PREVENZIONE DELL’IPOTENSIONE NEL PARTO … · tagli cesarei, distocia (sproporzione...

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SCUOLA EUROPEA DI ANESTESIA OSTETRICA Master biennale di alto perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA Direttore Prof. Giorgio Capogna ANNO ACCADEMICO 2015-2016 PREVENZIONE DELL’IPOTENSIONE NEL PARTO CESAREO CON ALFA E BETA STIMOLANTI: EFFETTI SUL pH FETALE E SULL’EMODINAMICA MATERNA TESI FINALE di: Roma, 21 Ottobre 2016 Dott.ssa Sonia Tancredi 1

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SCUOLA EUROPEA DI ANESTESIA OSTETRICA

Master biennale di alto perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA

Direttore Prof. Giorgio Capogna ANNO ACCADEMICO 2015-2016

PREVENZIONE DELL’IPOTENSIONE NEL PARTO CESAREO CON ALFA E BETA STIMOLANTI:

EFFETTI SUL pH FETALE E SULL’EMODINAMICA MATERNA

TESI FINALE di: Roma, 21 Ottobre 2016 Dott.ssa Sonia Tancredi

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INDICE

INTRODUZIONE …………………………………………………………. 3

Capitolo IGRAVIDANZA E ASPETTI ANESTESIOLOGICI1. Modificazioni fisiologiche in gravidanza e loro impatto sull’anestesia..…..41.1. Apparato cardiovascolare ..........................................................................41.2. Sistema ematologico ..................................................................................61.3. Apparato respiratorio .................................................................................71.4. Sistema renale ...........................................................................................8 1.5. Apparato gastrointestinale .........................................................................9 1.6. Sistema endocrino ....................................................................................10 1.7. Sistema nervoso centrale ………………………………………………..10 1.8. Riflessioni conclusive ...............................................................................10 2. L’unità feto-placentare .................................................................................11

Capitolo IIPREVENZIONE E TRATTAMENTO DELL’IPOTENSIONE MATERNADURANTE IL TAGLIO CESAREO1. Introduzione ..................................................................................................122. Fluidoterapia .................................................................................................13 3. Efedrina ........................................................................................................144. Fenilefrina .....................................................................................................145. Riflessioni conclusive ...................................................................................15

Capitolo IIIMONITORAGGIO EMODINAMICO1. Introduzione ..................................................................................................162. Pulse contour analysis ..................................................................................163. ccNexfin .........................................................................................................18

Capitolo IVSTUDIO1. Introduzione ..................................................................................................202. Materiali e metodi ..........................................................................................213. Analisi statistiche ...........................................................................................234. Risultati .........................................................................................................23CONCLUSIONI ..............................................................................................32BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………….34

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INTRODUZIONE

Negli ultimi quarant’anni si è assistito ad una crescita sensazionale del numero di tagli cesarei, soprattutto nei paesi più sviluppati.

Le indicazioni più comuni per questo tipo di approccio sono ragioni elettive, ripetuti tagli cesarei, distocia (sproporzione cefalo-pelvica, macrosomia fetale, incapacità di progressione del travaglio di parto), presentazioni anomale come la presentazione podalica o trasversa, sofferenza fetale, anomalie uterine e patologie placentari.

Una partoriente che richieda anestesia o analgesia, o entrambe, rappresenta una sfida particolarmente impegnativa: essere anestesista ostetrico significa assumersi la responsabilità del benessere materno e pertanto anche di quello fetale, il che rende questo ruolo allo stesso tempo delicato e gratificante.

Si deve obbligatoriamente avere familiarità con la peculiare situazione fisiologica della donna incinta e con gli effetti che i numerosi farmaci e tecniche possono avere sulla gravida e sul feto.

L’anestesia loco-regionale è divenuta la tecnica di elezione per il parto cesareo; grazie ad essa è infatti possibile evitare la somministrazione di farmaci intravenosi o inalatori, che potrebbero mettere a repentaglio il benessere fetale.

L’anestesia generale è stata progressivamente sostituita proprio a causa degli eccessivi rischi contingenti, tra cui i principali sono una relativa difficoltà di intubazione e uno stato di parziale “stomaco pieno” che la gravida presenta.

D’altro canto, la complicanza più comune in corso di un blocco neuroassiale è rappresentata dalla comparsa di ipotensione arteriosa sistemica. Normalmente gli episodi sono brevi e transitori e se efficacemente trattati, non presuppongono nessun incremento della morbi-mortalità materna o fetale. Tuttavia episodi ripetuti o prolungati possono risultare fastidiosi per la madre, provocando capogiro, nausea o vomito, e in più rischiano di compromettere il benessere fetale, esitando in bassi punteggi Apgar e in acidosi.

Per questo motivo è di fondamentale importanza il riconoscimento precoce e il trattamento tempestivo di tali condizioni o, ancora meglio, la loro prevenzione.

Nelle pagine che seguono verranno prese in esame le principali modificazioni che la gravidanza comporta, riservando una considerazione particolare a quelle di interesse anestesiologico; si descriveranno le differenti tecniche di anestesia loco-regionale con le relative complicanze, focalizzando l’attenzione sulla comparsa di ipotensione arteriosa sistemica; verranno quindi analizzati gli strumenti che l’anestesista ostetrico ha a disposizione per la prevenzione e il trattamento di tali alterazioni. Infine verranno messi a confronto i due farmaci di elezione a disposizione del medico, valutando le loro ripercussioni sull’emodinamica e sul benessere materno fetale.

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Capitolo I

GRAVIDANZA E ASPETTI ANESTEOLOGICI

1. Modificazioni fisiologiche in gravidanza e loro impatto sull’anestesia

Durante la gravidanza quasi ogni apparato materno è interessato da una serie di cambiamenti anatomici e fisiologici, che divengono sempre più significativi man mano che la gestazione progredisce e che sono fondamentali ai fini della gestione anestesiologica, specialmente delle partorienti ad alto rischio.

Queste variazioni sono sostenute dagli ormoni secreti dal corpo luteo e dalla placenta; inoltre l’effetto meccanico dell’utero gravido e la compressione da esso esercitata sulle strutture circostanti gioca un ruolo crescente nel secondo e terzo trimestre.

Infine si assiste ad un aumento delle richieste metaboliche e di ossigeno, sia da parte della madre che dell’unità feto-placentare, che possono subire un incremento di circa il 40% rispetto ai valori basali. È quindi fondamentale che l’anestesista conosca le implicazioni anestesiologiche correlate a tali modificazioni, in modo tale da poter assistere al meglio la paziente nel peripartum e garantire la sicurezza della madre e del feto.

1.1. Apparato cardiovascolare

Poiché, come si è detto, il consumo di ossigeno aumenta durante la gravidanza, il sistema cardiocircolatorio materno si adatta per far fronte alle richieste metaboliche del feto in crescita.

Il volume plasmatico subisce un aumento di circa il 50% (1,5 l), principalmente durante secondo trimestre, riuscendo così a soddisfare la crescente domanda metabolica. L’aumento del volume sanguigno, in parte causato dalla secrezione ormonale materna e fetale, migliora la circolazione uterina e le esigenze escretorie dei reni; inoltre permette alla partoriente di tollerare una perdita di sangue maggiore rispetto a donne non gravide sottoposte a chirurgia. Normalmente in caso di parto vaginale una donna perde circa 500 ml di sangue, mentre in caso di parto cesareo la quota sale a circa 1000 ml: queste perdite raramente necessitano di trasfusioni, proprio grazie al rapido decremento del volume plasmatico, che consente il mantenimento di normali valori di ematocrito.

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! Tabella 1. Modificazioni cardiovascolari nel corso della gravidanza

La variazione più eclatante è quella che interessa la gittata cardiaca. L’aumento comincia precocemente, attorno alla quinta-sesta settimana di gestazione, raggiunge il suo massimo livello alla fine del secondo trimestre, resta elevata sino a dopo la trentaduesima settimana, dopodiché può leggermente diminuire poiché l’utero, aumentato di volume, comprime la vena cava.

Vi è un ulteriore lieve innalzamento durante il travaglio (la gittata cardiaca può raggiungere valori di 12-14 l/min) e anche nel periodo immediatamente postpartum, dovuto all’aggiunta di volume ematico proveniente dall’utero in contrazione. Questi cambiamenti sono ancora più accentuati in corso di gravidanze gemellari1-3.

L’incremento finale può arrivare fino al 50% (1,5 l/min) in più rispetto ai valori basali ed è sostenuto da un aumento della frequenza cardiaca e del volume sistolico.

Le variazioni della frequenza sono estremamente difficili da quantificare in modo attendibile, tuttavia si ritiene che l’aumento sia di circa il 20% e che si verifichi a partire dalla quarta settimana di gravidanza. Il fattore più influente è però il volume sistolico, cha aumenta dal 20% al 50% a termine, rispetto ai valori delle non gestanti.

Le resistenze vascolari sistemiche subiscono una riduzione di circa il 20% in conseguenza della bassa resistenza del circolo placentare, dell’increzione di estrogeni e progesterone e dell’aumento dei livelli circolanti di alcune prostaglandine, in particolare la prostaciclina (PGI2), prodotta da placenta, decidua, membrane amniotiche e vasi ombelicali4.

Come effetto di queste modificazioni, la pressione arteriosa sistemica è normale o solo lievemente ridotta, in quanto la riduzione delle resistenze periferiche supera proporzionalmente l’aumento della gittata cardiaca.

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Inoltre la pressione, specialmente durante il terzo trimestre, è fortemente influenzata dalla posizione materna5: fino al 10% delle gestanti a termine mostra segni di shock al passaggio dalla posizione seduta a quella supina, questo fenomeno prende il nome di sindrome ipotensiva supina e si accompagna a pallore, sudorazione, tachicardia, debolezza, vertigini, senso di svenimento, ipotensione, nausea, vomito e, nei casi più gravi, insufficienza circolatoria acuta e distress fetale. La causa è da ricercarsi nella compressione che l’utero gravido esercita sulla vena cava inferiore, impedendo un corretto ritorno venoso al cuore e compromettendo la gittata cardiaca materna.

Per questo motivo è da preferire il decubito laterale sinistro, che consente un maggiore ritorno venoso e quindi una maggiore gittata cardiaca6-8.

L’effetto meccanico dell’utero può riflettersi anche sull’aorta: questa condizione generalmente non determina alcuna sintomatologia per la madre, ma può provocare una riduzione della perfusione utero-placentare e danni a carico del feto9.

Nel caso in cui le pazienti dovessero sottoporsi ad un intervento di chirurgia, quale banalmente il taglio cesareo ad esempio, si deve tenere presente che i farmaci e gli anestetici utilizzati causano vasodilatazione e le tecniche anestesiologiche neuroassiali determinano simpatectomia: l’unione di queste contingenze può contribuire ad aggravare la compressione aorto-cavale. In sala operatoria, è quindi importante spostare l’utero di almeno 15 – 20 gradi collocando un piccolo cuscino o uno spessore a cuneo sotto al fianco destro. Questo angolo può essere aumentato al bisogno inclinando il tavolo operatorio verso sinistra10,11.

Infine, la gravidanza provoca numerose alterazioni nei test di valutazione cardiologica: l’auscultazione cardiaca può rilevare un forte sdoppiamento del primo tono, la presenza di un tono S3 e un lieve soffio sistolico eiettivo; all’elettrocardiogramma può comparire una deviazione assiale sinistra dovuta al dislocamento verso l’alto del cuore da parte dell’utero gravidico; possono comparire alterazioni radiografiche ed ecocardiografiche e vi è inoltre una maggiore tendenza a sviluppare tachiaritmie12,13.

1.2. Sistema ematologico

Durante la gravidanza la concentrazione materna di estrogeni e progesterone aumenta di quasi cento volte: gli estrogeni stimolano il sistema renina angiotensina aldosterone, causando ritenzione sodica e idrica, mentre il progesterone, in sinergia con prolattina e lattogeno placentare, esercita un effetto eritropoietico; tuttavia il volume dei globuli rossi aumenta in misura minore rispetto al plasma e ciò si riflette in una fisiologica riduzione dell’emoglobina (11,6 g/dl) e dell’ematocrito (35,5%) materni14,15. Un ematocrito normale o elevato può significare deplezione di volume intravascolare.

Il trasporto di ossigeno non è comunque compromesso da questa anemia relativa, in quanto l’organismo materno compensa con un aumento della gittata cardiaca, un aumento della

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pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso e uno spostamento verso destra della curva di dissociazione dell’ossimoglobina.

Nel corso della gravidanza si instaura una condizione di ipercoagulabilità, con livelli aumentati di quasi tutti i fattori della coagulazione, eccetto i fattori XI e XIII. In particolare, sono spiccatamente aumentati il fibrinogeno e il fattore VII e il meccanismo alla base di tale incremento è legato all’iperestrogenismo, che determina un aumento della sintesi di fibrinogeno e una riduzione dell’attività fibrinolitica.

La conta piastrinica tende a diminuire, ma la funzionalità piastrinica subisce un incremento in termini di aggregabilità. Il significato fisiologico di queste variazioni è probabilmente quello di consentire un’adeguata emostasi durante il parto, per ridurre i rischi connessi con l’emorragia acuta che si verifica, offrendo una maggiore efficacia e rapidità d’azione qualora vi sia questa necessità.

Tuttavia, se in aggiunta a questi elementi si considera anche la stasi causata dalla compressione dell’utero sulle vene pelviche, è facile intuire come le complicanze tromboemboliche costituiscano ancora una delle principali cause di morbidità e mortalità materna durante la gravidanza e nel periodo postpartum.

1.3. Apparato respiratorio

Per soddisfare l’aumento delle richieste di ossigeno e dell’eliminazione di anidride carbonica, in gravidanza si assiste ad un aumento del volume respiratorio per minuto e del lavoro respiratorio. Il cambiamento più importante nella dinamica polmonare materna è la riduzione della capacità funzionale residua (Functional Residual Capacity, FRC) fino al 20% rispetto ai valori pregravidici, sostenuta da una consensuale riduzione del volume residuo (Residual Volume, RV) soprattutto in conseguenza dell’innalzamento del diaframma. La ventilazione minuto aumenta fino al 45%, principalmente per l’incremento del volume corrente, poiché la frequenza respiratoria rimane essenzialmente immodificata16.

Durante il primo e il secondo trimestre le modificazioni della funzionalità respiratoria sono legate prevalentemente a fattori metabolici ed endocrini: si ha un aumento del tasso di produzione di anidride carbonica e un incremento dell’attività e della sensibilità dei centri respiratori alla CO2, mediata dal progesterone.

Alla dodicesima settimana la PaCO2 scende approssimativamente a valori di 30 mmHg e rimane a questo livello per il resto della gravidanza.

Nonostante il sensibile abbassamento della PaCO2, il pH arterioso rimane stabile a valori attorno a 7,40 – 7,45; questo è dovuto ad una concomitante riduzione dei bicarbonati plasmatici, fino a 18 – 20 mEq/l, quindi l’alcalosi respiratoria provocata dall’iperventilazione viene adeguatamente compensata dai meccanismi renali.

La capacità di chiusura (Closing Capacity, CC) è il volume polmonare in corrispondenza del quale si ha il collasso degli alveoli delle regioni polmonari basali. Questo valore in soggetti

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sani è maggiore del volume residuo, ciò significa che nel polmone è presente abbastanza aria da mantenere pervie le piccole vie aeree durante i normali cicli di inspirazione ed espirazione.

Nelle gravide la capacità di chiusura resta immodificata, quello che è alterato è il rapporto FRC/CC, a causa della riduzione della capacità funzionale residua: questo esita in una più rapida chiusura delle piccole vie aeree, condizione esacerbata da situazioni che riducono ulteriormente il volume polmonare come può avvenire ad esempio sul letto operatorio in posizione supina obbligata, e in una più rapida desaturazione delle partorienti rispetto alle donne sane; se si aggiunge anche che il consumo basale di ossigeno è fisiologicamente aumentato, si intuisce perfettamente perché le pazienti gravide tendano più rapidamente all’ipossia.

Il quadro appena descritto può essere minimizzato dalla somministrazione di ossigeno al 100% per 3 – 5 minuti prima dell’induzione dell’anestesia. In caso di emergenza, quattro atti respiratori massimali dovrebbero essere sufficienti.

Anche le caratteristiche della respirazione della partoriente si modificano: l’aumento del volume addominale provoca un innalzamento del diaframma e uno slargamento del torace, dovuto ad aumento dei diametri antero-posteriore e trasverso della gabbia toracica; man mano che la gravidanza progredisce diviene quindi predominante la componente diaframmatica della respirazione, a causa della presenza dell’utero gravido e della limitazione di movimento della gabbia toracica.

Vi sono infine altre alterazioni del tratto respiratorio e dell’orofaringe che possono interferire seriamente con l’anestesia: l’aumento del liquido extracellulare e l’ingorgo vascolare possono portare a edema delle vie aeree superiori e possono rappresentare i presupposti per un’intubazione difficile17.

Qualsiasi manipolazione delle vie aeree superiori come l’aspirazione, l’inserimento di cannule oro-faringee, di sondini nasogastrici o di tubi endotracheali, possono provocare edemi, sanguinamenti e traumi alle vie aeree superiori, in ragione della maggiore fragilità delle mucose in queste sedi; dovrebbero quindi se possibile essere evitati.

Se vi è necessità di intubare una paziente gravida, occorre utilizzare tubi endotracheali più piccoli rispetto alla norma (dimensione da 6,0 a 7,0) previa opportuna ossigenazione, e ridurre al minimo i tentativi ripetuti di laringoscopia.

1.4. Sistema renale

Il progesterone e la compressione meccanica dell’utero ingrandito svolgono un ruolo centrale nel contesto delle modificazioni a carico del sistema renale.

Il flusso plasmatico renale e la velocità di filtrazione glomerulare aumentano rapidamente in gravidanza già a partire dalle prime settimane di gestazione, come risultato dell’incremento della gittata cardiaca e del volume ematico e si mantengono pressoché immodificati fino al momento del parto.

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L’aumento di quasi il 50% della velocità di filtrazione glomerulare, e di conseguenza della frazione di filtrazione, accompagnato dall’effetto di diluizione dovuto all’aumento del volume plasmatico, rende ragione dell’aumentata escrezione renale di molte sostanze, tra cui: creatinina, urea, acido urico, proteine e aminoacidi.

Da ciò si deduce che gli indici di funzionalità renale in gravidanza sono più bassi rispetto ad uno stato non gravidico. Va da sé che livelli di azotemia e creatininemia che verrebbero considerati solo lievemente aumentati in soggetti non in gravidanza, sono generalmente indicativi di grave compromissione renale nelle partorienti.

La glicosuria è un rilievo di comune riscontro attribuibile all’aumento della velocità di filtrazione glomerulare e alla ridotta capacità di riassorbimento tubulare.

Un’attenzione particolare è da riservare al sistema renina angiotensina aldosterone. L’attività della renina può raggiungere livelli anche dieci volte superiori rispetto a quelli pregravidici, sia per l’effetto natriuretico del progesterone che per la riduzione della pressione di perfusione renale. Nella gravidanza fisiologica però ciò non provoca nessuna modificazione pressoria o della funzionalità renale, sia perché in gravidanza la sensibilità all’angiotensina si riduce significativamente, sia perché si ha una rapida distruzione e rimozione della stessa ad opera di peptidasi plasmatiche18. Il principale effetto dell’angiotensina è lo stimolo alla produzione di aldosterone, determinando un forte effetto antinatriuretico.

In conclusione, il bilancio tra fattori antinatriuretici (estrogeni, sistema renina angiotensina aldosterone) e fattori natriuretici (progesterone, filtrazione glomerulare) è in favore dei primi e comporta un progressivo accumulo di sodio, di volume plasmatico (1,5 l) e di liquido interstiziale.

1.5. Apparato gastrointestinale

A causa della compressione uterina, durante la gravidanza lo stomaco si sposta verso sinistra e verso l’alto: questa posizione determina un aumento della pressione gastrica e una riduzione del tono dello sfintere esofageo inferiore, ulteriormente accentuata dall’azione miorilassante del progesterone, provocando pirosi ed eruttazioni in circa l’80% delle gravide a termine.

Il rischio di inalazione di materiale gastrico è molto più alto e le pazienti ostetriche devono quindi sempre essere considerate a stomaco pieno e a rischio di aspirazione del contenuto gastrico, anche se a digiuno.

L’affezione a carico di patologie della colecisti è in qualche modo aumentata: le donne che hanno avuto gravidanze hanno più frequentemente problemi a carico di quest’organo rispetto alle nullipare. Inoltre la gravidanza ha un effetto nocivo di dubbia natura sulla funzione epatica, specialmente sul trasporto della bile. Con la progressione della gestazione, la compressione esercitata dall’utero sul retto e sull’ultimo tratto del colon può causare stipsi.

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1.6. Sistema endocrino

La gravidanza altera la funzione della maggior parte delle ghiandole endocrine, in parte perché aumenta il legame degli ormoni circolanti alle rispettive proteine plasmatiche e in parte a causa della produzione ormonale a carico della placenta.

La funzionalità tiroidea non si modifica nonostante le apparenti modificazioni nei livelli plasmatici degli ormoni tiroidei: infatti, pur aumentando i livelli sierici totali, la quota libera rimane costante. La donna gravida quindi pur trovandosi in uno stato di iperattività tiroidea, normalmente non presenta iperfunzionalità.

L’ipofisi va incontro ad un processo di ipertrofia ed iperplasia soprattutto a carico delle cellule lattotrope secernenti prolattina, la cui funzione prima del parto sembrerebbe essere legata al mantenimento della normale osmolarità del liquido amniotico.

1.7. Sistema nervoso centrale

Le gestanti presentano un’aumentata sensibilità sia all’anestesia regionale che a quella generale. Quando si pratica l’anestesia neuroassiale, le gravide richiedono una quantità inferiore di anestetico rispetto alle donne non gravide per raggiungere lo stesso livello dermatomerico sensoriale. Probabilmente l’ingorgo venoso epidurale gioca un ruolo in questo meccanismo, riducendo il volume intratecale ed incrementando la diffusione dell’anestetico locale19-21.

Inoltre si riducono anche le concentrazioni alveolari minime (MAC) per gli anestetici inalatori, processo forse legato all’aumento dei livelli di progesterone22,23.

1.8. Riflessioni conclusive

Gli adattamenti dell’organismo alla gravidanza sono riscontrabili già entro le prime settimane dal concepimento ed evolvono continuamente fino al parto e dopo il parto.

Le maggiori implicazioni per quanto riguarda la gestione anestesiologica sono a carico dell’apparato respiratorio e sono rappresentate dall’aumento della ventilazione minuto, dalla riduzione della capacità funzionale residua e di una maggiore suscettibilità all’ipossiemia.

L’apparato cardiocircolatorio deve adattarsi alle crescenti richieste da parte dell’utero e del feto.

La compressione aorto-cavale è in grado di compromettere il flusso sanguigno uterino e la gittata cardiaca; il rischio è maggiore in posizione supina, ma può manifestarsi potenzialmente in qualunque posizione. Per questo motivo nel caso in sui le pazienti si sottopongano ad intervento chirurgico, è importante spostare l’utero ruotando il tavolo operatorio verso sinistra o collocando uno spesso sotto al fianco destro.

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Anche se il volume e l’acidità gastrica probabilmente non subiscono alterazioni durante la gravidanza, il tono dello sfintere esofageo inferiore è ridotto e la maggiore pressione intraddominale, dovuta all’utero in accrescimento, aumenta il rischio di vomito e inalazione.

Nella gravida aumenta l’attività del sistema nervoso simpatico per mantenere il ritorno venoso e le modificazioni del sistema nervoso centrale possono aumentare la sensibilità agli anestetici.

Alla luce di quanto detto, se possibile nella gravida deve essere praticata una tecnica di anestesia loco-regionale. Nel caso ciò non fosse possibile e fosse obbligatoria un’anestesia generale, sono raccomandati: esame approfondito delle vie aeree, adeguata pre-ossigenazione e induzione in sequenza rapida.

L’ipotensione necessita di un trattamento aggressivo, usando potenti vasocostrittori come fenilefrina o efedrina, coadiuvando con una rapida somministrazione di fluidi intravenosi e dislocando l’utero a sinistra.

2. Unita feto-placentare

Le circolazioni materna e fetale si fondono a livello placentare. La placenta è composta da tessuti materni e fetali che formano una lamina basale e una coriale.

L’unità strutturale della placenta è il villo, una proiezione vascolare del piatto coriale. Il sangue materno si propaga dalle arterie spirali nello spazio intervilloso, dove bagna i villi coriali che contengono i capillari ombelicali fetali: tra la circolazione materna e quella fetale non vi è quindi una comunicazione diretta, ma una membrana semipermeabile che fornisce un’interfaccia.

Per quanto riguarda la circolazione fetale, circa il 40 – 50% della gittata del feto va alla placenta attraverso le due arterie ombelicali, che si suddividono a formare i capillari ombelicali, e una quantità analoga ritorna al cuore attraverso la vena ombelicale.

L’apporto di sangue materno a quest’organo invece proviene principalmente dalle arterie uterine, dalle quali originano le arterie arcuate che circondano l’utero, che a loro volta si dividono per formare le arterie spirali: da queste ultime il sangue si propaga nello spazio intervilloso.

Il flusso ematico uterino aumenta progressivamente durante tutta la gravidanza e raggiunge un valore medio di 500 – 700 ml a termine (circa il 12% della portata cardiaca materna, contro valori pregravidici inferiori al 5%); di questa quota, circa l’85% arriva alla placenta.

In condizioni normali il flusso uterino è elevato e presenta basse resistenze, poiché il letto vascolare uterino è dilatato al massimo; quest’ultimo ha inoltre scarsissima capacità di autoregolazione. Ne consegue che il flusso nelle arterie uterine è totalmente dipendente dalla gittata cardiaca e dalla pressione materne24.

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Qualsiasi fattore che alteri il flusso uterino influenza negativamente l’apporto ematico fetale.

L’ipotensione materna che può verificarsi in seguito a compressione aortocavale, ipovolemia, emorragia o blocco simpatico, può compromettere il flusso sanguigno uterino; allo stesso modo, un’ipercontrattilità uterina o condizioni che aumentino la durata o la frequenza delle contrazioni, possono portare a una riduzione del flusso.

Gli anestetici possono influenzare gravemente il flusso ematico uterino, alterando sia la pressione di perfusione sia le resistenze vascolari uterine; i blocchi simpatici conseguenti a tecniche neuroassiali possono ridurre la pressione materna e questo calo pressorio avrà effetti sull’apporto ematico all’utero. Se a queste condizioni si somma anche la compressione aorto-cavale, gli effetti negativi sono ulteriormente amplificati.

Capitolo II

PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELL’IPOTENSIONE MATERNA DURANTE IL PARTO CESAREO

1. Introduzione

Senza un’adeguata profilassi, circa il 70 - 80% delle pazienti che si sottopongono a intervento di taglio cesareo sviluppa ipotensione come conseguenza del blocco neuroassiale. L’incidenza di questi episodi dovrebbe essere ridotta, sia per il benessere della madre che per la sicurezza del nascituro.

Si ritiene che la compressione aorto-cavale predisponga la partorienti a un maggiore rischio di ipotensione, mediata da una riduzione del ritorno venoso e quindi della gittata e della frequenza cardiaca.

L’effetto simpaticolitico dell’anestesia si traduce in una riduzione delle resistenza vascolari periferiche, tanto sul versante arterioso, quando sul versante venoso.

La riduzione del tono vasale sul versante arterioso viene fisiologicamente compensata da un iniziale aumento della gittata cardiaca, sostenuta da un aumento di frequenza e volume sistolico, soprattutto se il ritorno venoso al cuore non è inficiato.

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Tuttavia il blocco simpatico può riflettersi anche sul versante venoso, causando venodilatazione, aumento della capacitanza venosa con riduzione netta del precarico e contribuendo spesso a smascherare gli effetti della compressione cavale.

Come già detto, la circolazione uterina manca di autoregolazione e il letto vascolare al termine della gravidanza è completamente dilatato. È stato riconosciuto che la perfusione utero-placentare dipende più dalla gittata cardiaca materna che dalla pressione arteriosa, anche se quest’ultima, assieme alla frequenza cardiaca, costituisce un buon surrogato della prima25.

Episodi prolungati di ipotensione e bassa gittata materna sono deleteri per il feto e sono spesso associati a fastidiosi episodi di nausea e vomito per la madre: ne consegue che un tempestivo riconoscimento e trattamento o una prevenzione di questi eventi si associa inevitabilmente a migliori outcome materni e fetali26.

L’uso di vasocostrittori simpaticomimetici per mantere l’attività α e β adrenergica a livelli pari o simili a quelli basali, unito ad una corretta fluidoterapia intravenosa, costituisce un approccio logico per la gestione dell’ipotensione materna durante parto cesareo27.

2. Fluidoterapia

Il tema della terapia con liquidi intravenosi è tuttora molto controverso e non si è ancora giunti ad una decisione unanime su quale sia la modalità migliore, in termini di quantità, velocità di infusione e tipo di liquido, per realizzare l’idratazione.

Una buona idratazione durante l’intervento sembra avere effetti positivi sulla riduzione del numero di episodi di ipotensione, nausea e vomito, oltre a migliorare le condizioni fetali.

Sono disponibili più opzioni, sia per quanto riguarda la scelta del tipo di liquido (cristalloide o colloide), sia per quanto riguarda il momento della somministrazione (prima dell’inizio dell’anestesia cioè preload, o nel momento dell’inizio dell’anestesia, cioè coload).

I cristalloidi offrono una migliore idratazione; i colloidi invece permettono un’espansione della volemia più efficace e duratura.

Attualmente per quanto riguarda i colloidi sembra che un preloading sia la strategia più affidabile, anche se un coloading infuso rapidamente nel momento dell’identificazione del liquido cerebrospinale sembra altrettanto efficace. Un coloading con cristalloidi è un’alternativa più economica, ma forse meno efficiente. Infine il preloading con cristalloidi è clinicamente inefficace28,29.

Qualunque sia il regime scelto, si ricorda che nessuno è completamente efficace da solo e occorre perciò considerare l’ipotesi di affiancarlo ad un trattamento vasopressorio concomitante30.

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3. Efedrina

L’efedrina è stata il farmaco di scelta per più di trent’anni per il trattamento dell’ipotensione materna durante anestesia spinale ostetrica.

Ha un’azione simpaticomimetica, risultante da meccanismi diretti e indiretti: i primi consistono nell’effetto agonista sui recettori vascolari α-adrenergici e su quelli cardiaci β-adrenergici; gli effetti indiretti derivano invece dalla stimolazione delle terminazioni nervose presinaptiche al rilascio di noradrenalina.

L’efedrina è quindi un efficace vasocostrittore con parziale attività sui recettori cardiaci, la cui stimolazione produce un aumento della frequenza cardiaca, utile soprattutto in quei casi di ipotensione complicata da bradicardia e bassa gittata31.

È però risaputo che questo farmaco attraversa liberamente la placenta e si associa a bassi valori di pH fetale nell’arteria ombelicale, meccanismo probabilmente dovuto alla stimolazione del metabolismo fetale tramite l’effetto β-adrenergico diretto, con aumento del rischio di insorgenza di acidosi32,33.

Nelle gravidanze a basso rischio tuttavia, l’acidosi sembra essere relativamente benigna poiché, al contrario dei valori di pH fetale, i punteggi Apgar non sembrano essere compromessi.

4. Fenilefrina

La fenilefrina è un potente vasocostrittore α-selettivo a breve durata d’azione. Ha un effetto esclusivamente diretto sulla muscolatura vasale che esita in un aumento delle resistenze vascolari periferiche.

Sul piano teorico la fenilefrina appare quindi il farmaco perfetto per il trattamento dell’ipotensione da anestesia spinale, essendo in grado di mantenere o ristabilire il tono della muscolatura vascolare, limitando lo sviluppo di ipotensione.

Inoltre, l’uso di fenilefrina non è stato associato allo sviluppo di acidosi fetale, nemmeno a dosi tanto elevate da causare ipertensione materna52; questo dato potrebbe dipendere da due motivi: innanzitutto gli α-agonisti hanno un effetto molto limitato sul flusso ematico placentare a causa della particolare conformazione anatomica e fisiologica della placenta; inoltre il flusso uterino è più alto rispetto a quello che sarebbe necessario per le richieste fetali di ossigeno e questo conferisce un discreto margine di sicurezza in condizioni che provocano rapide variazioni del flusso sanguigno uterino35.

I principali problemi relativi alla fenilefrina sono dovuti allo sviluppo di ipertensione e ai suoi effetti sulla gittata cardiaca. L’aumento delle resistenze vascolari periferiche può associarsi a bradicardia materna e a riduzione della gittata cardiaca36.

Tuttavia questi effetti avversi sono stati segnalati in risposta a elevate dosi di fenilefrina: è stato dimostrato che dosi più basse hanno invece un effetto positivo sulla gittata,

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probabilmente dovuto alla stimolazione della muscolatura dei vasi venosi, soprattutto della circolazione splancnica, che esita in un aumento del ritorno venoso al cuore e in un miglioramento della performance cardiaca.

5. Riflessioni conclusive

Le procedure adottate in anestesia ostetrica sono in continua evoluzione e la gestione dell’ipotensione in corso di parto cesareo in anestesia spinale è ancora controversa.

Il dislocamento uterino verso sinistra e una corretta fluidoterapia sono utili stratagemmi per tentare di prevenire questa complicanza, ma l’impiego di un vasocostrittore è spesso necessario.

La risposta iniziale al blocco simpatico consiste in un aumento della frequenza e in una normale o aumentata portata cardiaca. La fenilefrina eleva rapidamente le resistenze vascolari periferiche materne, riportandole ai valori basali e in questo modo, ristabilisce frequenza, pressione e gittata37.

L’efedrina ha un effetto vasopressorio più ritardato, dovuto ad una maggiore latenza d’azione e aumenta la frequenza e la gittata materne mediante stimolazione β-adrenergica. Questo effetto non è generalmente richiesto in quanto è già presente un aumento compensatorio della portata cardiaca, dovuto alla riduzione delle resistenze periferiche. Inoltre la maggiore latenza nell’insorgenza dell’effetto vasocostrittivo rende ragione di una più alta incidenza di nausea e vomito nelle partorienti alle quali è somministrata efedrina.

Tuttavia, come si è detto, una piccola percentuale di pazienti reagisce all’anestesia manifestando bradicardia e ipotensione a bassa gittata38,39: in questi casi può essere utile l’uso di efedrina, in aggiunta ad un aumento della velocità di infusione di liquidi.

L’obiettivo primario dovrebbe quindi essere quello di mantenere la pressione, la frequenza e la gittata materne ai valori basali, controbilanciando gli effetti del blocco simpatico e in caso di ipotensione, si dovrebbe mirare a riportare la paziente alle condizioni emodinamiche precedenti l’anestesia, per evitare spiacevoli effetti collaterali potenzialmente risultanti da una somministrazione eccessiva di farmaci.

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Capitolo III

MONITORAGGIO EMODINAMICO

1. Introduzione

Le profonde modificazioni fisiologiche che la gravidanza comporta e l’impatto che l’anestesia loco-regionale ha sull’emodinamica materna e sul benessere materno-fetale hanno portato allo sviluppo di un notevole interesse e di una considerevole ricerca scientifica in questo campo.

Una miglior comprensione della fisiologia può aiutare a capire i meccanismi dell’anestesia e a predire le risposte a determinati interventi terapeutici. Inoltre, è la chiave per intuire l’importanza del parametro gittata cardiaca, quale risultato finale di un complesso e integrato sistema di feedback.

La performance cardiaca, espressa in termini di gittata, è il risultato della variabile combinazione di precarico, postcarico, frequenza cardiaca, contrattilità, elasticità e compliance in risposta a fattori intrinseci ed estrinseci, cardiaci, vascolari e metabolici40.

Pressione e frequenza cardiaca sono abitualmente usati come buoni surrogati della portata cardiaca materna durante interventi di taglio cesareo, ma come già detto precedentemente, la gittata cardiaca è probabilmente un migliore indicatore del flusso sanguigno uterino, in quanto più fisiologicamente correlata ad esso.

2. Pulse contour analysis

È un metodo che consente il calcolo del valore della gittata cardiaca tramite la misurazione della pressione arteriosa nel tempo e l’analisi della curva di pressione risultante.

L’esistenza di una correlazione tra la forma della curva di pressione arteriosa e la gittata cardiaca è stata dimostrata agli inizi del ventesimo secolo: più nello specifico si può affermare che le variazioni del volume sistolico, cioè del volume eiettato dal cuore ad ogni battito (Stroke Volume, SV) si riflettono in variazioni della pressione di polso (Pulse Pressure, PP o pressione differenziale, è la differenza tra la pressione sistolica e quella diastolica).

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! Figura 1. Onda di pressione arteriosa

Durante la sistole, il sangue eiettato dal ventricolo sinistro nell’albero arterioso in parte viene ospitato in aorta, causando lo stiramento delle pareti del vaso, e in parte produce lo spostamento del sangue già presente nella circolazione verso la periferia. In questa fase alle arterie giunge più sangue di quanto non ne passi nel versante venoso, provocando un aumento della pressione (pressione sistolica). Durante la diastole, la quota di sangue che passa dalla circolazione arteriosa a quella venosa è invece maggiore di quella in entrata nel versante arterioso e la pressione sanguigna decade (pressione diastolica).

Quindi, ogni variazione del volume di sangue eiettato dal cuore si associa a variazioni della pressione arteriosa sistemica, ma la gittata sistolica non è l’unico parametro coinvolto, occorre tenere conto anche delle resistenze vascolari periferiche: le variazioni del tono vascolare giocano un ruolo in tale meccanismo e riflettono i cambiamenti della gittata cardiaca.

È pertanto possibile calcolare il valore del volume sistolico partendo da una curva di pressione arteriosa, utilizzando l’area sottesa dalla porzione sistolica della curva (Systolic Pressure-time Integral, SPI) e un modello fisiologico per il calcolo del post-carico individualizzato per età, sesso, peso e altezza:

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�Figura 2. SPI: Systolic Pressure-time Integral

SV = SPI / Afterload

L’area sottesa dalla curva, oltre ad essere direttamente proporzionale al volume sistolico, è influenzata anche dalla durata di ogni ciclo cardiaco e ha quindi un rapporto di proporzionalità diretta anche con la frequenza cardiaca. Integrando tutti i parametri, è infine possibile calcolare la gittata cardiaca:

CO = SV * HR

(Cardiac Output, CO; Stroke Volume, SV; Heart Ratio, HR)

3. ccNexfin

Il monitor ccNexfin si avvale di una tecnologia che consente la misurazione continua non invasiva di pressione arteriosa, frequenza, gittata e indice cardiaco, volume sistolico e resistenze vascolari periferiche, mediante l’applicazione di una cuffia gonfiabile attorno alla falange media del dito del paziente.

La tecnologia non invasiva ccNexfin si è sviluppata negli ultimi 35 anni ed è stata convalidata a confronto con le più avanzate tecnologie di monitoraggio; si basa principalmente su due meccanismi: il metodo volume-clamp, per una misurazione continua della pressione arteriosa, e il metodo physiocal (Physiological Calibration), per realizzare una calibrazione iniziale e di frequenza.

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! Figura 3. Posizionamento del monitoraggio

Il principio del volume-clamp method consiste nell’esercitare pressioni equivalenti in modo dinamico su entrambi i lati della parete dell’arteria, mantenendo così un volume costante al suo interno. La cuffia aggiusta la pressione esercitata mille volte al secondo per mantenere costante il diametro delle arterie del dito e in essa è incorporato un fotopletismografo che misura il volume ematico. Registrazioni continue della pressione della cuffia generano l’onda pressoria del dito.

! Figura 4. Volume Clamp Method

Physiocal è invece un metodo che analizza la curvatura e l’intensità della pletismografia durante brevi episodi con un livello di pressione costante. Quindi, esegue automaticamente ricalibrazioni del sistema e consente di realizzare un rilevamento preciso delle variazioni fisiologiche, ad esempio, nel tono vasomotore.

Il sistema ricostruisce poi la curva di pressione dell’arteria brachiale a partire da quella dell’arteria del dito e infine calcola il volume sistolico e la gittata cardiaca secondo il metodo dell’analisi del profilo dell’onda pressoria (Pulse Contour Analysis).

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Capitolo IV

STUDIO

1. Introduzione

La scelta del vasocostrittore per il trattamento dell’ipotensione causata dall’anestesia spinale in corso di parto cesareo è stata oggetto di un dibattito di lunga durata, riguardo al quale non si è ancora giunti ad una conclusione unanime.

La principale preoccupazione a proposito dell’impiego di un vasocostrittore α selettivo contro non selettivo α/β-agonista in anestesia ostetrica è relativa al fatto che, oltre al principale effetto di ripristino dello stato emodinamico materno ai valori basali, la vasocostrizione potrebbe compromettere il flusso sanguigno uterino e l’apporto ematico all’unità feto-placentare.

L’efedrina è divenuta quindi il trattamento di prima linea nelle pazienti ostetriche ed è rimasto il farmaco di scelta per decenni.

Tuttavia, l’effetto della vasocostrizione arteriosa sulla circolazione uterina non è probabilmente così significante come si credeva in passato; l’assenza di un’innervazione simpatica diretta su questi vasi renderebbe ragione di una relativa resistenza agli effetti dei vasocostrittori simpaticomimetici41.

A seguito di questo, sempre più attenzioni si sono spostate sulla fenilefrina: la somministrazione di tale farmaco sarebbe più affidabile, rappresentando la maniera più rapida ed efficace per ristabilire i parametri emodinamici materni.

La letteratura è ricca di riferimenti a questa annosa questione e vi sono un elevatissimo numero di studi che mettono a confronto gli effetti delle somministrazioni di efedrina e fenilefrina in donne gravide sottoposte ad anestesia loco-regionale42-43.

Secondo alcuni studi i due farmaci sembrano essere ugualmente efficaci per il trattamento dell’ipotensione e dei sintomi ad essa correlati; altri studi evidenziano una maggiore incidenza di episodi ipotensivi, di nausea e di vomito nelle pazienti trattate con efedrina44.

Inoltre la fenilefrina è considerata superiore in termini di benessere fetale, associandosi a valori più alti di pH dell’arteria ombelicale rispetto ai casi trattati con efedrina45,46.

Tuttavia molti anestesisti continuano a preferire l’uso di efedrina47, essendo un farmaco più conosciuto e con una lunga storia di utilizzo nel campo dell’anestesia ostetrica; a questo probabilmente si somma la diffidenza nei confronti della fenilefrina, essendo associata a episodi di bradicardia.

Il nostro studio parte dal presupposto che non esiste un trattamento univoco per gli episodi di ipotensione materna in corso di taglio cesareo: nessuno dei due farmaci è in assoluto

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il migliore, ma a seconda della circostanza può essere più adeguata la somministrazione di uno piuttosto che dell’altro.

Lo sviluppo di ipotensione è un evento che dipende da più fattori e che può avere cause differenti: l’introduzione del parametro gittata cardiaca nel monitoraggio della paziente ostetrica può apportare utili informazioni e può indirizzare nella scelta del trattamento più adeguato40,48.

La gittata cardiaca permette di integrare il monitoraggio standard della pressione arteriosa con un parametro di flusso, aiutando a definire la natura dell’ipotensione.

La causa primitiva può essere la vasodilatazione periferica, quindi una riduzione delle resistenze vascolari con aumento compensatorio di frequenza e gittata: questa è la situazione alla quale più frequentemente si assiste in anestesia ostetrica, ossia un’ipotensione accompagnata da elevata gittata cardiaca. Meno frequentemente, si può assistere ad episodi di ipotensione a bassa gittata cardiaca, nel corso dei quali la riduzione della pressione arteriosa è il risultato di una primitiva riduzione dell’output cardiaco, per un diminuito ritorno venoso al cuore.

La conoscenza di questi fenomeni può aiutare nella scelta del trattamento più adeguato ad ogni circostanza e permette un miglioramento in termini di benessere tanto materno, quanto fetale.

2. Materiali e metodi

Sessanta donne sane, di categoria ASA I e II, sottoposte ad intervento di taglio cesareo programmato sono state randomizzate in due gruppi. In ogni gruppo le pazienti avevano età compresa tra i 18 e i 40 anni, BMI < 35 kg/m2 e feto singolo. Criteri di esclusione sono stati qualunque patologia cardiaca, renale o respiratoria concomitante, preeclampsia, e gravidanze multiple.

All’ingresso in sala operatoria veniva incannulata una vena periferica mediante un’agocannula 18G e veniva iniziata un’infusione di Ringer Lattato alla minima velocità solo per mantenere aperta la via.

In tutte le pazienti è stato utilizzato il monitoraggio non invasivo con ccNexfin. Dopo che il monitor era stato connesso alla paziente, venivano annotati i valori basali di pressione arteriosa, frequenza cardiaca, indice cardiaco e resistenze vascolari periferiche.

Le pazienti sono state sottoposte ad anestesia combinata spinale-epidurale, eseguita in posizione seduta. 9 mg di levobupivacaina (chirocaine) con l’aggiunta di 3 mcg di sufentanil venivano iniettanti in trenta secondi. Nello stesso momento, l’infusione di Ringer Lattato veniva aumentata alla massima velocità, fino alla somministrazione di 500 ml di liquido.

Dopo il fissaggio del catetere epidurale, la paziente veniva riposizionata in decubito supino, con dislocamento sinistro dell’utero mediante il posizionamento di uno spessore a cuneo.

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A seconda del gruppo al quale apparteneva, nel momento dell’iniezione intratecale la donna riceveva un trattamento profilattico per lo sviluppo di ipotensione.

Nel primo gruppo (gruppo F) abbiamo utilizzato un’infusione profilattica di fenilefrina: un’ampolla di questo farmaco contenente 10 mg di principio attivo veniva diluita in 100 ml di soluzione fisiologica, ottenendo così una concentrazione di 100 mcg/ml. Veniva quindi riempita una siringa da 50 ml e posta in infusione continua, alla velocità di 10 ml/h, al momento dell’anestesia spinale.

La velocità di infusione veniva poi regolata, in base agli episodi ipotensivi materni, potendo essere aumentata di 5ml/h ogniqualvolta la pressione sistolica scendesse al di sotto di 100 mmHg o si riducesse del 20% rispetto al valore basale.

L’infusione di fenilefrina veniva però condizionata anche dal valore di indice cardiaco. I valori usati come cut off sono stati 3,5 l/min/m2 e 3 l/min/m2: nel caso in cui l’indice scendesse sotto i 3,5 l/min/m2, l’infusione di fenilefrina veniva rallentata e si sostituiva il Ringer Lattato (cristalloide) con il Tetraspan (colloide), infuso alla massima velocità possibile; nell’evenienza in cui l’episodio ipotensivo non venisse risolto e l’indice scendesse al di sotto di 3 l/min/m2, l’infusione di fenilefrina veniva totalmente stoppata e si somministrava efedrina a boli di 5mg/ml, continuando l’infusione rapida di colloide.

Questo protocollo è stato elaborato proprio sulla base dei concetti precedentemente esposti: nel caso di un’ipotensione ad elevata gittata cardiaca e basse resistenze vascolari periferiche, l’obiettivo era quello di riportare la pressione ai valori basali, contrastando la vasodilatazione, quindi agendo sul tono vascolare. Le ipotensioni associate ad una riduzione della portata e dell’indice cardiaco sono state interpretate come la manifestazione di uno scarso riempimento volemico e di un ridotto ritorno venoso al cuore e quindi trattate con infusione rapida di liquidi e con efedrina, che offre un supporto alla pompa cardiaca, oltre che alla circolazione periferica.

Nel secondo gruppo (gruppo E) la profilassi per l’ipotensione veniva attuata mediante uno schema a boli di efedrina: venivano somministrati alla paziente due boli profilattici, ciascuno da 5 mg/ml, il primo nel momento dell’anestesia spinale e il secondo a distanza di 90 secondi dal primo.

In caso di ipotensione, potevano essere somministrati boli aggiuntivi, fino ad un massimo di tre, a distanza di almeno 90 secondi l’uno dall’altro.

Nell’evenienza di mancato recupero e prosecuzione dell’episodio ipotensivo, venivano quindi somministrati piccoli boli di fenilefrina, da 50 mcg.

La raccolta dati si completava al momento dell’estrazione fetale. I dati aggiuntivi raccolti includono l’età, il peso e l’altezza materne, gli episodi di nausea

e vomito riferiti, i punteggi Apgar del neonato al primo e al quinto minuto e il pH fetale ottenuto tramite prelievo dall’arteria ombelicale.

L’outcome primario è stato il benessere fetale, valutato tramite il valore di pH del cordone ombelicale. Gli outcome secondari includono l’incidenza di ipotensione, di nausea, di vomito, di bradicardia, e di episodi di depressione della gittata cardiaca, nonché la valutazione

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dell’influenza del diverso protocollo sui parametri emodinamici materni nei primi 150 secondi dopo la riassunzione del decubito supino a seguito dell’anestesia loco-regionale.

3. Analisi statistiche

4. Risultati

Non ci sono state differenze significative per quanto riguarda l’età, il peso e l’altezza delle donne tra i due gruppi e nemmeno nei tempi chirurgici.

! Tabella 2. Dati demografici e rilevanti per l'anestesia, la chirurgia e gli outcome neonatali

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! Tabella 3. Parametri emodinamici basali

Nel gruppo F, le trenta pazienti hanno ricevuto in media 336,4 mcg (SD 146,1) di fenilefrina prima dell’estrazione. Di queste, 19 pazienti hanno ricevuto un’infusione rapida di colloidi, in media 336 ml (SD 177), per una discesa del valore di indice cardiaco al di sotto della soglia di 3,5 l/min/m2; 9 pazienti hanno ricevuto anche efedrina per una discesa del valore di indice cardiaco al di sotto di 3 l/min/m2.

Nel gruppo E, la dose di efedrina media ricevuta prima dell’estrazione fetale è stata di 16 mg/ml (SD 6,5). A 10 pazienti sono stati infusi colloidi, per una quantità pari a 375 ml (SD 172) e 7 pazienti su 30 hanno ricevuto fenilefrina, in media 157,1 mcg (SD 176,6).

! Tabella 4. Dettaglio dell'applicazione dei protocolli

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L’outcome primario di questo studio è stata la valutazione del benessere fetale, tramite valutazione dei punteggi Apgar al primo e al quinto minuto e tramite confronto dei valori di pH fetale nei due gruppi.

Il prelievo di sangue dall’arteria ombelicale non è stato sempre possibile, abbiamo quindi raccolto 21 campioni per il gruppo efedrina e 26 campioni per il gruppo fenilefrina.

! Tabella 5. Benessere fetale

Nel gruppo E la media dei valori di pH fetale è stata di 7,25 (SD 0,08) mentre nel gruppo F è stata di 7,30 (SD 0,03) (p < 0,01).

Nel gruppo efedrina, 13 neonati (65%, SD 0,49) hanno presentato acidosi, definita come valori di pH < 7,30, contro 8 neonati (29,2%, SD 0,46) nel gruppo F (p < 0,05). Infine abbiamo osservato anche l’incidenza di acidosi severa, definita come valori di pH < 7,20, presentata da 3 neonati nel gruppo E (15%, SD0,37), contro nessun caso nel gruppo F (ns).

! Tabella 6. Incidenza di acidosi e acidosi severa

Gli outcome secondari includevano il benessere materno, in termini di incidenza di ipotensione e insorgenza di sintomatologia, lo sviluppo di bradicardia o la presenza di episodi di depressione della gittata cardiaca.

In totale hanno sviluppato ipotensione 12 pazienti nel gruppo F (40%, SD 0,50) e 20 pazienti nel gruppo E (66,7%, SD 0,48) (ns).

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Nel gruppo fenilefrina soltanto 9 pazienti sono state sintomatiche, riferendo senso di nausea e di capogiro (30% SD ???), una ha riferito sudorazione (3,3% SD ???) e nessuna ha vomitato.

Nel gruppo efedrina, delle 20 pazienti che hanno sviluppato ipotensione, 16 sono state sintomatiche, riferendo nausea e capogiro (53,3%, SD 0,51) e 5 hanno vomitato (16,7%, SD ???), contro nessuna del gruppo fenilefrina (p = 0,052).

Episodi di bradicardia, intesa come una discesa della frequenza cardiaca al di sotto di 50 bpm, sono insorti in 3 pazienti (10%, SD ???) del gruppo F e in una sola paziente (3,3%, SD ???) del gruppo E.

Nel gruppo F, in 16 pazienti su 30 (53,3%, SD ???) si è assistito ad una riduzione del valore di indice cardiaco al di sotto di 3,5 l/min/m2, ma soltanto 7 pazienti (23,3% SD ???) hanno subito una riduzione severa, intesa come indice cardiaco minore di 3 l/min/m2.

Nel gruppo E l’indice cardiaco è sceso al di sotto di 3,5 l/min/m2 in 15 pazienti (50% SD ???) e al di sotto di 3 l/min/m2 in 5 pazienti (16,7% SD ???), senza quindi differenze significative tra i due gruppi.

Tabella 7. Outcome secondari

Infine, abbiamo studiato gli effetti emodinamici dei due protocolli sui parametri emodinamici materni, nei primi 150 secondi successivi alla riacquisizione della posizione supina da parte della paziente a seguito dell’anestesia spinale.

Abbiamo calcolato le medie dei valori di pressione sistolica, frequenza, indice cardiaco e resistenze vascolari dopo 30, 60, 90, 120 e 150 secondi in ognuno dei due gruppi e abbiamo osservato la variazione nel tempo, in relazione ai valori basali delle pazienti.

Questa analisi mostra una notevole differenza in termini di stabilità emodinamica a seconda del farmaco somministrato nel range di tempo preso in considerazione. L’infusione continua di fenilefrina si è dimostrata più efficace nel mantenere la pressione, la frequenza, la gittata e le resistenze vicine ai valori basali, conferendo una maggiore stabilità emodinamica,

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rispetto all’efedrina, che provoca invece profonde alterazioni di questi parametri nel tempo rispetto ai valori basali.

Inoltre si nota come il valore di indice cardiaco e il suo andamento nel tempo (tabella 6) non sia particolarmente diverso nei due gruppi: il mantenimento di tale valore, e quindi di riflesso del valore di pressione sistolica, nel gruppo F è dovuto primariamente ad un supporto al tono vascolare e quindi ad un arresto della discesa dei valori di resistenze vascolari periferiche (tabella 7); nel gruppo E, la stabilità della gittata cardiaca è dovuta ad un forte aumento della frequenza cardiaca (tabella 5), senza grosse azioni, almeno in un primo momento, sulle resistenze vascolari, che esita però in un decremento dei valori di pressione sistolica, rispetto ai basali.

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! Tabella 8. Andamento pressione sistolica rispetto al valore basale. In rosso gruppo E (efedrina); in verde

gruppo F (fenilefrina)

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! Tabella 9. Andamento frequenza cardiaca rispetto al valore basale. In rosso gruppo E (efedrina); in

verde gruppo F (fenilefrina)

29

�Tabella 10. Andamento indice cardiaco rispetto al valore basale. In rosso gruppo E (efedrina); in verde

gruppo F (fenilefrina)

30

! Tabella 11. Andamento resistenze rispetto al valore basale. In rosso gruppo E (efedrina); in verde gruppo

F (fenilefrina

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CONCLUSIONI

Lo scopo di questo studio era quello di mettere in evidenza eventuali differenze nei risultati dei due gruppi in termini di outcome in primo luogo fetali e in secondo luogo materni.

Per quanto riguarda il nostro outcome primario, l’incidenza di acidosi fetale è stata sensibilmente maggiore nel gruppo E (p = 0,019), in accordo con quanto espresso attualmente dalla letteratura, dato che probabilmente deriva dal fatto che l’efedrina attraversa la placenta e attiva il metabolismo fetale, aumentando la frequenza cardiaca e i livelli di catecolamine circolanti, incrementando il consumo di ossigeno da parte del feto e la produzione di acido lattico32,33.

Tuttavia, non si è riscontrata nessuna differenza significativa nei due gruppi i termini di punteggi Apgar al primo e al quinto minuto, ipotizzando quindi che l’acidosi fetale sia in realtà relativamente benigna e che in un neonato peraltro sano non implichi nessun grado di compromissione funzionale.

Per quanto riguarda la loro azione vasocostrittrice e la capacità di prevenzione dell’ipotensione materna, tra i due gruppi non vi sono state significative differenze: l’incidenza di episodi ipotensivi è stata comparabile; l’unica differenza riscontrata è stata nell’insorgenza di sintomatologia e in particolare di vomito: 5 pazienti del gruppo E hanno vomitato contro nessuna del gruppo F (p = 0,052).

Anche in un precedente studio di Cooper et al., nel quale si confrontavano gli effetti dei due farmaci da soli o in combinazione per il mantenimento della pressione arteriosa materna ai valori basali, si era riscontrata una maggiore incidenza di sintomatologia materna con l’uso di efedrina. La causa e la relazione tra il farmaco e questo effetto è sconosciuta e dovrebbe essere sottoposta ad ulteriori studi, anche se questo dato fa presupporre che gli episodi ipotensivi nel gruppo in cui l’efedrina è somministrata in profilassi, siano più profondi e più gravi rispetto a quelli nel gruppo fenilefrina.

Un’altra differenza è stata notata nell’incidenza di bradicardia, più alta nel gruppo F, e imputabile al meccanismo d’azione proprio di ognuno dei due farmaci: l’efedrina con la sua parziale azione β-stimolante, esercita un effetto cronotropo positivo sulla pompa cardiaca; la fenilefrina, in quanto vasocostrittore puro α-selettivo, provoca bradicardia secondaria ad un meccanismo riflesso.

Infine, lo studio degli effetti dei due protocolli sui parametri emodinamici materni mostra una notevole differenza in termini di stabilità emodinamica a seconda del farmaco somministrato: anche se nell’intervallo preso in considerazione, in nessuno dei due gruppi si ha ipotensione (la sistolica infatti non scende sotto i 100 mmHg) e il decremento del valore di indice cardiaco è in realtà molto piccolo (passa in media da 4,6 l/min/m2 a 4,4 l/min/m2 nel gruppo F e da 4,5 l/min/m2 a 4,3 l/min/m2 nel gruppo E) si nota come nel gruppo efedrina si abbia un sovvertimento delle normali condizioni fisiologiche e la discesa delle resistenze periferiche provocata dalla simpaticolisi conseguente ad anestesia spinale, che già di per sé si

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accompagnerebbe a tachicardia per meccanismo riflesso, non sia contrarrestata, ma anzi si abbia un ulteriore aumento della frequenza cardiaca mediato dall’azione β-agonista dell’efedrina.

Nel gruppo F invece si osserva come tutti i parametri siano mantenuti vicino ai valori basali, proprio grazie all’azione vasocostrittrice pura della fenilefrina, che corregge efficacemente l’alterazione primaria dovuta al blocco simpatico, ossia la perdita del tono vascolare.

La dose di fenilefrina somministrata deve essere sufficiente a mantenere il tono della muscolatura vasale, prendendo come bersaglio i valori basali materni pre-anestesia spinale. Si devono evitare somministrazioni sproporzionate che potrebbero causare i temibili effetti secondari di questo farmaco, ovvero ipertensione accompagnata da bradicardia, secondarie ad una vasocostrizione eccessiva della circolazione sistemica.

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