovo ciclo si apre, meno pionieristico, certamente,
ma forse altrettanto glorioso, a patto che la generazione
emergente di comunicatori pubblici sappia raccogliere le
nuove sfide del decennio che viene.
1) Alfabetizzare all’uso delle nuove tecnologie è ancora
necessario, perché in Italia c’è ancora troppa poca
gente che sa usare il PC. La disponibilità in rete di
servizi utili può attrarre verso il web ulteriori neofiti.
2) La gente ha più fiducia nel proprio Comune che nella
maggioranza dei venditori attivi sulla rete. La presen-
za su Internet, specie se con servizi interattivi sicuri,
può incoraggiare i consumatori meno fiduciosi. Lo
stesso rapporto privilegiato può essere sfruttato per
certificare la qualità dei fornitori di contenuti e servizi
presenti su quei portali locali che le reti civiche sem-
pre più stanno diventando.
3) La firma digitale è ormai una possibilità concreta: la
normativa è pienamente operativa, ci sono i certifica-
tori iscritti all’albo, tra poco ci sarà persino la carta
d’identità elettronica. I dipendenti pubblici devono
essere dotati al più presto di certificati digitali, affin-
ché la digitalizzazione dei processi amministrativi di-
venti una realtà.
4) Le nuove tecnologie di accesso mobile alla rete (WAP
e GPRS, ma soprattutto UMTS) amplieranno notevol-
mente la base di utenza raggiungibile, mettendo let-
teralmente nelle mani di cittadini e amministratori in-
novativi strumenti per una piena comunicazione inte-
rattiva, dei veri e propri “URP portatili”.
Siamo pronti?
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
35•
F i o r e l l a D e C i n d i o
Le reti civiche: un futuro possibile
di Fiorella De Cindio
Mi è difficile concepire il contributo al dibattito
che Piero Luisi solleva sulla “fine delle reti civiche così
come le abbiamo sempre conosciute” come un eser-
cizio retorico: questa attitudine è forse possibile per
coloro che studiano ed osservano queste esperienze,
sia pure con (molta) partecipazione emotiva. Per chi
invece le porta avanti - giorno dopo giorno - da sei
anni, non si tratta di un esercizio, bensì della quoti-
diana necessità di chiedersi - giorno dopo giorno - se
quello che si sta facendo ha ancora senso o no, e
quanto potrà’ averne domani. In modo decisamente
poco emotivo, ma piuttosto colorato dai tratti della
concretezza e del vil denaro.
E non è neanche facile rispondere alla sua provoca-
zione in poco spazio e con il poco tempo che ci è stato
dato. Ma mi sono sentita in dovere di provarci a nome di
tutti coloro che ancora oggi dedicano allo sviluppo delle
reti civiche il loro tempo e il loro entusiasmo1. E mi scu-
so di non essere riuscita ad essere più concisa: ma è no-
to che per smontare anche un’accusa frettolosa ci vuole
un po’ di tempo.
Procederò per punti, seguendo in parte quelli proposti
da Luisi; e mutuando dal suo stile provocatorio una fran-
chezza che spero venga analogamente intesa come finaliz-
zata alla chiarezza. Iniziando dal refutare i fondamenti su
cui poggia l’atto di accusa: “La rete civica è morta!”. Il che
non implica in alcun modo che la telematica civica in Italia
non sia oggi davanti ad un importante punto di svolta: è
vero, infatti, che le scelte che si fanno in questa delicata fa-
se di passaggio saranno determinanti per il futuro di molte
delle iniziative avviate intorno alla metà degli anni 90.
1. Una reiterata confusione
L’analisi di Luisi prende avvio dall’intervento2 in cui
Doug Schuler, fondatore del Seattle Community Net-
1 Nel farlo, chiedo preventivamente scusa a tutti coloro le cui esperienze non ho potuto citare quanto avrei voluto, potuto e dovu-
to. In particolare mi riferisco alle reti civiche di A.I.Re.C. Lombardia che hanno arricchito l’esperienza di RCM con uno stimolante,
costante confronto. Ma il poco tempo che mi è stato dato per refutare l’atto d’accusa mi ha costretto a limitarmi principalmente a
RCM e a considerare le altre esperienze solo “di striscio”.
2 D. Schuler, Three ways to kill Community Networks, and three ways to save them…, Proc. First European Conference on Commu-
nity Networking, Milano, luglio 1997.
36•
work, discute del futuro delle community network. E
Luisi propone di rileggere quelle tesi “alla luce del
contesto italiano, che, rispetto al modello statunitense,
connota le reti civiche come esperienza in gran parte
promossa e maturata da parte di Amministrazioni
Pubbliche locali” facendone risalire l’origine alla “ado-
zione da parte del legislatore delle leggi su accesso,
trasparenza e partecipazione agli atti della Pubblica
Amministrazione” di cui “l’Ufficio Relazioni con il Pub-
blico avrebbe dovuto rappresentare il braccio operati-
vo”. Ma così facendo propone di applicare dei criteri
che Schuler ha sviluppato per esperienze nate dal bas-
so, avviate all’interno di o in contatto con luoghi di ag-
gregazione culturale - quali laboratori universitari e/o
biblioteche - radicati nelle comunità locali, o comun-
que indipendenti dall’Amministrazione e dal Governo,
a qualcosa di radicalmente diverso, cioè a iniziative
delle Amministrazioni Pubbliche che “adottano solu-
zioni telematiche per la gestione e distribuzione di
servizi”.
Alla radice di questa confusione - che si perpetua
da anni - c’è una questione terminologica: la scelta - di
cui credo di essere in parte responsabile3 - di “rete civi-
ca” per rendere l’idea che stava dietro i termini di
“community network” o “free net” (a cui Schuler fa rife-
rimento) e che non potevano essere tradotti in modo
letterale. Come il “senso civico” non dovrebbe essere
proprio della Amministrazione comunale, ma condiviso
dall’intera città, cioè dall’intera comunità locale in tutte
le sue componenti, così la scelta del termine “rete civi-
ca” voleva favorire l’idea che la rete civica fosse un luo-
go - virtuale ma strettamente intrecciato e con continui
scambi con la città reale su cui insiste - di tutti, di cui
nessuno è detentore: chi lo gestisce si fa in qualche
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
3 Scelsi prima il termine “informatica civica” per chiamare il Laboratorio di cui, nella primavera 1994, proposi l’apertura all’interno
del Dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università degli Studi di Milano per sviluppare progetti in quell’area che oggi
chiameremmo “applicazioni delle ICT alla società”, e che oltreoceano, ma anche in Europa, si è ormai andata chiamando commu-
nity informatics (si veda ad esempio la raccolta curata da Mike Gurstein dal titolo Community Informatics: Enabling Communities
with Information and Communication Technologies recentemente uscita da Idea Group Publ.). Già nel documento di proposta del
nuovo Laboratorio si dichiarava l’intenzione di promuovere la Rete Civica di Milano (RCM), che fu effettivamente avviata in fase
sperimentale, aperta a una cinquantina di utenti, anche esterni all’Università, nel luglio 1994, e fu resa operativa per il pubblico il
22 settembre successivo. Per rispondere ad una domanda di Luisi, credo dunque, di poter dire che RCM è stata la prima rete civica
attiva nel nostro Paese.
37•
misura garante del fatto che tutti abbiano in esso “dirit-
to di cittadinanza”. E se l’obiettivo di garantire il diritto
di cittadinanza telematica era sicuramente un obiettivo
condiviso tra le due prime esperienze italiane4 - la Rete
Civica di Milano e Iperbole di Bologna - anche se rea-
lizzato con scelte tecnologiche e “politiche” diverse5, al-
tre significative esperienze volutamente e coerente-
mente segnalavano fin nel nome la loro diversità: ad
esempio, a Torino si sottolineò chiaramente l’intento di
voler creare un “Servizio Telematico Pubblico”, cioè un
progetto con cui l’Amministrazione comunale si propo-
neva di realizzare servizi on line per i cittadini, di favo-
rirne l’accesso alla rete, ma senza la volontà di voler
promuoverne la “community”, la rete civica. Altri - molti
altri - però sono stati meno rigorosi: il termine “rete ci-
vica” per un certo periodo è stato un termine di suc-
cesso, un fiore all’occhiello che le Amministrazioni co-
munali volevano possedere a tutti i costi per dimostra-
re la propria capacità di innovazione. E, pur di averlo, si
chiamava “rete civica” anche la pura presenza su web
di qualche pagina di presentazione della città. Il che
non necessariamente era negativo perché dimostrava
comunque un’intenzione, era una sorta di “dichiarazio-
ne di intenti” che purtroppo però - in molti casi - non
ha avuto seguito: spesso la rete civica, più che “morire”,
non è mai nata.
In questo contesto sarebbe stato estremamente utile
che gli osservatori specializzati6 si facessero carico di
operare una chiarificazione evitando il perpetuarsi della
confusione tra “capre e cavoli”. Nonostante le molte, pri-
vate e pubbliche, sollecitazioni in tal senso, tanto il Cen-
sis nelle sue indagini annuali sulle “Città Digitali”, quanto
l’Osservatorio Reti Civiche non hanno intrapreso e favori-
to questa necessaria operazione chiarificatrice con la de-
F i o r e l l a D e C i n d i o
4 G. Casapulla, F. De Cindio, O. Gentile, L. Sonnante, Le Reti Civiche: una risorsa per la comunità, in “Problemi dell’informazione”,
anno XXIII, n.1, marzo 1998.
5 Oltre che nel lavoro già citato in nota 4, le diverse scelte tecnologiche sono discusse in: F. De Cindio, A. Grasso, L. Sonnante, V.
Cannada Bartoli, Scelte nel disegno di reti civiche nelle esperienze italiane e lombarde, Atti Congresso Annuale AICA, Milano,
1997.
6 Luisi cita in nota l’Osservatorio Reti Civiche e www.cittadigitali.it. Il primo è una iniziativa di Città Invisibile di cui da anni è re-
sponsabile Gennaro Zezza, mentre il secondo nasce nel 1999, come iniziativa di alcuni ricercatori tra cui lo stesso Zezza, Paolo
Subioli ed altri, sull’onda - ma non come diretta emanazione - degli omonimi rapporti curati nel 1997, 1998 e 1999 dal Censis per
conto di Assinform e RUR.
38•
terminazione, e direi la forza, che ci si sarebbe potuto at-
tendere. A tal proposito, è sgradevole ma doveroso ricor-
dare che più di una volta (anche se ne cito esplicitamen-
te solo una7) autorevoli esponenti del Censis, interve-
nendo sul tema delle reti civiche, hanno citato e portato
in palmo di mano iniziative in cui lo sviluppo della “com-
munity” era (ed è) davvero irrisorio, tralasciando, per
scelta, quelle a tutti note per la loro ricchezza di parteci-
pazione.
Per quanto ci riguarda, abbiamo fatto da tempo lo
sforzo di dare una definizione di rete civica, fin dall’av-
vio di RCM8, cercando poi di metterne a punto una
che inglobasse le diverse esperienze in atto in Italia e
all’estero9. Non riteniamo dunque di ripeterlo in que-
sta sede. Diversamente che in Italia (ma si sa che nel
Bel Paese nemo propheta in patria), all’estero il no-
stro sforzo “definitorio”, che sottolinea la natura dina-
mica dell’idea stessa di rete civica e la necessaria plu-
ralità di dimensioni lungo cui il suo sviluppo deve aver
luogo, è stato colto come un significativo contributo,
che ha anche consentito di interpretare l’evoluzione
dalle “free net” e “community network” della prima
ora (quelle associate nella NPTN, la National Public Te-
lecomputing Network, poi scioltasi) - erano politically
correct e rifiutavano qualunque interazione con Pub-
bliche Amministrazioni e settore business - a quelle
che oggi, in U.S.A. come in Canada e in Europa, cerca-
no di definire il proprio futuro attraverso un equilibrio
tra le diverse dimensioni - non profit, profit, istituzio-
nale - proprie di ogni società moderna, che caratteriz-
zano quindi anche la vita di ciascun individuo che in
essa vive e lavora.
2. I fattori di successo
RCM, la Rete Civica di Milano, è stata avviata al pub-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
7 Si veda, ad esempio, l’intervento di G. Roma, Le reti civiche ci consegnano le chiavi di una città più amica, apparso nel numero
speciale di Telema dedicato a “Burocrazia elettronica, società più civile” (anno V, n.19, Fondazione U. Bordoni).
8 Si vedano, ad esempio, i “principi ispiratori di RCM”, la cui sottoscrizione è richiesta ad ogni aderente all’atto della registrazione e
che sono rimasti sostanzialmente invariati (www.retecivica.milano.it/rcmprin.htm).
9 Una buona sintesi di questo sforzo di una precisa caratterizzazione di rete civica che tenga conto delle esperienze in atto si trova
nell’articolo già citato in nota 4 che è stato proposto a livello internazionale in occasione della “Second European Conference on
Community Networking”, Barcelona, luglio 1998.
39•
blico il 22 settembre 1994, come iniziativa del Labora-
torio di Informatica Civica del Dipartimento di Scienze
dell’Informazione dell’Università degli Studi di Milano,
con l’obiettivo di “mettere a disposizione dei cittadini
milanesi un ambiente telematico efficace e facile da
usare per favorire la comunicazione tra soggetti diversi:
cittadini e loro associazioni di fatto e di diritto, Enti
Pubblici e società che ne sono emanazione, aziende
che operano nei vari settori di mercato, operatori del-
l’informazione, e così contribuire a garantire nei fatti il
diritto alla cittadinanza telematica per tutti”. Non è
morta10, anzi è oggi una Fondazione di Partecipazione
(costituita nel dicembre 1998)11, cioè ha uno status
giuridico autonomo a cui concorrono gli Enti territoriali
(Regione, Provincia e Camera di Commercio; quanto al
Comune, siamo sempre in attesa) nel ruolo di fondato-
ri, alcune aziende come soci sostenitori, cittadini e as-
sociazioni in qualità di soci partecipanti. Tra i fondatori
figura anche l’Università degli Studi di Milano dove tut-
tora è la sede operativa di RCM. Per dimostrarne la vi-
talità, basti dire che nel corso dell’ultimo anno RCM ha
promosso - tra le molte altre iniziative - “Scopri il Teso-
ro”12, un gioco di apprendimento in rete, per avvicinare
alla telematica non solo i giovani studenti delle scuole
dell’obbligo, ma anche i loro insegnanti (di tutte le di-
scipline) e le loro famiglie. Progettato e condotto da
uno straordinario gruppo di insegnanti, grazie al “tam
tam” tra scuola e scuola l’iniziativa si è diffusa oltre i
confini di Milano e ha coinvolto centinaia di “ciurme”
di 15 regioni italiane (e persino della Svizzera Tedesca).
Divertendosi, quasi 5000 ragazzi e ragazze dai 5 ai 16
anni provenienti da 150 scuole (altri giocano da casa)
hanno imparato, tappa dopo tappa, a conoscere la re-
te, ad usarla per conoscersi, comunicare, apprendere,
cooperare, e creare assieme una rete fatta per loro e
con loro.
Il futuro di RCM è incerto come quello di tutte le “in-
traprese” di rete (pare che anche quello di Amazon.com
lo sia!). Ma le possibilità di avere un futuro risiedono
nelle specificità e nei punti di forza a cui è dunque ne-
cessario dedicare attenzione. Vediamo quindi di delinea-
re brevemente gli elementi determinanti che hanno per-
F i o r e l l a D e C i n d i o
10 Per una breve storia delle tappe salienti dello sviluppo di RCM, si veda l’articolo di G. Caravita apparso sul numero 17/18 di Tele-
ma (cfr. nota 7) dedicato a “Comunità On Line, Virtuali e Reali”.
11 www.retecivica.milano.it/fondazione
12 www.retecivica.milano.it/tesoro
40•
messo a RCM di mantenersi vitale, nella speranza e con-
vinzione che queste considerazioni siano di valenza più
generale e servano a delineare il futuro delle reti civiche.
2.1 Lo sviluppo “bottom-up”: il participatory
design in pratica.
Il primo elemento è una delle poche esplicite scelte
progettuali. RCM ha come proprio slogan, che campeg-
gia su desk-top e home page dal primo giorno: “La rete
siete Voi”. RCM fu presentata come una “dichiarazione di
possibilità “da riempire di contenuti da parte della co-
munità locale: tutti sono (stati) chiamati a fornire conte-
nuti e a progettare iniziative e servizi. Se le macro-aree
che oggi compaiono sulla home page di RCM13 sono so-
stanzialmente le stesse che figurano su tutti i portali,
non derivano, a differenza di queste, dalla identificazio-
ne a priori di possibili aree di interesse e discussione,
ma sono frutto di un processo di gemmazione e distin-
zione analogo a quanto è accaduto per i newsgroup di
Internet, con la sola non irrilevante aggiunta che la mo-
derazione - adottata fin dall’inizio - ha garantito che ne
venisse preservata la pertinenza.
Lo staff di RCM si è sempre concepito come “abilita-
tore” della community, dedicato a garantire il funziona-
mento della rete e a rendere possibile la realizzazione
dei progetti che man mano venivano proposti, da sog-
getti individuali e collettivi, dovendo “soltanto” (ma
quanto è difficile farlo!) attribuire priorità per allocare ri-
sorse comunque inferiori al necessario.
Queste scelte non sono casuali, ma sono la traduzio-
ne pratica di un principio di progettazione dei sistemi in-
formatici detto participatory design che li riconosce co-
me sistemi socio-tecnici. Ha avuto origine in Europa, pri-
ma in Inghilterra e poi nei Paesi scandinavi, e anche l’Ita-
lia ha dato negli anni ‘80 un significativo contributo al
suo sviluppo. Si è poi affermato oltre oceano: e quando
Schuler sottolinea come regola di sicuro effetto per ucci-
dere una community network quella di considerarla co-
me un progetto tecnologico, è a questo che fa riferimen-
to14. In positivo, si tratta di coinvolgere gli utenti nella
progettazione del sistema: la progettazione (che non è
qualcosa che si fa una volta per tutte, ma prosegue nel
tempo attraverso le varie tappe di aggiornamento) non è
fatta “per” gli utenti, ma possibilmente “con” essi, o, an-
cor meglio, direttamente “dagli” utenti. Che a questo
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
13 www.retecivica.milano.it
14 D. Schuler, A. Namioka (eds), Participatory design, principle and practice, Erlabaum (Hilsdale, NJ), 1993.
41•
punto non sono più tali, ma diventano co-progettisti. E
infatti, giusto per fare un esempio che dimostra come
questi principi sono stati messi in pratica, “Scopri il teso-
ro” è stato co-progettato da un gruppo di insegnanti e
dallo staff di RCM. E chi è co-progettista di qualcosa, è
direttamente interessato alla sua sopravvivenza e alla
sua crescita. Il coinvolgimento nella progettazione diven-
ta così coinvolgimento nella ricerca di contatti, nella rac-
colta di risorse, coinvolgimento nella progettazione del
futuro della rete civica come piattaforma di sviluppo dei
propri progetti, e non di progetti altrui15.
2.2 Il radicamento in Università
L’identificazione di questa scelta progettuale come
elemento determinante avviene per RCM grazie al con-
testo universitario in cui ha origine. Al DSI (Dipartimento
di Scienze dell’Informazione) c’è infatti una lunga tradi-
zione di ricerca ed esperienza sulle tecnologie di rete,
sulla cultura della comunicazione mediata da calcolato-
re, sulla sicurezza, sulle applicazioni di quel computer
supported cooperative work che è stato la culla per lo
sviluppo dei prototipi di molte delle applicazioni di rete
oggi più diffuse. La capacità di distillare le migliori tra le
molte idee e prodotti che il mondo delle IT (Information
Technologies) prima e delle ICT dopo (Information and
Communication Technologies) propone non è esclusiva
del contesto universitario né garantita da esso. Ma se le
cose funzionano a dovere, in Università ci sono maggiori
chances non solo di stare al passo con i tempi rapidissi-
mi dell’innovazione, ma anche di avere il polso della si-
tuazione, capire cosa ha futuro e cosa no. Vorrei dire
esplicitamente che questa capacità di conoscenza e va-
lutazione dell’innovazione si crea solo se e dove si gene-
ra un circuito virtuoso che coinvolge docenti e ricercatori
(che hanno maturato una capacità di astrazione), stu-
denti (che hanno la forza e l’entusiasmo verso il nuovo
che nei primi rischia col tempo di ridursi) e il mondo
esterno, aziende, professionisti, ex-studenti (che costrin-
gono a un continuo aggiornamento). Il DSI e il Laborato-
rio di Informatica Civica con i suoi laureandi, con la ca-
pacità di attrarre studenti di altre Facoltà e anche di altri
F i o r e l l a D e C i n d i o
15 La medesima enfasi sulla partecipazione dei cittadini allo sviluppo della rete civica è stata data, ad esempio, da Onde, On line
Desenzano sul Garda. Ma in questo caso la rete civica è stata finanziata interamente dal Comune, il che ha fatto col tempo un po’
scemare la caratteristica di rete progettata dal basso e, al cambio di Amministrazione, ha fatto emergere problemi simili a quelli in-
contrati da altre reti civiche nate come iniziativa del Comune.
42•
Atenei, sono stati la risorsa da cui RCM ha potuto attin-
gere sempre nuove risorse e nuove idee16, consentendo
quello che si potrebbe chiamare un turn-over “ammor-
tizzato” e arricchito. E poiché “fare reti civiche”, specie
quando questo comporta la gestione di comunità virtua-
li, è molto stressante e tende a consumare anche i più
resistenti, questa possibilità è forse la più importante
condizione per evitare la morte per affaticamento ed ab-
bandono17.
2.3 RCM e la Pubblica Amministrazione
Anche nei rapporti con la Pubblica Amministrazione
locale l’approccio è stato “dal basso” ed i maggiori suc-
cessi si sono registrati perché funzionari e dirigenti di
Ente hanno visto RCM come proprio strumento e risorsa
per la realizzazione di progetti e iniziative di innovazione
che all’interno dell’Ente avrebbero avuto tempi di realiz-
zazione molto maggiori e non li avrebbero visti altrettan-
to protagonisti. Uno strumento comunque riferibile, data
la collocazione all’interno dell’Università, ad un soggetto
pubblico, anzi, ancor meglio, ad un Ente pubblico, ma
super partes, in quanto non soggetto alle logiche della
politica. RCM prima e la Fondazione RCM poi hanno mu-
tuato dall’Università l’approccio istituzionale e “universa-
le”, il dovere di avere rapporti con tutti, anzitutto con i
Governi locali democraticamente eletti dai cittadini, di
non fare discriminazioni né creare vantaggi per nessuno,
ma offrire opportunità a tutti. Conquistando anche il cre-
dito che tale atteggiamento comporta e riuscendo, sulla
base delle cose fatte e dei risultati raggiunti, a consolida-
re il rapporto con le varie Amministrazioni che si sono
succedute nel governo degli Enti territoriali dell’area mi-
lanese. E così è stato, ed è, con Regione, Provincia, Co-
mune, Provveditorato, ciascuno con la propria specificità,
ed i propri “alti e bassi”18.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
16 In cambio, la rete civica costituisce per questi ragazzi una straordinaria “palestra” per la loro formazione sulle ICT che non sia di
tipo meramente tecnologico, ma anche attenta alle esigenze e dinamiche degli utenti: una professionalità oggi molto richiesta, per
le ragioni di cui al punto 3. Ma la rete civica offre qualcosa non solo agli studenti, ma anche all’Università in quanto tale: le dà in-
fatti visibilità e radicamento nella comunità locale. Per questi due fattori combinati, colleghi che nell’ultimo anno sono “migrati”
dal DSI verso altre Università della Lombardia di recente costituzione hanno deciso (o stanno valutando) di attivare una rete civica.
17 Che questa sia una reale ragione di possibile crisi delle reti civiche lo testimonia, forse meglio di tutto, la crisi della “mitica”
NPTN, la rete delle Free Nets statunitensi, molto legata alla crisi personale del suo leader Tom Grunder.
18 Tra questi ovviamente il rapporto con il Comune meriterebbe un’attenzione particolare per il ruolo centrale che il Comune, più degli
43•
Ad esempio, nel corso dell’ultimo anno, la collabora-
zione per RCM più stimolante è stata quella con la Pro-
vincia di Milano. Lo dimostrano due nuovi servizi. Da
qualche mese la Presidente della Provincia ha una sua
“linea diretta” con i cittadini19 che in parte smentisce l’af-
fermazione di Luisi che “i politici non partecipano”. È ab-
bastanza frequentata, ed è anche stata sede di vivaci dis-
cussioni riguardo a provvedimenti (sulla chiusura di un
Centro di accoglienza per gli immigrati) adottati dall’Am-
ministrazione Provinciale, che un gruppo di cittadini non
approvava. Anche intorno a tale vicenda è emerso con
evidenza che la partecipazione di un politico o ammini-
stratore pubblico ad un forum in rete non è banale, ha i
suoi tempi, deve essere voluta e resa possibile con una
serie di atti che la rendano reale e non velleitaria. Se vo-
gliamo che la rete avvicini amministrati e amministratori,
cittadini e politici, e divenga uno strumento di democra-
zia, la “rete” composta da chi la usa da tempo e ne ha
F i o r e l l a D e C i n d i o
altri Enti territoriali, ricopre, specie verso i cittadini. I rapporti ufficiali tra Comune di Milano e RCM furono avviati nel settembre 1995,
dopo che già da vari mesi le scuole civiche usavano RCM per il loro progetto “Civiche in rete”, quando l’allora Vice Sindaco Malagoli
volle stipulare una convenzione quadro con il DSI per sperimentare “le opportunità offerte dalle reti telematiche locali, nazionali ed in-
ternazionali”. Il rapporto è stato caratterizzato dal fatto del tutto anomalo che il Comune ha aperto il suo proprio sito web solo nel giu-
gno del 2000. Fino a quel momento RCM ha di fatto ricoperto un ruolo di supplenza (ad esempio, è stata RCM a curare il sito degli
Stati Generali organizzati dalla Giunta Albertini all’avvio del suo mandato) e di formazione di centinaia di dipendenti comunali che l’-
hanno usata (e la usano tuttora) come propria intranet. E quanto fatto in questi anni ha sicuramente influenzato lo stesso progetto del
sito del Comune (si può leggere quanto da me scritto a tale riguardo nel messaggio “www.comune.milano.it” reperibile all’URL:
www.retecivica.milano.it/EntieIstituzioni). A tutt’oggi è del tutto aperta la questione di quale sarà il futuro di questo rapporto.
19 La “linea diretta” non è nient’altro che un forum pubblico di discussione dedicato al dialogo tra i cittadini registrati a RCM e, in que-
sto caso, la Presidente Colli (ma ne esistono molti altri, direttamente accessibili dalla home page). Va notato che è molto diverso apri-
re una “linea diretta” o avere un indirizzo di email. Mandare una email privata è in fondo non molto diverso dal mandare una lettera
privata, o un fax. Il dialogo che la rete rende possibile è quello proprio dei gruppi di discussione: qui si crea quel “gioco a guadagno
condiviso”, quel senso di comunità (io dedico tempo per rispondere a te perché domani una tua domanda, o una tua risposta, può
essermi utile, ad esempio a conoscere e comprendere cosa pensano i cittadini) che oggi viene riconosciuto come il vero motore di
successo dei portali commerciali. Citando dalla relazione “Dalla New Economy alla New Society” di Edoardo Garrone, Presidente dei
Giovani Imprenditori ad un recente Convegno di Santa Margherita: questo è quell’immediate touch tra Pubblica Amministrazione e cit-
tadini che Garrone chiede a gran voce alla Pubblica Amministrazione italiana come vera prova della capacità di innovazione.
44•
grande dimestichezza deve - ad esempio - comprendere
che chi interviene con un ruolo istituzionale non può ri-
spondere all’istante e con la informalità che ha storica-
mente caratterizzato il linguaggio della rete, pur vigilan-
do affinché non si finisca con il creare un “burocratese
telematico” e non si ricada nei tempi brontosaurici tipici
della comunicazione con le Istituzioni.
Un altro esempio interessante rispetto alla innovazio-
ne possibile è dato da un servizio annunciato alla fine di
giugno da Provincia ed RCM: “@ppuntamenti metropoli-
tani” informa su quanto accade a Milano e nell’hinter-
land, via web e via wap20. L’aspetto rilevante ai fini del
nostro discorso è che la Provincia ha fatto propria la ca-
ratteristica di un precedente servizio di RCM e cioè la
possibilità che le segnalazioni di eventi possano perveni-
re anche da parte di cittadini, gruppi o associazioni. Il
che consentirebbe di essere informati non solo sui gran-
di appuntamenti ma anche sulle iniziative minori, ma
non per questo di minor valore o qualità, che inevitabil-
mente altri media finiscono per ignorare o quasi. Ciò
realizza l’idea che, grazie ad un uso appropriato della re-
te, chiunque può essere informato ma può anche infor-
mare.21
Tra tutte le collaborazioni tra RCM e Enti territoriali
una ha avuto un ruolo fondamentale per l’imprinting
che ha determinato. RCM infatti - come tutte le reti civi-
che lombarde - ha goduto di un vantaggio imprevisto e
straordinario che è stato l’avere avuto come primo rile-
vante referente istituzionale la Direzione Cultura della
Regione Lombardia. Ciò ci ha consentito di non restare
inviluppati nei conflitti tra URP e CED, cui lo stesso Luisi
fa riferimento, rafforzando la dimensione culturale ed
educativa che già ci veniva dalla matrice universitaria.
Una dimensione - come vedremo - fondamentale per
progettare il futuro.
Ma altrettanto importante è stata l’eccezionalità della
persona che era a capo di quella Direzione. Marzio Tre-
maglia - con un’apertura che pochi politici possiedono -
sapeva cogliere il meglio delle esperienze e stimolarle
con nuove sollecitazioni culturali e operative. Fu Trema-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
20 www.retecivica.milano.it/appuntamenti; l’interrogazione via wap è stata resa possibile grazie alla collaborazione con un’azienda
privata - Iris technologies - con cui la Fondazione RCM ha siglato all’inizio del 2000 un accordo di collaborazione. La rete civica ha
così fatto da ponte tra pubblico e privato nella realizzazione di un servizio sulla frontiera dell’innovazione.
21 Bisogna per onestà rilevare che per ora l’opportunità non è stata colta quanto ci si poteva augurare. L’abitudine ad una fruizione
passiva dei media è dura da superare, e forse anche i cittadini, e non solo i politici, usano le opportunità di partecipazione che la
rete offre meno di quanto potrebbero.
45•
glia a coniugare l’idea del participatory design di matrice
informatica di cui sopra si è detto, con i principi base
della democrazia. E da questo merge deriva quello slo-
gan: “non sudditi, né utenti, né clienti, ma cittadini so-
vrani” che oggi caratterizza l’A.I.Re.C., l’Associazione In-
formatica e Reti Civiche, che Tremaglia volle costituire
già nel ‘96 per favorire lo sviluppo della telematica civi-
ca, vista, in anticipo sui tempi, come strumento per la
valorizzazione e l’innovazione delle comunità locali nel-
l’epoca della globalizzazione.22
3. Un futuro difficile, un futuro possibile
Queste considerazioni, se servono a confutare la
tesi che le reti civiche sono già morte, potrebbero non
dire molto circa il loro futuro. Lo scenario che Luisi de-
scrive quando parla dei portali è reale: fino a un anno
fa puntare sulla community, avere sulla propria home
page un forum di discussione era una anomalia da
maniaci della comunicazione via rete. Oggi non c’è si-
to commerciale che non provi a fidelizzare i propri
utenti/clienti/visitatori sviluppando una comunità di
“affezionati”. Il rischio dei pionieri è che quando le pa-
role d’ordine che hanno portato avanti, a lungo e da
soli, prendono piede e diventano quasi senso comune,
loro, stanchi, si siedono e perdono il treno23. Per non
incorrere in questa brutta fine, è necessario capire se
le reti civiche hanno ancora qualcosa da dare a chi è
già in rete, a chi ad essa si avvicina solo ora (e sono
ancora in tanti a doverlo fare) e più in generale se
possono o meno contribuire allo sviluppo della Socie-
tà dell’Informazione. La mia risposta a tutti e tre i que-
siti è affermativa, ma le motivazioni seguono un ordi-
ne diverso.
Come ricordato all’inizio, tra gli obiettivi iniziali delle
reti civiche che non a caso ereditavano la tradizione del-
le free nets, c’era quello di garantire a tutti l’accesso gra-
tuito alla rete. Oggi questo obiettivo è apparentemente
garantito dal mercato con le sue numerosissime propo-
ste di connettività Internet a nessun costo aggiuntivo ol-
tre il costo telefonico. Ma ciò non significa garantire l’ac-
cesso a tutti: la pura connettività non basta, chi non ha
F i o r e l l a D e C i n d i o
22 Lo slogan ricorda molto la nozione di utente-sovrano cui fa riferimento Luisi; ed un concetto analogo si trova in “Digital Demo-
cracy” all’interno dello speciale su “Government and The Internet” pubblicato da The Economist nel numero del 24 giugno 2000
(vol. 355, n. 8176).
23 Questo è esattamente quanto ho detto in apertura dell’Assemblea annuale di A.I.Re.C., Milano, 10 aprile 2000.
46•
dimestichezza con la rete deve imparare ad usare le ap-
plicazioni di rete - come un qualunque altro programma
- ma soprattutto deve comprendere in che cosa la rete
può essere utile, nella vita quotidiana, riguardo i propri
interessi e problemi. A rendere le cose ancor più com-
plesse, c’è il fatto che questo percorso formativo non
può essere compiuto una volta per tutte perché la rete,
le sue tecnologie, le sue possibilità ed i suoi problemi
evolvono rapidissimamente e c’è bisogno di un costante
aggiornamento e di consigli su cosa è necessario impa-
rare e cosa si può tralasciare. La mia convinzione, matu-
rata sulle esperienze di RCM e dintorni24, è che le reti ci-
viche oggi costituiscono una learning community per un
apprendimento a portata di tutti, gradevole, continuo,
assistito e a distanza, delle stesse tecnologie di rete. Per
non restare tagliati fuori.
Cosa possono offrire le reti civiche a chi è già in rete?
Quale ruolo possono giocare per lo sviluppo della Socie-
tà dell’Informazione? La risposta a queste due domande
a mio parere sta nel recuperare il doppio senso dell’ag-
gettivo free proprio delle prime Free Nets: gratuite, per
garantire l’accesso a tutti, ma anche libere, cioè indipen-
denti ed autonome. Siamo, per fortuna, ancora agli inizi
della commercializzazione di Internet: Internet offre (an-
cora) ad una piccola impresa di uno sperduto angolo del
pianeta la possibilità di farsi conoscere al lato opposto
del globo. Ma la massa di capitali, che i grandi gruppi in-
vestono nella creazione dei loro portali, e i processi di
concentrazione potrebbero vanificare quelle possibilità.
E se all’inizio la rete è stato un grande strumento di dis-
intermediazione, il suo crescere a dismisura ridà ruolo a
chi fa da filtro tra produttori e consumatori. In questo
scenario le reti civiche, grazie al loro legame con una
specifica comunità locale, geograficamente definita, pos-
sono da una parte costituire una forza centripeta capace
di attrarre laddove Internet tende - come una forza cen-
trifuga - a disperdere25. E oggi la capacità di attrarre i na-
vigatori è uno dei maggiori problemi di tutti i player del-
la rete. Ed inoltre, se riescono a conquistare l’autonomia
giuridica ed economica, le reti civiche possono proporsi
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
24 Abbiamo illustrato questa idea in: F. De Cindio, Community Networks: a learning community for networking and groupware, in
ACM SIGGROUP Bulletin. vol. 20, n.2, August 1999; G. Casapulla, F. De Cindio, O. Gentile, L. Ripamonti, A. Scavuzzo, L. Sonnante,
Discover the Treasure: the value of a Learning Community, International Symposium on “Shaping the Network Society. The future
of public sphere in cyberspace”, Seattle, Washington US, May 20-23, 2000.
25 Devo questa immagine a Daniele Fornaciari che sta sviluppando la sua tesi di laurea presso il Laboratorio di Informatica Civica.
47•
come garanti e difensori civici: per creare comunità in
grado non solo di segnalare, ma anche di certificare la
qualità di prodotti e servizi offerti in rete. Non contro il
mercato, o lo Stato, ma per verificarne le proposte con
un controllo diffuso che la rete rende possibile, ma che
richiede - da parte di tutti - un’inversione di tendenza,
un salto culturale: diffondere la consapevolezza che tutti
possono (e direi devono) partecipare a costruire la So-
cietà dell’Informazione.
Questo è stato lo spirito con cui alcuni ricercatori e
attivisti provenienti dalle esperienze di community net-
working di tutto il pianeta, convenuti nel maggio 2000 a
Seattle - posto evocativo per il mondo dell’informatica
poiché ne ospita la più grande multinazionale, ma anche
simbolico, dopo le proteste contro il WTO, per coloro
che credono nel diritto di tutti di essere protagonisti e
non sudditi - per il Simposio “Shaping the Network So-
ciety” hanno proposto di sottoscrivere un Documento26
che è solo un primo passo verso una dichiarazione che
ripensi l’idea di cittadinanza nella Società globale dell’In-
formazione e sancisca il diritto di tutti di esserci per con-
tribuire al suo equilibrato ed armonico sviluppo. Le reti
civiche “come le abbiamo sempre conosciute” sono sta-
te le esperienze che hanno permesso di giungere a que-
sto Documento, e sono il punto di partenza, il “braccio
operativo” per procedere in questa direzione.
F i o r e l l a D e C i n d i o
26 www.retecivica.milano.it/seattlestatement.
49•
G i u s e p p e P i p e r a t a
Verso l’amministrazione elettronica
di Giuseppe Piperata
È evidente che l’affermazione di Piero Luisi “la rete
civica è morta! Questo il nostro atto di accusa” rappre-
senta più una provocazione diretta a richiamare l’atten-
zione sul fenomeno delle reti civiche, che non un giudi-
zio definitivo su di una rilevante novità per le Ammini-
strazioni locali, che proprio in quest’ultimo periodo è
stata oggetto di interventi istituzionali rivolti al fine di ri-
lanciarne la vitalità.
Non v’è dubbio che l’analisi dell’esperienza delle
reti civiche in Italia suscita un legittimo sconforto, tale
da giustificare quantomeno il provocatorio j’accuse
lanciato da Luisi. Basta leggere gli ultimi dati disponi-
bili sul fenomeno per averne conferma1: su 1355 città
digitali presenti in internet solo 501 rappresentano siti
ufficiali di Amministrazioni Pubbliche locali. Inoltre, la
situazione appare ancor meno rosea se si pensa che la
maggior parte delle Amministrazioni locali sfrutta la
rete come “vetrina” per la promozione turistica del ter-
ritorio, mentre solo in pochi casi (Bologna, Modena,
Siena, ecc.) sono state sperimentate forme di sportello
virtuale o di iniziative di comunicazione interattiva tra i
cittadini ed il potere politico. A ciò, poi, si aggiunga
che anche a livello teorico sono numerose le contrad-
dizioni e le incertezze interpretative riguardanti le reti
civiche: come si possono definire tali reti? Sono servizi
di pubblica utilità o sperimentazioni facoltative realiz-
zabili da parte dei Comuni ad elevata vocazione tele-
matica? Quali funzioni attribuire ad esse? Da ciò di-
scende, quindi, che la rete civica è stata utilizzata dalle
Amministrazioni italiane al di fuori di una logica unita-
ria e coerente di sviluppo, con la conseguenza di ridur-
re notevolmente le potenzialità innovative di tale stru-
mento.
Ritengo, tuttavia, che l’esperienza della telematica lo-
cale non può essere considerata conclusa o, peggio an-
cora, archiviata come un caso di tentativo fallito di inno-
vazione amministrativa. In un momento come quello at-
tuale caratterizzato da profonde trasformazioni del siste-
ma amministrativo italiano, lo strumento della rete civica
può contribuire in maniera rilevante alla realizzazione
degli obiettivi posti dalle recenti riforme amministrative.
Per far ciò, però, appare necessario che tutti i livelli isti-
1 v. RUR – Censis – Assinform, Le città digitali in Italia – Rapporto 1999, in www.rur.it.
50•
tuzionali di governo, ciascuno per i profili di propria
competenza, adottino strategie di intervento con lo sco-
po di rilanciare il fenomeno delle reti civiche in un con-
testo coerente di sviluppo omogeneo.
In tale prospettiva, un giudizio positivo merita la pre-
visione contenuta nella recente legge 7 giugno 2000,
n.150 (“Disciplina delle attività di informazione e di co-
municazione delle Pubbliche Amministrazioni”) che affi-
da agli Urp compiti promozionali per l’adozione di siste-
mi di interconnessione telematica e di coordinamento
delle reti civiche (art. 8, comma 2, lettera c).
In primo luogo, appare coerente con le riforme am-
ministrative degli anni ’90 la scelta legislativa di affidare
all’Urp un ruolo di stimolo nello sviluppo delle reti civi-
che e dei sistemi di interconnessione telematica. È vero,
come sostiene Piero Luisi, che gli Urp non sono operativi
in tutte le amministrazioni italiane e molto spesso ope-
rano nel settore della telematica locale in concorrenza
con altri organi senza una esatta definizione delle com-
petenze. Tuttavia, penso che proprio la ricordata scelta
normativa possa trasformarsi in una valida occasione per
realizzare la completa operatività degli Urp e l’esatta de-
terminazione dei ruoli e delle competenze in materia
(ad esempio tra Urp, da un lato, e sportelli per il cittadi-
no, sportelli unici della p.a., sportelli polifunzionali, spor-
telli per le imprese, dall’altro). A tal fine, infatti, l’art. 8,
comma 2 della citata legge obbliga le Amministrazioni
Pubbliche destinatarie a ridefinire, mediante un proprio
regolamento, i compiti spettanti in materia ad altri orga-
ni ed affida agli Urp solo funzioni promozionali e di co-
ordinamento dei sistemi telematici e delle reti civiche, in
modo da evitare sovrapposizioni gestionali o decisionali
tra più soggetti competenti.
In secondo luogo, la legge n.150/2000 appare co-
erente anche con il modello di rete civica introdotto in
Italia. È noto, infatti, che tra il modello americano di rete
civica (c.d. botton – up, realizzato dal basso grazie alla
spontanea iniziativa di singoli ed associazioni legati da
comuni interessi) e quello europeo (c.d. top-down, impo-
sto dall’alto alle realtà locali attraverso un intervento nor-
mativo o amministrativo diretto a realizzare nuovi modelli
di comunicazione tra amministrazioni e cittadini), in Italia
si è scelto il secondo, in quanto maggiormente compati-
bile con i caratteri della nostra tradizione civica2. Pertanto,
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
2 v. De Rosa R., Le reti civiche tra amministrazione e comunità, in Amministrare, 1998, 1, p.111 e ss. Proprio per la differenza tra le
reti civiche sperimentate in Italia e quelle da anni esistenti in America, non penso che la provocazione lanciata da Schuler riferen-
dosi all’esperienza statunitense possa valere anche riguardo al nostro sistema di telematica locale.
51•
la citata legge persegue lo scopo di stimolare lo sviluppo
di iniziative telematiche in modo omogeneo per tutto il
territorio nazionale, al fine di sopperire alla mancanza di
autonome e spontanee iniziative in tal senso da parte dei
soggetti pubblici e, soprattutto, dei soggetti privati.
Nella stessa prospettiva di rilancio delle reti civiche si
iscrive anche il recente Piano di azione di e-government
varato dal governo italiano a fine giugno 2000. Partico-
larmente significativa è la presa d’atto da parte dell’ese-
cutivo che l’avviato processo di riforma della Pubblica
Amministrazione non può essere realizzato senza una
politica pubblica che valorizzi, sfruttandole al massimo,
“le opportunità offerte dalle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione”. L’obiettivo perseguito è quello di
rendere più efficiente l’attività delle Amministrazioni
Pubbliche, grazie ad una strategia di intervento basata
su azioni di informatizzazione delle strutture amministra-
tive e di maggior raccordo informativo e comunicativo
tra le stesse ed i cittadini. Per realizzare ciò, tutte le Am-
ministrazioni Pubbliche dovranno dotarsi di un sistema
informativo progettato sia per l’automazione delle pro-
cedure e delle funzioni, sia per l’erogazione dei servizi
agli utenti ed alle altre Amministrazioni. Inoltre, il Piano
prevede la realizzazione di una connessione in rete di
tutti i sistemi informativi pubblici, in modo da realizzare
una integrazione dei servizi resi dalle diverse Ammini-
strazioni Pubbliche.
Se alle dichiarazioni di intenti ed ai programmi posti
dal Piano governativo seguiranno i fatti da parte dei sog-
getti pubblici chiamati ad attuarli, si potrà dar vita ad un
modello di “amministrazione elettronica”, parallela a
quella tradizionale, in grado di adeguare l’azione dei
pubblici poteri a quei livelli di efficienza e di qualità mol-
te volte promessi ma poche volte rispettati.
Nella strategia governativa appena delineata un
ruolo fondamentale spetta agli Enti locali ed alle loro
reti civiche. Ad essi, infatti, il Piano affida espressamen-
te il ruolo di attori principali, “in quanto destinati a rea-
lizzare gli sportelli di front – office per la erogazione dei
servizi integrati al cittadino”. In tale contesto, le reti civi-
che dovranno svolgere una duplice funzione a vantag-
gio dei propri utenti. Da un lato, dovranno operare co-
me portali d’accesso a tutti i servizi erogati dalle Pub-
bliche Amministrazioni connesse in rete, e non solo di
quelli erogati dalla Amministrazione titolare del sito.
Dall’altro, dovranno contribuire allo sviluppo della co-
munità territoriale di riferimento, favorendo la parteci-
pazione dei cittadini alla vita politica e amministrativa
dell’Ente e promuovendo il contesto sociale, economi-
co e produttivo del territorio.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, riten-
go che la rete civica non è morta. Le sue sorti adesso
dipendono dalla capacità degli Enti locali di tradurre in
fatti concreti le indicazioni ed i progetti formulati dal
G i u s e p p e P i p e r a t a
52•
legislatore e dal Governo italiano. Mi rendo conto che
ciò sarà molto difficile, considerato che non tutti gli En-
ti locali presentano una cultura organizzativa ed una
vocazione telematica adeguata agli obiettivi da rag-
giungere. Tuttavia, prima di certificare il “decesso” della
telematica locale aspettiamo di vedere se è prima pos-
sibile “rianimarla”.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
53•
S e r g i o D u r e t t i
La bussola dell’e-government in Italia
di Sergio Duretti
Perché a metà degli anni ’90 sono nate le reti civiche
in Italia? Credo che per dare una risposta di “senso at-
tuale e futuro” non si possa che partire dal tentare una
risposta a questa domanda. Senza provare a ricostruire
le ragioni di un caso e senza rintracciarne le relazioni
con i processi politici, economici e sociali del tempo,
qualsiasi “buon motivo” rischia di essere ancorato al
passato. Affrontare sinteticamente ciò che merita più di
un libro, comporta l’uso di affermazioni secche (di cui
mi scuso), ma la sfida va accettata.
Perché, dunque? Diversi fattori, diverse ragioni, ma
soprattutto l’interesse e l’ostinazione ad esplorare – e
quindi provare, sbagliare, ri-provare – l’uso sociale e cul-
turale (anche di servizio) di una tecnologia di “comuni-
tà” in una sorta di “zona franca” dal primato del busi-
ness. Ciò ha permesso agli attori di questa fase di accet-
tare consapevolmente e criticamente che sotto la nozio-
ne di rete civica si raccogliessero le più diverse esperien-
ze: dal sistema telematico pubblico alla comunità orga-
nizzata di cives telematici, dalle esperienze di e-demo-
cracy ai progetti di comunità organizzata della Pubblica
Amministrazione.
Una forte affermazione di protagonismo locale, in
una logica di cooperazione-competizione, in anni in cui
temi quali semplificazione, sburocratizzazione, federali-
smo, autonomia della società civile sono quotidiani.
Senza indulgere in affrettate e banali considerazioni poli-
tico-sociali, il filo che unisce molte delle esperienze nate
e cresciute ha una relazione con quelle parole e un ten-
tativo vero di cambiamento del nostro Paese.
E ora? Ora vedo due funzioni chiare che l’insieme di
queste esperienze può utilmente mettere a disposizione
in questa fase qualificando un proprio ruolo.
Il Digital Divide
Dai vertici G8 ai Piani d’azione, dalle politiche di alfa-
betizzazione al gap di e-government esistente tra PA
sperata e PA reale: il Digital Divide, per usare un’espres-
sione europea, una società divisa tra Have e Have-nots,
è indicata come la sfida dei prossimi anni. L’esperienza
delle Reti civiche può fare moltissimo su questo terreno:
certo la funzione non è quella di insegnare a usare la
posta elettronica o la navigazione o magari a fare buone
pagine web (W3C approved). La funzione è quella di
portare e rinnovare il “senso” di una comunicazione che
necessita di codici – anche ma non solo di netiquette -
di relazione e che richiede la costruzione di una cultura
d’uso sociale della rete. Non si tratta di scrivere belle re-
54•
gole, ma di avviare un progetto condiviso di accompa-
gnamento e supporto a tutti coloro che per scelta o per
utilità decidono di “alfabetizzarsi” (termine orrendo).
Non è forse quella di imparare l’uso di nuovi linguaggi,
di organizzare diversamente i propri tempi, di consentire
di leggere-pensare-scrivere – di inter-agire - una delle
chiavi di maggior successo delle reti civiche?
Che cosa fa la PA?
Il secondo ruolo è quello di essere sempre più stru-
mento di verifica dei buoni propositi di una PA che si an-
nuncia sempre più on line, sempre più facile, sempre
più interconnessa. Chi raccoglie le segnalazione dei citta-
dini o degli stessi uffici della PA per ciò che, pur promes-
so, non c’è o non funziona? Chi verifica quanto sia ac-
cessibile, interagibile, trasparente una PA?
Per un e-government di qualità, reale, verificabile e
funzionante, non è necessario portare tutta la riflessione
e l’esperienza della stagione delle reti civiche?
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
55•
G e n n a r o Z e z z a
Reti civiche: da vetrine istituzionali astrumenti cooperativi?
di Gennaro Zezza
Il documento di Luisi contiene molti stimoli interes-
santi, ma non chiarendo qual e’ precisamente l’oggetto
della discussione - la “rete civica” - rischia di spostare il
discorso su un piano troppo generico.
L’esperienza italiana ha visto coesistere, e in alcuni
casi contrapporsi, due tipologie distinte di rappresenta-
zioni virtuali di territori urbani: (1) le interfacce degli Enti
locali su Internet, e (2) le comunità locali.
Mentre le esperienze del primo tipo sono ormai di-
verse centinaia, coprono la quasi totalità delle Province
ed una elevata percentuale dei Comuni, le esperienze
di community networks sono molto limitate, e riferibili
sostanzialmente alla Rete Civica di Milano e a Desenza-
no sul Garda (e alle esperienze che le hanno imitate) e,
con qualche distinguo, alla rete civica Iperbole di Bolo-
gna.
Credo sia opportuno quindi parlare distintamente
delle due tipologie di rete civica, per tentare di preveder-
ne l’evoluzione, lasciando alle conclusioni qualche consi-
derazione sulle interazioni tra le due esperienze.
1. Dai siti Internet dei Comuni ai “portali
territoriali”?
La quasi totalità delle iniziative denominate reti civi-
che in Italia è costituita da un servizio informativo per il
pubblico predisposto da un Comune sulla rete Internet,
molto spesso senza fornire la possibilità al visitatore del
sito di inviare a sua volta richieste, informazioni, ecc.
Questi servizi minimali costituiscono comunque un
progresso nelle forme di interazione tra Enti locali e cit-
tadini, quando sono utilizzati anche come strumento di
trasparenza amministrativa tramite la pubblicazione, ad
esempio, dei bandi di gara e delle delibere. Iniziative di
questo tipo spesso duplicano su Internet informazioni
già disponibili per altri canali, anche se con costi di ac-
cesso superiori per l’utente. Per l’Ente locale iniziative
del genere hanno costi irrisori e, almeno fino ad oggi,
garantiscono un ritorno di immagine per l’Amministra-
zione.
Diverso è il caso in cui si utilizza la telematica anche
come canale di ascolto del cittadino: in questi casi è già
necessario un intervento organizzativo interno per gesti-
re il front-office telematico. Una riorganizzazione ancora
più impegnativa è necessaria quando si voglia utilizzare
la telematica come strumento di lavoro “vero”, ossia: co-
me strumento di comunicazione interna ufficiale; come
spazio organizzativo dell’Ente locale; come canale per
fornire direttamente servizi all’esterno.
56•
Le esperienze che si muovono in questa direzione
sono ancora molto esigue e “pionieristiche”. E tuttavia i
recenti interventi legislativi in materia, in particolare la
possibilità di utilizzare la firma elettronica e, per ultimo,
il piano per l’e-government, stabiliscono che tutti gli Enti
locali, in tempi prefissati, debbano adeguarsi a queste
modalità di efficienza e trasparenza nella produzione dei
servizi. Per l’Ente locale non si tratta più di decidere se e
come predisporre una propria interfaccia su Internet, ma
di predisporre una propria strategia per realizzare gli
obiettivi definiti dal Governo: il buon funzionamento del
piano per l’e-government richiede infatti che tutte le Am-
ministrazioni abbiano implementato un insieme mini-
male di servizi, se non altro - ad esempio - per consenti-
re l’accesso da parte di un Ente ai dati identificativi di un
cittadino.
Già da anni ripetiamo che un percorso del genere,
che appare inevitabile se si vuol migliorare la qualità del-
la vita per i cittadini e facilitare la localizzazione delle im-
prese sul territorio, implica una vera e propria rivoluzio-
ne nelle Amministrazioni locali. Non tanto per gli aspetti
tecnologici, pur importanti, ma che troveranno o hanno
già trovato adeguate soluzioni tecniche, quanto per la ri-
organizzazione e la motivazione del personale. L’atten-
zione su questo fronte esiste, come testimonia il cospi-
cuo stanziamento di fondi per la formazione del perso-
nale degli Enti locali previsto nel piano per l’e-govern-
ment, ma ancora oggi l’informatizzazione di alcuni servi-
zi rischia di creare congestioni in altri reparti della Pub-
blica Amministrazione. Si pensi al controllo automatico
delle dichiarazioni dei redditi per i 1999, che ha accele-
rato enormemente le notifiche di errori di compilazione,
e può però causare la congestione degli sportelli al pub-
blico dove i cittadini ancora devono recarsi di persona
per discutere delle contestazioni segnalate.
È quindi necessario che l’utilizzo della telematica nei
diversi livelli della PA prosegua in modo sistematico e
coordinato, anche con l’introduzione di servizi di infor-
mazione e supporto per gli Enti locali che siano meno
preparati o più restii ad introdurre le innovazioni.
La necessità dello sviluppo di una rete coordinata ed
integrata degli Enti locali e centrali della PA sottolinea un
altro problema: quello del coordinamento tra le organiz-
zazioni locali. La legge, ad esempio, stabilisce che l’URP
deve “coordinare le reti civiche”. Ma di quale URP si sta
parlando?
Ad esempio, in una città di grandi dimensioni il Co-
mune, la Provincia, il Provveditorato, gli uffici sanitari e
gli ospedali, ecc., devono in qualche modo coordinarsi e
scambiarsi informazioni per poter produrre e fornire i lo-
ro servizi. Chi deve coordinare questo processo? In pas-
sato avevamo suggerito in varie occasioni che di questi
processi si occupasse la Provincia, ma le soluzioni non
sembrano univoche, e al momento tale ruolo sembra as-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
57•
sunto dall’Ente locale che gode di maggiore visibilità e
peso politico.
Uno stadio ulteriore di integrazione tra le istituzioni
del territorio riguarda la possibilità di far coesistere, in
unico servizio informativo, gli Enti locali, le associazioni
di categoria, le imprese, le associazioni di cittadini che
operano sul territorio.
Se vogliamo usare un termine un po’ abusato, po-
tremmo definire tale servizio come “portale territoriale”.
La creazione di “portali” dà luogo a numerosi problemi
organizzativi, che discendono in un’ultima analisi dalla
necessità di individuare un soggetto coordinatore. Nella
maggior parte dei casi, infatti, un Ente locale che predi-
spone un sito Internet guarda solo al rapporto tra la sua
struttura interna e i suoi utenti diretti. Creare e manute-
nere un portale è un’operazione molto più complessa e
costosa, che ha ricadute dirette ed indirette sull’econo-
mia e sulla vivibilità del territorio che però non benefi-
ciano direttamente chi promuove l’iniziativa.
A nostro avviso i “portali territoriali”, in particolare
quelli che fanno riferimento all’area metropolitana o al
territorio della Provincia, sono la naturale evoluzione dei
servizi oggi forniti dai singoli Enti locali.
Potrebbero essere realizzati da apposite società miste
pubblico-privato, in cui da un lato vengano garantiti gli
obiettivi democratici di tali iniziative (accesso all’infor-
mazione, accesso universale a determinate categorie di
servizi) e dall’altro venga soddisfatta l’esigenza di auto-
sostenibilità finanziaria dell’iniziativa stessa.
In conclusione, il piano per l’e-government sembra
proiettare la nostra Pubblica Amministrazione verso un
roseo futuro, se davvero la burocrazia locale - insieme a
quella centrale - inizierà ad agire considerando il cittadi-
no come “sovrano”. Purtroppo, la telematica e le reti civi-
che sono solo un aspetto di questo cambio di paradig-
ma. Un territorio può essere vivibile anche senza la tele-
matica, e la telematica può accentuare le differenze di
status e creare nuova emarginazione sociale: il successo
o il fallimento del piano per l’e-government non potrà
quindi essere misurato in termini puramente tecnici o
tecnologici, ma in base al progresso complessivo dei
rapporti sociali e dello sviluppo economico dei territori.
2. Rete, democrazia, politica: le “reti civiche
comunitarie”.
Le reti civiche comunitarie, o “reti civiche” in senso
proprio, sono esperienze ancora piuttosto recenti. È
quindi complesso trarne delle generalizzazioni, anche
perché il loro sviluppo è correlato ad un più generale
processo di distacco dei cittadini dalla vita politica, come
è misurato ad esempio dal tasso di astensionismo nelle
varie tornate elettorali.
Dal punto di vista teorico, la rete civica ha alcuni
G e n n a r o Z e z z a
58•
elementi intrinsecamente contraddittori: possiamo
considerare Internet come un nuovo territorio deterri-
torializzato, e la community network come il tentativo
di ricreare nel cyberspazio una contiguità territoriale
tra soggetti che altrimenti non avrebbe motivo di esi-
stere.
Nel momento in cui ci si collega ad Internet si può
entrare a far parte, con identità vere o posticce, dei
più diversi tipi di comunità, sia internazionali che na-
zionali, dove il concetto di “nazione” è legato solo alla
lingua adoperata per comunicare. Perché dunque
creare comunità nel virtuale che fanno riferimento al
territorio “reale”? Le risposte mi sembra possano rica-
dere in due tipologie: (a) la rete civica è occasione di
intrecciare rapporti sociali in situazioni dove mancano,
nel “reale”, le possibilità di incontro; (b) la rete civica è
uno strumento di informazione, discussione, proposta
per problemi che riguardano il territorio.
Lo sviluppo della socialità tramite una community
locale non credo sia in crisi, e anzi penso che si diffon-
derà progressivamente. Tutti i maggiori portali italiani
sono oggi in competizione per creare delle communi-
ties, in gran parte a fini commerciali, e le communities
locali hanno probabilmente maggiore probabilità di
successo, in quanto i partecipanti hanno facilmente il
modo di incontrarsi anche dal vivo, e stabilire in tal
modo rapporti di conoscenza reciproca e di fiducia,
che sono poi il collante anche delle communities vir-
tuali. Da questo punto di vista non ritengo che la co-
munità virtuale sia alternativa ad altri spazi di socializ-
zazione: semmai li rafforza. Lo stesso sembra sia acca-
duto con l’introduzione dei sistemi di teleconferenza:
il numero dei convegni (e delle persone che si sposta-
no per convegni) è aumentato piuttosto che ridursi, e
la possibilità di assistere in remoto ad un convegno ne
ha semplicemente aumentato la platea.
La rete civica diviene quindi un potente strumento
di socializzazione, che facilita la creazione di rapporti
interpersonali e favorisce la coesione sociale.
Molto più complesso è il caso in cui la community
locale che si costituisce in rete ha tra i suoi obiettivi
quello di sviluppare forme di partecipazione attiva alla
vita politica e sociale del territorio.
È evidente che, se ci si pone un obiettivo del gene-
re, si ritiene che i tradizionali sistemi di rappresentan-
za (partiti, associazioni di categoria, ecc.) non agiscano
in modo appropriato.
La community, o i singoli individui, possono quindi
utilizzare Internet e la telematica come nuovo stru-
mento di proposta e di controllo verso gli Enti locali.
La rapidità della comunicazione telematica in questo
caso può risultare più impegnativa nei confronti del-
l’Ente locale, i cui tempi di risposta possono essere fa-
cilmente monitorati. Da questo punto di vista, comun-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
59•
que, Internet e la telematica non fanno che fornire un
nuovo strumento di comunicazione al cittadino, in ag-
giunta a quelli più tradizionali dello sportello, del tele-
fono, del fax, senza cambiare però l’aspetto qualitativo
dell’interazione tra i cittadini e i loro rappresentanti.
Esiste poi una visione dell’utilizzo di Internet, appa-
rentemente promettente: la possibilità di comunicare
in rete in modo non gerarchico, senza strutture prede-
finite, dà l’illusione che la rete, e la rete civica in parti-
colare, sia un territorio vergine dal punto di vista orga-
nizzativo, in cui nuove e migliori forme di democrazia
possano essere sperimentate ed applicate per miglio-
rare il benessere ed il coinvolgimento della collettività.
Un proseguimento estremo di questa linea di pen-
siero porta alla consultazione continua del parere dei
cittadini, alla esasperazione e formalizzazione del
“sondaggismo”, in cui la telematica è utilizzata come
strumento per rilevare di volta in volta le opinioni del-
la maggioranza su ogni decisione che riguarda la col-
lettività.
Più diffusa è l’opinione che le reti civiche possano
essere forme di discussione, progettazione e azione
politica tra i cittadini, e che queste creino spazi di de-
mocrazia che altrove sono stati chiusi o non operino in
modo soddisfacente.
Credo che questi processi siano di grande interes-
se, ma che vada sfatato il mito della intrinseca demo-
craticità di uno spazio virtuale di discussione, come
quello che si crea nella mailing list di una rete civica.
Chi ha partecipato a tali comunità sa bene, ad esem-
pio, che anche in comunità numericamente esigue la
discussione su un argomento può svilupparsi in modo
esteso, richiedendo ai partecipanti un tempo conside-
revole per seguirla, leggere e valutare ogni intervento,
rispondere in modo appropriato. Il tempo è la risorsa
scarsa che può generare casi di selezione avversa: chi
è attivamente impegnato nella professione, in attività
sociali e politiche di altro genere può non avere tem-
po da dedicare alla comunità virtuale, che è solo un
luogo della partecipazione, e non il luogo della vita
della comunità. La discussione nella rete civica (come
in molte altre comunità su Internet) in questi casi si
svuota di professionalità e tende ad essere monopoliz-
zata da un numero esiguo di persone con molto tem-
po a disposizione.
Tra l’altro, va verificato il reale bisogno dei cittadini
di utilizzare un nuovo strumento di partecipazione de-
mocratica. Lo sviluppo dell’economia moderna, conno-
tato in alcuni casi dalla esasperazione dell’individuali-
smo e dalla diffidenza verso le strutture organizzative
tradizionali, può implicare che l’attenzione verso la
partecipazione a forme di democrazia elettronica non
sia maggiore rispetto agli altri luoghi della politica.
In ultimo, accentuare il ruolo della rete civica come
G e n n a r o Z e z z a
60•
strumento di partecipazione alla vita pubblica rafforza
il problema - che esiste comunque - degli have-not,
ossia di quelle fasce sociali già emarginate dai proces-
si di comunicazione e partecipazione pubblica, che di
solito hanno un minor bagaglio, in termini culturali e
tecnologici, per usufruire delle opportunità date da
nuove forme di comunicazione.
In definitiva, il futuro delle nuove forme di partecipa-
zione democratica nelle local communities, o reti civiche
in senso proprio, mi sembra, per quanto interessante, ir-
to di difficoltà.
Più interessante, e meno esplorato, mi sembra l’uti-
lizzo di Internet come memoria, in questo caso come
memoria della comunità o del territorio. La telematica ci
consente di archiviare e strutturare le informazioni, in
modo da renderle facilmente accessibili a prescindere
dalla distanza e dai tempi di accesso. Un utilizzo appro-
priato di questa potenzialità consentirebbe davvero un
aumento nel grado di partecipazione consapevole dei
cittadini.
3. Siti istituzionali e community network.
Ci sembra di aver mostrato come le due esperienze
di rete civica che coesistono oggi in Italia siano tra loro,
almeno in parte, in conflitto. Presupposto della rete civi-
ca comunitaria - che voglia agire in senso anche politico
- è un certo grado di sfiducia nelle istituzioni tradizionali.
Inoltre, gli Enti locali nella maggior parte dei casi ritengo-
no che i contenuti dei loro siti Internet debbano essere
prodotti esclusivamente all’interno dell’Amministrazione,
ed hanno difficoltà organizzative nel gestire spazi di
community che potrebbero sfuggire al controllo oppure
richiederebbero notevoli risorse per essere monitorati.
Una soluzione possibile è che questi spazi di com-
munity vengano sviluppati, laddove se ne avverta l’esi-
genza, dai portali di area di cui si è già detto, gestiti in
modo da garantire gli obiettivi di accesso ai nuovi servizi
universali che stanno sviluppandosi con la telematica, e
parallelamente promuovere il territorio e garantire, con
la compresenza di iniziative profit, la sostenibilità finan-
ziaria dell’iniziativa nel suo complesso.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
61•
L e d a G u i d i
Il valore delle reti civiche e dellecomunità virtuali locali
di Leda Guidi
Volutamente preferisco tralasciare pareri sull’analisi
che apre questo dibattito sullo stato di salute delle reti
civiche. Così come richiesto assumo l’artificio retorico
che evidenzia come si possano rilevare chiari segnali cli-
nici per considerarle almeno in prognosi riservata.
È forte la tentazione di ripercorrere criticamente le ra-
gioni che conducono, passo dopo passo, con l’inesorabi-
lità di un sillogismo aristotelico, a tale pessimistica/lucida
considerazione avanzata da chi ha stimolato questa dis-
cussione, ed eventualmente entrare nel merito delle ar-
gomentazioni addotte a sostegno della “pars destruens”,
ma la scelta di non farlo lo è altrettanto, motivata com’è
da una diffusa e palpabile sensazione di disagio (forse
emotivo, forse snobistico per chi è stato ed è “in medias
res”) alla lettura del documento in oggetto, sensazione
che consiglia una fredda sospensione del giudizio da par-
te di protagonisti, per definizione troppo coinvolti nella
materia trattata. Quello che l’estensore infatti rileva da
entomologo come problemi, criticità, nodi irrisolti, diffi-
coltà, occasioni mancate, ecc., sono - per chi scrive – solo
parte della quotidiana gestione, della progettazione e
dello sviluppo di un servizio (che proprio solo tale non è)
per il quale non esistono riferimenti consolidati e mutua-
bili. È naturale che le cose presentino altre facce se vissu-
te e guardate da un punto di osservazione diverso. L’arti-
colo di apertura tenta l’audace e provocatoria impresa in-
tellettuale di esaminare un fenomeno, che definire com-
plesso è riduttivo, fenomeno al quale in questi anni (anni
solari o anni web?) è stata tributata, in generale, un’at-
tenzione più convegnistico/giornalistica che militante.
Per circoscrivere il campo su cui concentrare gli sforzi
diagnostici si tenta giustamente ora di attribuire uno
“statuto” a oggetti diversi alla cui concettualizzazione e
forse utile definizione semantica pochi – in Italia, ma an-
che in Europa - si sono applicati dal ’94 in poi. Tra reti ci-
viche e città digitali, siti web, servizi telematici pubblici,
comuni virtuali e quant’altro abbiamo assistito e parteci-
pato, per l’ansia di nominare entità sfuggenti e così go-
vernarle, ad una sorta di babele definitoria che, in molti
casi – non in tutti – prescindeva da una comprensione
profonda di quanto si stava nominando, cioè una protei-
forme miriade di esperienze diverse probabilmente, e,
secondo il costume italiano, tante quante le Amministra-
zioni o comunità che le andavano esprimendo. Non cre-
do che questa differenziazione debba essere letta neces-
sariamente secondo una chiave di maggiore o minore
distanza da un “modello ideale” di telematica civica, ma
debba essere accettata come dato se si vuole almeno
tentare di capire che cosa è vivo e che cosa è morto, che
62•
cosa non è mai nato o ha emesso solo i primi vagiti, se
riferito agli elementi fondanti una rete civica in senso
“schuleriano”; probabilmente ciò di cui stiamo parlando
- comprendendo forse ancora cose diverse sotto la stes-
sa etichetta - semplicemente sta evolvendo verso “altro”,
non ancora noto, meticciandosi e allontanandosi dal di-
segno iniziale, di frequente originato da una scommessa
di innovazione e non da un progetto predefinito e preci-
so.
Interattività, senso comunitario, trasparenza, condivi-
sione, partecipazione alla produzione e alla progettazio-
ne dei contenuti, accesso facile e gratuito per tutti, dirit-
to all’informazione, feed-back di politici e amministratori,
e così via. Le caratteristiche e i principi che danno forma
a una rete civica – nell’accezione più alta e completa del
termine, un felice mix di bottom up e di top down – so-
no state, credo, in quasi tutti i casi concreti, di volta in
volta un po’ disattesi, un po’ enfatizzati, a volte – spesso
- realizzati: come? Nel solo modo possibile nei difficili
contesti dati, quello della sperimentazione, del tentativo,
della scommessa, dell’atto volontaristico di Amministra-
zioni decise a misurarsi con un mondo nuovo e immate-
riale nel quale sentivano di dover conquistare un ruolo
non secondario a quello del mercato nell’utilizzo delle
tecnologie di rete. Penso che questo sforzo da parte di
molti, che si è espresso secondo diversi gradi di rigore fi-
losofico, impegno e successo, sia di per sé, al di là delle
cogenze normative, per natura macchine celibi se non
accompagnate da “vision” strategica, una conquista per
le istituzioni pubbliche italiane.
Questa sorta di quinquennale apprendistato naziona-
le su e con Internet ha prodotto servizi (forse non sem-
pre reti civiche) per i quali decretarne la morte con l’ac-
cusa di inadeguatezza alle attese pare un po’ draconia-
no. Magari però è un salutare shock! Penso però che per
la mia funzione la “pars construens” sia quella più con-
seguente. Quindi, a questo approccio mi atterrò. Lo svi-
luppo in senso numerico delle reti civiche (assumiamo
questa definizione nella sua accezione più estensiva) so-
stenute da Pubbliche Amministrazioni, tipicamente dai
Comuni come istituzioni territoriali più vicine alle esigen-
ze, anche inespresse, di informazione, comunicazione e
servizi, obbliga certamente ad una riflessione sul futuro
di queste – secondo la mia opinione - preziose espe-
rienze, nate come “di frontiera” e divenute in alcuni casi
le avanguardie locali dell’apertura al globale. Come da
autorevoli fonti sottolineato, le reti civiche più impegna-
te in termini di interattività, dialogo con la collettività,
servizi disegnati per diversi target, sperimentazioni come
firma digitale, democrazia elettronica - per citare solo al-
cune delle prestazioni offerte - sono una risorsa non so-
lo per l’Ente che le ha promosse, scommettendo sull’in-
novazione tecnologica e organizzativa, investendo intelli-
genze e competenze, finanziando infrastrutture e conte-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
63•
nuti, ma per la comunità intera, per la “società dell’ in-
formazione e della conoscenza” locale.
Le reti civiche quindi – dopo l’esplosione di Internet
e della nuova economia virtuale – acquistano ancora più
valore per la comunità, in un quadro complessivo dove il
mercato “puro” tende ad occupare tutti gli spazi, mentre
una pluralità di voci e contributi deve essere presente e
attiva nell’agorà elettronica, con altri soggetti pubblici,
privati e del terzo settore uniti nella finalità comune di
crescere e competere nell’arena mondiale, senza perde-
re le proprie radici/vocazioni locali. La “cittadinanza elet-
tronica”, parallela alla cittadinanza tout-court, è una con-
dizione diversa e molto più ricca di quella prevista dai
portali tanto di moda (i quali, se mai, sono uno stru-
mento operativo efficace ma non autoconcluso), che an-
drebbe garantita e presidiata dal settore pubblico, il qua-
le dovrebbe basare il proprio “business model” – pur ne-
cessario per la sostenibilità finanziaria della rete civica -
su altri principi e criteri di ritorno degli investimenti (ad
esempio pubblicità sul web, non intrusiva, servizi tele-
matici “a valore aggiunto”, sponsorship, ecc.).
Le reti civiche, non sono servizi commerciali ma servi-
zi – appunto - civici, quindi gli utenti oltre ad avere
quanto sopra espresso – la cittadinanza telematica gra-
tuita - sono e devono sentirsi al riparo sul fronte della
tutela dei dati personali, della sicurezza delle transazioni,
della qualità dei contenuti/servizi offerti e dell’esercizio
di altre e multiformi attività extramercantili. È ovvio d’al-
tra parte che le comunità virtuali, come quelle che fre-
quentano e incrementano i siti delle reti civiche, si pre-
sentano come piattaforme ideali per la diffusione di in-
formazioni, servizi, prodotti, per la costruzione e il man-
tenimento di relazioni, elementi strutturali del concetto
di “servizio” anche nello spazio digitale. Essere cittadino
telematico – fare parte di una comunità telematica orga-
nizzata, regolata e aperta – comprende anche l’essere
consumatore/cliente/utente, ma ha a che fare soprattut-
to con il principio di sovranità e di diritto ai servizi pub-
blici in senso lato, anche digitali, più che con il solo ac-
cesso a Internet ancorché gratuito.
Pensare alla rete tout-court solo come un immenso
spazio di e-commerce, e non come a una nuova “sfera
pubblica”, è riduttivo e fuorviante, e alla lunga contropro-
ducente anche sotto il profilo commerciale. Nello spazio
plurale delle reti civiche il concetto di vendita è compre-
so nel concetto più esteso di scambio di valore (non so-
lo quindi business); all’interno di questo spazio il primo
elemento necessario è la fiducia e il sentirsi a proprio
agio, che è molto più dell’essere percepiti solo come de-
stinatari di prodotti da acquistare. Questo è tanto più ve-
ro in Italia dove la virtualità – per cultura o per ritardo -
non genera immediata fiducia. Sviluppare la rete con
servizi sempre più personalizzati e sofisticati, ma nello
stesso tempo semplici e “friendly” per l’utente, e pro-
L e d a G u i d i
64•
muovere l’allargamento della comunità telematica me-
tropolitana è un modo moderno per contribuire allo svi-
luppo del territorio e del tessuto socio-economico di
fronte alle sfide e ai rischi della globalizzazione.
Tenendo presente queste considerazioni, che metto-
no al centro del processo i cittadini e le città come inter-
locutori in un dialogo costante con le Amministrazioni e
al loro interno, è opportuno e necessario esplorare a tut-
to campo – e con una forte consapevolezza del proprio
potere contrattuale - possibili modalità di gestione pub-
blico-privata, dove gli aspetti “new economy” vengono
presi nella giusta considerazione nel contesto dato, cioè
vengono declinati su un più ampio interesse pubblico.
Condurre in porto operazioni di questo tipo significa es-
sere capaci, dal punto di vista strategico, di trovare con-
vergenza di obiettivi civici e imprenditoriali da parte di
più soggetti, essere in grado di mobilitare risorse, coniu-
gando interessi, missioni e programmi diversi ma, nel
contempo, coerenti con un progetto di equa comunità
locale reticolare che lavori, produca, apprenda, interagi-
sca con il pubblico e con il privato usando pienamente
le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
L’attenzione a questi temi e la promozione di una
percezione diffusa a livello locale della loro importanza
prospettica sono le migliori condizioni per chiamare a
raccolta gli attori potenzialmente più sensibili su di un
progetto che prima che economico è “politico” e che
sposta in avanti, se praticato, un dibattito che deve prefi-
gurare nuove frontiere di innovazione e di invenzione
sociale/culturale. Dovrebbe essere una funzione vista
come prioritaria dal settore pubblico – tipicamente i Co-
muni, ma non solo, come livelli di governo vicini ai citta-
dini - valorizzare ed aumentare le opportunità civiche,
culturali, sociali ed economiche dell’area su cui operano,
anche attraverso le nuove tecnologie di informazione e
comunicazione, candidate a diventare uno dei principali
motori locali e globali di sviluppo. Il tema della costru-
zione a livello locale della “società dell’informazione” sta
assumendo infatti un rilievo essenziale per il manteni-
mento dell’alto profilo sociale e culturale delle città, in
un contesto in cui le aree urbane sono sempre più i no-
di emergenti di una rete mondiale, e in cui le dinamiche
di globalizzazione sono una sfida reale per la competiti-
vità e una occasione per i sistemi territoriali.
La Pubblica Amministrazione si può fare dunque pro-
motrice di progetti di largo respiro e di sicura innovativi-
tà – tecnologica, civica e strategica - per le città, evitando
di essere passivamente inglobata o assorbita dagli onni-
presenti portali che vedono tutta l’appetibilità delle risor-
se informative e di servizio delle istituzioni e delle comu-
nità virtuali già formate e fidelizzate. L’inarrestabile - e
potente per risorse impiegate - spinta del mercato alla
conquista dell’utente in quanto consumatore ha eviden-
ziato la necessità di non lasciare il terreno di questa
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
65•
nuova frontiera economica e culturale solo, o prevalen-
temente, alla riduzionistica arena delle transazioni com-
merciali, et similia. Lo “shopping mall”, come paradigma
del luogo chiuso e “privatizzato” di socializzazione e di
comunicazione per eccellenza, mediato e guidato dal
consumo a distanza, sta facendo infatti fortuna in rete,
affermandosi velocemente come il modo più facile per
ridefinire lo spazio pubblico, utilizzando al livello più
basso le potenzialità semantiche e di agente mutageno
dei comportamenti sociali e comunicativi proprie del ca-
nale interattivo: l’interazione nel caso dei “mall” si esau-
risce quindi nell’azione del comprare sollecitata dal gla-
mour mediatico di vetrine ammiccanti. Anche comprare
- si sa - è un modo di comunicare, ma è la pervasività e
la facilità del modello che allarma. Non intende esserci
nessun moralismo in queste considerazioni anche per-
ché le funzioni commerciali tele-svolte e le transazioni
economiche possono liberare il nostro tempo da fatico-
se incombenze pratiche. La preoccupazione è determi-
nata dal rischio di impoverimento nelle proposte indotte
da modelli forti che danno un’interpretazione monote-
matica “marketing oriented” delle presenze virtuali.
Lo spazio elettronico, invece, per la sua particolare na-
tura di essere in qualche modo “doppio” della multifor-
mità del mondo (in un grado infinitamente maggiore ri-
spetto ad altri media “uno a molti”) ha bisogno di inven-
zione, sperimentazione, pluralismo e di visioni progettuali
diversificate per poter allargare l’orizzonte psicologico, so-
ciale, antropologico, comunicativo e non essere di questo
la replica banale o il simulacro. Ha bisogno, per evolvere,
della partecipazione agli eventi e alla vita della rete di
una popolazione (locale, nazionale, globale) disposta e
abituata all’interattività, non quella fraintesa, superficiale
e in fondo unidirezionale, di marca plebiscitaria sollecita-
ta dai sondaggi a risposte chiuse, non quella fortemente
finalizzata del consumo, ma di quella che è ricerca di
nuove forme dell’apprendimento, della comunicazione e
della produzione. Per questa nuova dimensione spazio-
temporale servono codici, regole, e per entrare in essa
nuovi diritti di cittadinanza, culturale, economica e socia-
le, che è auspicabile vengano garantiti o comunque sup-
portati dal settore pubblico: la sfida ancora aperta è, dun-
que, non lasciare mercato e “corporate” quali soli attori,
quali soli - o prevalenti - parlanti, produttori di significati
nella gestione del mondo digitale, nell’uso delle sue po-
tenzialmente infinite opportunità.
Probabilmente le reti civiche, e comunque la presen-
za delle Pubbliche Amministrazioni sul web, devono tro-
vare un nuovo “posizionamento”, ma sicuramente hanno
ancora molto futuro davanti, se sono capaci di mutare,
senza perdere il proprio codice genetico, in un mondo
Internet molto più affollato e commercialmente aggres-
sivo rispetto alla fase difficile ma elitaria, e per questo in
qualche modo protetta, delle origini.
L e d a G u i d i
67•
A n d r e a P i t a s i
Quali funzioni strategiche per le nuovetecnologie multimediali applicate allacomunicazione pubblica?
di Andrea Pitasi
Quali funzioni dovrebbero svolgere le tecnologie
multimediali applicate alla comunicazione pubblica?
Questo interrogativo richiede una risposta articolata in
nove punti, almeno a mio parere.
Ma prima di affrontarli reputo utile qualche premessa
di respiro teorico più ampio.
M. Crozier ha sempre sostenuto che cambiare la so-
cietà è necessario, ma volerla cambiare per decreto è
semplicemente ridicolo (Crozier 1987), e io sottoscrivo il
suo punto di vista.
La prospettiva dalla quale sviluppo brevemente que-
ste mie annotazioni è quella dell’esperto di strategie co-
municative applicate ai cambiamenti socio - economico
- culturali in atto in questo scenario ancora troppo da se-
condo millennio seppur in vista del successivo.
Ritengo che i vantaggi strategici delle innovazioni or-
ganizzative facilitate dalle tecnologie telematiche e mul-
timediali possano essere valorizzati uscendo dalla retori-
ca demagogica della comunità in generale e di quella
virtuale in particolare.
Personalmente, diffido tantissimo di quelle teorie che
si aggrappano a dicotomie scivolose come quella astra-
zione/empatia (ad esempio, Maffesoli 1988). Tali ap-
procci teorici, in sostanza, affermano che alcune “politi-
che di intervento” rendono i rapporti umani e le dinami-
che sociali più formalizzate, astratte, fredde, impersonali
(il mondo dell’astrazione), mentre altre svilupperebbero
un senso di appartenenza ed identità comunitaria uma-
namente più ricca e capace di permettere ad Ego di
mettersi nei panni - per dirla in linguaggio non scientifi-
co - dell’Altro (il mondo dell’empatia).
A mio parere, nel mondo dell’empatia, il modo di ge-
stire politicamente le innovazioni tecnologiche multime-
diali ha risentito di una certa retorica tipica di chi ha già
un quadro teorico preconfezionato e lo applica a tutti i
cambiamenti in corso. Personalmente, reputo che le
nuove tecnologie multimediali applicate alla comunica-
zione pubblica debbano svolgere funzioni meno dema-
gogiche e retoriche dello sviluppo del senso comunita-
rio, virtuale o meno.
Tali funzioni a mio parere dovrebbero essere:
a) Abbattere i costi di transazione (economici, organiz-
zativi e contrattuali) dell’attività della Pubblica Ammi-
nistrazione con conseguente decremento della spesa
pubblica e della tassazione;
b) potenziare le strategie di gestione della conoscenza
funzionalmente differenziata tra capitale umano, ca-
pitale strutturale e capitale clienti (Stewart 1999);
68•
c) agevolare ciascun individuo nel proprio progetto evo-
lutivo semplificandogli le modalità di accesso alle ri-
sorse pubbliche, eliminando dunque i casi di accesso
negato, autoesclusione e ricorso improprio secondo
strategie comunicative acentriche, averticistiche e
consapevoli dell’intrinseca autoreferenzialità di ogni
essere umano (Pitasi 1999a);
d) ridurre il potere dei politici (Pitasi 1999b), l’ultima
forma di potere non specifica né evolutivamente stra-
tegica;
e) facilitare una cultura del potere come servizio e ma-
nutenzione (Hilmann 1996) finalizzata ad ottimizzare
la gestione dell’esistente rendendo minima l’entro-
pia;
f) favorire ogni chance di relativizzazione funzionale dei
poteri e delle conoscenze attraverso strategie di co-
municazione policentriche;
g) prendere atto delle dinamiche di scambio di reciproci
interessi che sta alla base di ogni dinamica sociale,
interessi che studiosi quali Homans e Blau hanno as-
sai ben concettualizzato (per una sintesi del loro
pensiero si rimanda a Pitasi 1999a);
h) agevolare la privatizzazione morale dei valori cultu-
rali contro ogni pretesa di universalismo etico da
diffondere nei mondi multimediali definendo solo
pochi, precisi e chiari limiti negativi alla libertà indi-
viduale;
i) last but not least, lo sviluppo di studi interdisciplina-
ri di tipo applicativo sulla proprietà intellettuale. Le
sciocchezze epocali tipo l’intelligenza collettiva, na-
scono da una “truffa” macrosociale, quella cioè di
un sapere condiviso, comunitario e dunque privo di
un proprietario. Tanto le aziende a caccia di banche
dati per direct marketing quanto le istituzioni politi-
che a caccia di risorse umane da sfruttare al minimo
costo giocano spesso sul mito dell’intelligenza col-
lettiva per spersonalizzare la fonte delle conoscenze
che hanno acquisito, onde non avere obblighi verso
di essa ma piuttosto facendola sentire in obbligo
verso l’istituzione o la comunità a cui si appartiene;
dopotutto il tragico significato della parola “comuni-
tà” appartiene alla radice latina cum munus (Espo-
sito 1998) e rimanda all’obbligo che gli individui, in
sé insignificanti, hanno verso la comunità di donare
se stessi in parte o interamente (fino al sacrificio
estremo e quasi sempre inutile dei morti in guerra),
dato che la comunità gli consente di esistere, ram-
mentandogli che senza superiori istanze (la ragion
di stato, la coscienza di classe, la nazione, l’identità
etnica, il dogma religioso, un progetto storico più o
meno millenarista, ecc.) la sua vita di individuo non
ha senso.
Gli scenari del terzo millennio ci parlano di individui
in ambienti soprattutto mentalmente costruiti, altamente
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
69•
personalizzati in microcosmi densi di rapporti sociali
molteplici e multiformi più flessibili, ludici, edonisti, rilas-
sati, altamente organizzati ed ottimizzati che non hanno
più bisogno di immaginari collettivi, ideologie, etiche, va-
lori più o meno universali né di tradizioni culturali vinco-
lanti. La politica, le istituzioni statali e la storia diventano
i relitti marci delle tempeste socio - culturali di fine XX
secolo e la multimedialità diviene uno strumento strate-
gico prioritario per offrire ai cittadini-clienti, cittadini-pa-
zienti, cittadini-consumatori quelle microsfere di senso
nelle quali ciascun individuo può costruire e ricostruire
se stesso - psicologicamente e “bionicamente” - fin
quando non si sentirà pienamente soddisfatto di essere
ciò che è diventato attraverso mille giochi psico - speri-
mentali.
Fintanto che le istituzioni non comprenderanno che è
nel loro interesse fare l’interesse dei cittadini delle mi-
crosfere, ogni progetto di riforma istituzionale sarà, a
mio parere, mera demagogia e retorica.
Il presente scritto è una variante del mio articolo dal
titolo “Microsfere” © Andrea Pitasi, giugno 2000, con-
cesso in forma non esclusiva ed a titolo gratuito alla
Fondazione Bassetti la quale, nel luglio 2000, lo ha pub-
blicato su www.fondazionebassetti.org.
Bibliografia
M. Crozier, Stato moderno, stato modesto, EL, Roma
1987
R. Esposito, Communitas, Einaudi, Torino 1998
J. Hillmann, Forme del potere, Garzanti, Milano 1996
M. Maffesoli, Il tempo delle tribù, Armando, Roma 1988
A. Pitasi, Il sesto stratagemma - Il management strategi-
co della comunicazione pubblica, Seam, Roma
1999a
A. Pitasi, A Facilitative Agenda Setting for the 21st Cen-
tury Scenarios, World Futures vol. 54/99, pp 337-353
T. Stewart, Il capitale intellettuale, Ponte alle Grazie, Mi-
lano 1999
A n d r e a P i t a s i
71•
P a o l o D e l l ’ A q u i l a
Reti civiche o community network?
di Paolo Dell’Aquila
L’esperienza italiana delle reti civiche sembra oggi in
crisi, come rilevato da molti autori. Le disposizioni legis-
lative e le esigenze degli sponsor privati spesso trasfor-
mano la telematica pubblica in una vetrina vuota e cao-
tica, dominata dal puro presenzialismo dei vari Enti. La
rete civica viene concepita come uno strumento interno
alla Pubblica Amministrazione, per comunicare con il cit-
tadino e fornirgli alcuni servizi essenziali, tutelando an-
che il diritto alla trasparenza dell’attività amministrativa.
Questa concezione rende Internet un medium debo-
le e tutto interno all’autoreferenzialità della Pubblica
Amministrazione, che cerca così altri canali per svolgere
la sua normale azione.
La fallacia che sta alla base di questo meccanismo
consiste nel sottovalutare la domanda di partecipazione
ai processi decisionali ed al management di vari servizi.
Si realizzano network molto capaci di diffondere l’opera-
to della Pubblica Amministrazione, ma non di sviluppare
un tessuto civico diffuso che possa stimolare lo sviluppo
di una “civil society” operante attraverso la rete (Donati
1997).
La base indispensabile per sviluppare una rete civica
viva ed operante è la capacità di incentivare lo sviluppo
di molte associazioni, comunità di cittadini che usino la
rete per consultarsi, sviluppare degli skill specifici ed
aprire aree di dibattito. I community network americani
sono esemplari per la promozione di organizzazioni che
sviluppano l’autoaggregazione e lo spirito di iniziativa.
Perché possano nascere delle agorà virtuali efficienti, oc-
corre creare delle associazioni virtuali in grado di dotarsi
di strutture democratiche e di risolvere problemi in mo-
do innovativo (Lévy 1996; Picci 1999). Le tribù telemati-
che che ho cercato di analizzare nel mio volume (Dell’A-
quila 1999) sono capaci, a certe condizioni, di seleziona-
re la complessità dell’ambiente virtuale, proponendo
modi nuovi di problem solving e di autogoverno.
Perché questo accada, è necessario però che i parte-
cipanti vivano sentimenti condivisi ed obbiettivi comuni.
Occorre sviluppare delle culture locali (e glo-cali), in gra-
do di imporsi come modelli da seguire in tempi e luoghi
differenti.
Da un lato le associazioni virtuali possono nascere
soltanto dalla sedimentazione di valori collettivi, da
esperienze empatiche che rendono i partecipanti vicini e
solidali fra loro, indipendentemente dalle distanze spa-
zio-temporali. Dall’altro lato le teleorganizzazioni posso-
no operare tramite progressive decisioni che, prese at-
traverso Internet, permettono di selezionare linee di con-
dotta e piani di intervento specifici, impostando campa-
gne di opinione, appelli, progetti, ecc. Per questo esse
72•
adottano spesso una struttura decentrata ed a piccole
unità, dotandosi di interfacce con professionisti ed asso-
ciazioni “reali” e svolgendo la funzione di ponti fra terri-
torio tradizionale e virtuale. Queste teleorganizzazioni
funzionano meglio quanto più alta è l’empatia, il grado
di partecipazione ed i valori condivisi, così come avviene
per il settore non profit che opera off-line (Ardigò 1988).
I community network possono favorire la nascita di
associazioni virtuali perché riuniscono cittadini che vi-
vono nel medesimo territorio, hanno una storia comu-
ne e problemi condivisi. Vi sono molte innervazioni e
moltissimi modi di affrontare queste esperienze. Le as-
sociazioni virtuali rimotivano ed incoraggiano cittadini
che si sentono sempre più estromessi dall’autoreferen-
zialità della vita politica. Nei paesi più avanzati questi
organismi sono divenuti il volano per la costruzione di
Neigh-Net, di reti di vicinato più piccole e circostanzia-
te rispetto alla comunità globale (Doheny-Farina 1996).
Il livello del vicinato è strategico per consolidare una
cultura comune, a partire da problemi ed istanze di ba-
se che possono trovare anche soluzioni autoorganizza-
te, grazie al potenziale innovativo di reti specializzate e
flessibili di cittadini. Il ritrovamento di una domus reale
e virtuale può rappresentare il punto di partenza per la
creazione di community network che sappiano integra-
re la storia, i valori e la comunicazione telematica. Per-
ché le reti civiche assomiglino maggiormente a repub-
bliche elettroniche (Grossman 1995) è pertanto indi-
spensabile la promozione del fattore umano, lo svilup-
po di associazioni e di comunità capaci di autogoverno
ed ispirate da un ritrovato interesse per la vita pubbli-
ca, sia virtuale che reale.
Bibliografia
A. Ardigó, Per una sociologia oltre il post-moderno, La-
terza, Roma-Bari 1988
P. Dell’Aquila, Tribù telematiche, Guaraldi, Rimini 1999
S. Doheny-Farina, The Wired Neighborhood, Yale Univer-
sity Press, New Haven and London 1996
P. Donati (a cura di), La società civile in Italia, Mondado-
ri, Milano 1997
L.K. Grossman, The Electronic Republic, Viking, New York
1995
P. Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996
L. Picci, La sfera telematica, Baskerville, Bologna 1999
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
73•
G i o r g i o P r i s t e r
Cenerentola e le reti civiche
di Giorgio Prister
In un recente articolo, Janet Caldow, responsabile
dello “Institute for Electronic Government” della IBM a
Washington, confrontava il futuro delle reti civiche con la
favola di Cenerentola1: come nella favola le reti civiche
potranno essere scelte dal Principe nel ballo a corte; la
magia cesserà a mezzanotte. Solo nelle favole i messi
del Principe riusciranno poi a ritrovare Cenerentola fa-
cendole calzare la scarpina di cristallo.
Questa similitudine fantasiosa ha un fondamento
molto serio. In Italia, come nel resto del mondo, le reti
civiche sono nate in forme varie; si sono moltiplicate ma
solo poche hanno raccolto finora successi e sono cre-
sciute diventando pienamente operative.
Internet e l’e-business si sono sviluppati in modo tu-
multuoso ed anche in Italia gli Internet Service Providers,
le “Net Generation Companies”, i “Venture Capitalists” si
sono scatenati a cercare di cogliere le opportunità della
new economy realizzando nuovi modelli di business ove
la Pubblica Amministrazione ed in particolare le reti civi-
che hanno un ruolo nullo o al meglio, in qualche raro
caso, marginale.
Eppure il modello delle reti civiche ha potenzialmen-
te le possibilità di combinare in modo equilibrato la glo-
balizzazione rappresentata dalla new economy e la di-
mensione cittadina che a sua volta si compone sia della
vita di tutti i giorni vissuta dai cittadini che lavorano, so-
cializzano, s’istruiscono, utilizzano servizi pubblici e pri-
vati, sia delle aziende in cui lavoriamo le quali per ope-
rare e prosperare devono appoggiarsi al tessuto socio
economico locale.
È noto che la globalizzazione con la new economy ha
creato inediti modelli economici portando tanta nuova
ricchezza e posti di lavoro ad alcuni paesi, tra i quali si
trovano in testa gli Stati Uniti, ed ai paesi del mondo Oc-
cidentale. Anche l’India e pochi altri paesi, così detti “in
via di sviluppo”, hanno saputo cogliere tempestivamente
questa opportunità ed hanno saputo utilizzare l’immen-
so valore umano e culturale che possiedono per svilup-
pare una nuova classe imprenditrice la quale, a sua vol-
ta, ha creato nuova ricchezza basandosi su giovani con
istruzione ad altissimo livello, infrastrutture tecnologiche
e costi bassi. Oramai lì si trovano fra le migliori Universi-
1 Cinderella Cities by Janet Caldow - IBM Institute for Electronic Government - Washington DC -
http://www.ieg.ibm.com/index_nc.html.
74•
tà, fra le più avanzate industrie del software e dei servizi
che operano a livello mondiale.
Ma la globalizzazione non è tutto. Le città vinceranno
la competizione con le altre città vicine e con quelle di
altri Paesi, se si svilupperanno e saranno luoghi dove la
gente vorrà stabilirsi. Le aziende ed i commerci prospe-
reranno se sapranno creare la giusta combinazione di un
ambiente sociale e culturale favorevole, di eccellenti ser-
vizi pubblici e privati, di una invitante disponibilità di in-
frastrutture efficienti, e soprattutto di giovani con elevata
istruzione adatta alle esigenze della domanda di lavoro.
Nessuna azienda della new economy vorrà operare
in città ove ci vogliono settimane o mesi per avere i per-
messi, ove scuole e università sono insufficienti, ove non
è immediato ottenere linee di comunicazione a larga
banda, ove i trasporti non funzionano.
Nessun giovane vorrà rimanere in città dove le op-
portunità di lavoro sono scarse.
Le reti civiche debbono diventare un valido canale di
erogazione di servizi pubblici integrati ed efficienti, deb-
bono essere un valido stimolo e supporto alla imprendi-
torialità privata, specialmente alle piccole e medie indu-
strie, debbono fornire infrastrutture tecnologiche ed ap-
plicative avanzate, debbono integrare i cittadini nella lo-
ro dimensione sociale e culturale; in sostanza debbono
diventare il centro di aggregazione e sviluppo della new
economy e stimolare un nuovo modello di sviluppo
equilibrato e basato sulla dimensione locale ma aperto
ed attivo in quella globale, la quale si potrebbe chiamare
con un brutto neologismo dimensione “glocale”.
Ma sorge una serie di dubbi. Esistono degli esempi
che dimostrano che non si tratti di un’utopia, è possibile
realizzare tutto ciò? Chi deve prendere l’iniziativa? Quali
sono le formule del successo? Se la new economy rap-
presenta la nuova rivoluzione economica, dopo la rivolu-
zione agricola e quella industriale, esiste anche un mo-
dello per la “new governance” e per la “new democracy”
come stanno promuovendo Bill Clinton, Tony Blair, Lio-
nel Jospin e lo stesso Governo Italiano? Le reti civiche
possono rappresentare il canale di integrazione, sviluppo
ed erogazione di questi nuovi modelli?
Reti civiche nel mondo
Un’indagine della RUR2 del 1999 individuava 1355
città digitali in Italia. Alcune di esse rappresentano del-
le realtà significative come Bologna con Iperbole, mol-
te sono ancora delle semplici presenze informative su
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
2 www.rur.it
75•
Internet. Nella maggior parte dei paesi sviluppati la
realtà é sostanzialmente la medesima e offre solo po-
chi progetti significativi i quali sono spesso ancora allo
stadio pilota con funzionalità settoriali ed incomplete.
Il motivo di fondo di queste realizzazioni parziali è che
pochissimi sono i progetti nati su una forte spinta poli-
tica di alto livello, la quale abbia costruito piani di svi-
luppo basati su una “vision” ed una concreta strategia
realizzativa finanziata e di largo respiro che preveda
uno sviluppo progressivo e costante nel tempo di nuo-
vi e validi servizi. Quasi sempre si è trattato di esperi-
menti pionieristici affidati a organizzazioni marginali
del Comune quali quelle dedicate alla “ricerca sociale
e tecnologica” o alle relazioni esterne con pochi colle-
gamenti con il resto della organizzazione. Spesso que-
sti esperimenti sono serviti per annunci pubblici con
presenza di stampa e televisione in prossimità di ele-
zioni, e poi dimenticati.
Fanno eccezione alcuni rari casi che vale la pena cita-
re perché dimostrano che progetti di largo respiro sono
realmente realizzabili.
La cittadina di Naestved in Danimarca ne é un primo
esempio. Non era una ricca città dei Paesi nordici, con
mezzi economici abbondanti, largo uso di tecnologie di-
gitali, una popolazione pienamente integrata nel mondo
di Internet. Anzi, era una realtà in decadenza, con un’in-
dustria siderurgica, della carta e del legno in grave decli-
no; un futuro grigio con carenza di posti di lavoro, una
forte previsione di esodo dei giovani verso realtà più
promettenti; in sostanza era destinata a diventare una
città di anziani.
Nel 1995, il Comune, nella persona del Sindaco e del
City Manager, lanciava il progetto “Naestved Info Society
2000” da realizzare in cinque anni per poi consegnare
nel nuovo millennio un progetto diventato pienamente
operativo.
Venne definita la “vision” del Comune circa il futuro
della città, venivano disegnati obiettivi e piani realizzativi,
venivano create delle partnerships con industrie private,
venivano reperiti fondi significativi, provenienti inizial-
mente dall’Unione Europea nel progetto Infoville, ma
ben presto erogati anche localmente con preponderante
contributo del Comune.
Nel Maggio del 2000, con giusto orgoglio, Naestved
ha pubblicato il documento “Status report Naestved In-
fo-Society 2000” che in 24 pagine riassume i risultati ot-
tenuti ed i piani per il futuro.
Circa i risultati ottenuti il rapporto indica:
– la realizzazione della prima rete ad alta velocità in
una città danese;
– la realizzazione di un portale Internet cittadino con
elevato contenuto di servizi a valore aggiunto;
– la realizzazione del Naestved TouristNet, il primo in
Danimarca;
G i o r g i o P r i s t e r
76•
– lo sviluppo della più completa Amministrazione loca-
le digitale della Danimarca con il ridisegno e l’inte-
grazione dei processi amministrativi. Ora tutte le pra-
tiche sono gestite con nuovi processi integrati ed in
modo digitale. Tutti i cittadini e le imprese possono
accedervi via Internet in modo interattivo con garan-
zia di sicurezza e riservatezza;
– la realizzazione ed il rilascio della firma digitale per
tutti;
– una significativa riduzione dei costi interni dell’Ammi-
nistrazione e quindi il rilascio di nuove risorse econo-
miche per lo sviluppo di Naestved Info-Society 2000.
– la “Tele Education” per corsi interattivi in rete per stu-
denti e lavoratori, in particolare quelli da riconvertire
a nuove professioni;
– l’apertura di 7 “Open Data Centres” ove i cittadini, in-
clusi anziani, disabili e socialmente esclusi, come i
disoccupati e gli economicamente disagiati, possono
essere addestrati ad usare in modo continuativo il PC
ed Internet gratuitamente,
– l’ampio uso dei PC nelle scuole, incluse quelle prima-
rie, raggiungendo il rapporto di un PC per ogni cin-
que studenti;
– la piena integrazione del settore privato con infra-
strutture di e-commerce per le piccole e medie im-
prese, l’integrazione delle banche locali, ecc.;
– una significativa riduzione della disoccupazione;
– un piano aggressivo di sviluppo di nuovi servizi per il
prossimo futuro.
Una realtà socio-economica molto simile, anche se
più caratteristica del sud dell’Europa, si é trovata ad af-
frontare la Regione della Comunidad Valenciana in
Spagna. Nato anch’esso 5 anni fa dallo stesso progetto
europeo Infoville ed anch’esso poi sviluppatosi con
fondi pubblici e privati locali, il progetto è stato realiz-
zato inizialmente nella cittadina di Villena per poi
estendersi prima in altre sette cittadine, ed ora all’inte-
ra Regione. Particolare enfasi è stata data alla educa-
zione di massa della popolazione con corsi pubblici e
seminari a ripetizione che hanno coinvolto cittadini ed
imprese.
I PC sono stati acquistati dalle famiglie con incentivi
ed oramai sono diffusi presso la maggioranza di esse
che li usano per ogni tipo di attività: quella scolastica,
quella universitaria, quella delle pratiche amministrative,
quella bancaria, quella di e-commerce ma anche quella
ludica e quella di semplice e-mail.
La comunicazione è stata uno degli strumenti di co-
involgimento con ampio e continuativo utilizzo di stam-
pa e televisione sia locale che nazionale.
Anche la Città-Stato di Singapore merita una menzio-
ne particolare come una delle realizzazioni più complete
al mondo, ma ci é più lontana per le differenze culturali
e socio economiche, e per le sue caratteristiche di esse-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
77•
re allo stesso tempo un Governo locale e nazionale.
Gli Stati Uniti sono i pionieri della new economy e
grazie a Bill Clinton e Al Gore hanno da tempo lanciato
un piano nazionale di “e-government”. Se però andia-
mo ad analizzare le reti civiche nelle città, troviamo
molte iniziative private indirizzate ai cittadini come frui-
tori della città ovvero intesi come consumatori obiettivi
della pubblicità e dello “e-commerce”, come acquirenti
di biglietti per spettacoli e musei, come turisti che cer-
cano alberghi, luoghi da visitare ed intrattenimenti, o
come uomini d’affari che necessitano di contatti con
aziende locali o luoghi di lavoro e di riunione. Tutti ser-
vizi molto validi ma con un chiaro indirizzo di business
privato e quindi con un contributo ancora limitato o
nullo da parte del settore pubblico. Molti degli aspetti
chiave che il Sindaco e gli eletti devono curare sono
quindi trascurati come per esempio quelli dello svilup-
po socio-economico, dell’integrazione di tutti gli strati
della popolazione, ecc.
Un nuovo fenomeno si sta presentando negli Stati
Uniti da poco più di un anno: si sono create dal nulla
delle “Netgeneration Companies” specializzate nel forni-
re servizi Internet alle Amministrazioni Locali. Compa-
gnie come ezgov3, govworks4, NIC5, collegate con politici
molto influenti come per esempio Mario Cuomo, stanno
crescendo con successo nel fornire servizi e-business in
accordo e per conto delle Amministrazioni locali. Le
transazioni riguardano servizi a pagamento quali per
esempio il rinnovo delle tasse annuali per le patenti o le
licenze professionali. Il modello di business é vario: in al-
cuni casi prevede una percentuale sugli incassi, in altri la
possibilità di rivendere informazioni a compagnie private
quali assicurazioni.
Pur dando una buona spinta ai servizi degli Enti loca-
li, questo nuovo modello di servizi incide poco sulla loro
efficienza complessiva, in quanto si tratta di servizi Inter-
net di solito non integrati con i sistemi informativi pub-
blici e che quindi non incidono sui processi interni e sul-
la loro efficienza.
Anche in Italia si sono avuti recentemente annunci di
nuove società che intendono operare con modelli di bu-
siness simili.
G i o r g i o P r i s t e r
3 http://www.ezgov.com/
4 http://www.govworks.com/
5 http://www.NIC.com/
78•
Maneggiare con cura
Il quadro di sviluppo che si è disegnato soprattutto
nel corso degli ultimi cinque anni ha insegnato molto
circa le chiavi di successo e gli insuccessi.
Cerchiamo di riassumere gli ingredienti di successo
di una rete civica, essi sono:
– un Sindaco ed un City Manager che siano gli ideatori,
i leader ed i motori della rete civica come strumento
di sviluppo socio-economico della città e di erogazio-
ne dei servizi della Pubblica Amministrazione. Che ne
facciano oggetto di programma del Comune e che le-
ghino pubblicamente il loro nome al successo, o al-
l’insuccesso, del progetto;
– definire una chiara “vision” ed una strategia che iden-
tifichi i punti qualificanti per il futuro della città e che
illustri come la rete civica sia uno degli strumenti
chiave per consentirne l’attuazione;
– definire un piano di attuazione che sia di costante e
crescente impatto sul tessuto cittadino e che sia però
realistico, pragmatico, basato su risorse adeguate e
disponibili ben definite, sia umane, che economiche,
che tecnologiche. Iniziare semplicemente, ma arric-
chire costantemente la rete civica con nuovi servizi
dall’elevato valore aggiunto;
– educare con un piano diffuso e costante di addestra-
mento la cittadinanza e le imprese all’uso di Internet
e della rete civica con l’obiettivo di farla partecipare
attivamente alla vita socio-economica e di farla di-
ventare la protagonista nella new economy;
– coinvolgere quanto più possibile tutti gli strati della
popolazione, in particolare le famiglie, gli studenti, i
disoccupati, i meno abbienti, i disabili, ecc.;
– comunicare con ampio utilizzo di eventi pubblici,
stampa e televisione, soprattutto locali, i piani di svi-
luppo ed i progressi della rete civica;
– misurare l’impatto della rete civica, il valore dei servi-
zi erogati, il grado di utilizzo e la soddisfazione dei
cittadini e delle imprese;
– modificare o ridefinire radicalmente il piano di attua-
zione in funzione dei risultati ottenuti, di eventuali in-
successi e di nuove priorità che inevitabilmente pos-
sano presentarsi nel tempo.
Le esperienze di reti civiche attuate in Italia e nel
mondo hanno permesso di individuare le macro-aree
che hanno dimostrato un maggior impatto:
– lo Sportello Unico della Pubblica Amministrazione;
– le comunità virtuali e la democrazia digitale;
– la formazione permanente;
– l’economia, la piccola e media industria, il commer-
cio, il lavoro;
– il turismo, la cultura, gli spettacoli ed i servizi infor-
mativi della città.
Nel seguito tratteremo alcune di queste macro-aree
per indicarne le caratteristiche qualificanti e le prospettive.
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
79•
Lo Sportello Unico della Pubblica Amministrazione
Il quadro normativo in Italia è completo da tempo e
rimane per ora uno dei più avanzati al mondo. Da tem-
po è in vigore la legge sulla trasparenza. Sono stati isti-
tuiti gli sportelli URP per i cittadini e gli sportelli unificati
per le imprese. La firma digitale è operativa e numerose
società sono già abilitate a rilasciarla. Il Governo ha pub-
blicato il piano per lo “e-government” con stanziamenti
significativi pari a 1.335 miliardi di investimenti in due
anni. Fra le voci di spesa previste spiccano gli Enti locali
con 580 miliardi.
All’estero pochi paesi sono in questa situazione posi-
tiva: solo in questi giorni per esempio il Governo statuni-
tense ha introdotto ufficialmente la firma digitale e dal
1° Ottobre 2000 entrerà in vigore lo “Electronic signatu-
res in global and national commerce Act”
Oltre al quadro normativo anche le tecnologie sono
disponibili:
– server Internet di potenza scalabile fino a potenze
elevate in grado di gestire gli enormi e crescenti volu-
mi di transazioni che le reti civiche estese a tutta la
popolazione ed a tutti i servizi dovranno gestire;
– software di base;
– architetture di e-business6;
– “middleware” in grado di consentire funzionalità a
valore aggiunto, quale la personalizzazione dei conte-
nuti7;
– software applicativi quali per esempio quelli per la
gestione del “workflow management” e dell’accesso
via Internet basati su Lotus Notes e Domino;
– architetture per garantire la sicurezza e la riservatezza
consentendo all’utente dell’Amministrazione l’accesso
diretto via Internet alle proprie pratiche e alle transazio-
ni con i sistemi amministrativi dell’Ente locale.
Le modalità di gestione ed erogazione dei servizi
in rete da parte del Comune possono essere moltepli-
ci e vanno dall’usuale gestione in proprio ad un com-
pleto “outsourcing” in web-hosting o presso Applica-
tion Service Providers.
Da questo quadro felice si deve ora passare alla rea-
lizzazione. Infatti la trasparenza é rimasta spesso a livello
di intenzioni; pochi Comuni consentono ai cittadini l’ac-
cesso via Internet alle proprie pratiche. Gli Sportelli Uni-
G i o r g i o P r i s t e r
6 Ad esempio lo “e-business application framework” della IBM.
7 In questo ambito, ad esempio, prodotti quali Websphere o lo “Enterprise Information Portal” con la sua personalizzazione chia-
mata “e-government portal” annunciata di recente dalla IBM.
80•
ci, sia quelli ai cittadini, sia quelli alle imprese esistono
come sportelli informativi dotati di impiegati e terminali
informativi, ma non operano quasi mai come Sportelli
Unici da cui disbrigare pratiche integrando i processi am-
ministrativi.
Le comunità virtuali e la democrazia digitale
Le comunità virtuali cominciano a diffondersi. È arri-
vato il momento di arricchirle di strumenti di aggregazio-
ne e di discussione che vadano oltre le chat e le e-mail.
I “discussion groups” sono strumenti di aggregazione
e di socializzazione e sempre più stanno diventando
gruppi di opinione.
Siti americani ed europei con ampia platea in tutto il
mondo diffondono questi temi. Per esempio Democracy
On Line8 o E-groups9. Internet viene definito lo strumen-
to democratico che potrà riavvicinare i cittadini alle isti-
tuzioni ed alla politica grazie alla capacità di aggregare le
persone ed organizzarle in gruppi spontanei d’opinione.
I nostri politici dovranno cambiare il loro modo di fa-
re politica. Pochi ancora oggi sono avvezzi all’utilizzo del-
la semplice e-mail per colloquiare e sentire il polso degli
elettori.
Talkgov10 negli Stati Uniti è un’organizzazione operan-
te via web dalla parte dell’elettore che garantisce un ca-
nale di comunicazione e di discussione con i membri del
Congresso.
Politics On Line11 offre ai politici una vetrina su cui
promuovere la propria immagine, fare campagne e rac-
cogliere fondi per le elezioni.
L’Arizona ha recentemente condotto elezioni tramite
Internet.
Un recente sondaggio condotto da Talkgov negli Stati
Uniti indica che:
– la maggior parte delle persone poco coinvolte di-
chiarano che parteciperebbero molto attivamente
via Internet, se fossero ben informati dei problemi
sul tappeto e potessero avere un dialogo soddisfa-
cente con gli eletti e soprattutto se la loro opinione
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
8 http://www.e-democracy.org/
9 http://www.egroups.com/
10 http://www.talktogov.com/
11 http://www.politicsonline.com/
81•
venisse presa in considerazione;
– gli eletti vorrebbero utilizzare di più Internet ma han-
no bisogno di poter avere un modo di gestire il dialo-
go in modo ordinato e per categorie di temi. Per
esempio il Presidente Clinton riceve circa 5000 e-
mail alla settimana all’indirizzo president@whitehou-
se.gov. Il suo staff gli organizza la posta per temi. Per
ora meno del 25% dei membri del Congresso e del
Senato utilizzano abitualmente l’e-mail come una ri-
sorsa per sentire il polso dell’opinione pubblica.
Se questo è vero negli USA a livello del Governo cen-
trale un impatto ben maggiore potrebbe avere un collo-
quio di un Sindaco con i propri elettori sapendo quanto
la gente sente maggiormente i problemi della propria
città.
Il Consiglio comunale di Issy les Moulineaux vicino
a Parigi tiene le proprie sessioni sulla televisione locale
con gran seguito dei cittadini. Ha istituito un call center
che consente al cittadino di intervenire direttamente
durante il dibattito per porre quesiti e fare proposte.
La formazione permanente
La travolgente trasformazione in atto richiede uno
sforzo massiccio per formare professionisti della new
economy, cittadini capaci di operare e di essere integrati
nel nuovo tessuto socio-economico che si sta formando,
e aziende di produzione e di commercio capaci di utiliz-
zare gli strumenti di e-commerce “business to consu-
mer” e “business to business”.
Oltre ad operare verso la cittadinanza, il Comune ha
il compito prioritario di facilitare la trasformazione del
modo di operare dei propri dipendenti formandoli non
solo all’uso delle nuove tecnologie, ma anche al loro
cambio culturale da burocrati a fornitori di servizi efficaci
al loro cliente-cittadino.
Questo sforzo dovrà mantenersi ed evolversi nel tem-
po con modalità di erogazione sempre più legate ad In-
ternet. Il “distance learning” sia scolastico, sia universita-
rio, sia per la formazione di cittadini e di professionisti é
una tecnologia efficace e facilmente disponibile così co-
me le ampie biblioteche di corsi multimediali erogabili
via Internet sui più svariati temi.
La città di Naestved, già citata, sta per esempio
utilizzando la tecnologia Learning Space della Lo-
tus per erogare la formazione alla popolazione.
La Università dell’Illinois sta utilizzando una nuova
tecnologia Internet chiamata Iknow12 per la creazione di
G i o r g i o P r i s t e r
12 http://iknow.spcomm.uiuc.edu
82•
“Knowledge Networks”. La diffusione di Internet rende
oramai difficile individuare le persone con cui ci interes-
sa comunicare e condividere la nostra conoscenza. Ik-
now è uno strumento che utilizza una nuova generazio-
ne di “collaborative filters” e di “communityware” che
possono essere impiegati per individuare virtualmente la
struttura sociale e di conoscenza delle comunità che la-
vorano o fanno ricerca. Esso risponde in modo automati-
co a domande come: chi conosce cosa? a quale organiz-
zazione appartiene? Inoltre permette l’accesso a basi di
conoscenza ed individui in modo diretto ed anche indi-
retto (“chi conosce qualcuno di mio interesse?”).
L’economia, la piccola e media impresa, il lavoro
È chiaro come l’Ente locale può farsi carico di guida e
spinta nello sviluppo economico. La globalizzazione può
avere un impatto enorme ma esistono soggetti econo-
mici più deboli che debbono essere guidati ed aiutati ad
integrarsi nella new economy, altrimenti sono destinati a
soccombere sotto la pressione dei grandi operatori glo-
bali di Internet.
Le aree di intervento strategiche possono essere mol-
teplici, per esempio:
– l’Ente locale può rendere disponibili, direttamente o
tramite altri erogatori di servizi, le infrastrutture co-
municative e gli strumenti per la creazione di e-com-
merce diffondendone l’utilizzo presso la piccola e
media impresa e creando nuove opportunità di svi-
luppo e di lavoro;
– l’Ente locale deve anche essere il centro delle attività
di marketing territoriale che attraggano nuove impre-
se nazionali e straniere ad investire nella città. Lo
Sportello Unico alle Imprese deve diventare uno stru-
mento di efficace erogazione di informazioni e di effi-
cace svolgimento delle pratiche per le imprese che
vogliono stabilirsi e svilupparsi in loco. Ma oltre a
questo si deve creare una nuova disciplina professio-
nale, sinora sconosciuta nel Comune, che si chiama
marketing. Non si tratta di sola pubblicità. Si tratta di
individuare in modo preciso i punti di forza e le nuo-
ve opportunità di affrontare, risolvendo i punti di de-
bolezza dell’economia locale. Il marketing territoriale
consiste nel far leva sui punti di forza per attrarre
nuovi imprenditori. Bisognerà quindi definire un pia-
no strategico di sviluppo e renderlo funzionante
adattando i molteplici strumenti comunicativi ed
operativi che il marketing ha da tempo messo a pun-
to per le imprese private.
Le sperimentazioni sono finite, ovvero:
Cenerentola sposerà il Principe?
Gli Enti locali hanno una strada obbligata da percor-
L e r e t i c i v i c h e i n I t a l i a
83•
rere: o saltare subito e definitivamente sul carro della
new economy e guidare la città a percorrere questa
strada ed allora diventare il centro del nuovo sviluppo
sociale ed economico; oppure essere i semplici spetta-
tori dei successi degli altri e del proprio arretramento
progressivo.
Esistono altri attori che possono cooperare in mo-
do determinante al successo dell’impresa ma nessu-
no al di fuori dell’Ente locale può assumere con suc-
cesso il ruolo di leader.
Tutti gli ingredienti sono disponibili e la strada per il
successo é tracciata. Tocca ora ai Sindaci mettere mano
all’opera e guidare l’impresa associandovi la comunità
cittadina.
Le reti civiche possono rappresentare il nocciolo duro
su cui costruire il futuro.
La mezzanotte si sta avvicinando! Il Principe sta per
scegliere la propria sposa... Sarà Cenerentola?
G i o r g i o P r i s t e r
Le reti civiche in Italia
Contributi
Piero LuisiConsulente e-government
Lucio PicciUniversità di Bologna, Presidenza del Consiglio dei Ministri
Dario De JacoForum per la Società dell’Informazione, Centro di coordinamento per gli enti territoriali
Giuseppe CaravitaIl Sole 24 Ore
Alessandro VolpiDirettore dell’Area Politiche e Servizi per il Cittadino e l’Informazione del Comune di Pesaro
Mariella GramagliaVice Direttore Generale della Città di Roma e Presidente della rete Telecities
Paolo SubioliResponsabile area Pubblica Amministrazione di Atenea srl
Fiorella De CindioRete Civica Milanese, Università degli Studi di Milano
Giuseppe PiperataUniversità di Trento, Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione - Bologna
Sergio DurettiCSP - Centro di Eccellenza per la Ricerca, Sviluppo e Sperimentazione di Tecnologie
Gennaro ZezzaUniversità “Federico II” Napoli, Cittadigitali.it
Leda GuidiRete Civica Iperbole - Bologna
Andrea PitasiAffiliate Michigan State University, autore del libro “Il sesto stratagemma” (Seam, Roma 1999)
Paolo Dell’AquilaUniversità di Bologna
Giorgio PristerGlobal Segment Executive, Local Government, IBM Global Government Industry