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GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM BURLO ISTITUTODI RICOVERO E CURA A C A R A T T E R E S C I E N T I F I CO BURLO GAROFOLO A cura di Salvatore Alberico, Uri Wiesenfeld

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GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIOManagement in assenza di EBM

B U R L OISTITUTO DI RICOVERO E CURA

A C A R A T T E R E S C I E N T I F I CO

B U R L O G A R O F O L O

A cura di Salvatore Alberico, Uri Wiesenfeld

GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO...Management in assenza di EBM

A cura di Salvatore Alberico, Uri Wiesenfeld

La foto di copertina è di Furio CasaliDirettore responsabile: S. AlbericoComitato di Redazione: S. Alberico, M. Bernardon, P. Bogatti, M. Costantini, F. De Seta, S. Inglese, G.P. Maso,M Piccoli, N. Santangelo, A. Sartore,V. Soini, R.Tercolo, M.Vessella, U.Wiesenfeld

Unità Operativa Complessa di Patologia Ostetrica e Ginecologica, IRCCS Burlo Garofolo di TriesteEditing: Gaia Tamaro, Luca PaganGrafica e impaginazione: Ekipeventi - TriesteStampa: Arti Grafiche Riva - Trieste

Il presente volume è stato pubblicato in occasione del Congresso“GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO... Management in assenza di EBM”che si è tenuto a Trieste il 29-30 novembre 2005Presidente del Corso: Secondo Guaschino - Direttore del Corso: Salvatore Alberico

Dedico questo lavoro alla Memoria del mio Amico Marco Luchetta,caduto a Mostar il 28 gennaio 1994

salvatore alberico

L’organizzazione di un Convegno scientifico prevede anche l’onere della stampa degli attidel convegno. Per il secondo anno consecutivo abbiamo cercato di assolvere questo onere, inuna forma diversa da quella consueta, organizzando un comitato di redazione costituito daMedici del nostro Dipartimento, che hanno lavorato per un anno con il supporto dei Relatoriinvitati ed a Tutti va il mio personale ringraziamento.

Lo scopo di questo metodo era quello di dare un’impostazione omogenea a ciascuncapitolo e nello stesso tempo fornire una serie di indicazioni pratiche di proceduradiagnostico-terapeutica per ciascuna delle patologie trattate durante il convegno.

Non abbiamo ovviamente la presunzione di proporre questo testo come una Linea Guidaper ciascun capitolo, ma da Medici che ogni giorno ci confrontiamo con patologie per lequali non sempre le linee guida di gestione sono disponibili e delineate, pensiamopragmaticamente che lo studio della letteratura disponibile, sostenuto dalla esperienzamaturata nella nostra quotidianità ci possa consentire di delineare flow-charts di gestioneclinica, non sempre disponibili in Letteratura! … e questo senza alcuna presunzione cattedratica!

Riteniamo in merito più che necessario cercare punti di incontro condivisi da ostetriciesperti in ciascuna delle patologie trattate in questo meeting, perché oggi il ricorso ariferimenti dettati dalla Evidence Based Medicine è un criterio molto corretto per compierescelte cliniche, ma lì dove questo metodo di verifica della correttezza procedurale non èdisponibile, ciò non deve trasformarsi in un handicap per chi è comunque chiamato adecidere, con ripercussioni non sempre positive sul paziente.

Il successo ottenuto dal testo stampato lo scorso anno, sul tema del “Taglio cesareo”, cheancora ci viene richiesto da più parti e non solo da Ostetrici, ci fa quindi ben sperare sullavalidità di questa scelta, non solo alfine di indicare procedure diagnostico-terapeutiche maanche per supportare determinate scelte compiute secondo scienza e coscienza, macontestate in ambito medico-legale, in caso di esito avverso derivante dalla nostraoperatività.

L’augurio che ci facciamo e che lo sforzo compiuto trovi un riscontro favorevole e soddisfile attese di quanti avranno avuto la cortesia e la bontà di leggerci.

S. A.

INDICEDIABETE IN GRAVIDANZA1. Screening e diagnosi del diabete gestazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .112. Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .253. Induzione del travaglio versus expectant management in GDM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .424. Distocia di spalla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .555. L’ecografia nelle gravidanze diabetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .756. Terapia insulinica del diabete in gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .84

GRANDE PRETERMINE7. Il parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .868. Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .949. L’esito a distanza nei neonati <1500 grammi:

che cosa ha importanza oltre l’età gestazionale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11010. La gestione della minaccia del parto pretermine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .114

TAVOLA ROTONDA11. Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico . . . . . . . .13012. Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico . . . . . . . .14613. Quel confine sottile tra speranza e illusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15514. Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .177

PRE-ECLAMPSIA15. Pre-eclampsia: a multi system disorder . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19016. Pre-eclampsia: solfato di magnesio sì o no? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19417. Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20918. Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21519. Obesità e gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22420. La pre-eclampsia: un disordine multisistemico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .241

PATOLOGIA AUTOIMMUNE21. Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .28022. LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno-fetale e timing del parto . .29623. Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci? . . . . . . . . . . .30924. Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31425. Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .326

TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE26. Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38027. Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto . . . . . . .39528. Gestione multidisciplinare della CID . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .40329. Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .42130. Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica . . . . . .435

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SCREENING E DIAGNOSI DEL DIABETE GESTAZIONALE A. Lapolla, M.G. Dalfrà, M. Masin, D. FedeleDipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Cattedra di Malattie del Metabolismo, Università degli Studi di Padova

IntroduzioneIl Diabete Gestazionale (GDM), è classicamente definito come una condizione di “intolle-

ranza ai carboidrati, di gravità variabile, ad esordio o primo riconoscimento nel corso dellagravidanza, indipendentemente dal tipo di trattamento e dal fatto che la condizione possa per-sistere dopo il parto”.

Questa patologia complica la gravidanza con una frequenza che varia dall’1 al 14%; talevariabilità è legata ai diversi criteri diagnostici utilizzati ed alle diverse popolazioni valutate1,2.Recentemente, inoltre, è stato segnalato un aumento della frequenza di Diabete Gestazionaledal 2.8% al 8.8%, nel corso degli ultimi 20 anni, nei paesi in via di sviluppo e soprattutto nel-le popolazioni immigrate da paesi sottosviluppati a paesi ricchi3.

Negli ultimi anni l’eziologia e la patogenesi del GDM sono state riviste4 e il GDM è statoconsiderato, come il diabete di tipo 2, un insieme di condizioni morbose con momenti pato-genetici diversi. Raramente il GDM è il momento dell’esordio di un diabete tipo 1, come di-mostrato dalla frequenza piuttosto bassa, anche se variabile a seconda delle varie casisticheesaminate, dei markers immunologici predittivi di diabete tipo 1, quali gli ICA, gli IAAs gli an-ti GAD5,6. Più frequentemente, invece, quello che caratterizza il GDM è una ridotta secrezio-ne di insulina accompagnata da un aumento dell’insulino resistenza periferica, due condizionitipiche del diabete tipo 2. Infatti, secondo alcuni Autori, le due condizioni sono in realtà lastessa malattia7,8, come dimostrato anche dal fatto che esse riconoscono gli stessi fattori di ri-schio quali la familiarità di diabete tipo 2, la razza non bianca, l’obesità, l’età avanzata, la pre-senza di ipertensione e/o dislipidemia.

Nelle donne con Diabete Gestazionale la secrezione insulinica non è in grado di compen-sare l’insulino resistenza caratteristica della gravidanza; la perdita della prima fase di secrezio-ne insulinica determina, in queste pazienti, iperglicemia post-prandiale, mentre la ridotta sop-pressione della produzione epatica di glucosio è responsabile dell’iperglicemia a digiuno9.

La resistenza alla insulina è stata dimostrata a livello del tessuto adiposo e muscolare epuò essere ricondotta agli stessi meccanismi fisiopatologici che determinano la comparsa deldiabete di tipo 2: modificazioni del recettore insulinico e del trasporto ed utilizzazione delglucosio nelle cellule insulino-sensibili10; riduzione dell’attività del substrato del recettore insu-

DIABETE IN GRAVIDANZA

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Screening e diagnosi del diabete gestazionale

linico: è stato infatti messo in evidenza che la fosforilazione tirosinica insulino-indotta dell’IRS-1 è ridotta nelle donne affette da GDM rispetto alle gravide normali11. L’aumento del TNF-al-fa, correlato alla riduzione della sensibilità insulinica12, e la riduzione del contenuto del traspor-tatore del glucosio Glut 413 potrebbero giocare, inoltre, ruoli importanti.

La ridotta azione dell’insulina, nella gravida con GDM, determina un eccessivo incremen-to nel sangue di nutrienti, quali il glucosio, i lipidi, gli aminoacidi, che passando attraverso laplacenta (passaggio facilitato dalle loro concentrazioni più basse nel feto) determinano un ipe-rinsulinismo in grado di favorire, a sua volta, un aumento del tessuto adiposo con organome-galia e macrosomia.

I meccanismi fisiopatologici che determinano il Diabete Gestazionale danno ragione del-l’elevata frequenza di sviluppo di diabete tipo 2 dopo il parto, frequenza che varia a secondadelle casistiche esaminate e che è condizionata dalle modalità di diagnosi del GDM, dal pe-riodo di follow up preso in considerazione, dalla presenza di obesità, dai gruppi etnici esami-nati. In questo contesto, recentemente, Kim e coll. hanno verificato la relazione tra GDM ediabete di tipo 2 analizzando gli studi presenti su PubMed dal 1965 al 200114. Da tale analisiemerge come vi sia una grossa variabilità nell’incidenza cumulativa di diabete di tipo 2, nelledonne con precedente GDM, e questo è dovuto alla diversa lunghezza del follow up consi-derato nei vari studi, ai differenti criteri utilizzati per la diagnosi di malattia, alla diversa etniadelle popolazioni esaminate.

Il tasso di progressione della incidenza di diabete, nelle pazienti con pregresso GDM, au-menta soprattutto nei primi 5 anni dopo il parto e poi presenta un andamento a plateau, conuna frequenza cumulativa che varia dal 2.6 al 70% in studi di follow up tra 6 settimane e 28anni. Livelli glicemici a digiuno elevati in corso di gravidanza sono, inoltre, forti predittori disviluppo futuro di diabete.

Sulla base di tali riscontri gli Autori concludono che nonostante lo screening universaleper il GDM non sia eseguito ovunque, le conoscenze attuali relative alla possibile prevenzio-ne del diabete di tipo 2 inducono a promuovere tale screening.

Oltre alla iperglicemia a digiuno in corso di gravidanza, gli altri fattori di rischio associati,in queste pazienti, allo sviluppo successivo di diabete di tipo 2 sono la alterata tolleranza aicarboidrati dopo il parto, la familiarità per diabete tipo 2, la razza non bianca, l’obesità, la dia-gnosi di GDM in una fase precoce di gravidanza, la necessità di terapia insulinica in corso digravidanza, la ridotta funzione beta-cellulare15,16.

Occorre sottolineare che oltre ad un’aumentata frequenza di sviluppo di diabete di tipo2, le pazienti con pregresso GDM presentano anche un maggior rischio di sviluppo di iper-tensione, iperlipemia e sindrome plurimetabolica, condizione quest’ultima da non sottovalu-tare visto il maggior rischio di malattia cardiovascolare cui si associa17,18.

Se però l’associazione Diabete Gestazionale sviluppo di diabete di tipo 2 è ben validata,recentemente l’associazione Diabete Gestazionale aumento delle complicanze a breve ter-

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Screening e diagnosi del diabete gestazionale

mine della madre e del nato, quali la macrosomia, la distocia di spalla, la Sindrome da DistressRespiratorio, l’ipoglicemia, l’iperbilirubinemia, la policitemia, l’ipocalcemia, la preeclampsia è sta-ta messa in dubbio. In questo contesto la US Preventive Services Task Force ha preso in consi-derazione gli articoli sullo screening del GDM pubblicati su PubMed dal 1994 al 200219.Dall’analisi degli articoli emerge come non vi siano studi randomizzati e controllati che met-tano in evidenza un reale beneficio derivante dallo screening del GDM. Anche se la terapiainsulinica riduce la frequenza di macrosomia nelle donne affette da GDM con gradi severi diiperglicemia, non vi è evidenza che ci sia un reale beneficio conseguente al trattamento del-le pazienti con GDM che mostrano gradi lievi di iperglicemia, che sono la maggior parte. LaUS Preventive Services Task Force conclude che è necessaria ed urgente la messa a punto diuno studio randomizzato e controllato per verificare la reale importanza di screenare e dia-gnosticare il Diabete Gestazionale.

Per definire il Diabete Gestazionale una reale entità clinica è necessario che vi siano la evi-denza di una deviazione dalla normale fisiologia, la dimostrazione che essa determina in gra-vidanza outcome avversi, la verifica, infine, che il trattamento di tale patologia è in grado di ri-durre tali eventi avversi. A questi quesiti in gran parte rispondono Langher e coll. in un re-cente studio che ha valutato l’outcome materno e fetale in 555 pazienti con GDM non trat-tate, 1110 pazienti con GDM trattate, con terapia dietetica ed insulinica quando necessario,e 110 gravide non diabetiche scelte come controlli20.

Prendendo in considerazione un “indice totale” di outcome neonatale, che comprende lamortalità neonatale, la macrosomia, l’ipoglicemia, l’iperbilirubinemia, la policitemia, un “outco-me totale negativo” è stato evidenziato nel 59% delle GDM non trattate, nel 18% delle GDMtrattate e nel 11% dei controlli non diabetici. Sulla base di tali risultati gli Autori concludonoche il Diabete Gestazionale non sottoposto a trattamento si accompagna ad una aumentatamorbilità fetale, morbilità che può essere drasticamente ridotta se tale condizione viene se-guita e trattata adeguatamente.

In questo contesto bisogna sottolineare che lo studio che sicuramente darà una rispostadefinitiva a tali quesiti è l’HAPO Study (Hyperglicemia and Adverse Pregnancy Outcomes)21, unostudio multicentrico che coinvolgerà 25.000 gravide di varie etnie. Gli endpoints di tale stu-dio sono quelli di rilevare la relazione tra iperglicemia materna e frequenza di taglio cesareo,macrosomia, iperinsulinemia fetale, morbilità neonatale (distocia di spalla, ipoglicemia, polici-temia, iperbilirubinemia, di stress respiratorio).

È auspicabile quindi che nel giro di 2-3 anni siano disponibili i risultati finali dello studioche sicuramente stabilirà a livello internazionale quale è il livello di iperglicemia materna as-sociato ad un rischio misurabile per il feto; a quale livello di iperglicemia materna si deve in-tervenire per ridurre la morbilità materna e fetale, quale è il range di normalità da tenere inconsiderazione per la curva da carico orale di glucosio con 75 grammi di zucchero, la possi-bilità di utilizzare l’OGTT con 75 g per la diagnosi in un’unica fase del GDM.

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Screening e diagnosi del diabete gestazionale

Screening del GDMI presupposti per lo screening di una condizione morbosa sono stati codificati sin dal 1975

da Sackett22 e sono i seguenti: la malattia deve costituire un importante problema sanitarioper prevalenza nella popolazione generale.

È necessaria una buona conoscenza della storia naturale della malattia, che deve risultareassociata a rilevante morbilità, immediata ed a distanza. Deve essere disponibile un test dia-gnostico codificato, affidabile, e riproducibile considerato il “Gold standard”.

Alla diagnosi deve poter seguire una terapia efficace nel prevenire o contenere gli effettidella malattia. Il test di screening deve avere sensibilità e specificità, rapidità e semplicità di ese-cuzione, costo contenuto.

Deve essere previsto, infine, un rapporto costi/benefici favorevole.In questo contesto, la considerazione che la presenza di fattori di rischio per lo sviluppo

di GDM consente di sottoporre ad un programma diagnostico per tale malattia solo il 50%delle gravide e la consapevolezza della necessità di una diagnosi precoce di una patologia conimportanti conseguenze per la madre ed il nato, hanno fatto sì che il “Second InternationalWorkshop Conference on Gestational Diabetes” decidesse di consigliare di sottoporre a scree-ning per il GDM tutte le donne gravide, indipendentemente dalla presenza o meno di fatto-ri di rischio per tale patologia, alla 24a-28a settimana di gravidanza, (screening universale)23.

Quale test di screening la Consensus consigliava il “minicarico di glucosio”, che consistenella somministrazione di 50 g di glucosio e nella valutazione della glicemia plasmatica un’oradopo. Il test viene considerato positivo quando la glicemia è ≤ 140mg/dl; la positività del testè una indicazione ad eseguire un test diagnostico, costituito in tal caso dalla curva da caricoorale di glucosio (OGTT).

Il Gruppo di Studio SID Diabete e Gravidanza, per consentire una diagnosi più precoce,in accordo con altri autori, ha consigliato l’anticipazione dello screening alla 14a-16a settima-na di gravidanza in presenza di fattori di rischio per GDM (Tabella 1)24,25.

Tabella 1. Fattori di rischio per Diabete Gestazionale (Linee guida SID)Anamnestici Maggiori Anamnestici Minori Attuali

1 solo criterio Almeno 2 criteri 1 solo criterio

Pregresso GDM o IGT Sovrappeso Incremento ponderale>1,2 kg nel 1° trimestre e/o 400 gr/settimana nel 2°-3° trimestre

Familiarità di 1°grado per diabete Ipertensione arteriosa Ricorrente glicosuria a digiunoEtà >30 anni Due o più aborti PoliidramniosObesità (BMI>28) Poliidramnios Crescita fetale accelerata e dismorficaPregressa macrosomia Gestosi(≥ 4kg) o LGA (>90°C)Mortalità perinatale da causa ignota Elevata parità

Parti pre-termine

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Screening e diagnosi del diabete gestazionale

Recentemente il gruppo di esperti dell’ADA, che ha proposto i nuovi criteri di classifica-zione e diagnosi del diabete ha proposto anche nuove indicazioni all’esecuzione dello scree-ning26. Su tali indicazioni si è allineata anche la “Fourth Consensus Conference on GDM”27, cheha distinto le gravide in pazienti a rischio basso, medio ed elevato (Tabella II). Secondo taliesperti nelle gravide che presentino età <25 anni, peso corporeo normale, assenza di fami-liarità per diabete, e che non appartengano a gruppi etnici ad alta prevalenza di diabete, nonè necessario eseguire lo screening per la bassa prevalenza in esse di GDM.

Tabella II. Criteri ADA per la valutazione del grado di rischio per GDMBasso rischio Medio Alto

Screening non indicato Screening fra 24a -28a s.g. Screening appena possibile

Appartenenza a gruppo etnico Familiarità positiva con bassa prevalenza GDM per diabete in parenti di 1° gradoFamiliarità negativa Pregresso riscontro di intolleranza glucidicaper diabete mellitoAnamnesi ostetrica Caratteristiche intermedie Pregresso riscontro di intolleranza glucidicapriva di esiti sfavorevoli tra basso e alto rischioNessun precedente di anormale Obesitàtolleranza al glucosioEtà inferiore a 25 aa Glicosuria marcata

nella gravidanza in corsoNormopeso

Le gravide ad elevato rischio, quelle cioé che presentano marcata obesità, familiarità di pri-mo grado per diabete, pregresso GDM, o IGT, glicosuria, devono essere sottoposte a scree-ning il più precocemente possibile; lo screening se negativo, andrà poi ripetuto alla 24a-28a

settimana di gravidanza.Le pazienti a rischio medio, quelle in cui manca almeno una delle caratteristiche che iden-

tificano il basso rischio ma non rientrano nelle classi ad alto rischio, devono essere sottopo-ste a screening alla 24a-28a settimana di gravidanza.

Le etnie considerate a rischio sono quelle che presentano una elevata prevalenza di dia-bete di tipo 2 e cioè quelle latino-americana, africana, americana (nativi), Sud Est-asiatica, au-straliana (indigena), isole del Pacifico.

Dopo il IV Workshop una serie di punti sono stati messi in discussione in relazione alloscreening del GDM, tra i quali l’estensione dello screening, la definizione del cut-off più ade-guato per il test di screening, il possibile utilizzo di metodi alternativi al minicarico di glucosio,il possibile utilizzo dei glucometri nella procedura di screening.

Per quanto riguarda l’estensione dello screening, Moses e coll.28 hanno valutato la preva-lenza di GDM tra le gravide considerate a basso rischio dall’ADA ed hanno evidenziato co-me in esse la prevalenza del GDM è del 2.8% non sottovalutabile, e che tali gravide hanno glistessi outcomes delle altre GDM.

Lavori più recenti di Di Cianni e coll.29 evidenziano che nella nostra realtà solo il 5% del-

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Screening e diagnosi del diabete gestazionale

le donne che intraprendono una gravidanza hanno un basso rischio quindi il risparmio di ri-sorse non è elevato; tuttavia non sottoporre a screening queste pazienti non permette di dia-gnosticare un 2% di GDM, ed inoltre si rischia di non diagnosticare le pazienti con diabete ditipo 1 che la gravidanza può mettere in evidenza e che necessitano di stretta sorveglianza.Alle stesse conclusioni giungono anche Corcoy e coll. in un recente studio che ha analizzatola frequenza delle donne a basso rischio in 1635 pazienti affette da GDM30.

Lo screening, secondo le raccomandazioni della Consensus Conference27, può essere ese-guito indipendentemente dai pasti; dobbiamo però sottolineare che il pasto determina un’ipe-rinsulinemia che riduce il livello della glicemia, perciò in tal caso il valore soglia del test è di130 mg/dl31. In considerazione, quindi, di tale variabilità è consigliabile comunque l’esecuzionedel test a digiuno tenendo come valore soglia di glicemia i 140 mg/dl.

Sul valore soglia studi di Bonomo et al.32 segnalano il possibile uso di cut-off differenziatiin funzione del livello di alterazione diagnostica che si vuole identificare Diabete Gestazionaleo alterazioni minori della tolleranza ai carboidrati. Su tale problema comunque la “FourthConsensus Conference on Gestational Diabetes”27 si è espressa a favore dei 140mg/dl: tale va-lore presenta una specificità del 87% ed una sensibilità del 79% che sono da considerarsi piùche accettabili per un test di screening (Tabella III).

Tabella III. Minicarico di glucosio: criteri di interpretazione secondo le raccomandazioni ADA.Cutoff (mg/dl) 130 135 140Sensibilità 100% 98% 79%

Specificità 78% 80% 87%

Sulla possibilità di utilizzare i fattori di rischio anamnestici come metodo di screening re-centemente alcuni autori hanno proposto un modello basato su 5 indicatori di rischio (fami-liarità per diabete, pregressa macrosomia, pregresso GDM, BMI pre-gravidico > di 27, glico-suria)33, la sensibilità del test dell’80.6% è simile a quella del minicarico di glucosio, purtroppola specificità è bassa cioè del 64.5%.

Diversi cut-off sono stati proposti nel considerare la glicemia a digiuno quale test di scree-ning, ma come evidente dalla Tabella IV vi è una grande variabilità nei livelli di sensibilità e spe-cificità dovuti alle differenti popolazioni valutate, ai differenti metodi di analisi utilizzati34-37.

Tabella IV. Glicemia a digiuno utilizzata quale metodo di screening del GDMAutore Cut-off Sensibilità Specificità

mmol/l (mg/dl) (%) (%)

Agarwl (2000) 5.3 (95.4) 79 91Atilano (1999) 5.8 (104.4) 20.2 99.7Perrucchini (1999) 4.8 (86.4) 81 76

Reichelt (1998) 4.9 (88.2) 88 78

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Screening e diagnosi del diabete gestazionale

Anche la possibilità di utilizzare il dosaggio dell’HbA1c quale test di screening è stata re-centemente rivalutata, considerando quale soglia diagnostica un valore di HbA1c ≥ a 5.5%: lasensibilità è risultata del 72.8% e la specificità del 66%, più basse di quelle del minicarico diglucosio38.

Infine, i glucometri vengono periodicamente riproposti a tale proposito perché permet-tono di avere un risultato immediato, a costo minore, con possibilità di abbreviare il succes-sivo percorso diagnostico. Nonostante il miglioramento delle prestazioni diagnostiche otte-nute con l’evoluzione tecnologica di tali strumenti39, essi mostrano ancora una variabilità noncompatibile con il loro utilizzo né nelle procedure di screening né in quelle di diagnosi ed at-tualmente non sono approvati per tale utilizzo dalle società nazionale ed internazionali.

Diagnosi del GDMLa positività del test di screening è indicazione all’esecuzione di un test diagnostico costi-

tuito, in questo caso, dalla curva da carico orale di glucosio.La diagnosi del GDM ancora oggi è un argomento controverso; nonostante 4 workshop

internazionali e prese di posizioni più o meno ufficiali da parte delle varie società scientificheinternazionali, non vi è ancora univocità nelle indicazioni riguardanti l’utilizzo della curva dacarico orale di glucosio con 100 g (secondo O’Sullivan) o con 75 g (secondo l’OMS).

O’Sullivan e coll40 hanno valutato 752 donne, non selezionate, sottoposte ad OGTT con100 grammi di glucosio e dosaggio della glicemia su sangue intero ogni ora per tre ore.

I limiti diagnostici (Tabella V) sono stati stabiliti utilizzando il criterio statistico delle 2 de-viazioni standard oltre la media sulla base del loro valore predittivo nei confronti di una suc-cessiva comparsa di diabete nella madre.

La diagnosi di GDM è stata stabilita sulla base della presenza di due valori uguali o supe-riori al livello soglia. La prevalenza del GDM, con tali criteri, è risultata del 2%. Dobbiamo sot-tolineare che la validazione di questi criteri diagnostici è stata fatta sulla base della successivaevoluzione della madre verso un diabete e non sull’esito negativo ostetrico e/o perinatale del-la gravidanza.

Questi criteri sono stati adottati nel 1978 dall’American College of Obstetricians andGynecologists (ACOG)41 e poi dal NDDG42. In tale occasione è stata apportata una modificaai limiti diagnostici, infatti in considerazione del passaggio del dosaggio della glicemia su san-gue intero a quello su plasma i singoli cut-off sono stati aumentati del 15% (Tabella V).

Una successiva modifica è stata, poi apportata da Carpenter e Coustan43, che in conside-razione del passaggio dal metodo di Somogy-Nelson ai metodi enzimatici più specifici per ildosaggio della glicemia, hanno operato una riduzione di 5 mg/dl ai valori di riferimentodell’OGTT (Tabella V). Questi criteri, sicuramente metodologicamente più corretti sono stati

18 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening e diagnosi del diabete gestazionale

adottati dalla SID già dal 199444, tuttavia sino a poco tempo fa sia l’ACOG sia l’ADA sia altreimportanti istituzioni scientifiche internazionali hanno continuato ad adottare i criteri delNDDG.

Tabella V. Criteri diagnostici per l’OGTT con 100 gr in gravidanzaO’Sullivan 1964 NDDG 1979 Carpenter 1982Glucosio mg/dl Glucosio mg/dl Glucosio mg/dlSangue venoso Plasma venoso Plasma venoso

0’ 90 105 951h 165 190 1802h 145 165 1553h 125 145 140

Diagnosi GDM: 2 o più valori > a quelli indicati

In questo contesto la Fourth International Consensus Conference on GDM27 ha tentato diomologare i test utilizzati per la diagnosi del GDM ribadendo la necessità di utilizzare qualetest diagnostico l’OGTT con 100 grammi di glucosio (Tabella VI), interpretato secondo i cri-teri di Carpenter e Coustan (Tabella VII)43. L’adozione dei nuovi criteri diagnostici, meno ele-vati e più restrittivi, determina una maggiore prevalenza di GDM, prevalenza che in due stu-di eseguiti su casistiche molto ampie, è stata calcolata intorno al 5%45,46. In particolare dallostudio di Magee e coll44 è emerso che utilizzando tali nuovi criteri è possibile identificare unulteriore 50% di donne affette da GDM; queste donne presentano fattori di rischio di GDM,ed una frequenza di macrosomia e morbilità neonatale simile a quella delle pazienti identifi-cate con i vecchi criteri.

Tabella VI. Criteri diagnostici secondo le raccomandazioni ADA per l’OGTT in gravidanza con 100 g e 75 g di glucosioplasma venoso OGTT OGTT

mg/dl 100g 75g0’ 95 951h 180 1802h 155 1553h 140 -

Diagnosi GDM:2 o più valori > a quelli indicati

Tabella VII. Modalità di esecuzione dell’OGTT (100 g e 75 g)Dieta Almeno 150 g CHO/die per 3 ggOrario Al mattino dopo 8-14 ore di digiunoCarico 75 g o 100 g glucosio disciolti in acqua 400 ml ,da ingerire in 5’Prelievo Venoso basale, poi ogni ora per 2-3 oreDosaggio Su plasma con metodo enzimatico

Comportamento Durante il test posizione seduta, non fumare

19GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening e diagnosi del diabete gestazionale

Anche sull’approccio da adottare per la diagnosi del GDM, in due fasi con minicarico diglucosio ed OGTT, o in unica fase con solo OGTT, non vi è consenso; infatti, mentre l’ADAe l’ACOG consigliano il procedimento in due fasi, l’OMS già nel 1985 ha proposto di utiliz-zare un unico test cioè l’OGTT con 75 grammi di glucosio, con prelievi a digiuno e dopo 2ore, interpretato secondo i criteri utilizzati nella popolazione generale47, (Tabella VIII). Questaposizione è stata ribadita anche recentemente, recependo, però i nuovi livelli diagnostici a di-giuno, proposti dall’Expert Committeee dell’ADA26.Adottando questo criterio un valore di gli-cemia 2 ore dopo OGTT superiore o uguale a 140 mg/dl è diagnostico per IGT in gravidan-za, condizione che andrebbe trattata come il GDM. Il limite dell’adozione di questi criteri stanella non validazione del test in gravidanza; inoltre con gli stessi si ha un netto incrementodella frequenza di GDM, come dimostrato da alcuni studi48,49.

Tabella VIII. Criteri per la diagnosi di diabete mellito non in gravidanza.Normoglicemia FPG <110mg/dl

2h PG<mg/dlIFG (Impaired Fasting Glucose) FPG ≥ 110<126 mg/dlIGT (Impaired Glucose Tolerance) 2hPG≥ 140mg <200mg/dlDiabete mellito >o=126mg/dl

2hPG>200 mg/dlsintomiglicemia random≥ 200mg/dl

FPG= glicemia a digiuno2hPG = glicemia 2 ore dopo carico di glucosio

L’adozione dei criteri di Carpenter e Coustan non prevede di considerare la condizionedi IGT in gravidanza, tutavia una serie di studi ha messo in evidenza come le pazienti affetteda alterazioni minori delle tolleranza ai carboidrati (un solo valore dell’OGTT alterato) pre-sentano una frequenza di morbilità materna e fetale (macrosomia, taglio cesareo) più eleva-ta rispetto alle gravide normali50,51. Perciò sarebbe utile, come suggerito da Ramus e Kitzmiller52,monitorare tali pazienti e ripetere l’OGTT dopo 4 settimane per valutare l’eventuale evolu-zione verso il GDM.

In questo contesto la Fourth International Consensus Conference on GDM27 ha cercato unaposizione di intermediazione indicando la possibilità di utilizzare l’OGTT con 75 g di gluco-sio e prelievi ogni ora per due ore, come per il soggetto non in gravidanza, ma in considera-zione del fatto che i livelli soglia dell’OGTT con 75 g non sono stati validati, la Consensusconsiglia di usare anche per l’OGTT con 75 g gli stessi livelli soglia dell’OGTT con100 g.

Infine, la Consensus ha indicato la possibilità di utilizzare sia un procedimento in due fasi,minicarico più OGTT, sia un procedimento in fase unica che prevede l’esecuzione del soloOGTT.

Le ultime raccomandazioni dell’ADA53 e dell’ACOG54 sono allineate su questa posizione,in particolare, tenendo conto della presenza di fattori di rischio, essa consiglia l’esecuzione

20 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening e diagnosi del diabete gestazionale

dell’OGTT, senza il preventivo screening, nelle pazienti a rischio elevato e che appartenganoa popolazioni con alto rischio di diabete, e l’esecuzione dello screening seguito, in caso di po-sitività dello stesso, da un OGTT con 100 g di glucosio interpretato secondo i criteri diCarpenter e Coustan, in tutti gli altri casi. In alternativa è possibile usare l’OGTT con 75 g diglucosio, bisogna tener presente però che non è ancora validata.

Come ribadito anche dall’ADA53, il riscontro, anche nella donna in gravidanza, di una gli-cemia plasmatica a digiuno ≥ a 126 mg/dl e/o di una glicemia plasmatica non a digiuno ≥ a200mg/dl, se confermate in una successiva occasione, permettono già di fare diagnosi di dia-bete, senza ricorrere a test di screening e di diagnosi. Una serie di studi hanno poi indicatola possibilità di riconoscere un risultato del minicarico di glucosio da considerare diagnosticodi GDM. Carpenter e Coustan43 hanno individuato la soglia dei 182 mg/dl superata la qualel’OGTT risultava positivo nel 95% dei casi. Anche su questo punto manca un consenso inter-nazionale, in attesa di dati validati comunque è giustificata una soglia di sicurezza diagnosticaquale quella individuata da Ramus e Kitzmiller52 di 198 mg/dl.

Il Gruppo di Studio Diabete e Gravidanza della SID, in attesa dei risultati dell’HAPO Studysi è allineato su una posizione per così dire conservativa consigliando perciò di continuare adeseguire lo screening universale, utilizzando il procedimento in due fasi.

Lo screening con minicarico di glucosio da eseguirsi a digiuno va fatto perciò a tutte legravide tra la 24a e la 28a settimana di gravidanza, se la donna non è a rischio, al più prestose presenta fattori di rischio per GDM; il cut off da considerare è 140 mg/dl. Il test diagnosti-co da utilizzare è l’OGTT con 100 gr di glucosio interpretato secondo i criteri di Carpentere Coustan, come evidenziato nella Figura 1.

GLICEMIA

Figura 1. Screening e diagnosi del GDM. Linee guida SID

126 a digiuno200 random

Fra la 24a-28a settimana gestazionale o appena possibile in presenza di fattori di rischio

CGT50 gr

OGTT100 gr

GDM

≥<

≥140

<140 ≥198

Normale

21GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening e diagnosi del diabete gestazionale

MonitoraggioDopo aver fatto diagnosi di GDM la gravida va monitorata attentamente dal punto di vi-

sta metabolico ed ostetrico per ridurre al massimo le complicanze materne e fetali legate atale patologia.

Ad ogni visita di controllo, di solito con frequenza quindicinale, la paziente deve esseresottoposta a valutazione della glicemia plasmatica e della chetonuria, a monitoraggio dell’an-damento del peso e della PAO; i livelli di HbA1c verranno valutati mensilmente.

La paziente deve anche essere educata all’esecuzione dell’autocontrollo domiciliare delleglicemie, secondo uno schema settimanale a scacchiera che comprenderà la valutazione siadelle glicemie a digiuno sia di quelle pre e post-prandiali. Poiché il GDM è caratterizzato dauna importante aumento delle glicemie dopo i pasti e visti i risultati del lavoro di DeVecianae coll55, che ha messo in evidenza che il monitoraggio delle glicemie un’ora post-prandiale el’instaurazione della terapia insulinica sulla base di tali glicemie sono in grado di ridurre, nelleGDM, la frequenza della macrosomia e dei tagli cesarei, sarebbe utile valutare le glicemieun’ora dopo i pasti, in accordo anche con quanto raccomandato recentemente dall’ADA56. Ivalori di glicemia a digiuno e post-prandiali che si devono ottenere nelle pazienti con GDMsono a digiuno inferiori a 95 mg/dl, un’ora dopo i pasti inferiori a 140 mg/dl e due ore dopoi pasti inferiore a 120 mg/dl. I valori dell’HbA1c devono essere entro il range di normalità.

La valutazione della chetonuria, al mattino a digiuno, è importante perché permette di ve-rificare eventuali errori dietetici,quali un basso apporto di carboidrati, una eccessiva riduzio-ne delle calorie totali, un digiuno prolungato.

Il trattamento iniziale del GDM è quello basato sulla dieta e sulla moderata attività fisica.Quando con la terapia dietetica non è possibile raggiungere gli obiettivi glicemici prefissa-

ti vi è l’indicazione ad iniziare, nella paziente con GDM, la terapia insulinica.La recente disponibilità di analoghi dell’insulina a rapido inizio di azione e con maggiore

capacità di ridurre il picco iperglicemico post-prandiale offre un’arma efficace nel GDM, quan-do vi sia iperglicemia post-prandiale. Studi recenti, infatti, hanno evidenziato come la terapiacon tali insuline, nelle donne con GDM, è efficace nel ridurre la glicemia post-prandiale e leipoglicemie tra un pasto ed il successivo, senza aumentare il rischio di immunogenicità ed es-sere accompagnata da passaggio transplacentare57.

Gli ipoglicemizzanti orali, che attraversano la barriera placentare, sono sconsigliati in cor-so di gravidanza; tuttavia Langer, in un recente studio58, riporta che l’uso della gliburide, in pa-zienti con GDM, non determina complicanze materne e fetali con frequenza maggiore di quel-le riscontrate nelle pazienti con GDM trattate con insulina. È comunque opportuno, comesottolineato anche recentemente dall’ADA53, che vengano condotti ulteriori studi per verifi-care la reale possibilità di usare gli ipoglicemizzanti orali in corso di gravidanza.

Per quanto riguarda il monitoraggio ostetrico, esso non si discosta molto da quello cheviene eseguito nelle pazienti con diabete pregravidico.

22 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening e diagnosi del diabete gestazionale

Follow-up post-partoLa tolleranza ai carboidrati deve essere rivalutata dopo il parto: l’ADA, anche nelle recen-

tissime raccomandazioni53, consiglia una prima rivalutazione dopo sei settimane dal parto o atermine dell’allattamento; in caso venga diagnosticata una ridotta tolleranza ai carboidrati(IGT) o una alterata glicemia a digiuno (IFG), (Tabella VIII) le rivalutazioni andranno eseguiteannualmente; nei casi in cui la tolleranza ai carboidrati risulti normale le rivalutazioni dovreb-bero essere eseguite ad intervalli non superiori a tre anni.

Le donne con pregresso GDM e soprattutto quelle cui sia stato diagnosticato un IFG oun IGT dopo la gravidanza, devono essere a conoscenza dell’elevato rischio che hanno di svi-luppare un diabete e dell’importanza sia di monitorare la tolleranza ai carboidrati sia di cor-reggere gli altri fattori di rischio eventualmente presenti (obesità, dislipidemie, ipertensionearteriosa); le stesse devono inoltre conoscere i sintomi acuti di insorgenza di diabete in mo-do che possano rivolgersi subito al proprio medico curante.

I nati da madre con GDM hanno un significativo maggiore rischio di sviluppare obesità ediabete di tipo 2 nel corso dell’adolescenza e questo potrebbe spiegare almeno in parte l’au-mento di tale patologia in età pediatrica osservata negli ultimi anni59.

ConclusioniDalle considerazioni su esposte emerge come persista nel campo dello screening e della

diagnosi del Diabete Gestazionale una situazione di non univocità. In attesa di risultati deglistudi in corso che consentiranno di operare scelte chiare sulle questioni ancora in sospeso ilGruppo di Studio Diabete e Gravidanza della SID ritiene di non modificare, per il momentoi criteri di screening e diagnosi del GDM, criteri riassunti nella Figura 1.

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25GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

22DIABETE IN GRAVIDANZA

SCREENING DEL DIABETE GESTAZIONALE:SELETTIVO O UNIVERSALE?S. Alberico, M. Bernardon, M. Costantini, P. Lanza, R.Tercolo, GP. MasoDipartimento Ostetricia e Ginecologia IRCCS Burlo Garofolo,Trieste

Il diabete, patologia complessa, riveste particolare importanza in gravidanza, poiché è diosservazione non rara e comporta un aumento dell’infertilità, della morbidità e della morta-lità sia materna che feto-neonatale. La gravidanza a sua volta rappresenta una condizione distress diabetogeno e può quindi rendere manifesta un’alterazione del metabolismo glucidicoprima assente. Per tale motivo una delle problematiche connesse alla gestione del diabete ge-stazionale (GDM), inteso come un’intolleranza ai carboidrati di severità variabile, ad inizio, perla prima volta nel corso della gravidanza, riguarda proprio il precoce riconoscimento della suainsorgenza, con test sensibili e possibilmente di basso costo, applicati alla popolazione gene-rale di donne gravide oppure a quelle gestanti, che presentano dei fattori di rischio specificoper questa malattia. È bene premettere che il GDM non è di raro riscontro, la sua incidenza,infatti, oscilla negli Stati Uniti tra l’1.1% ed il 14.3% a seconda delle componenti etniche del-le popolazioni studiate e dei criteri diagnostici applicati per la sua identificazione1, in Canadainvece questa incidenza è del 6.5%2.

Il dibattito aperto in letteratura non riguarda quindi l’aumentata frequenza di un’alterazio-ne del metabolismo glucidico in gravidanza, che è accertata, quanto l’opportunità di eseguireun test di screening universale o selettivo e la modalità di esecuzione dello stesso.

Ora sebbene una correlazione tra un’iperglicemia materna e un peggioramento dell’out-come neonatale sia stata da più, parti riportata3-6, non esistono evidenze conclusive che la dia-gnosi e il trattamento del diabete gestazionale costituiscano di fatto un beneficio per la gra-vidanza in termini di miglioramento della mortalità perinatale, frequenza della macrosomia edella distocia di spalla, di traumi da parto, di incidenza di tagli cesarei, di pre-eclampsia e di ef-fetti a breve e lungo termine sul metabolismo glucidico del neonato.

Sino al 1994 era opinione diffusa e stabilizzata tra gli Ostetrici che il test di screening peril diabete gestazionale dovesse essere rivolto a tutte le gravide, con l’esecuzione tra la 24a ela 28a settimana di un test da carico con 50 g di glucosio definito Glucose Challange Test (GCT)7.

Da quell’anno è iniziato un dibattito concretizzatosi nelle direttive dell’A.D.A. del 19978

che prevedevano l’esclusione dallo screening di gravide non obese, di età inferiore ai 25 an-ni, con familiarità negativa per patologia diabetica e non appartenenti a gruppi razziali a ri-

26 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

schio.Tale proposta ribadita nel marzo 1998 al IV° IW-Conference on Gestational Diabetes diChicago non ha però riscontrato consensi unanimi in letteratura9. Coustan e coll. già in pas-sato avevano verificato che utilizzando i fattori di rischio specifico per il diabete gestazionalecome indicatori per lo screening di questa malattia, era necessario eseguire il test in una quo-ta significativa della popolazione, circa il 50%, mancando poi la diagnosi in circa 1/3 dei casi didiabete10.

Più recentemente in uno studio ben strutturato, Moses e coll.11 rilevarono una percentua-le di diabete gestazionale nel 2.8% di gravide definite a basso rischio e la mancanza di alcunfattore di rischio specifico nell’8.7% dei casi di diabete gestazionale. Quest’Autore rilevava poiche l’attuazione del test solo a soggetti a rischio per diabete comportava in ogni modo l’ese-cuzione dello stesso nell’80% della popolazione generale, perdendo comunque una quota del10% di gestanti con GDM.

Poi altri elementi di valutazione della condizione di rischio per lo sviluppo di un GDM so-no entrati a far parte dei criteri di selezione delle donne in gravidanza. Uno di questi è statala valutazione del Body Mass Index (BMI), calcolo del rapporto tra il peso del soggetto, divi-so per il quadrato dell’altezza. Secondo alcuni Autori il riscontro di un indice di BMI maggio-re di 27 costituisce un elemento di indirizzo della paziente ai test di screening per il GDM12.

Di recente in un suo News Release anche l’ACOG ha incluso questo criterio di valutazio-ne tra i fattori di rischio per GDM, indicando però un indice di cut-off superiore a 2513.

Lungi dall’essere risolto il dibattito sul metodo di screening più corretto da utilizzare ingravidanza, si è arricchito negli ultimi anni di nuovi aspetti di discussione. Si è, infatti, instaura-to in alcuni Autori il convincimento che l’applicazione di uno screening universale per il GDM,non solo non apporti reali miglioramenti sull’outcome materno e feto-neonatale, ma altresìcontribuisca in maniera significativa all’aumento artefatto di diagnosi di GDM falsamente po-sitive14. Molto spesso poi la conseguenza di una tale procedura si concretizzerebbe in un au-mento, non sempre giustificato, dei costi di monitoraggio di queste gravidanze e di una mag-giore operatività, intesa in un aumento della frequenza di tagli cesarei.

A conclusioni diametralmente opposte giungono altri Autori, che ritengono invece giusti-ficato rivolgere a tutta la popolazione di gravide, un test di screening per il diabete, per iden-tificare una patologia che comporta un peggioramento significativo dell’outcome sia maternoche fetale a breve e lungo termine15,16.

Nella stessa direzione spingono poi coloro che giustificano l’esecuzione di uno screeninguniversale, considerando il rischio di ricorrenza del GDM nelle gravidanze successive e dopola gravidanza, nella terza età17-19.

Un’ulteriore considerazione è posta da altri ricercatori, che hanno valutato di fatto quan-te pazienti, giudicate a basso rischio, secondo i criteri dello screening selettivo risparmiereb-bero l’esecuzione del test da carico breve. Particolarmente esauriente è in questo sensol’esperienza riportata da Williams e coll. che hanno calcolato sulla propria popolazione che

27GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

circa il 90% della popolazione generale dovrebbe comunque eseguire il test, presentando co-munque uno dei fattori di rischio indicati per GDM.Tale procedura porterebbe inoltre ad unaquota del 4% di GDM non diagnosticati20.

Le controversie presenti in Letteratura riguardano anche la modalità di esecuzione del test,la quantità del carico di glucosio da somministrare e il cut-off da considerare. Nella Tabellasuccessiva sono riassunte le raccomandazioni suggerite da alcune Linee-guida disponibili.

Linee Guida GDM 1992 - 2005Società Screening Suggerito Test di Screening Test DiagnosticoCanadian Task Force Evidenze insufficienti // //on the Periodic Health per raccomandareExamination21,1992 lo screeningSOGC22,1992 Universale 50 g GCT 100 g OGCTIV° Inter.Wokshop- selettivo 2 Opzioni: 75 g o 100 g, curvaConference on GDM23, a) GCT e OGCT limite di Carpenter-Coustan1997 130 mg e/o 140 mgCDA24, 1998 selettivo 50 g GCT come sopraADA25, 1998 selettivo 50 g GCT limite 130 mg 100 g OGTT

secondo NDDGACOG26 2001 Universal or Selective 50 g GCT limite 100 g OGCT

130 mg e/o 140 mgACOG American College Obstetrics and GynaecologistADA American Diabetes AssociationCDA Canadian Diabetes AssociationNDDG National Diabetes Data GroupGCT Glucose Challange TestOGCT Oral Glucose Challange Test

Come si può notare non è raro che il cut-off indicato per la curva breve non sia unico.Secondo il IV° International Workshop-Conference on GDM del 1997 e secondo il BollettinoACOG del 2001 questo valore può oscillare da 7.2 mm/L (130 mg/dL) che è in grado di iden-tificare il 90% dei casi di GDM, ma con un 20-25% di donne screenate, che necessitano poidi una OGCT con carico da 100 g per completare il protocollo e 7.8 mmol/L (140 mg/dL)che possiede una sensibilità dell’80%, ma che necessita di un prosieguo dell’indagine solo nel14-18% dei casi.

Secondo qualche Autore il differente cut-off può essere utilizzato in base al livello di ri-schio della popolazione screenata, abbassando il cut-off quando si tratta di popolazione ad al-to rischio27.

Noi crediamo che questo tipo di differenziazione sia troppo complesso e nella nostraesperienza utilizziamo per il GCT un unico cut-off a 140 mg/dL.

Si ritiene quindi opportuno riportare una sintesi delle raccomandazioni suggerite dal U.S.Preventive Service Task Force, pubblicate nel febbraio 2003, ove si ritiene che le evidenze ripor-tate in letteratura non sono sufficienti per esprimere un parere a favore o contro l’esecuzio-

28 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

ne di uno screening per il diabete gestazionale. Successivamente affermano che è disponibi-le una buona evidenza che lo screening associato ad una dieta corretta e alla terapia insulini-ca è in grado di ridurre il rate di macrosomia in donne con diabete gestazionale. Lo stessogruppo afferma comunque che le evidenze non sono sufficienti per affermare che l’attuazio-ne dello screening sia in grado di produrre importanti effetti di riduzione di eventi avversi perla madre o il neonato, in termini di frequenza di tagli cesarei, danni perinatali, mortalità peri-natale28.

Lo scopo di questo articolo è quello di confrontare le evidenze disponibili in Letteraturasu una linea guida da seguire nella gestione di una popolazione ostetrica in riferimento allaopportunità di esecuzione o meno di uno screening universale o selettivo dl GDM e per da-re una risposta a questo quesito ci serviremo anche dei risultati di uno studio condotto pres-so Il Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste e pubbli-cato nel 200429. Questo studio ha verificato la frequenza del diabete gestazionale e la validi-tà di un programma di screening cosiddetto “universale” (indirizzato cioè a tutte le gravide,indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio specifico), correlando i risultati con lecaratteristiche cliniche ed epidemiologiche della madre e l’outcome della gravidanza e fetoneonatale. Un secondo end-point è stato quello di verificare la frequenza dei tagli cesarei nel-la popolazione di gravide con diagnosi di GDM.

Un ultimo target di questo lavoro è stato quello di valutare i costi dell’applicazione di unsimile programma. Lo studio è stato condotto retrospettivamente sulla popolazione di gravi-de, abbracciando il periodo compreso tra giugno 1997 e marzo 2000.

Esponiamo brevemente alcuni dei risultati più significativi al fine di giungere poi ad una flowchart operativa, che suggeriamo nell’attuazione di uno screening del diabete gestazionale.

Si sono identificate 856 pazienti che hanno eseguito una Curva Breve (GCT) con un ca-rico di glucosio di 50 g, tra la 24a e la 28a settimana di gestazione. Le pazienti che presenta-vano una GCT alterata (glicemia a 60 minuti dal carico orale superiore o uguale a 140 mg/dl)hanno quindi eseguito una OGTT (oral glucose test tollerance, con un carico di 100 g di glu-cosio) e sono state diagnosticate come diabetiche in base a 2 criteri: la positività di quest’ul-timo test secondo i cut-off proposti da Carpenter e Coustan10 (95, 180, 155, 140 mg/dl ri-spettivamente a digiuno, a 1, 2 e 3 ore dal carico orale. Il test si considerava positivo con ilcontemporaneo riscontro di almeno 2 valori alterati mediante dosaggio enzimatico su pla-sma) e in questo caso scattava la diagnosi di Diabete Gestazionale, questa diagnosi era de-terminata anche dal riscontro di una GCT superiore o uguale a 185 mg/dl (10.3 mmol/L)10.Bisogna dire che questo criterio di definizione del GDM è di fatto quello più applicato a li-vello internazionale, ma non è raro trovare altri limiti di glicemia per indicare la stessa diagno-si, in accordo con parametri indicati dalle linee guida di alcuni paesi (vedi Canada, ove è ne-cessario che siano superati 2 dei 3 seguenti valori glicemici: 95 mg, 190 mg, 160 mg, dopo uncarico con 75 g di glucosio)24.

29GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Nel caso di un riscontro patologico della OGCT, le pazienti venivano invitate ad eseguireun profilo glicemico di 24 ore in ospedale, con valutazioni ogni 3 ore, a dieta controllata, ipo-glucidica, normocalorica. Si considerava patologico un profilo con una media glicemica supe-riore a 100 mg/dl e con valori post-prandiali, ad 1 ora, superiori a 140 mg/dl. Il riscontro perdue giorni consecutivi di un profilo glicemico alterato comportava l’instaurazione di una te-rapia insulinica, con boli pre-prandiali di insulina rapida o, ove necessario, di insulina interme-dia prima del riposo notturno e nei casi più severi al mattino. Questo schema diagnostico de-scritto costituisce il protocollo operativo attuale del nostro Dipartimento ed è riportato nel-la flow chart finale, che si propone come modello da seguire (in questo protocollo abbiamosostituito il carico da 100 g della OGCT con un carico da 75 g, per rendere più breve il test,che si sviluppa per due ore su tre punti di valutazione, che sono gli stessi proposti allo stes-so tempo dalla curva, di Coustan e Carpenter sopra riportata: 95 mg, 180 mg, 155 mg).

Sulle 856 gravide che hanno eseguito la GCT si sono identificati 209 (24.4%) casi con va-lore glicemico ad un’ora superiore a 140 mg/dl. Di queste 22 (2.6%) avevano una glicemiasuperiore a 185mg ed acquisivano quindi direttamente la diagnosi di diabete gestazionale. Lerestanti 187 (glicemia tra 140 mg e 184 mg) venivano quindi invitate ad attuare una curvaglicemica standard, 143 di queste la eseguivano ed i risultati erano superiori al cut-off stabili-to in 34 casi (23.8%), che costituiscono il 4.0% della popolazione generale screenata, con ac-quisizione di un’analoga diagnosi (GDM). Complessivamente si aveva quindi una diagnosi didiabete gestazionale nel 6.6% della popolazione inizialmente valutata.

Si invitavano quindi queste pazienti ad effettuare un profilo glicemico nictemerale.Tale pro-gramma veniva fatto da 13 gravide su 22 del primo gruppo e da 21 su 34 del secondo. Il pro-filo risultava alterato nel 61.5% dei casi delle gravide selezionate per GCT>=185 mg e nel47.6% di quelle con curva standard patologica (Tabella 1). Nella stessa Tabella è riportata ladistribuzione di tutta la popolazione osservata per classi di età.

Tabella IClassi di età n % “GCT” n % “OGTT” n %<19 3 0,4 <140 mg 647 75,6 negativo 109/856 12,719-24 63 7,4 140-184 mg 187 21,8 positivo 34/856 4,025-29 242 28,3 ≥185 mg 22 2,6≥ 548 64,0

856 856 143/856n % n %

GCT≥185mg 22 2,6 “GDM” 56 6,6

OGTT posit. 34 4,0Profilo glicemico negativo Profilo glicemico positivo

GCT≥185mg 5 38,5 8 61,5 13OGTT posit. 11 52,4 10 47,6 21

16 47,1 18 52,9 34

30 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Nella Tabella II è illustrata la modalità del parto nei due gruppi di pazienti con diagnosi diGDM e con profilo glicemico alterato, con una distinzione tra i parti insorti spontaneamen-te e quelli indotti.

Tabella IIGDM Prof. glic. positivo

n % 95% CI n % 95% CI

Parto spontaneo 31 55,4 (41,56%-68,42%) 10 55,6% 31,34%-77,6%)Parto indotto 9 16,1 (8,05%-28,83%) 3 16,7% (4,41%-42,26%)Taglio cesareo 14 25,0 (14,8-38,65%) 5 27,8% (10,71%-53,59%)Ventosa 2 3,6 (0,62%-13,38%) 0Forcipe 0 0

56 100% 18 100%

La prevalenza di parti indotti è intorno al 16% in entrambi i gruppi, rispettivamente 16.1%per GDM positive e 16.7% per profilo glicemico positivo.Tale percentuale è superiore a quel-la della nostra popolazione generale, che oscilla intorno al 5%.

Per quanto riguarda la frequenza di tagli cesarei registrata nei due gruppi (rispettivamen-te 25% e 27.8%) osserviamo in termini assoluti un valore superiore a quello della nostra po-polazione, che oscilla intorno al 19% circa, ma in termini statistici tale differenza non è signi-ficativa. Nella Tabella III abbiamo distribuito la popolazione reclutata per classi di età e per pa-rità, confrontando i due gruppi per la presenza di valori patologici o meno delle prove da ca-rico. Si sono ottenuti dei valori percentuali assolutamente sovrapponibili.

Tabella IIIClassi di età GCT≥140mg/dl non patologiche

n % 95% CI n % 95% CI

<20 anni 1 0,5% (0,03%-3,05%) 5 0,8% (0,28%-1,9%)20-39 anni 202 96,7% (92,94%-98,52%) 626 96,8% (95%-97,93%)>40 anni 6 2,9% (1,17%-6,44%) 16 2,5% (1,46%-4,07%)

209 100,0% 647 100,0%Para GCT≥140 mg/dl non patologiche

n % 95% CI n % 95% CI

Nullipara 123 58,9% (51,83%-65,53%) 402 62,1% (58,26%-65,86%)I Para 73 34,9% (28,56%-41,85%) 198 30,6% (27,1%-34,34%)>I Para 13 6,2% (3,5%-10,64%) 47 7,3% (5,44%-9,61%)

209 100,0% 647 100,0%

Abbiamo quindi analizzato i fattori di rischio specifico per malattia diabetica presenti intutta la popolazione osservata e abbiamo verificato le percentuali di comparsa di ciascun fat-tore per gruppi di pazienti, secondo i vari gradi di alterazione del metabolismo glucidico(Tabella IV).

31GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Tabella IVFattori di Rischio GCT≥185 n.22 OGTT+n.34 GDM n.56 Profilo+n.23Familiarità n.22 6 27.3% 16 32.6% 20 32.3% 10 41.7%M.E.U. n.4 1 4.5% 4 8.2% 4 6.4% 1 4.2%Alt. Met. Gluc. n.3 0 2 4.1% 2 3.2% 2 8.3%Aum. Ponder. n.3 1 4.5% 3 6.1% 3 4.8% 3 12.5%Poliabortività n.4 1 4.5% 3 6.1% 4 6.4% 3 12.5%Aum. ponder. n.7 3 13.6% 3 6.1% 6 8.7% 4 16.7%Glicosuria n.2 0 2 4.1% 2 3.2% 2 3.2%Iperglicemia n.12 7 31.8% 7 14.3% 11 17.7% 8 33.3%Acc. Cresc. fet. n.8 4 18.2% 5 10.2% 8 12.9% 4 16.7%Obesità 1 4.5% 2 5.9% 3 5.4% 1 4.3%

Riga 1,2,3,4,5: anamnestica familiare ed ostetrica - Riga 6,7,8,9: gravidanza attuale

I fattori indicati in Tabella potevano ovviamente comparire in associazione nella stessa pa-ziente, abbiamo allora verificato nei due gruppi di gravide (con GCT alterato, n=209 casi, econ diagnosi di GDM n=56 casi) quante volte compariva almeno un fattore di rischio speci-fico, che avrebbe potuto in ipotesi suggerire l’opportunità di eseguire un test da carico nel-l’applicazione di un programma di screening “selettivo”.

Tabella VFattori di Rischio non patologiche GCT≥140 mg/dl

n % 95% CI n % 95% CIAlmeno 1 fatt. di rischio 102 15,8% (13,09%-18,86%) 55 26,3% (20,59%-32,93%)Nessun fatt. di rischio 545 84,2% (81,14%-86,91%) 154 73,7% (67,07%-79,4%)

647 100,0% 209 100,0%Fattori di Rischio non patologiche GDM

n % 95% CI n % 95% CIAlmeno 1 fatt. di rischio 102 15,8% (13,09%-18,86%) 21 37,5% (25,23%-51,48%)Nessun fatt. di rischio 545 84,2% (81,14%-86,91%) 35 62,5% (48,52%-74,77%)

647 100,0% 56 100,0%

Come illustrato nella Tabella V nel 73.7% dei casi con curva breve alterata e nel 62.5% deicasi di GDM non si è rilevato alcun fattore di rischio anamnestico o attuale per patologia dia-betica.

Non si può fare a meno di notare inoltre che nel 15.8% dei casi di donne con curva gli-cemica normale era presente un fattore di rischio.

Le frequenze di prove da carico o di profili glicemici alterati sono ovviamente più alte sepresente un fattore di rischio per patologia diabetica, ma come si può vedere esiste una con-sistente percentuale di gravide con alterazione di questi parametri, senza rischio anamnesti-co o attuale specifico.

32 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Tabella VIPresenza di fattore di rischio per GDM

Parto Spontaneo Ventosa Ostet Taglio Cesareo Parto IndottoGCT>140mg 48 29 60% - - 15 31.7% 4 8.3%GCT>185mg 7 3 42.8% - - 3 42.8% 1 14.4%GDM 21 9 47.4% - - 8 31.6% 4 21%Profilo + 10 5 40% - - 3 30% 2 30%TOTALE 86 46 53.5% - - 29 33.7% 11 12.8%

Assenza di Fattore di Rischio per GDMParto Spontaneo Ventosa Ostet. Taglio Cesareo Parto Indotto

GCT>140mg 139 109 78.7% 4 2.9% 17 12% 9 6.4%GCT>185mg 15 10 66.6% - - 2 13.4% 3 20%GDM 35 22 62.8% 2 5.7% 6 17.2% 5 14,3%Profilo + 13 8 61.5% - - 4 30.8% 1 7,7%TOTALE 202 149 73.8% 6 3% 29 14.3% 18 8.9%

Nella Tabella VI abbiamo correlato la modalità di espletamento del parto nei due gruppidi gravide con rischio presente o assente, distribuito per ciascun tipo di prova da carico alte-rata.

Un dato emerge in maniera evidente e riguarda la maggior frequenza di tagli cesarei, neicasi in cui è presente uno dei fattori di rischio per diabete gestazionale, indipendentementedalla diagnosi di GDM o di una macrosomia fetale (33.7% versus 14.3%).Tale differenza è sta-tisticamente confermata dal test del Chi quadro (Tabella VII).

Nessuna significatività presenta invece la differenza di frequenza dei parti indotti (ma que-sto fattore riconosce una indicazione clinica precisa e non casuale). Quindi ad aumentare lafrequenza di TC non è la malattia (GDM) ma la presenza del fattore di rischio.

Tabella VIITaglio cesareo 95% CI Parto spontaneo 95% CI

Pres. Fatt. di rischio 29 50,00% (36,73%-63,26%) 46 23,59% (17,95%-30,30%)Ass. Fatt. di rischio 29 50,00% (36,73%-63,26%) 149 76,41% (69,70%-82,05%)Totale 58 100,00% 195 100,00%Chi-Squares 14,95 (p<0,000)

Parto indotto 95% CI Parto spontaneo 95% CIPres. Fatt. di rischio 11 37,93% (21,30%-57,63%) 46 23,59% (17,95%-30,30%)Ass. Fatt. di rischio 18 62,07% (42,36%-76,39%) 149 76,41% (69,70%-82,05%)Totale 29 100,00% 195 100,00%

Chi-Squares 2,74 (p=0,098)

33GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Tabella VIII. Prevalenza macrosomiaPopolazione GCT<140mg GCT>140mg GCT>185mg OGTT + Prof. patolog. +

n % n % n % n % n % n %macrosomi 67 7,8% 45 7,0% 17 9,1% 5 22,7% 16 28,6% 3 13,0%negativi 789 92,2% 602 93,0% 170 90,9% 17 77,3% 40 71,4% 20 87,0%

856 100,0% 647 100,0% 187 100,0% 22 100,0% 56 100,0% 23 100,0%

La prevalenza della macrosomia, intesa come un peso alla nascita superiore al 90° su unagriglia di pesi di neonati della provincia di Trieste, è risultata complessivamente del 7.8%.

Considerando come casi di controllo la parte di popolazione con CGT negativa (preva-lenza di macrosomia pari al 7.0%), sia nel gruppo di gravide che avevano avuto una GCT convalori superiori a 185 mg che nel gruppo OGTT+ essa risulta significativamente più elevata(rispettivamente: test esatto di Fisher p value = 0.02 e odds ratio 5.35 CI 95% (2.64<OR<10.77).

In merito è interessante sottolineare un ulteriore dato emerso dallo studio: se si conside-rano i nati con peso alla nascita superiore ai 4.000 g, le cui madri avevano presentato un’al-terazione di uno qualsiasi dei test o del profilo glicemico, su 34 nati, si aveva una frequenzadi tagli cesarei dell’8.8%.

Riprendendo il nostro discorso sull’opportunità o meno di attuare uno screening del dia-bete gestazionale possiamo dire che la sua attuazione garantisce una buona sensibilità di iden-tificazione della patologia, ma comporta anche un costo sia in termini economici che di im-pegno di strutture sanitarie ed anche di tempo per le donne gravide. È quindi logico verifica-re se esiste un fattore di valida selezione delle pazienti portatrici di GDM, per limitare ad unapopolazione realmente a rischio lo screening oppure in senso opposto, se un programma uni-versale, così impegnativo, non trovi giustificazione anche nell’opportunità di riconoscere in gra-vidanza quei soggetti che in età successiva potrebbero sviluppare un diabete franco o altrepatologie metaboliche.

Un’analisi critica della letteratura consente di identificare una serie di fattori di rischio perdiabete gestazionale più ampia dei quattro indicati dall’ADA.

Nella Tabella successiva ripresa dal bollettino della Società di Ostetrici e Ginecologi delCanada (SOGC) si evidenzia come esista una soggettività di valutazioni nell’identificare fatto-ri, che in qualche modo possano indirizzare verso la diagnosi di GDM. Nell’ipotesi che si uti-lizzasse una selezione simile a quella di seguito indicata è presumibile che solo un piccola per-centuale di gravide sfuggirebbe all’indicazione ad eseguire uno screening dl GDM.

Fattori di rischio per GDM secondo SOGC, Clinical Practice Guidelines, n.121, Nov.2002

1. Anamnesi positiva per GDM o intolleranza glucidica2. Familiarità per diabete

34 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

3. Precedente macrosomia (>4000 g)4. Precedente morte endouterina inspiegata5. Precedente ipoglicemia, ipocalcemia, iperbilirubiemia neonatale6. Età materna avanzata7. Obesità8. Ripetuta glicosuria in gravidanza9. Polidramnios10. Sospetta macrosomia

Cerchiamo allora attraverso un’analisi dei dati emersi dalla nostra esperienza di trovareuna risposta a questo quesito, che come è noto non trova ancora in letteratura un trial ingrado di rispondere in maniera esaustiva, analizzando alcuni dei fattori di selezione del rischioindicati nella griglia proposta dall’ADA nel 19989.

Uno dei primi criteri di selezione suggeriti riguarda il limite di età, giudicando a basso ri-schio le donne con età inferiore ai 25 anni. Tale limite comporterebbe nella nostra popola-zione l’esclusione dallo screening di una quota di gravide del 7.7%.Tale percentuale è più bas-sa rispetto ad analoghi studi riportati in letteratura, che mostrano frequenze che variano dal17.8% al 24.8% (12-30). Peraltro nei paesi occidentali l’età media della prima gravidanza sisposta sempre più in avanti. In merito bisogna aggiungere che forse il limite dei 25 aa, stabili-to dall’ADA, non trova in Letteratura una evidente giustificazione statistica, consistente in undeciso viraggio del rischio intorno a questo limite di età.

Distinguendo per fasce di età risulta infatti che popolazioni di gravide con età inferiore a25 anni presentano ancora una prevalenza di GDM significativa, basti in merito citare il lavo-ro di M.L. Khine e coll.12, che su una popolazione di gravide con età compresa tra i 19 ed i 24anni hanno trovato una frequenza di GDM del 3.4%, rispetto al 4.8% della popolazione ge-nerale e che solo al di sotto dei 19 anni tale rischio si riduceva in maniera evidente (1.7%),comunque senza azzerarsi.

Una valutazione analoga condotta da altri Autori30 portava però a risultati diversi, con unapercentuale di casi di GDM per età <25 aa dell’1.6%; questa quota di donne con diagnosi diGDM, costituiva comunque il 9.6% dei casi di GDM identificati nella popolazione studiata.

Una conferma ulteriore sullo scarso significato selettivo del fattore età per il rischio diGDM, viene data dai valori riportati nella Tabella III, ove si può notare che le percentuali didonne appartenenti a diverse classi di età, distribuite nei due gruppi, non patologiche o condiagnosi di GDM, sono assolutamente sovrapponibili.

Il nostro studio ha indicato una quota di test positivi dopo esecuzione di curva breve del24.4% dei casi ed il completamento della procedura diagnostica, con l’esecuzione della curvada carico con 100 g di glucosio, portava ad una diagnosi di GDM nel 6.6% delle gravide sot-toposte allo screening.

35GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Tabella IX

Autore % GDM Tipo Test screening Area geograficaRG Moses, 199811 2.8% GCT carico 50 g - selettivo AustraliaSR Carr, 199831 4.8% GCT carico 50 g - universale Rhode Island, U.S.L Wong, 200115 8.2% GCT carico 50 g - universale SingaporeX Xiong, 200132 2.5% GCT carico 50 g - selettivo Quebec, CanadaK. Shamsuddin, 200116 24.5% Glicemia 2h post-prandiale Kuala L.,MalaysiaCV Kyle, 200133 5.6%-12.4% WHO e NZSSD criteria Auckland, New ZealandF. Corrado, 199934 4.6% GCT carico 50 g - universale Messina, ItaliaML Khine, 199912 4.8% GCT carico 50 g - selettivo Connecticut, U.S.

Tale frequenza si pone in posizione intermedia rispetto a valori desunti da esperienze ana-loghe riportate in Letteratura e di cui si propone un piccolo esempio nella precedente TabellaIX.Tale Tabella presenta un ulteriore ed interessante spunto di dibattito, indicato nella sua ter-za colonna, e si riferisce al tipo di screening attuato dagli Autori citati. Come è facile desume-re e già in precedenza stigmatizzato, non solo esistono differenze di selezione delle gravideda sottoporre allo screening, ma anche differenze di carico di glucosio da utilizzare, di tempidi esecuzione del prelievo, di range di normalità adottati, quando addirittura il carico non con-sista nella somministrazione di un pasto, con tutte le variabili immaginabili, sia in termini diqualità e quantità del cibo, che di individualità di assorbimento.

Nella Tabella II ove vengono riportati i risultati relativi alla modalità di espletamento delparto delle gravide con diagnosi di GDM, emergono due evidenze: una quota maggiore sia diparti indotti che di tagli cesarei, rispetto alla popolazione generale. Per il primo dato precisia-mo che la percentuale complessiva di induzioni di travaglio nella nostra popolazione genera-le non supera il 5% dei casi. Nella popolazione descritta però noi accettiamo questa percen-tuale tripla, in considerazione della scelta fatta di indurre il travaglio di parto a 38 settimane,sia nei casi di accelerazione della crescita fetale, per ridurre il rischio di distocie, che nei casiin cui sia necessario iniziare nelle ultime settimane di gestazione un trattamento insulinico, perun profilo tendente alla iperglicemia.

La maggior prevalenza di tagli cesarei non risulta comunque statisticamente significativa sianei casi di GDM che di profilo glicemico positivo, poiché i valori percentuali cadono all’inter-no del range di oscillazione.Tale dato trova una ulteriore ed originale conferma nelle TabelleVI e VII, ove risulta che ad indurre un aumento della frequenza dei tagli cesarei non è stata néla diagnosi di GDM, frutto dello screening attuato, né il grado di alterazione del metabolismo,rappresentato dal grado del test risultato positivo, quanto piuttosto la presenza o meno delfattore di rischio anamnestico per patologia diabetica.

Tale dato, a nostra conoscenza, non trova analoghi corrispettivi in Letteratura e possiedeuna sua valenza di razionalità, poiché il fattore di rischio assume importanza non per una even-tuale popolazione a rischio da screenare, quanto piuttosto per una maggior probabilità di unaoperatività nell’espletamento del parto.

36 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Un altro dato di particolare interesse che emerge riguarda i nati macrosomi, che, su uncampione ridotto di 34 casi, presentano una percentuale di tagli cesarei dell’8.8%.Tale datopuò spiegarsi con il fatto che presumibilmente nella gestione di un feto con caratteristicheecografiche di accelerata crescita, sia stato impegnato personale ostetrico con maggior espe-rienza e disponibilità ad accettare i rischi connessi ad un espletamento vaginale del parto.Taleosservazione sembra quindi in disaccordo con la tesi sostenuta da K Remseberg35, che ha os-servato come la diagnosi di GDM comporti da sola un aumento della frequenza di tagli ce-sarei, indipendentemente dalla reale presenza di una condizione di macrosomia. Il Tri-HospitalStudy condotto a Toronto indica in merito una situazione analoga, ove nella popolazione didonne con diagnosi di GDM si rileva un aumento della quota di tagli cesarei, che raggiunge il33% vs il 20% della popolazione generale36. La Cochrane Data Base Review valutando l’effettodel trattamento dietetico nell’evoluzione delle gravidanze complicate da intolleranza glucidi-ca non rileva alcun effetto di aumento della frequenza di tagli cesarei in questa popolazione(odds ratio 0.97, 95% confidence interval 0.65.1.44)37.

Le Tabelle III e IV e soprattutto V esprimono la difficoltà di compiere una selezione dellegravide da sottoporre allo screening del GDM, utilizzando fattori di rischio specifico. Comeriportato infatti nella Tabella V la percentuale di casi che presenta una curva da carico breveo standard alterati, senza presentare fattori di rischio specifico (rispettivamente 73.7% e62.5%) è troppo alta per selezionare criteri indicativi per uno screening selettivo. Queste per-centuali sono più alte rispetto ad evidenze analoghe riportate in letteratura e sono presumi-bilmente legate a caratteriste epidemiologiche della popolazione studiata, caratterizzata da ge-stanti appartenenti ad un bacino metropolitano, con una buona educazione sanitaria e con-dizioni socio-economiche prevalentemente discrete. Sono comunque disponibili in letteratu-ra reports che indicano percentuali comunque significative di soggetti con GDM, diagnostica-ti in gravidanza e privi di fattori di rischio per questa patologia. Un esempio è rappresentatodal 23.1% di gravide con queste caratteristiche riportate in uno studio di Balutaviciene e coll.38

Peraltro la percentuale di casi veri positivi, per la presenza di un fattore di rischio presen-te ed un test positivo (rispettivamente 26.3% e 37.5%) è troppo bassa per costituire da so-la un indicatore all’esecuzione del test di screening per diabete gestazionale.Tale percentua-le è più alta rispetto ad altre riportate in Letteratura, che oscillano dallo 0.9% all’11.5%.39-42.

Tabella X. Costo dello screening per caso di GDM diagnosticato.Autore Costo dello screening Costo per caso di GDM diagnosticatoSwinker43 $ 10.00 $ 173.00Lavin40 $ 4.75 $ 328.96Marquette et al.41 $ 2.45 $ 191.27Coustan et al.42 $ 2.45 $ 250.00Neilson et al.44 $ 17.75 $ 722.31Alberico et al. € 2.53 € 57.60

37GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

Nella Tabella X abbiamo inserito dei dati necessari a compiere delle valutazioni compara-te sul costo di un programma di screening del diabete gestazionale. Il costo del test da cari-co breve (GCT) è presso il nostro laboratorio di analisi di € 2,53. Considerando che in Italiasi hanno ogni anno circa 500.000 nascite, l’applicazione di uno screening universale del dia-bete gestazionale comporterebbe un onere per il Sistema Sanitario Nazionale di € 1.265.000per anno. Assumendo valori di CGT patologici analoghi a quelli da noi riscontrati, il 24% diquesta popolazione dovrebbe eseguire successivamente un OGTT, con un’ulteriore spesa di€ 636.000 (120.000 x € 5.30). Se la prevalenza del GDM nel nostro Paese fosse analoga al-la nostra (6.6%), si identificherebbero ogni anno 33.000 casi di GDM, con un costo quindi perciascun caso diagnosticato di € 57.60, inferiore a quello riferito alle realtà sanitarie riportatedagli Autori citati nella Tabella.

Resta in conclusione il dibattito sull’opportunità o meno di eseguire uno screening selet-tivo del diabete gestazionale. La nostra esperienza suggerisce di non selezionare gruppi a ri-schio per l’esecuzione del test, anche perché la quota di gravide da escludere sarebbe sullanostra popolazione comunque piccola. In merito siamo in accordo con una conclusione ana-loga posta dalla C.B.Williams20, che ha calcolato che un’applicazione selettiva dello screeningsulla propria popolazione comporterebbe comunque l’esecuzione del test nel 90% della po-polazione di gravide, perdendo peraltro un 4% di casi di GDM, che non presentando fattoridi rischio specifico, non sarebbero inclusi nel depistage della patologia metabolica.

Un’ultima considerazione va fatta a sostegno della tesi dell’esecuzione di uno screeninguniversale del diabete gestazionale. La gravidanza costituisce nella donna un’opportunità peridentificare il rischio di sviluppo di disordini metabolici in età successive. Citiamo in meritodue studi: il primo di Dal Fra e coll.18 che indica che nel 20.4% di donne con GDM si ha a 5anni di distanza l’esordio di un diabete di tipo 2 nel 20.4% dei casi ed il secondo di Bian ecoll.18, che indica a distanza analoga una quota del 33.3% di diabete conclamato nei casi diGDM, ma anche una percentuale del 9.7% nelle gravide, che avevano mostrato soltanto unaintolleranza glucidica in gravidanza. Queste percentuali risentono comunque fortemente del-le caratteristiche etniche delle popolazioni studiate. Tali valori infatti giungono addirittura al70% dei casi in donne aborigene canadesi45.

La presenza di una positività significativamente aumentata per anticorpi anti-cellule insu-lari (ICA) e anti-decarbossilasi acido glutammica (GAD) nelle gravide con GDM costituisceun ulteriore campo di osservazione per comprendere le correlazioni con lo sviluppo di pa-tologie successive alla gravidanza, come la celiachia46,47. Anche in quest’ottica l’identificazionedi pazienti con tali caratteristiche genetiche costituisce un vantaggio derivante dall’applicazio-ne di uno screening di questa patologia in gravidanza.

In conclusione noi riteniamo che sia oggi opportuno rivolgere a tutta la popolazione digravide l’esecuzione di un test di screening in gravidanza. La riduzione di questo programmaad una popolazione a rischio specifico per patologia diabetica porterebbe, nella nostra espe-

38 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

rienza, alla perdita di una quota di diagnosi di GDM del 62.5%, per mancanza in questi casi diun rischio anamnestico od attuale.

Una risposta definitiva su questo importante aspetto potrà giungere dal completamentodi un ampio trial multicentrico, con una potenza di reclutamento di popolazione di gravideadeguato, quale quello dell’HAPO STUDY48, attualmente in corso.

In merito bisogna ricordare che il disegno dell’HAPO Study prevede l’esecuzione di ununico test di screening con un carico da 75 g di glucosio, intorno alla 28a settimana, con limi-ti di cut-off analoghi ai primi 3 valori indicati nella curva proposta da Coustan e Carpenter,sopra citata. Riportiamo di seguito l’ultimo aggiornamento sull’andamento di questo studio,presentato dal prof. M. Hod a Padova nel maggio 2005.

Aggiornamento al 1 maggio ’05Reclutate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26.988 gravidanzeValutati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19.343 neonatiTagli cesarei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15.5%Tagli cesarei ripetuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7.7%Mortalità perinatale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5/milleNuova Time Line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31.3.2006Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31.3.2007

Frequenza valori glicemici superiori al cut-off a: 0 - 60’ - 120’> 90 mg / 5 mmol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12.2%> 160 mg / 8.9 mmol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20.7%> 140 mg / 7.8 mmol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11.6%

Queste frequenze, se confermate nella loro entità alla fine dello studio, si commentano dasole, in direzione della opportunità di eseguire a livello universale lo screening per il diabetegestazionale.

Nel nostro Dipartimento abbiamo recepito questo aspetto dell’HAPO Study e si è deci-so di applicare come test di diagnosi di GDM, dopo una curva breve alterata, questo carico,da 75 grammi di glucosio, per rendere meno gravoso il test per la paziente.

È personale convinzione, ma questo non è un dato supportato da EBM sino alla pubbli-cazione dei risultati dell’HAPO Study, che in futuro si concorderà sull’attuazione di un unicotest di screening universale, con l’esecuzione di una curva da carico con 75 g a 28 settimanedi gestazione e dei cut-off che saranno indicati proprio dallo studio di cui sopra.

Riteniamo corretto anche riportare quanto la SOGC suggerisce agli Ostetrici canadesi, inuna forma che si potrebbe definire pilatesca.Tale Società infatti ritiene che in attesa di risul-tati di studi in grado di dirimere questo dubbio con forti evidenze, è corretto che ciascunosi comporti come ha fatto sino ad oggi, applicando quindi il protocollo adottato presso il pro-prio centro.

Un ultimo aspetto riguarda il rapporto costo-beneficio di un simile programma universale

39GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

di screening, che a nostro avviso è giustificato dall’alta sensibilità di tale test nell’identificare lapatologia, che. prontamente identificata, consente un monitoraggio attento dello stato di be-nessere materno e fetale ed in caso di accelerazione della sua crescita un’induzione precocea 38 settimane del travaglio di parto.Tale procedura è in grado di ridurre la frequenza delladistocia di spalla, che costituisce ancora oggi la sua complicanza più frequente49. La diagnosi diGDM può costituire a sua volta un’informazione utile per la vita futura della paziente.

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SCREENING E DIAGNOSI DEL DIABETE GESTAZIONALE

GCT 50g

a tutte le gravidetra 24 e 28 settimane

<140 mg/dl STOPa 14 settimane se ad alto rischio

profilo glicemico>140 mg/dl (>185 mg)

Curva standard 75g Monitoraggio gravidanzanegativa

positiva:

V.N. Curva standard: 95mg, 180mg, 155mg. Posit. se 2 valori superiori cut-off

Diagnosi di GDM

Profilo glicemico 24h si ripete a 4 settimane

positivo x 48h

Inizio Terapia Insulinica Gravide con Diagnosi di Diabete gestazionale devono effettuareuna Curva da Carico con 75 g di glucosio a 12 settimane dal parto

normale

40 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

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41GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

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42 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2244 DIABETE IN GRAVIDANZA33

INDUZIONE DEL TRAVAGLIO VERSUS EXPECTANTMANAGEMENT IN GDMS. Alberico, GP. Maso, M. Bernardon, M. Costantini,V. Soini, M. Pignat, A. CandiottoCentro di Riferimento Regione Friuli Venezia Giulia per HIV in Gravidanza e per la Gravidanza ad Alto Rischio.IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

La nascita di un neonato con un peso maggiore di 4000 grammi, definito megalosomia omacrosomia costituisce oggi spesso una sfida tra il desiderio di avere un’evoluzione sponta-nea del parto per via vaginale e il rischio di incorrere in una distocia con conseguente dan-no temporaneo o permanente per il neonato.

Bisogna dire che il miglioramento delle condizioni socio-economiche del mondo occiden-tale ha portato come conseguenza una maggior incidenza di obesità materna da un lato e dinati con peso alla nascita maggiore. Questo fenomeno è stato ben documentato da un grup-po di studiosi danesi che in un arco di tempo di soli 10 anni hanno documentato un aumen-to significativo delle medie dei pesi alla nascita dei loro neonati su una popolazione di oltre43mila donne studiate, ma soprattutto un aumento della frequenza di nati con peso maggio-re ai 4000 g, che sono passati dal 13.7% al 16.1% e di nati con peso maggiore ai 4450 g chehanno incrementato la loro frequenza dal 3% al 4%1.

Nella gravidanza con diabete gestazionale la nascita di neonati con peso superiore al 90°percentile o superiore ai 4000 g o di 2 deviazioni maggiori rispetto alla media della popola-zione si presenta con una frequenza aumentata rispetto alla quota del 10% circa della popo-lazione generale2. Il parto in questi casi presenta un’aumentata incidenza di distocie con il ri-schio di lesioni neonatali, che in alcuni casi si trasformano in esiti permanenti e di emorragiedel post-partum. Per estendere il concetto di rischio di queste gravidanze specifichiamo chele complicanze materne vanno dalla maggior frequenza di lacerazioni perineali, cervico-vagi-nali, sfinteriali alla rottura d’utero, alla maggior frequenza di dover ricorrere ad un taglio cesa-reo d’emergenza, (che come è noto è gravato da maggiori complicanze in post-operatorio)alla atonia uterina per giungere alla già citata emorragia severa del post-partum.

Non meno complesso è il rischio feto-neonatale sostenuto dai macrosomi, che oltre allagià citata distocia di spalla presentano una maggior incidenza di fratture ossee e di episodi diseverità variabile di asfissia intra-partum (per intenderci quella in cui il contenzioso medico-legale con maggior facilità trova nell’Ostetrico il “logico” responsabile dell’evento).

Per ovviare a questi inconvenienti e alle ripercussioni medico-legali conseguenti, aumenta

43GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale

quindi da parte degli Ostetrici il ricorso al taglio cesareo con una conseguente aumentata in-cidenza di questi interventi3. La particolare caratteristica dei neonati da madre diabetica, conun accrescimento più accentuato della massa del tronco, rispetto alla circonferenza cranica,porta a difficoltà di disimpegno della spalla, con lo stiramento del plesso brachiale e la realiz-zazione di un quadro clinico rappresentato appunto dalla sindrome di Erb.Tale evento si pre-senta con una frequenza che oscilla tra lo 0.2% - 2.8%4 nella popolazione generale, ma salesino al 10% in caso di gravidanza complicata da diabete gestazionale e sino al 25% - 50% deicasi quando è presente in queste gravidanze una macrosomia fetale2. Evidenziato quindi undiabete gestazionale l’intervento ostetrico dovrà concretizzarsi nell’attuazione di una tempe-stiva terapia insulinica, ove necessaria, su indicazione del profilo glicemico materno, per pre-venire un eccessivo accrescimento fetale. La terapia insulinica talvolta non è in grado di pre-venire tale dinamica di crescita e si pone quindi per l’Ostetrico la scelta tra un managementd’attesa dell’insorgenza del travaglio, con una maggior probabilità di avere una bambino di pe-so maggiore alla nascita o viceversa l’induzione del travaglio di parto, in epoca di certa ma-turità fetale (38a settimana). Tale condotta può essere suggerita dalla necessità di otteneremaggiori probabilità dell’espletamento vaginale del parto senza conseguenze patologiche peril neonato, tenendo conto che in questo periodo l’aumento ponderale settimanale del feto siaggira intorno ai 280 g, che in condizione di diabete possono arrivare sino ai 400 grammi set-timanali.

In merito è interessante citare uno studio epidemiologico condotto da Remsberg e coll.su un vasta popolazione di 42.071 gravide, con dati dedotti dai codici delle schede di dimis-sione dello stato del South Carolina, U.S.A. In questo studio si è notato che la diagnosi diDiabete precedente alla gestazione, comportava una frequenza di taglio cesareo del 51.3%dei casi, con un OR di 6.20 (95% CI), rispetto al 34.4% di TC nei casi di GDM, con un OR di1.71, confrontati con il 22.4% dei TC della popolazione generale.

Un dato ancora più forte era costituito dal fatto che nell’85% dei casi di diabete prece-dente alla gravidanza, l’unica indicazione rilevata ad eseguire un TC era semplicemente lo sta-to diabetico. Questa evenienza si presentava a sua volta nel 45% dei casi di GDM.

Ancora più interessante risulta la conclusione a cui giunge l’analisi di Remsberg e coll.: unodei fattori che condizionavano maggiormente la probabilità di eseguire un taglio cesareo nel-la loro popolazione era costituto dal fatto che la gravida con GDM fosse stata seguita pres-so un centro di gestione di gravidanze ad alto rischio5.

In Letteratura è disponibile un altro studio effettuato da Ehremberg e coll. su una ampiacoorte di gravide (12.303 gravide seguite presso un Centro di III° livello di Cleveland, Ohio,U.S.A.), finalizzato a valutare la correlazione esistente tra stato di obesità in gravidanza, diabe-te gestazionale e frequenza di tagli cesarei. I risultati ottenuti dagli Autori indicarono che sel’obesità costituiva un importante fattore di incremento dei tagli cesarei (13.8% vs 7.7% conOR=2.4) lo stato di diabete gestazionale non comportava aumentata frequenza di tagli ce-

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Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

sarei, a meno che non fosse stato necessario ricorrere a trattamento insulinico in gravidanza(A2GDM). In questo caso infatti la frequenza dei TC era del 24.7% vs il 9.5% con un OR=2.96. Alcune esperienze pubblicate indicano l’efficacia dell’induzione del travaglio in questi casiper ridurre l’incidenza di patologie perinatali e dei tagli cesarei. In tal senso indirizzano i risul-tati di SL Kjos, (Tabella 1) che, randomizzando in 200 gravide con GDM l’induzione elettiva deltravaglio di parto, rispetto ad un management di attesa, osservò nel gruppo indotto un’inci-denza del 25% di TC rispetto al 31% del gruppo non indotto. La media dei pesi alla nascita ri-sultò inoltre inferiore nel gruppo indotto, come anche la frequenza dei nati con peso superio-re ai 4000 grammi, ai 4500 grammi e Large for gestational Age (LGA). Nel gruppo indotto nonsi registrò alcun caso di distocia di spalla rispetto ai 3 casi del gruppo di controllo7.

Tabella I100 INDUZIONE 100 EXPECTANT(oxytocin o PgE2)

Media Pesi 3446 3672Insorg. Spont.Trav. 22% 44%Parto vaginale 75% 69%TC 25% 31%Macrosomia 1% 3%Shoulder Distocia 0% 3%Maggiore prevalenza LGA, Distocia di spalla e TC nel gruppo Expectant Management;J.K.Kjos, Los Angeles, AJOG 1993, 169:611

In un lavoro successivo, su una popolazione più ampia di GDM, D. Conway rilevò una mi-nor incidenza di distocia di spalla, in un’analoga popolazione di gravide, inducendo il travagliodi parto in caso di accelerazione della crescita fetale, valutata ecograficamente ed eseguendoun taglio cesareo elettivo in caso di una stima del peso maggiore di 4250 g. Il confronto ri-guardava due diverse procedure attuate in diversi periodi. Il management attivo portò anchead una riduzione di frequenza di nati macrosomi, avendo però un corrispettivo aumento delrate di tagli cesarei (dal 21.7% al 25.1%). Complessivamente l’incremento di tagli cesarei, do-vuto a tale protocollo, comportò nella casistica dell’Autrice l’aumento solo dello 0.8% dellafrequenza dei TC su tutta la popolazione generale (Tabella 2)2.

Tabella IIExpectant’90-92 Induzione’93-95

TC 25.1% TC 21.7% p<0.04Settimane 39.3 39.2 NSMacrosomia 11.6% 8.9% >0.04LGA >90° 18.9% 17.1% NSDistocia spalla 2.8% 1.5% OR 1.9Distocia in Macrosomi 18.8% 7.4% OR 2.9La stima del peso fetale consente una modulazione del management ostetrico, (eventuale induzione) con una riduzione di esitineonatali da distocie di spalla. DL Conway, AJOG,1998; 178:982; S.Antonio,Texas

45GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

Un risultato ancora più convincente con una procedura di attiva induzione del travaglioin caso di accelerazione della crescita nel GDM è quello descritto da Hod e coll. che con-frontando un periodo in cui si osservava presso il loro centro un management di attesa, ri-spetto ad uno di induzione in caso di accelerazione della crescita fetale, rilevarono una ridu-zione significativa di tagli cesarei, di distocie di spalla e di neonati macrosomi nel secondo grup-po di gravidanze8 (Tabella III).

Tabella IIIPeriodo a) ’80-’89 b) ’90-’92 c) ’93-’95 controlli

42a sett. Induz 40a sett. Induz.38a sett.T.C. per pesi >4500 >4500 >4000 >4500Insul.Terapia >5.8 mol >5.8 mol >5.3 molMedia settim. 39 39 38 39Macros >4000 17.9% 14.9% 8.8% 6.1%Macros >4500 1.2% 1.4% 1.3% 0.9%LGA 23.6% 21% 11.7% 0.7%Taglio Cesareo 20.6% 18.4% 16.2% 15.5%Morte Perin. 8‰ 3‰ // //Distocia Sp. 1.5% 1.2% 0.6% 0.3%Induz.travag. 1.5% 1.7% 35% 10%La Macrosomia è prevenibile con Insulinoterapia “DECISA” e con l’Induzione del Travaglio a “38 settimane!M.Hod,Tel Aviv, Diab.Care 21,1998

In tal senso recita anche una recente review della Cochrane Library, che indica una ridottaincidenza di nati macrosomi nei casi di GDM in cui si attua l’induzione elettiva del travaglio diparto a 38 settimane di gestazione, senza un significativo incremento di tagli cesarei9. (Figura 1).

Figura 1. Review: Elective delivery in diabetic pregnant woman

46 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

Un recente lavoro di Y.Yogev e coll. ha fornito ulteriori spunti di discussione in questo par-ticolare aspetto della gestione del travaglio in GDM. Questi Autori hanno infatti riscontratouna frequenza di TC del 18.2% in gravide con GDM, indotte a 38 settimane per accelerazio-ne della crescita fetale, rispetto al 14.8% di frequenza riscontrato in gravide con induzione deltravaglio di parto e in assenza di alcuna patologia. In questa popolazione di GDM la frequen-za di operatività vaginale è stata del 7.1%. L’analisi dei loro dati ha consentito a questi autoridi indicare la nulliparità, presente nel 31.6% dei casi del gruppo di studio, come un fattore dirischio aumentato per TC, con un OR=4.5610.

Un ruolo significativo nel determinare un aumento della frequenza di TC da parte dellanulliparità era stato indicato da altri Autori e in merito si cita il lavoro di H Cammu, pubbli-cato nel 200211.

Emerge quindi l’ipotesi che sia opportuno indurre il travaglio di parto nelle gravide condiabete gestazionale o pregravidico in caso di accelerazione della crescita fetale, documenta-ta ecograficamente, alfine di ridurre la frequenza di tagli cesarei e delle complicanze che il tra-vaglio di parto può produrre in caso di macrosomia fetale.

In riferimento alla stima del peso fetale si precisa che l’induzione del travaglio viene sug-gerita nella procedura da noi di seguito proposta in caso di “accelerazione della crescita fe-tale”, indipendentemente dal peso stimato ecograficamente. Questa puntualizzazione è a no-stro avviso obbligatoria alla luce della scarsa precisione della valutazione del peso reale neo-natale, che questa metodica oggi consente.

Stimare correttamente il peso fetale in epoca prenatale infatti non è semplice: i metodiclinici e strumentali di cui l’Ostetrico dispone sono infatti altamente imprecisi. Una valutazio-ne clinica della stima del peso fetale è effettuata correntemente utilizzando le manovre diLeopold e la misurazione della distanza tra la sinfisi pubica ed il fondo uterino. La misurazio-ne ultrasonografica rappresenta un valido supporto alla diagnosi clinica, tuttavia, come ripor-tato dall’ACOG nel 2001, come fattore predittivo essa non possiede maggior accuratezza ri-spetto alle manovre di Leopold12.

Rouse e coll., in una metanalisi di 13 pubblicazioni dal 1985 al 1995, riportavano che no-nostante le evidenti differenze nel metodo di studio (quali scelta della popolazione in ogget-to, cut-off considerato nella definizione della macrosomia, formula adottata), la stima peso fe-tale ultrasonografica dimostrava in maniera concorde una bassa sensibilità (attorno al 60%),ma una più alta specificità (attorno al 90%)13.

Gonen e coll. In uno studio del 1997 riportarono che il valore predittivo positivo della sti-ma del peso fetale ultrasonografica è risultato pari al 56,7%. Furono effettuate inoltre una so-vrastima ed una sottostima del peso fetale rispettivamente nel 70,1% e 28,4% dei casi, conun errore assoluto pari a 6,0 +/-4,7%. Gli Autori sottolinearono che tali valori si correlavanoadeguatamente con quelli riportati in letteratura3.

Haroush e coll hanno descritto in una recente pubblicazione i dati di uno studio condot-

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Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

to a Tel Aviv su 840 donne al fine di valutare l’accuratezza della stima del peso fetale ecogra-fica effettuata a pochi giorni di distanza dal parto. La precisione della valutazione ultrasono-grafica risultò strettamente correlata al peso fetale stesso, in maniera inversamente propor-zionale14.

In accordo con la letteratura, non emerge una significativa differenza nella percentuale dierrore assoluto tra i nati da madri diabetiche rispetto ai controlli15. Gli Autori concordaronocon i dati della letteratura riportando una bassa sensibilità, basso valore predittivo positivo,relativamente alta specificità ed alto valore predittivo negativo.Tali caratteristiche della misu-razione ultrasonografica sono condivise dall’ACOG16.

Riportiamo di seguito uno studio, in corso di stampa, condotto presso il nostroDipartimento, sul tema della validità dell’induzione del travaglio di parto in caso di gravidan-za con diabete gestazionale ed accelerazione della crescita fetale.

Lo scopo dello studio è stato quello di verificare se l’attuazione di un’induzione del trava-glio a 38 settimane, nelle gravidanza sopra indicate, porti ad un incremento della frequenzadi tagli cesarei.

Secondo end-point è stato quello di verificare la distribuzione dei nati con peso alla na-scita superiore ai 4000 grammi nei due gruppi, costituiti da gravide con induzione del trava-glio e gravide con expectant management.

Si è trattato di uno studio osservazionale su gravide con diagnosi di GDM, che afferivanoal Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste in un perio-do di 8 anni, dal 1996 al 2004.

Il nostro è un Centro nascita di III° livello, con una media di circa 1800 parti/anno e ser-ve una popolazione a prevalente insediamento urbano. La frequenza del taglio cesareo sullanostra popolazione generale è stata nel 2004 del 23%.

Nella grande maggioranza dei casi le gravidanze erano seguite da Ostetrici dello stessoDipartimento. La diagnosi di GDM proveniva da uno screening universale, rivolto a tutta lapopolazione di gravide, con curva da carico con 50 g di glucosio (GCT) eseguita tra la 24° ela 28a settimana di gestazione (cut-off a 140 mg/dl). In caso di valore ad 1 ora superiore a185 mg/dl si eseguiva direttamente un profilo glicemico nictemerale. Nei casi invece di valo-re compreso tra 140 e 184 mg/dl si eseguiva una curva glicemica standard, con carico oraledi 75 g di glucosio. Il test si considerava positivo se si aveva un superamento del range di nor-malità in 2 punti su 3 secondo Carpenter e Coustan17. Queste due condizioni portavano quin-di alla diagnosi di GDM ed in caso di profilo glicemico patologico, (media dei valori superio-re a 100 mg/dl e valutazioni post-prandiali ad 1 ora maggiori di 140 mg/dl) si provvedeva adinstaurare una terapia insulinica. Se il profilo glicemico nictemerale risultava nella norma, si in-vitava la gravida ad eseguire una dieta ipoglucidica-normocalorica e si rivalutava la condizio-ne clinica a distanza di 4 settimane. Il monitoraggio della crescita fetale si basava su valutazio-ni biometriche mensili a partire dalla 28a settimana, con un riferimento preciso di epoca ge-

48 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

stazionale ottenuto con una misurazione del CRL fetale a 12 settimane di gestazione.In presenza di un’accelerazione della crescita fetale, intesa come un superamento dei va-

lori della circonferenza addominale di due deviazioni standard rispetto alla curva della popo-lazione generale, si induceva il travaglio di parto a 38 settimane di gestazione, con prostaglan-dine PgE2 (*Prepidil) cervicali per un Bishop score ≤5 e vaginali per un BS superiore a talevalore. Le prostaglandine venivano quindi riapplicate per tre volte sino alla insorgenza del tra-vaglio di parto.

In assenza invece di specifiche indicazioni ostetriche, in caso di regolare crescita fetale oper rifiuto della gravida ad accettare l’induzione del travaglio, pur in presenza di un’accelera-zione della crescita fetale, si attendeva l’insorgenza spontanea del travaglio di parto. Questogruppo di donne hanno di fatto costituito il gruppo di controllo nel nostro studio

Con l’applicazione del protocollo di screening sopra indicato l’incidenza del GDM nellanostra popolazione è stata del 6.6%. Nel periodo indicato sono giunte alla nostra osservazio-ne 172 gravide con diagnosi di GDM, nelle quali non era stato necessario attuare terapia in-sulinica e che non avevano avuto un’insorgenza spontanea del travaglio di parto in epoca pre-cedente alla 38a settimana.

La media di età dell’intera popolazione era di 33 anni, senza differenze significative nei duegruppi di gravide con parto indotto o ad insorgenza spontanea. Nella Tabella IV riportiamole caratteristiche della popolazione esaminata, indicando la parità, le classi di peso neonatali ela modalità di espletamento del parto, le caratteristiche di BMI delle donne ed il numero dicasi in cui si è osservata un’accelerazione della crescita fetale che avrebbe potuto costituireindicazione all’induzione del travaglio.

Si è avuto quindi l’espletamento del parto per via vaginale in quasi il 70% dei casi.L’accelerazione della crescita fetale si è registrata in circa il 50% della popolazione e que-

sto valore raggiunge il 62.9% dei casi nel gruppo di gravide che hanno accettato l’induzionefarmacologica del travaglio di parto.

Tabella IVGDM n.172 casiNullipare 106 61.6% Pluripare 66 38.4%Peso grammi <4000 91.8% 4000/4500 8.1% >4500 1.1%Parto vaginale 120 69.8% 52 30.2%BMI= 27.4% ≤20 20% 21-30 64.3% >30 15.7%Accelerazione crescita fetale n.85 = 49.4%Non Indotte 41.8% (46/110) Indotte 62.9% (39/62)

La Tabella successiva indica la distribuzione delle nullipare e la modalità di espletamentodel parto nei due gruppi di donne che hanno atteso un’insorgenza spontanea del travaglio oche sono state invece indotte.

49GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

Tabella VExpectant n.110 64% Induction n.62 36%

Nullipare 106 63 57.3% 43 69.3%Parto vaginale 81 73.6% 39 63%Taglio Cesareo 29 26.4% 23 37%TC+Acc. Crescita Fetale 14/46 30.4% 11/39 28.2%

Come si può vedere si è osservata una frequenza di nulliparità del 61.6%, che nel grup-po di gravide il cui travaglio è stato indotto giunge al 69.3%. Il taglio cesareo ha presentatouna maggior frequenza nel gruppo in cui si è indotto il travaglio di parto (37% versus 26.4%).

In considerazione del fatto che molto spesso alcune variabili legate a patologie associatealla gravidanza possono comportare l’esecuzione di un espletamento addominale del parto(basti pensare che l’incidenza della pre-eclampsia in questa popolazione è stata del 21.5%),abbiamo selezionato nei due gruppi le gravide che presentavano un’accelerazione della cre-scita fetale e che non fossero state sottoposte a taglio cesareo per un’indicazione elettiva (po-dice, placenta previa, indicazione materna, ecc.). Si sono così identificate 46 gravide del grup-po in cui il travaglio non era stato indotto e 39 con induzione del travaglio. Questa volta lafrequenza del taglio cesareo è risultata inferiore nel gruppo indotto (28.2% versus 30.4%).

La Tabella successiva illustra la correlazione esistente tra modalità di espletamento del par-to (parto vaginale versus TC) nei due gruppi (expectant versus induction) dei casi con BMI su-periore a 30.

Tabella VIBMI >30 Expectant: 8/110 Induction: 16/6224/77 31.2% 7.3%% 25.8%P.V.: 81 3/81 3.7% 10/39 25.6% P.V. 39TC: 29 5/29 17.2% 6/23 26.1% T.C. 23

Come si può notare una paziente su quattro nel gruppo delle indotte presentava un chia-ro stato di obesità. La correlazione esistente tra nulliparità distribuita per modalità di espleta-mento del parto nei due gruppi di travagli indotti o di attesa è rappresentata nella Tabella VII.

Tabella VIINullipare: 106/172 Expectant: 63/110 Induction: 43/62

61.6% 57.3% 69.3%P.V.: 81 48/81 59.2% 24/39 61.5% P.V. 39TC: 29 15/29 51.7% 19/23 82.6% T.C. 23

La frequenza di nati macrosomi intesi per peso superiore a 4000 g è stata del 9.3%(16/172) e si è distribuita nel modo di seguito indicato nei quattro gruppi di expectant/induc-tion correlati con parto vaginale versus TC.

50 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

Tabella VIIIMacrosomi: 16/172 Expectant: 10/110 Induction: 6/62>4000g 9.3% 9.1% 9.7%P.V.: 81 5/81 6.2% 4/39 10.2% P.V. 39TC: 29 5/29 17.2% 2/23 8.7%% T.C. 23

Il parto è stato assistito per via vaginale con ventosa ostetrica 5 volte nel caso di gravide,il cui travaglio non era stato indotto e 1 volta in caso di induzione. È stato utilizzato il forci-pe per parto operativo in un solo caso, in travaglio insorto spontaneamente. La frequenzacomplessiva di operatività vaginale è stata quindi del 4.06% sull’intera popolazione e rispetti-vamente del 5.4% nel gruppo expectant verso l’1.6% nel gruppo di parti indotti.

Nell’ultima Tabella indichiamo la frequenza di casi con Apgar neonatale inferiore a 7 al pri-mo minuto ed inferiore a 8 al quinto, distribuita nei due gruppi di gravide con managementdi attesa dell’insorgenza del travaglio o con induzione.

Tabella VIINon Indotti n.110 Indotti n. 62

Apgar I° <7 14.5% 9.7%Apgar V° <8 4.5% //

Discussione e conclusioniLa valutazione dei dati esposti consente di esprimere alcune considerazioni. Le prime ri-

guardano le caratteristiche epidemiologiche delle gravide reclutate, in cui si rilevava una quo-ta del 15.7% di donne con BMI superiore a 30 e quindi da considerare francamente obese.È bene sottolineare che in questa particolare popolazione tale frequenza è tre volte superio-re alla quota di obese che abbiamo registrato nella nostra popolazione generale e corrispon-de al 4.5%11. È noto che questa condizione costituisce un fattore di rischio aumentato per ta-glio cesareo (OR=2.4)6. Una quota ancora più rappresentativa del campione studiato era co-stituito da nullipare, che raggiungevano il 61.6% della popolazione complessiva. Anche questaè una condizione in grado di incidere fortemente nel determinare un aumento della frequen-za di tagli cesarei, con un OR=4.9, riscontrato in uno dei lavori citati6. Non va poi trascuratoche il tasso di gravide che avevano presentato un’accelerazione della crescita fetale, suggesti-va per la nascita di un neonato di peso presumibilmente superiore alla media è stato del49.4%. Queste caratteristiche, associate al fatto che queste donne erano accomunate da unacondizione di GDM portano a definire questa popolazione ad alto rischio per aumento difrequenza del parto addominale, che complessivamente è stato del 30.2%, sicuramente su-periore alla quota della nostra popolazione generale, che come detto partorisce per via ad-dominale nel 23% dei casi: questa percentuale costituisce una delle frequenze più basse del-

51GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

la realtà geografica nella quale operiamo. È giusto constatare che attualmente non è disponi-bile in letteratura un trial che per potenza e significatività statistica sia in grado di indicare concriteri di evidence based medicine, quale sia la condotta più corretta da seguire nella gestio-ne della gravidanza con diabete gestazionale, in riferimento all’opportunità o meno di indur-re il travaglio di parto in caso di accelerazione della crescita fetale.

A fronte di questo dato oggettivo sono disponibili numerosi lavori, di cui solo 2 rando-mizzati (Conway e Kjos...) che confrontano gruppi di gravide con travagli indotti rispetto agruppi in cui è stata mantenuta una condotta di vigile attesa ostetrica.

La domanda che legittimamente possiamo ora porci è: fino a quale limite di stima pesofetale è corretto indurre il travaglio di parto in caso di GDM? o per essere più chiari: qualeè il limite di stima del peso fetale che in queste gravidanze comporta l’esecuzione di un ta-glio cesareo elettivo? Per rispondere a questo quesito riportiamo quì di seguito un brano deltesto “Taglio cesareo... dal caso clinico alle Linee guida” di S. Alberico, Ed Regione Friuli VeneziaGiulia pg.73 Trieste, 2004.

Diversi Autori sono concordi nel sostenere che il rischio di distocia delle spalle aumenta in mi-sura significativa se il peso dei neonati supera i 4000-4250 g nelle madri diabetiche3,18,19,20,21.Tuttavia esiste tutt’ora tra i vari Autori una diversità di vedute riguardo alla scelta del cut-off di sti-ma peso al quale proporre l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo.

Mentre alcuni raccomandano l’esecuzione di un taglio cesareo in caso di stima peso superio-re ai 4000 grammi22, altri consigliano piuttosto un cut-off di 4500 grammi19,23, per ridurre l’ecces-sivo interventismo, in considerazione dell’imprecisione dell’esame ultrasonografico.

Langer e Coll, nel loro studio osservazionale texano, affermano che utilizzando un cut-off di4250 grammi, nelle donne diabetiche si preverrebbero il 76% dei casi di distocia di spalla, con unaumento del rate di tagli cesarei soltanto dello 0.26%.Viceversa, con una soglia di 4000 grammil’aumento dei tagli cesarei salirebbe allo 0.52%, mentre con un cut-off di 4500 l’incremento deitagli cesarei sarebbe minore, ma non eviterebbe il 40% dei casi di distocia di spalla20.

Altri Autori condividono l’indicazione al taglio cesareo per pesi fetali stimati superiori ai 4250grammi2,24-26.

Rouse e coll. nel 1996 stimarono che per evitare un singolo caso di paralisi permanente delplesso brachiale sarebbero necessari nelle donne diabetiche 443 e 489 tagli cesarei aggiuntivi adot-tando come cut-off di stima peso fetale ecografica rispettivamente i 4500 ed i 4000 grammi13. Isuddetti Autori concludono affermando che una politica che preveda l’esecuzione di un taglio ce-sareo elettivo in caso di sospetta macrosomia fetale appare giustificata, seppure discutibile, nellegravidanze complicate da diabete; viceversa nelle donne non diabetiche un tale approccio ostetri-co risulta economicamente e medicalmente inappropriato. Sulla base delle suddette evidenzel’ACOG raccomanda nelle gravidanze complicate da diabete l’esecuzione di un taglio cesareo elet-tivo in caso di stima del peso fetale superiore ai 4000 grammi16.

Quali possono essere le conclusioni che possiamo trarre dopo una discussione condotta

52 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

su questo tema e che possa costituire un procedura di riferimento per affrontare la gestionedi questi casi?

Il problema dell’accelerazione della crescita fetale, con caratteristiche sproporzionate tratesta e tronco fetale in corso di GDM è presente e documentata, come documentata è l’evi-denza che in condizioni generali queste gravidanze comportino una maggior incidenza di di-stocie nell’espletamento del parto e quindi di danni neonatali. Il riscontro poi alla nascita diun peso neonatale superiore alla media, associato al danno subito dal neonato, innesca im-mediatamente la domanda del perché in quel determinato caso l’Ostetrico non ha pruden-temente deciso di eseguire un taglio cesareo elettivo.Tale domanda viene ovviamente posta“a posteriori” non solo dai parenti del bambino, ma anche da figure professionali (magistratio medici legali) culturalmente lontani dal “clima e dal vissuto” di una sala parto e dal pathosche quell’Ostetrico ha affrontato, in scienza e coscienza, nell’accettare la responsabilità di unespletamento vaginale di quel parto. Riconosciamo in merito che la frequenza di una disto-cia di spalla in un neonato di peso >4000 g è di circa 12 volte superiore a quella di un neo-nato con peso compreso tra 2500 g e 3999 g, non va però dimenticato che di fatto l’40%delle distocie di spalla che si hanno sono appannaggio di neonati con peso inferiore a 4000g e da calcoli statistici compiuti è dimostrato che solo il 20% dei casi di distocie di spalla po-trebbero essere prevenuti eseguendo un taglio cesareo elettivo in caso di stima peso fetalesuperiore ai 4000 g. Resta quindi il dilemma della condotta più corretta da osservare nel re-stante 80% dei casi. Una quota di questa percentuale riguarda gravidanze con diabete gesta-zionale. I dati riportati e quanto disponibile oggi in Letteratura giustifica l’opportunità di “af-frontare” attivamente questi casi con un’induzione del travaglio a 38 settimane. Questa scel-ta non dovrà quindi essere demonizzata in caso di evento avverso, se compiuta con scienzae coscienza da parte dell’Ostetrico, nel rispetto di alcuni fondamentali requisiti di garanzia perla gravida ed il nascituro, che di seguito elenchiamo:

1. corretto timing della gravidanza, con correzione dell’epoca gestazionale effettuata con mi-surazione della lunghezza cranio-caudale fetale a 38 settimane;

2. induzione del travaglio a 38 settimane settimane solo in caso di accelerazione della cre-scita fetale;

3. chiara ed attenta spiegazione alla gravida delle indicazioni all’induzione e piena disponibi-lità della stessa ad affrontarla;

4. consenso informato;5. taglio cesareo elettivo in caso di stima peso fetale > di 4250g, (pur con i limiti della stima

ecografica dinanzi esposti)6. gestione dell’induzione da parte di un esperto consultant e pronta reperibilità dello stes-

so in corso di periodo espulsivo (in ospedale e non reperibile a domicilio). Disponibilitàin ospedale di una guardia anestesiologica;

7. astensione da qualsiasi assistenza operativa vaginale;

8. team ostetrico partecipe e concorde sull’applicazione di un simile protocollo;9. comunicazione alla Direzione Sanitaria dell’ospedale del protocollo sull’induzione del tra-

vaglio di parto in caso di diabete gestazionale;10. l’attivazione di una commissione interna all’ospedale per la gestione di qualsiasi conten-

zioso possa nascere da esito materno-fetale avverso.

Bibliografia

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53GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

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Induzione del travaglio versus expectant management in GDM

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55GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

44DIABETE IN GRAVIDANZA

DISTOCIA DI SPALLAM. Piccoli, S. Inglese, M.Vessella, M. Bernardon,V. Soini, C. Businelli, GP MasoDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

Definizione ed incidenzaLa distocia di spalla rappresenta, come ben espresso da Langer, “...l’infrequente, non antici-

pato ed imprevedibile incubo dell’ostetrico...”.Tale evento si verifica quando alla fuoriuscita del-l’estremo cefalico del neonato non fa seguito quella delle spalle, nè queste vengono espulsedopo moderata trazione della testa verso il basso.

Una definizione più standardizzata è stata proposta da Spong, che ha suggerito di identi-ficare come casi di distocia di spalla quelli in cui l’intervallo tra fuoriuscita dell’estremo cefali-co fetale e completamento del parto sia maggiore di 60 secondi e/o quelli che richiedanol’intervento di manovre ancillari per permettere la fuoriuscita delle spalle.

La diagnosi di distocia di spalla è in effetti per molti versi soggettiva, dipendendo dalla per-cezione di difficoltà nell’estrazione da parte dell’operatore.Tale soggettività nell’identificazio-ne dell’evento, in combinazione con la sua incostante documentazione, rende conto dell’am-pio range nei dati di incidenza riportati in Letteratura, variabilità d’altra parte strettamentecorrelata anche alle differenze nelle caratteristiche delle popolazioni studiate. La frequenza didistocia di spalla si attesta infatti nelle casistiche disponibili tra lo 0.2% ed il 2% di tutti i par-ti vaginali.Tale incidenza potrebbe in effetti essere una sottostima dei dati reali che, utilizzan-do la definizione proposta da Spong per la diagnosi, si attesterebbero secondo tale Autoreintorno al 10%.

La distocia di spalla è quindi evento poco comune, ma non raro, tanto che chiunque sitrovi ad operare in sala parto sarà chiamato periodicamente a fronteggiarne casi di variabileseverità. Le complicanze materne sono fortunatamente limitate e la morte perinatale rara.Più elevata è invece la morbidità perinatale conseguente all’evento, ed è proprio per questaragione che la distocia di spalla ha assunto negli anni più recenti crescente rilievo in ambitoclinico e, purtroppo, medico-legale.

MeccanismiRapporti feto-pelvici

Al fine di comprendere il meccanismo per cui la distocia di spalla si verifica e, di conse-guenza, il rationale alla base delle manovre utilizzate per farvi fronte, è necessario richiamare

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Distocia di spalla

alla mente alcuni concetti basilari relativi alle relazioni anatomiche che si stabiliscono normal-mente tra il feto e la pelvi materna durante la fase espulsiva del travaglio.A livello dello stret-to superiore, il diametro pelvico antero-posteriore, più breve, è quello meno favorevole alpassaggio del feto. Normalmente quindi, tanto l’estremo cefalico quanto le spalle fetali si im-pegnano sfruttando il diametro più ampio dell’ingresso pelvico, che è quello obliquo. L’estremocefalico attraversa quindi il canale del parto, mentre la spalla posteriore discende nella con-cavità sacrale e quella anteriore si accomoda a livello di forame otturatorio. Nel feto a ter-mine, il diametro bisacromiale è più ampio dei diametri cefalici ed è quindi la flessibilità dellespalle a permettere la loro rotazione e discesa nella pelvi.

La combinazione peggiore per il verificarsi di una distocia di spalla è quella che vede undiametro bisacromiale più ampio della norma impegnarsi allo stretto superiore secondo il dia-metro meno favorevole, cioè l’antero-posteriore. Quando questa situazione si verifica, più co-munemente la spalla posteriore scende al di sotto del promontorio sacrale, mentre quella an-teriore impatta e si arresta al di sopra della sinfisi pubica.

Fortunatamente molto rara è l’evenienza in cui entrambe le spalle rimangono al di sopradell’ingresso pelvico (distocia di spalla bilaterale), situazione in cui nella maggior parte dei ca-si falliscono tutte le manovre disponibili per far fronte a tale emergenza.

Molto più frequente è invece il verificarsi di una condizione definibile come “difficoltà nel-la fuoriuscita delle spalle fetali”, in cui, pur avendo entrambe le spalle superato l’ingresso pel-vico, esse faticano a ruotare a livello dello scavo medio. Quasi invariabilmente tale condizio-ne, di gravità decisamente minore ed a prognosi favorevole, si verifica in presenza di feti ma-crosomi “asimmetrici” e/o di obesità materna, fattori che aumentano entrambi, verosimilmen-te con un meccanismo di attrito, la resistenza alla rotazione nel canale del parto.

ComplicanzeLe complicanze associate al verificarsi di una distocia di spalla possono interessare tanto

la madre quanto il nascituro.

Complicanze neonatali- La più comune complicanza a carico del neonato è la frattura della clavicola, che si verifi-

ca in circa il 15% dei casi. Molto meno comune è invece la frattura dell’omero (<1%).Entrambi tali eventi, per quanto non desiderabili e spesso fastidiosi per l’operatore coin-volto nell’assistenza al parto, hanno comunque prognosi favorevole, essendo destinati in-variabilmente, quando prontamente riconosciuti e trattati, alla guarigione senza sequele alungo termine.

- La frattura e/o dislocazione del tratto cervicale della colonna vertebrale è evenienza estre-

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Distocia di spalla

mamente rara, ma gravata da prognosi disastrosa. Essa è spesso il risultato di manovre im-proprie e disperate di torsione e trazione sull’estremo cefalico e sul collo fetale.

- Il danno a carico del plesso brachiale è una delle complicanze più temute, verificandosicon frequenza non trascurabile (5-15% dei casi di distocia di spalla) ed essendo gravatodalla possibilità di sequele permanenti. Nella maggior parte dei casi si verifica una lesioneparziale del plesso, che coinvolge le radici nervose C5 e C6 e si manifesta clinicamentecon una paralisi del tipo Erb-Duchenne. Molto più raramente è coinvolto l’intero plessobrachiale, con conseguente paralisi di tutto l’arto coinvolto (paralisi tipo Klumpke).Fortunatamente, il danno del plesso brachiale riscontrato alla nascita va incontro in un’al-ta percentuale di casi a risoluzione spontanea. La maggior parte delle casistiche disponi-bili in Letteratura riporta tassi di disabilità a lungo termine inferiori al 10%, anche se duelavori recenti sull’argomento hanno riscontrato una disturbante persistenza di esiti fino al50% dei casi. È tuttavia interessante notare come numerosi dati in Letteratura abbiano di-mostrato il verificarsi di tale complicanza in assenza di distocia di spalla nel 34-47% dei ca-si. Un’incidenza del 4% di paralisi del plesso brachiale è stata inoltre riportata in neonatipartoriti con taglio cesareo non traumatico.Tali dati sembrerebbero supportare l’ipotesiche il danno del plesso brachiale possa talora verificarsi durante il travaglio o, addirittura,prima dell’inizio di questo, per effetto dell’azione di forze anomale e/o di posture sfavore-voli assunte dal feto in utero.

- Le complicanze più temibili sono comunque relative alla possibilità di danno cerebrale edi morte perinatale. Si ritiene comunemente che entrambi siano per larga parte il risulta-to dell’insulto ipossico prolungato sul neonato. Dopo la fuoriuscita dell’estremo cefalicol’apporto di ossigeno al feto si riduce infatti criticamente. Anche se naso e bocca si trova-no all’esterno, il torace è comunque compresso e ciò rende impossibili gli sforzi respira-tori.Va inoltre considerato che, all’espulsione della testa fetale, l’utero tende a contrarsi ul-teriormente causando una riduzione o, addirittura, una cessazione del flusso ematico aglispazi intervillosi. È stato dimostrato che dopo la fuoriuscita della testa la progressiva ridu-zione dell’ossigenazione fetale provoca un calo del pH pari a 0.04 unità al minuto. Partendoda questo assunto, in un feto che si presenti al momento del parto in condizioni di nor-mo-ossigenazione il tempo a nostra disposizione per risolvere una distocia di spalla primache un danno ipossico-ischemico si verifichi è verosimilmente intorno ai 4-5 minuti. Se tut-tavia il feto si trova già in uno stato di ridotta ossigenazione, tale margine di sicurezza sa-rà verosimilmente ridotto, con la possibilità che il danno si istauri in tempi molto più bre-vi. Inoltre, un’analisi attenta dei casi esitati nella morte del neonato porta a supporre chespesso un danno letale intervenga anche quando i tempi per l’estrazione rimangono en-tro i limiti di “sicurezza”. Il Confidential Enquiry into Stillbirths and Deaths in Infancy, racco-gliendo i casi di morte perinatale ed infantile in Inghilterra, Galles ed Irlanda del Nord tra

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Distocia di spalla

il 1994 ed il 1995, ha rinvenuto un’incidenza di distocia di spalla fatale pari a 0.025/1000parti. Analizzando i 56 casi di distocia di spalla esitati in morte del neonato, l’intervallo trafuoriuscita dell’estremo cefalico ed estrazione del corpo risultava inferiore ai 5 minuti nel47% dei casi, e solo nel 20% dei casi superiore ai 10 minuti. A spiegazione di tali dati ina-spettati, gli Autori hanno ipotizzato che meccanismi alternativi a quello ipossico-ischemi-co possano essere responsabili dell’esito fatale, così come del danno cerebrale permanen-te. La compressione sul collo fetale, e la risultante ostruzione al deflusso venoso, un’ecces-siva stimolazione vagale e la bradicardia a questa conseguente, combinate al ridotto ap-porto arterioso di ossigeno e, forse, a manovre di estrazione improprie, possono infattiessere la causa di un deterioramento delle condizioni cliniche sproporzionato alla duratadell’ipossia.

Complicanze materne- Le lacerazioni del tratto genitale sono più frequenti come conseguenza dell’utilizzo più am-

pio dell’episiotomia e, soprattutto, del traumatismo associato alle manovre impiegate perestrarre le spalle. Lacerazioni cervicali sono riportate nel 2% dei casi, mentre del 4% è l’in-cidenza riscontrata di lacerazioni di IV grado.

- L’emorragia post-partum, conseguente ad atonia uterina ed a trauma sul canale del par-to, si verifica nell’11% circa dei casi.

- La rottura d’utero è evento raro. Essa si verifica più frequentemente per l’applicazione dimanovre improprie, quali l’eccessiva pressione sovrapubica e la pressione sul fondo del-l’utero (manovra di Kristeller), nonchè come conseguenza del ricorso a tentativi estremidi risoluzione della distocia di spalla, ed in particolare al riposizionamento cefalico (mano-vra di Zavanelli). In quest’ultimo caso, così come per il tentativo di “salvataggio addomina-le” del feto, risulta significativamente più elevato il rischio di emorragia e la necessità di ri-corso all’isterectomia.

- Aumentato rispetto alla popolazione generale è inoltre il rischio di infezione e di atoniavescicale in puerperio.

Fattori predisponentiNumerose caratteristiche ante ed intra-partum sono state associate ad un aumento del

rischio di distocia di spalla (Tabella 1). La maggior parte di queste, come osservato da Dildye coll., presenta tuttavia solo una debole associazione con l’evento considerato, significativadal punto di vista statistico solo all’analisi univariata del campione.Tali caratteristiche, definibi-li come fattori di rischio minori, per quanto più frequentemente riscontrate nelle gestanti che

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Distocia di spalla

vanno incontro a distocia di spalla, sono infatti estremamente comuni anche nella popolazio-ne generale, e presentano pertanto nei confronti del verificarsi di tale evento una predittivi-tà bassissima. Geary et al. hanno calcolato un valore predittivo positivo del 2% quando talifattori si riscontrino isolatamente, valore che sale tuttavia solo al 3% in caso si presentino incombinazione.

Tabella 1. Distocia di spalla - Fattori di rischio minoriANTEPARTUM INTRAPARTUMObesità materna /eccessivo incremento Fase attiva protrattaponderale in gravidanzaGravidanza protratta Arresto secondario in I stadioViziature pelviche Rallentata progressione/arresto in II stadioPregresso neonato macrosoma Parto precipitosoPregressa distocia di spalla Utilizzo di ossitocinaEtà materna avanzata Fase attiva protrattaBassa statura materna Arresto secondario in I stadioMultiparità

Tre sono invece i fattori che presentano una più forte associazione con lo sviluppo di di-stocia di spalla, definibili come fattori di rischio maggiori:1. peso neonatale2. diabete materno3. ricorso all’operatività vaginale

La macrosomia fetale ha dimostrato in tutti gli studi pubblicati sull’argomento una forteassociazione con il verificarsi di distocia di spalla. A seconda della definizione di macrosomiaconsiderata (peso neonatale >4000 g; peso neonatale >4500 g; peso neonatale >90° per-centile per l’epoca gestazionale), il rischio di distocia di spalla nelle diverse casistiche risultaaumentato da 8 a 21 volte rispetto alla popolazione di neonati non macrosomi. Come benrappresentato nella Tabella II, tale rischio è direttamente proporzionale al peso neonatale, au-mentando parallelamente a quest’ultimo, tanto che l’incidenza dell’evento passa dal 5.2% neineonati con peso tra i 4000 ed i 4250 g al 21.1% nei neonati con peso tra i 4750 ed i 5000gr. Uno studio svedese che ha preso in considerazione solo neonati “extremely large”, cioècon peso alla nascita pari o superiore ai 5700 g, ha osservato un’incidenza di distocia di spal-la del 40% nei 78 casi di parto vaginale esaminati.

Tabella II. Correlazione tra peso alla nascita ed incidenza di distocia di spallaPeso neonatale %distocia di spalla

4000-4250 5.2%4250-4500 9.1%4500-4750 14.3%4750-5000 21.1%

da Nesbitt et al, AJOG 1998

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Distocia di spalla

Dalle casistiche a nostra disposizione emerge che il 44-64% dei casi di distocia di spalla simanifesta nei neonati di peso > ai 4000g. D’altra parte, un peso >4000 è riscontrabile nel 6-15% dei parti non complicati.

È chiaro quindi come il peso neonatale sia significativo fattore di rischio per lo sviluppo didistocia di spalla e come l’incidenza di quest’ultima sia strettamente dipendente dal peso al-la nascita. Dai dati sopra citati si evidenzia tuttavia chiaramente come circa il 50% di tutti i ca-si di distocia di spalla si verifichino comunque in neonati normopeso, e come l’incidenza di ta-le evento sia di molto inferiore al 50% anche nei neonati di categoria di peso più elevata. Unapercentuale non trascurabile della popolazione generale dà inoltre alla luce neonati macro-somi senza alcuna complicanza. Geary e coll. hanno stimato che il peso alla nascita >4000 grha nei confronti della distocia di spalla un valore predittivo positivo comunque molto basso,pari al 3.3%. Se poi andiamo a considerare gli outcomes che rivestono un reale interesse cli-nico e medico-legale, ovvero i casi di paralisi persistente del plesso brachiale e/o di dannoasfittico cerebrale, essi andranno ad interessare una percentuale ancora più bassa di neonatimacrosomi, dal momento che solo una piccola parte dei casi di distocia di spalla risulta gra-vata da tali sequele permanenti. A tali dati va aggiunta inoltre un’ultima, ma non meno impor-tante considerazione relativa alla capacità di stimare correttamente il peso del neonato in epo-ca antenatale.

Tutti i dati di incidenza e di predittività di distocia di spalla in caso di macrosomia deriva-no infatti dalla conoscenza del peso del neonato alla nascita,mentre in epoca antenatale, quan-do il rilievo di una sospetta macrosomia potrebbe influenzare il management clinico, l’unicodato a nostra disposizione è la stima ecografica e/o clinica del peso fetale. Gli innumerevolistudi sulla performance dell’ecografia nel determinare il peso del neonato hanno tuttavia for-nito dati assolutamente scoraggianti. L’indagine ecografica ha infatti mostrato nei confronti del-la diagnosi di macrosomia e della stima del peso alla nascita la stessa attendibilità della valu-tazione clinica effettuata tramite palpazione addominale. Una range di errore del 10-15% èconsiderato normale nella valutazione ecografica del peso fetale, e tale errore peggiora per ipesi neonatali più elevati. In un’analisi dei dati disponibili in Letteratura, Ben Haroush e collhanno osservato che la sensibilità dell’ecografia nel predire la macrosomia varia tra il 50 edil 100%, con una mediana intorno al 67%, mentre la specificità si attesta al 15-81% (mediana62%).

Al pari della macrosomia neonatale, il diabete materno è stato identificato unanimamen-te come fattore di rischio maggiore per lo sviluppo di distocia di spalla. I neonati di donnediabetiche sono infatti più predisposti allo sviluppo di macrosomia, e mostrano inoltre unapeculiare tendenza alla distribuzione del grasso in sede toraco - addominale, con caratteristi-che antropometriche che vedono la prevalenza dei diametri addominale, toracico e scapola-re su quello cefalico. È proprio questa differenza nella “conformazione fisica”, più che nel pe-so, a predisporre il neonato di madre diabetica al verificarsi di distocia di spalla alla nascita,

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Distocia di spalla

con un rischio stimato di 6 volte superiore a quello generale. Come è possibile osservare dal-la Tabella III, a parità di peso alla nascita, in caso di diabete materno la probabilità che si veri-fichi una distocia di spalla è comunque più elevata.

Tabella III. Incidenza di distocia di spalla per classi di peso nelle donne con Diabete mellito e nella popolazione generalePeso neonatale no DM DM<4000 0.1-1.1% 0.6-3.7%4000-4499 1.1-10% 4.9-23.1%>4500 4.1-22.6% 20-50%ACOG 1997

La macrosomia alla nascita in presenza di diabete materno sembra quindi costituire unasituazione ad alto rischio di sviluppo di distocia di spalla, anche se, dai dati a nostra disposi-zione, tale evento sembra interessare comunque meno del 50% dei neonati di madre diabe-tica per le classi di peso più elevate. Le due condizioni associate sono inoltre riscontrabili innon più del 55% dei casi di distocia.

Il ricorso all’operatività vaginale è risultato anch’esso fortemente associato allo sviluppo didistocia di spalla negli studi sull’argomento, con un rischio medio riportato da 4.6 a 28 voltepiù elevato.Tale rischio sembra essere maggiore in caso di ricorso alla ventosa ostetrica cheal forcipe, ed è inoltre risultato strettamente correlato alla durata dell’operatività, con un’in-cidenza più elevata dell’evento per tempi di applicazione prolungati, superiori ai 6 minuti. Lacombinazione di macrosomia neonatale, II stadio prolungato e ricorso all’operatività vaginalea livello mediopelvico sembra essere particolarmente a rischio, come evidenziato da Benedettie coll., che hanno riportato un’incidenza di distocia di spalla del 21% ed un elevato tasso didanno neonatale immediato in queste circostanze, tanto che l’ACOG, in un bollettino sullamacrosomia fetale pubblicato nel 2000, raccomandava il ricorso al taglio cesareo in caso diarresto/rallentata progressione in II stadio in feti con stima peso >4500 gr .

Numerosi sono quindi i fattori di rischio identificati per lo sviluppo di distocia di spalla.Non è stato ancora descritto tuttavia un metodo che, basato sulla presenza di tali fattori, siarisultato clinicamente utile nel predire con ragionevole accuratezza il verificarsi di tale even-to ed ancor più delle sue sequele a lungo termine. Il limite principale dei fattori considerati èche essi sono molto comuni nella popolazione ostetrica generale, mentre la distocia di spal-la, outcome da predire, è relativamente rara.

I fattori di rischio minori hanno scarso valore predittivo positivo ed utilità clinica, quindi,pressochè nulla. In presenza di fattori di rischio maggiori, che mostrano una più forte asso-ciazione con il verificarsi dell’outcome sfavorevole, resta comunque difficile decidere il mana-gement più appropriato. Non esiste attualmente un’evidenza certa, e, di conseguenza, un con-senso unanime, sulla gestione ostetrica dei casi a rischio, in particolare dei casi di sospetta ma-crosomia fetale, isolata o associata a diabete materno. Le uniche certezze riguardano da un

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Distocia di spalla

lato il fatto che oltre il 50% delle distocie di spalla si verificano in neonati normopeso, dall’al-tro la ben nota inaccuratezza della stima peso ecografica, specie in caso di macrosomia.

Nella Tabella successiva presentiamo i casi di patologia neonatale attribuibile a difficoltà didisimpegno delle spalle fetali, osservati presso il nostro dipartimento in un arco di tempo di12 anni. Si sono avuti solo sei casi di paresi del plesso brachiale, con espletamento del partovaginale strumentale con ventosa in due casi; 4 di questi neonati presentavano un peso allanascita >4.000 g . È interessante sottolineare che di fatto ben il 96.6% della intera popolazio-ne di nati aveva alla nascita un peso inferiore ai 4.000 g.

Tabella IV. Esiti Patologici Neonatali da Distocie di SpallaDipartimento Ostetrico - Ginecologico - IRCCS Burlo Garofolo 1990 - 2002. Casi n. 89// 11.000 parti 0.8%Paresi 6 casi 4 PS(4 su 6 con peso >4000 g) 2 V.O.Torcicolli 79 casi 54 PS (1 Caso GDM)

16 TC8 V.O. + 1 F

Fratture cl 3 casi 3 PSStiramenti 1 caso 1 PSPeso (g)<3000 3000-3500 3500-4000 4000-4500 >4500 >5000

21.3% 57.3% 18% 12.4% 2.1% 1.1%96.6%

Due controverse misure profilattiche sono comunque state proposte, e sono tuttora og-getto di intenso dibattito, al fine di prevenire la distocia di spalla. La prima, che prevede l’in-duzione del travaglio in caso di sospetta macrosomia, è stata valutata per lo più in studi os-servazionali di tipo retrospettivo, ed in due soli studi prospettici randomizzati. La meta-anali-si Cochrane del 2002, che ha preso in considerazione i risultati dei due studi randomizzati perun campione globale di 313 donne, non ha rilevato differenze significative in termini di mor-bidità perinatale e di operatività vaginale ed addominale. Il tasso di tagli cesarei nelle donnesottoposte ad induzione è risultato invece significativamente più elevato nelle casistiche deri-vanti da studi retrospettivi, come evidenziato nella review pubblicata nel 2002 da Ramos-Sanchez e coll.Va tuttavia sottolineato che tali dati, proprio perché retrospettivi, sono sogget-ti a bias difficilmente eliminabili. Essi non stratificano inoltre i risultati sulla base della parità del-la gestante, fattore che, secondo alcuni Autori, sembrerebbe influenzare sostanzialmente l’out-come. La meta-analisi del Cochrane conclude comunque che allo stato attuale delle nostre co-noscenze non sono disponibili evidenze sufficienti a dimostrare che l’induzione per sospettamacrosomia in gravide non diabetiche sia in grado di ridurre la morbidità materna e neona-tale. In considerazione delle limitate informazioni disponibili per valutare questo intervento,gli Autori ribadiscono la necessità di trial randomizzati più ampi.

Analogamente limitate sono le informazioni derivanti da trial randomizzati sull’utilità del-l’induzione del travaglio per sospetta macrosomia in gestanti diabetiche. La meta-analisi pub-

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Distocia di spalla

blicata dal Cochrane nel 2002, che include un solo trial randomizzato per un totale di 200 ge-stanti, pur rilevando un’incidenza significativamente inferiore di macrosomia alla nascita e nes-sun caso di distocia di spalla nelle gestanti sottoposte ad induzione a fronte di 3 casi di disto-cia nel gruppo randomizzato per il management d’attesa, non mostra tuttavia differenze signi-ficative in termini di morbidità materna e neonatale. Il tasso di operatività addominale appa-re comparabile nei due gruppi.Anche in questo caso, la scarsa numerosità del campione ana-lizzato non permette di trarre conclusioni sull’efficacia di tale intervento, nè di valutare il suoeffetto sulla mortalità perinatale.

La seconda misura proposta nel tentativo di prevenire il verificarsi di distocia di spalla è ilricorso al taglio cesareo elettivo nei casi di sospetta macrosomia. Se consideriamo da un la-to la bassa accuratezza della stima peso ecografica, dall’altro la percentuale comunque limita-ta di neonati macrosomi che va incontro a distocia di spalla e, ancor più, alle sue sequele per-manenti, risulta evidente come una politica improntata al ricorso al taglio cesareo elettivo nonpossa che comportare un incremento sproporzionato del tasso di interventi in rapporto al-le distocie di spalla evitate. In un’analisi costo-beneficio pubblicata nel 1996 su Jama, Rouse ecoll hanno infatti calcolato come il ricorso al taglio cesareo per stime peso maggiori di 4000-4500 gr in donne non diabetiche porterebbe all’esecuzione di 2345-3645 interventi per ognicaso di danno permanente evitato. Tale proporzione sarebbe più favorevole in presenza didiabete materno, laddove, per i medesimi cut-off di peso stimato, 443-489 cesarei si rende-rebbero necessari a prevenire un caso di danno permanente. Per quanto non esista al mo-mento un consenso su quale sia la soglia di interventi proponibile a tal fine, raccomandazio-ni al riguardo vengono comunque proposte. Nel bollettino 2002 sulla distocia di spallal’ACOG conclude che il taglio cesareo profilattico può essere preso in considerazione per sti-me peso superiori ai 5000 gr nelle gestanti non diabetiche e sopra i 4500 gr nelle diabetiche.

Nessuna certezza giunge quindi a sostegno della scelta clinica nei casi a rischio per il ve-rificarsi di distocia di spalla.Tale scelta andrà quindi inquadrata nell’ambito di protocolli di ma-nagement condivisi all’interno di ogni Istituto, ponderata sulla base delle caratteristiche pro-prie di ogni singolo caso e discussa con la paziente al fine di giungere ad una decisone con-divisa e consapevole.

ManagementSe quindi non siamo in grado di prevedere e prevenire la distocia di spalla, dobbiamo tut-

tavia evitare che il suo verificarsi ci colga impreparati. Innanzitutto, incapacità di predire il ve-rificarsi di tale evento non significa ignorare la presenza di fattori di rischio. In tutti i casi in cuici si trovi di fronte, ad una donna in travaglio con supposto rischio clinico di distocia di spal-la è opportuno allertare il personale più esperto e pensare anticipatamente alla sequenza di

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Distocia di spalla

manovre da attuare qualora l’evento si verifichi.Alcuni Autori suggeriscono in questi casi l’ado-zione profilattica della posizione di Mc Roberts in espulsivo. Altrettanto importante risulta lacapacità di riconoscere prontamente i segni della distocia di spalla, che tipicamente è carat-terizzata dall’affiorare di guance e mento alla rima vulvare, con successiva retrazione del men-to e mancata rotazione esterna dell’estremo cefalico. Quest’ultimo, nei casi più severi, si riti-ra parzialmente in vagina dando esito al cosiddetto “segno della tartaruga”. E’ in questo con-testo che le normali manovre di assistenza al disimpegno delle spalle falliscono ed è proprioin questa situazione di emergenza che risulta fondamentale agire con calma, metodo ed or-ganizzazione, e disporre di un piano d’azione non solo individuale, ma anche e soprattutto digruppo. Un’azione d’equipe ben concertata può talora fare la differenza.

Il primo passo da attuare consiste nel chiamare in aiuto il personale necessario a fronteg-giare l’emergenza. Dovranno essere allertati il medico ostetrico e l’osterica più esperti nel te-am, il neonatologo e l’anestesista. Sarà inoltre necessaria la presenza di almeno due figure pro-fessionali di aiuto nell’attuazione delle manovre d’assistenza e nel controllo e registrazione ditempi e sequenza delle manovre utilizzate. Il medico più esperto avrà il compito di dirigere ilteam, mentre la gestante ed il partner andranno rapidamente informati su quanto si sta ve-rificando e invitati alla collaborazione. È importante che la reazione al verificarsi della distociadi spalla sia supportata dalla massima freddezza emotiva e improntata ad un’azione di tipocontro-istintuale, che deve evitare l’impulso alla trazione eccessiva, alla torsione sull’estremocefalico ed alla pressione sul fondo dell’utero.Tali manovre sono infatti gravate da rischi piùelevati di traumatismo sulla madre e sul feto, e sono, dal punto di vista fisiopatologico, con-trarie alla logica e pertanto spesso inefficaci. L’eccessiva trazione verso il basso esercitata sul-l’estremo cefalico sembra infatti essere la causa più comune di danno iatrogeno a carico delplesso brachiale. Allo stesso modo la pressione fundica (manovra di Kristeller) è risultata nel77% dei casi causa di complicanze, non solo materne, ma anche fetali, specie di tipo neuro-logico ed ortopedico. Più efficace sembra invece essere l’applicazione della forza in modo gra-duale e continuo.

Le manovre utilizzate per risolvere la distocia di spalla si fondano essenzialmente su treprincipi d’azione. Alcune inducono un aumento delle dimensioni funzionali della pelvi (mano-vra di Mc Roberts, manovra di Gaskin), altre si basano sulla capacità di ridurre il diametro bi-sacromiale del feto attraverso il movimento di adduzione della spalla verso il torace (mano-vre di Rubin I e II) o di modificare il rapporto tra diametro bisacromiale e pelvi ossea (ma-novre di rotazione interna), nel tentativo di ruotare le spalle spostandole dal diametro ante-ro-posteriore dell’ingresso pelvico a quello obliquo, più favorevole. Nessuna di tali manovreha dimostrato un’efficacia significativamente superiore alle altre. La sequenza con cui questeverranno applicate dipende pertanto dalla scelta e dalle abitudini dell’operatore, nonchè daiprotocolli d’azione stabiliti da ogni singolo Istituto, possibilmente sperimentati in periodichesimulazioni dell’emergenza in questione. È invece importante che le manovre vengano ese-

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Distocia di spalla

guite in modo appropriato ed efficiente, evitando di persistere troppo a lungo su una singo-la manovra quando questa si riveli inefficace. Il giudizio clinico guiderà la progressione delleprocedure usate.

Analizziamo brevemente le manovre disponibili per risolvere la distocia di spalla.

Manovra di Mc Roberts (Figura 1)Consiste nell’iperflessione, extrarotazione ed abduzione delle cosce della paziente, che de-

ve trovarsi in posizione supina su superficie piana.Tale manovra determina la rotazione dellasinfisi pubica verso l’alto e l’appianamento del tratto lombo-sacrale della colonna vertebrale,facilitando la discesa della spalla posteriore sotto il promontorio sacrale. La conseguente fles-sione della colonna vertebrale fetale verso la spalla anteriore può aiutare a liberare quest’ul-tima dall’impatto contro la sinfisi pubica. Inoltre, la riduzione dell’angolo di inclinazione dellapelvi determina uno spostamento del piano di ingresso pelvico che diventa perpendicolare aquello delle forze espulsive. Studi sperimentali hanno dimostrato che in questo modo si ridu-ce la forza applicata per estrarre le spalle ed è minore lo stiramento a carico dl plesso bra-chiale. Proprio tali studi hanno inoltre dimostrato che l’applicazione lenta e graduale della for-za permette di contenere il danno rispetto a trazioni di pari entità applicate in modo rapidoe brusco.

I tassi di successo descritti per questa manovra variano tra il 39 ed il 42% quando utiliz-zata come unico presidio, salendo al 54 - 58% quando combinata con la pressione sovrapu-bica. Per la semplicità di esecuzione, la bassa traumaticità sulla madre e sul feto e la buona ef-ficacia nel risolvere i casi lievi-moderati di distocia di spalla, la manovra di Mc Roberts è dal-la maggior parte degli Autori utilizzata e raccomandata come primo presidio terapeutico.

Figura 1. Manovra di Mc Roberts

Pressione sovrapubicaComunemente utilizzata in combinazione con la manovra di Mc Roberts al fine di aumen-

tarne l’efficacia, l’applicazione di pressione in sede sovrapubica può essere utile a dislocare laspalla anteriore impattata contro la sinfisi materna.Tale pressione può essere applicata in di-rezione antero-posteriore (tecnica di Mazzanti) o laterale (tecnica di Rubin), quest’ultima da

preferire per la sua capacità di provocare l’adduzione, e quindi la riduzione, del diametro bi-sacromiale. La tecnica di Rubin prevede una preliminare valutazione della posizione del dor-so fetale, e quindi l’applicazione della pressione sul lato posteriore della spalla anteriore delfeto, con un movimento del polso dell’operatore laterale e verso il basso, in tutto simile al ci-clo compressione/rilascio utilizzato durante il massaggio cardiaco (Figura 2).

Figura 2. Pressione sovrapubica (manovra di Rubin I)

Manovre di rotazione internaComunemente successivo al tentativo di risoluzione della distocia di spalla con le mano-

vre esterne, minimamente traumatiche, sopra descritte, è il ricorso a manovre di rotazioneinterna. In questo contesto può rendersi necessaria l’esecuzione di un’episiotomia, che, perquanto inefficace nel risolvere la distocia, può essere tuttavia utile presidio nel garantire al-l’operatore un maggiore spazio di manovra. Anche per le manovre di rotazione interna, nonesiste un ordine preferenziale di esecuzione, dipendendo quest’ultimo dalla valutazione “in fie-ri” da parte dell’operatore.

Manovra di Rubin IIConsiste nell’applicazione di una pressione diretta sulla spalla anteriore del feto per mez-

zo di due dita dell’operatore poste in vagina a raggiungere il lato posteriore della spalla, chein questo modo viene ruotata, con un movimento di adduzione, verso il torace fetale (Figura3). Si riduce così il diametro bisacromiale e, allo stesso tempo, ruotando le spalle verso il dia-metro obliquo dell’ingresso pelvico, si favorisce il loro impegno.Tale manovra, per quanto lo-gica sul piano fisiopatologico, risulta tuttavia spesso tecnicamente difficoltosa per la ristrettez-za degli spazi a disposizione e l’impossibilità di raggiungere la spalla anteriore, che si trova aldi sopra della sinfisi pubica.

Figura 3. Manovra di Rubin II

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Distocia di spalla

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Distocia di spalla

Manovra di Woods (Woods screw manouvre)Nel 1943 Woods, utilizzando per lo studio dei rapporti tra le spalle fetali ed il bacino ma-

terno un modello in legno, formulò l’ipotesi che un meccanismo analogo a quello dell’avvita-mento potesse regolare la discesa delle spalle del neonato nella pelvi. Queste ultime, pur nonriuscendo a discendere per semplice trazione o spinta dall’alto, potevano infatti essere age-volmente ruotate di 180° con un movimento di “svitamento” tale da permettere l’attraver-samento della pelvi senza trauma. Su queste basi Woods sviluppò la sua tecnica di estrazio-ne, per cui, ponendo due dita in vagina ed esercitando una pressione sul lato anteriore dellaspalla posteriore, questa viene ruotata ed estratta una volta raggiunto il diametro obliquo odopo rotazione completa di 180° (Figura 4). In questo ultimo caso, la spalla posteriore si por-ta sotto la sinfisi pubica ed il movimento di rotazione si accompagna alla sua discesa ed estra-zione agevole, cui segue quella della spalla anteriore, ora divenuta posteriore, precedentemen-te bloccata al di sopra della sinfisi e discesa al di sotto di questa durante il movimento di “av-vitamento” delle spalle fetali.

Figura 4. Manovra di Woods

Tale manovra causa tuttavia l’abduzione della spalla fetale posteriore, provocando un in-desiderato ampliamento del diametro bisacromiale. Per tale ragione Rubin ha proposto, a mo-difica della tecnica di Woods, la cosiddetta “manovra di Woods inversa”, in cui la pressioneviene esercitata sul lato posteriore, anzichè anteriore, della spalla posteriore, portando all’ad-duzione della spalla stessa con riduzione del diametro bisacromiale (Figura 5).

Figura 5. Manovra di Woods inversa

Estrazione del braccio posteriore (manovra di Jacquemier)Ammesso che la spalla posteriore sia discesa nella concavità sacrale, è usualmente possi-

bile procedere all’estrazione del braccio posteriore. A tal fine, la mano dell’operatore vieneinserita profondamente in vagina lungo la concavità sacrale, raggiungendo la spalla e l’omero

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Distocia di spalla

del braccio posteriore del feto, che viene seguito fino a livello del gomito. Quest’ultimo vie-ne quindi flesso, consentendo di afferrare l’avambraccio e, se possibile, la mano, che vengonotrascinati all’esterno scivolando lungo il torace ed il viso del feto (Figura 6). Dopo la fuoriu-scita del braccio posteriore, la spalla anteriore può diventare accessibile per l’estrazione. Incaso contrario, sostenendo la testa ed il tronco del neonato, si procede alla loro rotazione di180°, che porta alla discesa della spalla anteriore al di sotto dell’ingresso pelvico, fino alla con-cavità sacrale, dove diventa accessibile per l’estrazione.Tali manovre possono essere associa-te alla frattura dell’omero e della clavicola, danni che tuttavia si risolvono senza sequele.

Figura 6. Manovra di Jacquemier (estrazione del braccio posteriore)

Cambiamento di posizione: Manovra di Gaskin (posizione carponi)La posizione carponi, da sempre adottata durante il travaglio ed il periodo espulsivo, è sta-

ta suggerita come utile misura atta a risolvere la distocia di spalla grazie all’esperienza diun’ostetrica statunitense che ne aveva osservato l’utilizzo da parte delle ostetriche indigeneguatemalteche.

Le basi teoriche a supporto dell’efficacia di tale manovra si fondano sulla sua capacità diampliare di 1-2 cm il diametro sagittale dell’ingresso pelvico sfruttando la flessibilità dell’arti-colazione sacro-iliaca, al contrario di quanto si verifica per la posizione litotomica in cui la mo-bilità posteriore del sacro risulta limitata.Allo stesso tempo, essa è in grado di sfruttare al me-glio la forza di gravità, che promuove in questa posizione la discesa della spalla posteriore aldi sotto del promontorio sacrale. Proprio la spalla posteriore fuoriesce in questo caso perprima, dopo modesta trazione sull’estremo cefalico fetale. È inoltre possibile in questa posi-zione mettere in atto tutte le manovre già descritte di rotazione interna ed estrazione delbraccio posteriore fetale.

Una casistica relativa all’analisi di 82 casi così trattati ha dimostrato un successo dell’83%,con un tempo medio di 2-3 minuti per l’espletamento del parto.

Il tasso di complicanze materne e neonatali si è rivelato in questi casi estremamente bas-so (1.2% e 4.9% rispettivamente). La relativa “innocuità” di tale intervento ed il suo elevatotasso di successo ne suggeriscono la sua applicazione in caso di fallimento delle tecniche di

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Distocia di spalla

uso più comune, benchè l’esperienza relativa all’utilizzo di questa tecnica sia al momento li-mitata.

Figura 7. Manovra di Gaskin

Manovre di “ultimo ricorso”Quando le manovre precedentemente descritte, eseguite in modo appropriato, fallisco-

no, la situazione si fa critica. In questi casi il tipo di distocia di spalla che l’operatore si trovaad affrontare è infatti di grado severo, spesso caratterizzato dalla mancata discesa al di sottodell’ingresso pelvico di entrambe le spalle, che risultano pertanto non raggiungibili da partedell’operatore, con conseguente impossibilità di attuazione di tutte le manovre interne. Sonostate proposte, nel tentativo di risolvere queste circostanze disperate, alcune manovre altret-tanto estreme, la più nota ed utilizzata delle quali è la manovra di Zavanelli.

Riposizionamento cefalico (manovra di Zavanelli)Una sequenza inversa a quella fisiologica di espulsione della testa fetale viene messa in at-

to dall’operatore al fine di riposizionare in vagina l’estremo cefalico. A tal fine, quest’ultimoviene afferrato, intraruotato, flesso e quindi risospinto in vagina, anche se talora la testa ten-de, una volta ruotata, a ritirarsi spontaneamente all’interno del canale del parto (Figura 8). Atale riposizionamento fa seguito l’estrazione del neonato mediante taglio cesareo. AlcuniAutori consigliano l’utilizzo di tocolisi o di miorilassanti durante la manovra. Per quanto con-siderato da molti un approccio eccessivamente radicale alla distocia di spalla, la manovra diZavanelli ha tuttavia dimostrato nelle casistiche disponibili in letteratura una buona perfor-mance. L’analisi di Sandeberg su un’esperienza maturata in 12 anni ha infatti rilevato un tas-so di successo del 92%. Nel 70% dei casi la manovra, per lo più effettuata da operatori sen-za precedente esperienza, veniva descritta come agevole. Se il riposizionamento avviene intempi rapidi, l’ossigenazione fetale sembra inoltre mantenersi soddisfacente per tempi varia-bili dai 30 ai 70 minuti, con Apgar buoni alla nascita. Similmente, O’Leary e coll. hanno ripor-tato, su 59 casi di applicazione della manovra di Zavanelli, un tasso di successo molto alto (so-lo 6 casi andati incontro a fallimento), per lo più senza eccessiva morbidità materno-fetale.Tuttavia, nei pochi casi andati incontro a complicanze, queste sono risultate severe, includen-do, 3 morti perinatali, 4 casi di convulsioni neonatali, 5 di paralisi permanente del plesso bra-chiale e 3 casi di isterectomia post-partum conseguente a rottura d’utero. Descritti in lette-

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Distocia di spalla

ratura sono inoltre il possibile verificarsi di danni cerebrali permanenti, un aumentato rischiodi emorragia materna severa e di infezioni post-operatorie.

Nonostante i rischi ed i dubbi relativi al ricorso a questa manovra, esperienze crescenti epareri autorevoli sembrano comunque suggerire che essa possa essere presa in considera-zione, come “ultima spiaggia”, nei casi refrattari all’applicazione delle manovre tradizionali, ri-correndovi comunque tempestivamente, in modo da evitare tempi di latenza troppo prolun-gati e tentativi eccessivamente traumatici di estrazione vaginale. In caso di fallimento del ten-tativo di rotazione interna ed estrazione delle spalle fetali, quando all’esame clinico la spallaposteriore non sia discesa al di sotto del promontorio sacrale, il ricorso al riposizionamentocefalico può forse essere l’unica ed ultima risorsa disponibile.

Figura 8. Manovra di Zavanelli

CleidotomiaNumerose review sull’approccio alla distocia di spalla annoverano tra le misure possibili il

ricorso alla frattura intenzionale della clavicola del feto. Non sono tuttavia disponibili casisti-che relative alla performance di tale intervento. Nonostante la frattura della clavicola si veri-fichi accidentalmente in alcuni casi di distocia di spalla, è tuttavia nella pratica difficile riusciredeliberatamente a realizzarla. È inoltre presente in tale circostanza un potenziale rischio ditrauma a carico del sottostante fascio vascolare succlavio, nonchè di creazione di un pneu-motorace iatrogeno.Tale manovra andrebbe pertanto riservata solo ai casi in cui la morte delfeto sia già sopraggiunta o quando questo presenti anomalie malformative incompatibili conla vita.

Salvataggio addominaleUn approccio alternativo è stato descritto per i casi, fortunatamente rari, in cui tutte le

manovre, inclusa quella di Zavanelli, falliscono. Si tratta del ricorso al taglio cesareo, che con-sente alla spalla anteriore di “saltare fuori” attraverso l’incisione trasversale sull’utero e di es-sere successivamente ruotata in direzione del diametro obliquo della pelvi. Ciò permette diampliare lo spazio disponibile alle manovre di estrazione del braccio posteriore, che vienetrascinato all’esterno per via vaginale, con successiva espulsione attraverso il canale del par-to dell’intero corpo fetale.

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Distocia di spalla

SinfisiotomiaTal procedura, in grado di ampliare del 25% le dimensioni del bacino e largamente in uso

in alcuni Paesi in via di sviluppo per casi selezionati di sproporzione feto-pelvica, è stata pro-posta come possibile soluzione a casi estremi di distocia di spalla.Tuttavia, non vi sono casi-stiche sufficientemente ampie che analizzino il ricorso a tale intervento a questo fine. I pochidati disponibili derivanti da tentativi di utilizzo della sinfisiotomia in Paesi industrializzati ripor-tano inoltre complicanze severe sia materne che neonatali. Considerata la scarsa familiaritànell’esecuzione di tale intervento, sembra comunque impossibile proporre il ricorso alla sin-fisiotomia nel mondo occidentale.

Sequenza d’azionePer quanto, come già precedentemente accennato, non esista una sequenza d’applicazio-

ne delle manovre sopra descritte significativamente più efficace, numerosi sono tuttavia gli ap-procci sistematici proposti per risolvere la distocia di spalla. Questi pur differenziandosi perl’ordine temporale in cui le singole manovre vengono applicate, si riconducono tutti alla pri-ma e fondamentale necessità di agire sulla base di una sequenza logica codificata e condivisadal team, mantenendo nell’emergenza una sufficiente dose di calma e razionalità. Sono di se-guito riportati alcuni esempi di approccio sequenziale proposti a questo scopo, descritti neltesto edito dal Royal College of Obstetrics and Gynaecology britannico sul management del-l’emergenza ostetrica.

L’Advanced Life Support in Obstetrics (ALSO) utilizza un acronimo facilmente memorizza-bile per guidare il management clinico in tale situazione:

HELPERRH - Help: chiamare aiutoE - Evaluate for episiotomy: valutare l’opportunità di un’episiotomiaL - Legs: manovra di Mc RobertsP - Pressure: pressione sovrapubicaE - Enter : ricorso alle manovre di rotazione internaR - Remove the posterior arm: estrazione del braccio posterioreR - Roll: adottare la posizione carponi

Un simile approccio mnemonico viene proposto da Magowan:PALE SISTERP - Prepare - have a plan: prepararsi all’evento e disporre di un piano d’azioneA - Assistance: chiamare assistenzaL - Legs: manovra di Mc RobertsE - Evaluate for episiotomy: valutare l’opportunità di un’episiotomia

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Distocia di spalla

S - Suprapubic pressure: pressione sovrapubicaI - Internal rotation: manovra di WoodsS - Screw: manovra di Woods inversaT - Try recovering postetrior arm: estrazione del braccio posterioreE - Extreme measure: misure estreme (Zavanelli, salvataggio addominale)R - Repair, record and relax

Di fondamentale importanza è, al termine dell’accaduto, la corretta documentazione, chedeve riportare tempi d’azione e manovre utilizzate, nonché un elenco del personale presen-te e, possibilmente, la valutazione del pH fetale eseguita sul funicolo alla nascita.

Sarà inoltre opportuno dedicare il tempo necessario a rivedere con i genitori quanto ve-rificatosi e a discutere con essi la prognosi del neonato.

ConclusioniRisulta evidente come la distocia di spalla sia una di quelle situazioni d’emergenza ostetri-

ca in cui mancano evidenze certe sulla capacità di predizione, sui mezzi di prevenzione e sulmanagement più appropriato. Le raccomandazioni possibili in questo campo sono quindi ba-sate sull’esperienza e su dati derivanti da studi osservazionali.Alcuni principi consistenti emer-gono tuttavia da tali dati. In primo luogo, non esistono fattori sufficientemente sensibili e spe-cifici da poter essere utilizzati nella pratica clinica per predire e prevenire il verificarsi di taleevento. La presenza di fattori di rischio cumulativi può tuttavia giustificare, in casi selezionati,il ricorso al taglio cesareo elettivo o all’induzione profilattica del travaglio di parto.

In secondo luogo, proprio perché la distocia di spalla si verifica in modo imprevedibile, ènecessario disporre di un piano d’azione logico e condiviso all’interno di ogni Istituto, che per-metta di essere preparati a far fronte all’emergenza nel migliore dei modi. A tal fine sembraraccomandabile l’organizzazione di periodiche sedute teorico-pratiche di training del perso-nale di sala parto, con simulazione della situazione d’emergenza, al fine di testare la rispostadel team a quest’ultima, mantenendo il necessario “allenamento mentale” dei comportamen-ti da tenere quando essa si presenta.

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75GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2244DIABETE IN GRAVIDANZA 55

L’ECOGRAFIA NELLE GRAVIDANZEDIABETICHEG. D’Ottavio, M. Bernardon, S. Inglese,T. Stampalja, M.Vessella, G. Rizza, A. CandiottoUnità di diagnosi prenatale ed ecografia, Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

È stato stimato che circa l’1% della popolazione generale delle donne in età riproduttiva,ha un diabete manifesto e che circa in un quarto dei casi si tratta di diabete insulino dipen-dente (IDDM). Inoltre il 2-5% delle donne non diabetiche, sviluppa in gravidanza una formatemporanea di diabete, chiamata diabete gestazionale: le donne maggiormente a rischio so-no le obese o quelle di età superiore ai 35 anni, con storia familiare di diabete e/o che ab-biano già avuto un figlio di peso superiore ai 4000 grammi alla nascita. Questa forma di dia-bete, generalmente regredisce dopo la gravidanza, anche se il 30-40% di queste donne svi-lupperà un diabete di tipo 2 dopo 5-10 anni (specialmente in caso di obesità)1.

Il diabete materno causa problemi fetali a vari livelli, e l’ecografia riveste un ruolo signifi-cativo nella diagnosi e nella gestione clinica della fetopatia diabetica nelle sue varie forme:

- malformazioni congenite- macrosomia fetale- mortalità perinatale- alto rischio per distress respiratorio- ritardo di crescita intrauterino, nelle pazienti diabetiche con vasculopatia.

Il contributo dell’ecografia è dunque essenziale nella:- Stima dell’epoca gestazionale- Valutazione delle malformazioni congenite- Valutazione della crescita- Diagnosi e monitoraggio del polidramnios- Valutazione dello stato di salute fetale.

Stima dell’epoca gestazionaleIl vantaggio di una stima accurata dell’epoca gestazionale è evidente per ciascuna gravi-

danza, ma diventa cruciale nelle gravidanze diabetiche, al fine della corretta interpretazionedei test biochimici di screening, della valutazione dei pattern di crescita, del timing degli even-tuali esami invasivi e del parto.

76 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

I parametri biometrici utilizzati variano a seconda dell’epoca gestazionale, con la regola chequanto più è precoce la valutazione tanto più accurata è la datazione2.

Il diametro medio del sacco gestazionale è utilizzabile dalla 5a alla 7a settimana con unaaccuratezza di ± 3,5 giorni (95° CL).

La lunghezza cranio-caudale (CRL), misura più ampiamente documentata in letteratura, hauna accuratezza di ± 3-5 giorni e viene generalmente utilizzata dalla 7a alla 12a settimana3.

Il diametro biparietale è il parametro biometrico di datazione a partire dalla 12a settima-na praticamente fino a termine, con sensibili variazioni di accuratezza rispetto all’epoca di va-lutazione, poiché le dimensioni della testa sono prevalentemente determinate dallo sviluppodel cervello, e meno risentono dei processi responsabili di un eventuale ritardo di accresci-mento.

La sua predittività infatti passa da ± 1,1 settimane tra la 14a e la 20a settimana, a ± 1,6 set-timane tra 20-26 settimane, a ± 2,4 settimane a 26-30 settimane ed è di ± 3-4 settimane do-po la 30a settimana. Combinando al DBP, l’occipito-frontale (OFD) si ottiene, mediante for-mula, la circonferenza cranica (CC), che risente meno del DBP della forma della testa e quin-di risulta un parametro leggermente più accurato di datazione, soprattutto dopo la 20a setti-mana.

L’accuratezza della lunghezza del femore (FL) è paragonabile a quella del DPB, dalla 14a

alla 20a settimana, successivamente il suo valore si riduce in quanto risente maggiormente del-le variazioni di crescita intrauterina.

Ricapitolando:Accuratezza per epoca gestazionale

EPOCA 5a-7a sett 7a-13° sett 14a-20a sett 20a- 26a sett 26a-30a settDMSG ± 3, 5 ggCRL ± 3 - 5 ggDBP/CC ± 1,1 sett ± 1,6 sett ± 2,4 settFL ± 1,1 sett

Valutazione delle malformazioni congeniteNella popolazione generale, la frequenza di anomalie congenite maggiori è dell’1-3% dei

nati vivi. Nelle donne con diabete conclamato e controllo glicemico subottimale prima del-la gravidanza, la probabilità di anomalie strutturali è aumentata di 4-8 volte.

La presenza di malformazioni congenite è la causa principale di mortalità e morbilità pe-rinatale delle gravidanze diabetiche. È stato ipotizzato che il controllo del diabete nelle pri-me 7 settimane di vita intrauterina sia cruciale per la prevenzione di queste anomalie strut-turali, poiché questo è il periodo dell’organogenesi4.

MISURA

77GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

La maggior parte delle lesioni riguarda il sistema nervoso centrale e l’apparato cardiova-scolare. Il fatto che non vi sia un aumento di difetti congeniti in figli di padri diabetici, don-ne prediabetiche, e donne che svilupperanno diabete gestazionale dopo il primo trimestreè importante per poter affermare che il controllo glicemico periconcezionale sia il fattoreprincipale nella genesi dei difetti congeniti correlati al diabete5.

Quando la frequenza delle anomalie congenite viene correlata al tasso dell’emoglobinaglicosilata, nei casi in cui è normale o non superiore all’8.5% il tasso di malformazioni noneccede il 3.4%, mentre nelle pazienti con cattivo controllo glicemico nel periodo periconce-zionale (HbA1C >8.5%) il tasso sale fino a 22.4%. Un tasso generale di 13.3% è stato ripor-tato in 105 pazienti diabetiche, ma la probabilità di partorire un figlio con malformazioni con-genite è comparabile a quello delle gravidanze normali, quando la concentrazione di HbA1Cera inferiore al 7%6.

È importante pertanto stabilire un controllo alimentare e metabolico in fase preconfe-zionale, poiché i difetti congeniti vengono determinati nelle prime 3-6 settimane dopo il con-cepimento.Trials clinici di metabolic care, hanno dimostrato che un normale tasso di malfor-mazioni può essere ottenuto, con un attento controllo glicemico periconcezionale7.

ANOMALIE CARDIACHEL’incidenza di malformazioni cardiache è più alta nel gruppo della madri in trattamento

insulinico all’epoca del concepimento. I nati da madri diabetiche sviluppano spesso proble-mi respiratori che devono essere differenziati dai problemi cardiovascolari, che possono fre-quentemente avere (anomalie strutturali e cardiomiopatia ipertrofica) e dallo scarso adat-tamento alla vita extrauterina di cui spesso soffrono8.

1. Anomalie strutturaliIl 5% dei nati da madri diabetiche presentano una malformazione cardiaca. Il rischio re-

lativo più elevato si ha se la madre ha un diabete gestazionale e sviluppa insulino-resistenzanel III trimestre.

Alcuni studi hanno dimostrato, usando i valori di HBA1c come indicatore del controllodiabetico materno, che non esiste una correlazione significativa tra le malformazioni ed il con-trollo diabetico, benché si pensi che proprio l’alterazione metabolica materna sia responsa-bile del tasso più elevato di queste malformazioni.

I difetti cardiaci più frequentemente riscontrati includono: i difetti del setto interventri-colare, la trasposizione dei grossi vasi e la stenosi aortica. Relativamente frequenti sono pu-re il truncus arteriosus e il ventricolo destro a doppia uscita.

2. Cardiomiopatia ipertroficaMentre una cardiomiopatia ipertrofica sintomatica si riscontra nel 12,1% dei nati di ma-

78 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

dre diabetica, se cercata routinariamente con ecocardiografia, viene rilevata nel 30% dei ca-si. La massa e la contrattilità del ventricolo sinistro sono aumentati, e c’è una ostruzione altratto di efflusso sinistro con apposizione del lembo anteriore della mitrale al setto inter-ventricolare, durante la sistole. L’output cardiaco è significativamente ridotto, secondariamen-te alla riduzione del volume di eiezione ed è direttamente proporzionale al grado di iper-trofia del setto.

Questo ingrossamento asimmetrico, con un setto sproporzionatamente ipertrofico all’api-ce, è il risultato anabolico dell’iperinsulinemia fetale, determinato dall’iperglicemia maternadurante il III trimestre. L’ipertrofia del setto è correlata con i livelli di emoglobina glicosilatamaterna, piuttosto che con la microsomia fetale.

Considerato che la frequenza delle malformazioni cardiache è del 5% nei feti di madrediabetica e poiché una ecocardiografia fetale mirata è in grado teoricamente di diagnostica-re il 90% delle cardiopatie congenite maggiori, il diabete rappresenta una delle indicazioniprincipali all’ecografia di secondo livello alla 20a e alla 32a settimana di gravidanza9.

MALFORMAZIONI SCHELETRICHE E DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALEI feti di madre diabetica sono a rischio aumentato per i difetti del tubo neurale (DTN);

infatti l’incidenza riportata di DTN nelle diabetiche è di 20:1000 contro 1-2:1000 nella po-polazione generale. In particolare l’anencefalia si riscontra in 1:200 feti di madre diabetica,che è tre volte la prevalenza nella popolazione delle non-diabetiche10.

La sindrome da regressione caudale o embriopatia diabetica focomelica, avviene in 2-5:1000 gravidanze diabetiche, con un tasso che è 200 volte superiore a quello che si riscon-tra nella popolazione generale. Si ritiene che un difetto nel mesoderma embrionario nella4a settimana di gestazione sia responsabile dell’ipoplasia o assenza delle strutture caudali.Trale anomalie encefaliche descritte vi è anche la microcefalia, benchè il meccanismo non sianoto.

ANOMALIE RENALIÈ descritta una incidenza aumentata di duplicazione ureterale, agenesia renale, uretero-

cele ed idronefrosi. L’agenesia renale con la relativa sequenza malformativa, è responsabiledella significativa mortalità in questa classe di anomalie11.

ANOMALIE GASTROINTESTINALILe anomalie fetali più frequentemente rilevate nelle gravidanze diabetiche sono: l’imper-

forazione anale, le atresie dell’intestino tenue, la sindrome del piccolo colon sinistro e l’atre-sia duodenale.Tra le anomalie minori ricordiamo, il situs viscerum inversum e l’arteria ombe-licale singola12.

79GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

Valutazione della crescita fetaleIl rischio più consistente per il figlio di madre diabetica è comunque una alterazione della

crescita, la macrosomia soprattutto o il ritardo di crescita intrauterino, in particolari situazioni.La macrosomia fetale è definita come peso alla nascita superiore ai 4500 grammi o supe-

riore al 90° percentile per una determinata epoca gestazionale. Il vecchio limite dei 4000 g èstato superato visto l’incremento degli ultimi anni dei pesi alla nascita fisiologici13.

Si pensa che l’eziologia della macrosomia sia determinata dall’iperinsulinemia fetale secon-daria all’iperglicemia materna. Quest’ultima stimola il pancreas fetale ad aumentare la produ-zione e la secrezione di insulina. La macrosomia fetale diabetica è caratterizzata da una dispa-rità del tasso di accrescimento dei vari tessuti. Il cervello non è sensibile all’iperinsulinismo equindi non mostra la caratteristica accelerazione della crescita del tronco. Il tronco fetale ten-de ad essere più grande della norma sia per la crescita dei visceri che per la deposizione ditessuto adiposo. Anche gli arti mostrano una deposizione di tessuto adiposo. Proprio questesono le caratteristiche biometriche per una diagnosi ecografica di macrosomia fetale14. Il bipa-rietale infatti non è significativamente più grande di quello dei feti di madre non diabetica, e ladiagnosi ecografica si basa soprattutto sulla misurazione della circonferenza addominale.

Circa il 50% dei feti di madre diabetica, mostrano una circonferenza addominale (misurataa livello del dotto venoso), al di sopra della seconda deviazione standard tra la 28a e la 39a set-timana, indicativa di una accelerazione dell’accrescimento fetale. Usando una ROC curve è sta-to stabilito che il cut off per definire l’eccessiva crescita è di 1,2cm/per settimana tra la 32a ela 39a settimana. La misura quindi della sola circonferenza addominale può aiutare nel porre ladiagnosi di macrosomia fetale. Gilby et al. hanno dimostrato che se la CA è inferiore a 35 cm,il rischio per un feto di avere un peso superiore a 4500 g è inferiore all’1%. D’altra parte se lacirconferenza è di 38 cm o più, il rischio e del 37%, e più del 50% di questi feti sono stai cosìidentificati15.

Esistono numerose formule ed indici, per la previsione del peso fetale, e quelle più sempli-ci danno risultati paragonabili a quelle più complesse, per quanto la maggior accuratezza si ot-tenga includendo anche la CA e la lunghezza del femore (FL)16.

L’errore medio di stima del peso fetale è superiore nei feti macrosomi, aggirandosi, a ter-mine, intorno al 15%, se lo confrontiamo con circa il 10% per i feti di peso normale. La pre-senza di diabete non cambia l’accuratezza della predittività. Field et al.17 hanno trovato che, in-dipendentemente dal peso della madre, quasi la metà delle previsioni di peso erano nell’am-bito del 5% rispetto al peso attuale18. Circa il 50-70% dei pesi stimati cadeva entro il 10% delpeso attuale, superando il cut off di 4000 g nel 95% dei casi in cui la stima era uguale o supe-riore ai 4000 g. La ripetizione delle misure, non sembra accrescere l’accuratezza, a differenzadella presenza del polidramnios. Sohaey18 ha riportato che il 28% dei feti con polidramniospresenta un peso alla nascita superiore al 90° percentile, mentre l’oligoamnios, virtualmenteesclude la macrosomia19.

80 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

Considerato che l’obesità fetale nelle diabetiche colpisce soprattutto il tronco, la distociadi spalle è la principale complicanza di questi feti, con un aumento dell’incidenza di questa pa-tologia di 1,5 fino a 4 volte in tutti i sottogruppi di peso alla nascita tra i 4000 e i 5000 g20.

Tuttavia 40-50% dei casi di distocia di spalla complicano la nascita di feti non-macrosomi,e 30-50% di tutti i casi di danni al plesso brachiale, avvengono senza distocia di spalla e in fe-ti non-macrosomi.

L’ecografia non è considerata abbastanza specifica nel predire la distocia di spalla, la sen-sibilità e la specificità non superano il 40 e il 75% rispettivamente, il che indicherebbe la ne-cessità di eseguire il taglio cesareo nel 25% delle pazienti per evitare soltanto il 40% delle di-stocie di spalla21.

Ci sono altre caratteristiche morfologiche che possono essere utilizzate per la diagnosiecografica di macrosomia fetale come l’eccessivo deposito di grasso sottocutaneo e la visce-romegalia22 (fegato in particolare).Tra le misurazioni proposte ricordiamo quella del tessutosottocutaneo omerale, ed il diametro guancia-guancia23. Al momento nessuna di esse sembraparticolarmente convincente o sufficientemente validata su ampie casistiche24.

Ancora oggi, la maggior parte degli studi conclude però che la valutazione clinica è para-gonabile all’ecografia nel predire il peso alla nascita a termine, specialmente quando è al disopra dei 4500 g25.

A differenza della macrosomia, il ritardo di crescita non è molto comune nella gravidanzadiabetica; quando è presente è dovuto all’insufficienza utero-placentare secondario ad una si-tuazione di vasculopatia. È stato postulato che il ridotto trasferimento dei nutrienti seconda-rio alla vasculopatia e la diminuzione della risposta dei tessuti all’insulina siano tra le cause del-la ridotta crescita in alcune gravidanze diabetiche.

PolidramniosIl polidramnios complica il 25% delle gravidanze in pazienti diabetiche manifeste, e il 13,4%

di quelle con diabete gestazionale. Il polidramnios si instaura più frequentemente nelle pa-zienti con cattivo controllo glicemico. La poliuria fetale, secondaria all’iperglicemia, sembra con-tribuire all’istaurarsi del polidramnios26.

Monitoraggio del benessere fetaleNumerosi studi sull’utilizzo del Doppler per lo screening e la diagnosi delle complicanze

fetali nelle gravidanze diabetiche hanno portato alle seguenti conclusioni:

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L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

1. Le resistenze al flusso nelle arterie uterine e nelle arterie ombelicali non sono correlateal controllo glicemico materno né a breve né a lungo termine27.

2. L’impedenza al flusso nelle arterie uterine è normale anche nelle pazienti con nefropatiao vasculopatia.Tuttavia un aumento delle resistenze, come nelle pazienti non diabetiche,identifica un gruppo ad alto rischio per gestosi e/o ritardo di crescita intrauterina28.

3. L’aumento delle resistenze nelle arterie ombelicali è associato alla gestosi e/o al ritardo dicrescita. Le evidenze sono contraddittorie rispetto al possibile aumento di impedenza nel-le gravidanze con vasculopatia29.

4. Non vi è evidenza di redistribuzione nella circolazione fetale con riduzione del PI nella ar-teria cerebrale media e aumento di PI nell’aorta discendente. Ciò dipende presumibilmen-te dal fatto che nel diabete, ci possono essere fluttuazioni acute nel pH fetale, poiché que-st’ultimo dipende dalla concentrazione del glucosio materno. Inoltre, a differenza dei ritar-di di accrescimento, gli squilibri metabolici possono produrre nel feto acidemia senza ipos-semia.Perciò, la classica ridistribuzione (brain sparing) osservata nell’ipossemia da insufficienza ute-

ro-placentare, può non essere evidente anche in feti fortemente compromessi. È importan-te quindi non farsi ingannare da un reperto normale flussimetrico nella valutazione dello sta-to di salute del feto di madre diabetica.

In conclusioneLa mortalità perinatale nelle gravidanze complicate da diabete è diminuita sensibilmente

negli ultimi anni. L’outcome in genere, è migliore quando il controllo glicemico è ottenuto infase preconcezionale ed in assenza di malattie vascolari materne.

Quindi il monitoraggio della gravidanza inizia molto precocemente e tutte le tappe deicontrolli clinico-strumentali sono ormai assolutamente validate e riconosciute dalle maggiorisocietà scientifiche di ostetricia e ginecologia31.

Per quello che riguarda l’ecografia lo schema proposto, mediato dalle evidenze della let-teratura, ha dimostrato anche nella nostra esperienza di coniugare l’efficacia dell’interventocon una ragionevole frequenza dei controlli.

Valutazione fetale- Screening su siero materno (sindrome di Down e Difetti tubo neurale) - Ecografia I trimestre (datazione)- Ecografia 18-22 settimane (malformazioni, ecocardiografia)- Ecografie dalla 28a settimana (crescita)- Dalla 28a settimana monitoraggio biofisico (Doppler- CTG...)

82 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’ecografia nelle gravidanze diabetiche

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84 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2244 DIABETE IN GRAVIDANZA66

TERAPIA INSULINICA DEL DIABETE IN GRAVIDANZAL. CattinServizio di Diabetologia e Malattie Metaboliche - S.C. III Medica, Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti di Trieste”

Dobbiamo distinguere 2 condizioni: il diabete che precede la gravidanza e il diabete gesta-zionale vero e proprio, in cui la diagnosi viene posta per la prima volta durante la gravidanza.Oltre al diabete vero e proprio si debbono includere altre 2 condizioni rappresentate dall’in-tolleranza agli idrati di carbonio (IGT) e dall’alterata glicemia a digiuno (IFG). In ogni caso, qua-lunque ne sia il tipo vi è generale consenso sul fatto di mantenere la glicemia entro variazionimolto strette rappresentate da un glicemia a digiuno inferiore a 95 mg% con variazioni po-stprandiali non superiori a 120 mg%. Questi obiettivi non si possono raggiungere se non conil fine bilanciamento di dieta, attività fisica e insulina. La dieta dovrebbe includere 3 pasti prin-cipali e 3 snack in modo da somministrare circa 30 kcal/kg di peso distribuite in 40-50% circadi carboidrati, 15-20% di proteine e 30-35% di grassi. L’insulina diviene necessaria quando lostile di vita non è in grado di mantenere le glicemie giornaliere entro i limiti indicati.

Terapia insulinicaL’insulina regolare è stata e continua ad essere la terapia di riferimento per ridurre le escur-

sioni glicemiche postprandiali. Presenta tuttavia il difetto di non riuscire a controllare in mo-do adeguato il picco iperglicemico postprandiale, anche quando sia somministrata almeno 40’prima, e il rischio di ipoglicemia 2-3 ore dopo i pasti.

Recentemente sono stati impiegati i cosiddetti analoghi dell’insulina, come lyspro o aspart,che offrono il vantaggio di un picco insulinemico rapido e di breve durata. Le preoccupazio-ni iniziali di aggravamento della retinopatia e di aumentato rischio di teratogenicità sono ca-dute alla luce degli studi più recenti che hanno analizzato casistiche sufficientemente ampie.Le insuline ad azione intermedia, come l’insulina NPH, formano il cosiddetto fondo insuline-mico che consente di mantenere costante la glicemia tra i pasti, la glicemia notturne e quel-la del cosiddetto “effetto alba”, che si manifesta con un aumento tra le 6 e le 9 am.

La dose giornaliera di insulina viene determinata sulla base del peso corporeo aggirando-si attorno a 0.5 U/kg nel primo trimestre, 0.75 U/kg nel secondo e 1.0 U/kg nel terzo trime-stre. Si tratta evidentemente di dosi soltanto indicative, essendo la dose giornaliera di insuli-na strettamente individuale, definita sulla base del fabbisogno reale.

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Terapia insulinica del diabete in gravidanza

Un’alternativa efficace per donne con diabete di tipo 1 è rappresentata dall’infusione con-tinua sottocutanea di insulina mediante pompa di infusione. Questo modo di somministrarel’insulina in gravidanza rappresenta probabilmente il mezzo che più si avvicina alla secrezionefisiologica con una riduzione significativa delle ipoglicemie giornaliere e il miglior controllo del-la glicemia postprandiale e dell’effetto alba.Tra gli svantaggi vanno tenuti presenti, oltre al co-sto elevato dello strumento, il rischio di chetoacidosi per interruzione dell’infusione e le infe-zioni nel sito di inserzione dell’ago.

La chetoacidosi rappresenta probabilmente la complicanza acuta più grave del diabete ingravidanza. Oltre alla somministrazione di adeguati volumi di liquidi e di elettroliti, per ridur-re i tempi di recupero è indicata l’infusione endovenosa di insulina partendo da un bolo di10 U, seguito dall’infusione costante di 0.15 U/kg/ora. La quantità di insulina infusa viene quin-di aggiustata sulla base delle glicemie orarie. Una volta ottenuto il controllo glicemico con re-gressione della chetonemia, si passa all’infusione sottocutanea di insulina regolare ogni 4 oreseguita dal ritorno alla terapia abituale.

La gestione della glicemia durante il parto non si discosta da quella suggerita durante qua-lunque intervento chirurgico. È importante mantenere la glicemia stabilmente al di sotto di100mg%, evitando episodi di ipo e/o iperglicemia materni, per minimizzare il rischio di ipogli-cemia neonatale. Per questo si preferisce ricorrere all’infusione continua di insulina certamen-te più agevole e sicura.

RiassumendoLe gravidanze complicate dal diabete dovrebbero essere gestite da un team multidiscipli-

nare comprendente il diabetologo con il compito di individualizzare la dieta e la somministra-zione insulinica. La combinazione di insulina ad azione rapida e di insulina ad azione interme-dia è quella che meglio ricalca la secrezione fisiologica di insulina. La pompa ad infusione rap-presenta un’eccellente alternativa in diabetiche ben motivate ed addestrate. In ogni caso è in-dispensabile mantenere la glicemia entro variazioni molto strette rappresentate da valori adigiuno inferiori a 95 mg% e postprandiali non superiori a 120 mg%.

Letture consigliate

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77 GRANDE PRETERMINE

PARTO PRETERMINE.IL RUOLO DELL’AMNIOCENTESIM.T. Gervasi, S. Qualizza, M. Zannol, G. Bracalente, G. FavalliUnita’ Operativa di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale “Ca’ Foncello”Treviso

IntroduzioneMolte evidenze della letteratura indicano la presenza di un’associazione tra invasione mi-

crobica della cavità amniotica, travaglio e parto pretermine1. L’infezione della cavità amnioticaè stata infatti descritta nel 21.6% delle pazienti con membrane integre e parto pretermine2.Essa è spesso di natura subclinica: infatti, i classici segni clinici di infezione quali febbre, dolen-zia uterina, perdite vaginali maleodoranti, tachicardia fetale e leucocitosi materna si verificanodi frequente tardivamente e sono presenti solo nel 12% dei casi2.

Gli studi microbiologici sul liquido amniotico possono pertanto rivelarsi fondamentali perla diagnosi.

L’identificazione precoce di un’infezione intrauterina è un obiettivo clinico certamente de-siderabile poiché è noto che i nati da madri con infezione intra-amniotica sono a più alto ri-schio di complicanze infettive e non2-5. Inoltre le pazienti con infezione hanno un rischio piùelevato di sviluppare corionamnioniti cliniche, rottura delle membrane ed endometriti puer-perali e di non rispondere alla terapia tocolitica1.

Fasi dell’infezione intrauterinaNormalmente la cavità amniotica è sterile, perciò l’isolamento di microorganismi dal liqui-

do amniotico costituisce l’evidenza di una invasione microbica. I microorganismi possono rag-giungere la cavità amniotica e il feto attraverso una delle seguenti vie:1. risalita dalla vagina e dalla cervice;2. diffusione ematica attraverso la placenta (infezione transplacentare);3. diffusione retrograda dalla cavità peritoneale attraverso le tube di Falloppio;4. introduzione accidentale nel corso di procedure invasive quali amniocentesi, villocentesi, ecc.

La via più comune di infezione intrauterina è quella ascendente2,6.È stato proposto un processo a quattro stadi per le infezioni intrauterine6.Il primo stadio consiste in un eccessivo sviluppo di microorganismi normalmente presen-

ti nella vagina o nella presenza di microorganismi patologici (es. Neisseria gonorrhoeae) nella

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

vagina, nella cervice od in ambedue. La vaginosi batterica potrebbe costituire una manifesta-zione precoce del primo stadio.

Una volta raggiunta la cavità intrauterina, i microorganismi colonizzano la decidua (StadioII). Una reazione infiammatoria localizzata porta alla deciduite e un’ulteriore estensione dellastessa determina la corionite.

L’infezione potrebbe poi interessare i vasi fetali (coriovasculite) o proseguire attraversol’amnios (amnionite) in cavità amniotica, portando all’invasione della cavità amniotica (stadioIII). La rottura delle membrane non costituisce un prerequisito per questo fenomeno, dal mo-mento che è stato dimostrato che i microorganismi sono in grado di attraversare le mem-brane integre.

Una volta raggiunta la cavità amniotica, i batteri potrebbero raggiungere il feto (stadio IV)tramite differenti vie d’accesso. L’aspirazione di liquido infetto da parte del feto potrebbe por-tare alla polmonite congenita. Otiti, congiuntiviti e onfaliti sono infezioni localizzate che si ve-rificano per diretta diffusione dei microorganismi dal liquido amniotico infetto. Una loro dif-fusione alla circolazione fetale potrebbe infine portare alla batteriemia ed alla sepsi.

Frequenza e microbiologia dell’infezione intrauterinaLa frequenza delle infezioni della cavità amniotica è diversa a seconda della presenza di

travaglio, di dilatazione cervicale e dello stato delle membrane fetali.Varia dallo 0.4% delle pa-zienti nel II trimestre di gravidanza al 51.5% delle pazienti con incompetenza cervicale2,7.

I batteri più comunemente isolati dalla cavità amniotica, nelle donne con minaccia di par-to pretermine e membrane integre ed in quelle con rottura prematura delle membrane so-no U. Urealyticum, Fusobacterium spp e M. hominis1-3,7,8.

Altri microrganismi individuati nel liquido amniotico sono Streptococcus Agalactiae,Peptostreptococcus spp, Staphylococcus aureus, Gardnerella vaginalis, Streptococcus viridans eBacteroides spp. Occasionalmente sono stati riscontrati Lactobacillus spp., Escherichia coli,Enterococcus faecalis, N. gonorrhoeae e Peptococcus spp. Sono stati raramente identificatiHaemophilus influenzae, Capnocytophaga spp. e Clostridium spp.

Nel 50% delle pazienti con invasione microbica è stato isolato più di un microorganismocontemporaneamente. La carica batterica varia in maniera considerevole e nel 71% dei casisono state riscontrate più di 100.000 UFC/ml.

Il ruolo della Chlamydia Trachomatis come agente patogeno intrauterino non è stato an-cora chiaramente delineato, probabilmente per la difficoltà di isolarlo dal liquido amnioticoutilizzando le tecniche di coltura standard.

L’uso della PCR per identificare specifiche sequenze del microorganismo potrebbe risul-tare utile alla soluzione di questo problema.Tale microorganismo è una causa importante di

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

cerviciti ed è stato isolato dal liquido amniotico. Un case report di polmonite congenita cau-sata dalla C.Trachomatis suggerisce che questo microrganismo potrebbe essere implicato nel-l’infezione ascendente intra-amniotica.

Il ruolo dei virus nell’eziologia delle corionamnioniti subcliniche e cliniche rimane non co-nosciuto. Al momento attuale non vi è sufficiente evidenza clinica e/o epidemiologica che leinfezioni virali intrauterine siano implicate nella genesi del parto pretermine.

Infezione batterica della cavità amniotica nelle pazienti con minaccia di partopretermine e membrane integre

Secondo i dati derivanti da una revisione della letterattura che ha preso in esame 33 stu-di, la percentuale di colture di liquido amniotico risultate positive per microorganismi, nellepazienti con minaccia di parto pretermine e membrane integre è del 12.8% (379/2963).Generalmente le donne con coltura positiva non hanno evidenza clinica di infezione al mo-mento dell’osservazione.Tuttavia sono più a rischio di sviluppare corionamnioniti clinicamen-te evidenti (37.5% vs. 9%), di insuccesso della terapia tocolitica (85.3% vs. 16.3%) e di rottu-ra spontanea delle membrane (40% vs. 3.8%) rispetto alle donne con coltura di liquido am-niotico negativa.

Molti studi hanno dimostrato che la quota di complicanze neonatali è superiore nei natida donne con un’infezione batterica della cavità amniotica; inoltre, tanto più precoce è l’epo-ca gestazionale al momento del parto, tanto più frequente è la presenza di infezione batteri-ca della cavità amniotica.

Infezione batterica della cavità amniotica nelle pazienti con PROMNelle pazienti con rottura prematura delle membrane la percentuale di colture di liquido

amniotico positive per microrganismi è all’incirca del 32%.Le corionamnioniti clinicamente evidenti sono presenti nel 30% delle pazienti con un’in-

fezione batterica accertata; tale percentuale è probabilmente sottostimata.Vi è evidenza chele donne con PROM associato a oligoamnios abbiano una elevata incidenza di infezione in-tra-amniotica.

Negli studi effettuati sulla infezione intrauterina associata a PROM una possibile fonte dierrore potrebbe derivare dal fatto che le donne con oligoamnios sono meno frequentemen-te sottoposte ad amniocentesi; inoltre le donne con PROM valutate in corso di travaglio noneffettuano solitamente l’amniocentesi ed hanno una percentuale più alta di infezione della ca-vità amniotica rispetto a quelle con PROM fuori travaglio (39% vs.25%).

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

Infezione batterica della cavità amniotica in pazienticon “incompetenza cervicale acuta”

Le donne che prima della 24a settimana presentano una dilatazione della cervice conmembrane integre e sporadiche contrazioni hanno, per definizione, una incompetenza cervi-cale. Il 51% di queste pazienti risulta con coltura di liquido amniotico positiva e successiva-mente sviluppa complicanze quali rottura di membrane, corionamnioniti clinicamente eviden-ti o perdita della gravidanza. Inoltre, l’infezione è frequentemente associata ad una incompe-tenza cervicale acuta.Tuttavia non è dimostrabile se l’infezione intra-amniotica sia la causa ola conseguenza della dilatazione cervicale. È possibile che una dilatazione cervicale clinicamen-te silente, con protrusione delle membrane in vagina, conduca secondariamente ad un’infe-zione intrauterina.

Diagnosi di infezione intrauterina mediante lo studio del liquido amnioticoRaccolta del liquido amniotico

La modalità di raccolta del liquido amniotico per effettuare analisi microbiologiche è mol-to importante. Le tecniche utilizzate sono l’amniocentesi transaddominale ed il prelievo tran-scervicale, che comporta la necessità di pungere le membrane o di aspirare attraverso un ca-tetere intrauterino. La raccolta di liquido amniotico transcervicale si associa ad un inaccetta-bile rischio di contaminazione con la flora vaginale ed è controindicata in caso di travagliopretermine e nelle pazienti non in travaglio con PROM. L’analisi del liquido amniotico costi-tuisce un metodo rapido per identificare uno stato infiammatorio intrauterino. Prelievi di li-quido amniotico sotto guida ecografica sono virtualmente possibili in tutte le pazienti con tra-vaglio pretermine con membrane integre ed in più del 90% delle pazienti con PROM.L’amniocentesi transaddominale rappresenta quindi il metodo di scelta per ottenere liquidoamniotico da queste pazienti.

Tests per la diagnosi di infezione della cavità amnioticaLa coltura di liquido amniotico rappresenta certamente il gold standard per la diagnosi di

infezione intrauterina.Tuttavia, anche in presenza di infezione intrauterina, la coltura può risul-tare falsamente negativa, ad esempio in caso di infezione virale. Inoltre i risultati delle colturemicrobiche possono richiedere giorni e non permettono di conseguenza decisioni rapide edimportanti sul piano clinico.

L’ecografia consente di effettuare prelievi di liquido amniotico potenzialmente in tutte lepazienti. L’identificazione della flogosi intrauterina può essere rapida e precisa mediante la de-terminazione della concentrazione di glucosio e citochine e la conta dei globuli bianchi nel li-quido amniotico.

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

Colorazione di GramLa colorazione di Gram è il test di diagnosi rapida più frequentemente usato per l’indivi-

duazione delle infezioni intraamniotiche ed è stato ampiamente utilizzato per prendere deci-sioni cliniche nelle pazienti a rischio per tali infezioni.

Alcuni aspetti tecnici dovrebbero essere presi in considerazione per ottenere risultati ot-timali con questo test. Lo striscio dovrebbe essere preparato con il liquido ottenuto diretta-mente dalla siringa poiché il tampone assorbe sia il liquido che le cellule riducendo quindi laprobabilità di osservare organismi in uno striscio o in coltura. L’uso di una citocentrifuga mi-gliora la concentrazione dei batteri nel sedimento e probabilmente permette una più facileidentificazione dei microrganismi.

La colorazione di Gram, utilizzata come mezzo diagnostico per la ricerca di infezione del-la cavità amniotica, mostra una sensibilità del 49.5% (196/396), una specificità del 97.5 %(1388/ 1423), un valore predittivo positivo del 79.4% (196/247) e un valore predittivo nega-tivo dell’87.4% (1387/1587)2-5,8,9. La sensibilità aumenta significativamente utilizzando un cut-off più elevato (>100.000 UFC/ml). È importante sottolineare come il Mycoplasma, frequen-temente isolato nel liquido amniotico di pazienti con travaglio pretermine con membrane in-tegre o con PROM, non sia evidenziabile all’osservazione con colorazione di Gram.

Leucometria Nel liquido amniotico delle donne fuori travaglio si trovano raramente granulociti neutro-

fili. La loro presenza indica l’esistenza di una reazione infiammatoria, solitamente causata dal-l’invasione microbica della cavità amniotica. Numerosi studi hanno esaminato la capacità del-la leucometria del liquido amniotico di identificare l’invasione microbica della cavità amnioti-ca in pazienti con travaglio pretermine e membrane integre e in pazienti con PROM.7,10,11. Inuno studio di 195 casi di minaccia di parto pretermine e membrane integre, sottoposti adamniocentesi per stabilire lo stato microbiologico della cavità amniotica, il riscontro di una leu-cometria superiore o uguale a 50 cellule/mm3 ha individuato una coltura positiva con una sen-sibilità dell’80% e una specificità dell’87.6%10. Sebbene la sensibilità sia più elevata rispetto al-la colorazione Gram (80% vs 48%, p < 0.05), la specificità è risultata inferiore (87.6% vs 98.8%,p <0.05); infatti, il numero di falsi positivi è piuttosto elevato (12.45%). Le pazienti con leuco-metria superiore o uguale a 50 cell/mm3 ma con coltura negativa sono comunque a rischiodi parto pretermine. Perciò, indipendentemente dai risultati delle colture, un’elevata leucome-tria nel liquido amniotico identifica un sottogruppo di pazienti a rischio di mancata rispostaalla tocolisi e candidate ad un parto pretermine. Queste pazienti possono avere un’infezionedella cavità amniotica che sfugge alla diagnosi con tecniche microbiologiche standard, oppu-re un processo non infettivo può aver causato un reclutamento di neutrofili nella cavità am-niotica. È stato proposto un diverso cut-off per la diagnosi di invasione microbica della cavi-tà amniotica nelle pazienti con PROM (30 cellule/mm3)4.

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

Concentrazione di glucosio nel liquido amnioticoIl dosaggio del glucosio è stato largamente utilizzato nella diagnosi d’infezione in altri flui-

di corporei (ad esempio nel liquido cerebrospinale, pleurico, sinoviale, ecc.)11. Questo dosag-gio non richiede un’interpretazione sofisticata da parte di personale particolarmente esper-to.

La concentrazione di glucosio nel liquido amniotico è significativamente più bassa in pa-zienti con infezione della cavità amniotica (identificata attraverso una coltura positiva di liqui-do amniotico o per la presenza di segni clinici d’infezione) e in pazienti con PROM che svi-luppano un’infezione clinica4,5,9.

Non è noto il meccanismo responsabile dell’abbassamento della concentrazione di gluco-sio in presenza di infezione; probabilmente è in relazione all’utilizzo di glucosio sia da partedei microorganismi sia da parte dei leucociti9.

La sensibilità e la specificità della concentrazione di glucosio per la diagnosi di infezione in-traamniotica variano rispettivamente dal 57% all’87% e dal 51% al 100% a seconda del cutoffutilizzato in vari lavori clinici.

Come nel caso della leucometria, il tasso di falsi positivi è piuttosto alto (dall’8% al 48%).

Concentrazione di IL-6 nel liquido amnioticoAppare sempre più evidente che il parto pretermine, in caso d’infezione, è associato a

drammatiche alterazioni nel liquido amniotico della concentrazione di numerose citochine,compresa l’IL-6.12 L’interleuchina-6 (IL-6) è uno dei maggiori mediatori implicati nella rispo-sta all’infezione e nel danno tissutale. Questa citochina è una glicoproteina prodotta da ungran numero di cellule, ed in particolare fibroblasti, monociti/macrofagi, cellule endoteliali, che-ratinociti e cellule stromali endometriali. L’espressione dell’IL-6 è indotta da diverse citochineassociate alla flogosi, tra cui IL-1, Tumor Necrosis Factor, interferoni, prodotti batterici, virus esecondi messaggeri (diacilglicerolo, AMP ciclico e calcio) che attivano uno dei tre maggioripercorsi di trasmissione del segnale.

L’IL-6 provoca importanti cambiamenti nello stato immunologico, biochimico e fisiologicodell’ospite, tra cui la risposta delle proteine plasmatiche della fase acuta, l’attivazione dei lin-fociti T e Natural Killer, la stimolazione e l’aumento della produzione di immunoglobuline daparte dei linfociti B. Questo induce la produzione di proteina C reattiva (PCR).Tale fatto puòessere importante nel contesto dell’infezione intraamniotica poiché studi clinici hanno indica-to come nelle pazienti con PROM un aumento della PCR nel siero materno spesso precedelo sviluppo di una corioamnionite clinica e l’insorgenza di un travaglio pretermine. Inoltre èstato dimostrato che l’IL-6 stimola la produzione di prostaglandine da parte dell’amnios uma-no e delle cellule stromali in colture primarie13.

L’IL-6 è stata studiata come test rapido per l’individuazione di invasione microbica dellacavità amniotica4.

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

Le pazienti con coltura di liquido amniotico positiva hanno concentrazioni amniotiche diIL-6 significativamente più elevate delle pazienti con coltura negativa.

Nelle pazienti con minaccia di parto pretermine e membrane integre una IL-6 di 11.3ng/ml ha una sensibilità del 100% e una specificità del 82.6% nell’individuazione dell’infezioneintraamniotica12.

Tra le pazienti con PROM un cutoff di 7.9 ng/ml ha una sensibilità di 80.9% e una specifi-cità di 75%.4 Inoltre un IL-6 elevata rappresenta un fattore di rischio indipendente per la com-parsa di complicanze neonatali4.

È stato suggerito un altro importante ruolo clinico dell’IL-6 nelle pazienti sottoposte adamniocentesi nel secondo trimestre. Le concentrazioni di IL-6 nel liquido amniotico risultanoinfatti significativamente più elevate nelle pazienti che andranno incontro ad un aborto rispet-to alle pazienti con esito normale della gravidanza. Una concentrazione di IL-6 maggiore ouguale a 2.8 ng/ml è stata associata ad una Odds Ratio di 8.1 (95%, CI 1.9-36.3) di aborto14.Un preesistente processo infiammatorio subclinico potrebbe quindi rappresentare un impor-tante fattore di rischio per l’interruzione della gravidanza dopo amniocentesi del secondo tri-mestre e questo è di notevole rilevanza clinica oltreché medico-legale.

Comparazione fra i test utilizzati sul liquido amniotico per la diagnosi di infezioneSono state comparate le potenzialità diagnostiche del dosaggio di IL-6, della concentra-

zione di glucosio, della leucometria e della colorazione di Gram nelle pazienti con minacciadi parto pretermine e membrane integre e nelle donne con PROM.

Nelle pazienti con minaccia di parto pretermine e membrane integre l’IL-6 è risultato iltest più sensibile nell’individuazione delle infezioni di liquido amniotico (100%), seguita dallaconcentrazione di glucosio (81.8%), dalla leucometria e dalla colorazione Gram (entrambe63.6%). Il test più specifico è risultato la colorazione Gram (99.1%), seguita dalla leucometria(94.5%), dall’IL-6 (82.6%) e dal glucosio (81.6%).

Nelle pazienti con PROM il dosaggio di IL-6 si è dimostrato il test più sensibile nel rico-noscimento di infezione endoamniotica (80.9%) seguito dalla leucometria, dal dosaggio delglucosio (57.1%) e dalla colorazione Gram (23.8%). La colorazione Gram si è dimostrata iltest più specifico (98.5%) seguita dalla leucometria (77.9%), dal dosaggio di IL-6 (75%) e daldosaggio del glucosio (73.5%)4. Il dosaggio di IL-6 è risultato l’unico test a mostrare una cor-relazione indipendente tra intervallo amniocentesi-parto e probabilità di complicanze neona-tali.

Sono stati fatti significativi progressi nello sviluppo di test rapidi per la diagnosi di infezio-ne endoamniotica. Sebbene la determinazione dell’IL-6 nel liquido amniotico sembri esseresuperiore a qualsiasi altro metodo di diagnosi, l’uso della colorazione Gram, della leucome-tria e della concentrazione di glucosio rimangono a tutt’oggi elementi importanti di valuta-zione e utili ai fini delle decisioni cliniche.

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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi

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GRANDE PRETERMINE

LO SCREENING INFETTIVO NELLA PREVENZIONEDEL PARTO PRETERMINEF. De Seta, E. Bianchini, S. Sacco, S. Smiroldo, A. Candiotto,V. SoiniDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

Il parto pretermine (PP) è la principale causa di morbilità e mortalità perinatale nei pae-si industrializzati. Si stima che più dell’85% delle morti neonatali precoci, non causate da ano-malie congenite letali, siano legate alla prematurità. Per quanto varie e disparate siano le ra-gioni di tal evento, la letteratura riconosce alle infezioni del tratto genitale un ruolo patoge-netico sempre maggiore. Le infezioni acquisite in gravidanza, in grado di determinare effettidannosi sul feto e sul neonato rappresentano perciò uno dei problemi principali dell’ostetri-cia moderna. La molteplicità delle interazioni tra difesa immunitaria materna ed agente pato-geno, la non completa conoscenza dei meccanismi patogenetici di alcune infezioni, le diversemodalità di trasmissione verticale ed il progressivo sviluppo del sistema immunitario fetalespiegano l’ampia varietà di manifestazioni dell’insulto infettivo. Pur di fronte ad agenti patoge-ni conosciuti, la valutazione del rischio fetale legato sia al processo infettivo in sé che alla pos-sibile tossicità del trattamento farmacologico, limita il campo d’azione dell’ostetrico.

In particolare, i microrganismi coinvolti nell’etiologia del PP possono raggiungere e colo-nizzare la cavità amniotica ed il feto attraverso le seguenti vie:1. ascendente dal tratto cervico-vaginale;2. ematica con passaggio transplacentare;3. transtubarica;4. in maniera accidentale dopo amniocentesi, funicolocentesi o villocentesi.

I batteri giocano un ruolo fondamentale nei meccanismi alla base di tale patologia. Essipossono, direttamente o indirettamente, determinare la conversione del nativo acido arachi-donico, presente a livello amniotico, a prostaglandina E (PGE2) tramite la produzione di fo-sfolipasi A2 e determinare di conseguenza l’insorgenza delle contrazioni uterine.Tra le diver-se specie batteriche colonizzanti la vagina, infatti, il Bacteroides fragilis, Peptostreptococcus, ilFusobacterium, e lo Streptococcus viridans hanno, a differenza del Lactobacillus che ne è privo,la più alta attività fosfolipasica.

Secondo recenti studi, potrebbe esistere una via alternativa nella genesi della contrazioneuterina. Il processo infettivo avrebbe un ruolo determinante nella produzione di endotossine(lipopolisaccaridi batterici) in alte concentrazioni.

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95GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

Le endotossine sono infatti capaci di stimolare la produzione amniocoriale di prostaglan-dine E2 (PGE2) seppur in maniera non sufficiente a determinare una regolare attività con-trattile. Probabilmente, si pensa che interverrebbe l’interleuchina-1 (IL-1), una monochina pro-dotta dalle cellule mononucleari in risposta alle endotossine e ad altri prodotti di degradazio-ne batterica, a stimolare una ulteriore produzione prostaglandinica deciduale.

L’importanza clinica dell’evento infettivo è però sempre determinata dall’interazione del-l’agente patogeno (carica infettiva, sufficiente patogenicità) con la risposta immunitaria del-l’ospite. Scarse e frammentarie sono, allo stato dell’arte, le conoscenze riguardo le difese im-munitarie locali nella donna e le eventuali connessioni con le difese sistemiche. Certamente,in gravidanza, a fronte di una sorta di “tolleranza immunologica” evocata negli anni da diver-si Autori, è oramai certo che esistono delle proprietà antibatteriche immunologiche locali. Inparticolare, il liquido amniotico esplica le sue proprietà antimicrobiche, specie verso funghi ebatteri anaerobi, tramite la produzione di diverse sostanze: lisozima, sistema zinco-fosfato, be-ta-lisina, peptidi cationici, transferrina, perossidasi, spermina, immunoglobuline.

Risulta oggi provato che un’attivazione della rete immunitaria, citochino-mediata, è respon-sabile, forse in misura maggiore dell’attività lesiva microbica, dell’innesco di un meccanismo “acascata” che porta al travaglio inevitabile, anche quando la causa scatenante (ad es. l’infezio-ne) viene eliminata. Elevati livelli di IL ad azione proinfiammatoria sono infatti osservabili tan-to nel liquido amniotico, quanto nelle secrezioni cervicovaginali delle pazienti andate incon-tro a travaglio di PP, e tali livelli sono ancor più elevati in presenza di una concomitante infe-zione intra-amniotica.

In relazione a questa evidenza, ed in considerazione del fatto che spesso l’aumento di con-centrazione delle citochine si associa ad insorgenza imminente del parto anche in assenza diun isolamento colturale positivo all’amniocentesi, numerosi Autori hanno suggerito che ele-vati livelli di alcune IL (IL-6, -8, -1) sia nel liquido amniotico che in vagina siano un markerestremamente affidabile dell’inevitabilità del parto.Tali sostanze avrebbero una probabilità mag-giore di predire tale evento di quella fornita dall’isolamento colturale dei microrganismi all’in-terno del sacco gestazionale. Da ciò consegue che la risposta dell’ospite avrebbe il ruolo prin-cipale nel processo che conduce al parto, molto più della colonizzazione microbica.Quest’ultima, infatti, ha la possibilità (ma non la certezza) di dare il via ad un meccanismo che,una volta innescato, diventa difficilmente arrestabile.

Tanto la presenza dei microrganismi, quanto l’azione delle sostanze da questi prodotte (ades. l’endotossina) stimolano infatti la produzione di citochine e chemochine ad azione proin-fiammatoria, quali IL-1 (alfa e beta), IL-6, IL-8, TNFalfa, e molte altre, probabilmente con unruolo minore. La cascata citochinica crea una situazione di autoamplificazione che difficilmen-te è possibile frenare. Sembra verosimile infatti che la produzione di endotossina sia in gra-do di indurre un’attivazione macrofagica sia a livello amniocoriale e deciduale, che a caricodella cervice uterina. I macrofagi attivati elaborano citochine (in particolare TNFalfa ed IL-1)

96 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

che, agendo in modo paracrino, inducono la produzione di IL-6 a livello deciduale e di IL-8 alivello cervicale. L’IL-6, a sua volta, in associazione con l’IL-1 stimola l’attività fosfolipasica e ci-clossigenasica deciduale ed amniocoriale, con liberazione di PGE2 e PGF2a, in grado di gene-rare l’attività contrattile uterina. L’IL-1beta è in questo senso capace tanto di incrementare laproduzione di PGE2, quanto di inibire la down-regulation dei recettori per questa sostanza(recettori EP1), causandone un’iperespressione.

L’IL-8, invece, svolge a livello cervicale un’azione chemiotattica e attivatrice nei confrontidei neutrofili, provocandone la degranulazione, cui segue la liberazione di sostanze ad attivitàproteasica e collagenasica che degradano la matrice extracellulare. Un’attivazione dei neutro-fili è presente anche durante il travaglio di PP, ed è responsabile della dilatazione cervicale,provocata appunto dalla degradazione delle proteine strutturali della matrice.Vi sono eviden-ze che l’aumento dell’IL-8 nel segmento uterino inferiore durante il parto può essere indot-to dalla presenza di IL-1beta e che proprio l’endotossina batterica stimolando la produzionedi IL-1ß a livello cervicovaginale, può essere quindi indirettamente responsabile del “ripening”cervicale e del parto che a questo consegue.

Normalmente, nel corso della gravidanza, si assiste ad un continuo riarrangiamento dellamatrice extracellulare, che deve resistere, ma anche adattarsi a pressioni e volumi crescentiall’interno del sacco gestazionale. Un continuo bilancio tra attività proteasica (metalloprotea-sica) ed antiproteasica (inibitori delle metalloproteasi) garantisce l’adattamento delle mem-brane amniocoriali al procedere della gravidanza. In prossimità del termine, in risposta a se-gnali fisiologici (PG, PAF, endoteline, IL-1beta), si assiste ad un prevalere dell’attività litica suquella inibitoria, in vista di una morte cellulare programmata e di una degradazione orche-strata della matrice che consentono l’espletamento del parto.Tale attività, in corso di infezio-ne, è ugualmente stimolata dalla presenza di IL-1beta.Tale sostanza, oltre che a livello cervi-cale, è prodotta quindi in abbondanza anche dalle membrane amniocoriali ed i suoi livelli in-traamniotici si sono dimostrati un ottimo marker nel valutare la presenza di corioamnionitee di un conseguente parto imminente.

La citochina che si è dimostrata essere maggiormente correlata a tale evento, indice del-la progressione inarrestabile verso il parto, è tuttavia l’Il-6. Essa è rinvenibile in elevate con-centrazioni tanto nel travaglio a termine che pretermine, e raggiunge livelli ancora superioriin corso di infezione intraamniotica. Anche l’IL-8 e il TNFalfa si sono dimostrati utili in questosenso. Anche l’IL-6 aumenterebbe in corso di infezione, diversi studi ne avrebbero propostoil dosaggio dalle secrezioni cervicovaginali nel sospetto di una corioamnionite occulta (forseper lo stimolo batterico in vagina, forse per una produzione generalizzata da parte di tutto iltratto genitale, forse per un danneggiamento delle membrane amniocoriali con conseguenterilascio a livello intravaginale della sostanza) anche a livello del tratto genitale inferiore.

È interessante notare come Romero et al. abbiano ripetutamente posto l’accento sulla par-tecipazione fetale alla risposta infiammatoria, tanto che secondo tali Autori, la produzione di

97GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

sostanze citochiniche ad azione parto-inducente da parte del feto avrebbe un ruolo finalisti-co di difesa da un ambiente divenuto ostile. Il feto, attraverso la partecipazione al network ci-tochinico, mette in moto i meccanismi necessari ad allontanarsi da tale ambiente e a preser-vare il proprio benessere.

Molteplici dati hanno dimostrato un’associazione statisticamente significativa tra infezionigenitali ed outcomes sfavorevoli della gravidanza. Purtroppo deficitari o metodologicamentenon corretti sono la maggior parte degli studi eseguiti sulla nostra popolazione. Ciò non è dipoco conto, se si pensa che la razza ed il livello socio-economico rappresentano fattori di ri-schio nell’acquisizione di molti agenti infettivi. Di conseguenza, i risultati di trials clinici, speciestatunitensi, non sono sempre applicabili e sovrapponibili alla nostra popolazione.

COLONIZZAZIONE BATTERICA CORIO-DECIDUALE(esotossine-endotossine)

RISPOSTA TESSUTI FETALI RISPOSTA SI MATERNO

Feto Decidua

Secrezione di ACTH Rilascio di citochine e chemochine

Membrane amniocorialie placenta

Diminuita produzione di prostaglandino

deidrogenasi corionica

Produzione di cortisolo Infiltrazione neutrofilaAumentata produzioneprostaglandine

Contrazioni uterineDilatazione della cervice

uterinaIndebolimento e rottura

delle mebrane

PARTO PRETERMINE

Aumentometallo-proteasi

98 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

Screening per la vaginosi batterica (VB)Numerosi studi hanno evidenziato negli anni più recenti una significativa correlazione del-

la VB con outcomes ostetrici sfavorevoli ed in particolare con un aumentato rischio di PP,Prom, corioamnionite, endometrite post-partum ed infezioni post-cesareo. Anche gli outco-me neonatali sono apparsi peggiori in presenza di VB, in quanto l’infezione sembra in gradodi causare un ritardo di crescita intrauterina (IUGR) del feto e la nascita di neonati di bassopeso (LBW).

Nel 1984, Eschenbach et al. per primi evidenziarono, in uno studio caso-controllo, l’asso-ciazione tra VB e LBW, verificando che l’outcome neonatale era significativamente peggiorenelle donne che risultavano affette da tale infezione (49% di LBW e PP rispetto al 25% nel-la popolazione di controllo, OR 3,1).

Nel 1995 sono stati pubblicati i risultati statunitensi di The vaginal Infection and prematuri-ty study group ottenuti dalla valutazione di 10.397 gestanti, arruolate per lo studio tra la 23ae la 26a settimana di gravidanza. La presenza di VB in quest’epoca gestazionale si è dimostra-ta significativamente correlata con la nascita pretermine di LBW (OR=1,4). Sono stati con-fermati come fattori di rischio ulteriori per tale complicanza il fumo (OR=1,4), precedentiaborti spontanei (OR=1,7) e soprattutto, precedenti parti pretermine associati a LBW(OR=6,2).Tra le donne con VB inoltre, il rischio più alto di PP e LBW si associa alla presen-za di Mycoplasma hominis e bacteroides (OR=2,1).

Un ulteriore aspetto del problema riguarda la correlazione tra l’insorgenza di PP e l’epo-ca gestazionale in cui la VB viene diagnosticata. In uno studio longitudinale teso a valutare lapresenza di VB in relazione all’epoca di gravidanza, Platz-Christiensen et al. hanno osservatoche l’infezione è diagnosticabile più frequentemente nei mesi iniziali, con una elevata tenden-za alla regressione con il progredire della gestazione. La VB è infatti risultata presente nel 16%delle donne esaminate al primo trimestre e di queste, il 58% ha dimostrato la scomparsa del-l’infezione al secondo controllo, effettuato al terzo trimestre. Gli Autori hanno inoltre osser-vato che nessuna delle pazienti risultate negative al primo esame manifestava la comparsa del-l’infezione al secondo controllo.Tali osservazioni suggeriscono quindi l’esistenza di condizionisfavorevoli allo sviluppo di VB in epoca gestazionale avanzata, probabilmente in relazione al fi-siologico aumento dei lactobacilli che si verifica progressivamente nel corso della gravidanzain relazione all’incremento dei livelli ormonali.

Al contrario, Hillier et al. avevano precedentemente osservato la persistenza dell’infezio-ne nell’88% della popolazione esaminata. La prima valutazione microbiologica, era stata tut-tavia effettuata in questo caso tra le 23 e le 26 settimane e cioè in un’epoca gestazionale giàabbastanza avanzata.

È interessante notare come contemporaneamente a tali osservazioni emergeva l’eviden-za di una stretta associazione tra la presenza di VB nel corso del primo trimestre e l’insor-genza di PP. Kurki et al., infatti, per primi avevano associato l’outcome sfavorevole della gravi-

99GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

danza con la diagnosi di VB in epoca precoce (8-17 settimane). Essi suggerivano che la pre-senza di infezione in questo periodo poteva essere predittiva di Prom e PP (OR=6,9 e 7,3rispettivamente), con una sensibilità del 41-67% ed una specificità del 79%.

Nonostante l’elevato valore predittivo negativo (VPN) (96-99%), tale da permettere diescludere, almeno in parte, la possibilità di insorgenza di queste complicanze in presenza diinfezione, la VB risultava avere tuttavia un basso valore predittivo positivo (VPP) (4-11%) equindi una capacità pressoché nulla di stabilire, da sola, il reale rischio di comparsa di un out-come ostetrico sfavorevole. Nel 1993, inoltre, Riduan et al. avevano osservato che il rischiodi PP nelle donne che presentano l’infezione tra la 16a e la 20a settimana era due volte mag-giore rispetto a quello delle gestanti in cui la diagnosi veniva effettuata tra la 28a e la 32a set-timana, e che l’associazione con un outcome ostetrico sfavorevole era significativa solamen-te per la VB diagnosticata precocemente nel secondo trimestre (OR = 2,0).

Riduan suggeriva, come possibile spiegazione del fenomeno, che il PP potesse essere me-diato da un’infezione ascendente del liquido amniotico da parte dei microrganismi VB asso-ciati, infezione che si verifica con maggiore frequenza proprio nel corso dei primi mesi di gra-vidanza. In questo modo si rafforzava l’evidenza dell’opportunità di una diagnosi precoce e diun trattamento tempestivo dell’infezione, prima cioè che si vengano a creare le condizioni peruna progressione irreversibile verso il PP. A tal proposito, Gratacos et al. hanno recentemen-te osservato che la remissione spontanea della VB nel corso della gravidanza non si associaad una diminuzione del rischio di Prom e PP.

Gli Autori hanno chiamato in causa, per spiegare tale osservazione, la possibilità che la VBsi presenti in modo intermittente, così come si può verificare durante il ciclo mestruale, an-che nel corso della gravidanza e che l’assenza dell’infezione al secondo controllo sia in realtàsolo temporanea.

In alternativa, si può pensare che al momento della diagnosi i microrganismi possano es-sere già ascesi a livello cervicale e che quindi la catena di eventi che porta al PP si verifichiautomaticamente ed indipendentemente dalla normalizzazione della flora a livello vaginale.Questo spiega perché il trattamento locale con clindamicina risulti, come vedremo, inefficacenel prevenire le complicanze ostetriche della VB, mentre la terapia orale sistemica, agendo an-che su microrganismi eventualmente presenti a livello endouterino, è in grado di migliorarel’outcome della gravidanza.

Appare dunque evidente alla luce dei numerosi lavori pubblicati lungo tutto l’ultimo de-cennio, l’esistenza di un’associazione tra la VB ed alcune complicanze ostetriche (PP, Prom, edinfezione/infiammazione delle membrane amniocoriali).

Non è ancora stato completamente chiarito su quali meccanismi si fondi tale correlazio-ne. In particolare, in che modo i batteri o i loro prodotti enzimatici guadagnino l’accesso allacavità uterina e a che livello del tratto genitale essi diano l’avvio e mantengano i processi checonducono al travaglio ed al parto.

100 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

Comunque stiano le cose, il risultato finale dipende da un’interazione complessa tra fat-tori di virulenza dei microrganismi ed i meccanismi di difesa, specifici ed aspecifici, dell’ospiteche possono contribuire, con un meccanismo autotossico o immunomediato, all’insorgenzadel PP. McGregor ha infatti dimostrato un’elevata produzione da parte dei batteri VB associa-ti di sostanze ad attività enzimatica quali mucinasi e sialidasi. Esse sarebbero in grado, secon-do l’Autore, di favorire l’ascesa dei batteri, normalmente presenti in vagina in corso di VB, ver-so il tratto genitale superiore; di facilitare l’adesione e l’invasione delle mucose e delle mem-brane amniocoriali da parte dei microrganismi stessi che a loro volta sarebbero in grado dicausarne il danneggiamento mediante un’azione lesiva diretta (attraverso la produzione di al-tri enzimi e sostanze tossiche) o indiretta.

Qualunque sia il loro meccanismo d’azione, tali sostanze sono state comunque osservatein concentrazione molto più elevata nelle pazienti affette da VB che nelle donne sane, tantoche la valutazione della loro presenza ad alti livelli nelle secrezioni vaginali, è stata propostacome metodo di diagnosi.

Di particolare interesse risulta la recente osservazione dell’esistenza, tra le pazienti gine-cologiche affette da VB, di due sottogruppi a differente pattern immunitario. La sottopopola-zione IgA-minus, che si caratterizza per la presenza di bassi livelli anticorporali in sede muco-sale genitale e di alta attività sialidasica Ig-degradante nelle secrezioni vaginali, potrebbe infat-ti risultare, se presente anche in gravidanza, quella a maggior rischio di outcomes ostetrici sfa-vorevoli.

La dimostrazione dell’esistenza nelle gestanti VB positive di post-partum pattern immuni-tari simili a quelli osservati al di fuori della gravidanza e la valutazione della correlazione tralo stato immune-minus e l’aumentato rischio di PP potrebbe permettere di comprendere al-meno una parte dei meccanismi ancora oscuri che rendono alcune donne più “suscettibili”all’evenienza di un PP “idiopatico”.

La possibilità di definire l’esistenza di una popolazione ad alto rischio di complicanze oste-triche associate alla VB, potrebbe quindi consentire un’identificazione precoce ed una terapiaefficace di tali pazienti.

A tutt’oggi non è possibile proporre su basi razionali, una politica di screening di massadelle gestanti per individuare e trattare un’eventuale VB, poiché non sono disponibili trials cli-nici randomizzati e controllati che ne dimostrino l’utilità. Ulteriori ricerche sono necessarieper confermare l’efficacia preventiva del trattamento della VB nelle gestanti asintomatiche a“basso rischio” di prematurità. Inoltre, solo una limitata percentuale delle donne affette da va-ginosi senza una storia precedente di gravidanze pretermine va incontro a tale complicanza.La comprensione dei meccanismi e dei fattori individuali responsabili dell’evoluzione negati-va dell’infezione in alcune pazienti, potrà fornire utili informazioni che permettano di ricono-scere la popolazione effettivamente ad alto rischio, indipendentemente da un’anamnesi oste-trica di precedente prematurità.

101GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

Screening per Chlamydia Trachomatis (Ct)L’infezione da Chlamydia Trachomatis rappresenta la più comune malattia a trasmissione ses-

suale negli Stati Uniti. Nel 2002 sono stati riportati dal CDC (Center for Desease Control andPrevention) di Atlanta ben 834.555 nuovi casi/anno d’ infezione da Chlamydia. Si stima infattiche nella popolazione americana le donne affette da tale infezione siano attualmente 455 ogni100.000 abitanti. Da dati recenti emersi da studi effettuati su cliniche prenatali americane sem-brerebbe esservi una prevalenza dell’infezione che si aggira attorno al 7.4% (range 1.5- 14.4%).

La Chlamydia T. è un battere Gram negativo immobile delle dimensioni di circa 0.3 microndotato di un peculiare trofismo per gli epiteli congiuntivali e genitali umani, essendo respon-sabile di quadri patologici quali il tracoma ed alcune affezioni del tratto genitali tra cui uretri-ti, cerviciti ed epididimiti. È attualmente dibattuto se il carriage materno di Chlamydia tracho-matis sia associato ad un avverso outcome della gravidanza (travaglio e PP, IUGR, Prom).

I motivi che rendono incerto il ruolo patogenetico della Chlamydia sono ascrivibili a di-versi fattori, non concordanti, nei diversi studi: l’epoca gestazionale della diagnosi d’infezione,la metodologia diagnostica utilizzata, la dimensione del campione screenato, la suddivisionedella popolazione in gruppi ad alto ed a basso rischio d’infezione (fattori clinici ed anamne-stici), la coesistenza di altri patogeni cervico vaginali.

L’interesse per l’infezione neonatale fu suscitato sin dal 1990 da Halbertstaedter che, perprimo, descrisse un caso di congiuntivite da corpi inclusi. Attualmente è noto che l’infezionefetale da Ct è presente nel 2-6% dei neonati e che le manifestazioni più frequenti sono rap-presentate dalla congiuntivite da inclusi e dalla polmonite interstiziale. La congiuntivite da in-clusi o oftalmoblenorrea, è presente nell’1,1-4,4% dei nati vivi e si manifesta entro 7-14 gior-ni dal parto, colpendo, in media, il 30-40% dei nati infetti. La congiuntivite neonatale si realiz-za nel parto tramite il contatto fra la mucosa cervicale infetta e la mucosa congiuntivale delneonato. Il periodo di incubazione varia dal 2° al 14° giorno di vita postnatale e, se non trat-tata, tale patologia può persistere per 3-12 mesi. La polmonite interstiziale da Ct, nel neona-to e nel lattante, viene invece riferita prevalentemente in soggetti maschi dal 1° al 3° mesedi vita, si associa nel 20-25% dei casi a simultanea infezione da Cytomegalovirus, Pneumocystiscarinii o Ureaplasma urealyticum, e può comparire tra le 6 settimane ed i 6 mesi dopo la na-scita. Sono state anche segnalate localizzazioni all’orecchio medio ed al nasofaringe. I neona-ti affetti, inoltre, presentano spesso un basso peso alla nascita ed un rischio di mortalità peri-natale 10 volte superiore alla norma.

In genere l’infezione da Ct nel neonato presenta un diverso quadro clinico a seconda del-l’epoca di insorgenza e dell’età del bambino. Più sono precoci queste condizioni maggiore èla gravità del quadro clinico.

L’incidenza di infezioni genitali causate da Ct in gravidanza è stata calcolata tra il 2 ed il30% con valori medi di poco inferiori al 10%. La trasmissione verticale di Ct dalla madre alprodotto del concepimento è una evenienza frequente e gravata, talora, da severe conseguen-

102 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

ze per il neonato. La frequenza con cui l’infezione materna presenta un decorso pauci o asin-tomatico (fino all’85% delle gravide infette) accresce il rischio di trasmissione verticale e sot-tolinea l’importanza di programmi di screening per questo patogeno, a buon diritto inseritofra gli agenti del complesso TORCH. La frequenza di trasmissione verticale appare, anzi, la piùelevata fra i patogeni TORCH, valutabile intorno al 40-60% dei casi. L’infezione contratta ingravidanza risulta spesso causa di aborto, Prom e PP. In generale i dati sulla prevalenza dell’in-fezione da Ct in gravidanza sono differenti per popolazioni diverse e per tipo di gruppo dipazienti.

La possibile associazione tra Ct e PP è stata più volte postulata da diversi studi che han-no dimostrato:1. l’abilità della Chlamydia a proliferare nelle cellule amniocoriali sino a causarne la morte;2. l’associazione della Ct con un processo infiammatorio mucopurulento, endocervicale, teo-

ricamente responsabile del danno amniocoriale.Da diversi studi retrospettivi condotti su gravide con colture cervicali positive per Ct, è

emerso che il trattamento antibiotico può certamente ridurre, in maniera statisticamente si-gnificativa, l’incidenza di Prom e/o di PP, con un incremento del peso neonatale, senza tutta-via migliorare l’outcome neonatale.

In virtù della frequenza dell’infezione e delle importanti complicanze ostetriche e neona-tali, molti autorevoli Autori si sono chiesti se sia giustificato attuare un programma di scree-ning in gravidanza. Da analisi costo beneficio è emersa l’importanza di ricercare la Chlamydialaddove la prevalenza dell’infezione sia maggiore al 5% e nelle gravidanze considerate “a ri-schio” ovvero in caso di:- Storia di outcome ostetrico sfavorevole- Situazione socio economica precaria- Età materna < 25 anni- Perdite ematiche durante il I-II trimestre di gravidanza (8% delle gravidanze)

L’isolamento della Chlamydia in coltura cellulare da prelievi endocervicali ed uretrali è con-siderato il test di riferimento standard (sensibilità stimata 90%, specificità 100%). L’isolamentocolturale della Chlamydia richiede laboratori altamente specializzati, in grado di garantire laqualità dell’indagine. Le nuove tecniche di biologia molecolare (PCR, LCR) possono renderela diagnosi più rapida, meno costosa e maggiormente affidabile in termini di specificità e sen-sibilità.

Lo screening per la batteriuria asintomaticaLe infezioni delle vie urinarie rappresentano una delle complicanze più frequenti della gra-

vidanza, seconde solo all’anemia, potendo essere riscontrate nel 2- 10% delle gestanti; tra quel-

103GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

le negative allo screening iniziale l’1-2% diventerà positiva per la ricerca dei microrganismi nel-le urine nel corso della gestazione. È stato riportato un aumento della prevalenza della bat-teriuria asintomatica (circa 10-20%) nelle donne diabetiche ed in donne portatrici di anemiafalciforme. Si definisce una batteriuria asintomatica la presenza di una conta batterica signifi-cativa (maggiore o uguale a 105 microrganismi/mL) nelle urine di una persona priva di sinto-mi. In gravidanza infatti il rischio di un’infezione ascendente è aumentato in virtù della dilata-zione ureterale dovuta in parte all’effetto del progesterone e in parte alla compressione daparte dell’ utero gravido.

Recentemente, tra i fattori predisponenti, è stata sottolineata l’importanza dell’adesivitàbatterica all’urotelio. Le difese naturali contro tale citoadesione sono affidate sia alla rispostaanticorpale mediata principalmente dalle IgA secretorie, che alla produzione uroteliale di so-stanze glicoproteiche con funzione lubrificante e di protezione.

In gravidanza e durante l’allattamento aumentano tali glicoproteine, ma vi può essere unadepressione della risposta anticorpale. Dalla interazione di questi fattori possono instaurarsii meccanismi di adesione batterica che costituiscono veri e propri caratteri di virulenza. Lecomplicanze della batteriuria asintomatica non trattata possono riflettersi sulla madre e sulprodotto del concepimento.

In gravidanza il 13-27% delle donne con batteriuria asintomatica non trattata va incontroa pielonefriti, che di solito richiedono il ricovero per la terapia. La batteriuria, durante la gra-vidanza, aumenta di 1,5-2 volte la probabilità di partorire prima del termine, di avere un fe-to di basso peso alla nascita e può anche causare un aumento del rischio di mortalità fetalee perinatale. L’esame più accurato per diagnosticare la batteriura è l’urinocoltura, ma le spe-se di laboratorio possono rendere questo esame troppo costoso affinché sia utilizzato comescreening nelle popolazioni con bassa prevalenza di tale infezione. L’American College ofObstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda quindi di eseguire l’analisi delle urinecomprensiva di esame microscopico e screening per le infezioni (TORCH) alla prima visitaprenatale ed in seguito con cadenza mensile/bimensile. Ulteriori indagini di laboratorio qualil’urinocoltura andrebbero effettuate qualora giustificate da reperti rilevati dall’anamnesi e dal-l’esame obiettivo della gestante.

Lo screening per lo streptococco di gruppo BLo streptococco beta emolitico di gruppo B (GBS) rappresenta circa il 30% della flora sa-

profitica vaginale. È uno dei più importanti agenti di infezione neonatale, con un rischio sti-mato attorno al 3% delle nascite e, unitamente all’Escherichia coli, è riconosciuto come unodegli agenti più comuni delle batteriemie e delle meningiti nei primi 2 mesi di vita.

A seconda del periodo di manifestazione dell’infezione si riconoscono 2 malattie neona-

104 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

tali: la Early Onset (ad esordio precoce) e la Late Onset (ad esordio tardivo).La early onset che colpisce l’1-3% dei nati vivi, può determinare un tasso di mortalità del

50-60%. Caratterizzata prevalentemente da setticemia, riconosce come momento patogene-tico la trasmissione verticale madre-figlio ed è associata frequentemente a Prom, prematuri-tà, parti distocici e febbre intra e post-partum.

La malattia neonatale late onset, di minore gravità si manifesta dopo la prima settimana divita, ha una prevalenza di 1,7 per 1000 nati vivi, non è dovuta a trasmissione verticale, maorizzontale (prevalentemente nosocomiale) e non si associa a complicazioni ostetriche ma-terne.

La colonizzazione cervicovaginale in donne asintomatiche varia tra il 10 ed il 30%, con unaprevalenza di infezione neonatale compresa tra il 38 ed il 70%, ma solo l’1-2% dei nati svilup-pa la malattia. Nella madre lo Streptococco di gruppo B può causare infezione delle vie uri-narie, corionamnioniti, batteriemie, morti endouterine, incrementando il rischio di PP. Nei ca-si di corionamnionite, l’esame culturale segnala la presenza di una flora polimicrobica sebbe-ne, nel 15% dei casi sia possibile reperire la presenza dello Streptoccocco di gruppo B comemicrobiota prevalente. In corso di batteriemia (incluse le pielonefriti) il microrganismo più co-munemente isolato è il GBS. Sfortunatamente, a differenza di quanto si osserva per altri bat-teri, i quali, se presenti in vagina permangono per tutta la gravidanza, il GBS è incostante.Gestanti positive nel corso della gravidanza possono negativizzarsi al momento del parto, al-tre negative durante l’intero decorso della gravidanza divengono positive al parto; altre anco-ra, infine, possono ricolonizzarsi dopo un trattamento antibiotico.

In Letteratura tuttavia vi sono autorevoli studi che non ritengono la colonizzazione delbasso tratto genitale femminile un fattore di rischio per il Parto Pretermine, ascrivendo piut-tosto tale ruolo alla batteriuria asintomatica da GBS.Tale condizione, indipendentemente dal-l’epoca gestazionale deve essere trattata con terapia antibiotica al fine di scongiurare una pos-sibile colonizzazione a livello genitale.

Secondo la politica d’azione del CDC di Atlanta il parto pretermine rientra tra i fattori dirischio clinici per l’infezione neonatale da GBS, pertanto tutte le gestanti a rischio devono es-sere sottoposte ad antibiotico terapia.

Nel 1996 il CDC proponeva di agire attivamente contro l’infezione da GBS proponendouna strategia basata sia sull’utilizzo delle colture vaginale e rettale come primo determinantefattore di rischio che la strategia basata su fattori di rischio clinici, qui elencati:

- Parto pretermine (< 37 settimane gestazionali);- pPROM (rottura pretermine e prematura delle membrane);- rottura delle membrane da più di 18 ore;- febbre intrapartum >38°;- precedente nato con infezione da GBS.

105GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

Purtroppo, ad oggi, non esiste un protocollo universalmente riconosciuto e applicato eneanche trials clinici che comparino i due atteggiamenti.

Il nostro comportamento si propone di instaurare una terapia antibiotica per la preven-zione dell’infezione neonatale da GBS sia attraverso l’esame colturale che attraverso la valu-tazione del rischio clinico.

Colonizzazione retto-vaginale da GBS (positività microbiologica tra le 35-37 sett.)Infezione neonatale in una gravidanza precedenteBatteriuria da GBS nell’attuale gravidanzaStato microbiologico non noto, ma: EG <37 sett., PROM>18h, febbre >38°

Paziente non allergica Paziente allergica alla penicillina

Penicillina G 5 milioniU ev, poi 2.5 ogni 4 ore fino al parto

Ampicillina 2 gr ev, poi 1 ogni 4 ore fino al parto

Cefazolina 2g ev, poi 1 ogni 4 ore fino al parto

GBS resistente

Clindamicina 900 mg ev ogni 8 ore

Eritromicina 500 mg ev ogni 6 oreVancomicina 1 g ogni 12 ore

Ad alto rischio di anafilassi

GBS sensibile

A basso rischio di anafilassi

Lo screening per la sifilideLa sifilide dovrebbe rappresentare, alle soglie del 2006, una reminiscenza del passato, una

curiosità della letteratura. Nella realtà attuale ciò non si realizza, dai dati della WHO ogni an-no la sifilide sarebbe responsabile di circa 460.000 aborti/morti endouterine, di circa 270.000casi di sifilide connatale e della nascita di circa 270.000 low-birth-weight/pretermine. Outcomeostetrici sfavorevoli sono 12 volte più frequenti in donne portatrici dell’infezione rispetto adonne sieronegative. Si calcola che nell’Africa sub-Sahariana circa 2 milioni o più di donne con

106 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

sifilide attiva vadano incontro, ogni anno, ad una gravidanza di cui circa 1.640.000 miscono-sciuta. In alcune zone rurali dell’Est Europa e dell’Asia centrale si sta assistendo ad uno spa-ventoso incremento dell’infezione fino a percentuali di sieropositività attorno al 3-18%. Neipaesi sviluppati la sieroprevalenza dell’infezione, nelle gestanti è solitamente bassa, varia tra lo0,025 in Europa fino al 4,5% in alcune aree degli Stati Uniti.

La sifilide è un’infezione batterica, causata dal Treponema pallidum, trasmessa per via ses-suale o per via materno-fetale. La sifilide primaria causa ulcere a livello genitale, faringeo orettale, mentre la forma secondaria è caratterizzata dalla presenza di lesioni cutanee conta-giose, linfoadenopatia e condilomi.

La disseminazione sistemica, compresa l’invasione del sistema nervoso centrale, avvieneanche in fasi precoci di malattia e può divenire sintomatica a qualsiasi stadio della malattia. Lapatologia quindi evolve in una fase latente, clinicamente asintomatica, ma, se non trattata, inpiù di un terzo dei pazienti dà luogo a gravi gomme tardive e severe complicanze neurologi-che (meningite, neuropatia periferica, tabe dorsale, lesioni cerebrali meningovascolari e pato-logia psichiatrica) e cardiovascolari (principalmente patologia aortica: insufficienza, aneurismi,aortite).

Nel nostro paese l’infezione è spesso rappresentata da casi di importazione (prostituzio-ne, immigrazione) e, data la severità degli outcomes ostetrici, secondo le raccomandazionidell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) e del Center for Disease Controland Prevention si ritiene opportuno effettuare la sierologia, per la ricerca dell’infezione daTreponema pallidum, a tutte le donne durante la prima visita in gravidanza. Nelle gravidanze a“rischio” (tossicodipendenza, prostituzione, giovane età,…) i test sierologici dovrebbero esse-re ripetuti durante il terzo trimestre di gravidanza e, di nuovo, al momento del parto.

I test sierologici si classificano in esami non treponemici (VDRL-RPR) e treponemici. Gliesami non treponemici sono utilizzati per ricercare nei pazienti la presenza di reagine anti-corpali aspecifiche che appaiono e aumentano di titolo dopo il contagio. Benché la VDRL(Veneral Disease Research Laboratory) e la RPR (Rapid Plasma Reagin) siano gli esami non tre-ponemici più frequentemente utilizzati, essi non sono gli unici esistenti.

La sensibilità di questi test varia a seconda del livello di anticorpi raggiunto nelle varie fa-si di malattia: nelle fasi precoci della sifilide primaria, quando il titolo anticorpale può esserecosì basso da non essere individuabile, il test può essere negativo e la sensibilità del metodoè del 62-76%. I livelli di anticorpi aumentano col progredire della malattia e il titolo di solitoraggiunge il picco durante la sifilide secondaria, quando la sensibilità dei test non treponemi-ci si avvicina al 100%.

Nella sifilide tardiva il titolo diminuisce e il 25% dei pazienti reattivi divengono non reatti-vi; nella sifilide tardiva non trattata la sensibilità del test è circa del 70%. Dato che i test sie-rodiagnostici non treponemici possono risultare falsamente positivi, è necessario confermaretutti i risultati positivi, nelle persone asintomatiche, con i più specifici test treponemici come

107GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

l’assorbimento anticorpale treponemico in fluorescenza (FTA-ABS) che ha una sensibilitàdell’84% nella sifilide primaria e di circa del 100% negli altri stadi, con una specificità del 96%.Esistono altri due test di conferma meno costosi e più facili da effettuare: l’emoagglutinazio-ne per gli anticorpi contro il Treponema pallidum (TPHA) e il test di emoagglutinazione tre-ponemica per la sifilide (HATTS).

I test treponemici non dovrebbero essere utilizzati per lo screening iniziale nei pazientiasintomatici, essendo decisamente più costosi e rimanendo positivi in pazienti che sono sta-ti trattati per una pregressa infezione. Utilizzati in combinazione con i test non treponemici,tuttavia, hanno un valore predittivo positivo alto e risultati positivi sono probabilmente indi-cativi di un’infezione reale. I test treponemici possono anche essere utili nei pazienti in cui sisospetta una sifilide tardiva non positiva ai test non treponemici, dato che la diminuzione deititoli anticorpali è in grado di produrre dei falsi negativi.Tutti i risultati degli esami dovrebbe-ro essere sempre valutati alla luce dell’anamnesi e della diagnosi clinica.

Lo screening per la gonorreaPrematurità, Prom, rottura prolungata di membrane, febbre materna intrapartum sono as-

sociati alla presenza della Neisseria gonorrhoeae a livello della cervice materna, o nell’aspiratogastrico neonatale, al momento del parto. I pochi dati disponibili inerenti a tale infezione, so-no quasi esclusivamente statunitensi. Infatti, dati sull’Europa, specie relativamente ai paesi an-glosassoni, riportano prevalenze di infezione del tutto irrilevanti. Nella maggior parte dei ca-si l’infezione gonococcica in gravidanza decorre in maniera del tutto asintomatica. Quandopresente, la sintomatologia include usualmente disuria e leucorrea. All’esame speculare puòevidenziarsi una modica cervicite con eritema e perdite muco-purulente.

La forma più comune d’infezione in gravidanza, specie nel secondo e nel terzo trimestreè l’infezione gonococcica disseminata (DGI).Tale forma presenta due stadi clinici: uno stadiobatteriemico precoce (febbre, lesioni cutanee ecc.) ed una fase settica artritica (effusioni si-noviali purulente). Manifestazione addizionale dell’infezione è rappresentata dalla “sindromeda infezione amniotica”, caratterizzata da Prom, PP e da un’alta percentuale di morbilità in-fantile.

Diversi studi hanno inoltre dimostrato una stretta associazione tra endocervicite mater-na gonococcica non trattata e complicazioni perinatali quali PP, corioamnioniti, sepsi neona-tali e sepsi materne post-partum. Probabilmente solo nelle popolazioni ove la prevalenza diinfezione è ancora oggi significativa, sarebbe auspicabile uno screening antepartum nell’otticadi prevenire la morbilità perinatale associata a questo microrganismo.

L’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda di effettuarel’esame delle colture della cervice uterina in tutte le donne in gravidanza durante la prima vi-

108 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine

sita prenatale solo se fanno parte delle categorie ad alto rischio per la gonorrea; l’ACOG e iCDC consigliano inoltre di ripetere il test nel terzo trimestre nelle donne ad alto rischio.

Per categorie ad alto rischio si intende:- prostitute;- donne con pregressi episodi di gonorrea;- giovani donne (età<25 anni che hanno avuto 2 o più partners sessuali durante l’ultimo

anno);- donne che, all’esame ostetrico, presentano segni di infezione cervicale (leucorrea muco-

purulenta, eritema e/o sanguinamento cervicale).L’esame più sensibile e specifico per far diagnosi di infezione gonococcica nelle persone

asintomatiche è la coltura diretta delle sedi d’esposizione (uretra, endocervice, gola, retto). Incondizioni controllate la sensibilità dell’esame è alta per la forma genitale e faringea in en-trambi i sessi: si stima che nelle donne un singolo tampone a livello endocervicale abbia unasensibilità dell’80-95%. Gli esami sierologici non sono né abbastanza sensibili né sufficiente-mente specifici per essere utilizzati nello screening; nessuno dei test non colturali fornisce in-formazioni sulla suscettibilità dei microrganismi agli antibiotici.

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109GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

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110 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

99 GRANDE PRETERMINE

L’ESITO A DISTANZA NEI NEONATI <1500 GRAMMI.CHE COSA HA IMPORTANZAOLTRE L’ETÀ GESTAZIONALE?S. DemariniU.O. Neonatologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

È del tutto ovvio ricordare che al diminuire dell’età gestazionale, aumentano mortalità,complicanze e handicap nei sopravvissuti. Nondimeno, ad ogni età gestazionale, vi sono neo-nati che diverranno bambini normali ed altri che non avranno questa fortuna. Scopo di que-sta relazione è cercare di riassumere quanto è attualmente noto sui fattori che condiziona-no l’esito a distanza dei neonati di peso <1500 grammi.

Patologia cerebraleTra le patologie cerebrali acquisite tipiche dei neonati pretermine, vi sono l’emorragia pe-

ri-intraventricolare e la leucomalacia periventricolare.Le emorragie intraventricolari gravi (3° e 4° grado) si sono notevolmente ridotte di fre-

quenza nel corso degli anni, dal 35-50% all’attuale 15%1.Anche nei neonati più piccoli (<1000grammi), la frequenza di emorragie gravi è attualmente del 6% circa2. Purtroppo, anche se lafrequenza è bassa, l’impatto sull’outcome è considerevole. Per quanto riguarda il QI a 72 me-si di età, la frequenza di un QI<70 è dell’8% in neonati senza emorragie, ma è del 67% inneonati con emorragie gravi. Inoltre la frequenza di paralisi cerebrale è del 3% in neonati sen-za emorragie, ma sale al 44% in caso di emorragie gravi3.

La leucomalacia periventricolare cistica è l’esito di un infarto bilaterale della sostanza bian-ca, localizzato solitamente all’area parieto-occipitale. La diagnosi viene comunemente effet-tuata mediante ecografie cerebrali seriate. Antecedenti associati a questa patologia sono in-fezioni fetali ed ipotensione neonatale. Anche in questo caso la frequenza è piuttosto bassa(5% circa)2. Purtroppo anche in questo caso, l’esito a distanza è pesante: dal 27% al 100% deineonati andranno incontro ad una paralisi cerebrale, a seconda dell’estensione e delle dimen-sioni delle cisti1,4. Nei casi più gravi possono coesistere problemi visivi e cognitivi5.

La maggioranza delle lesioni della sostanza bianca peraltro, sono diffuse e non evolvono

111GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’esito a distanza nei neonati <1.500 grammi. Che cosa ha importanza oltre l’età gestazionale

in cisti periventricolari visibili.Tali lesioni sono visibili solo con una RMN. Il correlato ecografi-co delle forme più gravi, è una dilatazione progressiva, non post-emorragica, dei ventricoli la-terali. Spesso ciò è visibile solo dopo il primo mese di vita.

La dilatazione ventricolare non post-emorragica non è un evento frequente: è diagnosti-cata ecograficamente in circa il 5% dei neonati <1250 grammi6. I neonati con ventricolome-galia isolata a 40 settimane post-concezionali sono a rischio sia di deficit cognitivi7 sia di pa-ralisi cerebrale.

Patologia polmonareMolti neonati, non avendo un’autonomia respiratoria sufficiente, sopravvivono grazie alla

ventilazione meccanica. La maggioranza verrà svezzata dalla ventilazione abbastanza rapida-mente e senza complicanze. Una minoranza però rimarrà dipendente dalla ventilazione arti-ficiale e svilupperà una malattia polmonare cronica (Displasia Broncopolmonare o BPD). Siala durata della ventilazione meccanica sia lo sviluppo della BPD sono fattori di rischio per unoutcome neurologico sfavorevole. Mentre il rapporto tra BPD e handicap era già noto datempo, quello con la ventilazione è stato quantificato recentemente. In 5364 neonati <1000grammi, la durata media dela ventilazione meccanica è stata 23 giorni. Dei neonati ventilatiper >60 giorni, il 24% sopravvive senza handicap. La frequenza scende al 7% in neonati ven-tilati >90 giorni e diviene 0% in neonati ventilati >120 giorni8. Naturalmente, una ventilazio-ne protratta può non essere la causa diretta di un outcome negativo, ma solo un marker digravità. I dati esistenti indicano una correlazione, non necessariamente un rapporto causa ef-fetto. Nondimeno, la prognosi per neonati che richiedono una ventilazione artificiale protrat-ta rimane scadente.

TerapieCortisone

Nel tentativo di limitare la durata della ventilazione meccanica e di ridurre la frequenza diBPD, il cortisone è stato estesamente impiegato in neonati pretermine ventilati.

Il cortisonico più frequentemente impiegato è stato il Dexametasone. Le meta-analisi han-no dimostrato un certo effetto nel ridurre l’outcome combinato mortalità/sopravvivenza conBPD9,10. Sfortunatamente l’uso del cortisone ha aumentato significativamente anche il rischiodi handicap a distanza. L’impiego attuale dovrebbe essere ristretto a studi controllati o a si-tuazioni cliniche molto gravi11. Non è al momento noto se l’influenza sull’handicap è propriadi tutti i cortisonici o del solo Dexametasone.

112 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’esito a distanza nei neonati <1.500 grammi. Che cosa ha importanza oltre l’età gestazionale

IndometacinaL’Indometacina, farmaco usato per la chiusura farmacologica del dotto di Botallo, è in gra-

do di ridurre sia la frequenza che la gravità delle emorragie cerebrali in neonati di peso <1250grammi. Ciò peraltro non si è tradotto in un beneficio significativo nell’outcome a 18 mesi dietà corretta12. Rimane quindi perlomeno dubbia l’efficacia generale di tale strategia. Non èescluso peraltro che vi possano essere benefici in alcuni sottogruppi di questa popolazione.I maschi dimostrano sia una frequenza dimezzata di emorragie cerebrali, che una minore fre-quenza di QI<7013.

GeneticaAl di là dell’ovvia connessione tra malattie metaboliche e degenerative e handicap, ben

poco è noto sulle influenze genetiche sull’esito a distanza di neonati pretermine. Uno studiosvolto su 96 ex-pretermine con paralisi cerebrale e 118 controlli, ha cercato una possibilecorrelazione tra la paralisi cerebrale e dei polimorfismi genetici che riguardano la coagulazio-ne e la risposta infiammatoria14. Una correlazione è stata stabilita tra paralisi cerebrale e po-limorfismi che riguardano la NO sintetasi endoteliale, la linfotossina A e l’inibitore dell’attiva-zione del plasminogeno. Come per tutti gli studi di questo tipo, sarà importante replicare l’as-sociazione tra genetica e clinica, cosa che non accade molto frequentemente in letteratura.

Gemellarità Le tecniche di riproduzione assistita (ART) hanno certamente fatto un’enorme differen-

za per le coppie sterili. Peraltro, è in gran parte a queste tecniche che si deve l’aumento digravidanze gemellari o plurime e di neonati pretermine. Non vi è al momento evidenza chequeste tecniche comportino dei rischi aggiuntivi per madri e neonati. Ma è probabilmentebene tener presente che il rischio relativo di paralisi aumenta di 6 volte in neonati bigeminie di 23 volte in neonati trigemini15.

ConclusioniNegli anni ottanta e novanta la medicina perinatale ha ottenuto uno spettacolare aumen-

to nella sopravvivenza dei neonati. Ulteriori miglioramenti nella sopravvivenza sono possibili,ma, riguardando i neonati più piccoli, non possono non essere accompagnati anche da un au-mento degli esiti a distanza16,17.

113GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

L’esito a distanza nei neonati <1.500 grammi. Che cosa ha importanza oltre l’età gestazionale

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114 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

1100 GRANDE PRETERMINE

LA GESTIONE DELLA MINACCIA DEL PARTO PRETERMINEG.C. Di Renzo, A. Cutuli, R. Luzietti, A. Mattei*, S. GerliCentro di Medicina Perinatale e della Riproduzione, S.C. di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università degli Studi di Perugia*Casa di Cura S. Chiara di Firenze

PremessaIl parto pretermine complica il 6-7% delle gravidanze e la sua incidenza è rimasta sostan-

zialmente immutata negli ultimi 30 anni ad evidenziare come gli sforzi fino ad ora eseguiti percercare di prevenirlo abbiano modificato solo in minima parte la sua occorrenza.

Il parto pretermine costituisce da solo una causa preponderante di morbidità e mortali-tà perinatale. Le sue implicazioni sono di grande importanza. Il 75% delle morti neonatali,escludendo la patologia malformativa, sono dovute alla prematurità. La possibilità di soprav-vivenza aumenta da meno del 5% prima della 23a settimana a più del 95% dopo la 32a setti-mana. Il rischio di handicap grave tra i neonati sopravvissuti dopo parto pretermine è ugual-mente strettamente legato all’epoca gestazionale al parto essendo di circa il 65% per quellinati prima delle 23 settimane a meno del 10% dopo la 30a settimana.

Una premessa fondamentale risiede nella necessità di approfondire i molteplici meccani-smi patogenetici alla base di tale sindrome in maniera tale da attuare una terapia eziologica.A fronte, dunque , di una eziopatogenesi multifattoriale, non risulta giustificabile né individua-bile un trattamento unico per tutte le gestanti. È necessario, invece, riconoscere, modificareed eliminare i fattori di rischio che sottendono tale sindrome nonché identificare e trattareprecocemente le pazienti ad alto rischio. All’uopo distinguiamo varie fasi attraverso le qualiattuare un protocollo di management del PP (parto pretermine) a seconda anche delle va-rie epoche gestazionali alle quali si manifesta una minaccia di parto pretermine (età gestazio-nale compresa tra 24 e 36 settimane, presenza di almeno 4 contrazioni uterine regolari del-la durata di 30 sec. in un intervallo di 30 min., dilatazione cervicale di 1-3 cm ed appianamen-to almeno del 50%) e/o si verifichino determinate condizioni richiedenti un intervento tera-peutico.

Individuare le condizioni causali e i fattori di rischioIl parto pretermine può essere considerato una sindrome che può essere secondaria a

varie cause che giungono ad una via comune data dalla sequenza contrazioni uterine, modi-

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La gestione della minaccia di parto pretermine

ficazioni della cervice e attivazione dell’interfaccia amniocorio-deciduale.Per quanto le cause del parto pretermine queste sono spesso difficili da riconoscere.

Schematicamente possiamo dividerle in due gruppi:

1. Cause secondarie a patologia infiammatoria-infettivaRappresentano circa il 25-40% delle cause come documentato da studi microbiologici sul

liquido amniotico e istologici sulla placenta e le membrane. La via di infezione è in genereascendente dalla vagina attraverso la cervice all’interfaccia amniocoriale. In condizioni parti-colari (sepsi materna) l’infezione può essere per via ematogena. I germi più frequentementecausa dell’infezione sono i micoplasmi, ureoplasmi e i batteri patogeni della flora vaginale.L’infezione determina la produzione da parte dei macrofagi e dei linfociti presenti nell’inter-faccia amniocoriale di citochine che innescano una reazione a catena che esita nella produ-zione di prostaglandine e leucotrieni con conseguente stimolazione dell’attività contrattile, el’attivazione di metalloproteinasi con funzione enzimatiche di elastasi e collagenasi che causa-no modificazioni a livello della cervice (maturazione o “ripening”) e la rottura delle membra-ne amniocoriali.

2. Su base non infiammatoria.A sua volta riconosce varie cause:a. Sovradistensione uterina. È il caso delle gravidanza multiple o del polidramnios. La so-

vradistensione può di per se causare una attivazione delle interfaccia amniocoriale conla produzione di citochine che a loro volta possono innescare la reazione a catena so-vraesposta

b. Patologia della cervice. Possono essere secondarie a disturbi congeniti (es. cervice ipo-plastica primaria o secondaria ad esposizione in utero a dietilstilbestrolo) o acquisiti datrauma chirurgico (conizzazione per lesioni della cervice uterina o dilatazioni strumen-tali della cervice per aborti ripetuti). La conseguenza è definita come “incompetenzacervico-istmica” che determina una prematura dilatazione e maturazione della cervi-ce. Ciò può determinare o una rottura prematura delle membrane amniocoriali o unapiù facile infezione ascendente dalla vagina con conseguente scatenamento del partopretermine.

c. Ischemia o emorragia uteroplacentare. Studi istologici hanno dimostrato come in gravi-danze con parto pretermine esiste una maggiore incidenza di anomalie della angioge-nesi che avviene all’inizio della gravidanza a livello delle arterie spirali con conseguentemaggior incidenza di aterosi e trombosi. L’ischemia che si determina e i fenomeni emor-ragici conseguenti sono in grado di attivare l’interfaccia amniocoriale con insorgenza delparto pretermine. Anche il distacco intempestivo di palecenta o le emorragie all’inter-faccia amnio-corio-deciduale, attraverso l’aumento della trombina, possono attivare lacascata di produzione delle prostaglandine e determinare parto pretermine.

116 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La gestione della minaccia di parto pretermine

d. Autoimmune. La possibilità dell’unità fetoplacentare di svilupparsi nell’organismo mater-no rappresenta un modello unico di adattamento dell’organismo a degli antigeni estra-nei di origine paterna espressi dal feto. Anormalità in questo meccanismo di adatta-mento possono portare alla comparsa di abortività ripetuta o parto pretermine.

e. Patologia allergica. L’utero contiene un gran numero di mastociti; l’istamina rilasciata daqueste cellule causa contrazioni uterine ed una certa percentuale di gestanti con par-to pretermine presentano nel liquido amniotico un alto numero di eosinofili.

Purtuttavia, in oltre un terzo dei parti pretermine non si è in grado di identificare nessu-na delle cause sovraesposte.

La distinzione eziologica tra cause infettive e non infettive ha un notevole riflesso clinicoin quanto la prognosi dei casi secondari ad infezione è sensibilmente peggiore. Infatti in pre-senza di infezione il rischio relativo di non rispondere alla terapia e partorire entro 48 ore èaumentato di 14 volte con conseguente aumento della mortalità e morbosità perinatale ri-spettivamente di 6 e 22 volte.

La valutazione del rischio, basata su fattori clinici, ha una sensibilità del 20-60% nel predi-re il parto pretermine. I più importanti fattori di rischio sono: la gravidanza multipla (rischiorelativo superiore da 5 a 6 volte), storia positiva per parti pretermine (rischio relativo aumen-tato da 3 a 4 volte), sanguinamenti vaginali (rischio relativo 3 volte superiore). Di questi, i pre-gressi parti pretermine sono i più importanti. Un terzo dei parti pretermine tra 22 e 32 set-timane di gestazione si verificano in donne con un pregresso parto pretermine. Più precoceè stato il primo parto pretermine, maggiore è la probabilità che si verifichi di nuovo.

MANAGEMENT PRENATALEMira alla valutazione, riconoscimento e modificazione dei fattori di rischio. Gestanti a ri-

schio per lo stile di vita vanno sicuramente inquadrate in questa fase di management. A talproposito sono previsti una serie di accorgimenti, definiti come interventi di supporto, miran-ti ad alleviare quelle condizioni di rischio con le quali le gestanti spesso interagiscono:- aiuto domestico;- aiuto in famiglia;- ostetriche/infermiere a domicilio;- assegnazione di assistenti sociali;- corsi di controllo dello stress;

Altri consigli si rendono necessari per completare la fase di prevenzione:- riduzione e/o sospensione dell’attività sessuale;- riposo a letto;- evitare climi caldo-umidi;

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La gestione della minaccia di parto pretermine

- miglioramento della nutrizione (omega 3 e PUFA attraverso l’aumento delle diete con pe-sce di mare);

- riduzione dell’attività lavorativa;- riduzione dei lavori domestici e della cura dei bambini;- riduzione del fumo;- riduzione dello stress;- riduzione di viaggi, pendolarismo e trasferimenti.

Eventuali patologie materne vanno considerate in questa fase e tra queste vanno anno-verate la patologia infettiva del tratto genitale inferiore e l’incontinenza cervico-istmica. A talproposito si rendono necessarie:

- valutazione cervicale: la maturazione cervicale è un processo metabolico attivo a carico del-la matrice extracellulare la cui espressione clinica è rappresentata dal raccorciamento e dal-la dilatazione della cervice all’esplorazione vaginale ( esame digitale e valutazione ecograficaper eventuale cerchiaggio profilattico);

- screening microbiologico cervico-vaginale e pH vaginale: risulta ben evidente la correlazione trala presenza di microorganismi nel tratto genitale inferiore ed infezioni genito-urinarie, rappre-sentate soprattutto da vaginosi batterica, pielonefrite e batteriuria.Si rendono responsabili di tali patologie lo Streptococco di gruppo B, l’Ureaplasma urealyti-cum, la Chlamydia trachomatis, il Bacteroides, la Gardnerella vaginalis e l’Escherichia coli. Nelle ge-stanti spesso si determinano infiammazioni ascendenti dell’alto tratto genitale con partenzada infezioni del basso tratto riproduttivo e conseguenti complicanze gestazionali, rappresen-tate appunto dalla Rottura Prematura delle Membrane (RPM) e dal Parto Pretermine (PP).I mediatori attraverso i quali tali microorganismi si rendono responsabili delle complicanzesopra citate sono rappresentati dalle IL (interleuchine) 1a-1beta-4-6-8-10,TNFalfa e TGFbeta,prodotte dall’amniocorion, dalla decidua e/o dal sistema monocita macrofago a loro volta re-sponsabili della produzione di PGF2a e PGF2, le prostaglandine che intervengono nello sca-tenamento del travaglio di parto.

Le nostre strategie preventive devono mirare ad interrompere e/o impedire la sopra de-scritta cascata di eventi che, da infezioni genitali ascendenti, conduce dunque ad un processoinfiammatorio endoamniotico con successive contrazioni uterine e rottura prematura dellemembrane;

- test biochimici per il dosaggio dei mediatori della risposta infiammatoria (IL-6 o IL-8,TNF±,PCR) e ricerca di enzimi di derivazione e/o attivazione batterica (sialidasi, metalloproteinasi)e glicoproteine di membrana (fibronectina fetale);

- profilassi antibiotica precoce: il trattamento antibiotico in gestanti con minaccia di parto pre-termine e membrane integre non determina un prolungamento della gravidanza, non riduce

118 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La gestione della minaccia di parto pretermine

il rischio di parto pretermine e non migliora l’outcome perinatale se adottato in epoca tar-diva di gestazione (il trattamento che interrompe il nesso di causa-effetto, rappresentato dal-la cascata di citochine che modula l’attività uterina, va effettuato in epoca precoce e/o in fa-se preconcezionale);

- profilassi con glucocorticosteroidi (GC) per la prevenzione dell’immaturità polmonare: risultanoidonei al trattamento con glucocorticoidi tutti i feti tra 24 e 34 settimane a rischio di partopretermine e possono essere somministrati alle pazienti candidate alla tocolisi.In assenza di corionamnionite, il loro uso in epoca antenatale è raccomandato nella rotturapretermine prolungata delle membrane di feti a 30-32 settimane e in assenza di effetti colla-terali materni.Le potenziali conseguenze a lungo termine dell’esposizione prenatale ai GC sullo sviluppo ce-rebrale così come i meccanismi fisiopatologici sottesi costituiscono un campo di ricerca in ra-pida espansione. I loro effetti non si limitano alla modificazione della concentrazione dei neu-rotrasmettitori e del numero dei recettori, ma includono anche modificazioni della strutturacerebrale. È probabile che le modificazioni indotte dai GC sull’ippocampo durante lo svilup-po cerebrale abbiano conseguenze a lungo termine sul comportamento e sul sistema neu-roendocrino.

È stato accertato l’effetto vantaggioso sul neonato pretermine del trattamento prenatalecon GC, ma gli effetti collaterali sul feto potrebbero manifestarsi tardivamente, e solo duran-te la vita adulta.

I dati indicano, al momento, cautela nell’uso di cicli ripetuti di GC in epoca antenatale, i cuirischi sono rappresentati da alterata tolleranza al glucosio, osteoporosi, inibizione del surre-ne, alterata crescita ed alterata mielinizzazione.

È bene, dunque, procedere adottando alcuni precisi criteri:- usare un solo ciclo di betametasone- evitare “profilassi” inutili- provare ad utilizzare una combinazione di farmaci, specialmente in epoche di gestazione

molto pretermine- usare il farmaco tocolitico appropriato e per un periodo limitato- considerare sempre la possibile eziologia del parto pretermine

Data, dunque, la stretta associazione tra la presenza di patogeni cervicali e vaginali e la mi-naccia di parto pretermine, occorre identificare, con attenzione, le gestanti a rischio ed inda-gare il più precocemente possibile sulla presenza di microorganismi in queste pazienti.

L’uso di test semplici e rapidi, quali il tampone vaginale e/o la valutazione del pH vagina-le, così come il tempestivo e preciso trattamento delle infezioni vaginali e cervicali, è dirimen-te nel ridurre le alte mortalità e morbosità perinatali, dovute all’associazione tra patogeni eparto pretermine.

119GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La gestione della minaccia di parto pretermine

“Identificazione” della minaccia di parto pretermineLa minaccia di parto pretermine si identifica in base alla presenza di contrazioni uterine

persistenti associate a dilatazione e/o raccorciamento della cervice. Si può definire il travagliodi parto pretermine in diversi modi ma, quello più usuale è la presenza di contrazioni uteri-ne tra la 22a e la 36a settimana di gestazione ad un ritmo di 4 ogni 20 minuti o 8 in un’oraassociate ad almeno uno dei seguenti elementi: progressive modificazioni del collo uterino odilatazione cervicale ≥2 cm.

Gestione clinica della minaccia di parto pretermineIl management clinico della minaccia di parto pretermine si basa sulla valutazione dei ri-

schi materno-fetali in caso di proseguimento della gravidanza e in caso di parto. La prima co-sa da fare è ricercare le cause del travaglio di parto pretermine e valutare il benessere feta-le. La causa che determina il parto pretermine può anche compromettere la salute fetale (peresempio: distacco di placenta, oligoidramnios ecc.). Se la causa è un fatto infettivo o ischemi-co, il rischio di morbosità perinatale aumenta rispetto al parto pretermine in cui non si tro-vino cause. La scelta di proseguire la gravidanza deve essere giustificata da una normale cre-scita fetale e da un buono stato di salute fetale. Occorre, inoltre considerare l’età gestaziona-le: più precoce è l’età gestazionale, maggiore è il rischio di complicanze della prematurità, peril neonato.Tutti questi fattori condizionano la scelta di ritardare o meno il parto ma vannosempre valutati unitamente allo stato di salute materna.

I sintomi del travaglio di parto pretermine sono spesso aspecifici e non necessariamentesono gli stessi di un travaglio a termine. Per questo motivo, l’incidenza registrata di minaccedi parto pretermine risulta superiore a quella dei parti pretermine veri e propri.

In gestanti sintomatiche, i migliori segni clinici di parto pretermine entro una settimana dal-l’esordio sono: dilatazione cervicale ≥ 3 cm o raccorciamento ≥ 80%, perdite ematiche vagi-nali, rottura delle membrane. La frequenza delle contrazioni uterine, considerata singolarmen-te come criterio diagnostico, ≥ 4/ora ha una bassa sensibilità ed un basso valore predittivopositivo per il parto pretermine entro 7-14 giorni dall’esordio.

La somministrazione di farmaci tocolitici per la frequenza delle contrazioni in assenza dialtri elementi diagnostici, risulta inutile poiché non sussiste un reale travaglio di parto. Quindi,le gestanti con sintomi di travaglio di parto pretermine con dilatazione cervicale < 2 cm e/oraccorciamento < 80% rappresentano un dilemma diagnostico.

Per migliorare l’accuratezza della diagnosi di travaglio di parto pretermine e ridurre il nu-mero dei falsi positivi, sono stati proposti due metodi: l’ecografia transvaginale e la ricerca del-la fibronectina fetale nelle secrezioni cervicovaginali. L’ecografia transvaginale consente di mi-surare la lunghezza del canale cervicale.

120 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La gestione della minaccia di parto pretermine

Diversi studi hanno dimostrato la superiorità diagnostica di questo metodo rispetto al-l’esame digitale nel predire il parto pretermine in gestanti con sintomatologia acuta. Una lun-ghezza cervicale ≥ 30 mm ha un alto valore predittivo negativo per parto pretermine in don-ne sintomatiche. L’attivazione dell’interfaccia amnio-coriale come già ricordato si associa conla liberazione di varie sostanze che possono essere evidenziate e dosate nei secreti cervico-vaginali. Tra queste particolare significato assumono i dosaggi della fibronectina fetale (fFN).Una ricerca positiva per fFN in una paziente con contrazioni e dilatazione cervicale < 3 cmha maggiore sensibilità (90%) e valore predittivo negativo (97%) per il parto entro 7-14 gior-ni rispetto ai markers clinici standard ma il valore predittivo positivo per il parto pretermineentro 7-14 giorni è inferiore al 20% nella maggior parte degli studi. Questo test è quindi mi-gliore per escludere un parto pretermine piuttosto che identificarlo.

Il trattamentoLa tocolisi è il primo approccio terapeutico nel trattamento del parto pretermine insie-

me ai corticosteroidi che inducono e/o migliorano la maturità polmonare e agli antibioticisomministrati spesso a scopo profilattico.

Tabella I. Controindicazioni all’inibizione tocolitica del parto pretermineControindicazioni assolute Controindicazioni relativeIpertensione severa indotta dalla gravidanza Ipertensione cronica lieveGrave sanguinamento indipendentemente dalla causa Placenta previa stabileCorioamnionite Malattie cardiache materneMorte fetale IpertiroidismoAnomalie fetali incompatibili con la vita Diabete mellito non controllatoGrave difetto di crescita fetale Distress fetale

Anomalie fetaliLieve difetto di crescita fetaleDilatazione cervicale > 5 cm

Molte di queste rappresentano delle controindicazioni relative per le quali si può tenta-re un trattamento tocolitico qualora i rischi di una nascita pretermine e la morbosità e lamortalità ad essa associate siano alti e sia necessario un monitoraggio materno-fetale inten-sivo. Condizioni materne mediche come, per esempio, il diabete mellito, potrebbero essereinfluenzate negativamente da alcuni agenti tocolitici come i beta-mimetici.

Alcuni farmaci tocolitici possono essere utilizzati nel caso in cui sia possibile effettuare,nell’immediato, un controllo glicemico. Piccoli sanguinamenti vaginali o spotting si associanospesso al parto pretermine dovuto a modificazioni cervicali ma potrebbero anche essereespressione di un parziale distacco di placenta. In questi casi, se non vi è distress fetale e il

121GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La gestione della minaccia di parto pretermine

tono uterino è normale si può tentare un trattamento tocolitico, sotto stretta e continuaosservazione.

Se la cervice presenta una dilatazione superiore a 4-5 cm a trattamento tocolitico già ini-ziato, si ha una scarsa probabilità che la gravidanza prosegua per un periodo significativo.Comunque, questo tipo di pazienti viene osservato occasionalmente e la loro attività uteri-na è molto sensibile al trattamento iniziale. Se la gravidanza è tra 22-26 settimane, un prolun-gamento di 1-2 settimane potrebbe influenzare significativamente l’outcome perinatale e l’usodei tocolitici viene preso in considerazione soprattutto nelle gravidanze gemellari. Quindi, pri-ma di decidere di inibire il travaglio di parto pretermine, occorre considerare la gravità del-l’eventuale malattia associata, la personalizzazione dell’assistenza e gli agenti tocolitici disponi-bili.

I farmaci tocolitici sono stati considerati il pilastro del management farmacologico prima-rio del travaglio pretermine, sia come terapia d’attacco (bloccando le contrazioni uterine), siacome terapia di mantenimento (mantenendo la quiescenza uterina). La valenza di questi far-maci, purtroppo, è attenuata da molteplici potenziali effetti collaterali materno-fetali e neona-tali.

Gli agenti farmacologici tocolitici attualmente in uso sono:- solfato di magnesio- inibitori della sintesi di prostaglandine- calcio-antagonisti- agonisti beta-adrenergici- donatori di ossido nitrico- antagonisti dell’ossitocina

SOLFATO DI MAGNESIODiversi meccanismi d’azione sono stati supposti. Alte concentrazioni di magnesio hanno

un effetto centrale inibitorio, interferiscono con la liberazione di acetilcolina e quindi con latrasmissione nervosa. Il magnesio sopprime anche l’attività contrattile di strisce miometrialiisolate, in vitro, in modo dose-dipendente, dimostrando un’azione cellulare diretta. Inoltre, èstato osservato che il magnesio esercita il suo effetto attraverso un incremento dell’AMP ci-clico. Esso svolge anche un ruolo di antagonista competitivo del calcio: riduce il calcio intra-cellulare, elemento necessario nell’interazione actina-miosina per la contrattilità della musco-latura liscia.

La contrattilità miometriale è inibita per livelli materni sierici di magnesio di 5-8 mg/dl. Perconcentrazioni di 9-13 mg/dl si possono perdere i riflessi tendinei profondi e per livelli supe-riori a 14 si ha depressione respiratoria. Il magnesio viene escreto perlopiù dal rene, con al-meno il 75% della dose infusa (per il trattamento della pre-eclampsia) escreta durante l’infu-sione e almeno il 90% escreto entro le 24 ore.

122 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La gestione della minaccia di parto pretermine

La dose iniziale d’infusione raccomandata è di 4-6 g, somministrata endovena in più di 20minuti seguita da una dose di mantenimento di 1-4 g/ora. La relazione tra la concentrazionesierica di magnesio e il successo della tocolisi non è ancora nota. Si raccomanda fortementela titolazione individuale in relazione alla risposta e agli effetti collaterali per valori superiori a8 mg/dl. La terapia endovenosa va continuata per circa 12 ore fino a che non si ha una ridu-zione delle contrazioni al di sotto di 4-6 all’ora.

Poiché il trattamento con magnesio può causare edema polmonare, è importante un’at-tenta osservazione dell’apporto e dell’escrezione e, forse, ridurre l’introito totale di liquidi, co-me per i ß-mimetici, al di sotto di 1500-2500 ml al giorno. Si raccomanda un costante con-trollo dei riflessi tendinei ed un attento monitoraggio dei livelli sierici di calcio e magnesio perevitare gli effetti tossici. Nel caso in cui si manifestino effetti tossici da ipermagnesiemia, oc-corre somministrare prontamente il calcio gluconato (almeno 10 mg).

INIBITORI DELLA SINTESI DI PROSTAGLANDINE Gli inibitori della prostaglandino-sinteasi, agiscono inibendo la conversione dell’acido ara-

chidonico a prostaglandine o bloccando l’azione della prostaglandine sugli organi bersaglio, esono rappresentati soprattutto da indometacina, ketoprofone, sulindac e celocoxib.

Uno dei maggiori problemi legati all’inibizione delle prostaglandine è la possibilita di gravieffetti avversi sul feto, in particolare la chiusura del dotto arterioso fetale di Botallo, l’iperten-sione polmonare neonatale, l’emorragia intraventricolare e la riduzione del flusso renale e l’oli-goidramnios. Fortunatamente l’effetto fetale avverso risulta dose ed età gestazionale dipenden-te (>30 settimane).

Diversi studi suggeriscono di limitare l’uso dell’indometacina entro le 32 settimane di ge-stazione e, inoltre, l’ecocardiografia fetale potrebbe essere d’aiuto nel valutare l’eventuale re-stringimento del dotto arterioso in caso di trattamento con indometacina superiore alle 48-72 ore.

La maggior parte degli studi ha utilizzato sia 50 mg o 100 mg per supposta rettale d’indo-metacina o 50 mg per os come dose d’attacco seguita da 25-50 mg per os ogni 6 ore in ba-se alla risposta.

La tocolisi con indometacina deve essere limitata nelle donne prima delle 32 settimane digestazione, senza difetto di crescita fetale e con liquido amniotico normale. La maggior partedegli Ostetrici la utilizza solo per 48-72 ore. Se si prosegue il trattamento per un tempo su-periore, si raccomanda la valutazione del volume del liquido amniotico e del dotto arterioso.

CALCIO-ANTAGONISTI I più recenti calcio-antagonisti sono stati presi in considerazione per un uso tocolitico, per

l’importante ruolo che il calcio libero citoplasmatico riveste nella contrattilità della muscola-tura liscia.

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La gestione della minaccia di parto pretermine

Farmaci come la nifedipina si pensa agiscano inibendo il flusso di ioni calcio attraverso lamembrana cellulare, soprattutto interferendo con i canali voltaggio-dipendenti per il calcio.

Come agenti tocolitici sono state studiate sia la nifedipina che la nicardipina. La nifedipinaraggiunge il picco plasmatico dopo 30-60 minuti dalla somministrazione orale e, in meno tem-po, dopo somministrazione sublinguale. L’emivita è di 1-2 ore e viene eliminata attraverso ilrene e l’intestino. Il blocco dei canali del calcio è reversibile con l’interruzione della terapia. Siè visto che la nifedipina attraversa la placenta ma la cinetica del trasporto e il metabolismonel feto non sono noti. Si somministra una prima dose di 10 o 20 mg di nifedipina per viaorale, da ripetersi dopo 20 minuti se le contrazioni persistono. La somministrazione sublin-guale non viene utilizzata per il potenziale effetto ipotensivo.

La terapia orale viene eseguita per 10-20 minuti ogni 4-6 ore. La durata del trattamentonon è prestabilita. Sono stati riportati tuttavia diversi effetti avversi dei calcio antagonisti siasulla gestante (cefalea, ipotensione, edema polmonare), che sul feto (morte improvvisa, bra-chicardia, alterazioni eterodinamiche cerebrali, acidosi).

AGONISTI beta-ADRENERGICIGli agonisti beta-adrenergici, utilizzati come tocolitici da trent’anni, comprendono: isoxu-

prina, isaxu, esoprenalina, fenoterolo, orciprenalina, ritodrina, salbutamolo, terbutalina. La loroazione è mediata dall’adenosina monofosfato ciclico che inibisce la kinasi delle catene legge-re della miosina impedendo, quindi, la contrazione della miocellula uterina. Sebbene abbianomassimi effetti a livello uterino e minimi a livello extrauterino, gli agenti beta-adrenergici pos-sono influenzare, in maniera significativa, la fisiologia cardiovascolare e metabolica materna (ef-fetto B1). La Tabella sotto riportata riassume le risposte dei vari tessuti ai farmaci beta-adre-nergici, risposte che costituiscono la base dei potenziali effetti collaterali materni.

Tabella II. Risposta dei tessuti alla stimolazione beta-adrenergicaRisposta beta1-adrenergica Risposta beta2-adrenergicaCUORE MUSCOLATURA LISCIA

forza tono vascolarevolume di eiezione attività uterina

tono bronchiolareINTESTINO RENE

motilità reninaoutput urinario

METABOLISMO METABOLISMOlipolisi glicogenolisiK+ intracellulare rilascio di insulina

Il più frequente e grave effetto collaterale è l’edema polmonare. Questo regredisce abba-stanza prontamente con la sospensione del tocolitico e la somministrazione appropriata didiuretici.Talvolta però è stato associato a morte materna.

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La gestione della minaccia di parto pretermine

Con l’uso degli agenti beta-adrenergici si ha un aumento della glicogenolisi epatica ed iper-glicemia materna. Con l’iperglicemia, si sviluppa ipokaliemia. I farmaci ß-adrenergici possonoessere somministrati per via endovenosa, intramuscolo, sotto cute o per bocca. Il trattamen-to con ritodrina o terbutalina può essere iniziato con un’infusione endovena mediante l’usodi una pompa di infusione calibrata, o per via intramuscolo con la ritodrina o sottocute conla terbutalina. Prima del trattamento, la paziente deve essere posizionata in decubito lateraleper evitare l’ipotensione.Vanno registrati l’apporto e l’eliminazione di liquidi e l’apporto to-tale raccomandato è di 1500-2500 ml. Occorre auscultare il torace ogni 4-8 ore per diagno-sticare precocemente l’eventuale edema polmonare.

La ritodrina viene somministrata, inizialmente, per via endovenosa in quantità di 0.05-0.10mg/min e viene aumentata di 0.05 mg/min ad intervalli di 10-30 minuti fino ad una potenzia-le dose massima di 0.350 mg/min.

Per la corretta utilizzazione di tali farmaci, si riportano parti del testo della GazzettaUfficiale G.U.R.I. n.166, 19 Luglio 2003: “Specialità medicinali beta2 stimolanti ad azione tocoli-tica a base di ritodrina e isoxsuprina nelle forme farmaceutiche iniettabili”

Una volta ottenuto l’arresto delle contrazioni uterine è possibile proseguire il trattamen-to d’attacco per 12-48 ore in modo da consentire l’attuazione di altre misure che potrebbe-ro migliorare lo stato di salute del nascituro.

Controindicazioni:L’impiego di ritodrina o isoxsuprina (RCI) è controindicato prima della 20a settimana di

gravidanza e nei casi in cui il prolungamento della gravidanza può essere pericoloso per lamadre o per il feto. Inoltre è controindicato nei seguenti casi: emorragie vaginali, eclampsiaconclamata e grave pre-eclampsia, malattie cardiovascolari, ipertensione polmonare, ipertiroi-dismo, diabete mellito, distacco placentare, preesistenti condizioni cliniche nelle quali influireb-be negativamente un beta-mimetico, morte intrauterina del feto, corionamnionite.

Il trattamento con RoI dovrebbe essere effettuato esclusivamente in strutture attrezzateper il monitoraggio continuo delle condizioni di salute sia della madre sia del feto e dovreb-be essere sempre preceduto da un’accurata valutazione dei rischi e dei benefici. Prima di de-cidere se intraprendere la terapia bisognerà attentamente vagliare la presenza di potenzialiproblemi cardiovascolari. Si richiede, infatti, un più attento monitoraggio per quei pazienti incui si sospetti una cardiopatia. “Nome prodotto” non dovrebbe essere somministrato a pa-zienti con pre-eclampsia, ipertensione o ipertiroidismo, a meno che il medico non ritenga chei benefici siano tali da giustificare i rischi. Durante il trattamento con RoI è necessario con-trollare la pressione sanguigna ed il battito cardiaco materno e fetale, inizialmente ogni 5-15min. ed in seguito, quando le condizioni della paziente si siano stabilizzate, ad intervalli sem-pre più distanziati (15-60 min); inoltre dovrebbe essere eseguito l’esame del torace e dovreb-bero essere monitorati glicemia, urea ed elettroliti. Le donne con diabete necessitano di ag-

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La gestione della minaccia di parto pretermine

giustamenti dei livelli ematici di glucosio e devono quindi essere monitorate con particolareattenzione. La somministrazione di “nome prodotto” può aumentare la frequenza del battitocardiaco materno in maniera progressiva, a volte fino a determinare l’insorgenza di palpita-zioni. L’insorgenza di una tachicardia materna di grado elevato può essere controllata median-te la riduzione della dose o tramite la cessazione della somministrazione del farmaco; biso-gna valutare caso per caso se l’entità della tachicardia possa essere considerata accettabile,ma di regola si raccomanda di non lasciare che nei soggetti sani la frequenza cardiaca superii 140 b/min. Per ridurre al minimo il rischio di ipotensione associato alla terapia con RoI du-rante l’infusione, la paziente dovrebbe rimanere coricata in decubito laterale sinistro, in mo-do da evitare la compressione della vena cava. Sono stati segnalati casi di edema polmonarein pazienti trattate con beta-stimolanti, particolarmente se sottoposte nel contempo a tera-pia cortisonica. Un attento monitoraggio dello stato di idratazione della paziente è essenzia-le; inoltre il volume dei liquidi somministrati dovrebbe essere mantenuto entro i livelli mini-mi. In caso di edema polmonare, interrompere il trattamento ed istituire idonee misure tera-peutiche. Sono stati segnalati casi di edema polmonare della madre trattata contemporanea-mente con beta-mimetici e cortisonici.- Gli effetti collaterali più frequentemente segnalati o riportati nella letteratura internazio-

nale sono: tachicardia, ipotensione arteriosa, tremore, nausea, vomito, senso di calore, ce-falea ed eritema.

- Occasionalmente sono stati segnalati: palpitazioni, nervosismo, agitazione, irrequietezza, la-bilità emotiva, ansietà, vertigine, sudorazione, arrossamento cutaneo, febbre, rush o males-sere generale.

- Sono stati descritti diversi casi di edema polmonare in corso di terapia con ß-mimeticiparticolarmente se associati a terapia corticosteroidea.

- Altri effetti collaterali, meno frequenti, ma a volte gravi, sono: effetti cardiovascolari qualiangina pectoris, ischemia miocardica o senso di oppressione toracica (con o senza altera-zioni ECGgrafiche o aritmie.A carico del feto si possono verificare effetti indesiderati cardiovascolari (tachicardia, au-

mento della gittata cardiaca, ischemia e necrosi del miocardio) e metabolici (ipoglicemia edidrope).

ANTAGONISTI DELL’OSSITOCINAGli antagonisti dell’ossitocina sono i farmaci emergenti in grado di inibire il duplice effet-

to dell’ossitocina stessa: l’effetto diretto stimolante la contrazione del miometrio legata all’at-tivazione dei canali del calcio e quello indiretto di stimolare la produzione delle prostaglandi-ne a livello della decidua e delle membrane fetali.

Il più promettente antagonista è l’atosiban, un analogo dell’ossitocina endogena in gradodi bloccare sia i recettori miometriali che quelli deciduali. L’atosiban è specificamente indica-

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La gestione della minaccia di parto pretermine

to per ritardare il parto pretermine e dovrebbe essere somministrato immediatamente do-po la diagnosi e gestito da uno specialista esperto. Gli effetti collaterali materni dell’atosibanpossono essere: nausea, mal di testa, vertigini, tachicardia, ipertensione, iperglicemia, reazioniallergiche. Gli effetti a carico del feto non sono significativi.

DONATORI DELL’OSSIDO NITRICOL’ossido nitrico è un potente miorilassante che agisce a livello vasale, intestinale e uterino.

La nitroglicerina è un esempio di farmaco donatore di ossido nitrico. La somministrazione dipatches di nitroglicerina sembra efficace nel trattare il parto pretermine ma va fatta partico-lare attenzione agli effetti ipotensivi materni. L’NO diffonde alle cellule bersaglio legandosi algruppo eme della guanilato ciclasi citosolica, aumenta la conversione della guanosina trifosfa-to a guanosina monofosfato ciclica. L’aumento dei livelli di cGMP causa un rilassamento dellamuscolatura liscia vascolare accelerando il legame intracellulare del calcio libero e inibisce l’ag-gregazione piastrinica e l’adesione all’endotelio. Gli effetti collaterali materni della sommini-strazione di donatori di NO sono: cefalea, nausea, vomito, tachicardia, ipotensione ortostati-ca, rush cutanei. Gli effetti avversi fetali, perlopiù ipotetici, sono determinati dalle variazioni diflusso fetale a livello placentare successive alla vasodilatazione materna. Il trattamento acutoconsigliato è di un patch transdermico da 10 mg per 12 ore da rimuovere poi per 6 ore erimpiazzare con un altro patch per 12 ore. Il trattamento conservativo è di un patch tran-sdermico da 5 mg per 12 ore ogni giorno.

Protocollo di management1. Esame pelvico, con utilizzazione di materiale sterile in caso di rottura prematura delle

membrane, e PROM test;2. riposo a letto in decubito laterale sinistro (trattamento frequentemente utilizzato ma pri-

vo di evidenti benefici reali);3. idratazione (almeno 500 ml) (non evidenti benefici);4. US per valutazione della posizione fetale, cervicometria e possibilmente stima del peso e

determinazione dell’età gestazionale;5. monitoraggio FCF (frequenza cardiaca fetale) ed attività uterina;6. colture cervico-vaginali per ricerca di Streptococco di gruppo B, Chlamydia trachomatis,

Mycoplasmi, vaginosi batterica, Anaerobi;7. esami ematochimici (emocromo con formula leucocitaria, conta piastrine, glicemia, VES,

PCR, uricemia, creatininemia, azotemia, transaminasi bilirubina, PT, PTT);8. esami urine e urinocultura;9. ECG;10. visita anestesiologica e/o cardiologica;11. eventuale trasferimento presso un centro di riferimento previo inizio di tocolisi.

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La gestione della minaccia di parto pretermine

Management della minaccia di parto pretermine con RPM1. Esame con speculum sterile per la valutazione della cervice uterina ed eventuale perdita

di liquido dalla vagina, evitando l’esplorazione digitale; valutazione del pH vaginale; prelie-vo colturale del secreto cervico-vaginale (prima e dopo la terapia locale antibiotica, dap-prima empirica poi mirata).

2. Controllo clinico di eventuale insorgenza di corionamnionite mediante valutazione dellaFCF, del polso e della temperatura materna ogni 4 ore. Effettuazione della conta leucoci-taria e della formula ogni 48 ore e dosaggio della Proteina C Reattiva ogni 24-48 ore.

3. Valutazione ecografica per confermare l’epoca gestazionale, identificare la parte presenta-ta e quantificare il volume di liquido amniotico. Profilo biofisico fetale e velocimetriaDoppler materno-fetale ogni 48 ore.

4. Se l’epoca gestazionale risulta inferiore alla 34° settimana e non sussistono altre indicazio-ni materne o fetali all’espletamento del parto, la gestante viene attentamente controllataper ogni segno di travaglio, infezione o rischio fetale.

5. Se l’epoca gestazionale risulta superiore alla 34° settimana e se il travaglio non è iniziatospontaneamente entro 12 ore, il travaglio viene indotto mediante infusione ev di ossito-cina. La presentazione podalica e la situazione trasversa costituiscono una controindica-zione all’induzione.

6. Profilassi corticosteroidea per la maturazione polmonare fetale (betametasone 12 mg/24hper 2 giorni).

7. Antibioticoterapia da iniziare entro 24 ore con antibiotico ad ampio spettro (compresiGram negativi) e/o metronidazolo (500mg x 2/24h ev) associati a terapia vaginale localecon clindamicina (crema vaginale 1 applicazione/die per 7 giorni) e sertaconazolo (1 ovu-lo in unica somministrazione).

8. Amniocentesi per testare la maturità polmonare fetale (rapporto L/S, corpi lamellari) e/oamnioinfusione in caso di liquido marcatamente ridotto (in casi limitati).

9. L’espletamento del parto è finalizzato alla riduzione del rischio di ipossia, acidosi e/o infe-zione neonatale.

L’intervento farmacologico prevede dunque l’uso di:

- antibiotici (in caso di RPM associata) -ampicillina- 1 gr x 4/die ev;- corticosteroidi -betametasone- 12 mg/24h per 48h- atosiban, dose bolo di 6,75 mg in 0,9 ml (7.5 mg/ml) seguita da infusione continua di una

dose elevata (18 mg/h = 24 ml/h) per 3 ore ed infusione successiva (6 mg/h = 8 ml/h) fi-no ad un massimo di 48 h;

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La gestione della minaccia di parto pretermine

- inibitori della prostaglandino-sintetasi-indometacina- 50 mg per via rettale, continuandocon 1 somministrazione/die;

- trinitrato di glicerina- 5 mg ev in bolo e successivamente patch di nitroglicerina 10 mg/24h.

L’ossido nitrico è un potente miorilassante endogeno, attivo a livello vasale, intestinale eduterino. La nitroglicerina, donatore di ossido nitrico, sembra efficace nel trattare il parto pre-termine ma espone a notevole ipotensione materna. I beta-agonisti (isossisuprina, salbutamo-lo, terbutalina, ritodrina), legandosi ai recettori beta-adrenergici presenti sulla membrana cel-lulare della muscolatura liscia, attivano l’AMP ciclico con riduzione del calcio intracellulare. Irecettori beta-agonisti sono presenti a livello del cuore, piccolo intestino e tessuto adipososotto forma di beta1, mentre sotto forma di beta2 si repertano a livello dell’utero, vasi san-guigni, diaframma e bronchi.

Il management da adottare in fase di travaglio e di parto imminente (fase 4), prevede un ap-proccio interdisciplinare, una accurata distinzione del trattamento a seconda delle varie epo-che gestazionali (< o > 26 settimane), accurato colloquio con i genitori in relazione alla pro-gnosi, scelta della via di espletamento del parto in presenza di un neonatologo, monitoraggiocontinuo della FCF, uso di antibiotici per ridurre il rischio infettivo materno-fetale ed utilizzoprevalente di analgesia regionale.

In fase postnatale (fase 5), poi, è necessario incoraggiare l’allattamento al seno, fornire adegua-te informazioni riguardanti il neonato, permettere il continuo accesso alla terapia intensivaneonatale, ricercare le cause-fattori precipitanti stabilendo una strategia per le successive gra-vidanze.

In conclusione, dunque, spesso le principali e più comuni cause di travaglio e parto pre-termine possono essere rilevate e magari eliminate all’inizio della gestazione, o addirittura pri-ma del concepimento. Le strategie di prevenzione secondaria, come la tocolisi, risultano mag-giormente efficaci qualora il principale processo fisiopatologico venga identificato precoce-mente ed in modo specifico. Gli approcci di “esame, cura, prevenzione” adottatati all’inizio del-la gravidanza, o in fase preconcezionale, potrebbero aumentare la reale efficacia del tratta-mento tocolitico, riuscendo così nell’intento di diminuire drasticamente tale patologia.

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DECISIONI ETICHENELLA GESTIONEDEL GRANDE PRETERMINEIl punto di vista dell’ostetricoU.Wiesenfeld, S. Inglese, M. Bernardon, E. Bianchini, M. Piccoli, GP. Maso, A. CandiottoDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

Il dibattito relativo alla prematurità ed alle sue implicazioni rappresenta un’area di interse-zione tra ostetricia e neonatologia.

Il miglioramento della sopravvivenza neonatale e perinatale ha portato i Clinici a ridefini-re continuamente i limiti di sopravvivenza. Pertanto in epoche sempre più precoci di gravi-danza i feti vengono considerati in grado di sopravvivere e quindi candidati ad un manage-ment ostetrico attivo, manovre rianimatorie e terapie intensive.Tuttavia, la prognosi dei gran-di pretermine può ancora essere molto severa. Il grande numero di lavori pubblicati su que-sto tema riflette la vastità e la serietà delle questioni etiche che i clinici ed in generale la co-munità scientifica devono affrontare riguardo il management dei grandi pretermine. È interes-sante osservare che questi temi sono in genere sollevati da team ostetrico-pediatrici(Morrison, 1997; Doron, 1998; American Academy of Pediatrics, 1995; Fetus and NewbornCommittee, Canadian Paediatric Society, 1994; Norup, 1998) da pediatri e molto raramente dasolo ostetrici (Amon, Shyken e Sibai, 1992; Reuss e Gordon, 1995; Chervenak e McCullough,1997). Eppure, gli ostetrici prendono decisioni che hanno importanti conseguenze per i bam-bini e le famiglie. La nascita prematura si inserisce traumaticamente nella vita reale e menta-le della donna. Può avvenire in modo del tutto imprevisto ed inaspettato e provocare unoshock emotivo fortissimo. Più la settimana di gestazione è bassa, più la donna è terrorizzatadalla paura di un parto che si colloca al limite con l’aborto e che mette fortemente in dub-bio la possibilità di sopravvivenza del nascituro. Boyle e Kattwinkel (1999) riportano tre casiemblematici:1. Una donna con età gestazionale di 23 settimane si presenta presso il servizio di ostetri-

cia con rottura delle membrane. Si decide di trattarla con corticosteroidi e di tenerla sot-to controllo. L’ecografia conferma un’età gestazionale di 22-23 settimane.Lo staff ostetrico discute con la donna la probabilità stimata di sopravvivenza e di handi-cap fetali e l’eventualità di un taglio cesareo in caso di sofferenza fetale. La coppia vienequindi messa in contatto coi neonatologi ricevendo ulteriori informazioni sulle possibilitàdel nascituro.

TAVOLA ROTONDA

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

I genitori sono favorevoli ad una gestione non aggressiva per timore che il bambino so-pravviva disabile.

2. Una paziente si presenta presso il pronto soccorso ostetrico con contrazioni uterine acirca 23-24 settimane di età gestazionale (confermate da un’ecografia eseguita immedia-tamente). Si tratta di un travaglio prematuro con parto atteso entro 2-3 ore. La donna,avendo letto molto a proposito della prognosi dei nati prematuri, non desidera che il bam-bino sia rianimato.

3. Una donna arriva in ospedale con travaglio pretermine spontaneo. L’ecografia mostra unfeto di 22 settimane. Essendo la paziente quintigravida, nullipara, i genitori vogliono che sifaccia tutto il possibile per salvare il bambino.

Questi tre esempi mettono in luce le principali questioni che sorgono in questi casi:- Quale è l’attuale limite di sopravvivenza?- Quale deve essere il ruolo dell’ostetrico?- Quale deve essere il ruolo del neonatologo?- Quale deve essere il ruolo dei genitori nella decisione se rianimare o meno il bambino?- Cosa dovrebbe succedere se i sanitari non fossero d’accordo con i genitori?

L’attuale limite di sopravvivenzaLo sviluppo delle tecniche di terapia intensiva neonatale con conseguente miglioramento

degli outcome, ha portato a ridefinire il “limite inferiore di sopravvivenza”.Nel 1988, il Report sulla sopravvivenza fetale extrauterina della Task Force on Life and Law

dello Stato di New York, affermava che le evidenze epidemiologiche e biologiche allora di-sponibili ponevano il limite inferiore di sopravvivenza a 23-24 settimane di età gestazionale.Fra gli studi più significativi sull’argomento si possono citare quelli del National Institute of ChildHealth and Human Development (NICHD) (Fanaroff et al, 1995) ed il Vermont-OxfordNetwork (Bernstein et al, 2000; Horbar et al, 2001) che hanno riportato la sopravvivenza elo sviluppo neurologico a breve termine degli istituti partecipanti. Il NICHD ha riportato che,nell’era post surfactante la sopravvivenza dei neonati di 23 settimane è di circa 20%; 47% perquelli nati a 24 settimane e 68% per quelli nati a 25 settimane. I dati del Vermont-OxfordNetwork sono molto simili.

Un altro importante studio, pubblicato da Hack e Fanaroff nel 1999 riportava dei rangedi sopravvivenza tra 2% e 35% per i nati a 23 settimane, tra 17% e 58% per quelli di 24 set-timane e tra 35% e 85% per i neonati di 25 settimane. Queste ampie variazioni sono stateriportate sia all’interno che tra i paesi sviluppati.

In Giappone, dove la rianimazione è obbligatoria anche a 22 settimane, si è osservato chela sopravvivenza in tale epoca non è impossibile; comunque la probabilità per i sopravvissuti

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

di essere dimessi dall’ospedale era inferiore al 10% (Nishida et al, 1992). Un’altra prospettivaproviene da uno studio effettuato nei paesi in via di sviluppo, dove la maggioranza dei centrineonatologici considera come età di sopravvivenza le 28 settimane (Straughn et al, 2003).

Si potrebbe dedurre che la sopravvivenza sia un limite biologico, ma anche una realtà so-cio-economica; e in un mondo con risorse non illimitate, questo aspetto va attentamente con-siderato.

In caso di nascita estremamente prematura, oltre all’elevata mortalità, specialmente nei na-ti a 23-24 settimane, esiste un elevato rischio di danni neurologici e cognitivi. Lo studio delNICHD relativo ai bambini nati negli Anni ’90, mostrava un’incidenza di uno o più handicapneurologici maggiori (paralisi cerebrale, ritardo mentale, cecità o sordità) pari al 49% in bam-bini nati con peso compreso tra i 500 g ed i 1000 g (Vohr et al, 2000).

Dati importanti si possono anche ricavare da reports di istituzioni che avevano iniziatouna politica di rianimazione di bambini di età gestazionale estremamente bassa e, dopo avervalutato i risultati, hanno modificato il loro atteggiamento (Sheldon, 2001; Sweet et al, 2003).A Leiden, in Olanda, si è osservato che la politica di resuscitare neonati con meno di 25 set-timane ha portato ad un’inaccettabile elevata mortalità e morbilità (Sheldon, 2001). L’altrostudio si basa su un’esperienza di 4 anni (1994-98) in un centro della California, dove si pra-ticava una rianimazione aggressiva a tutti i neonati con peso ≥ 450 gr o età gestazionale ≥ 22settimane (Sweet et al, 2003). I dati su mortalità e morbilità hanno portato gli operatori diquest’ultimo centro a rivedere la loro politica e quindi a offrire la rianimazione solo ai neo-nati ≥ 500 gr o ≥ 24 settimane. Sotto questi limiti, la rianimazione veniva considerata solo incasi eccezionali. Andrebbe quindi considerata, nel disegnare politiche future in questo ambi-to, la possibilità di sperimentare nuove politiche, valutarle e successivamente rivederle.

Il ruolo dell’ostetricoIl primo problema che deve affrontare l’ostetrico è quello della determinazione il più pos-

sibile accurata dell’età gestazionale, in quanto è considerata decisiva nelle scelte riguardanti ilmanagement. Prima della 28a settimana essa riveste un ruolo fondamentale sia riguardo la pro-babilità di sopravvivenza che riguardo l’incidenza di sequele neurologiche (Keirse, 1995). Il ri-schio di mortalità neonatale rimane infatti molto elevato fino alla 27a settimana, decrescendogradualmente dalla 28a alla 34a, per quindi diminuire bruscamente e divenire paragonabile aquello della popolazione dei nati a termine.

Numerosi studi mettono in relazione critica l’età gestazionale con mortalità e morbilità(Allen et al, 1993; Hack et al, 1996; Holtrop et al, 1994; Hagan et al, 1996; Kilpartick et al, 1997;O’Shea et al, 1997). Le opinioni più contrastanti sono relative alla gamma tra le 23 e le 27settimane, la cosiddetta prematurità estrema. Poiché il numero di nati tra 23 e 27 settimane

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

è basso, Morrison e Rennie (1997) hanno valutato la casistica riportata da vari autori, con-cludendo che la sopravvivenza aumenta di circa il 3% al giorno dalle 23 alle 24 settimane esuccessivamente dall’1% al 2% al giorno fino alle 27 settimane. Pertanto risulta molto impor-tante prolungare la gravidanza, anche di un solo giorno, in epoca così precoce. I dati più re-centi mostrano sopravvivenze variabili da 10% a 30% a 23 settimane, da 38% a 62% a 24 set-timane, da 55% a 74% a 25 settimane e da 76% a 83% a 26 settimane (Hack et al, 1996;Kilpartick et al, 1997; O’Shea et al, 1997).

Tuttavia, l’età gestazionale è incerta nel 20-40% delle gravidanze. Motivi di incertezza so-no: irregolarità del ciclo mestruale, assunzione di estroprogestinici nei mesi precedenti la man-cata mestruazione, perdite ematiche nel corso del primo trimestre, ricordo impreciso delladata dell’ultima mestruazione (Campbell et al, 1985).Talora, anche quando la data dell’ultimamestruazione sembra riferita in modo sicuro, l’età gestazionale può non essere accurata(Geirsson et al, 1991). Naturalmente, un’ecografia al primo trimestre fornisce informazioni im-portanti.

A volte, però, l’ostetrico affronta pazienti che non hanno eseguito visite e/o esami prena-tali oppure presentano dati inaffidabili. Una misura del diametro biparietale fetale effettuatatra 13 e 20 settimane definisce l’età gestazionale con una variabilità di +/- 8,7 giorni, ovvero+/- 1-1,5 settimane (Todros et al, 1991). Dopo le 23 settimane, invece, la predizione della da-ta del parto tramite ecografia peggiora.

Secondo l’American Academy of Pediatrics e l’American College of Obstetricians andGynecologists (1995), l’esame ecografico eseguito al terzo trimestre per la datazione della gra-vidanza ha un’approssimazione di +/- 2 settimane. Queste 2 settimane possono fare la diffe-renza nel valutare i dati di mortalità e morbilità e quindi nel prendere le conseguenti decisio-ni. Dopo l’età gestazionale, il peso alla nascita è il fattore più importante che determina la so-pravvivenza. Le stime ecografiche del peso fetale presentano anch’esse dei problemi. Nel ran-ge tra 400 e 1000 grammi l’aumento di peso alla nascita si associa ad una netta diminuzionedella mortalità (Hagan et al, 1996; Morrison e Rennie, 1997).Tuttavia, la stima del peso feta-le non è così accurata da permettere una sufficiente differenziazione, in tale ambito stretto dipotenziali pesi, che fa variare il rischio di mortalità dal 30% al 60% (Boyle e Kattwinkel, 1999).

Non vanno sottovalutate da parte dell’ostetrico le possibili complicanze materne associa-te al trattamento della minaccia o del travaglio di parto pretermine tra le 23 e le 27 settima-ne. In quest’epoca gestazionale, il parto non presenta alcun pericolo per la donna, tuttavia lemisure messe in atto per migliorare l’outcome del feto, sia prolungando la gravidanza (tera-pia tocolitica) sia intervenendo chirurgicamente (anestesia e taglio cesareo) sono direttamen-te correlate alla mortalità materna nel Regno Unito (Morrison e Rennie, 1997).

I rischi materni legati al parto pretermine sono quindi legati al trattamento utilizzato cheè innanzitutto quello tocolitico. Il farmaco maggiormente impiegato è la ritodrina, un farma-co beta-simpaticomimetico. In uno dei primi studi multicentrici americani sull’uso della rito-

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

drina nel travaglio di parto pretermine, i risultati sembravano incoraggianti in termini di epo-ca gestazionale al parto, peso alla nascita, distress respiratorio e mortalità perinatale (Merkatzet al, 1980). Studi più recenti (Leveno et al, 1986; Canadian preterm labor investigation group,1992) hanno tuttavia dimostrato che il trattamento con ritodrina posticipa il parto di 24-48ore, senza diminuire l’incidenza di mortalità perinatale o di severe complicanze respiratorieneonatali. Inoltre sono noti diversi e severi effetti collaterali materni legati alla ritodrina, tracui: tachicardia, ipotensione, edema polmonare, iperglicemia, iperinsulinemia, chetoacidosi(Canadian preterm labor investigation group, 1992). L’edema polmonare è responsabile anchedei 25 casi di morte materna riportati in seguito all’assunzione di farmaci beta-agonisti (PricePH, 1992).

Attualmente, come evidenziato da una meta-analisi di 16 trial (King et al, 1998), il migliorvantaggio di tale terapia tocolitica sembra essere il guadagno di tempo sufficiente per la pro-filassi della maturità polmonare fetale. La terapia tocolitica di mantenimento dopo il tratta-mento di un episodio acuto non riduce l’incidenza di recidive di travaglio pretermine e nonmigliora l’esito perinatale (Sanchez-Ramos et al, 1999).

Per quanto riguarda l’espletamento del parto, preliminari report consigliavano l’esecuzio-ne del taglio cesareo al fine di evitare travaglio e parto ritenuti a maggior rischio, nel preter-mine, di emorragia intraventricolare neonatale.A conferma di ciò, un’indagine di Amon e Moyn(1992) presso i membri della SPO (Società di ostetricia Perinatale) aveva dimostrato un rad-doppio nell’arco di 5 anni dei tagli cesarei elettivi in bambini nati tra le 24 e le 28 settimanedi gestazione.

La letteratura ha proposto diversi lavori, soprattutto di tipo retrospettivo, volti ad indaga-re quale fosse la modalità di parto più indicata nel prematuro. Alcuni di questi lavori appaio-no degni di nota perché propongono delle analisi statistiche multivariate.

Kitchen e coll. (1992) ad esempio osservarono l’outcome a 2 anni dalla nascita di 577 neo-nati con peso tra i 500 e i 999 grammi, nati tra il 1977 e il 1987. Dall’analisi statistica, median-te regressione logistica, dedussero che la modalità del parto non influenzava l’incidenza di pa-ralisi cerebrale e di disturbi mentali. Allo stesso modo, molte variabili quali: l’Apgar, la tempe-ratura rettale, il primo valore di pH arterioso, la durata della ventilazione assistita ed altre an-cora, non erano associate al tipo di parto. Malloy et al. (1994) invece riportarono i dati dellamortalità e dell’incidenza di emorragia intraventricolare di 1.765 neonati con peso minore di1.500 g, raccolti in 7 centri. Da una prima analisi il taglio cesareo appariva la scelta terapeuti-ca più indicata per questi neonati di bassissimo peso. La successiva correzione per variabiliconfondenti (età gestazionale, presentazione fetale, travaglio prima del taglio cesareo, pre-eclampsia) dimostrava, anche in questo caso, che il taglio cesareo non comportava alcun van-taggio rispetto al parto vaginale in quanto non era associato ad un minor rischio di emorra-gia intraventricolare e ad una minore mortalità.

Gli studi randomizzati proposti, d’altra parte, hanno dato scarsi risultati. Grant e coll. nel

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

1996 hanno pubblicato una review che raccoglieva tutti i lavori prospettici fino ad allora pro-dotti, in cui venivano confrontati i risultati di una politica di taglio cesareo elettivo rispetto aduna di taglio cesareo selettivo. Le ridotte dimensioni del campione non avevano permesso dievidenziare dati significativi sui benefici neonatali attribuibili al taglio cesareo, ma era stato pos-sibile dimostrare che le complicazioni neonatali erano maggiormente associate alle presenta-zioni podaliche e che il taglio cesareo era il principale responsabile della morbilità materna.In conclusione, affermavano gli Autori, la sola cosa che si potesse raccomandare sulle moda-lità del parto era una decisione su base individuale caso per caso, tenendo conto delle pre-ferenze dei genitori.

Il taglio cesareo infatti, in quanto intervento chirurgico ha dei rischi maggiori rispetto alparto vaginale L’esecuzione del taglio cesareo in epoca così precoce è però maggiormenteproblematica, in quanto l’utero è di minori dimensioni ed il segmento uterino inferiore nonè ancora ben formato. Pertanto aumenta il ricorso all’incisione uterina classica, cioè corpora-le e ciò comporta un significativo aumento della morbilità materna: emorragie intraoperato-rie, infezioni e rischio di deiscenza o rottura nel corso di una gravidanza successiva.

Per quanto riguarda l’outcome di questi nati pretermine, numerosi studi hanno mostratoche gli ostetrici hanno una visione più pessimistica rispetto ai neonatologi ed ai pediatri. Daquesti lavori risulta che gli ostetrici tendono a sottostimare significativamente anche di 25-30punti percentuali - rispetto ai dati della Letteratura - i tassi di sopravvivenza ed assenza dihandicap nei nati tra le 23 e le 29 settimane di gestazione (Goldsmith et al, 1996; Haywoodet al, 1994; Reuss e Gordon, 1995).

Secondo Haywood et al. sarebbe diffusa la preoccupazione che, per questa sottostima del-le possibilità di sopravvivenza dei neonati prematuri, gli ostetrici possano offrire cure non deltutto adeguate a questi bambini e/o alle loro madri. A tale proposito, gli Autori hanno elabo-rato un questionario postale, che ha coinvolto 244 medici che assistevano ai parti, e hannochiesto loro quale percentuale di neonati tra le 23 e le 36 settimane di età gestazionale puòsopravvivere, nascendo in un centro perinatale attrezzato. I medici dovevano inoltre stimarela percentuale di neonati sopravvissuti che non avrebbero avuto gravi handicap. Infine, sonostate confrontate le stime dei soggetti con le statistiche nazionali di sopravvivenza. In effetti,Haywood et al. hanno riscontrato che i medici del campione sottostimavano i tassi di soprav-vivenza e di assenza di handicap in maniera statisticamente significativa per ogni settimana dietà gestazionale considerata. In particolare, solo la metà dei soggetti sarebbe intervenuto conun taglio cesareo per sofferenza fetale a 25 settimane di gestazione.

Naturalmente, se è possibile stabilire con certezza che i medici ostetrici tendono a sot-tostimare le possibilità di sopravvivenza ed outcome positivo dei neonati pretermine, ciòavrebbe importanti implicazioni per le decisioni etiche in ostetricia, nel senso che ci sarebbeun rischio di eccessivo astensionismo per neonati di età gestazionale molto bassa.

In conclusione, l’ostetrico dovrebbe fornire ai genitori le informazioni su:

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

- rischi immediati del proseguimento della gravidanza per la madre;- rischi immediati ed a lungo termine per la madre a seconda del trattamento tocolitico e

delle diverse modalità del parto.A tale riguardo, l’American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG) nelle sue linee

guida del Settembre 2002 afferma, come evidenza di livello A: “I neonati nati prima delle 24settimane di gestazione hanno poche possibilità di sopravvivenza e quelli che ci riescono nonhanno probabilità di sopravvivere intatti”.

Il ruolo del NeonatologoIl neonatologo si trova sempre più spesso di fronte al dilemma etico nei confronti di atti

assistenziali che si potrebbero configurare nell’accanimento terapeutico, soprattutto nei casiin cui questo venga osteggiato dai genitori.

Il management neonatale di questi bambini ad oggi pone pesanti quesiti diagnostici e te-rapeutici. Non è facile infatti stabilire quando un bambino piccolo è “troppo piccolo”. Non siconosce e spesso non si vede dove sia il confine da non oltrepassare con manovre di riani-mazione, non si dispone di cure efficaci e non si conoscono le evidenze delle strategie in uso.

Con l’introduzione di nuove terapie (corticosteroidi antenatali e surfactans), con il miglio-ramento della tecnologia medica e dell’esperienza nel management dei neonati prematuriELBW (Extremely Low Birth Weight), la loro sopravvivenza sembra migliorare (Fanaroff et al,1995; Stevenson et al,1998;Lemons et al, 2001).

Questo determina una maggiore tendenza da parte di alcuni centri specializzati e inevita-bilmente delle famiglie a voler abbassare la soglia di terapia intensiva al di sotto delle 24 set-timane e con meno di 500 gr di peso alla nascita. Sono necessarie pertanto delle chiare con-siderazioni in merito sia etiche che mediche. Se da una parte, infatti, è diminuito il tasso dimortalità dei neonati ELBW dal 1988 al 2000 passando dal 23% al 14% e migliorando la so-pravvivenza al momento della dimissione, vuoi dei neonati di peso compreso tra i 500-750,vuoi dei neonati fino ai 1000 gr, dall’altra sono rimaste invariate le percentuali di incidenzadelle principali complicanze perinatali (scompenso polmonare cronico/displasia broncopolmo-nare, enterocoliti necrotizzanti, emorragia intraventricolare di II e III grado) e non si è modi-ficata quindi la sopravvivenza a lungo termine priva di complicanze (Fanaroff et al 2003).

Dal punto di vista neonatale è indubbio che il maggior fattore limitante la sopravvivenzafetale sia la maturità polmonare e quindi la capacità dell’apparato respiratorio di assolvere al-la sua funzione di “scambiatore di gas”. È noto che gli elementi vascolari deputati allo scam-bio dei gas si sviluppano dopo le 21 settimane, mentre una adeguata superficie di diffusionegassosa è presente dalle 23 settimane di gestazione (Barbett et al, 1988; Di Maio et al 1989).In questo ambito certamente l’utilizzo di surfactans e ventilatori neonatali insieme all’avven-

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

to dei corticosteroidi antenatali hanno supportato e spesso garantito una buona funzione pol-monare.Tuttavia è difficile, in assenza di una placenta artificiale associata a ECMO (extracor-poreal membrane oxigenator), che la rianimazione di un neonato a 22 settimane possa essereefficace.

Per quanto riguarda la sopravvivenza dei neonati ELBW, recentemente il National Instituteof Child Health and Human Development NICHD ha pubblicato i dati relativi alla sopravviven-za e allo sviluppo intellettivo a breve termine, dei neonati compresi fra i 501-1500 gr prove-nienti da 15 centri neonatologici statunitensi che partecipavano alla ricerca. Il tasso di soprav-vivenza varia con l’epoca gestazionale e si attesta attorno al 3,5% per i nati a 22 settimane,passando al 21% a 23 settimane e al 46% a 24 settimane fino a salire al 66% con il compi-mento della 25° settimana. Nello studio vengono paragonati inoltre i risultati ottenuti in ter-mini di sopravvivenza prima e dopo l’avvento della terapia con surfactans (1991), con corti-costeroidi antenatali (1990) e con sofisticate strategie di ventilazione, giungendo alla conclu-sione che nessuna di queste novità terapeutiche è in grado di migliorare la sopravvivenza deineonati al di sotto delle 23 settimane (Fanaroff et al 2003).

In merito a questi risultati enti professionali quali la NY State Task Force on Life and Law, laSocietà di Pediatria Canadese, la British Association of Perinatal Medicine, la American Academyof Pediatrics hanno affermato che il trattamento attivo dei neonati a 22 settimane di gestazio-ne non è indicato salvo casi eccezionali in accordo anche con l’International Guidelines forNeonatal Resuscitation che non considera appropriata la rianimazione di neonati al di sottodelle 23 settimane di gestazione o al di sotto dei 400 gr di peso (Niermeyer et al 2000).

Un altro parametro fondamentale da tenere in considerazione per un corretto manage-ment dei neonati ELBW riguarda lo sviluppo neuropsichico dei sopravvissuti a breve e a lun-go termine. Numerosi studi in letteratura si sono occupati di questo problema ponendo l’at-tenzione sulla qualità di vita che può essere assicurata a questi neonati e, di riflesso, alle lorofamiglie, con un’analisi dei quozienti intellettivi tra 0-3 anni e oltre i 5 anni. I dati più consi-stenti arrivano comunque dal NICHD che basandosi sui parametri della Bayley Scales of InfantDevelopment-II Mental Development Index (MDI) dimostra come i due terzi (66%) dei bambi-ni sopravvissuti sviluppino un QI < 85 (sotto la normalità), e un terzo (37%) un QI <70, com-preso nel range del ritardo mentale entro i tre anni. Inoltre l’incidenza di paralisi cerebrale siattesta intorno al 17% e l’incidenza di un handicap mentale grave (paralisi cerebrale, ritardomentale, sordità o cecità) è di circa 49% per i neonati con peso alla nascita compreso fra i500 e i 1000 gr (Vohr et al 2000). Andando ad osservare gli stessi bambini dopo i 5 anni,Whitfield ha dimostrato che i neonati con peso alla nascita <800g che avessero raggiunto unQI normale (>=85) entro i tre anni dimostravano comunque minori capacità di controllo mo-torio fine, di controllo motorio visivo, di memoria visiva di scrittura, lettura e aritmetica, aven-do nel complesso un’incidenza circa tre volte maggiore di difficoltà di apprendimento rispet-to a bambini sani. In conclusione solo il 12% dei maschi e il 35% delle femmine si potevano

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

considerare normali. (Ment 2003; Peterson 2003). Nonostante non ci siano in Letteratura da-ti a conferma di una correlazione tra deficit cognitivi e iposviluppo di precise aree corticali, èammissibile supporre che lo sviluppo cerebrale di questi bambini risenta di fattori noti e po-co noti legati alla loro fragilità e alla denutrizione

È stato sostenuto che le decisioni prese dai neonatologi possono essere legate a:1. opinioni personali riguardanti la qualità rispetto alla santità della vita;2. indifferenza al peso che un bambino disabile rappresenta per i genitori;3. paura di fallire (cioè morte del bambino);4. paura di problemi medico-legali;5. curiosità di fare esperimenti su esseri umani (Alecson, 1995).

Il ruolo dei genitoriI genitori sono normalmente considerati i “decision makers” per i propri figli. Questo ruo-

lo ha aspetti sociali, legali ed etici, talvolta potenzialmente in conflitto tra di loro. Molti dei dif-ficili dilemmi che sorgono in caso di parto prematuro riguardano le decisioni dei genitori edil conflitto con i medici.

Di solito, si ritiene che rientri nei poteri decisionali dei genitori la scelta se continuare ointerrompere la terapia, compresa la rianimazione.Tuttavia, questa responsabilità non è asso-luta ed inevitabilmente, sorgeranno conflitti tra i genitori che prendono decisioni ed i sanita-ri che hanno visioni differenti riguardo l’interesse del neonato.

Può essere utile, a questo proposito, ricordare il caso “Baby Doe”, un bambino, nato il 9aprile 1982 a Bloomington (USA), affetto da sindrome di Down e con complicazioni all’eso-fago che richiedevano un intervento chirurgico per ristabilirne la funzionalità. Il dottor Owens,l’ostetrico che aveva fatto nascere il bambino, propose ai genitori, che acconsentirono, di nonintervenire chirurgicamente per ripristinare la funzionalità dell’esofago e di somministrare alneonato dei medicinali che gli impedissero di sentire dolore. In tal modo, secondo il medico,il neonato sarebbe morto in pochi giorni. La Direzione dell’Ospedale chiese al giudice dellacontea di stabilire la liceità di questa condotta, che venne approvata in nome del fatto che igenitori di un minore hanno il diritto di scegliere la condotta medica che reputano migliore.Poiché il caso divenne pubblico, suscitando reazioni indignate, il pubblico ministero della stes-sa contea si appellò alla Corte Suprema dell’Indiana perché modificasse la prima sentenza, mail ricorso venne respinto. Ci si appellò allora alla Corte Suprema di Washington ma, nel frat-tempo, privo di alimentazione, Baby Doe morì (Boyle e Kattwinkel, 1999).

Un altro caso discusso in letteratura è quello del Dr. Messenger, un medico americano ac-cusato di omicidio per avere staccato il figlio di 25 settimane dal respiratore che ne garanti-va la sopravvivenza (Clark, 1996; Paris 1996). La moglie aveva un edema polmonare in con-

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

seguenza della terapia tocolitica a cui era stata sottoposta per bloccare il parto prematuro.La tocolisi fu pertanto sospesa, quindi ripresero le contrazioni e fu partorito un bimbo di 790grammi. I genitori dissero chiaramente che non volevano fosse fatto alcuno sforzo da partedello staff rianimatorio, in quanto avevano compreso che la prognosi era estremamente sfa-vorevole.

Contrariamente a quanto richiesto dalla coppia, il bimbo fu rianimato e quindi ricoveratopresso il reparto di terapia intensiva neonatale. Poco dopo la nascita i genitori si recarono avisitare il bimbo e chiesero di essere lasciati soli con lui.A questo punto il marito staccò i mac-chinari ed il bimbo morì.

Al termine del processo, il Dr. Messenger fu assolto dalla giuria. Dopo questi casi, il dirit-to e la responsabilità dei genitori sono stati oggetto di molte analisi e commenti (Pinkertonet al, 1997;Tyson et al, 1996). Le posizioni estreme, cioè da un lato “nessuno, nemmeno i ge-nitori, deve prendere queste decisioni” e dall’altro “i genitori hanno l’assoluto diritto di pren-dere decisioni mediche”, sono state riconosciute come irrealistiche e semplicistiche. I genito-ri andrebbero considerati come guardiani del benessere del loro bambino, non come pro-prietari ed il loro ruolo andrebbe visto più come dovere che come diritto. Inoltre, prenderedecisioni per un altro individuo non è la stessa cosa che prenderle per sé stessi.

Una valida decisione basata sul consenso informato richiede che chi la prende sia in gra-do di vagliare le informazioni necessarie.

Benché gran parte dei genitori siano legalmente ed intellettualmente competenti, la lorocapacità di prendere decisioni può essere influenzata negativamente dagli eventi che circon-dano la nascita di un bambino “compromesso”. Stizza, depressione, angoscia e paura posso-no interferire. Inoltre, prendere una valida decisione richiede che i genitori ricevano e com-prendano le informazioni necessarie per tale decisione. Gran parte dei genitori sanno pocodella situazione che stanno affrontando. In poco tempo, sentiranno un gran numero di infor-mazioni, talora contrastanti, senza avere la possibilità di riflettere adeguatamente (Boyle eKattwinkel, 1999; Pinkerton et al, 1997). L’ostetrico è in rapporto coi due pazienti, madre efeto, e le decisioni per l’uno potrebbero influenzare l’altro. Una decisione della madre di rifiu-tare la terapia tocolitica o di non volersi sottoporre ad una taglio cesareo per l’estrema pre-maturità dovrebbe essere rispettata, ma non influenza necessariamente le decisioni a propo-sito della rianimazione del neonato (Pinkerton et al, 1997).

L’ambito in cui il “decision making” è più difficile è quello dei neonati con età gestaziona-le tra le 22 e le 25 settimane. A tale proposito, la forte differenza di sopravvivenza special-mente tra la 22a e la 24a settimana di gestazione ha indotto alcuni Autori a parlare di limitedi vivibilità da usare eventualmente quale criterio di rinuncia all’assistenza di neonati al di sot-to di tale limite (Hack e Fanaroff, 1999).

Nel 1993, Allen e coll. concludevano che una terapia rianimatoria aggressiva era indicataper bambini nati a 25 settimane, ma non per quelli nati a 22 settimane in quanto i risultati

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico

erano scoraggianti. I neonati di 23 e 24 settimane venivano lasciati dagli autori in una “zonagrigia” che necessitava di ulteriori discussioni da parte di “genitori, sanitari e società”. I reportpubblicati, suggeriscono comunque che gran parte dei neonatologi tengono conto dei desi-deri dei genitori quando devono prendere decisioni su neonati di 23 settimane (Sanders ecoll., 1998; Partridge e coll., 2001).Tuttavia, quando l’età gestazionale aumenta dalle 24 alle 26settimane, i neonatologi si sentono più a disagio di fronte a decisioni a priori di “non resusci-tare” (Cummings e coll, 2002). Comunque, il sapere che, una continua rivalutazione dei be-nefici del proseguimento della terapia intensiva dopo la rianimazione può riaprire la discus-sione con i genitori, potrebbe confortare alcuni neonatologi che sono indecisi se iniziare unaterapia intensiva in alcuni casi.

Nel 1995, in un documento congiunto, l’American Academy of Pediatrics e l’American Collegeof Obstetricians and Gynecologists, discutendo il problema dell’elevata mortalità e morbilità deibambini nati tra 23 e 25 settimane di gestazione affrontarono il problema del ruolo dei ge-nitori concludendo che devono essere parte integrante del processo decisionale fin dall’ini-zio e che alla loro decisione informata va dato un gran peso. In questo documento, tuttavia,non vengono date specifiche raccomandazioni sulla rianimazione. La Canadian PaediatricSociety e la Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada (1994) hanno invece dato in-dicazioni piuttosto specifiche. A 22 settimane complete di gestazione viene suggerito di “ini-ziare il trattamento solo su richiesta di genitori pienamente informati oppure se l’età gesta-zionale appare sottostimata”. A 23-24 settimane complete si enfatizza il ruolo del parere deigenitori, in quanto “è necessaria flessibilità nel decidere se iniziare o rifiutare la rianimazione,in base alle condizioni del bambino alla nascita”. Infine, dopo le 25 settimane, affermano che“la rianimazione va tentata in tutti i casi che non presentino anomalie mortali”.

Il ruolo dei genitori è stato affrontato anche dal Comitato di Bioetica dell’AmericanAcademy of Pediatrics (1994). Secondo tale Comitato, il pediatra ha il dovere etico e legalenei confronti del bambino di fornirgli il trattamento medico adeguato, indipendentemente daidesideri dei genitori.Va anche considerata la possibilità che l’ostetrico ed i genitori decidanodi non iniziare la rianimazione neonatale. In tale caso, negli Stati Uniti, possono firmare un ac-cordo prima della nascita in base al quale il pediatra non verrà chiamato in sala parto e cosìsi garantisce la morte del bambino dopo il parto (Yellin e Fleischmann, 1995). Questa opzio-ne rientra nel diritto dei genitori di scegliere i medici la cui filosofia coincide con la loro perquanto riguarda la terapia medica ai limiti della vivibilità. Le critiche a questa scelta si basano:1. sul fatto che l’ostetrico ha un obbligo sia verso la madre che verso il feto e qui si cree-

rebbe un conflitto;2. sul fatto che le condizioni del bimbo alla nascita possono essere molto diverse da quelle

previste in precedenza;3. sul fatto che sospendere il trattamento successivamente può essere meglio che non ini-

ziarlo.

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Disaccordo tra genitori e sanitariQualora i familiari e i medici non riescano a trovare una soluzione concorde sul manage-

ment di questi neonati, deve essere richiesta una consulenza etica o una formale rivalutazio-ne del caso da parte di un collegio multidisciplinare di medici neonatologi, ostetrici e pedia-tri dopo aver informato la famiglia.

Un’altra possibilità è di portare la questione davanti al giudice, ma bisogna riflettere atten-tamente sul fatto che una questione legale è più semplice da aprire che da portare avanti eche le decisioni prese nell’aula giudiziaria possono non soddisfare entrambi i contendenti.

Ma a chi spetta la decisione definitiva se valga la pena iniziare le pesanti terapie rianima-torie in un determinato caso? Ecco un elenco di possibili final decision makers proposti, con iloro pro e contro:1. Storicamente, i pareri legali hanno favorito il diritto dei parenti a decidere, ma la non com-

pleta conoscenza da parte dei familiari dei problemi neonatologici e degli outcome, noncrea le condizioni ideali per il consenso informato.

2. Il dialogo tra genitori e medici sarebbe sempre il modo migliore per ottenere un consen-so informato, specialmente per terapie potenzialmente pesanti.Tuttavia, ogni caso richie-de un’ampia revisione delle evidenze disponibili fino a quel momento e questo richiedeun certo tempo che non sempre si ha a disposizione.

3. Politica o protocollo istituzionale: fornisce un approccio equo ma concede scarsa autono-mia sia ai genitori che ai medici. Inoltre, varie istituzioni hanno politiche diverse e questopuò generare confusione ed aumentare il rischio di contenziosi medico-legali.

4. Linee guida sociali: forniscono un approccio equilibrato che tiene conto anche dei fattorisocio-economici ed offrono una cornice nella quale le situazioni individuali possono esse-re inquadrate al meglio.Tale approccio viene impiegato in Canada ed in alcuni Stati degliUSA. La limitazione dell’autonomia dei genitori è talvolta il prezzo da pagare con questotipo di approccio.

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TAVOLA ROTONDA

DECISIONI ETICHENELLA GESTIONEDEL GRANDE PRETERMINEIl punto di vista del bioeticoM. MoriDocente di Bioetica, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Torino

1. È opportuno iniziare precisando in via preliminare lo scopo di questo mio intervento. Il mioobiettivo non è scodellare soluzioni già pronte e preconfezionate, né dare precetti precisi daseguire più o meno pedissequamente, ma è quello di esaminare le ragioni che sostengono levarie soluzioni, in modo che il lettore abbia gli strumenti concettuali per farsi una propria po-sizione ragionata.

Per giungere a questo obiettivo credo sia importante collocare il problema del “grandepretermine” da una parte per cogliere meglio i termini del problema stesso vedendolo in unaluce più completa, e dall’altra di vedere le diverse posizioni sul tema e quindi anche di averela capacità di valutare gli eventuali limiti o meriti della soluzione da me proposta.

La strada seguita comporta una seria difficoltà, ossia il fatto che si deve dire molto in po-co. A volte, la concisione fa correre il rischio di operare semplificazioni eccessive e forse in-debite. Questo intervento, comunque, è diretto ad “addetti ai lavori”, cioé a persone compe-tenti che conoscono i problemi ed ai quali basta qualche riferimento per l’orientamento. Èpreferibile affrontare il rischio di qualche semplificazione piuttosto che avere il danno certoderivante dal lasciare la situazione nel vago facendo finta che i problemi non esistano. Intendoaffrontare e suscitare problemi, aprendo un eventuale dibattito e questo vuole essere un pri-mo intervento.

2. Per porre il problema da trattare in un quadro teorico più generale, cominciamo con un’af-fermazione che può apparire banale e forse anche lo è: aggiornando le date a quanto dettodal grande medico francese Jean Bernard negli anni ’80, la medicina ha compiuto più progres-si negli ultimi 50 anni che nei precedenti 5.000. Ciò significa che oggi la medicina è radical-mente diversa dalla medicina dei tempi di Ippocrate e straordinariamente più potente. Graziea questi progressi, la medicina ha apportato all’umanità benefici enormi e straordinari.

Nonostante questo negli ultimi tempi proprio la medicina risulta essere oggetto di fortiriserve, tanto da essere spesso accusata di essere fonte di gravi disagi o addirittura pericolo-sa. Claudio Magris sembra muoversi in questa direzione quando afferma che la passione con

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico

cui è stato vissuto il referendum sulla legge 40/2004 deriverebbe non da posizioni ragionate,“bensì dall’oscura, irrazionale ma non infondata sensazione che l’umanità stia vivendo, in tem-pi incredibilmente e vertiginosamente veloci, una trasformazione radicale, avvertita - con an-goscia e con ebbrezza - quasi come una mutazione … [così che si] teme l’avvio di interven-ti sulla vita che potrebbero mutare il volto dell’uomo così come lo conosciamo”.

In questa linea, altri rilevano che il progresso in campo scientifico e tecnologico “rischia ditravolgere l’ordine delle cose e opera manipolazioni che, ad esempio nel campo della pro-creatica, possono giungere a violare il limite invalicabile della sacralità della vita. … le tecno-logie sono un “mezzo”, in grado quindi di offrire … positivi e significativi apporti al bene co-mune della società, ma anche mali altrettanto grandi, in caso di un uso distorto, talvolta an-che strutturale”.

Dico subito che queste posizioni hanno in comune un errore. Nel primo caso esso stanel credere che la capacità di “mutare il volto dell’uomo così come lo conosciamo” sia unasorta di immane e devastante profanazione: un atto gravissimo e da evitare. Ma per asserirequesto si deve presupporre che ci sia “il volto dell’uomo “- come dato naturale e immutabi-le; e che “il volto dell’uomo così come lo conosciamo” sia il migliore possibile: il vertice insu-perabile della civiltà.

Entrambi questi assunti sono falsi. Lungi dall’essere un dato naturale e immutabile, “il vol-to dell’uomo così come lo conosciamo” è una costruzione storica e sociale, per cui il decli-no di un volto dell’uomo cede il passo ad un altro volto. L’idea che ci sia il volto dell’uomo èfrutto di una indebita ipostatizzazione di una particolare forma storica di un volto.

Se non esiste il volto dell’uomo come dato immutabile si deve discutere se la forma sto-rica a noi nota sia davvero la migliore possibile. È vero che ciascuna epoca è portata a cre-dere di avere raggiunto il vertice della civiltà, ma è altresì vero che ci si deve ricredere. Lascienza galileana ha contribuito a frantumare il volto dell’uomo aristocratico e favorito la dif-fusione del nuovo volto dell’uomo democratico - che noi riteniamo decisamente ‘migliore’ delprecedente, anche se forse è ancora pieno di difetti e manchevolezze.

Nell’altra formulazione l’analogo errore sta nel presupporre che ci sia uno specifico “or-dine delle cose” che sia dato, naturale ed intrinseco alla stessa realtà, per cui le tecnologie chedifformi o contrarie a tale presunto “ordine” sarebbero mezzi strutturalmente distorti.

Esempio chiaro al riguardo sarebbero le tecnologie riproduttive, ma ciò accadrebbe ogniqual volta gli interventi medici “possono giungere a violare il limite invalicabile della sacralitàdella vita”. Invece di dare ragioni che dimostrino l’invalicabilità di un certo limite, si assumeche tale “limite invalicabile” ci sia, che sia dato e ben noto, ed in forza di questo assunto (sur-rettiziamente presupposto) si viene a condannare senz’appello ogni eventuale violazione odifformità.

È importante far emerge l’errore sotteso a questi attacchi alla medicina perché essi di-pendono tutti da una concezione errata e statica della moralità. La morale non è una istitu-

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zione naturale (o divina) che ha carattere statico, per cui è data una volta per tutte, ma un’isti-tuzione sociale (o storica) tesa a garantire l’ordine sociale e la autorealizzazione individuale.In questo senso essa muta (e deve mutare) al variare delle circostanze storiche. Un esempiopuò aiutarci a capire la situazione. D’inverno riteniamo sia giusto indossare pesanti cappotti,mentre d’estate leggeri abiti di lino - e crediamo che sia sbagliato prescrivere il contrario.Riteniamo anche che non sia una questione “soggettiva” - ossia che dipende dal punto di vi-sta personale - ma che sia “obiettivamente giusto”.

Quanto detto ci offre un modello semplificato di discorso morale, che ci consente di ve-dere bene i punti di eventuale disaccordo. In primo luogo, la soluzione individuata è obietti-vamente giusta solo a patto di voler perseguire il benessere e l’autorealizzazione di chi inten-de indossare il vestito nelle circostanze date. Se l’interessato volesse prendersi un malanno(una polmonite o un colpo di calore), potrebbe anche fare il contrario. Possono esserci e cisono disaccordi ed errori circa i “valori” da perseguire.

Inoltre, non possiamo escludere che le nostre conoscenze al riguardo siano sbagliate, eche l’abito di lino non sia quello più adatto ai climi caldi. Errori di questo tipo sono ben noti,e non è il caso di soffermarsi su di essi in questa sede. La scienza come impresa conoscitivacaratterizzata da criteri intersoggettivi e pubblici tende proprio ad eliminare questo tipo dierrori.

Resta comunque il fatto che le norme, i valori e gli atteggiamenti morali non sono asso-luti e immutabili. Essi variano a seconda delle circostanze - e così deve essere. È sbagliato cre-dere che si debba continuare a fare quel che si è sempre fatto perché questa è la tradizione.Questa è una concezione statica dell’etica, e quindi errata.

Fornendoci nuove conoscenze e maggiori capacità d’intervento, scienza e tecnica consen-tono maggiore autorealizzazione e sono quindi prima facie buone. Questo non significa direche siano esenti da eventuali errori ed abusi, come tutte le cose umane è fallibile. Ma non lapubblicità della scienza crea il correttivo. È l’unica strada che abbiamo - a meno di essere co-sì presuntuosi da pretendere di avere la verità. Errori ed abusi sono comuni anche alla reli-gione, al diritto, alle tradizioni, ecc.

Se ci sono abusi ed errori, essi vanno scovati e rimossi. Ma si tratta di sapere che cosa co-stituisce un “abuso” o un “errore”. Solo se si dà per presupposto che ci sia “l’ordine delle co-se” o “il volto dell’uomo” si può concludere che scienza e tecnica sono mezzi strutturalmen-te distorti. Ma se abbandoniamo - come si deve - quegli assunti, cogliamo anche la radice del-l’errore. Diventa infatti chiaro che scienza e tecnica sono fattori potenti di cambiamento del-le circostanze storiche - forse tra i principali nella storia umana. Le maggiori conoscenze e lenuove capacità di intervento hanno consentito a moltitudini - non si dimentichi che la scien-za è universalista ed equalitaria - di programmare meglio la propria vita. In questo senso, es-se operano cambiamenti analoghi a quelli tra l’inverno e l’estate, e ci costringono a mutaregli atteggiamenti diffusi.

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Emerge così un punto decisivo che - per una sorta di pudore - non viene sottolineato asufficienza. I critici della scienza e della tecnica viste, come mezzi strutturalmente distorti chemetterebbero in pericolo la stessa umanità dell’uomo, non fanno altro che portare acqua al-la tendenza antiscientifica ed antitecnica diffusasi in Occidente, che sembra essere una sortadi neo-luddismo. Il luddismo è il movimento che propugna una netta ostilità verso l’industria-lizzazione. Luddisti non erano solo gli ignoranti tosatori di pecore che nei primi decenni delXIX secolo in Gran Bretagna (ma non solo lì) distruggevano le macchine per difendere il po-sto di lavoro, ma anche quei molti pensatori che hanno sostenuto (e ancora sostengono) chele macchine sono una disgrazia per la vita sociale: la lavatrice ha ucciso la pratica millenariadel lavare al fosso o alla fontana, con grave detrimento per la socialità umana; ed analogamen-te il telefono cellulare distruggerebbe la “autentica” comunicazione, ecc. Invece di dirigere l’at-tacco alle macchine (che oggi non sembrano suscitare troppe difficoltà nel senso comune -pur non mancando sacche di resistenza) il neo-luddismo fissa ora l’attenzione sulle tecnichein campo biomedico. In nome di un presunto immutabile “ordine delle cose” o dell’idea checi sia il “volto dell’uomo” si viene a dire che gli interventi in campo biomedico sono struttu-ralmente distorti - posizione che sembra assumere una qualche plausibilità per via della ten-denza a reificare le abitudini del passato credendo che esse siano “naturali”.

Se è vero che la medicina ha compiuto più progressi negli ultimi 50 anni che nei prece-denti 5.000, e che come la rivoluzione industriale ha cambiato il nostro rapporto con la na-tura inorganica (nuovi mezzi di comunicazione, ecc.) così la rivoluzione biomedica sta cam-biando il nostro rapporto con la natura organica, si deve riconoscere la radicale novità dellasituazione: dobbiamo prendere atto che è come se, dopo un lungo inverno, cominciassimo asentire i primi tepori della primavera. Dobbiamo quindi sottoporre a vaglio critico gli atteg-giamenti ricevuti, al fine di verificare se sono ancora validi. Dobbiamo inoltre avere la dispo-nibilità di cambiarli ove risultassero inadeguati.

È vero che un eventuale cambiamento degli atteggiamenti comporta mutazioni della sfe-ra emotiva, fatto che è più lento e faticoso del cambiamento di idee (che riguarda solo l’am-bito intellettuale), ma non possiamo presumere che il bagaglio tradizionale sia di per sé vali-do. Si deve prestare attenzione a non confondere la moralità con i sentimenti invalsi, che avolte non sono altro che sopravvivenze culturali o tabù.

3. Le considerazioni fatte circa la medicina in generale valgono anche per la medicina neona-tale, un settore che ha compiuto negli ultimi anni progressi davvero straordinari. Non è miocompito elencarli, ma basti qui ricordare che i prematuri avevano scarse possibilità di soprav-vivenza, ed in generale il tasso di mortalità infantile è stato fino a pochi decenni fa così altoda far credere che la selezione naturale o la Provvidenza avesse la mano pesante, tanto dafar dire che chi riusciva a raggiungere la maturità fosse davvero un “sopravvissuto”. Oggi for-tunatamente, le cose sono cambiate - anche grazie ai progressi della medicina neonatale - e

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questo è un fatto indubbiamente positivo. Questo risultato positivo è stato ottenuto grazieall’impegno prioritario profuso dalla medicina nella lotta contro la morte. Il medico, si è det-to, deve fare tutto il possibile (e anche l’impossibile) per sconfiggere la morte: questa conse-gna ha consentito di incassare il positivo risultato anche nel caso dei prematuri - il tema inesame, per cui si deve continuare in questa direzione.

Eppure una delle poche certezze è che questa posizione è sicuramente difettosa. La ria-nimazione ha sicuramente consentito grandi cose ed è stata un notevole progresso, ma sba-glierebbe il rianimatore che ritenesse di dovere sempre fare tutto il possibile per sostenerela vita. Questa è dottrina ormai comune dopo le acute osservazione fatte già nel 1957 da pa-pa Pio XII - anche se a volte stentano a penetrare in certi circoli medici. Chi facesse sempretutto il possibile finirebbe per compiere accanimento terapeutico, che - diciamolo con chia-rezza - è un crimine morale grave, se non anche un reato sul piano giuridico. Non possiamoquindi accettare come valido e scontato il lascito della tradizione medica che ingiunge di fa-re sempre tutto il possibile per prolungare la vita e procrastinare la morte.

Data la situazione magmatica e di grande cambiamento in cui ci troviamo in medicina ein medicina neonatale in modo specifico, per sapere che cosa è giusto fare dobbiamo indivi-duare i diversi criteri generali che, nelle date circostanze, possono giustificare o avere giusti-ficato l’intervento medico specifico. Non potendo avere indicazioni precise dalla tradizione,che risulta poco affidabile per via del grande sconvolgimento delle circostanze, dobbiamo ap-pellarci direttamente a tali criteri per avere le indicazioni operative richieste. Nel caso dei gran-di prematuri sembra che i criteri possibili siano i seguenti:- Si deve promuovere sempre la vita neonatale perché questo è sempre stato il compito

del medico.- Si deve promuovere la vita neonatale perché ciò è stabilito dalla sacralità della vita rivela-

ta dallo “ordine delle cose” circa la vita umana.- Si deve promuovere la vita neonatale perché ciò è richiesto dal bene pubblico e dalle esi-

genze della società.- Si deve promuovere la vita neonatale perché questo è voluto dai genitori ed è l’interes-

se dei genitori (ed eventualmente anche della società).- Si deve promuovere la vita neonatale per il bene del neonato stesso.

Si tratta ora di esaminarli singolarmente al fine di stabilire quale sia plausibile, e debba es-sere assunto per stabilire il da farsi nel caso di un grande prematuro.

Il primo individua la risposta del vitalismo medico, secondo cui compito primario del me-dico è di essere sempre per la vita. Pur essendo la posizione trasmessa da gran parte dellatradizione medica, il vitalismo è oggi criticato pressoché da tutti, perché diventa dannoso perle persone. Porta infatti all’accanimento terapeutico che è un vero e proprio crimine mora-le (se non anche giuridico), per le inutili sofferenze inflitte.

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico

Si può osservare che il vitalismo, forse, celava due diversi criteri che, nelle condizioni sto-riche del passato, potevano essere confusi con esso attribuendogli plausibilità e forza. Il pri-mo di questi criteri individua la seconda risposta sopra elencata, ossia quella della sacralitàdella vita umana. Questa prospettiva rimanda ad un articolato e complesso discorso sulla vi-ta umana, la quale manifesterebbe finalismi specifici rivelatori di un particolare “ordine dellecose” in base al quale stabilire ciò che è disponibile e ciò che non lo è (è sacro). Sacra nonè la vita umana in sé - aspetto che diventa palese dal fatto che la posizione consente le am-putazioni, i trapianti, ecc., ossia interventi invasivi - ma sacro è il finalismo intrinseco del pro-cesso vitale - segnatamente quello riproduttivo (autoconservativo della specie) e autocon-servativo dell’individuo. Questo finalismo, infatti, sarebbe il segno di un disegno cosmico sullavita umana, per cui la violazione di questo campo costituisce una indebita profanazione di ta-le disegno. In questo senso la dottrina della sacralità della vita umana rimanda ad una artico-lata dottrina metafisica che, in circostanze storiche in cui la vita era “mistero” e le capacitàd’intervento molto scarse, poteva anche apparire “razionale” e raccogliere ampi consensi.Oggi, comunque, l’idea di un disegno sotteso allo “ordine delle cose” non sembra sia più pro-ponibile sul piano razionale, anche se viene ancora sostenuto da alcune religioni.

Proprio perché dipende da un “ordine delle cose” ritenuto oggettivo e dato, il criterio sa-cralista può a volte essere confuso o scambiato con il terzo criterio da esaminare, quello oli-sta che assume come prioritario il bene della società o l’interesse pubblico. Con olismo si in-dica la dottrina secondo cui “il tutto è più della somma delle parti”, per cui l’interesse dellasocietà come tutto è maggiore dell’interesse dei singoli individui che la compongono ed haquindi la precedenza su questo. Quando si diceva che la forza e la prosperità di una nazioneerano date dal numero dei suoi abitanti, la vita neonatale doveva essere sempre promossaperché questo è richiesto dal bene pubblico. È vero che questo criterio può giustificare solu-zioni totalitarie poco rispettose dei diritti umani individuali, ma è altresì vero che a favore del-l’olismo stanno i grandi vantaggi risultanti dalla cooperazione sociale - situazione in cui il be-ne pubblico è di gran lunga superiore alla somma dei beni individuali. In questo senso non sipuò escludere che l’olismo abbia qualche plausibilità.

Il quarto criterio sopra elencato è quello del genitorismo ossia la prospettiva che - quan-do si tratta di valutare il da farsi circa la vita neonatale - considera come prioritario l’interes-se dei genitori. Questi, di solito, hanno posto sul figlio un investimento parentale e questo in-vestimento va rispettato. Il neonato necessita delle cure dei genitori, senza le quali quasi cer-tamente morirebbe, e non può esprimere il proprio parere, per cui i genitori hanno titolo adecidere per il neonato. Poiché di solito i genitori vogliono che il figlio viva, il criterio genito-rista e quello olista spesso convergono pur rimanendo aperta la possibilità di una divergen-za - soprattutto laddove i costi delle decisioni prese circa le situazioni neonatali ricadono poisull’assistenza pubblica. In questo caso, infatti, l’interesse dei genitori potrebbe confliggere conl’interesse pubblico.

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico

L’ultimo criterio elencato è quello individualista, che considera come prioritario l’interes-se del paziente. Si può osservare che questo è l’altro criterio di cui si può dire fosse nasco-sto nel vitalismo. In condizioni storiche caratterizzate da limitate capacità di intervento e damorti premature, fare tutto il possibile era la soluzione favorevole al bene del paziente (l’in-dividuo interessato). Questa priorità vale ormai (anche se da poco) nel caso dell’adulto chepuò esprimere le proprie volontà, ma che dire nel caso del neonato che non ha né può espri-mere alcuna opinione? Come valutare l’interesse del paziente in queste condizioni? E chi hatitolo di farlo oltre alle incerte conoscenze nel campo, oltre alle conoscenze circa lo statusdell’infante, la sua capacità di soffrire? Non manca chi avanza argomenti per sostenere che lapersona va spostata, anche in vista di questi casi. Non posso affrontare il problema in questasede, e lascio da parte la questione metafisica.

4.Vediamo la questione considerando i problemi che si presentano alla luce di un caso con-creto. Secondo gli standard invalsi sul piano internazionale il dovere di intervenire nel caso diun prematuro è a 26 settimane di gestazione.Tuttavia sappiamo che, per varie ragioni, ci so-no anche i “grandi prematuri”, ossia quei casi in cui il parto avviene tra la 22a settimana e la26a settimana. Che fare in questi casi?

Si può dire che, quasi d’istinto, il neonatologo tenta tutto il possibile per evitare la morte.Questa strategia è certamente prima facie positiva, perché essa ha salvato la vita a molti, con-sentendo loro di avere poi un’esistenza normale o pressoché normale: un risultato sicuramen-te encomiabile. Alcuni casi positivi erano davvero insperati, visto che le nostre conoscenze inmateria sono ancora abbastanza limitate. La frequenza statistica può offrire indicazioni gene-rali di massima, ma difficilmente può essere assunta come fondamento del giudizio specifico.Infatti, il problema e la eventuale decisione verte su questo caso, un caso singolo, che non èassimilabile alla frequenza statistica.

In questo senso, una sana prudenza porta ad intervenire per non precludere eventuali pos-sibilità e lasciare aperta una più oculata valutazione sul da farsi. Se infatti si lasciasse fare allanatura il proprio corso, il grande prematuro certamente morirebbe, chiudendo ogni ulterio-re possibilità. Ma la stessa prudenza deve far sì che neanche l’attuazione dell’intervento chiu-da ogni ulteriore possibilità. L’intervento di sostegno vitale è prudente e saggio come mezzoche consente l’acquisizione di nuovi dati per la valutazione, ma si deve prestare attenzione af-finché non sia trasformato in un fine in sé, perché ciò comporterebbe un’implicita adesioneal criterio vitalista, criterio che - di quelli elencati - sappiamo essere l’unico sicuramente sba-gliato ed inaccettabile. Fare questo sarebbe porre un macigno inamovibile che sbarra la stra-da a quelle ulteriori possibilità che si volevano mantenere aperte.

È quindi prima facie prudente intervenire per vedere quale sarà l’evoluzione clinica, aven-do però ben presente che il giudizio su ciò che si deve fare è solamente rimandato e che es-so dipende dai dati acquisiti concernenti la situazione clinica e dal criterio valutativo assunto.

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico

Per vedere come procede il discorso immaginiamo di esaminare due possibili casi limite.Supponiamo che ci sia un grande pretermine di 23 settimane e che dopo due settimane

mostri di rispondere bene lasciando credere che la situazione clinica evolva per il meglio. Igenitori sono molto interessati al figlio e disposti ad accoglierlo comunque, per cui è positi-vo e benefico per tutti continuare.

Supponiamo ora di avere il caso diametralmente opposto sul piano clinico: ci sono dannipermanenti sul piano neurologico e altri seri scompensi di carattere organico.Tuttavia il pre-termine potrebbe anche farcela e sopravvivere - sia pure in una situazione precaria. Che fa-re in questo caso? Si deve continuare il sostegno fino a quando il neonato può essere dimes-so e mandato a casa? Si deve sospenderlo subito, e vedere che succede? Perché?

Considerato che il quadro clinico è noto e condiviso, eventuali risposte divergenti dipen-dono dal diverso criterio valutativo che è assunto.Tralasciando l’esame del criterio vitalista,che è palesemente insostenibile, si tratta di vedere quali sono le indicazioni fornite dagli altricriteri.

Il criterio sacralista può dire che nelle circostanze del caso specifico è lecita la sospensio-ne delle terapie per lasciare che la natura faccia il proprio corso, ma che non è mai lecito in-tervenire attivamente per abbreviare la vita.Tuttavia, in circostanze in cui è esattamente pre-vedibile l’esito del “lasciar accadere”, la distinzione tra “fare” e “lasciare accadere” diventa unamera questione di lana caprina, perché il “lasciare accadere” diventa un modo del “fare” - enon serve mettere in campo la “intenzione” per tracciare una differenza, perché ciò non faaltro che rendere più complicata la situazione. Proprio perché la distinzione è flebile, il piùdelle volte il criterio sacralista, purtroppo, viene interpretato in senso vitalista, diventando in-sostenibile e provocando disastri. Se, invece, fosse inteso rettamente, risulterebbe moralmen-te inadeguato, perché il “lasciare accadere” comporta a volte eccessi di sofferenza che sareb-bero evitati dal “fare”: una volta che si sia deciso di lasciare che la natura faccia il proprio cor-so per portare a morte il processo, non si vede perché non chiudere subito la partita.

Il criterio olista può richiedere che si sospenda l’intervento per evitare che si abbia un “far-dello sociale”. In tempi di aziendalizzazione della assistenza sanitaria, questo criterio assumeun qualche peso e non nego che qualcuno ne ricordi la rilevanza.Tuttavia, credo debba esse-re lasciato da parte e neanche considerato, perché una società ricca come la nostra dovreb-be guardare nella direzione opposta ed essere protesa alla difesa dei diritti, evitando consi-derazioni di questo genere nella decisione circa il “grande prematuro”.

Più serio mi pare sia il criterio genitorialista, sia perché i genitori sono coloro che hannoun interesse prioritario al figlio, sia perché essi sono coloro che lo devono crescere. Si devepertanto tenere in grande considerazione la volontà dei genitori, i quali sono chiamati a de-cidere al riguardo. Essi vanno quindi adeguatamente informati circa gli esiti previsti ed anchesostenuti psicologicamente nella difficile scelta da compiere. Può darsi che i genitori abbianoun atteggiamento ondeggiante, ed il più delle volte è facile ascoltino i suggerimenti proposti.

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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico

Ma per chiarire la situazione consideriamo le due situazioni estreme: che abbiano un atteg-giamento vitalista estremo, per cui - anche in condizioni palesemente disperate - chiedano sifaccia tutto il possibile. Oppure, che richiedano la perfezione e che - anche in presenza dicondizioni lievi - richiedano di chiudere la partita con questo figlio.

Queste due possibilità estreme sono interessanti perché mostrano che l’investimento pa-rentale dei genitori deve essere sicuramente tenuto in considerazione, ma esso va bilanciatocon considerazioni derivanti dal criterio individualista che mette in campo il prevedibile inte-resse dell’interessato. Poiché il “grande pretermine”, per ovvie ragioni, non è in grado di farsentire la propria voce, il medico ha il compito di fungere da “tutore”. Forse, sarebbe oppor-tuna la formazione di una commissione apposita che valuti la situazione specifica e segua ilcaso.

Quest’aspetto è tanto più importante se si considera che sono ormai frequenti le richie-ste di risarcimento per “danno da procreazione”, ossia per essere stati fatti nascere nelle si-tuazioni di svantaggio. In questo senso, il genitorialismo non sembra più essere sufficiente, maneanche il vitalismo.

Viviamo in un’epoca di rapido cambiamento e dobbiamo accettare la situazione di chia-roscuro. L’unico errore da evitare è quello di continuare a credere che compito del medicosia quello di sostenere la vita a tutti i costi, per cui si debba fare tutto il possibile per salvarela vita lasciando poi i problemi sulla famiglia o sul contesto sociale.

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TAVOLA ROTONDA

QUEL CONFINE SOTTILE TRA SPERANZA E ILLUSIONEElaborazione del lutto e difficoltà dei genitori del prematuro(e del personale pediatrico) nel gestire diversi tipi di perditaA. Clarici, R. Giuliani#

Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo (DPRS), Università di TriesteStruttura Complessa di Neonatologia e TIN, Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”# Centro Studi di Psicoterapia a Orientamento Psicoanalitico - Trieste

Il vertice psicoanalitico si rivolge alla realtà del percorso del lutto, un processo che permea ogniattività all’interno di un reparto di Terapia Intensiva Neonatale, sia al mondo delle aspettative con-sce o inconsce delle persone (i genitori e il personale) coinvolte con il neonato prematuro. Un con-testo psicoanalitico permette di riconoscere questo tipo di dolore, e fornisce l’opportunità di unospazio e un tempo, al momento della nascita, in cui i genitori possano essere aiutati innanzituttoa riconoscere l’esistenza di questo doloroso “gap” tra le loro aspettative e la realtà attuale, e riu-scire a parlarne e a integrarlo nella propria mente, e (fatto, ancora più importante ai fini preven-tivi), di seguito nella mente del bambino.

Vengono presentati tre casi clinici che sono qui distinti per la diversa natura del processo dellutto. Il primo (a) è dato dal lutto per un bambino non nato, il secondo (b) per un bambino mor-to e il terzo (c) per una bambina con handicap perché nata con una sindrome genetica.

IntroduzioneLa spinta a pensare un progetto di questo tipo, da attuare all’interno di un reparto di neo-

natologia, nasce dall’esperienza di lavoro fatta in un ambito extra-ospedaliero territoriale conbambini con handicap e con i loro genitori. Spesso l’handicap motorio, sensoriale e psichicoè legato, per diversi aspetti ad una nascita prematura. Nonostante il trascorrere degli anni, ildolore legato al trauma di una nascita prematura è ancora molto presente nei genitori, nellafamiglia e nel bambino stesso anche dopo molto tempo, se non si sono compiuti dei passinel processo del lutto, di adattamento alla perdita.

Per lutto (Bowlby,1969), in questo contesto, intendiamo quelle costellazione di processimentali adattativi necessaria per elaborare e accettare una perdita riferibile alla realtà fami-gliare (che, può essere data dalla morte “effettiva” del bambino prematuro, ma anche dallaperdita della speranza che il bambino guarisca da un deficit organico cronico), ma che può ri-

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

ferirsi anche solo alla disillusione rispetto alle aspettative consce o inconsce delle personecoinvolte (i genitori e il personale). La necessità di riuscire a riconoscere questo tipo di do-lore, crea la necessità di uno spazio e un tempo, al momento della nascita, in cui i genitoripossano essere aiutati innanzitutto a riconoscere l’esistenza di questo doloroso “gap” tra leloro aspettative e la realtà attuale, e riuscire a integrarlo nella propria mente e, di seguito, aparlarne.

Sembra ormai accertato da ricerche cliniche (Bowlby,1969) e sperimentali (Mahler et al.,1975) che le prime esperienze, le prime interazioni e, in particolare, la qualità di queste pri-me relazioni che si stabiliscono tra il bambino e i suoi genitori siano fondamentali per il suosuccessivo sviluppo. Anche la psicoanalisi moderna poggia sempre più le sue basi su eviden-ze di carattere clinico (Kaplan-Solms & Solms, 2000) e sperimentale (Panksepp, 2001).

In estrema sintesi su che cosa poggia le sue basi cliniche la psicoanalisi moderna? La cor-nice metodologica e concettuale adottata dalla psicoanalisi contemporanea si concentra sul-lo studio delle relazioni oggettuali (rappresentazionali). Queste schemi di base modulano ilcomportamento del bambino (e poi quello dell’adulto) in generale (Klein, 1958; Sandler &Sandler, 1998). Il modo in cui un bambino o un individuo si relaziona nel presente è quindidirettamente collegato con questi più precoci “elementi funzionali” della personalità, ossia da“matrici” di memorie, da ricordi di relazioni soddisfacenti o traumatiche, o, si potrebbe dire,usando una terminologia cognitivista, dalle memorie implicite del soggetto. Questi schemi re-lazionali si generano da modelli appresi dai rapporti precoci con le persone dalle quali il bam-bino dipende, fin dalla nascita, per il soddisfacimento dei bisogni fisiologici, psicologici e affet-tivi primari. Queste matrici mnesiche determinano il modo in cui il bambino percepisce le re-lazioni con le persone (o “oggetti” della relazione), e dalle reazioni evocate da queste relazio-ni nel soggetto nella loro globalità e attraverso tutto il corso del suo sviluppo. Questo fattoha una influenza diretta e predominante sul modo di relazionarsi con l’ambiente in genere:possiamo supporre che esiste una coerenza costante (anche se dinamica e mutevole) tra:a. il modo in cui il bambino percepisce e fa esperienza del suo mondo, di se stesso e degli

altri;

b. il modo in cui egli fa uso delle sue capacità e risorse nelle interazioni con altri individuiaventi caratteristiche diverse di personalità; e

c. il modo in cui si impegna nel gioco, nell’attività del tempo libero, negli interessi, negli sva-ghi, poi lavoro; infine e, fatto ancora più importante;

d. il modo in cui possono rimanere strutturate nella personalità particolari relazioni ogget-tuali, vissute come troppo “forti”, ovvero traumatiche.Tutte queste modalità di mettersi inrelazione con l’ambiente portano delle tracce dei modelli così profondamente radicati nel-le prime e più primitive relazioni.

È su queste basi concettuali e lavorando con il bambino su questo modello che si è inte-

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

so approfondire i problemi del lavoro all’interno del reparto di neonatologia e Day Hospital.La moderna teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali (Sandler & Sandler, 1998) si riferi-sce quindi allo studio dell’insieme di comportamenti relazionali che avvengono tra il bambi-no e chi lo accudisce (care-giver) fin dai primi momenti della vita. Ma cosa accade, allora, quan-do un bambino e i genitori si incontrano prematuramente?

La nascita prematura, è per la sua natura più suscettibile a essere vissuta più come un trau-ma che come un’esperienza digeribile: essa disorienta i genitori che non possono essere an-cora competenti e si sentono, a seguito dell’evento, ancora più impreparati alla nascita; sonoin difficoltà nel trovare un equilibrio tra ciò che investono nella relazione con il proprio bam-bino, di cui non conoscono le possibilità di evoluzione, e il bambino reale che vedono davan-ti a sé (Negri, 1994).

I diversi aspetti che può assumere il processo del lutto sono accomunati dalla necessitàda parte dei genitori all’uso di difese psichiche atte a proteggersi da vissuti eccessivamentetraumatici. Per questi motivi, anche persone del tutto equilibrate dal punto di vista psichico,possono utilizzare temporaneamente delle modalità di negazione della realtà un po’ psicoti-che. È quindi importante che vi sia qualcuno, in questa prima fase di avvio del processo di ac-cettazione, che possa tollerare e “tenere a mente” quello che sta accadendo al bambino e aisuoi genitori. In questo modo questa consapevolezza non andrà persa e potrà, a tempo de-bito, essere riutilizzata anche da tutta la famiglia, quando il dolore sarà diventato più soppor-tabile. Questo ruolo contenitivo può essere assunto da uno psicoterapeuta qualificato, anchese più spesso ciò viene fatto da un medico o da un infermiere del reparto disponibili a reg-gere il contatto con le ansie dei genitori.Tale riconoscimento verrà discusso nei termini del-la fondamentale distinzione esistente tra “speranza” e “illusione”: la speranza è l’illusione so-no ovviamente co-presenti nei genitori e nel personale che entra a contatto con il bambinoin misure diverse. Illudere significa fornire una versione eccessivamente rassicurante e confor-tante, tuttavia fondata su elementi distanti dalla realtà del momento; con l’illusione, sia i geni-tori che il personale, rischiano di perdere la fiducia nel poter riuscire a sopportare una per-dita subita. L’esito dell’illusione in questo contesto non può che essere un fraintendimentodello stato delle cose, e una successiva disillusione ad opera dei dati di realtà, che lascia i ge-nitori (ma anche l’operatore) con un senso di impotenza, dove la propria capacità di capirerisulta colpita e mortificata. Aiutare a mantenere la speranza appare come un intervento co-noscitivo e contenitivo rivitalizzante, che non esclude la realtà della perdita, ma prelude a unsuo superamento e al cambiamento.

La nuova situazione predispone i genitori a uno stato di insicurezza nelle proprie capaci-tà di accudimento (Sandler, 1960), al disorientamento, a volte al panico, che spesso prelude aun profondo stato depressivo legato ai vissuti di colpa. I genitori, come vedremo anche neicasi clinici sotto riportati, immancabilmente sono costretti a riconsiderare quello che è la pro-pria responsabilità nel determinarsi della vicenda clinica del loro piccolo bambino. Le doman-

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de, che spesso rimangono inespresse sono: “Cosa ho fatto per causare tutto questo?”; oppu-re i genitori si chiedono “Se non avessi ..., forse questo non sarebbe successo...”. All’opposto,un bambino prematuro crea un vissuto di impotenza nei genitori: il neonato infatti spesso èsospeso tra la vita e la morte, e per sopravvivere è affidato a delle macchine. In questo con-testo, i genitori, vivono di riflesso una condizione di eccessiva deresponsabilizzazione e un gran-de senso di inadeguatezza. In questo caso, essi si dicono: “Adesso non serviamo proprio piùa nulla”. Entrambi queste condizioni (quella di eccessivo senso di responsabilità, sia quello diimpotenza) non facilitano il rapporto comunicativo e interattivo dei genitori con il neonato:spesso essi si trovano ad oscillare tra movimenti di avvicinamento al proprio figlio ad altri diallontanamento di tipo difensivo, conseguenti alla paura di essere inadeguati, che provocanoquasi una fuga dal neonato.

Le prime relazioni all’interno di una Terapia Intensiva Neonatale (TIN) non possono esse-re quindi del tutto caratterizzate dallo stesso tipo di scambio, generalmente ricco e vario, co-me avviene tra la mamma e il bambino sano a termine al nido. La mamma è angosciata, ilbambino è poco disponibile al contatto, e il tutto viene spesso complicato dall’organizzazio-ne intrinseca al buon funzionamento del reparto stesso.Al genitore non resta che sentire con-fermata tutta la sua incompetenza: al posto della pancia c’è l’incubatrice, al posto delle suemani ci sono quelle delle infermiere e sono le macchine che garantiscono al bambino la sicu-rezza e spesso la sopravvivenza.

Con questi presupposti, si è voluto finalizzare un progetto che permettesse di migliorarela qualità della vita del bambino e dei suoi genitori mentre sono degenti nel reparto di TerapiaIntensiva Neonatale. Le moderne procedure assistenziali hanno ridotto la gravità delle pato-logie come viene confermato dai dati rilevati dai numerosi studi di follow-up. C’è però unnuovo dato emergente e poco codificabile: le patologie a distanza, che apparentemente sem-brano meno gravi ma che presentano un rischio psicopatologico evidente (Negri, 1994).Questa ricercatrice chiama “segnali di allarme” tutti quegli indizi che si possono osservare pre-cocemente nel comportamento di un bambino prematuro e che costituiscono solamente unsegnale di rischio di una compromissione psichica con un grande valore preventivo riguardoalle psicopatologie precoci del bambino come: la fobia del bambino, i disturbi di alimentazio-ne, le reazioni di instabilità e irrequietezza motoria, la difficoltà di regolarizzare i ritmi, i distur-bi del sonno. Spesso i bambini piccoli “utilizzano” il corpo per manifestare un disagio psichi-co e lo fanno, a volte, attraverso i disturbi dell’alimentazione, del controllo sfinterico, attraver-so l’asma o la dermatite. Non vanno infine sottovalutate le basi affettive di alcuni disturbi dellinguaggio e dell’apprendimento (Bion, 1962, 1963).

La finalità di questo progetto è quindi quella di lavorare sulla qualità delle cure da prati-care al bambino strettamente collegata con la qualità delle cure che il reparto può offrire al-la famiglia in senso più generale: accogliere, contenere, ascoltare i genitori praticando per lo-ro una funzione genitoriale vicariante, creando un’atmosfera “sufficientemente buona”

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(Winnicott, 1987). È difficile e faticoso considerare le ansie dei genitori e pensare al bambi-no prematuro come ad un organismo che sente e che ha bisogno di essere rassicurato.Considerare l’evoluzione psicologica dei genitori e del bambino, costituisce un elemento concaratteristiche preventive rispetto ad un disagio futuro.

Descrizione del progettoSeguendo i modelli teorici e i principi sopra indicati, è stato pensato e attuato un proget-

to di sostegno psicologico ai genitori e bambini nati prematuri, a rischio o con handicap.Le modalità d’attuazione di questo progetto sono quindi date:

a. dalla creazione di uno “spazio d’ascolto” per i genitori con il loro bambino;b. dall’osservazione e registrazione di alcune funzioni del bambino;c. da incontri con il personale della neonatologia.

Ai genitori, in genere in presenza dei loro neonati prematuri verrà offerto uno spazio al-la presenza di uno psicologo, in cui poter incontrarsi e parlare delle proprie paure e ansie. Lospazio fisico è costituito in una stanza apposita oppure, quando le condizioni del bambino nonlo permettono, accanto all’incubatrice. In un altro spazio, il personale interessato, avrà la pos-sibilità di ripensare al proprio lavoro in gruppo con la supervisione di uno psicologo.

Pensato per l’Istituzione, il progetto dura un anno ma se si pensa ad un bambino nato pre-maturo e ai suoi genitori, questo progetto durerà per il tempo necessario a stabilire una re-lazione “sufficientemente buona”.

Pensando ad una nascita prematura con esiti infausti, il progetto potrebbe durare fino aquando i genitori non riescano ad elaborare il lutto. Quando poi la nascita prematura deter-mina un handicap nel bambino, allora il progetto potrebbe durare fino a quando il piccolonon entri alla scuola materna. Riteniamo che un intervento precoce di sostegno ai genitori eal bambino nato prematuro, possa prevenire sia un disagio psicologico e familiare che, in unsecondo momento, quella difficoltà di organizzazione e sostegno che le istituzioni saturanocon contributi economici più o meno adeguati quando il bambino e la famiglia entrano a farparte della vita di comunità (scuola materna, elementare etc.).

Le motivazioni che ci hanno spinto a pensare e attuare un progetto di lavoro in un repar-to di neonatologia, si possono ritrovare sia nel nostro percorso professionale che in quellopersonale. Ormai dieci anni fa, partecipammo ad un seminario sul lavoro di una psicotera-peuta con i genitori di neonati prematuri; ciò che ascoltammo ci sembrò allora molto lonta-no da noi e dal nostro mondo lavorativo.

Nel corso degli anni successivi, le esperienze sia lavorative che quelle legate alla formazio-ne, ci hanno portato a pensare concretamente ad un progetto da attuare presso la neona-tologia dell’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste. Il progetto rimasto a “decantare”

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nella nostra mente per qualche anno è stato poi condiviso con alcuni colleghi, e si articola intre tipi di intervento e offre uno spazio ai genitori, uno spazio al personale e uno spazio allaricerca. Il primo spazio, è quello di cui si occuperà quindi questo lavoro, mentre rimandiamoa future pubblicazioni quello relativo agli altri due aspetti.

La collaborazione della psicoterapeuta infantile è volontaria e, settimanalmente si svolgenel reparto per 8/10 ore. Le è stato permesso di conoscere il reparto, i suoi tempi, i suoi rit-mi e il personale che vi lavora. La parola usata più spesso dagli infermieri, ogni volta che si èpresentata è stata “Finalmente!... Ci hanno ascoltato, l’abbiamo sempre chiesto uno psicolo-go”. Non ha mai detto loro che non l’ha cercata nessuno: l’autrice che si occupa di questoaspetto (R.G.) ha sempre specificato che è stata lei a cercare loro.

Per diverse settimane ha cercato di capire come funzionasse il reparto e ha cercato disentire ciò che non solo si guarda con gli occhi. Ha fatto i conti con la realtà del reparto e ilprogetto nella sua mente, stava cercando di calare in quella realtà qualcosa che aveva soltan-to pensato.

Come è noto, all’interno della terapia intensiva neonatale (TIN) è obbligatorio indossaresia il camice che i calzari ma è anche necessario entrare in quel reparto con un atteggiamen-to “in punta di piedi”. Durante i primi giorni le sembrava palpabile la distanza da tenere coni genitori che incontrava e ai quali si presentava; ogni volta che si avvicinava ad una incubatri-ce intorno a cui c’erano medici e infermieri ha chiesto il permesso di poterlo fare misuran-do ogni passo. Si sono mostrati tutti disponibili a rispondere a qualche sua domanda relativaad un mondo medico a lei completamente sconosciuto e ha cominciato a riconoscere ter-mini legati a patologie, strumenti e “protocolli”.Tra il personale medico, abituato ad interve-nire per salvare la vita, ci sono alcuni neonatologi che riescono a vedere anche ciò che c’è ol-tre la patologia, alcuni invece soltanto apparentemente sembra che si occupino degli aspettiessenzialmente medici del neonato. A volte più dei medici, sono gli infermieri coloro che ri-cevono con maggiore intensità l’impatto della situazione della famiglia del neonato, e ricono-scono per primi (forse ancora prima delle madri) i bambini come individui unici.

Stupisce e meraviglia, ancora adesso a distanza di molti mesi dall’inizio del lavoro, sentirele infermiere parlare con bambini che pesano 500 grammi riconoscendo le loro preferenzeriguardo ad una posizione particolare oppure a qualche manovra specifica, li consolano, li coc-colano e li sgridano amorevolmente. In certi momenti tocca a loro intervenire per salvare lavita. In quello spazio, sono talmente numerose e forti le emozioni che spesso manca lo spa-zio per i pensieri; a volte, quando capita di chiedere ad una infermiera “Come va?”, la rispo-sta è riferita sempre al bambino che sta accudendo. Se si specifica che la domanda è rivoltaa lei, allora c’è sempre un sorriso che sottolinea il peso e la fatica emotiva legata soprattuttoad un senso di impotenza nel sostenere i genitori oppure nel sentirsi aguzzini e persecutorinei confronti dei bambini stessi.

Fin dall’inizio abbiamo scelto di non toccare i bambini come un atto di rispetto verso tut-

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ti, con il passare del tempo però abbiamo capito che la nostra scelta è legata ad una difesa:cerchiamo di difenderci dal coinvolgimento emotivo per poter parlare con i genitori; ai neo-nati non si stringe la mano ma si accarezzano o gli si dà il ciuccio e questo presuppone uncontatto che, crediamo, potrebbe compromettere il nostro lavoro almeno per il momento.Da quattro mesi incontriamo quotidianamente soprattutto le mamme, a volte insieme ai pa-pà, dei bambini ricoverati e, una volta alla settimana, la psicoterapeuta incontra una coppia digenitori con la loro bambina nata con una sindrome genetica e un problema cardiaco. La bam-bina è seguita con visite ravvicinate al Day Hospital da alcuni dei medici della neonatologia.

Lo scopo del nostro progetto è da ricercarsi essenzialmente nella prevenzione del disa-gio che nel futuro dei bambini e i loro genitori può essere determinato dall’angoscia di unanascita prematura o che ha presentato delle difficoltà o patologie. Nel caso in cui l’angosciasia determinata da un handicap organico diagnosticato alla nascita, si tratta di prevenire edevitare un handicap secondario (Tustin, 1990; Sinason, 1992).

È difficile riassumere tutto quello che abbiamo vissuto in questi primi mesi dall’inizio delprogetto, ma quello a cui siamo stati più vicino è l’angoscia legata alla perdita e la perdita stes-sa. Abbiamo scelto quindi di presentare tre storie legate a tre tipi di lutto.

Ringraziamo particolarmente i genitori e il personale pediatrico: tutti quelli che abbiamoincontrato nella TIN hanno dimostrato sempre di sapere, consapevolmente, a volte inconsa-pevolmente, tutta la difficoltà che è insita nell’impresa di questo percorso; li ringraziamo an-che per averci perdonato quando abbiamo involontariamente ferito la loro sensibilità, disillu-dendoli, nel delicato passaggio dall’illusione alla speranza.Tutti i dati che potessero portare alriconoscimento degli adulti e dei bambini inclusi nello studio sono stati modificati per proteg-gerne la privacy.

1. Lutto per un bambino mai nato: il caso dei gemelli Carlo e Giovanni Carlo è ricoverato nella TIN, pesa 1 kg ed è in terapia intensiva da 8 settimane, da quan-

do è nato alla 24a settimana con 500 gr. di peso. Ai primi incontri, una psicoterapeuta fra gliautori (R.G.) incontra la mamma che sta facendo la “canguro terapia”.

Dopo la presentazione la mamma risponde: “Qui dentro ci vuole proprio uno psicologo... perfortuna il momento più difficile è superato... con mio marito c’è una grande intesa e ci siamo so-stenuti a vicenda... ho pianto tanto quando Giovanni è morto... perché erano due gemelli e purtrop-po abbiamo dovuto fare un aborto perché rischiava la vita anche Carlo” La signora comincia apiangere, dico che ricordare fa molto male e che se vuole può utilizzare, magari in un altro mo-mento, uno spazio che ora viene offerto ai genitori per pensare a ciò che stanno vivendo. La lasciotranquilla con il suo minuscolo bambino sul petto ed esco.

È avvertibile quanto la mamma sia in una situazione di equilibrio emotivo precario e, no-nostante accolga l’offerta della psicoterapeuta, teme di non riuscire a sostenere l’angoscia che

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prova sia per il lutto non ancora elaborato sia per il timore che il suo bambino non riesca asopravvivere. Per due mesi ha avuto il sostegno del marito ed è a lui che pensa per sentirsisostenuta.

Dopo un mese, esattamente l’8 marzo, la mamma di Carlo chiede alla caposala di incontrarmi,il bambino è uscito dalla T.I. ed è al Centro Immaturi. Non c’è ancora uno spazio concreto ma la ca-posala ci mette a disposizione il suo piccolo stanzino ricavato da una rientranza del corridoio.

Appena ci sediamo, molto vicine per la mancanza di spazio, comincia a piangere e dice chenon ce la fa più, da quando Carlo è uscito dalla T.I. Non fa che piangere e pensare all’altro gemel-lo, Giovanni, morto prima di nascere. Racconta, piangendo accoratamente, che aveva chiesto di es-sere sedata durante il clampaggio ma non l’hanno fatto ed ora ha l’immagine del cuoricino che siferma sempre viva e presente. Dice che si sente in colpa. Dico che ora che Carlo sta meglio, si puòpermettere di sentire il dolore per la perdita di Giovanni e chiedo cosa ricorda di lui. Tra le lacri-me, interrompendosi solo per soffiarsi il naso (con un fazzoletto che le offro e, decido, da ora inpoi, che i fazzoletti di carta saranno uno strumento di lavoro concreto), racconta che ricorda tuttii movimenti del bambino perché era in alto ed era il più grande. ...“Fino a 18 settimane, tutto be-ne, alla 20a: un disastro”. Sono andati a Milano per fare un intervento alla placenta ma non è an-dato bene e avrebbero potuto ripeterlo soltanto dopo 15 giorni ma sarebbe stato ormai troppotardi per i bambini. Le hanno proposto un clampaggio e il gemello destinato sarebbe stato Giovanniperché, nonostante più grande, era il più sofferente, se fosse morto, avrebbe portato via anche l’al-tro. Il bambino è rimasto dentro e si sarebbe mummificato, sono tornati a casa ma dopo 10 gior-ni ha perso le acque e il parto è avvenuto dopo 2 o 3 giorni, prima è “uscito” Giovanni ma lei nonl’ha visto perché le hanno fatto fare solo due spinte e l’hanno sedata. Carlo ha pianto subito e pe-sava 513 gr. Ha avuto una necrosi alle dita della mano destra e ha perso 3/4 della falange del-l’indice, mezza falange del medio e 1/3 della falange dell’anulare.

È molto difficile per i genitori elaborare il lutto per un bambino nato morto e, quando na-sce un altro bambino, come in questo caso, il rischio è che il lutto non venga mai elaboratoma che, in qualche modo resti sospeso e vada a influenzare le relazioni all’interno della fami-glia e lo sviluppo emotivo dei bambini nati vivi. La psicoterapeuta chiedendo alla mamma diricordare il suo bambino morto prima della nascita, cerca di creare uno spazio, nella mentedella signora perché possa pensare alla perdita subita, perché possa avere dei ricordi sui qua-li potersi basare per elaborare il lutto. Quanto più il bambino morto avrà una reale identità,tanto più facile sarà il rimpiangerlo.

Bourne e Lewis (1984a; 1984b) dimostrano come sia difficile elaborare il lutto per un bam-bino nato morto e quanto possa essere complicato per chi aiuta i genitori portarli a com-piere questo processo; la morte del bambino viene vissuta come un non-evento e lascia unsenso di vuoto dentro di loro.

Solamente domenica scorsa, anche se il papà l’aveva visto più volte, alla vista delle dita, è an-

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dato in crisi ed ha avuto reazioni di rabbia prendendo a pugni una parete.Dico che è sempre una mancanza, delle dita questa volta ma ora forse questa mancanza ri-

chiama la perdita di Giovanni.Dice che vorrebbe che anche il marito venisse a parlare con me perché se ne ha bisogno, non

è come parlare con i parenti.Dice che fino ad ora ha visto in Carlo anche Giovanni ma ha pensato che non è giusto per

Carlo “Perchè Carlo è Carlo e basta”. Dico che è una affermazione molto importante questa e sol-tanto pensando a Giovanni come Giovanni potrà accettare la sua morte e trovare un posticinodentro di sé. ...

Comincia a delinearsi lo spazio tra i due bambini gemelli nella mente della mamma e que-sto processo potrà garantire la possibilità di aiutare Carlo a crescere senza confonderlo conqualcuno che non è mai nato. La mamma comincia a percepire e riconoscere la confusionenella sua mente rispetto ai due bambini.

Qualche giorno dopo, la signora mi dice che è molto preoccupata e si è spaventata perché ilmarito, alla notizia della retinopatia di Carlo ha sfondato un armadio con un pugno. ... La cosa chele ha fatto più male sono state le parole del marito “meglio se Carlo fosse morto almeno sareb-be finito tutto questo tormento”. La mamma dice che solo in quel momento, oltre a tutta la con-fusione che ha in testa dall’inizio della storia, ha sentito anche male al cuore, come una stretta, undolore fisico..... ora lui sta perdendo la calma e ha paura che ceda. Dico che forse si sente impo-tente e ora qualsiasi imprevisto riaccende ed esaspera il senso di impotenza, la rabbia diventa in-contenibile e non riesce più a trattenerla...

...Incontro una volta i genitori di Carlo e mi sembrano una coppia molto affiatata, il papà ... èuna persona molto concreta ma schietta e “sanguigna”. È alto e magro, molto energico... Si pensainsieme al forte senso di impotenza del papà e alla sua rabbia che esplode a volte in modo in-controllabile. Per questo si sente in colpa ma chiede comprensione e l’invito allora a comprender-la, lui per primo, la sua rabbia.

Il papà è stato sopraffatto dal sentimento di impotenza e dalla rabbia che ne consegue. Ilcompito della psicoterapeuta è stato quello di aiutare i genitori a riconoscere la rabbia sen-za negarla o mascherarla; restituire al papà la possibilità di pensare la propria rabbia, ha aiu-tato la mamma a separare i contenuti della rabbia del marito dal loro bambino ed è servitoa tranquillizzarla.

...Racconta che la cosa più faticosa da sostenere è non permettersi di essere contenti perchése solo si sente la gioia per una buona notizia, si teme con terrore che ne arrivi subito un’altra cat-tiva. Questo restare in sospeso per tanto tempo è molto stressante e alla fine si cede. Dico checapisco cosa vuole dire e che dopo tanti mesi anche un semplice “intoppo” si vive con la stessaintensità di una tensione accumulata in tanti mesi. Il papà cerca di rassicurare la moglie riguardo

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agli ultimi scatti d’ira e sa ora che li controllerà ma chiede comprensione.Ci salutiamo e incontrerò ancora due volte soltanto la mamma prima che Carlo venga dimes-

so, alla fine di marzo.Alle dimissioni, la mamma è eccitata e raggiante, anche il bambino è un po’ suscettibile e ner-

voso, sembra che senta l’evento tanto atteso e l’eccitazione che c’è in giro. I lineamenti di Carlo sisono definiti ed assomiglia alla mamma, è nella fase in cui i bambini prematuri sembrano dei cri-ceti. Succhia dal seno ma viene aiutato con il biberon, pesa più di 2 chili e mezzo. Mi incanto aguardarlo mentre gioca con il capezzolo usando la piccola lingua e le labbra.

A metà maggio li incontro in D.H.; Carlo è cresciuto ma sembra un bambino di 3 mesi. La mam-ma dice che è un po’ sordo ma devono accertarlo, l’opereranno per le ernie inguinali. La mammami dice che a volte le viene un po’ di tristezza pensando a Giovanni, sa che per un po’ sarà cosìma è sopportabile.

La frase detta dal papà e sottolineata anche dalla mamma riguarda proprio il confine trasperanza e illusione. Negli incontri con i genitori di bambini molto prematuri, è molto fre-quente sentire spesso la stessa frase: “Non si può essere troppo contenti per le belle notizieperché si teme che subito dopo ce ne siano di terribili”. Sembra che le cattive notizie porti-no la delusione e, in questo caso allora, la speranza viene persa perché sentita come una il-lusione che nega la realtà e rende tutto mortifero. La grande fatica che fanno questi e altrigenitori è quella di restare in equilibrio, a volte precario, tra speranza ed illusione.

2. Il lutto per un bambino morto: Enrico e AndreaA causa di un inizio di gestosi e di una insufficienza placentare, sono nati due gemelli alla

27a settimana,Andrea di 500 gr ed Enrico di 900 gr. I bambini sono nati con un parto cesareo.

Mentre sto per uscire dal reparto, incontro il papà (i nuovi papà sono facilmente individuabilidall’espressione in genere allucinata), appena mi presento mi risponde subito “Mi stavo chieden-do se ci fosse un sostegno psicologico in un reparto come questo, me lo aspettavo e sono conten-to che ci sia” dice che la mamma sta abbastanza bene ma è preparata e mi invita ad andare atrovarla perché sa che le farebbe piacere. Lo ringrazio ma andrò il giorno dopo. Mentre l’aiuto avestirsi dice “Credo proprio che ci voglia un aiuto perché in queste situazioni la cosa più tremen-da è quella di non potere abbracciare tuo figlio”. Rispondo che in questa frase ha riassunto pro-prio tutta quella che è la difficoltà di questi momenti, in questo reparto...

Questo papà sottolinea immediatamente quanto sia faticoso da sostenere quel gesto chefa parte della normalità: l’abbraccio. Nel reparto, i genitori vengono aiutati e incoraggiati a toc-care i propri bambini e a star loro vicini; questo contribuisce a favorire non soltanto la fun-zione dell’attaccamento ma evita nei genitori percezioni alterate rispetto al loro figlio.

Li incontro in corridoio, la mamma è sulla carrozzina con la flebo, è sorridente ed eccitata, è la

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seconda volta che vede i bambini ed io li guardo da una certa distanza mentre si avvicinano alleincubatrici ma non li toccano, sono abbracciati e il papà sembra molto premuroso verso la mam-ma. Si allontanano dopo un paio di minuti e mi dicono che possiamo andare, loro sono pronti. Sonosorpresa ma aggiungono che dai bambini tornano dopo, non possono fare molto per loro.Andiamoin una stanza del Centro Immaturi che, per il momento, non è occupata da bambini. Mi racconta-no la storia della nascita prematura e la mamma si chiede se ha qualche responsabilità per il fat-to che ha lavorato fino al giorno prima di essere ricoverata; si risponde subito da sola che c’erauna insufficienza placentare e che fa un lavoro tranquillo. Dico che a volte non tutto dipende danoi ma accade indipendentemente dalla nostra volontà e controllo.

La mamma dice che è ancora sulle nuvole e si rende conto che sono nati solo perché non hapiù la pancia.

È evidente quanto questi genitori sentano che il personale del reparto e le macchine sia-no più importanti di loro, sembra che si attacchino alla psicoterapeuta per cercare di com-prendere quello che stanno vivendo. La nascita dei loro bambini non è ancora pensabile, lamamma li sente dentro di sé e deve aiutarsi con lo sguardo per riuscire a comprendere l’even-to. Cominciano ad affiorare i sensi di colpa e tutte le possibili spiegazioni arrivano a giustifica-re la realtà.

Dopo una settimana incontro i genitori in T.I. Sostengo il papà nel toccare Andrea e mi chiedese penso che il bambino si accorga di lui, lo porto a pensare alle reazioni che hanno i bambiniquando arrivano i genitori e ricorda allora che è stato lui ad accorgersi delle macchie sul camicedella moglie quando lei ha visto per la prima volta i bambini ed ha avuto la montata lattea. Spessogli vengono le lacrime agli occhi e dice che è difficile mostrare agli altri i propri sentimenti perchéci si imbarazza.

A scopo difensivo questi genitori, come altri, pensano di non essere riconosciuti dai lorobambini; sperano di controllare i loro sentimenti verso i figli e di non attaccarsi troppo.Mettono un po’ di distanza perché è presente una forte angoscia di morte. C’è anche unaforte identificazione con i loro bambini che sono tenuti in vita dalle macchine e fortementecostretti in una situazione dolorosa; in questa situazione, per i genitori è utile pensare che iloro bambini non soffrono e sono troppo piccoli per percepire la realtà.

Dopo una settimana il primario comunica ai genitori che i polmoni di Andrea sono irrimedia-bilmente danneggiati ed è stato fatto per lui tutto quanto possibile.

...Incontro la mamma accanto alle incubatrici. Le chiedo come sta, risponde che domenica èstata dura e anche il marito era in difficoltà, erano giù di morale perché le condizioni di Andrea lipreoccupa molto ma se c’è anche una sola possibilità, lei vuole sperare....

L’aspetto dei bambini è molto diverso, Enrico è cresciuto e la sua fisionomia comincia a defi-nirsi mentre Andrea non è molto cresciuto e soltanto i capelli sono diventati più folti e di un colo-

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re biondo rossiccio. Continua ad essere intubato e trasfuso mentre Enrico ha l’ossigeno ma non èintubato. Mentre parlo con la mamma, l’infermiera deve intervenire più volte per stimolarlo a re-spirare. La mamma dice che è andata per qualche ora a casa ma non riesce a restarci, sente cheil suo posto è vicino ai bambini anche se a volte sente di non servire a niente se non per quel po-co latte che si tira e che possono prendere.

Dico che si sente così perché ora le macchine sono indispensabili per la loro sopravvivenza masa che anche i bambini, in qualche modo, sentono la sua presenza e questo li rassicura. Mi rac-conta allora che ieri, per la prima volta ha fatto un’ora e mezza di “canguro” con Enrico e questole è servito molto per il morale, le ha dato grande energia. Le manca molto non poterli prenderein braccio, soprattutto Andrea....

La mamma non riesce a permettersi nessun momento di gioia con Enrico poiché perAndrea sembra che non ci sia la possibilità di sopravvivere.

Il 20 aprile incontro entrambi i genitori in una stanza del Centro Immaturi. Mi ripetono che nonsi fanno illusioni ma che se c’è una sola possibilità, loro vogliono crederci. Non si permettono ne-anche, dice il papà, di essere contenti se sembra che le cose vadano meglio perché si aspettanoche dopo ci sia qualcosa che non va ed è più difficile da sopportare. Sembra che gli altri non pos-sano capire, a loro sembra che basta solo che i bambini crescano perché stiano bene ma non ècosì.

La mamma dice che è incredibile pensare che sentano la loro presenza. A volte le vengono isensi di colpa per la nascita prematura e racconta nuovamente la storia.A volte pensa che avreb-be potuto fare di più, tenerli di più. Dico che capisco i suoi pensieri ma non si riesce a controllaretutto prima che accada e che si deve fare i conti con questo limite. Magari si potesse dire allemamme cosa fare per non far nascere prima i bambini ma non si sa, questo non dipende da lo-ro, le mamme possono solo permettere che nascano e lei è riuscita a far nascere i suoi bambinifacendosi seguire ed aiutare. Non si è risparmiata. Neanche ora si risparmia e sta sempre con lo-ro. Dice di sì che è l’ultimo pensiero prima di addormentarsi e il primo quando si sveglia.

Mentre parliamo si tengono la mano e se l’accarezzano, il papà si asciuga con discrezione qual-che lacrima....

Dico ...che sono coraggiosi ora insieme ad affrontare questa situazione difficile. Il papà dice chenon è coraggio ma che non possono fare altro. Chiedo:“Vi sentite allora un po’ incastrati?”, “No, mapossiamo fare solo quello che facciamo”, “Certo ma potreste non riconoscere la realtà che c’è epotreste farlo anche senza scappare fisicamente ma con la mente e tutto il resto invece siete acontatto con i vostri bambini e con la loro situazione e questo aiuta tutti e io penso che sia an-che un po’ coraggioso”. Sorridono e la mamma è molto dolce e sembra molto provata. Ci salutia-mo e inaspettatamente la mamma mi bacia e abbraccia.

Sembra che la terapeuta abbia toccato alcuni aspetti dolorosi ma, nonostante la situazio-ne, i genitori, come spesso accade, riescono ad essere riconoscenti e grati.

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

Alla fine di aprile parlo con la mamma accanto all’incubatrice, sembra veramente molto stan-ca, parliamo dei bambini, dei polmoni di Andrea e delle apnee di Enrico. Commento alcuni movi-menti buffi di Enrico i suoi capelli biondi, le manine grandi e il vizio di togliersi il sondino.Andrea èpiù fermo, comincia ad avere il collo gonfio, da qualche giorno è meno reattivo a differenza dei pri-mi giorni dalla nascita, quando le infermiere dicevano che era molto più competente del fratello ecercava, trovandole, le posizioni più comode. La macchina che lo aiuta a respirare è un tormentoper il rumore ritmico continuo, il suo torace vibra continuamente, non socchiude più gli occhi curio-sando verso chi lo guardava come faceva all’inizio ma li tiene chiusi.

A maggio la mamma mi dice che sanno che ormai per Andrea è solo questione di tempo mache lei non può fare a meno di essere mamma e una mamma non si può rassegnare.

Ora la mamma sa che sperare vorrebbe dire illudersi ma a volte se lo concede perché lamorte è già annunciata. L’illusione ora serve alla mamma per sostenere il tempo che ancoradeve passare.

Ad un mese dalla nascita, Andrea muore. Le infermiere raccontano che la mamma l’ha presoin braccio per la prima volta e l’ha tenuto 45 minuti poi, con il papà sono andati via. Mi diconoche Enrico, che fino ad allora era molto irrequieto, da quel momento si è tranquillizzato ed è di-ventato “un neonato da manuale”. Nei giorni precedenti avevo concordato con le infermiere di tra-sferire Enrico in un’altra stanza ed è stato fatto.

Una settimana dopo incontro la mamma nel corridoio, la saluto prendendole le braccia, diceche è tornata in “casetta” e che il dolore è grande ma anche la gioia per Enrico è in un equilibrioprecario ma non ha potuto fare a meno di tornare a Trieste.

Il giorno dopo Enrico è al Centro Immaturi e passando in corridoio vedo il papà che, dalla stan-za mi fa grandi gesti con un braccio. È la prima volta che l’incontro dopo la morte di Andrea. Entro,la mamma è seduta su una sedia, il papà su una poltrona bassa e tiene Enrico in braccio. Stringersila mano sarebbe un gesto troppo usuale, scontato e quotidiano allora mi ritrovo a prendergli la te-sta tra le mani e lo saluto così. Gli vengono le lacrime agli occhi e dice che sono là, al CentroImmaturi, Enrico sta bene, è commosso e dice che solo il tempo potrà aiutare, con il tempo pas-serà.

Enrico succhia dal seno, pesa kg 2350 ma ultimamente ha avuto due brutte apnee.Aspettanoche si stabilizzi per dimetterlo. Ora assomiglia decisamente alla mamma.

A volte la mamma accenna ai suoi due bambini ogni volta che arriva, in reparto, una nuovacoppia di gemelli ma i genitori non hanno più chiesto uno spazio per loro. Le infermiere notanoche la mamma, nei momenti di difficoltà si allontana per poi tornare ma sempre da sola oppurecon il marito.

Poter toccare e prendere in braccio il loro bambino morto aiuterà questi genitori ad ela-borare il lutto. La psicoterapeuta a volte li ha aiutati a guardare Andrea, a riconoscerne alcu-ne caratteristiche somatiche e a differenziarle da Enrico, ha cercato di riconoscere per loro

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alcuni atteggiamenti e preferenze; la speranza di chi scrive è che questi genitori abbiano alcu-ni ricordi del loro bambino morto e che riescano insieme ad elaborare il lutto per salvaguar-dare l’altro loro bambino da pericolose proiezioni.

3. Il lutto per un bambino nato con un handicap: SaraIl concetto di stupidità, di solito annesso a una condizione di handicap, va descritto a par-

tire dal suo significato etimologico. “Stupido” ha la stessa radice di stupor, e significa obnubi-lati, confuso dal dolore. È un termine che in medicina si usa per le persone in coma (statostuporoso) o per la condizione confusionale che caratterizza le persone traumatizzate psico-logicamente. Crediamo in questo contesto che la condizione di stupidità sia sempre presen-te nella prima fase dello shock dopo una perdita. È la fase che precede la messa in moto del-le difese atte alla protezione della coscienza (Sinason, 1992).

Su invito dei pediatri del Day Hospital che sono gli stessi della neonatologia, i genitori, conla loro bambina di cinque mesi, hanno accettato di incontrare una psicoterapeuta (R.G.) unavolta alla settimana nella stanza nuova messa a disposizione dal reparto.

La mamma è casalinga e ha 25 anni, il papà ne ha 29 ed è impiegato.Vengono dal sud ela mamma ha seguito il marito. Sono soli, hanno tutti i parenti in Campania, dicono di starebene a Trieste. La bambina è nata nella loro terra d’origine alla 35a settimana con un tagliocesareo per sofferenza fetale ed hanno subito riscontrato un soffio al cuore che non sembra-va niente di grave. Sara non è bellissima ma ha due occhi di un azzurro come quello dellebambole, con le pagliuzze e il contorno più scuro, il suo sguardo si ferma attento solo per po-chi secondi, ha le guance un po’ rilassate ed è veramente curiosa con i capelli castani nontroppo folti ma sproporzionatamente lunghi per la sua età, le arrivano a metà del collo. Lacorporatura è proporzionata all’età. Sara è stata sempre presente ai nostri incontri e spessosi addormentava perché stancata dalla fisioterapia appena fatta.

La mamma racconta “Appena ho visto mia figlia non riuscivo a trovare una corrispondenza...devo dire che era brutta, aveva le guance pendule... poi è diventata più bella, sarà sempre bellis-sima per me perché è mia figlia”...

La “corrispondenza” di cui parla la mamma di Sara, è la possibilità di “rispecchiarsi” nel pro-prio bambino appena nato. Ogni donna tende a trovare riprodotto, nel suo bambino, il suoio ideale, la sua capacità di allevare, di essere una brava madre; questa mamma, fin dalla na-scita della sua bambina sente di non riuscire a rispecchiare nella sua creatura una sana imma-gine di sé. Riesce a raccontare alla psicoterapeuta il timore avvertito ma subito respinto ver-so qualcosa di imperfetto che potesse minacciare la sana immagine di sé.

...venuti a Trieste, la bambina ha fatto alcune indagini mediche e raccontano la comunicazionedella diagnosi fatta loro da un medico: “Ci ha dato un volantino dicendo - ecco la bambina è af-fetta da una sindrome genetica, leggete questo e se volete saperne di più contattate l’associazio-

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ne dei genitori - siamo rimasti interdetti”. Hanno fatto una ricerca su internet, hanno visto le fotodi alcuni bambini con la sindrome, hanno letto e si sono informati; hanno loro consigliato di trasfe-rirsi dai parenti per avere un aiuto futuro ma non sanno cosa fare. Dico che possono prendersi an-cora un po’ di tempo per pensare a questo ma la mamma non vorrebbe tornare in Campaniaperché già qui si sente controllata dai nonni, è lei che pensa alla bambina e alla casa.

Tutte le paure e le angosce iniziali diventano reali quando il medico, con una modalità mol-to concreta, comunica la diagnosi. Il momento traumatico produce quella confusione a cui siè già accennato e i genitori cercano da soli notizie e informazioni per riuscire a controllarerazionalmente qualcosa che sfugge alla loro mente. Il bambino tanto desiderato non corri-sponde a quello della realtà. Ecco il conflitto con cui hanno a che fare e che determina in lo-ro un forte senso di impotenza e di frustrazione; quel medico, troppo concreto e brusco, al-lora diventa il parafulmine per tutta la loro rabbia e dolore, diventa quasi il colpevole di unevento incontrollabile.

La mamma comincia a raccontare che da quando è nata Sara tra loro è cambiato qualcosa... il papà dice che quando discutono e l’occasione di scontro è la bambina con la sua sindrome,lui si chiude a riccio e non parla ma lei lo provoca ed è peggio, non si sente capito. Dico che orala mamma sta dicendo e spiegando il motivo per cui attira la sua attenzione e che ha paura dinon essere guardata; l’attenzione ora non è sulla bambina ma sulla sindrome.

Il papà dice che non può sentire più quelle stupidaggini che dicono parenti e amici e la pre-occupazione verso i propri figli per un po’ di alterazione “E noi cosa dovremmo dire? La gente noncapisce, chi sa che è nata la bimba chiede come sta ma io sento che vorrebbe sapere se c’è qual-cosa che non va”: Dico che c’è qualcosa che è ancora nascosto, qualcosa da non dire, che spaven-ta e che forse gli altri avvertono.

Alla fine del primo incontro, la mamma mi chiede se possono parlarne dopo, a casa perché“sono uscite fuori alcune cose...”, il papà dice che ha sentito qualcosa che non sapeva. Sono sor-presa e rispondo che possono fare ciò che ritengono opportuno ma penso che ci sia bisogno dipiù spazio per parlare e pensare a quello che stanno vivendo.

La psicoterapeuta cerca di creare un po’ di spazio perché questi genitori riescano a pensa-re ciò che provano; sono terrorizzati e confusi, non riconoscono la loro bambina e avvertonosensi di colpa per quello che provano.Vengono aiutati a considerare la possibilità di guardareSara e riconoscere la loro rabbia senza danneggiare l’amore che nutrono verso la loro bam-bina. Questi genitori hanno cominciato a prendere contatto con la loro “ferita narcisistica” pro-dotta dall’aver generato un figlio malato che non corrisponde al loro ideale di bambino.

... È stata fissata a maggio una visita a Roma in un centro specializzato per valutare i bambi-ni con la sindrome di Sara, sono molto preoccupati. La mamma chiede al papà del perché non vo-glia più andare alle visite di controllo al Burlo, se è preoccupato perché possano dire “cose brut-

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te” sulla bambina; il papà ammette di sì e allora dico che sembra che solo in questo momento,con un’altra persona, possano permettersi di parlare di alcuni aspetti e di ciò che provano.

Il papà dice che non riesce più a sopportare la tensione mentre aspetta ciò che i medici dico-no, quando sente dire che qualcosa non va si sente crollare il mondo addosso. Dico che è com-prensibile, ogni cosa che non rientra nella normalità lo spaventa. Osserva che questa parola fa fa-tica a tollerarla. Dico che quello che non tollera è il contrario di normalità e lui lo sa che c’è maoltre tutto questo c’è Sara e loro possono guardarla, solo lei potrà dare loro la misura della suanormalità. Il papà dice che è vero e che a volte è Sara che gli fa dimenticare la sindrome, quandoride alle sue coccole non ci pensa. La mamma conferma e chiede al papà se il giorno prima, quan-do l’ha visto fissarla poi “se n’è andato con la testa”, il papà lo riconosce.

Il papà sembra camminare sul sottile confine tra speranza e illusione; quando pensa allasindrome, guardando Sara, la speranza che la bambina sia sana si trasforma in illusione e il do-lore per la perdita del bambino ideale diventa insostenibile. La mamma ha cominciato ad ela-borare il lutto per il bambino sano ideale e riesce ora a guardare Sara oltre la sindrome.

Dico che sembra che per ora, ogni gioia che Sara dà loro sia accompagnata da un grande do-lore. Il papà conferma e aggiunge che non può evitarlo ma la mamma dice che non sempre è co-sì, che lei vede che la bambina cresce e che risponde sempre di più e meglio, si fa capire e lei lacapisce, all’inizio non era così, era difficile.

Quello che ora è forte, è la paura che a Roma dicano che ci sono problemi neurologici, c’è lavoglia che non si vedano gli effetti della sindrome, vorrebbero che i medici dicessero che la sindro-me c’è ma è come se non ci fosse. Mi fanno molta tenerezza.

Ribadisco che ora hanno paura di informarsi e di sapere troppo sulla sindrome ma quello chepossono fare e stanno già facendo è guardare Sara come cresce, è lei che sarà il loro punto di ri-ferimento sulla sindrome.

In una delle sedute successive il papà sembra sempre più angosciato dal pensiero della sin-drome e mentre parla di questo spesso si ferma e, con lo sguardo nel vuoto dice “Boh?”. Chiedocosa vuol dire, cosa prova ma risponde che non lo sa, non sa più niente. La mamma interviene edice che lei alla sindrome non ci pensa più, c’è solo Sara, con lei sta bene ma è preoccupata peril marito, non sa come aiutarlo, non lo vede sereno e a volte le sembra irraggiungibile. Chiedo co-me si sente e risponde che è triste, piange discretamente. Chiede se è cattiva a pensare che sa-rebbe stato meglio che nascesse sana. Le domando se le sembra strano che una mamma deside-ri che la propria figlia nasca sana. Dico che forse si sente in colpa perché non è avvenuto questoe allora si sente come una madre che rifiuta il proprio figlio; dico che invece è stata brava, in set-te mesi a fare in modo da capire la bambina e farsi capire. Dice che ora le risponde con versi egridolini. Il papà sembra svuotato e dice che sta bene solo quando è con Sara.

Mentre la mamma comincia a sentire la tristezza, un sentimento che accompagna il lutto,il papà si sente annichilito dal forte dolore e spesso si ritira in una sorta di apatia.

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Alla fine di aprile la cardiologa informa i genitori che Sara ha un problema cardiaco “impor-tante”. Fissa un incontro con un cardiologo del “Bambin Gesù” ospedale infantile di Roma in con-comitanza con la visita per la sindrome .... il papà dice che ormai ha un pensiero fisso, non pensapiù alla sindrome ma ha paura che la bambina muoia. È stato detto loro che è a rischio di vita....

Nell’ultimo incontro prima della partenza per Roma, dicono che si sentono cattivi perché quan-do vengono a sapere di cose belle come l’arrivo di un nuovo nipotino, provano una grande rabbia.Mi chiedono se è invidia ma si rispondono subito di no. Dico che toccano un dolore molto vivo. Lamamma dice che ultimamente sogna, nel vero e proprio senso della parola, di rifare il matrimonioperché i parenti in lite l’hanno rovinato, anche la gravidanza e il battesimo, tutto è stato rovinato.Dico che sta traducendo quello che sente, il suo dolore per come sono andate le cose, non può di-re che vorrebbe che Sara non avesse la sindrome ma riesce solo a dire che il matrimonio che haavuto non è stato come quello sognato e le manca un matrimonio come le manca una bambinasenza la sindrome. Dice che è vero, che è proprio così e aggiunge “sono cattiva?”. Rispondo che èsana perché sarebbe da matti desiderare che il proprio figlio nasca con una sindrome.

La psicoterapeuta aiuta i genitori a riconoscere i loro sentimenti al di là dei contenuti deiloro pensieri, cerca di aiutarli a non temere ciò che provano ma a parlarne.

Alla fine di maggio partono per Roma, La sera del 1° giugno trovo un messaggio sulla segre-teria del cellulare, è la mamma di Sara che mi dice che la bambina è morta e mi prega di tele-fonarle.

I genitori di Sara che avevano cominciato a elaborare il lutto per un bambino sano idea-le, hanno accettato di incontrare ancora settimanalmente la psicoterapeuta per elaborare illutto per la morte della loro bambina reale.

DiscussioneAbbiamo voluto riportare tre esperienze di perdita subite dalle famiglie di neonati degen-

ti della Neonatologia e seguiti in Day Hospital. Nella prima, la perdita è stata essenzialmenteper un bambino mai nato, ossia per un bambino ancora, e solo, nella “mente della madre”(Meltzer, 1994).

La seconda esperienza si riferisce a un bambino nato, per il quale i genitori hanno avvia-to un processo di attaccamento, ma che dopo poco è morto.

La terza si riferisce specificatamente alla situazione del lutto per un bambino con una sin-drome genetica, ossia al lento processo di adattamento dei genitori alla perdita del bambinosano tanto atteso e rispetto al gestire una situazione famigliare con un bambino con deficitfisici e psichici.

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

Le esperienze riportate sono state vissute all’interno del progetto di “Sostegno psicologi-co a genitori e bambini prematuri, a rischio o con handicap” avviato all’interno del reparto dineonatologia e Day Hospital dell’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”.

Il progetto prevede che, attraverso l’osservazione attenta del bambino, in presenza di unopsicologo psicoterapeuta infantile, i genitori siano sostenuti e aiutati a distinguere il loro bam-bino dalle proprie difficoltà emotive legate al vissuto angoscioso della nascita prematura, odagli esiti imprevisti.

Ai genitori dei bambini ricoverati sono offerti alcuni colloqui della durata di un’ora, effet-tuati in una stanza vicina al reparto, per pensare all’esperienza che stanno vivendo in uno spa-zio e in un tempo speciale per loro, distanti dal loro bambino.

Ai genitori dei bambini che sono morti viene offerto uno spazio per cominciare ad ela-borare il lutto.

Ai genitori di bambini a cui è stato diagnosticato un handicap, sono offerti colloqui per fa-vorire il processo di separazione e individuazione; attraverso l’osservazione del loro bambi-no vengono sostenuti e aiutati a trovare in lui quegli aspetti più vitali necessari a risvegliareciò che di più vivificante è in loro.

I bambini dimessi vengono incontrati durante il follow-up affinché, attraverso l’osservazio-ne, sia possibile aggiungere qualche elemento per la valutazione della relazione madre-bam-bino. I genitori, ma soprattutto le madri dei neonati ricoverati per molte settimane, sono sta-ti incontrati regolarmente; le madri dei grandi prematuri sono state aiutate a sopportare laforte angoscia determinata dal rischio di vita del proprio bambino, sono state aiutate a pen-sare al trauma determinato da una nascita improvvisa e sono state aiutate a non temere ipropri sensi di colpa.

Essere aiutati a riconoscere l’angoscia legata all’incertezza del futuro e vissuta durante leprime settimane dalla nascita del proprio bambino, può contribuire a prevenire quelle diffi-coltà che, a volte, si evidenziano nelle relazioni future e addirittura nello sviluppo evolutivodel bambino stesso. Spesso diventa difficile e complicato sostenere i genitori sul sottile con-fine tra speranza e illusione cercando di fornire loro elementi perché possano trovare den-tro se stessi la spinta vitale a mantenere la prima piuttosto che la seconda.

In queste esperienze, l’elemento che ci è sembrato più rilevante, presente in tutte le si-tuazioni e che tutte le persone coinvolte dovevano considerare, è quello che abbiamo chia-mato “la sottile distinzione tra la speranza e l’illusione”. Numerosi autori in ambito psicoana-litico, si sono occupati di questa distinzione. In particolare Winnicott (1958) distingueva nellanascita psicologica del bambino l’importanza della:a. percezione (intesa come un’attività conoscitiva, quell’operazione mediante la quale il sog-

getto prende contatto con l’oggetto esterno mediante le diverse sensorialità);b. egli poi considerava l’appercezione (intesa come l’atto del prendere consapevolezza del-

le proprie percezioni e distinguere il soggetto percepente dall’oggetto percepito, o lo sta-

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

dio finale della percezione in cui qualcosa viene chiaramente compreso e acquista così unarelativa preminenza nella coscienza);

c. distingueva queste funzioni dall’illusione.Winnicott ipotizza che l’illusione sia dovuta all’esistenza nel mondo interno rappresenta-

zionale del bambino piccolo, di una fase o di uno stato mentale intermedio tra la sua capaci-tà di riconoscere la realtà come mera percezione (intesa quindi come fenomeno inconscio oautomatico) e la sua crescente capacità di farlo, acccettandola consapevolmente (appercezio-ne). Nelle prime fasi dello sviluppo, la madre che Winnicott (1987) auspica essere “sufficien-temente buona” permette al bambino questo adattamento attivo, un ruolo di “traghettatri-ce”, tra la sponda dell’onnipotenza infantile dominata dal pensiero magico e dall’illusione dicompiere ogni desiderio, come nel sogno, a quella dell’accettazione della reltà, con i limiti ela dipendenza. In questo modello, quindi l’illusione grazie al ruolo mediatore di una madre“sufficientemente buona”, lascia gradualmente il posto alla percezione della realtà, e paralle-lamente aumenta la capacità del bambino di accettarne i limiti e tollerare la frustrazione. Lamadre viene definita da Winnicott “sufficientemente buona” perché non deve soddisfare innessuna fase dello sviluppo del bambino completamente i bisogni del bambino: solo un adat-tamento incompleto al bisogno rende gli oggetti reali e totali, odiati cioè, oltre che amati.All’inizio, l’adattamento dovrà essere “quasi perfetto”; finché non sarà tale non sarà possibileche nel bambino incominci a svilupparsi la capacità di sperimentare una relazione con la re-altà esterna, o a formarsi un concetto della realtà esterna. La madre, all’inizio, con il suo “adat-tamento quasi perfetto” offre al bambino la possibilità di illudersi: il seno è parte del bambi-no stesso ed è, per così dire, sotto un controllo magico. Lo stesso si può dire delle cure cheil bambino riceve in generale, nei periodi di quiete tra due eccitamenti.Il compito finale dellamadre è quello di deludere gradualmente il bambino, ma essa non ha speranza di successose non è riuscita ad offrire, all’inizio, sufficienti occasioni d’illusione.

Dopo l’offerta di illusioni, il compito principale della madre è la delusione che precedelo svezzamento e continua come uno dei compiti dei genitori e degli educatori. La questio-ne dell’illusione è qualcosa di strettamente inerente agli esseri umani e che nessun individuorisolve definitivamente. Se tutto va bene, da questo graduale processo di delusione si svilup-pa la fase delle frustrazioni che chiamiamo svezzamento. Se questo processo di illusione edelusione graduale viene turbato il bambino non riesce a sperimentare un fatto così norma-le come lo svezzamento nè a reagire ad esso.

La semplice interruzione dell’allattamento al seno non è svezzamento: esso può avveni-re proprio perché il processo illusione-delusione si è svolto adeguatamente. Questo proces-so di accettazione della realtà non è mai terminato: nessun essere umano si libera dallo sfor-zo di collegare la realtà interna con la realtà esterna, anche se tale sforzo viene alleviato daun’area intermedia di esperienza che è indiscussa, quale è quella della fantasia e del giocodel bambino.

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

Si può quindi affermare che per Winnicott, in un particolare periodo della vita evolutiva,l’illusione ha un valore positivo, poi tuttavia lo perde: solo le esperienze, gli oggetti ed i feno-meni della prima infanzia appartengono al regno dell’illusione. Quest’area costituisce la mag-gior parte dell’esperienza del bambino piccolo - e viene in seguito sentita intensamente e con-servata dall’adulto, solo in settori “specializzati”, quali quelli della vita immaginativa, dell’arte edel lavoro scientifico creativo.

Il concetto di speranza invece ci appare come intrinsecamente legato ai concetti di rico-noscimento maturo della realtà, che comprende l’esistenza dei sentimenti nelle altre perso-ne, sentimenti che possono essere sia positivi che negativi rispetto alla dipendenza, e, in ulti-ma analisi, una stima del valore nelle proprie capacità e di quelle altrui: è quindi un concettointrinsecamente legato alla fiducia in se stesso e negli altri. Questi elementi che sono intrin-seci e fondamentali in ogni relazione umana matura, e risultano fondamentali quando si trat-ta di pensare a come aiutare i genitori a impegnarsi in un’elaborazione luttuosa.

La stima e la fiducia sono in funzione di uno sviluppo armonico. Al contrario, la dispera-zione e la mancanza di fiducia negli altri possono essere il prodotto della discrepanza esisten-te tra una rappresentazione interna di una relazione desiderata con il proprio bambino neo-nato e la realtà del bambino “vero” che i genitori vedono e toccano davanti a sé (Sandler,1998). Ogni situazione di malattia, di stress o di trauma comporta una regressione della rela-zione oggettuale: in questo senso, l’individuo regredisce da una situazione di relazione ogget-tuale matura a quella propria del narcisismo secondario (Freud, 1914), dove il riconoscimen-to dell’oggetto è completamente “adombrato” dalla preoccupazione per sé (Sandler, 1960).Crediamo che alla base dei sentimenti di inadeguatezza, colpa e angoscia che abbiamo osser-vato nei genitori (ma spesso condivisi anche dal personale della Neonatologia) vi sia una “im-magine ideale”, ad esempio, di come dovrebbe essere il periodo postnatale di un bambino, dicome dovrebbe essere accudito e di come dovrebbe vivere questi primi attimi della sua vi-ta. Per ovvi motivi questa immagine è messa in crisi dalle diverse vicissitudini che possono vi-vere, come abbiamo visto nei casi sopra riportati, i genitori e il neonato in Terapia Intensiva.In questo modo, ossia dalla discrepanza che si genera dall’immagine “ideale” della vita del bam-bino e la sua condizione attuale, ne emergono tutta una serie di reazioni dolorose che por-tano spesso le caratteristiche della vergogna cocente per le proprie presunte inadempienze,e della colpa che ne consegue.

Originariamente questi aspetti “ideali” si formano nell’individuo per soddisfare i bisogni fon-damentali del bambino di fondersi con la madre, con l’oggetto primario di accudimento. Il “Séideale” (Freud, 1914), si genera perché permette progressivamente all’individuo in via di svi-luppo di trasferire la dipendenza e gli investimenti affettivi da un oggetto esterno a questapotenziale fonte di benessere indipendente dalla rassicurazione e conferma esterne. È unarappresentazione interna che rende quindi il bambino progressivamente sempre più resisten-te alle frustrazioni poiché egli può scegliere dei comportamenti che si accordano ai propri

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Quel confine sottile tra speranza e illusione

requisiti interni, e sempre meno alle richieste esterne. Quando questi comportamenti nonpossono essere attualizzati i genitori possono così provare a fronte delle inevitabili frustrazio-ni presenti nella situazione del piccolo, vergogna o colpa. La vergogna in particolare è quellaparticolare qualità di dolore mentale che si sperimenta ogni qual volta il soggetto riscontrauna discrepanza, un’incapacità a raggiungere (nel pensiero o con le proprie azioni) una corri-spondenza tra il Sé attuale e il Sé ideale (Sandler, 1998). Come se il soggetto si dicesse: “Misento male perché non riesco a percepirmi come desidererei essere (o come vorrei esserevisto dagli altri)”.

La colpa invece è quella particolare qualità di dolore mentale dovuto all’incongruenza trai propri ideali e quelli imposti dai propri oggetti interni: “non desidero percepirmi come do-vrei e questo mi fa stare male”.

Sostanzialmente, e basandoci sugli autori citati, vogliamo individuare la fondamentale dif-ferenza tra l’illusione e la speranza. Nell’illusione siamo davanti a meccanismi di funzionamen-to primitivo, quelli del neonato e del bambino molto piccolo, basati sul controllo onnipoten-te (su fantasie magiche), e sul diniego. Questo può accadere proprio perché l’esistenza sepa-rata e indipendente dell’oggetto primario di accudimento (il care-giver, o la madre) non puòessere riconosciuta del tutto da una mente ancora immatura. Questo oggetto sarebbe statosempre trattato come se fosse una parte del nostro amato sé e, perciò, come se fosse sot-to il nostro controllo onnipotente. Questa è la causa per cui la perdita di un oggetto di que-sto tipo è del tutto intollerabile. Essa abbatte completamente il nostro senso infantile di on-nipotenza, costringendoci a riconoscere la realtà della nostra dipendenza dal mondo degli og-getti, lasciandoci perciò con un’ampia ferita aperta.

Con la speranza, al contrario, si mantiene la spinta vitale; si riconosce la realtà e la corri-spondenza tra oggetti esterni e quelli del mondo interno. Sembra che, con la speranza, i ge-nitori possano sostenere la realtà a volte tragica del loro bambino attingendo ai propri og-getti interni vitali.

Tutti coloro che operano nel reparto di neonatologia, compresi i due psicoterapeuti, sitrovano spesso in difficoltà quando devono restare sospesi per non cadere nell’illusione; con-tinuamente, in ogni momento della giornata, tra gli operatori stessi e nel rapporto con i ge-nitori dei bambini ricoverati, è presente la paura legata all’illusione quasi come se questa po-tesse scacciare e allontanare la speranza.Tutti, nel proprio ruolo, sono impegnati a sostenerela speranza e a non sollecitare le illusioni nei genitori, e crediamo che si possa prevenire il di-sagio futuro delle famiglie che vivono un’esperienza traumatica alla nascita di un bambino riu-scendo a conservare uno spazio dove i genitori possano pensare subito a quello che stannovivendo con l’aiuto di uno psicoterapeuta. Anche il personale del reparto può utilizzare unospazio per elaborare le esperienze particolarmente coinvolgenti per difendersi dall’illusione ecreare quella distanza necessaria che permette ad un professionista di operare controllandoil coinvolgimento emotivo personale.

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Per richieste sul lavoro o sul progetto:dott.A. Clarici, medico psicoterapeuta psichiatra, ricercatore confermato, Dipartimento di Scienze della Riproduzione e del-lo Sviluppo (DPRS), Università di Trieste, Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”, Struttura Complessa di Neonatologia e TIN,34137 Trieste (TS) - Via Istria, 65/1; +39040-3785-371 (Neonatologia); +39040-3785-233 (Segreteria DPRS); +39040-3785362 (fax); [email protected] R. Giuliani, psicologa psicoterapeuta, Centro Studi di Psicoterapia a Orientamento Psicoanalitico,Via Canova n° 2,34129 Trieste.

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TAVOLA ROTONDA

RELAZIONE SU IMPLICAZIONIETICHE NELLA GESTIONEDEL GRANDE PRETERMINEA. PicciottoMagistrato, Consigliere di Corte d’Appello, Giudice del Tribunale di Trieste

Quello che potrebbe sembrare un argomento del tutto astratto, più filosofico che giuri-dico, costituisce in realtà una tematica affatto ricorrente nelle aule di Giustizia; numerose so-no le evenienze in cui occorre individuare i parametri - anche morali - alla luce dei quali va-lutare il comportamento di un medico: il vaglio delle regole di etica professionale non è eser-cizio retorico, ma un’analisi logico-fattuale dalle delicate implicazioni sociali e giuridiche.

Ma chi può dire cosa sia eticamente corretto, o a quali norme si debba ispirare l’opera-tore pratico: a quali riferimenti potrà fare richiamo il giudice per tentare di rendere concre-to e giuridicamente apprezzabile qualcosa di tanto astratto?

Sembrava un dato di fatto acquisito, fino a qualche mese fa, che in una società multicultu-rale, tendenzialmente laica, comunque evoluta, come la nostra, non potesse essere individua-ta in campo medico un’etica unanimemente condivisa, radicata in valori comuni e quindi datutti accettati, sulla quale potere fondare scelte di riferimento da parte del legislatore: invecela recente legge sulla procreazione assistita (legge n. 40 del 2004) sembra rappresentare - do-po oltre trent’anni dalla legge 194 del 1978, ed in un mutato quadro culturale - l’imposizio-ne di una morale di Stato, fondata sull’indimostrato presupposto di una sua condivisione daparte della collettività, quasi che il mandato politico sia anche un mandato etico, una delegasocio-culturale-religiosa.

Fino a ieri, e si spera anche domani, alla necessità di individuare i valori etici di riferimen-to di talune attività si ovviava con la cosiddetta normazione deontologica, intesa come la pre-disposizione di regole di comportamento da parte di taluni soggetti, appartenenti ad un grup-po sociale, la cui osservanza viene pretesa a fini sanzionatori e disciplinari, e la cui operativi-tà vige sia nei rapporti interni della categoria, quanto nei riguardi dei cosiddetti utenti.

Come acutamente osservato1, questa tendenza si accentua con riguardo a quei settori pro-fessionali che più risentono, come appunto quello medico, dei progressi scientifici, con conse-guente rafforzamento dell’esigenza di incanalare l’esercizio professionale entro argini rappre-sentati da valori etici, anche in reazione a quella che fino a ieri sembrava essere l’inerzia dellegislatore, inerzia - o meglio, scelta più o meno consapevole di non interventismo - che con-seguiva alla cosciente “perdita di esclusività dello strumento legislativo e, più in generale, del tra-

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

dizionale sistema fondato sull’imposizione di regole dall’alto, a favore di meccanismi di regolamen-tazione che trovano la propria legittimazione nell’essere, appunto, frutto dell’autonomia di queigruppi, la cui attività risulta necessaria per la società”2.

In questo quadro si è verificata l’emersione della normativa deontologica, con la conse-guente ritrazione della potestà normativa statuale a suo vantaggio. Proprio il riconoscimentodel valore della codificazione deontologica, da parte delle corti civili, penali ed amministrati-ve, ha indotto a rivedere la tradizionale concezione di discontinuità e separazione tra regolaetica e regola di diritto, chiamando tutti ad una nuova considerazione del valore giuridico del-le norme di autoregolamentazione.

Già trent’anni or sono la Suprema Corte di Cassazione3 insegnava che “al pari degli altriOrdini, quello delle professioni sanitarie è, per antica tradizione, titolare di poteri di autarchia e diautonomia, il cui esercizio realizza il principio dell’autogoverno della professione. E la manifesta-zione più elevata di questo è costituita dall’enunciazione e dalla conservazione delle regole di de-ontologia professionale, nonché, in un successivo e solo eventuale momento, dalla concreta appli-cazione delle regole stesse, secondo le forme e le garanzie della procedura disciplinare”.Continuava “L’ordinamento riserva, quindi, alla categoria professionale ed agli organi che ne sonoespressione, poteri di autonomia in relazione all’individuazione delle regole di comportamento deiprofessionisti e poteri di c.d. autocrinia in sede di applicazione delle regole stesse.” Aveva tuttaviamodo di precisare, limitando così l’innovatività del proprio insegnamento, che “Queste, però,non assurgono a norme dell’ordinamento generale, ma operano quali regole interne della partico-lare categoria professionale cui si riferiscono”.

Solo successivamente il pensiero giuridico ha colto che la vera essenza della normazionedeontologica non era più soltanto quella di assolvere ad esigenze organizzatorie della singo-la categoria di associati, quanto piuttosto quella di tutelare i destinatari dell’attività professio-nale; quando sono state intuite le connotazioni di stampo pubblicistico insite nell’autoregola-mentazione, quale strumento finalizzato al perseguimento di finalità d’interesse pubblico, allo-ra sono mutati anche l’approccio e la considerazione della Giurisprudenza in ordine ai codi-ci di autoregolamentazione, primo tra tutti quello medico. Sono poi arrivati anche i ricono-scimenti legislativi a livello nazionale4 e comunitario5, e con essi la previsione di coordinamen-to tra i meccanismi giudiziari e quelli dell’autodisciplina, di cui veniva quindi, implicitamente,operato il riconoscimento.

Solo incidentalmente conviene osservare che il grado di integrazione tra diritto statale edisciplina di fonte autoregolamentare può toccare vari livelli, fino a quello massimo del rinviodiretto da parte della legge: si veda per esempio l’art. 25 della legge 31 dicembre 1996, n.675,sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, il qualedemanda alla stessa codificazione deontologica (ad opera del Consiglio Nazionale dell’Ordinedei Giornalisti) l’adozione di “misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati”. Per rimane-re alla nostra materia, è quanto recentemente successo in Francia, dove il codice di deonto-

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

logia medica è stato adottato con atto di valore normativo (décret n.95-1000 del 6 settem-bre 1995). In questo modo però, come ben posto in rilievo6, si rischia di snaturare i tratti pe-culiari della disciplina deontologica, riducendola da fonte autonoma e concorrente, a fontedelegata e condizionata nei fini, oltre che nelle modalità del loro perseguimento.

Altro grado di integrazione, ritenuto dalla dottrina più rispettoso delle peculiarità del fe-nomeno, è quello apprestato dal legislatore con il riconoscimento, in capo agli organi rappre-sentativi di una certa categoria, del potere di elaborare principi di deontologia professionale.È quanto avvenuto per la professione notarile7, e ciò proprio sul presupposto che l’elabora-zione di principi deontologici da parte dell’organo di categoria rispondeva ad un preciso in-teresse della collettività.

Ma vediamo ora più da vicino come le regole deontologiche divengano rilevanti per l’or-dinamento generale.

In primo luogo, esse costituiscono il riferimento del rinvio contenuto nell’art. 1176, com-ma 2, cod. civ., alla diligenza nell’esercizio dell’attività professionale, che costituisce la misuraper valutare l’adempimento dell’obbligazione da parte del medico; alla norma sono aggancia-te le previsioni che disciplinano la prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare l’art. 2236cod. civ. che regola la responsabilità del prestatore. Inoltre esse vengono a dare contenuto al-le cd. clausole generali dell’ordinamento, cioè quelle previsioni generali ed astratte che si pon-gono alla base della risoluzione di conflitti: sono i principi cardine come l’ordine pubblico edil buon costume. Del resto, come detto poco sopra, le statuizioni dei codici deontologici so-no proprio finalizzate alla tutela dei destinatari dell’attività professionale, ed è quindi logicoche le loro previsioni vengano utilizzate quando si debba formulare un giudizio di responsa-bilità professionale.

Ma oltre a riempire di contenuto il rapporto obbligatorio tra le parti, medico e paziente,i doveri di correttezza professionale esplicitati nelle regole deontologiche, vengono ad ope-rare anche in assenza di un preesistente vincolo obbligatorio, a garanzia di chiunque vengaraggiunto dall’attività professionale.

In una importante decisione8 si è poi ritenuto che le regole contenute nel codice di au-todisciplina (nel caso di specie, dell’attività pubblicitaria) costituiscano parametri di valutazio-ne della correttezza professionale, in quanto espressione dell’etica professionale consenten-do “di adeguare i principi di correttezza professionale ... al costume eticamente inteso”, e quindisaldando quei due universi (etica e diritto) in continua tensione e difficile contatto.

Sebbene i richiami alle regole di perizia, di prudenza e diligenza, esplicitati nei codici di au-toregolamentazione in generale, ed in quello medico in particolare, siano maggiormente rile-vanti nel settore penale, tuttavia anche nel campo dell’illecito civile contrattuale (chè contrat-tuale è il rapporto tra medico e paziente, anche nella struttura pubblica9), il rispetto della nor-mazione deontolgica assume molta importanza. Si pensi che prima della ratifica dellaConvenzione di Oviedo, sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, del 4 aprile 1997, da parte

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

della legge 28 marzo 2001, n.145, veniva fatto chiaro richiamo10, per accertare la responsabi-lità contrattuale del medico per omissione dell’informazione, proprio alla fonte autoregola-mentare.

In ultima analisi, la regola deontologica viene a costituire il fondamento di prerogative epretese da parte dell’utente, tanto da essere invocata sempre più spesso nelle aule dei tribu-nali.

Ma rimaniamo aderenti al tema in oggetto.Nell’evoluzione del codice di deontologia medica, tra i tanti, merita di essere colto l’aspet-

to del rapporto tra medico e quello che veniva - possiamo ormai usare un tempo passato -chiamato il paziente. Analizzando la posizione del medico in questo particolare rapporto, ladefinizione di “potestà professionale” è stata solo recentemente abbandonata, a vantaggio del-l’espressione “indipendenza professionale” che meglio vale ad esprimere la nuova concezio-ne della relazione medico-paziente: su ciò si tornerà di qui a poco.

L’atto medico è oggi il risultato della “alleanza fra due autonomie”11, è il frutto di una coo-perazione all’impresa curativa, che - vedremo di qui a poco - deve passare attraverso una fa-se conoscitiva, essenziale per entrambi i protagonisti della cosiddetta alleanza terapeutica.

Proprio prendendo atto della asimmetria del rapporto tra medico e paziente e di quellaovvia, naturale situazione di inferiorità in cui si viene a trovare il secondo nei rapporti con ilprimo, il codice ha avuto il principale compito di ridurre tale squilibrio, formulando le normedi comportamento a cui i sanitari si impegnano ad attenersi. In tempi ormai risalenti, era con-vincimento giuridico, oltre che sociale, che il mettersi nelle mani di un medico famoso com-portasse la preventiva accettazione di quelle determinazioni che lo stesso medico avrebbepoi preso, se ed in quanto necessario per la vita e la salute dell’ammalato, determinazioni cheproprio in quanto assunte dal medico - nella sua imperscrutabile discrezionalità - erano perciò stesso, assiomaticamente, conformi all’interesse del paziente.

Progressivamente il ruolo decisionale del paziente è cresciuto, e con esso il grado del do-vere dell’informazione da parte del sanitario. Si osserva come questa evoluzione culturale12

sia passata dalla formulazione dell’art. 30 del codice deontologico del 1978, il quale prevede-va:“Una prognosi grave o infausta può essere tenuta nascosta al malato ma non alla famiglia”;a quella dell’art. 40 del codice del 1989, secondo cui: “il medico non può intraprendere alcu-na attività diagnostico terapeutica senza il valido consenso del paziente, che se sostanzialmen-te implicito nel rapporto di fiducia, dev’essere invece consapevole ed esplicito allorché l’attomedico comporta rischio o permanente diminuzione dell’integrità fisica”; alla statuizione del-la normativa deontologica del 1995, il cui art. 31 stabiliva che “Il medico non deve intrapren-dere attività diagnostica e terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato”.

Il mutamento dei rapporti, influenzato proprio dalla presa di coscienza della classe medi-ca, è stato rapido se non tumultuoso. Meritano di essere ricordate le parole del Presidentedella Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri13, Aldo

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

Pagni, secondo cui “Per troppo tempo abbiamo creduto che la nostra missione fosse soltanto quel-la di salvare vite, alleviare sofferenze e guadagnare terreno alla morte, che sono poi gli scopi prin-cipali della medicina, senza preoccuparci delle profonde implicazioni sociali della nostra pratica,nell’illusione che questa fosse fuori dai flussi della storia sulla base di un immutabile modello for-mativo ed operativo autoreferenziale” (Atti del Convegno di studio della F.N.O.M.C.e O., cit.,pag. 8).

Uno degli aspetti applicativi di questa evoluzione è quello che riguarda l’amplissima tema-tica del consenso alla prestazione medica, all’interno del quale, a mio parere, deve trovare so-luzione la problematica della scelta e dell’iniziativa terapeutica nel caso del grande pretermi-ne.

Il momento decisionale nell’individuazione della scelta terapeutica, intesa in senso amplis-simo, si sta spostando dalla competenza tecnica e professionale del medico alle esigenze per-sonali del paziente, e quindi al pieno rispetto della sua libertà di autodeterminazione: ciò hafatto brillantemente dire14 che “il consenso informato mira a porre al centro dell’attenzione delmedico non tanto, o non soltanto la malattia , ma la persona bisognosa di cure”.

Nei documenti di approvazione dei piani sanitari nazionali si leggono con sempre maggio-re evidenza i riferimenti alla possibilità di una scelta consapevole tra diverse opzioni diagno-stiche e terapeutiche da parte dell’utente, e quindi all’esigenza che l’informazione divenga unodegli aspetti decisivi nel rapporto tra il Sistema Sanitario Nazionale ed i cittadini, in una tran-sizione da una concezione paternalistica ad una concezione democratica dell’assistenza sani-taria, che incontra ancora alcuni ostacoli. Possiamo quindi dire15 che “è, in definitiva, solo il tito-lare del diritto “individuale” che è legittimato a decidere il “se”, il “quando” e il “come” dell’accer-tamento e del trattamento sanitario anche se il medico ritenesse più utile per lui una soluzionediversa: intervenire anziché soprassedere, intervenire tra un mese anziché tra un anno, con solu-zione radicale anziché in modo più contenuto e così via”.

Oggi il dovere dell’informazione sussiste in ogni caso, non potendosi più discutere di unaimplicita accettazione delle decisioni del medico riguardanti la persona del paziente senza laprevia informazione, e ciò ancorché non si prospetti alcun rischio di diminuzione della inte-grità fisica. Al riguardo, mentre nel codice del 1995 l’art. 29 statuiva: “la volontà del paziente,liberamente e attualmente espressa, deve informare il comportamento del medico, entro i limitidella potestà, della dignità e della libertà professionale”, in tal modo limitando l’autonomia delpaziente a vantaggio dalla “potestà” professionale del medico, e rievocando16, in certo qualmodo, la funzione autolegittimante a discapito della libertà del paziente; invece, l’art. 34 delcodice del 1998, prevede che “il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà edell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona”. È evi-dente come alla “potestà” di curare del medico si sia sostituita la “indipendenza” professiona-le, con definitiva dismissione di qualsiasi potere vagamente coercitivo o funzionale e della re-lativa “soggezione” del paziente.

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Lo stesso legislatore sembra pronto a prendere atto di questa evoluzione, se è vero chein una delle tante proposte concernenti le disposizioni in materia di consenso informato e didichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari17 si rinviene un articolato che pre-vede che “Ogni persona capace ha il diritto di prestare o negare il proprio consenso in relazioneai trattamenti sanitari che stiano per essere eseguiti o che siano prevedibili nello sviluppo della pa-tologia in atto... In caso di ricovero ospedaliero la dichiarazione di volontà di cui al comma I deveessere annotata nella cartella clinica e sottoscritta dal paziente”. Viene ad essere esaltato, comesi legge nella Relazione illustrativa, “il principio di autodeterminazione nel campo delle cure medi-che e la consapevolezza che ogni persona ha il diritto di essere protagonista delle scelte riguar-danti la sua salute, sia nel senso di accettare sia nel senso di rifiutare l’intervento medico... Anchela giurisprudenza italiana ha avuto modo di chiarire che il rifiuto di un trattamento da parte del-la persona interessata deve essere rispettato, indipendentemente dalla valutazione dell’operatoresanitario in merito al “bene” del paziente... Appare evidente come il consenso o il rifiuto espressodalla persona nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia diagnostico che terapeutico, possa rap-presentare un autentico atto di autodeterminazione, libero e consapevole, solo se la persona rice-ve un’informazione completa e corretta della diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento checoncerna la scelta che la persona stessa è chiamata ad effettuare (cosiddetto “consenso informa-to”).Tuttavia nonostante il preciso dettato costituzionale e l’affermazione del principio di autode-terminazione recata dalle regole deontologiche mediche, la pratica clinica nel nostro paese conti-nua ad essere permeata da una scarsa o sporadica informazione del paziente e dalla frequenteviolazione della richiesta di consenso alle procedure diagnostiche o terapeutiche alle quali la per-sona malata è sottoposta... Il diritto di autodeterminazione della persona per quanto attiene allescelte relative alle cure incontra poi limitazioni assolute nelle circostanze in cui la persona vengaa perdere la capacità di decidere ovvero di comunicare le proprie decisioni...”.

Un rapido esame delle fonti regolamentari e normative in vigore impone il richiamo del-l’art. 30 del codice deontologico, il quale prevede che “Il medico deve fornire al paziente la piùidonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative dia-gnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informar-lo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima ade-sione alle proposte diagnostico-terapeutiche”; e dell’art. 5 della Convenzione di Bioetica, secon-do cui “Un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia pre-stato il proprio consenso libero e informato.Tale persona riceve preliminarmente informazioni ade-guate sulla finalità e sulla natura del trattamento nonché sulle sue conseguenze e i suoi rischi”. Inparticolare il “Rapporto Esplicativo” allegato alla Convenzione ad ulteriore chiarimento deltenore dell’art. 5, aggiunge:“Il consenso del paziente non può essere libero e consapevole se nonè dato in seguito ad una informazione oggettiva del sanitario responsabile sia per quanto riguar-da la natura che le conseguenze possibili dell’intervento programmato e delle sue alternative e inmancanza di ogni pressione da parte di altri. L’art. 5, comma II, dichiara così gli elementi più im-

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portanti riguardanti l’informazione che deve precedere l’intervento ma non si tratta di un elencocompleto: il consenso informato può implicare secondo le circostanze, ulteriori elementi. I pazientidevono essere informati in particolare sui miglioramenti che possono derivare dal trattamento, suirischi che questo comporta (natura e grado di probabilità) e sul suo costo. Trattandosi dei rischidell’intervento o delle sue alternative, l’informazione dovrebbe riguardare non solo i rischi inerential tipo di intervento mirato ma ugualmente i rischi che sono propri delle caratteristiche individua-li di ogni persona, come l’età o la presenza di altre patologie. Si deve rispondere in modo adegua-to alle richieste di informazione supplementare formulate dai pazienti”.

Non possiamo spingerci oltre nell’esame dell’evoluzione dell’istituto del consenso infor-mato, se non per riportare le recenti osservazioni di un apprezzato medico legale18 per il qua-le: “Se noi parliamo ai medici del consenso informato, di solito questi pensano a un modulo sottoil quale mettere una firma. È un termine che fa scomparire il concetto di informazione, collocan-dolo come una sorta di appendice, come aggettivo attaccato al consenso, che diventa quindi la co-sa più importante. Ciò che conta è che prima di entrare in sala operatoria si faccia firmare un mo-dulo: questo è il “consenso informato”. Questa osservazione piuttosto amara ha però aperto -nel consesso in cui fu esternata - le porte del dibattito ad una attenta analisi sulla necessitàdi distinguere il concetto di informazione da quello di consenso, individuando nel primo “ilmomento principale”, quale processo che, in un contesto di valida comunicazione interper-sonale, si conclude, eventualmente, con il consenso (oppure con il rifiuto, a questo punto pie-namente legittimo).

Queste considerazioni mi introducono alla formulare le mie considerazioni su quale po-trebbe essere un sistema di costruzione del consenso positivamente apprezzabile da partedi un giudice, nel caso di contenzioso sulla scelta terapeutica in evenienza di grande preter-mine.

Proprio seguendo le linee evolutive della tematica del consenso, che non va più intesoquale un passe-partout verso l’immunità disciplinare e sanzionatoria, buono per tutte le sta-gioni, ma quale momento finale di un processo formativo ed informativo del paziente, riten-go che dobbiamo essere pronti a scindere la figura del medico operatore da quella dell’infor-matore, garantendo al primo la partecipazione al processo, ma sottraendogli il monopolio del-l’informazione. Il miglior medico potrebbe essere infatti una persona poco adatta alla discus-sione, incapace di percepire particolari problematiche psicologiche, non dotato di uno speci-fico bagaglio che gli consenta di comprendere la personalità del suo interlocutore.

Per queste ragioni, come so essere accaduto in alcuni centri medici, penso che risponde-rebbe ai canoni della miglior diligenza professionale la scelta, da parte dei responsabili dellastruttura ospedaliera, o delle singole unità operative, di mettere a disposizione del pazienteun pool di specialisti per un approccio multidirezionale alla costruzione del consenso infor-mato.

Questa potrebbe essere la chiave di volta per approntare, di fronte a problemi scientifi-

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camente insolubili, la migliore risposta possibile. Mi sembra infatti intuitivo che quanto più èchiara la prospettiva medico-scientifica del caso clinico, positiva o negativa che sia, tanto piùprendono immediato e definitivo sopravvento, nella mente del paziente, fattori istintivi cheselezionano automaticamente i canali di formazione del convincimento. Ma dove si tratta diesplorare un’incognita e di costruire una scelta senza evidenza clinica, come nel caso del gran-de pretermine, diviene essenziale apprestare per il paziente un valido bagaglio culturale, scien-tifico, psicologico, non senza una pragmatica costs-benefits analisys, per garantirgli la possibili-tà di risolversi a quella che, in quel momento drammatico, sia per lui la miglior scelta possibi-le.

Immaginerei ad esempio una equipe composta, ovviamente, dallo psicologo, specializzatoin rapporti di famiglia; ma anche da una persona dalle specifiche competenze amministrativeper una lettura socio-economica delle possibili implicazioni della scelta: sapere quali presidisiano offerti dal sistema sanitario nazionale, quali possibili prospettive vi siano per i lavorato-ri, quali ripercussioni sui redditi, può ricoprire un’importanza - al momento della scelta tera-peutica - difficilmente contestabile. In caso di forte motivazione religiosa, penso sia il caso digarantire la presenza di un credente in grado di comprendere - per specifica cultura scienti-fica - le implicazioni mediche delle scelte etiche.

Un caso straordinario, come la gestione di un parto pretermine con incertezza assolutasugli esiti, richiede uno straordinario sforzo per consentire alla paziente di determinarsi auto-nomamente ad una scelta che cambierà la sua vita, e non solo lo stato della sua salute.

Vi è poi da esaminare un altro argomento, giuridicamente pregnante.È noto - infatti - che salvo il caso di grave pericolo di vita per la donna, dopo il novante-

simo giorno di gravidanza, la gestante può esercitare il diritto all’aborto, ai sensi del combina-to disposto degli artt. 6 e 7 comma terzo legge 22 maggio 1978 n.194, solo in presenza didue condizioni positive concernenti la propria salute (e cioé: che sussista un processo pato-logico, fisico o psichico, anche indotto da accertate malformazioni del feto, in atto per la ma-dre; e che sussista il pericolo, da accertare con valutazione “ex ante”, che tale processo pa-tologico degeneri recando un danno grave alla salute della madre), e di una negativa, costitui-ta dall’insussistenza di possibilità di vita autonoma per il feto. Proprio quest’ultimo aspetto, ecioè cosa debba intendersi per “possibilità di vita autonoma del feto” rimarrebbe da appro-fondire nel caso di gestione del grande pretermine: penso che non sia possibile fare riferi-mento al concetto, utilizzato sovente dalla Giurisprudenza19, di “un certo grado di maturitàdel feto” che gli consenta, una volta estratto dal grembo della madre, di mantenersi in vita edi completare il suo processo di formazione anche fuori dall’ambiente materno. Difatti, qua-lora sia possibile sapere che il feto è in grado di completare il suo processo evolutivo extrau-terino, non si dovrebbe a rigore più discutere di gestione decisionale del grande pretermine,ma si dovrebbe obbligatoriamente avviare la donna al parto, per non incorrere in responsa-bilità per avere cagionato un aborto fuori dai casi previsti dalla legge.

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

È poi da vagliare la responsabilità dei genitori (in realtà della madre, con il possibile con-corso morale del padre) i quali decidano di non fare praticare le cure necessarie per ottene-re la nascita di un neonato vitale (pur con prognosi quoad valitudinem estremamente criti-ca), malgrado il parere fornito dai sanitari e la completezza dell’informazione. Quale scenariosi presenta per l’ipotesi in cui la madre decida di non consentire cure per il feto al fine di ot-tenere quindi una nascita che, essendo più prococe, riduca la possibilità di sopravvivenza delnascituro?

È chiaro che qualora la scelta determini l’insorgenza di lesioni evitabili, o l’aggravamentodi lesioni che possano qualitativamente incidere in modo significativo sulla vita del neonato, igenitori potrebbero incorrere nel delitto di lesioni volontarie. L’accertamento del delitto sa-rà oltremodo difficile, atteso che manca - per definizione - quella certezza medica e clinicache, fotografata al momento della scelta (e non - ovviamente - dopo la nascita), costituireb-be la necessaria chiave di lettura nel giudizio prognostico secondo le regole della causalitàadeguata. Se però si fosse in grado di selezionare la tipologia di lesioni (o del loro aggrava-mento) con un margine di certezza apprezzabile, allora il reato di lesioni potrebbe essere ma-terialmente concretato. Si dovrebbe poi affrontare il problema dell’accertamento dell’elemen-to psicologico del reato, in quanto per poter discutere di lesioni volontarie si deve essere inpresenza di un dolo diretto, o al più eventuale, altrimenti si dovrebbe parlare di lesioni col-pose. Occorre al riguardo distinguere, infatti, tra due figure piuttosto astratte e che costitui-scono una vera e propria palestra per gli esercizi di tecnica giuridica: si tratta del dolo even-tuale e della colpa cosciente. Il dato differenziale tra le due ipotesi va rinvenuto nella previ-sione dell’evento (nel nostro caso, morte o lesioni): tale previsione, nel dolo eventuale, si pro-pone non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente, nel volere la condot-ta attiva od omissiva, ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l’evento rappre-sentato. Nella colpa cosciente, invece, la verificabilità dell’evento rimane un’ipotesi astratta chenella coscienza del soggetto non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertan-to, non è in alcun modo voluta20.

È chiaro che, ancora una volta, la chiave di selezione sarà la metodologia di costruzionedell’informazione finalizzata al consenso: quanto infatti maggiori saranno la completezza delpanorama fornito, il grado di accuratezza nell’analisi dei fattori individuanti la patologia, le pro-spettive di risolutività delle cure al feto, tanto maggiore sarà l’accettazione concreta del rischioin capo alla gestante che decida di omettere le cure necessarie. Rimarrà pur sempre possibi-le, però, dimostrare processualmente il cd. omnimodo facturus, e cioè la circostanza che co-munque il neonato sarebbe morto, che certe lesioni si sarebbero in ogni caso verificate. Mala rigidità della giurisprudenza, in tema di danno alla qualità concreta della vita, costituisce unindirizzo dogmatico difficilmente sovvertibile.

Facendo nuovamente un passo indietro in ordine all’analisi causale (oltremodo comples-sa in casi del genere), si osserva che normalmente, in presenza della complessa situazione pa-

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

tologica (come quella che verosimilmente affetterà il grande pretermine), e dunque in costan-za di una pluralità di fatti coevi (ma anche succedentisi nel tempo, come quelli indotti dallamancanza di cure per accelerare la nascita), ad ognuno di essi deve essere riconosciuta un’ef-ficacia causativa del danno, qualora abbiano determinato una situazione tale che senza l’unoo l’altro di essi l’evento non si sarebbe verificato (cd. causalità materiale, concetto che perònon è di aiuto per selezionare i fattori causali giuridicamente rilevanti). Deve invece attribuir-si il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando, inserendosi que-sto quale causa sopravvenuta nella serie causale, venga a spezzare il nesso eziologico tra l’even-to dannoso e gli altri fatti; ovvero quando, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la se-rie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al rango di oc-casioni estranee21. Ma secondo la giurisprudenza di legittimità22, qualora si discuta della lesio-ne del bene “vita”, al fine di escludere la rilevanza causale di un evento è necessario che es-so non solo non abbia causato l’evento di danno, ma non l’abbia neppure minimamente ac-celerato.

Questo nesso di causalità tra fatto (omissione di cure al feto) e l’accelerazione dell’even-to morte dovrà essere valutato secondo i principi della regolarità causale: sebbene il fatto il-lecito non sarà esso direttamente causa della morte in termini assoluti, tuttavia sarà comun-que cagione di “quella” morte, in quei termini temporali anticipati.

Il medico non potrà che rimanere spettatore di questa triste situazione, nella quale, pro-prio per l’enorme margine di incertezza sull’esito della gravidanza, sulla fondatezza dei pre-supposti e la prevedibilità delle conseguenze, sulla risolutività delle pratiche terapeutiche, nes-suno potrà esprimersi con un apprezzabile grado di sicurezza prima della nascita. Non si trat-ta di un campo di indagine giuridica, un po’ come accaduto in un contesto temporale nonlontano, quando le aule di tanti Tribunali, anche in Trieste, costituirono l’ultimo approdo perpersone senza ormai altra speranza, se non quella offerta dalla disinformazione mediatica sul-la cd. cura Di Bella.Allora, in mancanza di una seria letteratura scientifica, di anni di sperimen-tazione “a doppio cieco”, non doveva essere logicamente e giuridicamente possibile per il giu-dice obbligare il S.S.N. a prestare gratuitamente farmaci di nessuna comprovata valenza. Nonera possibile allora, come non lo sarebbe in questo caso, attribuire ad un consulente il com-pito di colmare le lacune esistenti nella conoscenza scientifica, anche perché nel tempo ne-cessario per espletare la consulenza il parto si sarà verosimilmente già verificato.

Non mi sembra vi siano, quindi, spazi per impedire ai coniugi - i quali beninteso se ne as-sumeranno la responsabilità - di omettere le cure al feto, neanche qualora si ravvisino gli estre-mi dell’incapacità della gestante, nei cui confronti si potrebbe addivenire ad un T.S.O., ma nonad una cura diretta del feto, neanche prospettando una sospensione o la decadenza dalla po-testà del genitore. Infatti l’intervento terapeutico, per quanto diretto al feto, avviene sempre“attraverso” la persona della madre.

L’estremizzazione del consenso alla terapia, per cui non è mai possibile intervenire in ca-

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

so di paziente lucido e consapevole che rifiuti la prestazione, impedisce al medico di presta-re la propria attività: qualora il pubblico ufficiale ritenga sia stato commesso un reato di lesio-ni o di soppressione del feto, potrà e dovrà presentare denunzia alla Procura della Repubblica.

Dobbiamo però chiederci se ancora oggi certe conclusioni, in particolare quelle sulla man-canza di diritti del feto ad ottenere le cure necessarie, siano ancora valide.

La Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle NazioniUnite il 20 novembre del 1959 con il n.1386, garantisce cure mediche e protezioni sociali ade-guate “specialmente nel periodo precedente e seguente alla nascita”; il Preambolo dellaConvenzione sui diritti dell’infanzia statuisce la necessità di una protezione legale appropria-ta “sia prima che dopo la nascita”. Eppure non mancano giuristi23 secondo cui il riconoscimen-to di una capacità al concepito comporterebbe che “nel medesimo corpo (della madre) visarebbero poi due titolari di diritti: la madre e l’embrione”, quasi rievocando l’antica definizio-ne per cui il frutto del concepimento sarebbe “mulieris portio vel viscerum”.

Sappiamo che l’art. 1 della legge n. 194/1978, sull’interruzione volontaria della gravidanza,stabilisce che “lo Stato (…) tutela la vita umana dal suo inizio”. Su questo minimo impiantola sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 1975, nel dichiarare la parziale illegittimità del-l’art. 546 cod. pen. (reato di procurato aborto), aveva statuito il fondamento costituzionaledella tutela del concepito, riportando la sua situazione giuridica tra i diritti inviolabili dell’uo-mo garantiti dall’art. 2 Cost.: questo diritto era quindi denominato tout court diritto alla vita,oggetto di tutela proprio come il diritto alla vita ed alla salute della donna gestante.

Nell’insegnamento della Corte Costituzionale, l’equilibrio tra tali diritti “quando siano en-trambi esposti a pericolo, si trova nella salvaguardia della vita e della salute della madre, doven-dosi peraltro operare in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto”.

In seguito la stessa Corte Costituzionale, nel negare l’ammissibilità di un referendum abro-gativo della legge 194 del 1978, con la sentenza n. 35 del 1997, e nel ribadire “il diritto del con-cepito alla vita”, ulteriormente precisava che esso “può essere sacrificato solo nel confronto conquello - pure costituzionalmente tutelato e da iscriversi tra i diritti inviolabili - della madre alla sa-lute e alla vita”.

Venendo ai giorni nostri, ed andando con la memoria a quella contestatissima legge di cuiin esordio aveva fatto cenno, e cioè la legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmenteassistita, molto è stato scritto da raffinati giuristi sull’infelice norma dell’art. 1, per il quale lalegge “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.

Ancora una volta, come osservato in dottrina24 il problema è “quello della individuazionedei diritti dei quali il concepito sia titolare, dovendosi peraltro escludere... che egli possegga una ca-pacità giuridica generale”. Soccorrono anche qui le decisioni della Corte Costituzionale soprariportate, secondo cui il concepito ha un diritto alla vita, tutelato penalmente, destinato a ce-dere solo di fronte al concorrente diritto fondamentale alla vita ed alla salute della madre.

Ma tra i diritti che spettano all’individuo assume particolare rilievo il diritto alla salute, di

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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine

cui all’art. 32, I comma, Cost., che viene proprio indicato come “fondamentale diritto dell’indi-viduo”. Questo termine “individuo” costituisce un “apax legomenon”, cioé è stato utilizzato unasola volta nella stesura del testo costituzionale; ad esso ha attinto la Suprema Corte diCassazione25 per sanzionare civilmente la responsabilità della struttura medica per avere omes-so le prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sì da garantirne la nascita evitandogli - neilimiti consentiti dalla scienza - qualsiasi possibile danno.Tuttavia, e questo è appunto il limiteche appare ancora oggi invalicabile, questo diritto al risarcimento può essere riconosciuto alsoggetto solo dopo la nascita, al momento dell’acquisto della capacità giuridica26.

Osserviamo ancora che il diritto alla tutela delle propria dignità ed identità, statuito dallaConvenzione di Oviedo, sembra sicuramente spettare anche al concepito, tanto che laConvenzione è citata nella sentenza della Corte Costituzionale n.45/2005, che anche su diessa ha fondato27 l’inammissibilità del referendum sull’abrogazione integrale della legge n.40/2004.

Infine, rammentiamo tutti il principio contenuto nel secondo comma dell’art. 31 dellaCarta Costituzionale, secondo cui la Repubblica “protegge la maternità…, favorendo gli istitu-ti necessari a tale scopo”: per quanto il precetto non contenga un chiaro riconoscimento disoggettività nel concepito, esso esprime28 una tutela assoluta ed oggettiva per un istituto chenon si identifica per intero nè con la madre, nè con il figlio, anche se non può evitare di pre-supporre l’esistenza di entrambi.

Ancora, dal disposto dell’art. 30 della Carta secondo cui “è dovere... dei genitori mantene-re... i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, attenta dottrina29 fa discendere non solo il do-vere di mantenere in vita i figli, inclusa la fase di vita pre-natale, e quindi di agevolarne e nonimpedirne la nascita; ma soprattutto la convinzione che a questo dovere debba essere ne-cessariamente “correlato, ed anzi contrapposto, in ogni figlio il corrispondente diritto, indipenden-temente da analisi eleganti o da raffinate e sottili disquisizioni sullo stato giuridico del nasciturogià concepito, sul momento della comparsa del fascio neurale o della stria primitiva, sulla datadi inizio e sulla durata della vita intrauterina, sulla problematica distinzione tra feti maturi ed im-maturi”.

Ma il giurista pratico, quello chiamato ad applicare le leggi ed a verificare l’esistenza e lapraticabilità dei diritti, non può che constatare come - allo stato dell’arte - il concepito nonsia titolare di una capacità giuridica generale, ma solo di una certa soggettività giuridica, chepreclude una sua tutela piena, assoluta; essa è di fatto condizionata in parte alla nascita, men-tre per altra e più importante parte deve scontare la sua stessa peculiarità, e cioè il fattoche la sua concreta e materiale individuazione sia ancora ricavata per esclusione, cioè conriferimento alle posizioni soggettive degli altri soggetti con i quali entra in relazione, primitra tutti i genitori.

Il concepito, il feto, il nascituro, al di fuori delle specifiche ed individuate ipotesi normati-ve, non può essere tutelato - ancora oggi - contro i propri genitori o senza di essi.

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Bibliografia

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PRE-ECLAMPSIA:A MULTI SYSTEM DISORDERE. Chandraharan, S.ArulkumaranDivision of Obstetrics & Gynaecology, St. George’s Hospital Medical School, University of London

Pre-eclampsia is defined as ‘raised blood pressure of >140/90 mmHg (or a rise in systo-lic and diastolic BP of 30 and 15 mmHg respectively) associated with proteinuria after 20th

week of gestation, on at least 2 occasions 4-6 hours apart’. Usually it disappears after delive-ry i.e. removal of the placenta. It is an important cause of maternal and fetal morbidity andmortality worldwide. It is a disease of theories and the following have been postulated; Utero-renal reflex; Cortisone hormone imbalance; Hypoproteinaemia, calcium, lipoproteins, and vi-tamin deficiency; Coagulation system activation;Altered Prostaglandin Metabolism; Diminutionin spontaneous lymphocytic transformation; Increased Endothelin-1 gene expression in pla-cental villous tissue; Simple recessive trait; Perturbed Steroid hormone-micronutrient; Largerplacental mass.

The primary pathology is non-invasion by cyto-trophoblasts during normal implantation.The first wave of trophoblastic invasion is in the first trimester into the decidua when it ero-des into the spiral and basal arteries.The second wave of trophoblastic invasion is from16-20 weeks when it involves the arcuate arteries in the myometrium. Pre-eclampsia is commo-ner when there is failure of the second wave of trophoblastic invasion and it may be due togenetic or immunological reasons.The failure of spiral arterioles to be converted to thin-wal-led utero-placental vessels with high flow and low resistance leads to an ‘ischaemic’ placenta.This is believed to promote the production of hitherto unknown factor (Factor X) by theischaemic placenta.This factor X can cause vasospasm leading to hypertension and hypoxic-organ damage. It can lead to increased capillary permeability leading to edema: generalised,cerebral, pulmonary, ascites and proteinuria. It can also cause wide spread capillary damagecausing oliguria, renal failure, eclampsia, DIC, HELLP Syndrome, Placental Abruption and ARDS.Pre-eclampsia commences as a local disease in the placental-decidual interphase but progres-sively causes widespread endothelial damage. All the maternal organ systems are affected re-sulting in morbidity and mortality. Involvement of the placenta leads to Intra-uterine growthrestriction (IUGR), Abruptio Placentae, Fetal Distress and Fetal Death. Direct marker for en-dothelial cell damage is yet to be detected. The pathophysiology appears to be vasospasmleading to ishaemic pathological changes. Endothelial damage and dysfunction activates thecoagulation system leading to DIC. Perturbations in hormonal and autacoid systems relates

PRE-ECLAMPSIA

191GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: a multi system disorder

to volume and blood pressure control (Renin-Angiotensin-Aldosterone Axis / ProstaglandinMetabolism). Oxidative stress can lead to inflammatory-like responses.The end result is a mul-ti-system disorder.

In the Renal system - Glomerular Endotheliosis takes place - Hallmark (‘Bloodless Glomeruli’due to gross endothelial swelling). GFR and renal blood flow decrease leading to hyperurice-mia; impaired sodium excretion. Oliguria (<30 ml/hr for 2 consecutive hours) is not that un-common but progress to renal failure is rare. Proteinuria appears late in clinical course.Hypocalciuria tends to occur due to alterations in calcium regulatory hormones.There is sup-pression of Renin - Angiotensin – Aldosterone axis.Acute Tubular Necrosis is rare and shouldit occur the recovery is rapid. Renal Cortical Necrosis is rare but should it occur it may leadto permanent renal failure.

In the Cardiovascular system - Hypertension is the commonest ‘detectable’ manifestation.Usually it disappears after the delivery of the placenta but sometimes it may persist duringthe puerperium in which case it may be chronic hypertension.The heart is generally unaffec-ted; cardiac decompensation may occur in the presence of pre-existing heart disease.Thereis debate whether there is reduced cardiac output. In severe hypertension heart failure mayoccur.There is an increased incidence of peripartum cardiomyopathy in those who had pre-eclampsia.

In the Central nervous system - Eclampsia is the convulsive phase of pre-eclampsia. This maybe due to cerebral edema (endothelial damage, loss of cerebro-vascular auto-regulation) ce-rebral vasospasm or haemorrhage secondary to hypertensive encephalopathy. Amaurosis(Temporary Loss of Vision) takes place in 1-3 % of pre-eclamptics and is related to retinal va-scular or Occipital lobe injuries. Cerebral irritation gives rise to exaggerated reflexes. Smallhaemorrhages can lead to drowsiness / flashes of light. If it progresses it can lead to focal neu-rological deficits. If the bleeding is extensive it can lead to hemiplegia or rapidly progressingcoma.

Involvement of the liver leads to abnormal liver function tests and is related to endothe-lial damage, alterations in perfusion and congestion. HELLP Syndrome occurs in 4-12 % pre-eclamptics. It is twice more common in multi-gravidae. Acute liver failure may occur. Rarelyhepatic rupture occurs and women present with Hypo-volumic shock and the mortality canbe up to 60 %.

When the haematologic system is involved thrombocytopenia is seen in up to 50 % of pa-tients.The mechanism may be peripheral platelet destruction secondary to vaso-spasm. Micro-angiopathic haemolytic anaemia is seen. Haemoconcentration with raised hematocrit leads toincreased pre-disposition to VTE.They also have low antithrombin III and higher fibronectinand acute or chronic DIC can occur.

192 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: a multi system disorder

The respiratory system can get affected and up to 2% of patients may present with pulmona-ry oedema. Majority of these (80%) occur in the postpartum period and it may be iatroge-nic.ARDS is rare but is associated with high mortality and needs management in an ‘IntensiveCare’ setting. Laryngeal oedema may pose difficulties with GA at the time of intubation andmay precipitate a ‘Hypertensive Crisis’ due to activation of sympathetic system.

Endothelial cell dysfunction is difficult to measure and hence surrogate markers are used.Increase in circulating markers of endothelial activation in pre-eclampsia are - vWf, cellular fi-bronectin, thrombomodulin, endothelin and vascular cell adhesion molecule. Recent findingsindicate elevation of asymmetric dimethylarginine (endogenous inhibitor of endothelial nitricoxide synthetase) and soluble fms-like tyrosine 1 kinase (antagonist of VEGF). Placental ischae-mia may lead to release of lipid peroxides, cytokines, leptin and VEGF that may lead to dama-ge of maternal vascular endothelium thereby reducing the production of prostacyclin (PG I2) and nitric oxide and increase in endothelin resulting in systemic vasospasm. An alternatepathway is through platelet aggregation that results in release of thromboxane A2, PDGF andserotonin resulting in increase in thrombin and systemic vasospasm.

The aim of investigations is to assess multi-organ function and the following tests are useful:- Full Blood Count: PCV/Platelet Count- Blood Urea & Serum Electrolytes- Quantification of proteinuria (>0.3 g/24 hr)- Liver Function Tests- Coagulation Profile- Serum Uric acid –may reflect disease severity

Other tests may be directed towards the identified problem e.g. In HELLP Syndrome evi-dence of haemolysis is sought by performing a blood smear which may suggest microangio-pathic haemolytic anaemia (Schistocytes and Burr cells), elevated Lactate Dehydrogenase, evi-dence of DIC and increase in Fibrin ‘D-Dimer’. In cases of fetal problems serial growth scans,amniotic fluid volume, Doppler assessment of fetal vessels and CTG would be useful.

Management - In the absence of unknown aetiology, the definitive treatment is DELIVE-RY. When, where and how to deliver depends on: Severity of hypertension and degree ofmulti-organ involvement - i.e. the degree of maternal compromise; Fetal Well-being; Age ofgestation and availability of neonatal care and favourability of the cervix.

Anti-hypertensives are recommended to prolong pregnancy to achieve fetal maturity orto control acute severe hypertension. It helps to prevent or reduce complications of hyper-tension such as hypertensive encephalopathy, cardiac failure with pulmonary oedema and hy-pertensive renal failure. Medications are indicated in moderate to severe hypertension: SBP>160 / DBP > 100 or MABG > 125 mmHg.They are not effective in preventing other com-

193GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: a multi system disorder

plications of pre-eclampsia that are caused by endothelial dysfunction.The anti-hypertensivesused to prolong pregnancy are alpha methyl dopa, nifedipine, hydralazine and labetolol.

The control of acute severe hypertension is achieved by intravenous hydralazine 5-10mg/infusion, Labetolol, Sodium Nitroprusside and in some situations with Sub-lingualNifedipine.

Eclampsia and impending eclampsia are managed by attention to ABC, prevention of aspi-ration / injuries, Magnesium Sulphate i.v. or i.m. regime. Recurrent convulsions are managedby i.v. bolus of Magnesium sulphate. Status Eclampticus is managed by i.v. Diazepam 10 mg /infusion, Intensive care with IPPV and early delivery.

DIC is managed by platelet transfusion if platelet count is <20,000. If Caesarean Sectionis planned it is better to keep the count >50,000 and ideally around 80,000. If fibrinogen <100mg/dl then transfusion of FFP and/or cryoprecipitate is advised. Role for heparin in early sta-ges of DIC is debatable.

HELLP syndrome should prompt the need for delivery with correction of coagulation ab-normalities. Multi-disciplinary approach provides the best results. Dexamethasone 10mg/10mg/5mg/5 mg regime may be helpful. HELLP may recur in subsequent pregnancies.

The diagnosis of pulmonary edoema should be confirmed by CXR. Pulse Oximetry andABG would be useful. Management consists of administration of oxygen and fluid restriction.In Severe cases - Pulmonary Artery Catheter is useful to differentiate fluid overload, LV dy-sfunction & vascular bed inflammation based on which the following can be recommended:

- Frusemide 10 -40 mg i.v. (Max 80 mg) - Fluid overload- Pre-load Reduction - i.v. Nitroglycerine- After-load Reduction i.v. hydralazine - LVF

ConclusionPre-eclampsia is a ‘Multi-System Disorder’ of unknown aetiology and causes significant ma-

ternal and fetal morbidity and mortality. Abnormal trophoblastic invasion results in placentalischaemia that leads to a cascade of events, culminating in systemic vasospasm and widespre-ad endothelial dysfunction. Hypertension is an easily detectable surrogate marker of systemicvascular resistance. Further research is needed to identify markers for endothelial dysfunctionthat can be used in clinical practice.

194 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

1166 PRE-ECLAMPSIA

PRE-ECLAMPSIA:SOLFATO DI MAGNESIO SÌ O NO?G. Maso, M. Costantini,V. Soini, C. Businelli, R.Tercolo, M. Piccoli, S. AlbericoDipartimento di Ostetricia e Ginecologia. Istituto per l’Infanzia “Burlo Garofolo”- I.R.C.C.S.- Trieste

IntroduzionePer eclampsia si intende la comparsa di convulsioni nel corso di una sindrome pre-eclam-

ptica. Mentre la pre-eclampsia complica circa il 2-8% delle gravidanze1, l’eclampsia, fortunata-mente, è un evenienza più rara, presentandosi in circa 1 su 2.000 gravidanze nei paesi occi-dentali, ed in 1 su 100 - 1 su 1.700 casi nei paesi in via di sviluppo.

Ogni anno circa mezzo milione di donne muoiono per cause connesse alla gravidanza, edi queste il 99% riguarda paesi in via di sviluppo: si valuta che la mortalità correlata alla gra-vidanza sia 100-200 volte più alta nel Terzo Mondo, rispetto ad Europa e Nord America2,3.

Sebbene sia una sindrome rara, l’eclampsia è causa di 50.000 morti materne/anno nelMondo4.

Agli inizi del XX secolo emersero 2 metodi per trattare la sindrome eclamptica: sedazio-ne profonda per stabilizzare la donna e impedire lo sviluppo di crisi convulsive subentranti dauna parte e l’espletamento del parto dall’altra.

Uno dei primi farmaci ad essere usati fu il magnesio solfato, il cui utilizzo fu introdotto inEuropa5 e Stati Uniti negli Anni ’20. Attualmente tale composto è il farmaco di scelta negliStati Uniti6 e nei paesi anglosassoni, dove viene utilizzato anche nella prevenzione delle con-vulsioni in caso di pre-eclampsia severa, mentre altri Paesi preferiscono l’uso di altri anticon-vulsivanti, quali il diazepam e la fenitoina.

Parte dello scetticismo che circonda il trattamento delle convulsioni con solfato di ma-gnesio deriva dal fatto che non sia ancora del tutto chiaro quale sia il meccanismo d’azione.Fra i meccanismi d’azione proposti, i più accreditati sono riconducibili alla vasodilatazione7 alivello della muscolaris arteriolare cerebrale, con conseguente riduzione dell’ischemia cere-brale e alla funzione di blocco dei recettori cerebrali per NMDA (N-methyl-D-aspartate), iquali, attivati in risposta all’ipossia, liberano calcio, che risulta essere alla base del danno neu-ronale8,9.

Anche per quanto riguarda l’outcome neonatale in seguito all’esposizione in utero al sol-fato di magnesio, in letteratura si sono susseguite opinioni contrastanti o possibili effetti suineonati di peso inferiore ai 1500 g10-11: per alcuni ridurrebbe la frequenza di comparsa di pa-ralisi cerebrale, mentre per altri vi potrebbe essere un aumentato rischio di mortalità asso-

195GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

ciato all’utilizzo di tale farmaco12. Tuttavia trial recenti hanno definitivamente dimostrato unmiglioramento dell’outcome neonatale, seppur di modesta entità, in questo gruppo di neo-nati pretermine.

Al fine di chiarire il ruolo del solfato di magnesio nella profilassi della crisi eclamptica e neltrattamento anticonvulsivo in tale ambito, negli ultimi anni sono stati condotti studi randomiz-zati- controllati13,14. I risultati pubblicati nel 2002 sul British Medical Journal15 affermano la vali-dità del magnesio solfato come farmaco di scelta per la prevenzione ed il trattamento del-l’eclampsia.

Ma alcuni dubbi rimangono leciti. Consolidato ed ampiamente dimostrato che il MgSO4 èil farmaco di prima scelta nel trattamento e profilassi delle convulsioni ricorrenti della sindro-me eclamptica, la domanda che ci si pone è se tale farmaco, non scevro di effetti collaterali,alcuni dei quali potenzialmente fatali, debba essere utilizzato indiscriminatamente nella profi-lassi delle convulsioni in caso di pre-eclampsia lieve o severa, oppure se tale prevenzione siada riservare alle popolazioni ad elevata prevalenza di tale patologia.

Ruolo del magnesio solfato nella prevenzione della comparsa dell’eclampsiaLa domanda che ci si deve porre riguardo l’utilizzo preventivo del MgSO4 è se effettiva-

mente riduce il rischio di eclampsia, considerando inoltre altre variabili di outcome materno-neonatale sfavorevole correlate alla pre-eclampsia.

Dalla letteratura si evince che sono stati condotti 9 trials che comparano il magnesio sol-fato con placebo o altri anticonvulsivanti (fenitoina e nimodipina) (Tabella 1, Figure 1, 2)16.

I risultati maggiormente significativi dal punto di vista clinico in termini di outcome mater-no-neonatale sono stati evidenziati dai trias riguardanti il MgSO4 versus placebo. Rispetto alplacebo (6 trials) il MgSO4 riduce di circa il 50% il rischio di comparsa di eclampsia, nonché itassi di distacco di placenta.

La frequenza di mortalità materna è ridotta nel gruppo trattato con Magnesio Solfato, an-che se tale esito non appare statisticamente significativo. Un aumento significativo del tassodi Tagli Cesarei (5%) è stato riscontrato nel gruppo trattato, mentre non sono state riscon-trate differenze significative per quanto concerne le frequenze di emorragia post-partum esecondamento manuale (cfr. effetto tocolitico del farmaco).

Nessuna differenza significativa è stata riscontrata nelle variabili di mortalità/morbidità neo-natale. Gli effetti collaterali minori (flushing, reazione a livello della sede di iniezione intramu-scolare), presenti nell’25% dei casi , sono stati riscontrati più frequentemente nel gruppo trat-tato. La tossicità del farmaco, riguardante soprattutto la variabile depressione respiratoria (1%),è stata osservata, seppur come evenienza rara, più frequentemente nel gruppo sottoposto atrattamento (RR 1,98)17.

196 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE

Anticonvulsivante vs placebo

Magpie Trial 2002 (n= 10.141)

175 centri in 33 paesi,85% delle donne da Paesia reddito medio-basso

Incertezza su uso MgSO4prima della nascita o 24hdopo il parto. P. diastolica ≥90, p. sistolica ≥140 mmHg in2 misurazioni a 30-60 min didistanza, proteinuria≥1+.Criteri di esclusione: ipersen-sibilità al Mg, coma epaticocon rischio di insuf. renale,miastenia grave.

MgSO4: 4g IV in bolo, poi1g/h in infusione o 10 mg IMseguiti da 5g ogni 4 ore.Terapia per 24h.2 centri hanno usato 5g IM,poi 2.5g ogni 4 ore.Placebo: regime identico.Dosi dimezzate in caso dioliguria.

South Africa 1998(n= 822)

Buste chiuse opache con-tenenti la lettera A o B.Carte numerate consecu-tivamente. Gruppi di 20,equamente distribuiti fraA e B. Identità di A e Bcambiata periodicamente.137 donne escluse (17%)dopo la randomizzazione

Pre-eclampsia severa: ≥ 2 frap. diastolica di 110mmHg,proteinuria, sintomi di immi-nente eclampsia; età >16anni, non precedenti anticon-vulsivanti.

MgSO4: 4g IV in 200 ml in20’, poi 1g/h fino a 24h dalparto.Controllo: placebo con lostesso regime.Entrambi i gruppi hannoricevuto clonazepam all’in-gresso.

South Africa 1994(n= 228)

Buste opache sigillatenumerate consecutiva-mente

P. diastolica di 110 mmHgper 4-6 ore+ proteine eparto pianificato. Esclusionese precedente anticonvulsi-vante (eccetto fenobarbital)

MgSO4: 4g IV in 20 min, 10 gIM, poi 5g IM ogni 4 ore per24h.Controllo: alcun anticonvulsi-vante

Taiwan 1995(n= 64) Randomizzato

Pressione arteriosa di150/100 mmHg e ≥1 + segnidi pre-eclampsia. Escluse semorti endouterine o iperten-sioni croniche.

MgSO4: 4g IV in 10 min, poi1g/h fino a 24h dopo ilparto.Controllo: alcun anticonvulsi-vante.

Memphis, USA 1997(n= 135)

Buste opache numeratesequenzialmente e sigillate

Età gestazionale ≥37 settima-ne con recente insorgenza dipre-eclampsia ( p/a 140/90mmHg e proteinuria di300mg in 24h).Esclusione per pre-eclampsiasevera, presentazione fetaleanomala, anomalie congenite,CTG non rassicurante.

MgSO4: 6g IV in bolo in 15-20 minuti, poi infusione di2g/h, continuata fino a 12hpost partum.Controllo: fisiologica allostesso regime

Tennessee, USA 2000(n= 222)

Trial randomizzato con-trollato

222 donne con lieve pre-eclampsia in travaglio.Criteri di esclusione: pre-eclampsia severa ed iperten-sione cronica

MgSO4: 6g IV, poi infusione di2g/h.Placebo: regime simile

Magnesio vs fenitolina

Texas, USA 1995(n= 2138) Buste opache numerate

P/a 140/90 mmHg.Esclusione: post partum,parto imminente o epilessia

MgSO4: 10g IM, poi 5g ogni4h.Se severa pre-eclampsia, 4gi.v.prima della prima dose IM.Fenitoina: 1000 mg IV in 1ora, 10 ore dopo 500 mgper os

197GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Tabella I. Trials riguardanti i la terapia anticonvulsivante in donne con pre-eclampsia

TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE

Alabama, USA 1995(n= 54)

Tabelle numeriche randomgenerate dal computer

Gravidanza singola, induzio-ne per ipertensione indottadalla gravidanza, cervice nonfavorevole

MgSO4: 4g IV, poi infusione2g/h.Fenitoina: 15 mg/Kg in 2 ore,poi 200 mg IV ogni 8 ore

Maryland, USA 1993(n= 115)

Buste opache sigillate.12 esclusioni dopo l’ingres-so nel trial

P/a 140/90 o aumenti dellasistolica di 30mmHg o delladiastolica di 15 mmHg.Esclusione se precedenteuso di MgSO4 o attaccoconvulsivo

MgSO4: 6g IV, poi infusionedi 2g/h per 24 ore.Fenitoina: 1000-1500mg aseconda del peso. Livelli sie-rici per determinare le dosisuccessive, per 24 ore.

Magnesio vs diazepam

Mexico,1992(n= 38) Buste opache numerate

>28 settimane, pressionesistolica di 150 mmHg, dia-stolica di 110 mmHg, protei-nuria: almeno un sintomo.No epilessia.

MgSO4: 4 g IV in 15 min, poi1g/h in infusione.Diazepam: 30 mg in 500 mldi glucosata al 5% a 60microgrammi/h

Malaysia,1994(n= 28) Buste sigillate P. diastolica di 110 mmHg+

proteinuriaMgSO4: regime di PritchardsDiazepam: non specificato

Magnesio vs nimodipina

Nimodipine Study Group2003(n=1750)

Buste opache sigillate.Blocchi di 6

Severa pre-eclampsia antepar-tum e mai terapia in prece-denza. P/a 140/90 mmHg,≥1+ proteinuria, ≥1 segno osintomo di eclampsia immi-nente

MgSO4: 6g IV e 2 g/h oppure4g IV e 1g/h.Nimodipina: 60 mg ogni 4 oreper os.Continuato per 24ore dalparto

Magnesio vs metildopa

Denmark, 2000(n= 33)

Buste chiuse opache, sigillate.2 esclusioni dal gruppo delMgSO4

Nullipare, gravidanza singola ep/a 140/90 mmHg in 2 misu-razioni in 3 ore.Esclusione: ipertensione pree-sistente, patologia cardiaca orenale, p/a > 180/120 mmHgdopo idralaazina.

MgCI2: 80 mmol IV in 24ore, 40 mmol nelle successi-ve 24 ore, poi 15 mmol algiorno di MgOH2 per osfino a 3 giorni dopo il partoMetildopa: 250 mgx/die.Dopo il parto riduzione a250 mg/die

198 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Ruolo del magnesio solfato nel controllo degli attacchi convulsivi e nella prevenzione della ricorrenza dell’eclampsia

Quando una donna ha un attacco eclamptico il primo problema è come controllare talesintomatologia ed il secondo come evitare che si instaurino ulteriori convulsioni.

La terapia che attualmente viene seguita consiste nel somministrare una dose da caricodi anticonvulsivante e poi instaurare una terapia di mantenimento per le 24 ore successivealla crisi convulsiva o per 24 ore dopo il parto. La scelta del farmaco da utilizzare è semprestata controversa, ma, due trials multicentrici randomizzati, il Collaborative Eclampsia Trial (1.687donne in 27 ospedali di 9 paesi), ed il Magpie Trial (10141 donne in 175 ospedali in 33 pae-si), hanno evidenziato che il magnesio solfato è il farmaco di scelta per controllare e preve-nire le convulsioni eclamptiche.

Figure 1 e 2. Pre-eclampsia: MgSO4 vs placebo. Effetto sull’eclampsia e sull’outcome neonatale (mortalità)25.

199GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE

Magnesio vs diazepam

Collaborative Trial 1995(n= 910)

Pacchetti di trattamen-to identici, sigillati, nu-merati consecutiva-mente.5 donne escluse.

Eclampsia. 54% delle donnetrattate con MgSO4 avevanoricevuto anticonvulsivanti pri-ma dell’ingresso, come il 50%di quelle trattate con diaze-pam. 30% randomizzate dopoil parto

MgSO4: 4/5 g IV in 5 min. Poi o 10g IMe 5g ogni 4 ore per 24 ore oppure 1g/hper 24h. Per attacchi subentranti, 2g IV.Diazepam: 10 mg IV in bolo, poi 40mg/500 ml per 24h, 20 mg in 500 mlnelle successive 24h. Per attacchi suben-tranti: 10 mg IV

India, 2001(n= 100)

Distribuzione rando-mizzata

Eclampsia. 70 primigravide e79 reclutate dopo il parto

MgSO4: 4g in 25% MgSO4 in 10 min.5gIM ogni 4 ore fino a 24 ore dopo il par-to, o per 24 ore se randomizzate nelpost partum.Diazepam: 10 mg IV in bolo, 40mg/500ml IV per 24h e 20mg/500ml per ulte-riori 24h. Poi 10 mg IM, passate a som-ministrazione per os se possibile. Per at-tacchi subentranti 10 mg IV

Malaysia, 1994(n= 11) Buste chiuse Eclampsia MgSO4: Pritchard regimen

Diazepam: non specificato

Zimbabwe, 1990(n= 51)

Buste chiuse numerateconsecutivamente.Blocchi di 6; alcunastratificazione

Eclampsia antepartum, ≥28sett. Feto vitale. 67% avevanoricevuto diazepam prima del-l’ingresso, 71% di quelle tratta-te con MgSO4 e 63% con dia-zepam

MgSO4: 4g IV in 3-5 min e 10 g IM. Poi5 g ogni 4 ore per 24h. Per attacchi su-bentranti: 2g IV.Diazepam: 10ng IV in bolo, poi 80 mg in1 litro per 24h. 40 mgin 1 litro nellesuccessive 24h. Per attacchi subentranti:10 mg IV

Zimbabwe, 1998(n= 69) Buste chiuse sigillate

Eclampsia.40% delle donne avevano giàricevuto un anticonvulsivante eil 43% aveva già partorito.

MgSO4:a)4/5g IV in 5 min e 10 g IM, poi 5g IMogni 4 ore per 24h.b) 4/5 g IV in 5 min, poi 1g/h per 24h.2g IV per attacchi subentranti.Diazepam: 10mg IV in bolo. Poi infusio-ne di 40mg/500ml per 24h, 20mg/500ml nelle successive 24h. 10mg IVper attacchi subentranti.

Magnesio vs fenitoina

Collaborative Trial, 1995(n= 777)

Buste numerate con-secutivamente.2 donne perse al fol-low-up

Eclampsia. 76% delle pz tratta-te con MgSO4 avevano ricevu-to anticonvulsivanti prima dientrare, e 80% di quelle tratta-te con fenitoina, 19% post par-tum.Centri in Sud Africa ed India

MgSO4: 4/5 g IV in 5 min, poi o 10 g IMe 5 g ogni 4 ore per 24h oppure 1g/hper 24h. Per attacchi subentranti: 2g IV.Fenitoina: 1g IV in 20 min, poi 100mgogni 6h per 24h. Per attacchi: diazepam10 mg

India, 1999(n= 50)

Buste chiuse. Sequenzagenerata dal computer

Eclampsia. 29 donne avevanoricevuto un anticonvulsivanteprima dell’ingresso.

MgSO4: 4G IV e 8g IM, poi 4g IV ogni 4g,fino a 24h dal parto.Fentoina: 15mg/Kg inizialmente, poi 5mg/kg nelle 2 ore successive. 500 mg IVnelle 12 ore dopo. Poi 250mg IV o peros ogni 12h per 4 dosi.Tutte le donne:10mg diazepam IV per attacchi, 5mg dinifedipina all’ingresso

200 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Tabella II. Trials riguardanti il ruolo degli anticonvulsivanti nell’eclampsia

TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE

South Africa, 1990(n=22) Tabella random

Antepartrum eclampsiaNo precedenti anticonvulsi-vanti

MgSO4: 4g IV in 20-30 min, poi 1-2g/h per 24h.Fenitoina: 500-1000mg IV al massi-mo a 50mg/min. Poi 500 mg in 4he 12h dopo, 500 mg in 4h.Tutte hanno ricevuto donazepamall’ingresso

South Africa, 1996(n=24)

Numerazione randomda computer Ecalmpsia

MgSO4: 4g IV e 10 g IM.Fenitoina: 1g in 200 ml in 15-20min.Descritte solo le dosi da carico

Maryland, USA 1993(n=2) Buste opache sigillate

Antepartum eclampsia (103con pre eclampsia, inclusenella review della preeclampsia)

MgSO4: 6g IV in bolo, poi infusionedi 2g/h.Fenitoina: infusione di 1000mg,1250mg o 1500mg

Memphis, USA 1995(n=24) Randomizzazione

Eclampsia. 9 donne trattatecon MgSO4 e 5 con feni-toina, avevano ricevutoMgSO4 prima di entrare neltrial.79% non ha partorito

MgSO4: 6g IV in 15 min, poi 2g/hper ottenere livelli sierici di 4.8-9.6mg/dl.Fenitoina: 1.0-1.5g IV. Dosi aggiunti-ve per raggiungere livelli sierici di10-230 microgrammi

Magnesio vs cocktail litico

India, 1994(n=91)

Buste chiuse sigillate apacchetti di 8. Unadonna esclusa

Eclasmpsia

MgSO4: 4g IV+ 8g IM, poi ogni 4ore, fino a 24h dopo il parto. Perattacchi: 1.5g IVCocktail litico: petidina, prometazi-na e clopromazina come descrittoda Menon.

India, 1995(n=108) Randomizzazione Eclampsia

MgSO4: 4g IV+ 10g IM, poi 5g ogni4h fino a 24h dal parto.Cocktail: 100mg di petidina+ 25mgdi clorpromazina IV e 50mg di clo-promazina+25 mg di prometazinaIM. 100 mg petidina IV in 24h,25mg di prometazina ogni 4h +50 mg di clorpromazina ogni 8 oreper 48h IM

201GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Revisioni sistematiche hanno comparato anche l’uso del magnesio solfato con il diazepam(7 studi)19, la fenitoina (6 trials)20 e un cocktail litico formato da clorpromazina, prometazinae petidina (2 studi)21. Senza entrare nel dettaglio della metodologia delle reviews, tale valuta-zione ha considerato disegni di studio differenti soprattutto riguardo il timing della sommini-strazione e il tipo di anticonvulsivante utlizzato (Tabella II).

Per quanto riguarda il confronto con diazepam, 7 trials hanno dimostrato che il magnesiosolfato riduce il rischio di mortalità materna (RR 0.59), e di ricorrenza di episodi convulsivi:in definitiva per 7 donne trattate con MgSO4 rispetto al Diazepam, vi è la prevenzione di cri-si convulsive in 1 caso. Per quanto riguarda l’outcome neonatale, l’utilizzo del magnesio solfa-to è associato ad una riduzione del rischio di Apgar score <7 al 5’ minuto e ad una minorpermanenza in terapia intensiva neonatale.

Rispetto alla fenitoina, il MgSO4 presenta una minor frequenza di ricomparsa delle con-vulsioni, un minor rischio di mortalità materna, minore incidenza di polmoniti, ricorso alla ven-tilazione meccanica e ricovero in terapia intensiva, sia per la madre, che per il neonato.

Rispetto al cocktail litico (clopromazina, prometazina, petidina) il solfato di magnesio risul-ta sostanzialmente migliore nella prevenzione di crisi subentranti, mortalità materna e depre-sione respiratoria.

In questi trials, le donne trattate con magnesio solfato hanno ricevuto una dose da cari-co di 4 g i.v. e poi iniezioni intramuscolo o infusione endovenosa di 1g/h, per 24h, con moni-toraggio clinico intensivo.Vi è evidenza che la somministrazione per via endovenosa è prefe-ribile, considerata la minor frequenza di effetti collaterali a livello del sito di iniezione.Dall’analisi degli studi presenti in letteratura emerge che una corretta formazione del perso-nale medico ed ostetrico è necessaria al fine di ottimizzare la somministrazione ed il moni-toraggio clinico della terapia con questo farmaco. Il basso costo e l’efficacia dovrebbero far sìche tale presidio farmacologico venga utilizzato come terapia di prima scelta, soprattutto neipaesi in via di sviluppo ad elevata prevalenza di pre-eclampsia/eclampsia22.

DiscussioneDai trials randomizzati, e quindi da “Evidence Based Medicine”, potremmo quindi conclu-

dere che il MgSO4 sarebbe da utilizzarsi nelle profilassi delle convulsioni in caso di pre-eclam-psia severa e nel trattamento/prevenzione delle crisi ricorrenti. Preso atto che attualmentenon vi sono sufficienti risultati per supportarne l’utilizzo nei casi di pre-eclamspia lieve, l’ana-lisi dei risultati nell’utilizzo del farmaco nella prevenzione della crisi eclamptica è meritevoledi alcune considerazioni. Sibai, in una review, pubblicata recentemente sull’American Journal ofObstetrics and Gynecology18, sottolinea alcune limitazioni metodologiche nel disegno dello stu-dio Magpie Trial13, il più rappresentativo in termini di casistica esaminata. In particolare, il cam-

202 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

pione poco omogeneo, una scarsa definizione delle caratteristiche cliniche al momento dellarandomizzazione, l’evidenza che circa il 50% delle pazienti abbia ricevuto anti-ipertensivi o al-tri anticonvulsivanti prima della randomizzazione, potrebbero essere potenziali bias nell’esitodei risultati.

Anche se emerge una significativa riduzione del tasso di eclampsia nelle donne trattatecon MgSO4, tale beneficio è identificabile soprattutto nei paesi in via di sviluppo, mentre taleevidenza non è valida per i paesi occidentali.

I trials più significativi inoltre hanno utilizzato differenti dosi d’attacco (4 - 6 gr) e di man-tenimento (1-2 gr/h per 24 ore). Inoltre nel disegno di studio sono stati inclusi i casi in cui al-la dose d’attacco i.v. è seguita la dose di mantenimento intramuscolo.

Secondo Sibai18 inoltre, gli effetti della profilassi con MgSO4 in caso di pre-eclampsia seve-ra sulla mortalità-morbidità materna non sono evidenti, essendoci solo una significativa ridu-zione dei distacchi di placenta, senza rilevare una riduzione dell’incidenza di mortalità perina-tale, ma con un aumento dei tassi di depressione respiratoria. Se utilizzato su larga scala, l’ ef-fetto tossico del farmaco potrebbe rappresentare, soprattutto nelle strutture prive di ade-guato training, l’effetto paradosso secondo il quale il beneficio è inferiore al rischio dell’assun-zione del farmaco.

La severità e la prevalenza della patologia (pre-eclampsia severa) risultano fondamentalinel processo decisionale se utilizzare il farmaco nella prevenzione: è stato calcolato che sa-rebbe necessario trattare (number needed to treat - NNT) 71 donne per prevenire 1 caso dieclampsia, mentre solo 36 in caso di eclampsia imminente.

Nei paesi occidentali il numero di donne da trattare necessario per prevenire 1 caso dieclampsia sarebbe di 385. Tali dati inducono a concludere che l’uso di questo farmaco do-vrebbe essere riservato alla profilassi dell’eclampsia solo nelle donne con uno stato pre-eclam-ptico severo o con eclampsia imminente e nei paesi ad elevata prevalenza del fenomeno.

È indubbio che il Magnesio Solfato sia il farmaco di prima scelta nel trattamento delle con-vulsioni e nella profilassi delle crisi ricorrenti, tuttavia alcuni punti sono da chiarire ed in par-ticolare:

1. Qual è la minima dose efficace2. Quali sono il timing e le condizioni ottimali per iniziare il trattamento3. L’utilizzo nella prevenzione è “cost-effective”?4. Quali sono le conseguenze materne-neonatali a lungo termine che derivano dall’assunzione.

Ulteriori studi sono necessari per definire queste problematiche. Nell’attesa che altri an-ticonvulsivanti vengano proposti e confrontati con il MgSO4 in trials su ampia scala, apparecomunque fondamentale definire linee guida dipartimentali per il management della pre-eclampsia severa ed eclampsia, per far sì di ridurre il rischio e/o prevenire le complicanze diquesti quadri clinici talora fatali.

203GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

APPENDICEPer quanto riguarda il management della pre-eclampsia/eclampsia, basata sul livello di evi-

denza, ci sembra utile, in questa sede, esporre il protocollo anglosassone redatto nel 2002 dal“North-West Pre-eclampsia Care Group”, che sarà aggiornato nel novembre del 200523, inte-grato alle linee guida del Royal College Of Obstetricians and Gyencologists, rivisitate nel lugliodel 200524.

Risulta essere fondamentale, per una corretta gestione del caso, operare una stratificazio-ne di gravità clinica:1. Eclampsia2. Pre-Eclampsia

a. Ipertensione severa: pressione sistolica > 170 mmHg o diastolica > 110 mmHg (pres-sione arteriosa media di 120-130 mmHg), con proteinuria + o di 1g su un test semi-quantitativo.

b. Ipertensione moderata: pressione sistolica > 140 mmHg o diastolica > 90mmHg (pres-sione arteriosa media >110 mmHg) con proteinuria ++ o di 3g su un test semiquan-titativo e almeno la presenza di uno o più dei seguenti segni:- Cefalea severa, con alterazioni visive- Dolore epigastrico- Clonus- Papilledema- Dolore in regione epatica- Conta piastrinica < 100x109/l- ALT> 50 IU/l

L’approccio multidisciplinare è fondamentale: l’ostetrico e l’anestesista più esperti dovreb-bero stilare le linee guida gestionali del caso affetto da pre-eclampsia severa /eclampsia. (GoodPractice Point)

Quali sono le indagini di base?a. Emocromob. Prove emogenichec. Emogruppo /Rhd. Elettroliti ed esami della funzionalità epatica

Tutti questi test devono essere richiesti quotidianamente o più frequentemente se la si-tuazione lo richiede. (livello C).

Quale monitoraggio?a. Il trend pressorio può essere valutato con il Dinamap (livello B), ma i valori pressori di ri-

ferimento devono essere valutati con lo sfigmomanometro, individuando nel V tono di

204 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

KarotKov il valore diastolico (livello A). La rilevazione deve avvenire almeno ogni 15 mi-nuti fino a che la situazione non si sia stabilizzata, ed in seguito ogni 30 minuti.

b. Deve essere inserito un catetere urinario e la diuresi deve essere monitorata ogni ora du-rante l’infusione di liquidi, analizzando con attenzione il bilancio idrico (Good Practice Point).

c. La saturazione arteriosa di ossigeno va misurata continuativamente: se scende sotto il 95%il quadro clinico deve essere rivalutato.

d. La frequenza respiratoria deve essere valutata ogni ora.e. La temperatura va monitorata ogni 4 ore.f. Valutare la pressione venosa centrale.g. Il benessere fetale può essere tenuto sotto stretto controllo tramite la cardiotocografia,

anche se la biometria, con doppler dell’ombelicale e valutazione del liquido amniotico dan-no una miglior valutazione di tale stato (livello B).

h. In caso di immobilità deve essere considerata l’elastocompressione degli arti inferiori e/ola terapia eparinica per la profilassi della TVP/EP.

Antepartum/intrapartum managementControllo pressorio: lo scopo è di ridurre e mantenere la pressione a valori ≤160/110 mmHg;i trattamenti utilizzabili sono (livello C):

- Prima scelta: Nifedipina per os (10 mg) o labetalolo (livello A).

Se tollerata, una dose iniziale di labetalolo per os di 200 mg potrebbe essere utilizza-ta.Tale presidio dovrebbe ridurre la pressione arteriosa entro 30 minuti. Una secondadose orale può essere somministrata se necessario. Se la somministrazione orale nonottiene risultati o se non è tollerata, deve essere sostituita con boli ev seguiti da infu-sione di labetalolo. Il bolo è costituito da 50 mg (10 ml di soluzione fisiologica conte-nenti 5 mg/ml di labetalolo) somministrati in 5 minuti; l’effetto si ottiene in 10 minuti;se la diastolica non dovesse scendere sotto i 160/105 mmHg, l’operazione può esse-re ripetuta con 10 minuti di intervallo fino ad una dose complessiva di 200 mg.

Dopo ciò, può essere iniziata un’infusione con labetalolo: 5 mg/ml con tasso d’infusio-ne pari a 4 ml/h (20 mg/h): la velocità di infusione può essere raddoppiata ogni mez-z’ora fino ad arrivare a 32 ml/h (160 mg/h).

Controindicazioni: asma severo, donne con patologie cardiache preesistenti.

- Seconda scelta: idralazina (non commercializzato in Italia). Infusione di 10-20 mg in 10-20 minuti, monitorando la pressione arteriosa ogni 5 minuti; successivamente si puòattuare un’infusione di 40 mg di idralazina in 40 ml di fisiologica, infondendo 1-5 ml/h(1-5 mg/h).

205GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Somministrazione di liquidi: bisogna evitare il sovraccarico idrico; limitare le entrate a 80 ml/ho 1 ml/Kg/h di cristalloidi. Usare ossitocina a dosi concentrate (30I U in 500 ml). In caso d’oli-guria espletare al più presto il parto (livello C).

Espletamento del partoIl parto deve essere attentamente programmato. Il timing è fondamentale per l’outcome

materno e fetale. Se la madre è instabile, l’espletamento del parto è rischioso: bisogna innan-zitutto stabilizzare la situazione, con antiipertensivi e anticonvulsivanti, se necessario. Se le con-vulsioni sono assenti e la situazione è stabile, è possibile un management d’attesa nella pro-spettiva di migliorare l’outcome della gravidanza pretermine, mantenendo comunque unostretto monitoraggio materno fetale. Se la gravidanza può essere protratta per oltre 48h èutile la profilassi corticosteroidea (Betametasone 12 mg x 2) della RDS neonatale e comun-que tale strategia va iniziata anche se il parto dovesse avvenire entro 24h (livello A).

Non è necessario l’espletamento del parto attraverso un taglio cesareo: se l’epoca gesta-zionale è inferiore a 32 settimane esso è preferibile, ma oltre le 34 settimane può essere con-siderato anche il parto per via vaginale, con travaglio indotto da prostaglandine o spontaneo,ponendo attenzione ad evitare un prolungamento della seconda fase del travaglio (15-30 min),utilizzando, quando necessario, tecniche operative (livello C). Nella terza fase del travaglio, nel-la profilassi dell’emorragia post-partum sono da proscrivere l’utilizzo degli ergometrinici ed èda utlizzarsi il Syntocinon 5 U i.v. (Good Practice Point).

L’analgesia epidurale in queste pazienti non presenta controindicazioni (cfr conta piastri-nica), mentre l’anestesia generale può condurre ad aumenti della pressione e della frequen-za cardiaca, e per questo deve essere evitata, quando possibile.

Il monitoraggio della pressione venosa centrale può essere indicato, qualora vi sia il so-spetto di edema polmonare o in caso di emorragia ante/post partum o in caso di taglio ce-sareo.

Terapia anticovulsivante, management dell’eclampsiaÈ appropriato profilassare pazienti con pre-eclampsia severa con magnesio solfato (livello A).a. Contattare il personale specializzato

b. Dose da carico di solfato di magnesio: 4 g iv in 5-10 min e iniziare terapia infusionale dimantenimento (1-1,5 gr/h per le successive 24 h).

c. L’infusione di magnesio può essere incrementata a 1.5 g/h o utilizzo di Tiopentone o

206 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Diazepam (5-10 mg iv) possono essere considerati se gli attacchi non recedono. In tali ca-si sono da considerare altre possibili cause di crisi convulsiva: è opportuno eseguire unaTAC una volta raggiunta la stabilizzazione.

d. Una volta stabilizzata, la donna può espletare il parto.

e. Valutare la saturazione d’ossigeno.

Protocollo per il magnesio solfato- Dose da carico, seguita da terapia infusionale per 24h dall’ultima crisi convulsiva o per 24h

dopo il parto- Loading dose: 4 g iv in 5-10 min- Dose di mantenimento: 1 g/h- Attenta osservazione del paziente ed ogni ora eseguire: ossimetria, ECG, bilancio idrico,

frequenza respiratoria, valutazione riflessi tendinei (ogni 4 ore)- Effetti collaterali (rarissimi con i dosaggi sovraesposti): paralisi motoria, ipo/areflessia (assen-

za del rilflesso del bicipite), depressione respiratoria (FR <12/min), aritmia cardiaca (rischiominimo di comparsa se il magnesio è amministrato con cautela e sotto osservazione)

- Modifica della posologia in caso di oliguria (il 95% del MgSO4 viene escreto con le urine)ed eventuale dosaggio della magnesemia

- Antidoto: 10 ml di calcio gluconato al 10% somministrato lentamente per iv (in 10’) se ri-schio di depressione respiratoria.

Figura 3. Effetto degli anticonvulsivanti nella prevenzione delle crisi ricorrenti25

207GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no

Management dei liquidi nel postpartum Dopo il parto la diuresi dovrebbe riprendere normalmente e ciò nella maggior parte dei

casi entro 36-48h. Bisogna somministrare cristalloidi con una velocità di 80 ml/h.La diuresi deve essere monitorata ogni ora e sommata e riportata in cartella ogni 4 ore.

Se la diuresi è inferiore a 80 ml in due periodi di 4h considera:Se le entrate sono superiori alle uscite per più di 750 ml nelle ultime 24h, somministrare

20 mg iv di furosemide. In seguito somministrare colloidi se si verifica una diuresi >200 mlnell’ora successiva

oppure- Se le entrate eccedono le uscite per meno di 750 ml nelle ultime 24h, somministrare 250

ml di colloidi, in 20 minuti. La diuresi va poi monitorata per le successive 4 ore, e se l’out-put fosse ancora ridotto, è da considerare la somministrazione di 20 mg iv di furosemide.Se nell’ora successiva si ottiene una diuresi >200 ml, aggiungere 250 ml di gelofusine in1h alla terapia reidratante.

- Se la diuresi non dovesse rispondere alla furosemide, consultare il nefrologo.

Esempio di preparazione del MgSO4

Loading dose: 4g i.v. in 5-10 minutiRiempire 6 siringhe da 50 mL ognuna delle quali con 8 mL di MgSO4 al 50% (4g) e 22

mL di destrosio al 5% per un totale di 30 mL. Somministrare la dose in pompa-siringa in 10’con un tasso di infusione di 180 mL/h

Dose di mantenimento: 4 g i.v. in 4h (1g/h)Riempire 6 siringhe da 50 mL ognuna delle quali con 8 mL di MgSO4 al 50% (4g). Portare

il totale a 50 mL con destrosio al 5%. Siglare la siringa con il valore del contenuto (4g)Somministrare la dose in pompa siringa con tasso di infusione 1g/h pari a 12,5 mL /h. Ricordareche il composto è stabile per 24h.

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209GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

1177

RUOLO DELLA PLASMAFERESINELLA TOSSIEMIA GRAVIDICA SEVERAE.VincentiU.O. di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica, ULSS 13 del Veneto, Dolo,Venezia

Il plasma exchange, più comunemente denominato plasmaferesi, anche se impropriamen-te, venne impiegato nella pre-eclampsia tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. In realtànon si trattava di casi caratterizzati da sola pre-eclampsia, ma da pre-eclamspia severa asso-ciata ad almeno un’altra patologia grave, come insufficienza renale (d’Apice et al, 1980), por-pora trombotica trombocitopenica, emolisi e trombocitopenia, sindrome uremica emoliticapostpartum e/o malattie autoimmuni. Il trattamento aferetico veniva inizialmente effettuatosolo in corso di gravidanza fino al raggiungimento di una sufficiente maturità polmonare fe-tale, allo scopo, quindi, di offrire un’alternativa all’interruzione di gravidanza.

In seguito il plasma-exchange, soprattutto per merito di Martin et al e di Schwartz eBrenner, ma anche di Vincenti et al, è entrato nei protocolli di trattamento della pre-eclam-psia severa come condizione morbosa a sé stante, indipendentemente dall’associazione conaltra patologia concomitante; inoltre il plasma exchange è stato sempre più impiegato nelpost-partum per accelerare la restitutio ad integrum della puerpera.

La pre-eclampsia, nelle sue manifestazioni più severe, assume i connotati di una multi or-gan failure (MOF) sui generis. Nella sua classica accezione, la MOF può essere definita comeil risultato di un processo infiammatorio, eccessivo e generalizzato, di tutto l’organismo e con-siderata come l’epifenomeno conseguente ad un debito tessutale di ossigeno accumulato emai pagato, o pagato solo in parte o troppo tardivamente. Di norma, trauma, infezione, sep-si e insufficienza d’organo sono fenomeni dinamici che intervengono in una drammatica se-quenza definita da Bihari “sindrome del pendio scivoloso” (slippery slope syndrome), alla cuiestremità si assiste ai deleteri effetti di una flogosi generalizzata a carico di un organismo cheha dato fondo a tutte le riserve funzionali disponibili. Dunque la MOF può essere vista co-me l’ultima e più impegnativa tappa di un percorso che prende l’avvio dalla sindrome deter-minata dalla risposta all’infiammazione sistemica (systemic inflammatory response syndrome oSIRS) e progredisce nella sindrome da disfunzione multi-organo (multiple organi dysfunction syn-drome o MODS) prima del definitivo arrivo all’insufficienza multi-organo vera e propria (MOF).La SIRS e la MODS sono oggi considerate l’espressione di una risposta infiammatoria inap-propriata e generalizzata a stimoli infiammatori particolarmente intensi per gravità e durata,

PRE-ECLAMPSIA

210 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa

di natura batterica e non batterica. Le reazioni infiammatorie conseguenti ad endotossiemiapossono sopraffare i sistemi difensivi d’organo: la risultante disfunzione renale o epatica de-prime l’escrezione dell’endotossina e delle citochine e potenzia le modificazioni infiammato-rie. In queste circostanze la plasmaferesi può essere efficace nel migliorare le condizioni clini-che del paziente, rimuovendo l’endotossina ed i mediatori dell’infiammazione. È stato dimo-strato che la plasmaferesi migliora l’encefalopatia dovuta ad insufficienza epatocellulare acu-ta, probabilmente per la rimozione di sostanze tossiche come l’ammoniaca, falsi neurotrasmet-titori ed aminoacidi aromatici in eccesso. La rimozione delle tossine e la normalizzazione de-gli aminoacidi plasmatici possono risultare benefiche in pazienti setticemici in condizioni criti-che, anche e soprattutto per il recupero della funzione renale. Infatti l’impiego della plasma-feresi in soggetti settici in cui si era sviluppata una MOF, ha consentito di osservare spessomiglioramenti drammatici nei parametri cardiorespiratori, neurologici, emocoagulativi, renalied epatici.

Ora, la MOF che può complicare alcuni casi di gestosi severa rappresenta davvero un’eve-nienza del tutto particolare, in quanto al drammatico e rapido peggioramento della funzio-nalità di vari organi si accompagna una concreta possibilità di restitutio ad integrum completaa breve-medio termine, a condizione che la rimozione dei molteplici fattori tossici extra-bat-terici sia effettuata precocemente e senza indecisioni. Infatti, nell’insufficienza multi-organo ditalune pazienti con pre-eclampsia severa, risultata refrattaria al convenzionale trattamento far-macologico, l’impiego della plasmaferesi, attuata subito dopo il taglio cesareo, ha permesso diottenere brillanti risultati, compendiabili in facilitato controllo dell’ipertensione, miglioramen-to qualitativo e quantitativo della diuresi, aumento delle piastrine. L’emodialisi e l’emofiltrazio-ne, da sole, non sono altrettanto efficaci, né nella gestosi, né, del resto, nella setticemia.

Il plasma-exchange nella MOF da pre-eclampsia severaLa procedura definita con il termine “plasma-exchange” consiste nel prelievo di una cer-

ta quantità di sangue, con reinfusione della parte corpuscolata e di una parte uguale di pla-sma omologo e/o albumina in sostituzione della quota plasmatica rimossa. Fu praticata per laprima volta nel 1914 come modificazione dell’antichissimo salasso e fu chiamata plasmafere-si, in quanto il plasma veniva completamente rimosso e solo la parte corpuscolata restituita.Oggi il plasma viene sostituito ed è perciò più corretto parlare di “plasma-exchange”. Per co-modità d’uso e per tradizione, però, di norma si parla di plasmaferesi anche nel caso di pla-sma-exchange.

L’impiego del plasma-exchange è razionale in situazioni patologiche caratterizzate dalla pre-senza di fattori tossici circolanti, proteine anomale, immunocomplessi, alterata viscosità ema-tica, discoagulopatie. I fluidi infusi in sostituzione del plasma devono poter ripristinare la vole-

211GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa

mia e la pressione oncotica. Con il plasma, tuttavia, vengono rimossi anche tutti gli altri ele-menti che esso contiene, come proteine, fattori della coagulazione, immunoglobuline. Il liqui-do di reinfusione ideale è perciò il plasma fresco congelato omologo, mentre le soluzioni dialbumina soddisfano soltanto in parte queste richieste. Sono ciononostante usate insieme alplasma per la maggiore facilità con cui sono reperibili e conservabili, e per l’assenza di rischiinfettivi.

Nell’ipertensione gestosica sono coinvolti vari meccanismi: aumentate risposte riflesse astimoli ipertensivi, aumentata sensibilità a sostanze vasopressorie, riduzione di oppioidi midol-lari, diminuita filtrazione glomerulare e produzione da parte della placenta di sostanze iper-tensive. Infatti nelle pazienti pre-eclamptiche esiste una produzione autogena di sostanze adazione vasocostrittrice, come è stato a suo tempo dimostrato da Tatum e Mulè mediante au-totrasfusione di sangue prelevato a pazienti gestosiche prima del parto e reinfuso nel puer-perio dopo normalizzazione spontanea della situazione pressoria. In tali pazienti si osservò, aseguito della reinfusione del proprio sangue, un transitorio ma significativo aumento della pres-sione arteriosa, sia sistolica che diastolica. Al contrario, un gruppo corrispondente di pazientigestosiche che aveva ricevuto nel puerperio sangue proveniente da donatori sani non mani-festò alcuna significativa modificazione della pressione arteriosa. Inoltre, sperimentalmente, giàHunter e Howard avevano del resto inequivocabilmente dimostrato che la somministrazio-ne ev al gatto nefrectomizzato e anestetizzato di piccole aliquote di plasma bollito, provenien-te dal sangue dell’arteria radiale di pazienti pre-eclamptiche, sortiva spiccati effetti vasoco-strittivi.

Vi sono dunque prove sperimentali e cliniche a sostegno della presenza di sostanze iper-tensive seriche in corso di gestosi: sono queste sostanze che la plasmaferesi può allontanare.In realtà la plasmaferesi non elimina solo sostanze ipertensive, ma anche fattori che alteranola coagulazione e compromettono la funzionalità renale. Se si considera la pre-eclampsia co-me una vera e propria tossiemia, non v’è nulla di più razionale, per il suo trattamento, che larimozione “fisica” di questi fattori tossici, che sono alla base dell’insufficienza acuta multi-or-gano. Se è ben vero che la cessazione della gravidanza rappresenta la conditio sine qua nonper il recupero dello stato di salute quo ante, è altrettanto dimostrato che nei casi partico-larmente severi non si può attendere che l’organismo della puerpera elimini spontaneamen-te in tempi ragionevoli alte concentrazioni di sostanze tossiche. Infatti gli ipotetici meccanismid’azione correlati all’uso del plasma-exchange coinvolgono tanto la clearance degli immuno-complessi quanto quella di sostanze di produzione trofoblastica e di tossine endogene di na-tura sconosciuta.

Sembra dunque lecito affermare che il plasma-exchange rappresenta la terapia più appro-priata in rapporto allo stato di intossicazione endogena, definito in modo assai proprio daltermine di “tossiemia gravidica”. Questa definizione, un po’ caduta in disuso, connota invecein modo fisiopatologicamente più corretto la sindrome definita “pre-eclamptica”, la quale let-

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Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa

teralmente si rapporta ad una condizione clinica potenzialmente a rischio di eclampsia verae propria, ma che non fa riferimento ad aspetti patogenetici.

La pratica della plasmaferesiDal punto di vista pratico, una seduta standard di plasma-exchange comporta l’allontana-

mento di circa il 50% della quota plasmatica e, quindi, corrispondentemente, di una pari per-centuale di fattori tossici ivi presenti. Supponendo che non vi sia ulteriore produzione ex no-vo di tossici endogeni, come probabilmente avviene mano a mano che passano le ore e i gior-ni dal parto, dopo ogni seduta di plasma exchange se ne dimezza la quantità, ragion per cui,ad esempio, dopo la seconda seduta l’eliminazione dovrebbe riguardare una quota pari al 75%della quantità iniziale di fattori tossici e dopo la terza una quota pari in tutto all’87.5%. Neicasi più fortunati è sufficiente attuare un’unica seduta di plasma-exchange, ma nei casi più re-frattari, che potrebbero corrispondere a quelli con più elevate concentrazioni iniziali di so-stanze tossiche, possono essere necessarie anche 6 o più sedute prima di conseguire tangi-bili effetti terapeutici. A fronte degli indubbi vantaggi che, a parità di condizioni, consentonodi ridurre drasticamente i tempi della restitutio ad integrum, sussistono inevitabilmente talu-ni svantaggi o limiti:- Costi elevati- Disponibilità dell’attrezzatura- Necessità di adeguate quantità di albumina e plasma- Presenza di staff medico e infermieristico preparato- Esperienza nell’applicazione della metodica in corso di gestosi severa- Assunzione di responsabilità da parte di chi deve decidere e superamento dei contrasti

interpersonaliUno dei momenti critici in tema plasmaferesi nella pre-elampsia severa rimane la decisio-

ne di ricorrervi e il timing.Non ci sono purtroppo consensi consolidati a tal proposito. Per questo vale soprattutto

il giudizio di chi ha più esperienza nel trattamento di questi casi ed è perciò in grado di pon-derare benefici, rischi e costi. Posso solo concludere affermando che dopo circa 25 anni diesperienza di plasmaferesi nel trattamento di casi di pazienti affette da tossiemia gravidica se-vera, resistente al convenzionale trattamento e palesante una tendenza al rapido deteriora-mento delle condizioni generali, non ho mai dovuto pentirmi di avere insistito per l’attuazio-ne di una o più sedute di plasma-exchange. Anzi, il rapido e sensibile controllo dell’iperten-sione arteriosa, il ripristino della diuresi, l’aumento delle piastrine e soprattutto il miglioramen-to del quadro clinico con il recupero di una soddisfacente cenestesi, hanno sempre avallatola bontà della metodica aferetica.

213GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa

Letture consigliate

1. Bihari DJ. Prevention of multiple organ failure in the critically ill. Update in Intensive care and Emergency Medicine, 1987;3:362. Caggiano V, Fernando LP, Schneider JM, Haesslein HC, Watson-Williams EJ. Thrombotic thrombocytopenic purpura: re-port of fourteen cases-occurrence during pregnancy and response to plasma exchange. J Clin Apher. 1983;1:71.3. d’Apice AJ, Reti LL, Pepperell RJ, Fairley KF, Kincaid-Smith P.Treatment of severe pre-eclampsia by plasma exchange. AustN Z J Obstet Gynaecol. 1980;20:231.4. Di Lenardo L, Giacomello M,Vincenti E. Il trattamento intensivo di una preeclamptica con grave insufficienza renale acu-ta. In: Gestosi ’88. a cura di C.Orlandini, CIC edizioni Internazionali, Roma, 1988, pp 281-286.5. Hunter CA, Howard F. Etiology of hypertension in toxemia of pregnancy. Am J Obstet Gynecol 1961; 81:4416. Julius CJ, Dunn ZL, Blazina JF.. HELLP syndrome: laboratory parameters and clinical course in four patients treated withplasma exchange. J Clin Apher. 1994;9:228.7. Khanimov MA, Gushchin IV.The effect of substitution plasmapheresis on the hemodynamic parameters in pregnant wo-men with late toxicoses. Anesteziol Reanimatol. 1991;4:32.8. Katz VL, Watson WJ,Thorp JM Jr, Hansen W, Bowes WA Jr. Treatment of persistent postpartum HELLP syndrome withplasmapheresis. Am J Perinatol. 1992;9:120.9. Mahalati K, Dawson RB, Collins JO, Bell WR, McCrae KR, Martin JN Jr. Persistant pre-eclampsia post partum with eleva-ted liver enzymes and hemolytic uremic syndrome. J Clin Apher. 1999;14:69.10. Martin JN Jr, Files JC, Blake PG, Norman PH, Martin RW, Hess LW, Morrison JC, Wiser WL.Plasma exchange for pree-clampsia. I. Postpartum use for persistently severe preeclampsia-eclampsia with HELLP syndrome. Am J Obstet Gynecol.1990a;162:126.11. Martin JN Jr, Blake PG, Lowry SL, Perry KG Jr, Files JC, Morrison JC.Pregnancy complicated by preeclampsia-eclampsiawith the syndrome of hemolysis, elevated liver enzymes, and low platelet count: how rapid is postpartum recovery? ObstetGynecol. 1990b;76:737.12. Martin JN Jr, Blake PG, Perry KG Jr, McCaul JF, Hess LW, Martin RW.The natural history of HELLP syndrome: patternsof disease progression and regression. Am J Obstet Gynecol. 1991;164:150013. Martin JN Jr, Perry KG Jr, Roberts WE, Norman PF, Files JC, Blake PG, Morrison JC,Wiser WL. Plasma exchange for pree-clampsia: II. Unsuccessful antepartum utilization for severe preeclampsia with or without HELLP syndrome. J Clin Apher.1994;9:15514. Martin JN Jr, Perry KG Jr, Roberts WE, Files JC, Norman PF, Morrison JC, Blake PG. Plasma exchange for preeclampsia:III. Immediate peripartal utilization for selected patients with HELLP syndrome. J Clin Apher. 1994;9:162.15. Martin JN Jr, Files JC, Blake PG, Perry KG Jr, Morrison JC, Norman PH. Postpartum plasma exchange for atypical pree-clampsia-eclampsia as HELLP (hemolysis, elevated liver enzymes, and low platelets) syndrome. Am J Obstet Gynecol.1995;172:110716. Obeidat B, MacDougall J, Harding K. Plasma exchange in a woman with thrombotic thrombocytopenic purpura or se-vere pre-eclampsia. BJOG. 2002;109:961.17. Schwartz ML. Possible role for exchange plasmapheresis with fresh frozen plasma for maternal indications in selectedcases of preeclampsia and eclampsia. Obstet Gynecol. 1986;68:136.18. Schwartz ML. Do gravid women with preeclampsia-eclampsia ever require plasmapheresis? Am J Obstet Gynecol.1997;176:1397.19. Schwartz ML, Brenner W. Severe preeclampsia with persistent postpartum hemolysis and thrombocytopenia treated byplasmapheresis. Obstet Gynecol. 1985;65(3 Suppl):53S-55S.20. Stricker RB, Main EK, Kronfield J, Kallas GS, Gerson LB, Autry AM, Kiprov DD. Severe post-partum eclampsia: responseto plasma exchange. J Clin Apher. 1992;7:1.21. Tatum HJ, Mulè JG. The hypertensive action of blood from patients with pre-eclampsia. Am J Obstet Gynecol 1962;83:102822.Vincenti E,Tambuscio B. Epidural narcotics and control of arterial pressure in a pre-eclamptic patient. Can Anaesth SocJ 1982; 29:40523.Vincenti E, Grella PV, Giron GP. New therapy of the pregnancy-induced hypertension. Atti XXXV Congresso SIAARTI,vol I, E.Vincenti & Giron GP eds, Cleup Ed, Padova, 1983a, p21224.Vincenti E, Marchesoni D, Grella PV. Nuova terapia delle crisi ipertensive nella gestosi. In: Medicina Fetale, a cura di PVGrella; L.Carenza, F.Polvani, B.A. Salvadori eds, Monduzzi Ed., Bologna,1983b, pp 401-410

214 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa

25.Vincenti E, Giacomello M, Cameran M,Volpin SM. EPH-estosi : aspetti anestesiologici e rianimativi. In: Aggiornamenti inAnestesia 1990, E Vincenti & GP Giron eds, SGE, Padova, 1991, pp 127-16426. Vincenti E. MOF. In: Protezione d’organo in Terapia Intensiva. I corticosteroidi e le prostaglandine, Cap 10, MomentoMedico, Salerno, 2001, pp 167-17927.Watson WJ, Katz VL, Bowes WA Jr. Plasmapheresis during pregnancy. Obstet Gynecol. 1990;76:451.

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IMPIEGO DELLA PROSTACICLINANELLA TERAPIA DELLA PRE-ECLAMPSIA SEVERAS. Alberico, M. Piccoli,V. Soini, M. Zanette, GP. Maso, E.Vincenti*Centro di Riferimento Regione Friuli Venezia Giulia per l’HIV e per la Gravidanza ad Alto RischioDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo, Università di Trieste* Anestesia Rianimazione, Ospedale di Dolo

La pre-eclampsia è una sindrome, caratterizzata da un aumento della pressione arteriosa,con associazione di proteinuria, che complica il 3-5% di tutte le gravidanze, determinando al-ti tassi di mortalità materna e feto-neonatale1-3. La mortalità materna è strettamente corre-lata al grado di severità della sindrome stessa e trova come principale causa l’emorragia ce-rebrale4. I criteri di definizione più utilizzati sono quelli proposti dall’American College ofObstetricians and Gynaecologists, che comportano una pressione sistolica >160 mmHg ed unadiastolica >100 mmHg, con una proteinuria superiore a 5g/24 ore ed una riduzione della con-centrazione piastrinica <100.000/mmc5.

L’associarsi di una compromissione epatica, renale, ed emocoagulativa, configura una sin-drome di maggior complicazione, definita con l’acronimo di HELLP, descritta nel 1982 daWeinstein e coll.6.

In questo caso il quadro clinico è ulteriormente aggravato dall’insorgenza di un’oliguria se-vera (<40 ml/h), da un aumento delle transaminasi e della latticodeidrogenasi, da un’anemiaemolitica e dai segni d’edema polmonare. La sua incidenza in pazienti con pre-eclampsia, oscil-la dal 4% al 12%7 e la mortalità materna giunge sino al 24% dei casi, quando questi casi so-no gestiti in Centri non dotati d’unità di terapia intensiva8. La mortalità fetale, a sua volta, peg-giora ulteriormente raggiungendo in alcune esperienze il 37% dei casi9,10.

Tabella 1. Mortalità e morbilità materna e neonatale*Pre-eclampsia Severa

Mortalità Materna Mortalità NeonataleBM. Sibai, 1990 0.4% (USA) JM. Alexander ,1999 5%O. Adetoro, 1989 14% (Nigeria) W.Visser, 1995 8.2%C. Redman, 1994 1.8% (U.K.) BM. Sibai, 1999 <28a sett. 15.4%

*HELLP SyndromeMortalità Materna Mortalità Neonatale

BM. Sibai, 1999 1.1% BM. Sibai,1999 <28a sett. 32%BM. Sibai,1999 11%

PRE-ECLAMPSIA

216 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

La pre-eclampsia è una sindrome che riguarda due pazienti: la madre e il feto ed essendoil parto il vero trattamento radicale, spesso esso è effettuato per via addominale, per preser-vare la salute materna, entro e non oltre le 48 ore dalla comparsa della sintomatologia pre-eclamptica (periodo necessario per attuare la profilassi corticosteroidea).

Tale interventismo per epoche inferiori alla 30a settimana non sempre è vantaggioso perl’outcome neonatale, che com’è noto è correlato più con l’epoca gestazionale che non conil grado di severità della pre-eclampsia11.

È quindi ancora oggi dibattuto se sia più opportuno giungere ad un espletamento del par-to in tempi brevi nell’interesse della madre o attuare un management conservativo, finalizza-to a raggiungere un’epoca gestazionale più avanzata e di maggiore maturità del feto, conl’espletamento dello stesso per via vaginale, secondario ad un’induzione del travaglio.Nell’ipotesi conservativa non è del tutto chiaro inoltre quale sia il miglior approccio terapeu-tico.

In merito, un lavoro di BM Sibai del 1990, indicava che attuando un management di atte-sa rispetto ad un atteggiamento aggressivo con un parto immediato in caso di pre-eclampsiasevera si otteneva un miglioramento dell’outcome neonatale, per il prolungamento di circadue settimane della gestazione, un minor costo di gestione neonatale, per minor numero digiorni in ICU ed alcun peggioramento dell’outcome materno11a.

Non va poi dimenticato che la diagnosi di pre-eclampsia è in alcuni paesi, come gli U.S.A.,condizione patologica sufficiente per indurre un parto pretermine e tale atteggiamento è ingrado di condizionare non solo gli ostetrici nella loro pratica, ma anche eventuali giudizi lega-li nel caso di insorgenza di controversie per esiti neonatali non positivi.

Nella Tabella successiva vengono indicate le condizioni in cui secondo S. Friedman e coll.11b

è indicato espletare il parto in caso di pre-eclampsia severa.

Tabella II. Expectant management of severe Pre-Eclampsia remote from the term.S. Friedman, BM. Sibai, Clin.Ob.Gyn. 42,3:470,1999.Espletamento del Parto anche se presente uno solo dei seguenti fattori

MATERNI FETALIPA non controllata, Eclampsia, Decelerazioni tardive ripetitivePiastrine <100.000mmc, Amniotic F.Index <2cmAST o ALT x2, Edema Polmonare, Peso stimato <5° percentile,Creatininemia>1mg, Reverse FlowDistacco di Placenta

Prima di addentrarci nella disamina dei protocolli operativi da attuare per rispondere al-la scelta di cui sopra, analizziamo brevemente alcuni degli aspetti etiopatogenetici della pre-eclampsia, al fine di meglio comprendere poi le procedure terapeutiche da adottare nel ca-so di una scelta “conservativa”.

217GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

L’etiopatogenesi della pre-eclampsia riconosce come causa un’alterazione della bilanciatrombossano-prostaciclina (TxA2/PgI2) con prevalenza del primo sulla seconda. La prostaci-clina possiede, com’è noto, un’azione vasodilatante ed antiaggregante piastrinica. La sua dimi-nuita concentrazione sarebbe alla base della vasocostrizione generalizzata, con aumento del-le resistenze periferiche e dell’iperattività piastrinica e con la formazione di microaggregati pia-strinici propri della pre-eclampsia12.

È noto inoltre che nelle donne che svilupperanno una pre-eclampsia si è realizzata un’ano-mala placentazione, con conservazione, a livello della porzione miometriale delle arterie spi-rali, della componente muscolo-elastica della parete e quindi della risposta catecolaminica, conun conseguente stato d’ipercontrattilità vasale e d’ipoperfusione placentare13.

La conseguenza diretta di quest’anomalia è rappresentata dal fatto che la circolazione ute-ro-placentare non assume le caratteristiche del sistema a bassa resistenza propria della gra-vidanza fisiologica.

In corso di pre-eclampsia è peraltro fortemente impegnato il sistema cardiovascolare, conuna condizione d’ipovolemia, ed il sistema renale, con un’insufficienza renale acuta, da causapre-renale (da ipovolemia e da insufficienza cardiaca) e renale (da necrosi tubulare acuta se-condaria ad ischemia).

Questa lunga premessa lascia intendere come in caso di pre-eclampsia severa, nell’inten-to di attuare un management conservativo, sia necessario ricorrere ad un approccio terapeu-tico, finalizzato a rimuovere le cause patogenetiche della sindrome e non semplicemente lemanifestazioni sintomatologiche, di cui l’aspetto più manifesto è rappresentato dalla grave iper-tensione arteriosa materna e dalla discoagulopatia.

Veniamo quindi alla scelta cruciale del management clinico che si identifica nelle tre ipo-tesi sopracitate e che per essere compiuta comporta la valutazione attenta di:a. condizioni della madre e del margine di miglioramento della stessa dopo trattamento spe-

cifico;

b. epoca gestazionale, stato di benessere fetale e probabilità di sopravvivenza presso il pro-prio centro del neonato in assenza di handicap severi; (nella Tabella III, riportiamo i risul-tati dell’outcome neonatale, per nati con epoca gestazionale <30 settimane, del nostroDipartimento in un periodo di osservazione di dieci anni, 1990-2000);

c. capacità operative, culturali e decisionali dello staff d’operatori.

Tabella III. Outcome in una popolazione di nati con epoca gestazionale <30 sett. 1990-2000 n.65/8660 nati (0.75%)Dipartimento Ostetrico-Ginecologico,Trieste

Parti Spontanei 23% Tagli Cesarei 77%SGA 12.3% AGA 87.7%Morti Neonatali <30 gg 7 nati 10.7%Morti: media sett. 27.6 gg g1150 0 SGA 7 AGA

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Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

Il maggior sostegno ad un approccio “aggressivo” della pre-eclampsia severa è stato datoall’inizio degli anni ’90 da Sibai e coll.14. Questi Autori, infatti, proponevano un approccio te-rapeutico d’attesa, finalizzato ad ottenere una maturazione fetale, solo nei casi non complica-ti dalla presenza di segni suggestivi per un’evoluzione in HELLP ed ove non fosse ovviamen-te presente uno stato di sofferenza fetale acuta (vedi la Tabella II già citata). La comparsa del-la HELLP invece imponeva, a loro avviso, l’espletamento rapido del parto per l’elevato rischiomaterno, che essa comportava.

Nello stesso periodo Visser e coll. dimostrarono che era invece possibile attuare un ma-nagement conservativo in gravidanze con eclampsia severa, anche se complicate da unaHELLP S., senza pagare un maggior tributo in termini di morbilità e mortalità materna e pe-rinatale.A tal fine gli Autori proponevano un approccio terapeutico di tipo intensivo, con unariespansione del volume plasmatico delle pazienti, mediante infusione di plasma pasteurizza-to, con un monitoraggio emodinamico centrale, associato alla convenzionale terapia ipoten-siva15.

Esistono in merito in Letteratura solo due trials randomizzati che hanno confrontato il di-verso outcome materno e neonatale per un approccio ”aggressivo” o “conservativo” alla pre-eclampsia.

Il primo studio di Odendaal e coll. evidenziava che era possibile avere, con ricoveri in te-rapia intensiva, un prolungamento della gestazione di un’epoca significativa (1 settimana e 6giorni), con un conseguente miglior outcome neonatale, senza compromettere l’outcome ma-terno. Nel gruppo di pazienti gestite con un “expectant management” si aveva inoltre una mi-glior media di peso neonatale (1420g vs 1272g), una minor mortalità neonatale (2 vs 5) edun minor numero di giorni di ricovero in NICU16.

Il secondo lavoro randomizzato di B.Sibai e coll. mostrava un simile risultato con un gua-dagno per il gruppo “expectant” di due settimane di gestazione, di circa di 400 grammi di me-dia di peso neonatale, e di 15 giorni di ricovero in NICU. Nelle conclusioni però questo au-torevole esperto sottolineava come alla base del reclutamento delle pazienti, si era provve-duto ad un’accurata selezione delle stesse, inserendo nel trial solo quelle senza fattori di ri-schio associati ed in particolar modo senza i segni di una HELLP S17.

È ora interessante notare come questo stesso Autore in un successivo editoriale del 1999affermava, riferendosi ai due trials citati, che: “...era importante sottolineare come i due ricerca-tori avessero mostrato nel corso degli anni un’evoluzione nell’approccio alla pre-eclampsia severain epoca precoce, con una nuova capacità di gestire con una terapia medica queste pazienti, ot-tenendo un miglior outcome neonatale, grazie anche alle migliorate capacità di gestione dei natiVLBW, attualmente disponibili.”18. Nello stesso studio l’Autore proponeva comunque delle li-nee guida di selezione per il protocollo di attesa particolarmente “restrittive”, che consenti-vano un prosieguo della gravidanza solo in casi estremamente selezionati e comunque in as-senza di HELLP S.

219GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

Tra le due posizioni (taglio cesareo in tempi brevi e management di attesa con idonea te-rapia) esiste una terza scelta terapeutica, che consiste nell’induzione del travaglio di parto, perottenere un espletamento dello stesso per via vaginale. In quest’ottica, ove le condizioni ma-terne lo consentano, è indispensabile che lo stato fetale sia valutato, con esito positivo, me-diante ripetuti “no stressed tests”, con una valutazione del profilo biometrico, con una stimadel peso fetale e del liquido amniotico, del profilo biofisico e della flussimetria fetale conDoppler.

È opportuno anche determinare lo stato di maturità polmonare (spesso presente in que-sti feti, che a causa del rallentamento della crescita, hanno una produzione endogena di or-moni corticosurrenali); ove questo non fosse stato raggiunto, è allora indicato attuare una pro-filassi corticosteroidea per 48 ore.

In merito Alexander e coll.19 nel 1999 hanno pubblicato un interessante lavoro randomiz-zato in gravide con pre-eclampsia severa e nati very low birth weight, disegnato per valutare ledifferenze dell’outcome neonatale tra due gruppi, distribuiti tra induzione del travaglio di par-to e taglio cesareo elettivo. Si ebbe nel gruppo indotto il 34% di parti per via vaginale, connessuna differenza statisticamente significativa rispetto ai nati da taglio cesareo per distressrespiratorio neonatale (TC 56% versus P.V. 52%), sepsi (TC 9% vs P.V. 4%), emorragia intra-ventricolare (TC 7% vs P.V.6%), morti neonatali (TC 4% vs P.V.6%).

Nello studio sopracitato erano state reclutate in un 1 anno 278 gravidanze con le carat-teristiche descritte, su una popolazione di gravide estremamente vasta.Tale numero però nonconsentiva delle valutazioni statisticamente significative per la rarità degli eventi patologici dastudiare e l’Autore faceva notare nelle conclusioni che per dare una risposta esaustiva scien-tificamente sarebbe stato necessario condurre lo studio in un arco di tempo di 40 anni.Questo è ovviamente un forte limite che determina l’impossibilità di avere una risposta de-finitiva sull’opportunità o meno di indurre il travaglio in queste pazienti.

Esiste la possibilità quindi di attuare un management conservativo della pre-eclampsia se-vera e della HELLP S. La nostra risposta è affermativa, purché, selezionate le pazienti idonee,si attui, presso centri specialistici di III livello una terapia, che non sia solo sintomatica, ma neilimiti del possibile, punti a rimuovere le cause, che hanno determinato lo squilibrio volemicoe discoagulativo. A tal fine due presidi terapeutici sembrano rispondere a questa esigenza: laprostaciclina e la plasmaferesi o plasma exchange.

Dagli Anni ’80 numerosi Autori hanno verificato l’efficacia della prostaciclina nella terapiadell’ipertensione severa in gravidanza20,21. Grazie al già citato effetto ipotensivo ed antiaggre-gante essa trova particolare applicazione nei casi di pre-eclampsia, ove sia più accentuata latrombocitopenia.

Nell’esperienza di Walker e coll. si è ottenuto, in corso di HELLP S., un’interruzione del-l’emolisi, un miglioramento del flusso renale e la concentrazione piastrinica iniziava ad aumen-tare già 12 ore dopo la prima infusione21.

220 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

Nella Tabella IV abbiamo riportato gli Autori che hanno pubblicato in letteratura trials conimpiego della prostaciclina.

Tabella IV. La Prostaciclina in LetteraturaJ. Fidler, Lancet 1980: 1 caso pre-eclampsia severa: 27 sett. Esito: OK!P. Lewis, Lancet 1981: 1 caso pre-eclamsia severa. Esito: Madre OK! MEU.J. Belch, Cl.Ex.Hyper. ’85: 5 casi di pre-eclampsia. Severa. Esito: 1 MEU.J. Fox, BrJOG 1991: 1 caso di HELLP S. in puerperio. Esito: OK!J. Moodley, BrJOG 1992: Pre-eclampsia severa:

22 casi PGI2 ...Vs...20 Casi Idralazina » Esiti:Tutti OK!» PGI2 maggior effetto Ipotensivo, minor effetti collaterali.

A. de Bedler, Lancet 1992: 1 caso di pre-eclampsia severa. Esito Mat. OK!+MEUW. Huber, Lancet 1994: 1 caso HELLP S. con PGI2+ plasma exchange. Esito: OKM.Toppozada, 1983-92: Numerosi casi di pre-eclampsia sev. trattati con “PA1”Totale: 32 casi trattati, con esito materno sempre favorevole e 2 MEU*Dal 1999 5 casi segnalati in letteratura di trattamento con prostaciclina per ipertensione polmonare primitiva in gra-vidanza

Si tratta di un farmaco di complesso impiego, che va quindi somministrato solo in centridotati di unità di terapia intensiva ove siano presenti dei criteri di accettabilità e le condizio-ni permittenti per un expectant management, rappresentate nella Tabella successiva.

Tabella V. Condizioni permittenti- Disponibilità di una ICU Ostetrico-Anestesiologica- Staff Medico-Infermieristico esperto in questo settore- Assenza di distress fetale acuto- Assenza di imminente pericolo di scompenso materno- Epoca gestazionale >23° <28°- Consenso informato della paziente

La dose di somministrazione va modulata in relazione alla gravità della sindrome iperten-siva, iniziando con un dosaggio di 1-2 ng/kg/min, potendo giungere nei casi più severi sino a10 ng. La somministrazione va effettuata per un arco di tempo di circa 2-3 ore con un atten-to monitoraggio della pressione arteriosa della paziente, per il rischio di un eccessivo effettovasodilatante del farmaco.

Per la sua azione irritativa a livello venoso è necessario ricorrere in caso di trattamentiprolungati ad una somministrazione per via venosa centrale.

La gestione della pre-eclampsia severa e della HELLP S. nel protocollo del nostroDipartimento comporta l’associazione della terapia con prostaciclina con cicli di pasma ex-change. Questo ultimo trattamento è oggetto di discussione in un altro capitolo di questo te-sto a cui si rimanda, segnalando in bibliografia i lavori che trattano in letteratura questo spe-cifico approccio terapeutico22-24.

221GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

Il protocollo del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS “Burlo Garofolo” diTrieste prevede quindi per epoca gestazionale inferiore alla 29a settimana, un intervento diespletamento del parto con un taglio cesareo elettivo in caso di pre-eclampsia severa o diHELLP syndrome solo in presenza di segni cardiotocografici suggestivi di uno stato di soffe-renza fetale attuale o di altra indicazione elettiva per un parto addominale (podalico, metror-ragia materna, ecc.), effettuando se le condizioni fetali lo consentono una profilassi cortico-steroidea per 48 ore.

Nei casi in cui non siano presenti tali patologie si tenta sempre un approccio terapeuticomedico alle sindromi citate, trasferendo la paziente in unità di terapia intensiva in caso di iper-tensione arteriosa severa non dominabile e/o comparsa di segni di discoagulopatia, (con con-sumo di antitrombina III e di piastrine) e/o di contrazione significativa della diuresi.

Tabella VI. Protocollo di Gestione della Pre-Eclampsia Severa - HELLP SYNDROMEDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo, Università di TriesteEPOCA GESTAZIONALE ≥28A SETTIMANA + PESO FETALE STIMATO >1000G1. Quadro clinico materno evolutivo (piastrine <50.000, PAD>110 mmHg, discoagulopatia, oliguria)Espletamento del Parto (Induzione?/TC Elettivo) dopo attuazione di profilassi corticosteroidea per 48 ore.2. Segni di sofferenza fetale acuta (NST patologico)Taglio Cesareo urgente

EPOCA GESTAZIONALE <28A SETTIMANA 1. Ipertensione arteriosa severa senza segni di trombocitopenia e discoagulopatia»Terapia ipotensiva (calcioantagonista, labetalolo, urapidil)Magnesio o.s.,Vit.K, Betametasone (12mg i.m./24h x 2), Ringer latt. con destrosio 5%(x espansione volume plasmatico), Diazepam.2. Comparsa di segni di discoagulopatia e progressione della trombocitopeniaRicovero ICU: terapia con prostaciclina ed eventuale plasmaferesi, monitoraggioPressione venosa centrale, eventuale antitrombina III, terapia antibiotica.

La terapia prevede la somministrazione di prostaciclina per via venosa centrale a cicli quo-tidiani di 4-6 ore; di plasma exchange con sostituzione del 50% della quota plasmatica per ci-clo e di infusione di antitrombina III per valori inferiori al 90%.

In un periodo di tre anni sono state sottoposte a tale protocollo terapeutico 7 pazienticon HELLP S. di grado severo, di cui tre in immediato puerperio e 4 con gravidanza in cor-so, con epoca gestazionale di 29-30 settimane. Si è ottenuto un dilazionamento medio delparto di 4.2 giorni (range 2-14) con outcome materno e neonatale privo di mortalità e dimorbidità permanente.

Vengono di seguito illustrati nella Tabella VII e VIII due tra i casi più esplicativi, in cui la som-ministrazione della prostaciclina, in un caso in gravidanza, l’altro in puerperio, si associa ad unapronta risposta clinica, in termini di miglioramento sia dello stato pressorio, che della concen-trazione piastrinica e degli altri parametri ematochimici valutati.

222 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

Tabella VII. Caso 1A.N. 24 aa, I Gr., 29a sett., HELLP S., - Feto: Flussim. Regolare, Stima peso 1300gè Taglio cesareo: neonata femmina, 1380 g, Apgar 5-8, vivente e sana.GIORNI -3 -2 -1 T.C. I II III IV VP.A. 179/100 140/80 170/85 155/95 165/100 205/105 160/90 160/85 140/70D. Dimero 4.9 8.2 4 4.5 5.9 5.1 3.3GOT 90 45 24 13 38 23GPT 88 91 42 27 52 160Uricemia 5.9 7.6 5.9PLT 46.000 58.000 90.000 113.000 48.000 79.000 200.000AT III 87% 54% 104% 81% 89%LDH 1064 430 333 604Diuresi Olig/anuria Norm Norm Norm Norm Norm NormTERAPIA“Flolan” 5 ml/h 5 ml/h 11.6ml/h 11.6ml/h 11.6ml/h 30ml/h 30ml/h 30ml/h 30ml/hAT III 1000 ui 1000 uiDecadron 12mg 12 mg 12mg

Tabella VIII. Caso 2G.A. 36 aa, I Grav., 30a sett., Feto: IUGR severo, Stima peso: 1200 g, Flussim. è in Ombel.Taglio Cesareo per: pre-eclampsia severa. Crisi eclamptica. Stato comatoso. CTG Patologico.Neonato: maschio 1200 g, Apgar 5-10, vivente e sano.GIORNI 0 I II III* IV V VIP.A. 175/110 140/90 130/80 130/80 140/85D. Dimero 2 1.5 1.5 2 5 2 2PLT 34.000 30.000 51.000 114.000 127.000 175.000AT III 60% 56% 61% 100% 80% 90%GOT 818 397 70 36 41GPT 448 305 68 81 79Diuresi Olig/anuria Norm Norm Norm Norm NormTERAPIA“Flolan” 2.5ml/h 2.8ml/h 2.8ml/h 2.8ml/h 2.8ml/hPlasm.Exch. Ia IaAT III 500 ui 1000 ui* Si alimenta in III Giornata

In conclusione riteniamo che l’approccio alla pre-eclampsia severa ed alla HELLP S. vadaattuato in centri adeguatamente attrezzati e culturalmente preparati, specie quando questepatologie si realizzano in epoche di particolare prematurità, quando non è a nostro avviso in-dicato espletare “semplicisticamente” un taglio cesareo elettivo (a meno che non vi siano leassolute indicazioni di emergenza materna o fetale, indicate).

Esiste inoltre la possibilità di un approccio terapeutico, che tenga conto della patogenesidella malattia e consenta quindi un “dilazionamento” della nascita con un risultato sicuramen-

223GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa

te più “garantito” per il neonato, in assenza di aumentata patologia materna.Tali conclusionisono sintetizzate nella nostra ultima Tabella.

Tabella IX- Prostaciclina e Plasma-Exchange sono altamente efficaci nella terapia intensiva della Pre-eclampsia Severa e

della HELLP S.- Altre patologie quali LES e Scompenso Congestizio Polmonare possono trarre beneficio da queste terapie.- Le indicazioni al loro impiego sono altamente specifiche.- Utilizzo solo presso Unità di Terapia Intensiva, con Personale Sanitario altamente specializzato e con una

piena armonia operativa e decisionale tra l’Ostetrico e l’Anestesista Rianimatore.- Il rischio per la paziente è sicuramente accettabile.- Sarebbe indicata una concentrazione di casi eleggibili presso Centri di III° livello per mantenere la capacità

operativa del Personale Sanitario.- Il ruolo svolto dalla prostaciclina sul flusso placentare deve essere ulteriormente studiato.

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224 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

1199 PRE-ECLAMPSIA

OBESITÀ E GRAVIDANZAM. Bernardon, M. Costantini, R.Tercolo, GP. Maso, S. AlbericoDipatimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo,Trieste

L’obesità rappresenta una condizione clinica che raggiunge proporzioni epidemiche nellasocietà occidentale. Si stima che nel Regno Unito circa il 10 % dei bambini ed il 20% degliadulti presentino un BMI superiore a 30 kg/m2. Negli Stati Uniti le percentuali sono ancor piùallarmanti. In tutto il mondo si reputa che più di 300 milioni di persone siano clinicamenteobese1. È attualmente noto che l’obesità ed in particolare la distribuzione viscerale del tessu-to adiposo, correlino negativamente con le funzioni metaboliche di base e predispongano adun elevato rischio di patologia cardiovascolare.

L’obesità determina una perturbazione del metabolismo lipidico caratterizzata da un rial-zo dei trigliceridi totali, una riduzione dell’HDL-C, un aumento del VLDL-C, sebbene il cole-sterolo totale e l’LDL-C non risultino significativamente modificati. Risulta compromesso an-che il metabolismo glucidico con iperinsulinemia (che raggiunge livelli circa 2 volte superioria quelli riscontrati nelle donne non obese), aumento della concentrazione delle leptine e del-la risposta infiammatoria, con salita della PCR e dell’IL-6.

È stato dimostrato inoltre che la PCR e l’insulinemia sono correlati inversamente alla ri-sposta endoteliale microvascolare. Questo fattore, in concomitanza con la disfunzione dellamuscolatura liscia vascolare tipica dell’obesità, è responsabile della riduzione della risposta va-sodilatatoria1. Il complesso pattern di alterazioni neuroendocrine caratteristico della donnaobesa si configura clinicamente nella sindrome metabolica, che secondo l’American College ofEndocrinology si definisce per la presenza di 3 o più dei seguenti criteri: obesità addominale,aumento dei trigliceridi totali, diminuzione delle HDL, aumento della pressione arteriosa edaumento della glicemia a digiuno2.

Le modificazioni molecolari che caratterizzano una donna in sovrappeso si ripercuotonoinevitabilmente sulla gravidanza, risultando in una pletora di anomalie metaboliche e vascola-ri che possono complessivamente esacerbare il rischio di complicanze materne e fetali. La gra-vidanza rappresenta una sfida metabolica per la donna obesa: le modificazioni ormonali chene stanno alla base (quali l’aumento di estrogeni, progesterone e lattogeno placentare) pos-sono slatentizzare manifestazioni cliniche di severa entità. Dai dati della Letteratura emergein merito un aumento dell’incidenza di diabete mellito, disordini ipertensivi, complicanze trom-boemboliche, complicanze intrapartum e postpartum, problemi anestesiologici, morbilità emortalità fetale, perinatale e morbidità a lungo termine, che verranno di seguito analizzati sin-golarmente. Un recente studio osservazionale è stato condotto presso il Dipartimento oste-

225GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

trico-ginecologico dell’ IRCCS Burlo Garofolo di Trieste su 1000 gestanti tra il 2002 ed il 2003con i risultati di seguito riportati.

BMI >20 20-25 25-30 >30 Pn = 905 27.5 % 56.2% 11.8% 4.5%GCT + 18.9 % 23.9% 38.7% 40% <0.001GDM 5.7% 9.4% 17.4% 33.3% <0.001Pre-eclampsia 5.7% 14.4% 50% 57.1% <0.0001>4000 g 4% 7.1% 15.7% 17% <0.00081TC elettivo 10.8 % 12.9% 23% 19.5% <0.001AUMENTO PONDERALE kg < 7 7 - 11 11 - 16 16 - 20 > 20 PMicrosomia fetale 0 3.5% 9.1% 11.4% 22% <0.00081

Le donne in sovrappeso rappresentano il 56.2%, l’obesità l’11,8% e l’obesità severa il 4.5%della popolazione oggetto di studio. La prevalenza della pre-eclampsia aumenta progressiva-mente in relazione al BMI materno, analogamente al diabete gestazionale. Sono invece para-gonabili l’incidenza di colestasi gravidica e infezioni delle vie urinarie nelle varie classi di peso.In merito ai parametri ecografici risulta un netto incremento della percentuale di accelerazio-ne della crescita fetale per madri con elevato BMI ed anche tra quelle con eccessivo incre-mento ponderale gravidico. Risultati analoghi si hanno per la macrosomia fetale, anche dopocorrezione per diabete gestazionale.

Riguardo alla modalità di espletamento del parto tra le donne obese e tra quelle con ec-cessivo incremento ponderale gravidico risulta nettamente aumentata l’incidenza di operati-vità vaginale e taglio cesareo, con una parallela diminuzione del rate di parti spontanei.A que-sti aggiungiamo un caso di distocia di spalla, due casi di isterectomia da atonia uterina graveed un caso di infezione della ferita chirurgica, rilevati nello stesso gruppo3.

Tra i parametri di misura dell’obesità il gold standard è rappresentato dal BMI4. Il Body MassIndex è calcolato come il peso in chilogrammi diviso per il quadrato dell’altezza espressa inmetri. In accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità si definisce sottopeso un indivi-duo con BMI inferiore a 18,5 kg/m2, normopeso nel caso in cui il BMI sia compreso tra i 18,5ed i 24,9 kg/m2, sovrappeso se il BMI è compreso tra i 25,0 ed i 29,9 kg/m2 ed obeso se ilBMI è uguale o superiore a 30 kg/m2(5). In gravidanza il BMI è calcolato usando il peso pregra-vidico o, se questo è sconosciuto, il peso misurato alla prima visita ostetrica.

Complicanze in gravidanzaDisordini ipertensivi

Diversi studi dimostrano che l’obesità materna si associa ad un aumentato rischio di iper-tensione in gravidanza5-9. Edward e coll. riportano un’incidenza significativa di ipertensione ge-

226 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

stazionale tra le donne con BMI superiore a 29 kg/m2 rispetto al gruppo di controllo con unOR di 3.4 (95% CI =2.0-5.7)9. I risultati non sono invece del tutto concordi nell’affermare chel’elevato BMI materno rappresenti un fattore di rischio rilevante per lo sviluppo di pre-eclam-psia. Diversi studi dimostrano una forte correlazione dell’obesità materna con la pre-eclam-psia1,7,8,10,11, mentre altri denotano soltanto una lieve tendenza in questa direzione4,6.

In un lavoro condotto su 15.262 donne Thadani riporta una stretta correlazione tra il BMImaterno e lo sviluppo di ipertensione gestazionale e tra l’ipercolesterolemia materna e lo svi-luppo di pre-eclampsia. Dallo studio emerge che nelle donne pre-eclamptiche il livello di lipi-di sierici sia significativamente più elevato rispetto ai controlli (1.5 - 2 volte maggiore rispet-to al normale incremento gravidico) e come i vasi placentari vadano incontro a modificazio-ni aterosclerotico-simili, inclusi la deposizione di materiale fibrinoide, foam cells e prodotti del-la perossidazione lipidica, che sottendono il danno endoteliale e la vasocostrizione4.

La patogenesi del danno vascolare che sottende la pre-eclampsia può altresì essere spie-gata come manifestazione di una condizione di insulinoresistenza. In una riesamina sui fattoridi rischio ipertensivo nelle donne pluripare, Mostello afferma che la pre-eclampsia rappresen-ta una manifestazione clinica della sindrome da insulinoresistenza. Una condizione di iperin-sulinismo, quale quella tipica dell’obesità, è in grado di alterare le pompe cationiche intracel-lulari che regolano il tono vascolare e la pressione arteriosa, stimolare il sistema nervoso sim-patico ed indurre ipertrofia delle cellule muscolari lisce. Un aumentato livello di peptidi vaso-attivi che si associa all’iperinsulinemia può inoltre contribuire al danno endoteliale che è ca-ratteristico della pre-eclampsia, come della sindrome da insulinoresistenza11. La risposta vaso-dilatatoria risulta quindi sostanzialmente ridotta tramite meccanismi di disfunzione endotelia-le da un lato e muscolare liscia dall’altro.

Nel confermare una stretta correlazione tra obesità e comparsa di pre-eclampsia Ramsaye coll. ne hanno sottolineato una condizione comune: l’attivazione del sistema infiammatorio.Il riscontro di elevate concentrazioni di IL-6 e PCR in donne gravide obese rappresenta unpunto-chiave nella condizione di infiammazione cronica tipica dell’obesità, che correla negati-vamente con la funzionalità dell’endotelio (dimostrata da una minor risposta vasodilatatoriaall’acetilcolina) e positivamente con i livelli di insulina a digiuno, dimostrando quindi una pos-sibile implicazione anche nella patogenesi del diabete gestazionale1.

Da quanto riportato emerge come il quadro metabolico, infiammatorio e funzionale tipi-co delle donne obese possa predisporre ad una compromissione vascolare generale e con-tribuire quindi al meccanismo attraverso il quale l’adiposità materna risulta associata alla com-parsa di pre-eclampsia.

Una review del 2003 condotta da O’Brien e coll. su 13 studi di coorte, con un totale di1,4 milioni di donne, riporta che il rischio di pre-eclampsia risulta raddoppiato per ogni incre-mento di BMI pregravidico di 5-7 kg/m2(10). I meccanismi patogenetici che sottendono talestretta correlazione sono molteplici: l’ipertrigliceridemia tipica della sindrome metabolica, di

227GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

cui l’obesità rappresenta la maggior espressione clinica, rappresenta un fattore di rischio perla disfunzione endoteliale. L’iperlipidemia può alterare la regolazione prostaglandinica portan-do a vasocostrizione arteriolare. Altri marcatori dell’insulinoresistenza, come il PAI (inibitoredell’attivatore del plasminogeno), la leptina ed il TNF (fattore di necrosi tumorale), appaionoaumentati nelle donne con pre-eclampsia.

Dai dati raccolti presso il nostro Dipartimento emerge una prevalenza di pre-eclampsiaprogressivamente maggiore in relazione al BMI materno, con il 5.6% tra le donne sottopeso,il 13.4% tra le normopeso, il 50% tra le sovrappeso ed il 51% tra le obese.

L’obesità rappresenta infine il maggior fattore di rischio della sindrome da apnea nottur-na, condizione clinica comunemente riscontrata in gravidanza che si caratterizza non solo perepisodi di ipossia materna, ma anche per aumento della pressione arteriosa durante i perio-di ostruttivi.

Diabete GestazionaleL’obesità addominale è caratterizzata da un aumento di volume delle cellule adipose e da

più elevati livelli di lipolisi basale, che si traducono in un incremento del flusso portale di aci-di grassi liberi. Questi ultimi creano i presupposti per l’iperinsulinemia, da un lato stimolandola gluconeogenesi e la comparsa di iperglicemia e dall’altro interferendo con l’attività epato-cellulare di degradazione insulinica. Elevate concentrazioni di insulina riducono il numero deirecettori (down regulation) e con esso, l’effetto dell’insulina stessa. Il mantenimento di unacondizione di euglicemia richiede pertanto un incremento progressivo della secrezione insu-linica. La gravidanza, che rappresenta una condizione di stress sul metabolismo glucidico, puòcompromettere questo delicato equilibrio. Si ha quindi una riduzione della sensibilità della Bcellula, non più in grado di far fronte alle aumentate esigenze metaboliche e la comparsa didiabete gestazionale (fase ipoinsulinemica). L’eccessivo incremento ponderale contribuisce ul-teriormente a questo sbilanciamento e rende più difficoltoso il ritorno al peso pregravidicodopo il parto8.

Molteplici studi documentano un incrementato rischio di diabete gestazionale tra le don-ne obese1,4,7,8,12-15. In uno recente, prospettico, multicentrico, condotto su 16.102 casi è statoriscontrato un elevato rischio di diabete gestazionale tra le donne obese ed in particolare traquelle affette da obesità morbosa (BMI ≥ 35 kg/m2) rispetto al gruppo di controllo con unOR di 2.6 (95% CI 2.1-3.4) e 4.0 (95% CI 3.15.2) rispettivamente14. Questi risultati concor-dano con quelli precedenti di altri autori, che riportano un’incidenza di GDM del 24,5% perpazienti con BMI superiore a 40 rispetto al 2,2% in pazienti con BMI compreso tra 20 e 24,97.Bianco denota la comparsa di GDM nel 14,2% di donne con BMI superiore a 35 rispetto al4,3% in caso di BMI compreso tra 19 e 2712.

Dai dati dello studio dell’IRCCS Burlo Garofolo emerge come il diabete gestazionale, ana-logamente alla pre-eclampsia, presenti un andamento progressivo in termini di prevalenza in

228 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

relazione all’aumento del BMI materno, con il 5.6%, 9.4%, 17.4% e 33% tra le donne sottope-so, normopeso, sovrappeso ed obese rispettivamente3.

Complicanze tromboembolicheL’aumentato rischio tromboembolico nella gestante è stato documentato ampiamente in

Letteratura. Condizioni di ipercoagulabilità, stasi venosa e danno vascolare configurano la tria-de di Virchow tipicamente ben rappresentata in gravidanza e puerperio. In presenza di obe-sità materna queste alterazioni vascolari diventano tanto più marcate da incrementare il ri-schio tromboembolico venoso da cinque a sei volte16. Un danno marcato alla fibrinolisi conincremento dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI) rappresenta alterazioni comu-ni alla gravidanza ed all’obesità. Il PAI infatti è il risultato di una aumentata produzione placen-tare da un lato17 e della sindrome da insulinoresistenza dall’altro18, con una stretta correlazio-ne all’aumento del BMI. Anche la prolattina e la leptina sono aumentate nella gestante ed inpresenza di obesità materna, e rappresentano fattori di rischio elevato per tromboemboli-smo venoso nella misura in cui svolgono il ruolo di coattivatori dell’aggregazione piastrinicaADP- dipendente. A tutto ciò vi si aggiunge anche la riduzione delle prostacicline19 e del mo-nossido d’azoto (NO) nell’obesità e l’aumento del fibrinogeno e la diminuzione della protei-na S gestazionali. Considerando tutto ciò non stupisce come innumerevoli studi citino l’obe-sità quale uno dei maggiori fattori di rischio per eventi tromboembolici in gravidanza16,17, 20-22.

Una precisa correlazione tra l’obesità e le possibili complicanze tromboemboliche non èstata descritta in alcuno studio prospettico.

Da uno studio retrospettivo del 1996 condotto su 683 pazienti obese e altrettanti con-trolli emerge un rischio tromboembolico del 2,5% per le donne con BMI superiore a 29 kg/m2

rispetto allo 0,6% delle donne normopeso9.Nel report del 2001 del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists vengono descrit-

ti 31 casi di morte materna da tromboembolismo negli Stati Uniti tra il 1997 ed il 1999, trai quali si annoveravano 13 donne obese. In conclusione viene affermato che l’obesità è il piùcomune fattore di rischio indipendente per tromboembolismo venoso23. Questo concetto vie-ne enfatizzato anche in termini di profilassi in gravidanza e puerperio all’interno delle lineeguida comportamentali del RCOG del 2004. Viene consigliata una profilassi antenatale conLMWH, anche in assenza di pregressi episodi tromboembolici anamnestici o trombofilia do-cumentata, qualora il giudizio del Clinico denoti la presenza di uno o due fattori di rischio im-portanti nella donna gravida. La prosecuzione della profilassi eparinica nel periodo puerpera-le è indicata per 3 - 5 giorni qualora i fattori di rischio documentati siano due o più. L’obesitàestrema (BMI >35 kg/m2) è considerata una condizione clinica in grado di giustificare da so-la la somministrazione eparinica a scopo profilattico24. Riteniamo che in caso di obesità ma-terna con BMI inferiore a 35 kg/m2 la presenza di un unico fattore di rischio aggiuntivo giusti-fichi la profilassi con LMWH in gravidanza e puerperio.

229GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

Sistema epatobiliareTra le complicanze correlate all’obesità in gravidanza le ripercussioni sul sistema epatobi-

liare rappresentano un capitolo non meno importante.Il fegato dell’obeso sintetizza una maggior quantità di colesterolo che viene ipersecreto

con la bile, dove risulta aumentato l’indice litogeno; quest’ultimo, in concomitanza con la ri-dotta motilità colecistica, indotta dal clima ormonale gravidico, si traduce in un aumento del-la prevalenza della calcolosi colesterinica. Questa condizione può ripercuotersi negativamen-te sul metabolismo epatobiliare sino alle forme cliniche di steatosi, fibrosi e necrosi epatoci-taria.

Biochimicamente lo stress ossidativo e la perossidazione lipidica sono implicati nella pa-togenesi della epatosteatosi, probabilmente come risultato dell’accumulo di acidi grassi libe-ri all’interno dei mitocondri e l’induzione del citocromo P450 negli epatociti e nelle celluledel Kupffer25.

Un recentissimo studio condotto su 3.254 donne ha valutato prospetticamente l’inciden-za, la storia naturale ed i fattori di rischio coinvolti nella stasi biliare e calcolosi gravidica e po-stpartale. Dallo studio è emerso come il BMI pregravidico rappresenti un forte fattore pre-dittivo nei confronti di patologie colecistiche ed epatobiliari (P < 0.001) e come la leptinasierica costituisca un fattore di rischio indipendente per le suddette patologie (odds ratio peraumento di 1 ng/dL: 1.05; 95% CI, 1.01, 1.11), anche dopo correzione per BMI26.

I risultati di questo studio concordano con quelli retrospettivi di Lindseth, che riportanoun BMI pregravidico significativamente più elevato nelle gestanti con colelitiasi rispetto ai con-trolli27.

L’attività fisica e le abitudini alimentari rivestono un ruolo fondamentale in termini di pre-venzione nei confronti di patologie epatobiliari, in particolar modo nelle gestanti a rischio perelevato BMI. In una review del 2004 si sottolinea che l’associazione di un elevato apporto dicolesterolo con la dieta e la comparsa di patologie della colecisti siano state documentate indiversi studi e si afferma che un moderato consumo di alcol ed un apporto adeguato di fi-bre rappresentano dei fattori protettivi, mentre il consumo di zuccheri semplici e di grassi sa-turi aumentano il rischio28.

Complicanze fetali in termini di morbidità e mortalitàMacrosomia fetale

L’obesità si associa frequentemente ad un’accelerazione della crescita fetale, comportan-do una maggior incidenza di nati macrosomi4,7,8,12-15.

Da uno studio di coorte su 613 donne affette da obesità severa (BMI > 35 kg/m2) emer-ge che in queste ultime il rischio di partorire un neonato grande per età gestazionale è del

230 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

18,2%, rispetto all’11,2% delle donne normopeso, con un OR di 1.8 dopo correzione per dia-bete gestazionale e pregravidico12.

Nello studio prospettico multicentrico Newyorkese su 16.102 pazienti di cui 1.473 obe-se e 877 con obesità morbosa, viene riportato che le donne obese e quelle con obesità se-vera hanno un rischio significativamente più elevato delle normopeso di partorire un neona-to con peso superiore ai 4.000 g (OR 1.7 ed 1.9 rispettivamente) ed anche ai 4.500 g (OR2.0 e 2.4 rispettivamente)14.

Dai dati raccolti nel nostro studio, sopra citato, in merito all’accelerazione della crescita fe-tale emerge una prevalenza del 4.5% tra le donne normopeso, 9.2% tra le sovrappeso e 21.6%tra le obese. Risultati analoghi si hanno per la macrosomia fetale anche dopo correzione perdiabete gestazionale (16% e 17% tra le donne sovrappeso ed obese, rispetto al 4% e 7% del-le donne normopeso e sottopeso, con un OR di 1 per BMI<20, 1.85 per BMI 20-25, 4.66 perBMI 25-30 e 4.96 per BMI>30)3.

L’aumento del peso fetale che si realizza in queste donne è proporzionale a due indipen-denti fattori: il peso materno pregravidico e l’incremento di peso in gravidanza29. L’elevata con-centrazione di acidi grassi liberi nel plasma materno durante la gravidanza favorisce la lipoge-nesi fetale. Ne risulta un aumento del deposito adiposo nel feto, con distribuzione prevalen-temente viscerale8.

Una condizione di iperglicemia cronica materna si ripercuote inoltre a livello fetale, favo-rendo lo sviluppo di insulinoresistenza e rappresentando uno stimolo alla secrezione insulini-ca. Questa ultima ha un effetto anabolico e lipogenico e può essere considerata a tutti gli ef-fetti l’ormone responsabile della macrosomia30.

Da questa condizione clinica derivano dei rischi intrapartali, di cui il principale è rappre-sentato dalla distocia di spalla, e postnatali, quale il possibile sviluppo di sindrome metabolicainfantile31.

Nella maggioranza degli studi condotti l’obesità materna non è stata identificata come fat-tore di rischio indipendente per la distocia di spalla. Essa tuttavia, come affermato in prece-denza, predispone alla macrosomia fetale, che è considerata l’unico significativo fattore pre-dittivo nei confronti di questa temibile complicanza ostetrica4.

C’è da aggiungere inoltre che un outcome non significativo di distocia di spalla tra le don-ne obese può essere ricondotto ad un management ostetrico particolarmente attento, conil ricorso ad un taglio cesareo elettivo ogni qual volta sia presente un sospetto clinico di fe-to macrosoma.

I delicati equilibri metabolici che caratterizzano l’ambiente fetale in una gravida obesa nonsono scevri di rischi che si percuotono potenzialmente a lungo termine. Da uno studio lon-gitudinale di coorte pubblicato quest’anno emerge che il rischio di sviluppo della sindromemetabolica infantile risulta significativamente aumentato per i bambini LGA (large for gestatio-nal age) nati da madri obese, pur in assenza di diabete gestazionale31.

231GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

IUGR, morte fetale tardiva e outcome neonataliLa possibile associazione tra l’obesità materna ed outcome fetali avversi è stata studiata

da diversi autori con risultati parzialmente contrastanti. Sebbene pochi studi citassero in pas-sato un incremento del rate di feti Small for Gestational Age (SGA) tra le gestanti obese ri-spetto a quelle normopeso32, la quasi totalità degli stessi ha documentato l’assenza di una si-gnificatività statistica in merito4,7,12. Oltre a ciò è importante sottolineare che la più elevataincidenza di IUGR notata in alcuni trials debba essere attribuita piuttosto ad una condizionedi ipertensione cronica o di vasculopatia diabetica materna sovrimposta7.

Alcuni Autori viceversa riportano che il tasso di SGA nelle madri obese appare significa-tivamente ridotto13.

Il rischio di morte endouterina tardiva fetale tra le gestanti obese è stata studiata da al-cuni autori riportando risultati significativi. In un recentissimo studio di coorte condotto su24.505 gravidanze l’obesità materna risulta associata ad un rischio più che raddoppiato dimorte endouterina tardiva fetale (OR 2.8, 95% CI 1.5-5.3) e morte neonatale (OR 2.6, 95%CI 1.2-5.8)19. Questi dati sono in accordo con quelli pubblicati nel 2001 da uno studio lon-dinese che riportava tra le donne nullipare un’incidenza di MEU tardiva tanto maggiore al-l’aumentare del BMI, con un OR di 2.2 (95% CI 1.2-4.1) per le donne normopeso, 3.2 (95%CI 1.6-6.2) per le sovrappeso e di 4.3 (95% CI 2.0-9.3) per le donne obese33.

La MEU nelle donne obese si presenta con frequenza maggiore verso il termine di gra-vidanza, se non successivamente alla nascita, con una causa più frequentemente inspiegata. Èstato riportato che generalmente si trattasse di SGA. Questo dato è sicuramente discutibi-le, considerando la possibilità di valutare il peso soltanto alla nascita e non alla data esattadella morte ed al margine di errore ben noto della stima peso ecografica nel terzo trime-stre di gravidanza.Tuttavia, con i dovuti limiti, l’associazione non appare tanto forzata consi-derando la disfunzione placentare che sottende entrambe le condizioni. L’obesità infatti è as-sociata a disturbi del sistema endocrino, con possibile riduzione della secrezione di prosta-cicline ed aumento del trombossano, rischio di trombosi placentare ed ipoperfusione dellastessa. Questo rischio può inoltre aumentare in caso di insulinoresistenza, iperlipidemia e di-minuzione dell’attività fibrinolitica.

L’aumentato rischio di morte endouterina tardiva può così essere attribuita ad una di-sfunzione dell’unità fetoplacentare, con comprosmissione del flusso ematico della stessa19.

Un ultimo accenno in termini di outcome fetale è doveroso. Da diversi studi emerge unamaggiore morbidità neonatale. Questo non stupisce se si considera che i nati di madri obe-se sono per lo più macrosomi e talvolta esposti ad un ambiente intrauterino alquanto sfa-vorevole.

Kumari riporta un tasso di ammissione alla terapia intensiva neonatale tra le donne obe-se del 16% vs 4% delle normopeso. Questi dati sono in accordo con quanto riportato daBongain e coll.8.

232 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

Malformazioni congeniteDiversi studi in letteratura documentano un’associazione tra il peso materno pregravidi-

co e la comparsa di malformazioni congenite embrionali a carico del sistema nervoso cen-trale.Waller e coll. riportano da uno studio caso controllo su 1.370 coppie madre- bambinoche le donne affette da obesità severa (BMI pregravidico >= 31 kg/m2) hanno un rischio si-gnificativamente aumentato di partorire un bambino affetto da anomalie del tubo neurale (OR1,8; 95% CI = 1,1-3,0) e da altri tipi di malformazioni maggiori a carico del sistema nervosocentrale34.Werler e coll. concordano con tali risultati riportando un RR per anomalie del tu-bo neurale aumentato a 1,9 (95% CI= 1,2-2,9) per donne con peso compreso tra 80 ed 89kg ed a 4,0 (95% CI=1,6-9,9) per donne con peso superiore ai 110 kg rispetto ai controllicon peso 50-59 kg35. Nello stesso studio sottolineano come un apporto dietetico giornalie-ro di 400 mg di acido folico riduca il rischio di malformazioni del tubo neurale del 40% sola-mente tra le donne con peso inferiore ai 70 kg, mentre tra quelle con peso superiore nonsia possibile riscontrare alcun beneficio in termini di prevenzione.

Un recentissimo studio caso-controllo stima la prevalenza di obesità materna e diabetegestazionale tra le mamme di neonati affetti da diversi tipi di malformazioni a carico del si-stema nervoso centrale e riporta che le donne obese presentano un rischio sostanzialmen-te aumentato di partorire un neonato affetto da anencefalia (OR 2,3; 95% CI=1,2-4,3), spinabifida (OR 2,8; 1,7-4,5) o idrocefalo (OR 2,7; 1,5-5,0), mentre è possibile riscontrare un au-mento del rischio di oloprosencefalia (OR 47; 9,5-230) ed idrocefalo (OR 12; 2,9-47) tra ineonati di madri diabetiche tipo 1 e 2 e di oloprosencefalia isolata (OR 2,9; 1,0-8,4) in casodi diabete gestazionale36. Dal medesimo studio emerge come l’OR aumenti con evidenza dieffetto moltiplicativo in caso di presenza combinata di obesità materna e diabete gestaziona-le. Questo ultimo dato concorda con quanto riportato da una recente valutazione prospet-tica condotta da Moore nel 2000, che sottolinea un rischio 3 volte aumentato di malforma-zioni fetali in caso di presenza combinata di diabete ed obesità materna, sebbene smentiscauna correlazione tra obesità isolata ed anomalie del tubo neurale37.

Tra gli studi rivolti alla valutazione del rischio malformativo fetale tra le donne obese emer-gono anche alcuni dati a favore di un aumentato rischio di anomalie congenite cardiache.Watkins evidenzia un OR di 2,0 con 95% CI=1,2-3,438, mentre Mikhail riporta tra le donneobese afro-americane un OR di 6,5 con 95% CI=1,2-34,9; (P = 0.025) dopo correzione perdiabete gestazionale39.

L’obesità ed il diabete sottendono anomalie metaboliche analoghe, tra le quali l’insulino-resistenza e l’iperinsulinemia rappresentano le maggiori espressioni biochimiche. L’aumentatorischio malformativo congenito associato ad entrambe le condizioni può essere quindi espres-sione di una disfunzione metabolica sottostante comune presente già nelle prime settimanedi gestazione, durante la fase dell’embriogenesi. Questa ipotesi è supportata dall’osservazio-ne che uno scarso controllo glicemico nelle fasi iniziali della gravidanza aumenta il rischio di

233GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

comparsa di anomalie embrio-fetali. In caso di diabete gestazionale infine si può dire che no-nostante la forma clinica conclamata si renda nota in fasi più tardive della gravidanza, anoma-lie metaboliche latenti già presenti nel primo trimestre siano coinvolte in maniera più direttacon l’eziopatogenesi della malformazione fetale36.

Parto pretemineL’incidenza di parto pretermine tra le gestanti obese è stata analizzata da diversi autori in

Letteratura con conclusioni alquanto contrastanti.In uno studio prospettico multicentrico condotto su 16.102 pazienti e pubblicato nel 2004

le donne affette da obesità severa (BMI > 35) presentano un rischio significativamente piùelevato rispetto ai controlli di partorire un neonato pretermine (OR 1.5 95% CI 1.1–2.1)14,40.Alcuni trials viceversa riportano l’assenza di significatività statistica nei risultati41,42, altri ancorasi collocano in netta contrapposizione riportando un rischio di parto pretermine significati-vamente ridotto tra le gestanti con obesità severa (p< 0,001)7 e persino tra quelle definitesemplicemente obese (OR 0,57; 95% CI=0,39-0,83; p=0,003)43.

La variabilità nei risultati riscontrati nei diversi studi può essere ricondotta alle differentipopolazioni analizzate, alle differenti definizioni di parto pretermine utilizzate, comprendentitalora quello spontaneo, altre volte anche quello iatrogeno. Un chiaro esempio è rappresen-tato dalla preeclampsia, che non di rado complica la gravidanza di una donna obesa e può in-durre l’Ostetrico ad un espletamento del parto per via addominale prima del termine.

L’analisi di Hendler43 ha il pregio, rispetto ad altri studi, di analizzare i dati in maniera pro-spettica e di correggerli per fattori confondenti associati al parto spontaneo pretermine.

Un’ultima considerazione riguarda l’epoca gestazionale: i parti spontanei verificatisi in epo-che gestazionali precoci (<30 settimane) possono essere ricondotti più chiaramente ad un’in-fezione ed infiammazione intraamniotica43. L’obesità materna, com’è noto, si caratterizza perun aumento della produzione di citochine sistemiche proinfiammatorie e può quindi contri-buire all’innesco o alla progressione di quei meccanismi che sottendono la rottura prematu-ra delle membrane in epoca precoce.Altrettanto non si può dire per epoche gestazionali suc-cessive, in cui la dimostrazione di una correlazione tra parto pretermine e malnutrizione (inparticolare carenza di proteine, calorie, vitamine e minerali) supporta la tesi a favore di un di-minuito rischio di parto pretermine tra le donne obese43.

Complicanze intrapartumTravaglio distocico, operatività vaginale e taglio cesareo

Diversi studi in letteratura documentano come le donne obese siano esposte ad un ri-schio più elevato di travaglio di parto disfunzionale rispetto alla popolazione generale, sebbe-

234 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

ne soltanto pochi tra questi ed in maniera non del tutto uniforme ne delineino le caratteri-stiche. Nell’analisi condotta presso il nostro Dipartimento tra le donne obese e quelle coneccessivo incremento ponderale gravidico risulta nettamente aumentata l’incidenza di opera-tività vaginale e taglio cesareo, con una parallela diminuzione del rate di parti spontanei3.

Uno studio retrospettivo su 4.285 donne riporta un maggior ricorso all’infusione ossito-cica ed all’amnioressi precoce per le gestanti sovrappeso ed obese rispetto alle normopeso,con valori statisticamente significativi. Anche il tasso di travagli disfunzionali primitivi ed il ri-schio di sproporzione cefalo-pelvica risulta maggiore tra le donne sovrappeso (35% e 3% ri-spettivamente), come pure tra le obese (44% e 6% rispettivamente) rispetto alle normope-so (25% ed 1% rispettivamente)44.

Il maggior ricorso all’induzione ed all’augmentatio ossitocica nelle donne obese non è con-diviso da tutti gli autori: taluni infatti ne riportano un aumentato rate attribuibile ad un’inade-guata attività contrattile uterina durante la prima fase del travaglio8,44, mentre altri smentisco-no tale dato, suggerendo una natura prevalentemente meccanica della distocia, correlata mag-giormente ad un’anomala architettura pelvica12. Gli aumentati depositi nei tessuti molli dellapelvi materna determinano una restrizione del canale del parto, prolungando il travaglio, inparticolare nel secondo stadio. D’altro canto la presenza di un feto grande per età gestazio-nale, non di rado riscontrabile nelle donne obese, contribuisce alla più difficoltosa progressio-ne della fase dilatante14,45.

Uno studio prospettico di recente pubblicazione condotto su 612 donne nullipare a ter-mine riscontra una più lenta progressione del travaglio di parto tra le donne sovrappeso edobese rispetto ai controlli, attribuibile ad una più lenta dilatazione della cervice uterina, dai 4ai 6 cm per le donne sovrappeso ed entro i 7 cm tra le obese45.

Queste patologiche condizioni ostetriche creano i presupposti per un parto operativo,traumi neonatali intrapartali (distocia di spalla, lesioni del plesso brachiale, frattura della clavi-cola), traumi materni (lacerazioni vulvari o perineali) o per il ricorso ad un taglio cesareo d’ur-genza in travaglio8,13.

Alcuni autori riportano anche un aumentato rate di parti operativi vaginali tra le donneaffette da obesità severa (OR 1,7 95% CI 1,2-2,2)14 o anche soltanto tra le donne obese(p<0.001)13, sebbene non tutti gli studi concordino con questi risultati8.

Un netto aumento del tasso di tagli cesarei tra le donne obese è condiviso da gran par-te degli autori in Letteratura8,14.

Le indicazioni andrebbero ricondotte non solo in maniera diretta all’obesità, con un mag-gior rate di sproporzione feto-pelvica, mancata dilatazione della cervice uterina, distress feta-le e fallimento dell’induzione del travaglio di parto, ma anche alle complicanze ad essa corre-late quali l’ipertensione gestazionale ed il diabete mellito7,8,13. In termini di aumentato rischiodi taglio cesareo correlato all’obesità alcuni autori prendono in considerazione non soltantoil BMI pregravidico, bensì anche l’aumento di peso in gravidanza, che, assieme all’altezza ma-

235GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

terna ed il peso neonatale, rappresenta un fattore di rischio non meno significativo46.In accordo con quanto riportato, nell’analisi da noi condotta sull’obesità emerge tra le don-

ne con elevato BMI un’ incidenza di taglio cesareo elettivo maggiore rispetto alle normope-so, mentre tra quelle con eccessivo incremento ponderale è riscontrabile una maggior pre-valenza di tagli cesarei d’urgenza in travaglio3.

Da uno studio multicentrico su una larga coorte di soggetti emerge che il rischio di tagliocesareo risulta aumentato progressivamente all’aumento del BMI pregestazionale, con un ORdi 1.8 tra le donne obese (95% CI=1.6-2.2) ed un incremento del 7% per ogni aumento uni-tario del BMI pregravidico47. Ehrenberg e coll. riportano in una recente pubblicazione da unostudio condotto su una larga coorte di soggetti che l’obesità pregravidica rappresenta un fat-tore di rischio indipendente nei confronti del parto cesareo, con un OR di 1,5 tra le sovrap-peso (95% CI=1.3-1.8) e 2,4 tra le obese (95% CI=2.0-2.9), con P<0,0001 per entrambi igruppi48.

L’obesità rappresenta inoltre un fattore di rischio indipendente per fallimento del trava-glio di prova in pazienti con pregresso taglio cesareo. Goodall e coll. riportano in un recen-tissimo studio retrospettivo su 725 pazienti un OR di 1,99 (95% CI=1,2-3,3) tra le donneobese ed un OR di 2,22 (95% CI=1,11-4,44) nel gruppo delle donne con obesità severa, conp = 0,0349. Risultati analoghi sono riportati anche da Durnwald e coll., che aggiungono una ul-teriore considerazione: le donne con un BMI normale che aumentano di peso prima della se-conda gravidanza hanno diminuite probabilità di partorire per via vaginale dopo pregresso ta-glio cesareo rispetto a quelle il cui BMI resta normale (56,6% verso 74,2%, P=0,006).Viceversale donne in sovrappeso che raggiungono un BMI normale prima della seconda gravidanza nondimostrano un aumento del successo di parti vaginali dopo parto cesareo (64% verso 58,4%,P=0,67)50.

Complicanze perioperatorie, puerperali ed a lungo termineSvariate peculiarità anatomiche che caratterizzano una donna obesa rispetto ad una nor-

mopeso possono creare delle difficoltà in alcune procedure operative anche di semplice ese-cuzione. L’aumento del grasso sottocutaneo può determinare la perdita di comuni reperi ana-tomici e creare difficoltà nel trovare un accesso arterioso o venoso, posizionare un cateteri-no peridurale o spinale. La conformazione grossa del collo può determinare problemi nel con-trollo delle vie aeree, rendendo più difficile l’intubazione e la ventilazione, per cui talvolta ri-sulta necessario l’ausilio di un broncoscopio4.

È stato dimostrato dalla pratica clinica, oltre che da diversi studi, che l’obesità può deter-minare un maggior rischio di perdita ematica peripartum intraoperatoria, aumento della du-rata dell’intervento chirurgico ed una maggior necessità di utilizzo di uterotonici4,14.

236 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

L’obesità inoltre rappresenta un fattore di rischio significativo per l’insorgenza di emorra-gia nel postpartum4,14. Bongain riporta un rischio aumentato di due volte8, Castro stima il ri-schio globale attorno al 70%40.

Le complicanze postoperatorie più comuni sono rappresentate da infezioni, deiscenza del-la ferita chirurgica, endometriti puerperali e tromboembolismo venoso4,14,15. Myles e coll. ri-portano che l’obesità rappresenta un fattore di rischio indipendente per infezioni postcesa-reo (23,4% verso 8,5%, P<0,001, RR=3,3, 95% CI=1,6-6,8) ed endomiometriti (15,9% versus5,0%, P<0,001 RR=3,3, 95% CI=1,6-6,8) anche in caso di elettività e profilassi antibiotica52.Queste complicanze sono state evidenziate in puerperio anche in donne grandi obese nonsottoposte a taglio cesareo8,12.

In riferimento all’entità del rischio per la donna al momento del trattamento chirurgicoed anestesiologico l’obesità moderata è classificata come ASA II, mentre l’obesità severa co-me ASA III.

Nonostante il frequente riscontro di tali complicanze non vi sono in Letteratura linee gui-da dell’evidence based medicine che indirizzino l’Ostetrico nella pratica clinica. Alcuni autorituttavia sostengono che la morbidità infettiva postoperatoria possa essere ridotta favorendoil secondamento spontaneo, evitando la chiusura del peritoneo viscerale e posizionando undrenaggio in aspirazione.Vi è largo consenso sulla somministrazione di antibiotici a scopo pro-filattico perioperatorio40,51, tuttavia non vi sono dati in Letteratura a favore dell’estensione del-la profilassi antibiotica anche al parto spontaneo.

Infine è doveroso anche per l’ostetrico non dimenticare le possibili ripercussioni a lungotermine di una condizione clinica di obesità gravidica e di un eccessivo incremento di peso ingravidanza. Un eccessivo incremento ponderale in gravidanza ed un mancato ritorno al pesopregravidico entro i primi 6 mesi dopo il parto rappresentano importanti fattori predittivi del-l’obesità a lungo termine e conseguentemente dei rischi ad essa correlati52.

ConclusioniLa gravidanza in una donna obesa, in relazione ai fattori di rischio correlati, deve essere

considerata certamente come ad alto rischio.Un councelling preconcezionale risulta estremamente importante, finalizzato non solamen-

te ad informare la coppia dei rischi materno-fetali derivanti dalla situazione clinica materna,ma anche ad indirizzare la donna verso un programma di normalizzazione del peso corpo-reo. Nelle linee guida del National Institute of Health si raccomanda un calo del peso del 10%in 6 mesi in periodo preconcezionale53. Un misura preventiva nei confronti della comparsa dianomalie fetali del tubo neurale è rappresentata dall’integrazione dietetica materna con cir-ca 7 mg/die di acido folico già dai 3 mesi precedenti al concepimento.

237GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

Il management della gravidanza prevede i seguenti accorgimenti clinici:- Una stretta osservazione dell’aumento di peso corporeo

L’Institute of Medicine, sottolineando la correlazione tra l’aumento di peso in gravidanzaed il peso neonatale, raccomanda per le donne sovrappeso un aumento complessivo di 15-25 pounds (7-11 kg circa) e per le obese di 15 pounds (7 kg circa) in gravidanza40. Il fabbiso-gno energetico giornaliero totale in una donna gravida è di 2500 - 2700 Kcal. Un apporto di25 kcal/peso corporeo/die risulta adeguato in relazione al BMI, ed andrebbe ulteriormentecorretto per età materna e grado di aumento ponderale.

La dieta più opportuna prevede il consumo di carboidrati complessi, proteine, verdure,cereali, frutta, lipidi in moderata quantità, evitando i grassi saturi e gli zuccheri semplici (ridot-ti al 35-40% delle calorie assunte). Una supplementazione alimentare con ferro ed acido ascor-bico ed un moderato consumo di alcol sono risultati protettivi nei confronti della colelitiasigravidica27.

- Attività fisicaVa incoraggiato un moderato esercizio fisico di tipo aerobico costante e continuativo. Un

programma adeguato è rappresentato da 50 minuti di nuoto o di ciclette per 5 giorni allasettimana, ma può essere adattato alle esigenze della singola paziente.

- Screening per intolleranza glucidica, diabete gestazionale e disordini ipertensiviDiversi Autori concordano nel consigliare una curva glicemica breve in epoca preconce-

zionale e, qualora risulti negativa, una ripetizione a 26 settimane di gestazione40. La pressionearteriosa va monitorata strettamente usando un appropriato bracciale ed invitando la pazien-te ad eseguire ripetute misurazioni domiciliari.

- Profilassi eparinicaIn riferimento alle linee guida del Royal College of Obstetricians and Gynecologists del 200424

riteniamo opportuno effettuare uno screening del profilo trombofilico congenito ed acquisi-to precoce in gravidanza nella donna obesa, allo scopo di intraprendere una profilassi conLMWE in gravidanza e nei primi giorni del puerperio in caso di positività dello stesso. Perl’obesità severa consideriamo indicata la profilassi anche in assenza di trombofilia documen-tata.

- Screening ecografico per anomalie del tubo neurale ed altre possibili malformazioni fetali.Nella review di Castro e coll. del 2002 si raccomanda nel primo trimestre una valutazio-

ne ecografica e biochimica del rischio di anomalie cromosomiche fetali, seguita da una valu-tazione morfologica a 18-22 settimane40.A tali indicazioni, in relazione all’elevato rischio di ano-malie del tubo neurale nelle gestanti obese, aggiungiamo l’eventuale opportunità di eseguireun’ecografia morfologica iniziale a 16 settimane di gestazione, seguita da una successiva dicompletamento a 21 settimane, allo scopo di effettuare una diagnosi prenatale quanto piùprecoce possibile.Viene consigliata inoltre una valutazione ecografica della crescita fetale ag-

238 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Obesità e gravidanza

giuntiva in prossimità del termine con eventuale stima peso fetale, sebbene sia noto possie-da una scarsa accuratezza diagnostica4,40.

- Modalità di partoIn presenza di macrosomia fetale, in assenza di diabete gestazionale, appare opportuno

un taglio cesareo elettivo in caso di stima peso fetale superiore ai 4.500 g o 5.000 g, comeriportato da diversi autori40,54-58.

In presenza di diabete gestazionale materno, in accordo con le linee guida dell’ACOG econ i risultati di diversi studi in Letteratura, l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo è indica-ta in caso di stima peso fetale superiore ai 4000 g o 4250 g40, 59-62.

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Obesità e gravidanza

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2200PRE-ECLAMPSIA

LA PRE-ECLAMPSIA:UN DISORDINE MULTISISTEMICOS. Inglese, M. Zanette, M. Bernardon, R.Tercolo,V. Soini, E. Bianchini, GP. MasoDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

IntroduzioneStoricamente, i disturbi ipertensivi in gravidanza, rappresentano una delle principali com-

plicanze ostetriche: sebbene le definizioni e le conoscenze dei meccanismi fisiopatologici edeziopatogenetici siano cambiate nel tempo, la sindrome clinica che attualmente conosciamocome pre-eclampsia costituisce, sin dal passato, un capitolo fondamentale della patologia oste-trica, essendo responsabile di un’elevata percentuale di morbilità e mortalità materne e feta-li. Se nei paesi industrializzati le complicanze dell’ipertensione in gravidanza costituiscono unadelle due principali cause di mortalità materna1, si ritiene che nel mondo la pre-eclampsia, lacui frequenza è del 2-7%2,3, continui a provocare circa 50.000 morti/anno4. Numerosi sono gliaspetti che rendono peculiare questa condizione. Primo fra tutti, il fatto che la pre-eclampsiaè una sindrome specifica della gravidanza. Inoltre, la sua espressione clinica, lungi dall’essereunivoca, è caratterizzata da quella notevole variabilità che è propria delle sindromi multisiste-miche. Infine, nonostante le sempre più accurate possibilità di studio, gli esatti meccanismi ezio-patogenetici rimangono ignoti, precludendo, di conseguenza, la possibilità di un approccio cau-sale a tale patologia.

DefinizioneIl presupposto all’analisi dei vari aspetti della pre-eclampsia consiste nel fatto che, sul pia-

no concettuale, la definizione di questa condizione non coincide con i criteri classicamenteutilizzati per fare la diagnosi. Mentre da un punto di vista diagnostico è sufficiente la presen-za di ipertensione e proteinuria, la definizione di pre-eclampsia è quella di una patologia mul-tisistemica che ha la potenzialità di coinvolgere tutti gli apparati. Fare la diagnosi di pre-eclam-psia implica, quindi, dal punto di vista concettuale, la consapevolezza che tutti i sistemi posso-no essere coinvolti con una severità e una rapidità di progressione variabili e poco prevedi-bili.

Da un punto di vista pratico, è importante sottolineare che la pre-eclampsia non rappre-senta l’unica forma di ipertensione in gravidanza: a fronte delle complicanze caratteristiche,

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

spesso gravi, di questa sindrome, occorre tenere presente che casi di ipertensione severa sen-za proteinuria possono essere associati ad una morbilità materna e perinatale più elevata ri-spetto alle forme di pre-eclampsia lieve5.Tali considerazioni hanno reso sempre più forte lanecessità di un inquadramento della pre-eclampsia nel contesto più ampio dei disordini iper-tensivi in gravidanza.

A tale proposito sono state formulate diverse classificazioni, nessuna delle quali, tuttavia,ha ottenuto un consenso unanime. Secondo quella proposta dall’ACOG6, l’ipertensione in gra-vidanza può essere suddivisa in:

- ipertensione cronica: pressione arteriosa >= a 140/90 mmHg prima delle 20 settimane digestazione o, se diagnosticata durante la gravidanza, persiste per sei mesi dopo il parto;

- pre-eclampsia/eclampsia: presenza di ipertensione (PA >= 140/90 mmHg dopo le 20 set-timane di gravidanza, confermata mediante due diverse misurazioni, in una donna prece-dentemente normotesa) associata a proteinuria (valore superiore a 300 mg/l in un cam-pione casuale di urina o un’escrezione superiore a 300 mg/24 ore).

- pre-eclampsia sovrapposta ad ipertensione cronica: comparsa di proteinuria in donne conipertensione preesistente, oppure improvviso aumento della pressione e della proteinu-ria o insorgenza di trombocitopenia, aumento degli enzimi epatocellulari in donne conpreesistente ipertensione e proteinuria.

- ipertensione gestazionale o transitoria: sviluppo di ipertensione nella seconda metà della gra-vidanza senza altri segni di pre-eclampsia.

Nonostante la proteinuria costituisca un segno diagnostico, e l’elemento di differenziazio-ne da altre cause di ipertensione, la sua assenza suggerisce comunque la diagnosi di pre-eclam-psia quando l’aumento pressorio è accompagnato da altri quadri sistemici tipici di questa sin-drome, quali trombocitopenia, iperuricemia, alterazione della funzionalità epatica senza altracausa, sintomi come cefalea severa, disturbi visivi, dolore epigastrico o in ipocondrio destroassociati a nausea e vomito.

La classificazione della Pre-eclampsia Community Guideline (PRECOG)7, supportata dalRCOG risulta per lo più sovrapponibile, con la differenza che la diagnosi di ipertensione èbasata solo sulla pressione diastolica, considerando come valore soglia 90 mmHg.

Rispetto alla precedente definizione della gestosi trisintomatica, quindi, le nuove classifica-zioni escludono l’edema come parametro diagnostico. Inoltre non è più considerato applica-bile il criterio basato sull’incremento di 30 mmHg della PA sistolica e di 15 mmHg della PAdiastolica qualora queste rimangano, in valore assoluto, inferiori a 140/90 mmHg: è ormai ac-certato che in questi casi l’outcome della gravidanza non risulta modificato.

La validità di queste classificazioni riconosce, tra i principali limiti, la difficoltà di individua-re l’insorgenza della patologia in donne con preesistente proteinuria e/o ipertensione poichè

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

tali condizioni comportano un’alterazione di base dei parametri utilizzati per la diagnosi dipre-ecampsia. Secondo la classificazione ACOG, la diagnosi di pre-eclampsia in tali circostan-ze può essere considerata solo altamente probabile6; in conclusione, i criteri tradizionali so-no appropriati per confermare la diagnosi di pre-eclampsia nella maggior parte di nullipare inassenza di patologie associate.

Dalla mancata invasione trofoblastica al disordine sistemicoL’evidenza che la pre-eclampsia si manifesta esclusivamente in gravidanza e si risolve con il

parto, ha storicamente suggerito come indiziato eziopatogenetico più probabile l’elemento piùcaratteristico della gravidanza, la placenta. Risale a circa 50 anni fa la prima osservazione di ri-dotto flusso ematico nelle placente di donne ipertese:8 lo studio istologico di biopsie placen-tari ha fornito una giustificazione a tale fenomeno, dimostrando l’assenza delle modificazionivascolari, legate al fisiologico processo di placentazione, nei casi affetti da pre-eclampsia9-11.Talievidenze hanno suggerito che la mancata invasione trofoblastica delle pareti delle arterie spi-rali e la conseguente compromissione della perfusione placentare costituiscono eventi chia-ve nella eziopatogenesi di tale patologia.

Fisiologicamente, le modificazioni arteriose si verificano in step successivi che si concludo-no con la perdita della componente muscolare della parete vascolare e, quindi, della capaci-tà di vasocostrizione. I precisi meccanismi che fisiologicamente regolano il processo di inva-sione trofoblastica sono ancora poco conosciuti: l’inevitabile conseguenza è una oggettiva dif-ficoltà a comprendere quali alterazioni di tali processi comportino la ridotta perfusione pla-centare.

Dal punto di vista teorico, ciascuno dei meccanismi di rimodellamento vascolare, a parti-re dalle più precoci modificazioni trofoblasto-indipendenti, potrebbe essere deficitario nelledonne destinate a sviluppare la pre-eclampsia. In realtà, si ritiene che il principale difetto inte-ressi la fase di invasione citotrofoblastica endovascolare, mentre quella interstiziale si verifi-cherebbe normalmente12. Nel complesso, si può speculare che l’invasione trofoblastica, para-gonabile per certi versi all’invasione tumorale, si differenzia da quest’ultima per il fatto di es-sere un processo altamente controllato: infatti, l’acquisizione del fenotipo invasivo da partedel trofoblasto deriva da una complessa regolazione spazio-temporale nella espressione dimolecole che conferiscono ad alcune cellule la peculiare capacità di invasione13,14. Tali fattorisono molecole di adesione cellulare (CAMs), metalloproteinasi di matrice (MMPs) e i loroinibitori tissutali (TIMPs), citochine, come TGF-beta ed i rispettivi recettori, tutti potenzialmen-te coinvolti nel fallimento del processo di incorporazione nella parete vascolare15. In partico-lare in placente di donne pre-eclamptiche è stata evidenziata la mancata espressione di mo-lecole di adesione simil-endoteliali, normalmente presenti sulla superficie delle cellule del tro-

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

foblasto endovascolare16. Altre ipotesi patogenetiche riguardano una difettiva secrezione dimatrice fibrinoide, un’alterazione della regolazione del processo di apoptosi, dell’espressionedi molecole di riconoscimento immunitario (HLA-G), ed infine, l’aumento delle concentrazio-ni di ossigeno15. Nelle prime settimane di gravidanza, infatti, la condizione di ipossia fisiologicaconseguente alla presenza endovascolare del trofoblasto potrebbe rappresentare un precisomeccanismo di regolazione genica; a conferma di questa ipotesi, alcuni studi hanno dimostra-to l’associazione di outcome sfavorevoli con la presenza di flusso intervilloso nel I trimestre17.

Se la patogenesi della mancata invasione trofoblastica, sebbene ancora da definire, ha tro-vato una direzione interpretativa, l’eziologia rimane ad uno stadio puramente speculativo.Allostato attuale, una delle ipotesi più accreditate è quella immunitaria18,19, secondo la quale il ri-conoscimento immunitario materno del trofoblasto a livello della decidua, controlla la placen-tazione e, se deficitario, potrebbe causare un’alterazione di questo processo. L’invasione tro-foblastica, infatti, comporta uno stretto contatto tissutale tra cellule allogeniche e, inevitabil-mente, l’insorgenza di fenomeni di rigetto o tolleranza: a differenza di quanto si verifica nelleclassiche risposte immunitarie, tuttavia, i veri protagonisti di questi processi non sono i linfo-citi T, ma le cellule natural killer deciduali20. Tali cellule sono dotate di una classe di recettoripolimorfici, chiamata KIRs in grado di interagire con l’antigene HLA-C che rappresenta il prin-cipale antigene paterno polimorfo espresso dal trofoblasto. Ciascuna gravidanza, pertanto, ècaratterizzata da una diversa, specifica, combinazione di HLA-C fetale, di derivazione pater-na, e recettori KIRs materni20: il mancato riconoscimento immunitario tra queste molecole po-trebbe essere importante per lo sviluppo della pre-eclampsia21.

Un’altra ipotesi eziologica che desta particolare interesse è quella genetica: l’evidenza chela familiarità costituisce un importante fattore di rischio, ha suggerito che la predisposizionealla pre-eclampsia possa avere un substrato ereditario. Sono stati formulati diversi modelli ditrasmissione genica, da quella mendeliana di un singolo gene (a trasmissione recessiva o do-minante con penetranza determinata dal fenotipo fetale o da fattori ambientali), ad una ere-ditarietà multigenica, imputabile agli effetti additivi o moltiplicativi di più geni, ciascuno con ef-fetto individuale minimo22,23. In entrambi i casi, i geni responsabili di questa predisposizione,potrebbero essere quelli coinvolti nei diversi processi fisiopatologici della pre-eclampsia qua-li la regolazione della pressione arteriosa, l’infiammazione, lo stress ossidativo, la coagulazio-ne. Nonostante i risultati ottenuti dai vari studi siano notevolmente conflittuali, sono state ri-scontrate delle associazioni con specifici polimorfismi dei geni del sistema renina-angiotensi-na-aldosterone24, del gene del TNF-alfa25, della NO sintetasi26. I risultati di un ampio studio dipopolazione27 che prende in considerazione le mutazioni relative al fattore V Leiden, l’MTHRFC677T, la protrombina G20210A, il PAI-1 4G-5G e il recettore piastrinico del collagene al-fa2-beta1 C807T sembrano, invece, negare l’associazione con il genotipo protrombotico. Lareview sistematica della letteratura condotta dagli stessi autori sembra supportare tale con-clusione, anche se suggerisce che la malattia severa potrebbe essere associata al fattore V

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

Leiden e, in minor misura all’MTHFR: tali associazioni, inoltre, risultano significativamente evi-denti in alcune popolazioni rispetto ad altre. Poiché la prevalenza della pre-eclampsia è piùelevata in donne con anamnesi positiva per trombosi, fattori di rischio protrombotici non an-cora conosciuti potrebbero essere coinvolti nella eziopatogenesi.

L’alterazione del normale processo di placentazione costituisce il primum movens di unaserie di complessi meccanismi fisiopatologici capaci di coinvolgere virtualmente tutti i sistemimaterni. Occorre, a questo punto, definire come un fenomeno locale placentare possa tra-dursi in una condizione materna generalizzata. L’anello di congiunzione dovrebbe essere qual-cosa che, presente a livello sistemico, possa essere influenzato dalle reazioni alla ridotta pla-centazione. Tale struttura è l’endotelio: lungi dall’essere una barriera inerte, esso costituisceun apparato estremamente attivo che, mediante la sintesi di numerose molecole, rappresen-ta uno dei principali sistemi di regolazione delle resistenze vascolari, della coagulazione, dellapermeabilità vascolare.

L’analisi delle lesioni istologiche presenti nei vari organi (Tabella 1) evidenzia, come deno-minatore comune, la presenza di emorragia e di necrosi: queste modificazioni non sono quel-le imputabili all’ipertensione. Nonostante questa costituisca un aspetto chiave della pre-eclam-psia, non rappresenta il meccanismo fisiopatologico mediante il quale si determina il coinvol-gimento sistemico: al pari delle altre manifestazioni cliniche, anche l’ipertensione è una delleespressioni della malattia sistemica. Le stesse modificazioni presenti a livello renale (rigonfia-mento dei capillari glomerulari e del mesangio, inclusioni nella membrana basale capillare eassenza di alterazioni dei podociti), che definiscono il quadro della glomeruloendoteliosi nonsono state descritte in nessuna altra forma di ipertensione.

Tabella 1. Lesioni istopatologiche nella pre-eclampsiaOrgano Lesione istopatologicaFegato Emorragia e necrosiSurreni Emorragia e necrosiCervello Emorragia petecchialeCuore Necrosi subendocardicaRene Endoteliosi glomerulare

Le alterazioni presenti nei vari organi suggeriscono, invece, che il meccanismo fisiopatolo-gico implicato, sia quello della ridotta perfusione d’organo: i processi endotelio-dipendenti divasocostrizione, attivazione della cascata coagulativa e riduzione del volume plasmatico, qua-dri costanti della pre-eclampsia, ne costituirebbero la giustificazione28.

Il possibile coinvolgimento della disfunzione endoteliale nella fisiopatologia della pre-eclam-psia, è supportato dall’evidenza di numerose alterazioni dei parametri di funzionalità endote-liale non solo in donne che presentano la malattia conclamata ma anche in quelle in cui nonsi è ancora palesata alcuna manifestazione clinica. Le donne che svilupperanno la pre-eclam-

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

psia in fase più avanzata di gravidanza presentano, infatti, un’aumentata sensibilità ad agenti va-sopressori, un ridotto volume plasmatico, un aumentato turnover piastrinico e valori presso-ri medi più elevati29,30.

Ma quali sono i processi responsabili dell’alterata funzione endoteliale? Recenti studi han-no dimostrato che, parallelamente alla presenza di indicatori di disfunzione endoteliale, l’in-sorgenza della pre-eclampsia è associata all’incremento dei markers di stress ossidativo pla-centare-sistemico e di esaltata attivazione infiammatoria31.Tali osservazioni hanno condotto aformulare l’ipotesi che l’endotelio rappresenti il bersaglio, mentre lo stress ossidativo e la ri-sposta infiammatoria aumentata i mezzi attraverso i quali l’alterazione della placenta si espri-me con una malattia sistemica. Lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica sono fenomenitra loro legati, in modo verosimilmente inevitabile. Una risposta infiammatoria genera lo stressossidativo. D’altra parte lo stress ossidativo è in grado di scatenare e amplificare una rispostainfiammatoria. Non deve, pertanto, sorprendere che in condizioni di infiammazione sistemi-ca, quale è la pre-eclampsia, lo stress ossidativo non sia localizzato alla placenta ma dissemi-nato nella circolazione materna. Ne risulta una sorta di circolo vizioso, capace di autoalimen-tarsi: quale dei due fenomeni si realizzi per primo, rimane tuttora ignoto.

Lo stress ossidativoLo stress ossidativo è l’espressione dello squilibrio tra le difese antiossidanti e la produ-

zione di specie reattive dell’ossigeno: questi inducono un danno cellulare diretto attraverso larottura delle catene e l’alterazione delle basi del DNA, attivano la necrosi e l’apoptosi aumen-tando la concentrazione cellulare di calcio, ed infine determinano processi di perossidazionelipidica con formazione di prodotti circolanti in grado di attivare cellule endoteliali secondoun meccanismo ormai ben definito nell’aterosclerosi32. I lipidi ossidati stimolano un fattore ditrascrizione nucleare delle cellule endoteliali, fattore nucleare Kß, che induce l’espressione dinumerose citochine infiammatorie e molecole di adesione cellulare, ed inoltre aumenta la per-meabilità3. Uno dei principali stimoli alla genesi di radicali liberi è rappresentato dall’ischemiaseguita dalla riperfusione: a livello placentare tale circostanza, capace di attivare il sistema del-la xantina ossidasi/deidrogenasi, potrebbe verificarsi come conseguenza del mantenimento del-la capacità di costrizione/dilatazione delle arterie spirali in risposta a stimoli materni per lamancata invasione trofoblastica, oppure in seguito alla formazione di microtrombi nella circo-lazione uteroplacentare seguita dalla dissoluzione dei coaguli34. L’attendibilità dell’ipotesi chela placenta rappresenti l’origine dello stress ossidativo nella pre-eclampsia, richiede dei mo-delli che giustifichino il passaggio dei radicali liberi verso la circolazione materna sistemica af-finchè questi alterino la funzionalità endoteliale. A parte pochi prodotti stabili, come la ma-londialdeide e il 4-idrossi nonenolo, infatti, i radicali liberi hanno un’emivita troppo breve per-ché possano essere infusi direttamente nella circolazione materna: mediatori dell’amplificazio-ne sistemica dello stress ossidativo placentare potrebbero essere i leucociti materni, che at-

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

tivati durante il passaggio attraverso la placenta non perfusa dalle citochine o lipidi perossidisintetizzati localmente35, e immessi nella circolazione materna, rilascerebbero prodotti ossida-tivi sulla superficie endoteliale. Inoltre, lo stress ossidativo placentare è responsabile della sin-tesi di citochine infiammatorie e, mediante l’aumentata apoptosi locale, dell’immissione nellacircolazione materna di particelle di microvilli placentari ricche di fosfolipidi ossidati: sia le ci-tochine, sia le particelle di sfaldamento potrebbero attivare leucociti circolanti36 o interagiredirettamente con l’endotelio, che, pur costituendo il target ultimo dello stress ossidativo, rap-presenta esso stesso una grande sorgente di radicali dell’ossigeno37.

Ammesso che la genesi di un eccesso di radicali liberi sia in grado di innescare il proces-so patologico della pre-eclampsia, non si può escludere che un deficit dei sistemi antiossidan-ti possa rappresentare un fattore di predisposizione alla malattia. Nelle fasi precoci di gravi-danze normali, è stata riportata una upregulation di specie antiossidanti38. Queste svolgereb-bero una sorta di compenso nei confronti del burst ossidativo che accompagna la perfusio-ne pressocchè improvvisa durante il processo di placentazione. Il fallimento di questo mec-canismo protettivo costituisce un substrato predisponente al successivo sviluppo della pre-eclampsia. In placente di donne pre-eclamptiche, è stata riportata una ridotta attività della glu-tatione per ossidasi, Cu/Mn superossido dismutasi39 e superossido dismutasi totale40. Studi digenetica indicano che i polimorfismi dei geni coinvolti nella difesa antiossidante sono più fre-quenti in donne con pre-eclampsia41,42. La controprova del ruolo esercitato da questi sistemidi difesa è rappresentata dall’osservazione di un aumentato rischio di pre-eclampsia in don-ne con minor apporto dietetico di antiossidanti43 e di una protezione esercitata dalla sommi-nistrazione di vitamina C ed E44. Il beneficio di tale supplementazione deriverebbe dal fattoche alcuni antiossidanti, in particolare l’acido ascorbico, non solo sono in grado di fronteggia-re i radicali liberi, ma hanno anche dirette capacità anti-infiammatorie.

La risposta infiammatoriaLa gravidanza comporta, fisiologicamente, un’attivazione generalizzata del sistema immu-

nitario innato che si realizza mediante leucocitosi ed attivazione leucocitaria, attivazione delsistema emocoagulativo, del complemento e delle piastrine e dell’endotelio45,46. Sostenendol’ipotesi della pre-eclampsia come disfunzione endoteliale sistemica, due aspetti della prece-dente affermazione devono essere enfatizzati: il primo è il concetto che fisiologicamente lagravidanza rappresenta uno stato di infiammazione sistemica. Il secondo riguarda l’endoteliocome parte integrante del sistema infiammatorio generalizzato. Le cellule endoteliali, infatti,sono cellule immunitarie completamente funzionanti, in grado di interagire con le cellule delsistema innato, di presentare l’antigene dopo un’appropriata stimolazione, di produrre una se-rie di citochine pro-infiammatorie.

Tali considerazioni consentono di ipotizzare che la risposta infiammatoria sistemica dellapre-eclampsia non sia intrinsecamente diversa da quella di una normale gravidanza, eccetto

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

per il fatto che è più severa: la pre-eclampsia si manifesta, pertanto, solo quando la rispostainfiammatoria diventa estrema e scompensata47.

Vi sono alcune condizioni in cui, anche se in linea teorica, l’amplificazione della reazione fi-siologica, può trovare una giustificazione. Patologie quali l’obesità, il diabete, l’ipertensione cro-nica, che costituiscono condizioni predisponenti alla pre-eclampsia, rappresentano degli statidi infiammazione sistemica. L’effetto di queste patologie è, verosimilmente, quello di genera-re uno stato di infiammazione sistemica di base su cui si inseriscono le modificazioni indottedalla gravidanza, con un abbassamento della soglia sufficiente perché si verifichi lo scompen-so.

La disfunzione endotelialeIl vero protagonista della fisiopatologia della pre-eclampsia è l’endotelio. Pur contribuen-

do direttamente alla genesi dello stress ossidativo e dell’infiammazione sistemica esso rappre-senta il reale bersaglio di questi processi. Le citochine infiammatorie, i radicali liberi, i detritiplacentari infatti, comportano un’inappropriata attivazione che, se da un lato coinvolge l’en-dotelio ad alimentare il circolo vizioso della pre-eclampsia, dall’altro determina una profondacompromissione funzionale di queste cellule nella delicata regolazione del tono e della per-meabilità vascolare e dell’omeostasi coagulativa48.

Sul piano molecolare, markers circolanti di disfunzione endoteliale, che risultano aumen-tati nella pre-eclampsia, includono il fattore von Willebrand, la trombomodulina, la fibronecti-na cellulare, l’attivatore del plasminogeno tissutale e il PAI-1, l’endotelina149-51; inoltre è accen-tuata l’espressione di alcune molecole di adesione cellulare, come VCAM e fattori di crescitacome VEGF52,53.

Sul piano funzionale numerose sono le manifestazioni di una inappropriata attivazione en-doteliale48,54, quali l’assenza della tipica stimolazione del sistema renina-angiotensina (nonostan-te la sostanziale ipovolemia); l’aumentata sensibilità vascolare all’angiotensina II e alla norepi-nefrina con successiva vasocostrizione ed ipertensione; l’aumentata permeabilità vascolare; in-fine la ridotta produzione di ossido nitrico e di prostaglandine vasodilatatorie, come la pro-staciclina con conseguente sbilanciamento del rapporto trombossano A2/prostaciclina e com-promissione del delicato equilibrio mediante il quale queste molecole regolano il tono vasco-lare e l’attivazione piastrinica55.

Il ruolo potenziale della dislipidemiaUn crescente numero di evidenze enfatizza il potenziale ruolo di disturbi lipidici nel dan-

no vascolare della pre-eclampsia, prima fra tutte, l’accumulo di lipidi nelle sedi di danno en-doteliale. La lesione classica della placenta pre-eclamptica è l’aterosi acuta, espressione del-l’accumulo di macrofagi ripieni di lipidi circondati da aree di necrosi fibrinoide nelle arteriespirali- figure affini all’aterogenesi in donne non gravide56. Similmente la lesione caratteristica

249GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

nel glomerulo -l’endoteliosi- consiste nell’accumulo di lipidi nelle cellule endoteliali glomeru-lari; infine depositi di lipidi si verificano anche a livello epatico, in modo particolarmente mar-cato nella sindrome HELLP che rappresenta una complicanza severa della pre-eclampsia.

Un secondo aspetto da sottolineare concerne il fatto che il profilo lipidico, già modificatonella gravidanza fisiologica, risulta decisamente alterato nella pre-eclampsia. In particolare leconcentrazioni di trigliceridi (soprattutto nella forma di VLDL) sono significativamente più ele-vate e quelle di HDL sono significativamente più basse rispetto alla gravidanza fisiologica57. Ledifferenze relative alle LDL, sono per lo più di ordine qualitativo: più che come concentrazio-ne totale, infatti, è aumentata la frazione delle LDL III, piccole, dense dotate di un aumentatopotenziale ossidante e ridotto legame recettoriale58.

Il punto di partenza del quadro dislipidemico è rappresentato verosimilmente da un in-cremento di acidi grassi liberi (NEFA), le cui concentrazioni risultano aumentate ben primache le manifestazioni cliniche compaiano59. Non è noto quale sia l’evento scatenante l’ecces-so di NEFA; tuttavia ipotesi valide sono rappresentate da una esaltata lipolisi a livello degli adi-pociti, conseguenza di uno stimolo placentare o di un’alterazione lipolitica preesistente (giàsegnalata in soggetti obesi), oppure un ridotto catabolismo degli acid grassi (per anomala be-ta-ossidazione mitocondriale) o delle VLDL (ridotta attività della LPL adiposa/scheletrica).

Anche di fuori della gravidanza elevate concentrazioni di NEFA stimolano la sintesi epati-ca di trigliceridi che, a loro volta, inducono una riduzione di HDL e un incremento di LDL III.Ne risulta un pattern lipidico con elevati livelli di NEFA, trigliceridi,VLDL, LDL-III piccole den-se, altamente aterogeno in quanto legato a danno endoteliale.

Se è innegabile che l’aumentata concentrazione di citochine possa mediare alcune dellemodificazioni lipidiche descritte potrebbe essere vero anche il contrario, cioè l’aumentata li-polisi degli adipociti potrebbe rappresentare l’elemento chiave nella catena degli eventi cheportano al disturbo metabolico e alla fisiopatologia della pre-eclampsia. Sulla base di questeconsiderazioni, la dislipidemia potrebbe rappresentare il precursore dell’infiammazione vasco-lare e gli adipociti i potenziali promotori della disfunzioni endoteliale attraverso la produzio-ne di composti implicati nella fisiopatologia della pre-eclampsia, ma anche di altre patologiecroniche con insulto vascolare, quali il diabete, la patologia coronarica.

Conclusioni A conclusione dell’analisi dei processi fisiopatologici della pre-eclampsia, e con il presup-

posto che l’esatta eziopatogenesi di questa condizione è ignota, è doveroso porsi alcuni que-siti. Innanzitutto ci si potrebbe chiedere se la ridotta perfusione placentare sia una condizio-ne sufficiente a causare la pre-eclampsia.

L’evidenza che l’ipoperfusione placentare può essere presente in caso di restrizione di cre-

250 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

scita intrauterina non associata alla pre-eclampsia60, suggerisce che tale anomalia non inevita-bilmente comporta la pre-eclampsia. Ad ulteriore conferma, occorre considerare che solo inun terzo di donne con pre-eclampsia si verifica lo IUGR61 e che condizioni predisponenti al-la pre-eclampsia, come il diabete gestazionale e l’obesità, sono associate, invece, ad una cre-scita fetale accelerata62.

Partendo da questo presupposto, il secondo quesito verte su quali condizioni intervenga-no nella patogenesi della pre-eclampsia.

Fattori genetici, comportamentali ed ambientali potrebbero condizionare la risposta ma-terna alla ridotta perfusione placentare, facilitando la genesi dello stress ossidativo o incre-mentando la sensibilità materna a questa condizione. Epidemiologicamente, sono state indi-viduate numerose situazioni meterne predisponenti alla pre-eclampsia (ipertensione, diabe-te, obesità, razza nera, iperomocisteinemia, aumentato rapporto vita-fianchi) molte delle qua-li costituiscono fattori di rischio per la patologia cardiovascolare in età avanzata: tale osserva-zione non deve sorprendere dal momento che molte delle modificazioni fisiopatologiche del-la pre-eclampsia (profilo lipidico, stress ossidativo e disfunzione endoteliale) sono sovrappo-nibili a quelle implicate nell’aterosclerosi.

È opportuno sottolineare che ciascun fattore materno non necessariamente rappresentala stessa condizione di rischio in tutte le donne. Pertanto, in alcuni casi la condizione predi-sponente potrebbe derivare dall’esposizione a fattori tossici, in alcuni da obesità, in altri dallainsulino-resistenza. La possibilità di cause potenziali differenti è illustrata dai polimorfismi ge-netici. Il polimorfismo che condiziona la funzionalità della metilen-tetraidrofolato-reduttasi, en-zima chiave nel metabolismo dell’omocisteina, è più comune in donne con pre-clampsia inItalia63 e Giappone64 ma non in Finlandia65. Similmente la mutazione del fattore V Leiden è piùcomune in donne con pre-eclampsia in Utah66 e Ungheria67 ma non in Giappone68.

Occorre, da ultimo, chiedersi se la ridotta perfusione è una condizione necessaria per losviluppo della pre-eclampsia: il fatto che questa anomalia possa essere associata alla nascita di“large infants” sembrerebbe negare tale affermazione. È stata proposta l’esistenza di due for-me di pre-eclampsia, rispettivamente associata o indipendente dalla ridotta perfusione pla-centare69.Tale ipotesi rientra in una interpretazione della pre-eclampsia come espressione diuno spettro di interazioni materno-fetali-placentari ed in particolare come risultato di una ri-sposta materna anomala a specifici segnali fetali. L’anomala vascolarizzazione comporterebbela genesi di segnali placentari in grado di modificare il metabolismo e la fisiologia materna neltentativo di aumentare il rilascio di nutrienti al feto. In gran parte dei casi si verificherebbe uncompenso e la nascita di un neonato con peso normale nonostante la ridotta perfusione pla-centare, mentre l’assenza di questo segnale sarebbe responsabile di IUGR. L’insorgenza dellapre-eclampsia, potrebbe verificarsi, come conseguenza di un segnale fetale eccessivo o di unaesaltata sensibilità materna ad un segnale appropriato: l’estrapolazione di questo concetto po-trebbe essere che in donne estremamente sensibili all’insulto, anche il minor grado di stress

251GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

ossidativo legato alla normale gravidanza possa non essere tollerato, generando la sindromematerna. In conclusione si può affermare che nonostante la pre-eclampsia sia causata dallapresenza della placenta o dalla risposta materna a questa, la scarsa placentazione non è lacausa della pre-eclampsia, quanto un potente fattore predisponente, che una volta stabilitosi,può condurre alla sindrome materna, in base all’estensione dei segnali infiammatori che cau-sa e dalla natura della risposta materna a tali segnali70.

Nella pratica clinica, probabilmente, la pre-eclampsia costituisce qualcosa di più esteso diuna singola malattia: è possibile che la patogenesi e la fisiopatologia del disordine che portaalla comparsa prima delle 34 settimane associata a basso peso alla nascita e parto pretermi-ne potrebbero differire da quelle implicate nella malattia che si sviluppa a termine, durante iltravaglio o nel postpartum senza un coinvolgimento fetale dimostrabile70.

La sindrome multisistemicaIl risvolto clinico di un processo fisiopatologico sistemico consiste nel fatto che tutti gli or-

gani possono, potenzialmente, essere coinvolti. Caratteristica peculiare della pre-eclampsia èinfatti rappresentata dalla molteplicità dei quadri clinici, oltre che da una notevole variabilitàdella severità, del momento di insorgenza e della rapidità di progressione con cui questi pos-sono manifestarsi. A parte le lesioni dei singoli organi, potenzialmente responsabili delle prin-cipali complicanze, la pre-eclampsia si caratterizza per alcune modificazioni dei grossi sistemiomeostatici che sebbene non siano specifiche, si differenziano da quelle indotte dalla norma-le gravidanza.

Il primo esempio è rappresentato dall’apparato cardiocircolatorio. La valutazione emodi-namica longitudinale non invasiva mediante Doppler71 ha evidenziato, sin dalla fase preclinica,un output cardiaco significativamente aumentato e resistenze vascolari normali in donne chesvilupperanno la pre-eclampsia rispetto a quelle che non la svilupperanno. L’insorgenza di unaqualsiasi forma di ipertensione, comporta un aumento delle resistenze vascolari, ma solo indonne con pre-eclampsia questo processo si associa ad una riduzione dell’output cardiaco. Ilquadro emodinamico dopo l’insorgenza della sindrome clinica, valutato mediante la metodi-ca invasiva, è rappresentato da normale pressione di riempimento ventricolare, elevate resi-stenze vascolari e funzione ventricolare iperdinamica72. Caratteristico della preeclampsia73 è,inoltre, uno stato di emoconcentrazione legato all’aumentata permeabilità vascolare e alla fuo-riuscita dei fluidi nello spazio interstiziale: tale ridistribuzione dei fluidi corporei, sebbene nonpresenti ripercussioni rilevanti sull’omeostasi elettrolitica, contribuisce ad aumentare il rischiotromboembolico.

Anche il sistema endocrino subisce delle particolari modificazioni: l’asse renina-angioten-sina aldosterone, stimolato durante la normale gravidanza, è attivo a livelli non gravidici quan-

252 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

do la gravidanza è complicata dall’insorgenza di ipertensione: ciononostante, le donne con pre-eclampsia presentano ritenzione di sodio74. Questo fenomeno potrebbe esser attribuito ai li-velli abnormemente aumentati di deossicorticosterone, potente mineralcorticoide la cui pro-duzione, ottenuta dalla conversione del progesterone plasmatico, è svincolata dalla delicataregolazione della steroidogenesi surrenalica75. I livelli di vasopressina risultano normali nono-stante la ridotta osmolarità plasmatica76, mentre il rilascio di peptide atriale natriuretico è su-periore rispetto a quello che si verifica in una normale gravidanza77.

Infine modificazioni ematologiche, sebbene non costanti, sono particolarmente importan-ti in quanto possono rappresentare uno strumento di monitoraggio della progressione dellamalattia e una spia dello sviluppo di complicanze: in particolare l’emolisi, l’alterazione dei pa-rametri di coagulazione, e, prima fra tutte, la trombocitopenia.Tale condizione, la cui frequen-za nei vari studi è decisamente variabile, è espressione del consumo piastrinico conseguenteall’attivazione nei siti di danno endoteliale o mediato da processi immunologici78. La valutazio-ne della trombocitopenia ha un profondo significato clinico: a parte l’ovvia conseguenza sul-la coagulazione, infatti, tale parametro riflette la severità del processo patologico. E’ stata de-scritta una relazione proporzionale tra il livello di piastrine, la morbilità e la mortalità mater-na e fetale: una trombocitopenia <100000 indica in genere una progressione verso la malat-tia severa79; infine, specie se associata all’emolisi può essere espressione di una sindromeHELLP. La valutazione dei livelli di piastrine ha, quindi, un razionale nel monitoraggio clinicodella paziente pre-eclamptica. Meno frequente, anche in caso di pre-eclampsia severa è, inve-ce, un deficit significativo dei fattori della coagulazione a meno che non sopraggiunga un ul-teriore evento responsabile di coagulopatia da consumo (distacco di placenta, rottura di fe-gato). Nonostante i livelli di ATIII siano in genere più bassi rispetto a quelli di donne senzapre-eclampsia, è stato evidenziato che la capacità di tale parametro di predire la successivaevoluzione della malattia è del tutto insufficiente80.

La mortalità e la morbilità materne dovute alla pre-eclampsia/eclampsia nei paesi svilup-pati si sono notevolmente ridotte, verosimilmente per merito dell’istituzione di unità di tera-pia intensive, ma anche per il fatto che la patologia pre-eclamptica viene individuata ad unostadio più precoce rispetto al passato. Il sospetto della possibile progressione della malattia,tuttavia, non può prescindere dalla accurata conoscenza delle manifestazioni della forma se-vera e delle potenziali complicanze.

Pre-eclampsia severa: sebbene non vi sia una definizione accettata universalmente, i cri-teri generalmente presi in considerazione per la diagnosi di pre-eclampsia severa70 sono rap-presentati dal riscontro di valori pressori >160/110 mmHg, o di una proteinuria > 5g/24, op-pure dalla presenza di una delle seguenti condizioni in una donna in cui è stata effettuata ladiagnosi di pre-eclampsia:- edema polmonare- oliguria (<500 ml/24h)

253GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

- convulsioni- sintomi cerebrali (cefalea, disturbi visivi iperreflessia)- rapida insorgenza di edema generalizzato (specialmente a livello del volto)- trombocitopenia <100 x 109/l- alterazione delle prove di funzionalità epatica associata a dolore epigastrico persistente o

dolore in ipocondrio destro

PRE-ECLAMPSIA

- Epoca gestazionale >38 settimane- Epoca gestazionale >34 settimane e:

Pre-eclampsia severaTravaglio o pROMOligoanidramniosIugr severoCondizioni fetali non rassicuranti

Epoca gestazionale <34 settimane

PARTO PARTO A 34 SETTIMANE PARTO DOPO 34 ORE

Valutazione delle condizioni materne infantili

PARTO

Malattia lieve Malattia severa <22 settimane

Monitoraggio maternoe fetale

22-29 settimane 29-34 Settimane

- Peggioramento delle condizioni- 38 settimane- Travaglio- Rottura delle membrane

- Ricovero in UTI- Antidepressivi- Steroidi- Stretto monitoraggio

- Steroidi

254 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

Complicanze materne70,81

- Distacco di placenta (frequenza 1-4%).

- Patologia renale: il rene rappresenta uno dei classici bersagli della pre-eclampsia, come indi-cato pressocchè costantemente della proteinuria sul piano clinico e dalla glomeruloendote-liosi su quello istologico.Dal punto di vista funzionale, inoltre, contrariamente a quanto si verifica nella normale gravi-danza, la pre-eclampsia si caratterizza per una riduzione della perfusione renale e della filtra-zione glomerulare. Ciononostante, complicanze gravi, in particolare l’insufficienza renale acu-ta risultano relativamente poco frequenti (1-5%) e decisamente più probabili in caso di iper-tensione cronica preesistente alla gravidanza. Più frequentemente l’insufficienza renale acutaè l’espressione di necrosi tubulare acuta: questa, trattandosi di una lesione reversibile, guari-sce senza compromissione renale a lungo termine. Al contrario, donne con pre-eclampsiacomplicata da CID o distacco di placenta o in pazienti con un coinvolgimento renale pregra-vidico noto, sono più a rischio di necrosi corticale bilaterale che, oltre ad essere irreversibi-le, comporta un elevato rischio di morbilità e mortalità materna e fetale.Un parametro utile di valutazione della funzionalità renale, oltre a quelli più classici, è rappre-sentato dalla osmolarità urinaria. Urine concentrate, riflettono un sistema renale capace dimantenere l’omeostasi idro-elettrolitica e l’eventuale presenza di oliguria è imputabile alla ri-dotta perfusione. Urine non concentrate rappresentano, invece, un segnale di scompenso del-la funzionalità renale.

- Patologia epatica: test anomali di funzionalità epatica sono stati riportati nel 20-30% di gra-vidanze complicate da pre-eclampsia e riflettono, verosimilmente, una disfunzione secondariaalla vasocostrizione. Le lesioni istologiche caratteristiche sono rappresentate da deposizionedi fibrina periportale, emorragia e necrosi epatocellulare.Una forma più grave di coinvolgimento epatico è rappresentata dalla sindrome HELLP (2-4%) (hemolysis-elevated liver enzymes-low platelet): si tratta di una sindrome ad eziopatogene-si ignota che può verificarsi anche in assenza dei sintomi caratteristici della pre-eclampsia.Le possibili complicazioni comprendono la coagulazione intravascolare, l’insufficienza renaleacuta, l’edema polmonare acuto, la rottura di fegato. Quest’ultima rappresenta la complican-za epatica più temibile in quanto associata ad una mortalità del 30%; si verifica soprattutto inmultipare di età avanzata come conseguenza di una pre-eclampsia severa o della sindromeHELLP, ma la causa rimane ignota.Le ipotesi eziopatogenetiche comprendono una cascata di eventi che cominciano con la di-sfunzione endoteliale e la deposizione intravascolare di fibrina, ostruzione sinusoidale, conge-stione venosa intraepatica, ematoma epatico sottocapsulare e infine rottura epatica.L’emorragia può essere così estesa da causare la rottura della capsula dentro la cavità peri-toneale.

255GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

- Patologia respiratoria: (2-5%) donne con pre-eclampsia possono sviluppare un’insufficienzarespiratoria acuta, la cui causa più probabile è rappresentata dall’edema polmonare acuto.Talecomplicanza solo nel 30% dei casi si verifica nel periodo antenatale e nella maggior parte diquesti, condizioni favorenti sono l’ipertensione cronica in associazione con età materna avan-zata e multiparità. Il 70-80% dei casi di edema polmonare, invece, si verifica nel periodo delpostpartum: questi sono imputabili ad una eccessiva infusione di liquidi. Occorre tenere pre-sente, infatti, che nonostante le pazienti con pre-eclampsia siano ipovolemiche, i loro tessutihanno un sovraccarico di fluidi e presentano una maggiore sensibilità alle variazioni di volu-me. Anche l’ARDS può essere causa di insufficienza respiratoria acuta in pazienti pre-eclam-ptiche. Il danno polmonare in questo caso è l’espressione dell’insulto endoteliale locale, consequestro di neutrofili nel polmone, aumentata permeabilità capillare polmonare, edema in-terstiziale ed alveolare, ed infine emorragia alveolare a cui consegue la deposizione di fibrinae formazione di membrane ialine.

- Patologia cerebrale: la pre-eclampsia è associata ad un’aumentata pressione di perfusione ce-rebrale controbilanciata da un’aumentata resistenza cerebrovascolare per cui il flusso cere-brale complessivo non subisce alcuna modificazione. L’espressione più classica del coinvolgi-mento cerebrale, l’eclampsia, è il risultato della perdita dell’autoregolazione del flusso cere-brale, dovuta alla riduzione delle resistenze vascolari e iperperfusione. Le convulsioni costitui-scono, tuttavia, solo una delle espressione del coinvolgimento del sistema nervoso centrale.L’analisi anatomopatologica evidenzia diverse possibili alterazioni organiche: la prima, l’emor-ragia intracranica massiva, è spesso conseguenza di un’ipertensione non controllata o rifletteun trattamento ritardato o inadeguato con agenti antiipertensivi e rappresenta la causa sin-gola principale di morte.La seconda lesione, costante nell’eclampsia e variabilmente presente nella pre-eclampsia, èrappresentata da lesioni più diffuse, raramente fatali, costituite da edema, iperemia, trombosie emorragia associate costantemente a modificazioni fibrinoidi delle pareti vascolari. La cau-sa di tali alterazioni non è definita, ma potrebbe essere attribuita alla necrosi ischemica o al-la iperperfusione. Segni neurologici prodromici e convulsioni possono esser imputabili a que-ste lesioni. Il terzo quadro cerebrale è dato dall’edema diffuso che si esprime con letargia,confusione, fino al coma con possibilità di ernia cerebrale. Anche in questo caso la patogene-si può essere ischemica (citotossica) sia da iperperfusione (vasogenica).Attualmente l’impiego di tecniche di imaging ha permesso di osservare tali lesioni in vivo sug-gerendo che le manifestazioni neurologiche costituiscono un continuum di diversi gradi dicoinvolgimento cerebrale: l’estensione e la localizzazione delle lesioni, differenti nei singoli ca-si, condizionano il quadro neurologico, dai disturbi visivi, all’eclampsia fino al coma.

- Disturbi visivi: questi sono relativamente frequenti nella pre-eclampsia severa, mentre più ra-ra è la cecità. La maggior parte delle donne con vari gradi di amaurosi ha un’evidenza radio-

256 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

logica di ipodensità nel lobo occipitale. Questa in genere si risolve completamente. Altre cau-se di disturbi visivi sono rappresentate dallo spasmo dell’arteria retinica o il distacco di retina.

- Coagulazione intravascolare disseminata (CID): considerando che la compromissione della re-golazione dell’omeostasi da parte dell’endotelio costituisce una delle principali alterazioni fi-siopatologiche della pre-eclampsia, non deve sorprendere che la CID costituisca un eventorelativamente frequente (10-20%). Lo spettro di possibili manifestazioni, tuttavia è ampio, par-tendo da uno stato compensato privo di espressione clinica ed evidenziabile solo su parame-tri di laboratorio fino ad una condizione di emorragia massiva incontrollabile. La CID è sem-pre un fenomeno secondario: in donne pre-eclamptiche, oltre a manifestarsi nelle forme se-vere di malattia, può essere conseguente alla sindome HELLP, all’emorragia antepartum do-vuta a distacco di placenta o verificarsi in seguito ad una emorragia postpartum massiva: l’in-dividuazione della causa sottostante è il requisito imprescindibile di un corretto management.

A conclusione di questa rassegna, occorre tener presente che l’ipertensione o la protei-nuria possono essere assenti in percentuali relativamente elevate in caso di insorgenza di com-plicanze tipiche della pre-eclampsia, come nel 10-15% di donne che sviluppano HELLP82 e nel38% di coloro che sviluppano l’eclampsia83.

Complicanze fetali70

Sono dovute prevalentemente all’ipoperfusione uteroplacentare- Parto pretermine (15-67%)- Restrizione di crescita fetale (10-25%)- Ipossia-danno neurologico (<1%)- Morte perinatale (1-2%)

L’approccio clinicoPiù che per difficoltà di tipo diagnostico, l’approccio clinico alla pre-eclampsia può risulta-

re complesso sia sul piano decisionale, poiché molte delle scelte gestionali di beneficio per lamadre possono non esserlo per il feto, sia su quello operativo, poiché se gran parte delle vol-te questa sindrome si presenta in forme graduali che consentono un adeguato margine tem-porale di azione, altre volte la progressione è rapida o ci si trova a dover affrontare delle si-tuazioni misconosciute che rappresentano un’urgenza.

È ormai accertato che la morbilità materna e la mortalità fetale sono significativamente ri-dotte da un corretto management sin dalle fasi più precoci della gravidanza: le donne a cuinon viene fornita assistenza prenatale hanno un rischio di mortalità 7 volte superiore rispet-to a quelle che la ricevono84. Il primo step di un corretto approccio clinico alla pre-eclampsia,

257GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

quindi, dovrebbe basarsi sulla identificazione precoce di donne a rischio affinché queste ven-gano sottoposte ad un monitoraggio adeguato che consenta di massimizzare la possibilità didiagnosi precoce e di management appropriato.

L’ambulatorio ostetricoNonostante la pre-eclampsia si manifesti clinicamente nel II trimestre di gravidanza, i mec-

canismi eziopatogenetici si realizzano molto più precocemente. Allo stato attuale, non è sta-to ancora universalmente riconosciuto, né validato un test di screening in grado di quantifi-care in epoche gestazionali iniziali il rischio di sviluppo successivo di pre-eclampsia. Esistono,tuttavia, una serie di fattori, per lo più anamnestici che consentono di sospettare la potenzia-lità della successiva insorgenza della pre-eclampsia. La caratterizzazione di questi fattori do-vrebbe essere effettuata per ciascuna donna nelle fasi iniziali della gravidanza e in alcuni casiin epoca preconcezionale: l’ambulatorio ostetrico, che costituisce la prima interfaccia con lapaziente ostetrica, dovrebbe rappresentare anche un filtro capace di selezionare le donne piùa rischio che necessitano di un monitoraggio più intensivo e specialistico7.

Fattori di rischio generali1. Età>= 40 anni85.2. Obesità86

Fattori di rischio ostetrici3. Precedente pre-eclampsia: l’anamnesi ostetrica remota positiva per una pregressa pre-

eclampsia è uno dei principali fattori predittivi, soprattutto se questa si era presentatanella forma precoce moderata-severa con outcome neonatale sfavorevole per parto pre-termine87: secondo alcuni Autori in questi casi dovrebbe essere effettuato lo screeningper la sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Più controversa è la necessità di uno scree-ning trombofilico88.

4. Nulliparità89.5. Intervallo lungo tra le gravidanze: il rischio di pre-eclampsia nelle multipare è sovrapponi-

bile a quello delle nullipare se sono trascorsi più di 10 anni dal parto precedente90.6. Gravidanza multipla89, indipendentemente dalla corionicità e zigosità.7. Storia familiare di pre-eclampsia91.

Condizioni cliniche attuali7

8. PAD>o=80 mmHg9. Proteinuria ≥+ in più di un’occasione o ≥300 mg/24ore. In caso di proteinuria asintoma-

tica, se persistente o confermata dalla raccolta nelle 24 ore, sarebbe opportuno esclu-dere la possibilità di una nefropatia sottostante o altre condizioni.

258 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

AMBULATORIO OSTETRICO

Presenza di uno di questi fattori:- pre-eclampsia precedente- gravidanza multipla- ipertensione cronica- diabete- S. anticorpi antifosfolipidi- LES- nefropatia

Presenza di due di questi fattori:- Età>40 anni- Obesità- Nulliparità- Familiarità- PAD>80 mmHg- Proteinuria (+ allo stick o >300mg/24ore)

- nuova ipertensione- nuova proteinuria- cefalea- disturbi visivi- dolore epigastrico- ridotti MAF, SGA

ANTENATAL ASSESSMENT UNIT

VALUTAZIONE MATERNA

PA (almeno tre rilevazioni)Conta piastrinicaProteinuriaUricemiaCreatininemiaProve di funzionalità epatica

VALUTAZIONE FETALE

NSTECOGRAFIA:- liquido amniotico- crescita fetale- flussimetria doppler

- PA>170/110- PA>140/90 e proteinuria (2+ o>

300mg/24 ore)- parametri ematochinici alterati- cefalea, disturbi visivi- dolore addominale- necessità di terapia antipertensiva- segni di compromissione fetale

<20 Settimane >20 Settimane

- PA normale- esami ematochimici normali

- Ipertensione- esami ematochimici alterati

AMBULATORIOOSTETRICO

ANTENATAL DAYASSESSMENT UNIT RICOVERO

259GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

Condizioni mediche predisponenti10. Ipertensione cronica: il rischio di pre-eclampsia sovrimposta è associato al grado di iper-

tensione, risultando 46% in caso di ipertensione severa (diastolica >110 mmHg) e di cir-ca il 14% in caso di ipertensione lieve92.

11. Diabete: le forme di diabete pre-esistente determinano una predisposizione maggiore ri-spetto al diabete gestazionale93. La severità del diabete rappresenta comunque un fatto-re fortemente condizionante il rischio di pre-eclampsia che risulta aumentato soprattut-to in presenza di coinvolgimento microvascolare, e quindi di complicanze renali o retini-che94. Altri fattori di rischio per l’aumento del rischio di pre-eclampsia in donne con dia-bete tipo I includono la durata del diabete, l’ipertensione cronica e lo scarso controlloglicemico prima delle 20 settimane di gravidanza94: esiste, infatti, una relazione diretta trai valori di emoglobina glicosilata e rischio di pre-eclampsia95.

12. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi e LES: sebbene la sindrome da anticorpi antifosfolipi-di costituisca una delle principali condizioni predisponesti di pre-eclampsia, ed in parti-colare della forma precoce severa, l’aumento del rischio varia sulla base delle caratteri-stiche della sindrome (3-51%), essendo minore nelle forme associate ad aborto ricor-rente96 ed estremamente elevato nelle forme associate a LES, trombosi e precedentemorte endouterina97. Per quanto concerne il LES, il legame con la pre-eclampsia è attri-buibile, più che alla malattia di per sé, ad alcune condizioni associate, come il coinvolgi-mento renale con o senza ipertensione, la presenza di anticorpi antifosfolipidi98: il rischioè sovrapponibile a quello della popolazione generale in donne con LES non attivo, as-senza di anticorpi antifosfolipidi, nefrite o ipertensione.

13. Nefropatia: la ridotta funzione renale qualsiasi sia la causa è associata ad un aumentatorischio di pre-eclampsia, proporzionale al grado di compromissione funzionale: in parti-colare forme severe di nefropatia associate ad ipertensione spesso comportano l’insor-genza di pre-eclampsia severa precoce con restrizione di crescita marcata99.

In presenza di condizioni mediche predisponenti alla pre-eclampsia, sarebbe opportunoun counselling preconcezionale che spieghi alla donna il significato della malattia sottostantecome fattore di rischio, ma soprattutto la possibilità che tale rischio possa essere modificatodal controllo pregravidico del diabete, dell’ipertensione e dall’insorgenza della gravidanza inuna fase di stabilità o di remissione del LES o della nefropatia. È importante che queste pa-zienti vengano seguite da strutture adeguate e dotate di personale esperto: inoltre sono rac-comandate misurazioni seriate della pressione arteriosa, della proteinuria, della funzione re-nale, uricemia e piastrinemia; in queste pazienti, infatti, al problema clinico gestionale si aggiun-ge quello diagnostico poichè alcune delle figure tipiche della pre-eclampsia possono esserepresenti prima della gravidanza o possono svilupparsi come complicanza della malattia sot-tostante.

260 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

Tabella II. Rischio relativo di insorgenza dei pre-eclampsia, con corrispondente I. C.a, associato alle condizioni predispo-nenti elencate100

RR CISindrome da anticorpi antifosfolipidi 9.72 4.34-21.75Storia di pre-eclampsia 7.19 5.85-8.83Diabete pregestazionale 3.56 2.54-4.99Gravidanza multipla 2.93 2.04-4.21Nulliparità 2.91 1.28-6.66Storia familiare 2.90 1.70-4.93Età >40 aa

Nullipara 1.68 1.23-2.29Multipara 1.96 1.34-2.87

Obesità 1.55 1.28-1.88

Secondo le linee guida inglesi7, la presenza di una delle seguenti condizioni è sufficienteper caratterizzare la donna a rischio aumentato di pre-eclampsia ed indirizzarla verso strut-ture di riferimento specialistico:- pre-eclampsia precedente- gravidanza multipla- condizioni mediche predisponenti - presenza contemporanea di due degli altri fattori di rischio elencati precedentemente.

In assenza dei fattori di rischio, invece, non c’è evidenza di un programma di assistenzaparticolarmente raccomandabile rispetto ad altri101. Poiché la pre-eclampsia può insorgere an-che in assenza condizioni predisponenti, dopo le 20 settimane si dovrebbe verificare la pre-senza di segni e sintomi caratteristici ad ogni visita ambulatoriale:- ipertensione di recente insorgenza- proteinuria di recente insorgenza- sintomi di cefalea o disturbi visivi- dolore epigastrico o vomito- ridotti MAF, restrizione di crescita fetale

Le donne che presentano 2 di questi fattori dovrebbero essere inviate ad una strutturadi riferimento7.

Nella valutazione del rischio, occorre tenere presente che l’insorgenza di nuova iperten-sione prima delle 32 settimane determina una probabilità del 50% di sviluppare la pre-eclam-psia102, e a 24-28 settimane è predittiva di pre-eclampsia severa103; un aumento della pressio-ne diastolica che non raggiunge 90 mmHg in qualunque epoca gestazionale, invece, non è as-sociata a complicanze104.

261GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

Antenatal day assessment unitLe donne a rischio prima delle 20 settimane o quelle sintomatiche dopo le 20 settimane,

dovrebbero essere sottoposte ad un monitoraggio più intensivo in una struttura di riferimen-to, definita dagli anglosassoni Day Antenatal Assessment Unit. Scopo di tale servizio è l’esecu-zione di indagini più specialistiche e la valutazione dei risultati da parte di personale specia-lizzato che fornisca un corretto inquadramento diagnostico e la programmazione della con-dotta clinica più adeguata al caso specifico.

Valutazione materna Valutazione fetale- esami ematochimici: - Ecografia

emocromo crescita fetaleuricemia liquido amnioticocreatininemia flussimetria Doppler in a. ombelicaleprove di funzionalità epatica

- proteinuria nelle 24 ore - CTG- pressione arteriosa (almeno 3 rilevazioni)

Al termine delle indagini effettuate, può risultare sufficiente rinviare la donna ai normalicontrolli ambulatoriali qualora i valori pressori e gli altri parametri siano nel range di norma-lità, oppure può rendersi opportuno continuare un monitoraggio più intensivo presso la DayAntenatal Assessment Unit105 nel caso in cui sia riscontrata la presenza di ipertensione o di un’al-terazione degli altri esami effettuati; infine può risultare necessario il ricovero ospedaliero.Motivi di ricovero sono rappresentati da:- pressione arteriosa persistentemente >170/110 o persistentemente >140/90 o protei-

nuria 2+ allo stick urinario o > 300 mg/24 ore;- alterazione degli esami ematochimici;- sintomi significativi (cefalea, disturbi visivi, dolore addominale);- necessità di terapia antiipertensiva;- segni di compromissione fetale (anomalie della frequenza cardiaca, significativa restrizione

di crescita).

Il ricoveroSebbene le pazienti ricoverate siano, per definizione, ad alto rischio, la progressione della

pre-eclampsia non è inevitabile e soprattutto poco prevedibile sul piano temporale.Qualunque decisione venga presa in merito alla opportunità di proseguire la gravidanza o de-terminare l’espletamento del parto, è fondamentale la stabilizzazione della malattia maternache consenta un’obiettiva valutazione materna e fetale e la possibilità di un eventuale inter-vento terapeutico in condizioni cliniche adeguate.Target della stabilizzazione sono il control-

262 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

lo della pressione arteriosa, ed in particolare dell’ipertensione severa, e la terapia delle con-vulsioni, quando presenti, o la loro prevenzione nei casi più a rischio di evolvere verso l’eclam-psia.

Occorre precisare, inoltre che nei casi in cui è consigliabile il trasferimento presso un cen-tro in grado di offrire un’assistenza più adeguata alla madre e al neonato (specie se preter-mine), questo dovrebbe essere effettuato il più precocemente possibile.

Terapia antiipertensivaObiettivo della terapia dell’ipertensione acuta è costituito dalla prevenzione delle poten-

ziali complicanze cerebrovascolari e cardiovascolari, che rappresentano la causa più frequen-te di mortalità e morbilità materna nei paesi sviluppati106. Nonostante sia ormai verificato chel’uso di farmaci anti-ipertensivi nelle donne con pre-eclampsia e severo aumento della pres-sione arteriosa rappresentano una protezione nei confronti delle complicanze cerebrovasco-lari, tale terapia non modifica il decorso naturale della malattia in donne con pre-eclampsialieve107.

Secondo la review più recente del Cochrane, la terapia antiipertensiva riduce fino a dimez-zare il rischio di ipertensione severa rispetto al placebo o all’assenza di terapia, ma vi è unascarsa evidenza di una modificazione del rischio di pre-eclampsia, indipendentemente dal ti-po di farmaco utilizzato108. Non sono stati riscontrati, inoltre, effetti significativi sul rischio dimorte perinatale, parto pretermine o neonati SGA. In conclusione è poco definito l’effettivobeneficio che può derivare dalla terapia dell’ipertensione lieve-moderata durante la gravidan-za. È stato addirittura segnalata la possibilità di un aumento di rischio di SGA in donne conpatologia lieve come conseguenza dell’abbassamento dalla pressione arteriosa109. La terapiaantiipertensiva è, invece, raccomandabile per valori di pressione sistolica > 160 mmHg e dia-stolica > 110 mmHg110. Dal momento che potenziali benefici potrebbero essere ottenuti an-che per il trattamento di livelli pressori lievemente inferiori111, un compromesso accettabilepotrebbe essere la scelta di valori di pressione diastolica persistentemente superiori a 100mmHg come soglia per intraprendere la terapia.

Non c’è consenso unanime su quale debba essere il trattamento di scelta: i maggiori datiin letteratura riguardano l’utilizzo di idralazina, metildopa, labetalolo e nifedipina. Nonostantel’idralazina per via parenterale sia la terapia raccomandata da molti Autori110,112, il suo impie-go è stato associato ad un maggior numero di effetti collaterali ed outcome materni e peri-natali peggiori rispetto alla somministrazione di labetalolo o nifedipina113. Studi prospettici sul-la somministrazione di metildopa e isradipina nonostante abbiano mostrato un effetto signi-ficativo sull’abbassamento pressorio e della frequenza cardiaca materna, non hanno eviden-ziato alcun beneficio sulle alterazioni ematochimiche tipiche della pre-eclampsia, né tantome-no sul peso alla nascita e sull’outcome neonatale114,115. L’approccio terapeutico iniziale che go-de di un consenso sempre più ampio, è rappresentato dalla somministrazione di labetalolo

263GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

per os o, in alternativa per via parenterale, qualora quella orale non comporti un’adeguata ri-duzione dei valori pressori. L’assenza, anche in questo caso, di un effetto ipotensivo, suggeri-sce l’opportunità di sostituire o supplementare la terapia con la nifedipina orale.

Prevenzione delle convulsioniLa somministrazione profilattica di magnesio solfato in pazienti con pre-eclampsia severa

è stato associato ad un tasso di eclampsia significativamente minore rispetto all’assenza di te-rapia, al placebo o all’utilizzo di nimodipina116; nessun beneficio, invece, è stato dimostrato ri-guardo alle complicanze materne gravi della pre-eclampsia severa, come l’edema polmonare,l’ictus o l’insufficienza renale116. Sia in caso di pre-eclampsia severa, sia nelle forme lievi, co-munque, l’utilizzo profilattico di magnesio solfato non ha mostrato alcun beneficio sull’outco-me perinatale116,117. In conclusione, le evidenze disponibili suggeriscono che il magnesio solfa-to dovrebbe essere dato durante il travaglio e nell’immediato postpartum in alcune donnecon pre-eclampsia severa, mentre il beneficio in quelle con malattia lieve rimane poco chia-ro.

Espansione del volume plasmaticoLo stato di emoconcentrazione, legato alla riduzione del volume circolante, potrebbe rap-

presentare un’indicazione alla infusione di liquidi con l’obiettivo di migliorare la circolazionematerna sistemica e, di conseguenza, quella uteroplacentare. Sebbene i dati a disposizione sia-no scarsi, l’espansione del volume plasmatico non solo sembra privo di benefici, ma se nonassociato ad un rigoroso controllo del bilancio idrico comporta un aumento del rischio di so-vraccarico di volume fino all’edema cerebrale o polmonare118.

CorticosteroidiLa stabilizzazione delle condizioni materne deve procedere contemporaneamente all’in-

duzione della maturazione polmonare fetale, nell’eventualità che si prospetti un successivoespletamento del parto. L’uso di corticosteroidi in epoca gestazionale <34 settimane com-porta una significativa riduzione nella frequenza di distress respiratorio e risulta anche asso-ciato a ridotti rischi neonatali di emorragia intraventricolare neonatale, infezione, morte neo-natale119. L’osservazione che la somministrazione di corticosteroidi per la maturazione polmo-nare in gravidanze pretermine con sindrome HELLP era associata ad un miglioramento signi-ficativo, anche se temporaneo, della severità della malattia stessa120, ha suggerito l’ipotesi chetale terapia potesse avere un’indicazione materna. Nonostante i meccanismi responsabili diquesti benefici siano ignoti, una diretta azione reologica o endoteliale, una ridotta adesività edil minore sequestro splenico delle piastrine potrebbero fornire una giustificazione121, e le bennote proprietà antinfiammatorie ed immunosoppressive dei corticosteroidi, un razionale alloro impiego come terapia. Risultati incoraggianti in proposito sono descritti da uno studio

264 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

prospettico randomizzato che ha evidenziato un significativo miglioramento dei parametri cli-nici e di laboratorio conseguenti alla somministrazione di desametazone 10 mg ogni 12 oreper via endovenosa, un dosaggio decisamente superiore a quello sufficiente per la profilassidel distress respiratorio neonatale121. Effetti sovrapponibili sono stati descritti anche in segui-to alla somministrazione postpartum di desametazone (10 mg, 10 mg, 5 mg e 5 mg ev a di-stanza di 12 ore)122. Sulla base della considerazione che, in molti casi, la storia naturale dellasindrome HELLP prevede un processo di deterioramento nelle 24-36 ore successive al par-to, la somministrazione di corticosteroidi potrebbe rappresentare un valido strumento peraccelerare la ripresa e ridurre la severità delle esacerbazioni postpartum.

In realtà, una recente meta-analisi dei dati disponibili in letteratura, pur confermando ef-fetti favorevoli di un tale approccio sui parametri biochimici, ha evidenziato l’assenza di signi-ficative differenze relative agli outcome primari di morbilità e mortalità materna dovute a di-stacco di placenta, edema polmonare, ematoma o rottura di fegato, concludendo che allo sta-to attuale non vi sono sufficienti evidenze che supportino o rifiutino l’uso di steroidi in epo-ca antenatale e post partum nella sindrome HELLP per ridurre o aumentare la mortalità ma-terna123.

Attesa o espletamento del parto?Lo step successivo alla stabilizzazione delle condizioni cliniche della paziente è rappresen-

tato dalla decisione del timing di espletamento del parto: questa costituisce una delle deci-sioni più importanti nella gestione clinica della pre-eclampsia, capace di influenzare pesante-mente l’outcome della gravidanza. I parametri che, in merito a questa decisione, presentanoun maggior peso sono rappresentati dalla severità della malattia materna e dall’epoca gesta-zionale. Una diagnosi di pre-eclampsia severa o associata alla sindrome HELLP non consentemolte alternative all’immediato espletamento del parto in epoche gestazionali superiori alle34 settimane70; tale discorso è valido anche per epoche gestazionali inferiori, qualora il qua-dro clinico materno sia evolutivo con trombocitopenia grave (PLT< 50000), segni di discoa-gulopatia, PA diastolica >110 mmHg oppure vi sia l’evidenza di una severa restrizione di cre-scita fetale o condizioni fetali non rassicuranti indipendentemente dalle condizioni materne70.Il limite cronologico inferiore di epoca gestazionale per cui tali circostanze rappresentanoun’indicazione all’espletamento del parto è alquanto discutibile e non deve ignorare le pos-sibilità dell’assistenza neonatologica a disposizione; in centri dotati di unità di terapia intensi-va neonatale tale limite potrebbe essere quello di 29 settimane. In questi casi, è sempre con-sigliabile la profilassi corticosteroidea ed un’attesa di almeno 24 ore dall’ultima dose del cor-tisonico prima dell’espletamento del parto; naturalmente, l’insorgenza di segni di sofferenzafetale acuta, impone l’immediata esecuzione di un taglio cesareo d’urgenza. Per epoche ge-stazionali inferiori alle 29 settimane, nonostante la presenza di una pre-eclampsia severa oHELLP e la comparsa di discoagulopatia e trombocitopenia può essere opportuno il tentati-

265GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

vo di protrarre la gravidanza anche di poche settimane per consentire il raggiungimento diepoche gestazionali con prognosi neonatale migliore. In questi casi, oltre ad essere mandato-rio il ricovero della donna in un’unità di terapia intensiva, ed uno stretto monitoraggio di tut-ti i parametri vitali, può risultare di notevole beneficio la somministrazione di prostaciclina:questa, verosimilmente, rappresenta una vera terapia causale in quanto in grado di corregge-re lo squilibrio TXA2/prostaciclina che rappresenta uno dei meccanismi eziopatogenetici del-l’ipertensione e delle alterazioni coagulative nella pre-eclampsia. Si rimanda al capitolo speci-fico presente in questo volume per una trattazione dettagliata relativa alla somministrazionedi prostaciclina. Le forme severe di pre-eclampsia,in particolare quelle complicate da sindro-me HELLP, che risultano refrattarie agli approcci terapeutici più “canonici”, possono trarre be-neficio dalla plasmaferesi, anche se i dati relativi all’efficacia di tale metodica in epoca antepar-tale non sono concordi124,125, mentre vi sono diverse evidenze che testimoniano un migliora-mento dell’outcome materno quando questa viene effettuata durante le esacerbazioni post-partum126.

Qualunque sia l’epoca gestazionale, l’attesa all’espletamento del parto è giustificata soloper le poche ore necessarie alla stabilizzazione, all’eventuale trasferimento o alla preparazio-ne di un’appropriata assistenza postatale nel caso in cui si siano già verificate le convulsioni.Infatti, nel 15%-25% delle donne l’attacco eclamptico recidiva nonostante il trattamento ed ilrischio sia per la madre sia per il feto aumentano con il numero di episodi convulsivi. In que-sti casi è indicata l’esecuzione di un taglio cesareo, non appena le condizioni cliniche lo per-mettano.

La decisione di provocare l’espletamento del parto risulta molto più complessa quandola pre-eclampsia si manifesta nelle forme più moderate oppure, pur in presenza della malat-tia severa le condizioni materne e fetali sono stabili. Nonostante la possibilità di un deterio-ramento più o meno rapido delle condizioni materno-fetali e la consapevolezza che il partocostituisce la cura definitiva siano elementi a favore di una tempestiva interruzione della gra-vidanza, sono doverose alcune considerazioni: la prosecuzione della gravidanza, infatti, in granparte dei casi è di beneficio per il feto; inoltre, il parto non ha un effetto immediato sulla ma-lattia materna. Infatti, la maggiore morbilità e mortalità materna si verificano nelle prime 48ore dopo il parto: in una paziente non stabile un parto affrettato aumenta il rischio di esa-cerbazione post-partum. L’ingiustificata prosecuzione della gravidanza può essere, allo stessomodo, deleteria: è importante che il parto avvenga non solo quando le condizioni maternesono stabili ma quelle fetali non sono ancora scompensate.

Anche in questi casi, quindi, il primo elemento da prendere in considerazione è l’epocagestazionale: la soglia dei vari parametri utilizzati per la valutazione delle condizioni maternee fetali che risulta accettabile per la prosecuzione della gravidanza è tanto più bassa quantopiù avanzata è l’epoca gestazionale. In genere, in caso di malattia lieve che si sviluppa a 38 set-timane, o più, l’outcome è paragonabile a quello di gravidanze normali107: considerando che

266 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

la pre-eclampsia comunque può evolvere verso forme complicate, questi casi dovrebbero es-sere sottoposti all’induzione del travaglio70. Come detto precedentemente, indicazione al-l’espletamento del parto è anche la comparsa di malattia severa dopo le 34 settimane, no-nostante le condizioni materne siano stabili70. Il management della pre-eclampsia severa pri-ma delle 34 settimane è, invece, ancora dibattuto qualora i parametri materni siano stabili ela condizione fetale rassicurante. Una review del Cochrane relativa al confronto dell’approc-cio interventista rispetto all’attesa sostiene che allo stato attuale, i dati a disposizione sonotroppo limitati per giungere ad una conclusione che supporti il beneficio di un parto eletti-vo precoce rispetto a quello ritardato, nonostante l’evidenza suggerisca che la morbilità a bre-ve termine per il neonato potrebbe essere ridotta da una politica di attesa127.

La decisione di far proseguire la gravidanza, rende opportuno lo stretto monitoraggio del-le condizioni materne e fetali che consenta un tempestivo intervento quando queste preci-pitano. I parametri da prendere in considerazione e la frequenza delle valutazioni dipendonodall’epoca gestazionale, dalla severità delle condizioni materne e dalla presenza di restrizionedi crescita fetale. Tali indagini dovrebbero essere ripetute prontamente in caso di peggiora-mento delle condizioni materne o fetali.

Se l’epoca gestazionale è inferiore alle 34 settimane, qualora non si sia già provveduto, èconsigliabile effettuare la profilassi corticosteroidea per la maturazione polmonare fetale. Peril massimo effetto, la gravidanza dovrebbe proseguire per altre 48 ore e per un massimo di6 giorni. L’insorgenza di un deterioramento delle condizioni sia materne sia fetali è indicazio-ne all’espletamento del parto anche se le 48 ore non sono trascorse.

Monitoraggio maternoIl monitoraggio delle condizioni materne si basa fondamentalmente su rilevazioni seriate

della pressione arteriosa, sull’attenta osservazione clinica volta ad individuare precocementel’insorgenza di sintomi e sulle rilevazioni di parametri ematochimici. Nel sospetto di una sin-drome HELLP, suggerita dall’alterazione delle prove di funzionalità epatica e della conta pia-strinica, può essere utile l’esecuzione di uno striscio di sangue in quanto il riscontro di fram-menti di globuli rossi fornisce un sostegno a tale ipotesi diagnostica.

Monitoraggio fetaleIn assenza di indicazioni materne, la decisione di espletamento del parto si basa fonda-

mentalmente sulle condizioni fetali.Tale valutazione, tuttavia, riconosce come principale limi-te l’impossibilità di stabilire l’effettivo stato di benessere fetale in modo diretto, ma solo at-traverso un insieme di segnali che rappresentano l’espressione probabile di una condizioneo di una imminente progressione verso lo stato di sofferenza.

Allo stato attuale i principali strumenti di sorveglianza della salute fetale sono rappresen-tati dalla cardiotocografia e dall’ecografia.

267GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

- NST: nonostante il tracciato cardiotocografico costituisca uno dei parametri storica-mente più utilizzati, la sua effettiva capacità di valutazione del benessere fetale è mol-to controversa; inoltre, il valore predittivo di questa metodica diviene ancora più opi-nabile se si considera che l’interpretazione del tracciato CTG in epoche gestazionaliprecoci non è sovrapponibile a quella, per certi versi codificata, che si effettua in unfeto a termine e che le madri di feti pretermine con pre-eclampsia possono essereesposte ad un numero di farmaci, come il solfato magnesio e gli steroidi, in grado diinfluenzare la frequenza cardiaca fetale128,129. È stato riportato che la cardiotocografia,quando utilizzata come unico elemento decisionale, è associata ad aumentata morta-lità perinatale130. L’introduzione del CTG computerizzato ha rappresentato un notevo-le progresso, poiché ha consentito una valutazione oggettiva dei vari aspetti del trac-ciato, ed in particolare della variabilità a breve termine della frequenza cardiaca che ri-sulta essere strettamente correlata con l’ossigenazione fetale131.

- Ecografia- Profilo biofisico- Doppler dell’arteria ombelicale- Doppler della cerebrale media- Doppler venoso

Il deterioramento delle condizioni fetali è un processo che avviene progressivamente, se-condo la severità della compromissione placentare. È stata individuata una sequenza tempo-rale del coinvolgimento dei parametri di valutazione fetale con la progressione del deterio-ramento della placenta132. La maggior parte dei dati, in realtà, derivano dallo studio del ritar-do di crescita intrauterino che pur essendo una delle principali complicanze della pre-eclam-psia, può insorgere indipendentemente da questa; inoltre, sebbene prevalentemente imputa-bile al deficit di perfusione placentare, il riscontro di IUGR impone una diagnosi differenzialecon le forme legate alle aneuploidie.

Nel complesso, l’alterazione dei flussi arteriosi costituisce il primo segnale di compromis-sione fetale, seguito dall’interessamento di quelli venosi ed infine del profilo biofisico. Le ano-malie Doppler precoci coinvolgono gli indici di pulsatilità in arteria ombelicale e cerebralemedia, mentre quelle tardive, significativamente associate a morte perinatale, includono l’in-versione del flusso diastolico, le anomalie del dotto venoso e del tratto di efflusso aortico epolmonare133. Secondo uno schema di monitoraggio fetale che integri l’ecografia e la cardio-tocografia134, la sequenza temporale del deterioramento delle condizioni fetali interessa ini-zialmente l’AFI e il PI dell’arteria ombelicale, successivamente la flussimetria in arteria cere-brale media e in aorta, la variabilità a breve termine all’NST, ed infine il dotto venoso e cavainferiore.Tali evidenze suggeriscono che la valutazione del dotto venoso e la variabilità a bre-ve termine della frequenza cardiaca possono essere molto utili dal punto di vista decisiona-

268 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

le e che l’indicazione fetale all’espletamento del parto dovrebbe essere presa in considera-zione se uno di questi parametri diviene persistentemente anormale. Nelle gravidanze più tar-dive, tra 34-36 settimane, il riscontro di assenza o inversione del flusso diastolico imputabiliall’insufficienza placentare è poco probabile. Quindi, a termine o presso il termine, la presen-za di una flussimetria regolare in arteria ombelicale, non esclude il verificarsi di una redistri-buzione emodinamica135. La valutazione dei flussi in arteria cerebrale può essere importanteper segnalare quei feti a rischio di eventi avversi perinatali e quindi può essere un parametroutile per il management dei feti IUGR vicino il termine136.

Il protocollo richiesto per il monitoraggio ottimale fetale in caso di pre-eclampsia con in-sufficienza uteroplacentare è dibattuto. È stato suggerito che per uno IUGR precoce la stra-tegia complessiva di monitoraggio fetale intensivo rappresenta una valida alternativa al partoimmediato137. In caso di flussimetria Doppler normale, questa dovrebbe essere valutata setti-manalmente, mentre l’evidenza di una redistribuzione significativa del flusso cerebrale neces-sita di un controllo ogni 3 giorni. Feti con evidenza di modificazioni Doppler venose dovreb-bero essere monitorizzati più intensamente. Complementari alla sorveglianza fetale intensivamediante i parametri flussimetrici sono la valutazione frequente del profilo biofisico e il mo-nitoraggio cardiotocografico, in particolare computerizzato. In epoche gestazionali precoci, ladiagnosi IUGR severo con flusso diastolico assente dovrebbe portare alla considerazione disomministrare steroidi. È stato evidenziato che gli steroidi comportano un miglioramento deiflussi in arteria ombelicale transitoriamente in queste circostanze per 4-7 giorni138; d’altro can-ti i feti con restrizione di crescita sono a rischio di acidosi lattica e gli steroidi sembrano in-durre acidosi in modelli animali139. Quindi in caso di IUGR con flusso ombelicale assente o in-vertito la somministrazione di steroidi prima delle 32 settimane dovrebbe essere seguita dauno studio intensivo a breve termine con il Doppler sia per identificare una risposta positivafavorevole del flusso diastolico sia per identificare la necessità del parto.

Il partoGeneralmente quando l’epoca gestazionale è inferiore alle 32 settimane, il parto dovreb-

be espletarsi mediante taglio cesareo elettivo in quanto offre maggiori garanzie sul manteni-mento e sul monitoraggio del benessere materno e fetale. Inoltre, il tentativo di induzione deltravaglio in queste epoche precoci si conclude in parto vaginale solo nel 35% dei casi140,141. Èpreferibile che il taglio cesareo avvenga in anestesia perdurale o spinale, in quanto l’intuba-zione e l’estubazione necessari per l’anestesia generale possono provocare un aumento del-la pressione arteriosa e della frequenza cardiaca142. Sia nel corso dell’intervento sia nel decor-so post-operatorio è inoltre importante l’attenta regolazione del carico di liquidi per il rischiodi edema polmonare acuto.

269GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

In epoche gestazionali superiori alle 34 settimane, se le condizioni materne e fetali sonostabili il parto vaginale è l’opzione preferibile: è opportuna l’induzione del travaglio di partoprevia valutazione della cervice. Un parto vaginale si realizza nel 65% dei casi di induzione,soprattutto se si usano prostaglandine vaginali e le probabilità di successo sono maggiori quan-to più elevata è l’epoca gestazionale140,141. Considerando che la modalità di parto preferibileè quella per via vaginale e che la maggior parte dei feti non compromessi può affrontare untravaglio di prova vaginale, tali affermazioni sono applicabili anche per la maggior parte deifeti con restrizione di crescita se l’induzione al travaglio viene effettuata gradualmente e vie-ne effettuato un monitoraggio continuo fetale per individuare precocemente segni di com-promissione fetale.

Un feto con restrizione di crescita severa ed evidenza Doppler di redistribuzione del flus-so cerebrale e oligoanidramnios, invece, non è probabilmente in grado di affrontare un tra-vaglio per cui tali condizioni possono rappresentare un’indicazione al taglio cesareo. In que-sti casi, tuttavia uno stress test con ossitocina può essere di aiuto nel valutare la presenza diuna riserva placentare sufficiente per il feto di affrontare le contrazioni del travaglio.

Nel complesso, l’assistenza al travaglio di una paziente pre-eclamptica richiede comunqueun monitoraggio continuo della frequenza cardiaca fetale poiché la probabilità di insorgenzadi distress fetale è più frequente, a causa dell’insufficienza placentare141. La terapia antiper-tensiva può essere continuata per tutto il travaglio. È opportuno tenere presente che il ta-glio cesareo dovrebbe essere effettuato prontamente, ai primi segnali di compromissione ma-terna o fetale se il travaglio è prolungato. Inoltre è indicato il parto strumentale se il secon-do stadio del travaglio non procede rapidamente o se la PA diastolica supera i 100 mmHg.

Analgesia durante il travaglioLa pre-eclampsia non rappresenta una controindicazione all’analgesia epidurale: questa può

apportare dei benefici, in quanto il sollievo dal dolore ha un effetto benefico sul rialzo pres-sorio spesso associato con il travaglio143,144.

Il requisito indispensabile per l’applicazione del catetere epidurale è dato dalla conoscen-za del controllo dei livelli piastrinici e delle prove emogeniche al momento dell’ammissionein sala parto: valori di piastrine < 80 x 109/l controindicano il posizionamento del catetere,mentre valori compresi tra 80 x 109/l e 100 x 109/l, consentono l’analgesia epidurale solo sele prove emogeniche sono normali.

Considerando la ridistribuzione dei fluidi associata alla fisiopatologia della pre-eclampsia,e degli effetti dell’analgesia epidurale sulla vasodilatazione, l’applicazione del catetere epidu-rale deve essere associata ad un giudizioso controllo del bilancio idrico. Inoltre occorre tene-re presente l’eventualità che l’ipotensione conseguente vasodilatazione indotta dall’analgesiaepidurale faccia precipitare la già compromessa perfusione placentare determinando l’insor-genza di segni di sofferenza fetale.

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

Coplicanze post-partumGeneralmente l’espulsione della placenta rappresenta la terapia della pre-eclampsia tutta-

via le prime 48 ore dopo il parto costituiscono una fase “critica” in cui si possono manifesta-re molte delle complicanze70. Il principale rischio materno in questa fase è rappresentato dal-l’edema polmonare1; un monitoraggio invasivo in genere non è necessario145 specie conside-rando che nella pre-eclampsia, l’edema polmonare può verificarsi in presenza di una bassapressione venosa centrale a causa dell’aumento dei fluidi interstiziali. Utile, invece, è la conti-nua valutazione ossimetrica, o in caso di sospetto di edema polmonare, l’esecuzione diun’emogasanalisi.

Il coinvolgimento renale è un’altra possibile complicanza: una oliguria relativa è frequente,realizzandosi in circa il 30% di donne con malattia severa146. Questa non richiede alcun inter-vento, perché in genere il volume di urine si ripristina spontaneamente in poche ore. Inveceuna compromissione più severa e prolungata della diuresi, può comportare la ritenzione finoal sovraccarico, che in genere incomincia 16 ore dopo il parto. In caso di bilancio idrico po-sitivo, o di sospetto di edema polmonare, dovrebbero essere somministrati diuretici: tale ap-proccio riduce la probabilità di edema polmonare, aumenta la saturazione di ossigeno, ridu-ce l’edema cerebrale e migliora il controllo pressorio. Se l’edema polmonare insorge nono-stante l’uso di diuretici, si deve prendere in considerazione la possibilità di un difetto della fun-zione ventricolare sinistra.

Altre possibili complicanze post partum sono rappresentate dalla sindrome HELLP, eclam-psia postpartum e ictus70. In definitiva, dopo il parto, il management di donne con pre-eclam-psia è fondamentalmente di supporto e richiede uno stretto monitoraggio della pressione ar-teriosa, dei sintomi, del bilancio di liquidi. Se è stato somministrato magnesio solfato, questodovrebbe essere continuato per almeno 24 ore dopo il parto. La necessità di terapia antii-pertensiva spesso si riduce nelle prime 24 e, nelle successive 72 ore la dose somministratadovrebbe essere rivalutata poiché la pressione tende a diminuire. Comunque può essere ne-cessario proseguire la terapia antiipertensiva per alcune settimane dopo il parto.

Lo screening della pre-eclampsiaE’ ormai nota da tempo l’associazione tra la patologia vascolare uteroplacentare e forme

anomale della velocità del flusso in arterie uterine147.Tale evidenza ha suggerito l’ipotesi cheil Doppler delle arterie uterine potesse avere un ruolo come screening non invasivo di pla-centazione difettiva in uno stadio della gravidanza sufficientemente precoce per identificaredonne a rischio di sviluppare IUGR e/o pre-eclampsia. A sostegno di questa ipotesi, è statoriscontrato che le gravidanze in cui si evidenzi un’elevato indice di resistenza o un notch dia-stolico precoce (unilaterale o bilaterale) alla flussimetria doppler delle arterie uterine nel se-

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

condo trimestre sono associate ad un aumento pari sette volte della frequenza di pre-eclam-psia148. In realtà, i dati in Letteratura sono piuttosto controversi: si può sostenere che tale me-todica rappresenti un valido screening per quegli outcome avversi associati al difetto di pla-centazione che esitano in parto pretermine, quali pre-eclampsia severa e IUGR precoci, men-tre è scarsa la capacità di predire pre-eclampsia e IUGR a termine149-151. Nel complesso, il va-lore predittivo positivo è del 6-40%, mentre la sensibilità varia dal 20 al 60%70, essendo mag-giore quando tale metodica è applicata ad una popolazione più selezionata (storia di iperten-sione, nefropatia, sindrome da anticorpi antifosfolipidi). Il periodo ottimale di esecuzione èquello compreso tra 18-24 settimane151: nonostante il riconoscimento di un’alterazione flus-simetrica in epoche gestazionali precoci avrebbe un maggiore beneficio in termini di tempe-stività di intervento profilattico, il numero di falsi positivi nel primo trimestre è molto eleva-to, verosimilmente perchè il processo di placentazione non è ancora completato. Sebbenenon vi sia accordo su quale aspetto della forma della velocità possa considerarsi il gold stan-dard per valutare lo screeninig positivo, sembra che la combinazione di un elevato indice diresistenza e la presenza di notch siano associati a sensibilità più elevata152. Infine, alcuni mar-kers biochimici possono aumentare la sensibilità dello screening ecografico: in particolare li-velli elevati di inibina A nel II trimestre, indicatore indipendente di invasione trofoblastica ina-deguata153.

Sulla base delle specifiche anomalie fisiopatologiche associate alla pre-eclampsia (attiva-zione endoteliale e della coagulazione, infiammazione sistemica), numerose sostanze sono sta-te proposte come indicatori del successivo sviluppo di questa condizione. Nonostante sianostate riportate concentrazioni materne di questi biomarcatori sia aumentate sia ridotte pre-cocemente nelle donne che svilupperanno la pre-eclampsia, i dati sono inconsistenti e nonsono utilizzabili nella pratica clinica154,155.

Prevenzione della pre-eclampsiaLa possibilità di definire un programma di prevenzione di una determinata patologia pre-

suppone un’adeguata conoscenza della sua eziologia e fisiopatologia e l’esistenza di un test discreening sufficientemente sensibile per identificare donne ad alto rischio in modo che ven-gano indirizzate verso una terapia profilattica. Per quanto concerne la pre-eclampsia, tali aspet-ti sono tutt’altro che ben definiti; inoltre l’eziologia multifattoriale e la natura eterogenea diquesta sindrome suggeriscono che un programma di prevenzione univoco potrebbe non es-sere efficace in tutti i casi di pre-eclampsia.

La prevenzione primaria, basata sulla identificazione e correzione dei fattori di rischio infase pregravidica, dovrebbe essere rivolta alla perdita di peso da parte di donne obese o insoprappeso, al buon controllo glicemico in pazienti diabetiche, alla normalizzazione della pres-

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

sione arteriosa nelle forme di ipertensione cronica. La prevenzione terziaria, finalizzata a ri-durre il rischio di insorgenza delle complicanze dopo che la malattia è clinicamente manife-sta, consiste nella terapia. L’approccio più difficile riguarda, invece, la prevenzione secondaria,cioè quella da attuare in donne asintomatiche per una diagnosi e un trattamento precoce.

I dati principali in letteratura riguardano la somministrazione di aspirina155: il razionale con-siste nel tentativo di correggere lo sbilanciamento tra prostaciclina e trombossano A2, checostituisce uno degli aspetti maggiormente coinvolti nella fisiopatologia della pre-eclampsia:l’inibizione della sintesi piastrinica di TXA2 con basse dosi di aspirina migliorerebbe la vaso-costrizione e l’aggregazione piastrinica e, in tal modo, potrebbe prevenire o ritardare la pro-gressione della malattia. I diversi trials clinici in proposito, oltre ad essere spesso metodologi-camente criticabili, sono caratterizzati da un’estrema variabilità dei criteri di selezione, di ran-domizzazione e delle dosi utilizzate.

Una meta-analisi di questi studi116, riporta una riduzione del rischio di pre-eclampsia del15% conseguente alla somministrazione di antiaggreganti, sia nella popolazione ad alto rischio(precedente pre-eclampsia severa, diabete, ipertensione cronica, nefropatia o malattia autoim-mune) sia in quella a rischio moderato (prima gravidanza, lieve aumento pressorio senza pro-teinuria, roll-over test positivo, anomalia al Doppler delle arterie uterine, gravidanza multipla,storia familiare di pre-eclampsia severa, teen-ager). Inoltre viene evidenziata una riduzione pa-ri al 14% del rischio di morte neonatale nel gruppo trattato e di circa l’8% del rischio di par-to pretermine prima delle 37 settimane, mentre non è riportata alcuna evidenza di una mi-nore incidenza del parto prima delle 32 settimane.Tali dati suggeriscono che 89 donne do-vrebbero essere trattate per prevenire 1 caso di pre-eclampsia e 250 donne dovrebbero ri-cevere la terapia antiaggregante per prevenire una morte neonatale: pertanto, nonostante lasomministrazione di aspirina sia statisticamente associata a diversi benefici, questa evidenzanon si è tradotta in un largo impiego nella pratica clinica, probabilmente perché numeri rela-tivamente ampi di donne necessiterebbero di essere trattati per prevenire un singolo caso dipre-eclampsia.

L’interesse è stato focalizzato, quindi, sull’efficacia dell’aspirina in donne identificate comead alto rischio dallo screening del Doppler delle arterie uterine. Una meta-analisi di 5 studirandomizzati157 ha dimostrato una riduzione del 45% di pre-eclampsia nel gruppo trattato che,in termini numerici, richiederebbe la somministrazione di aspirina a 16 donne con Doppleralterato per prevenire un caso di pre-eclampsia, fornendo un supporto più plausibile alla te-rapia preventiva in un campione più selezionato.

Piuttosto dibattuti, sono il dosaggio ottimale e il timing del trattamento: la meta-analisi ci-tata156 suggerisce maggiori benefici con dosi superiori a 75 mg e raccomanda l’inizio della te-rapia tra le 12 e le 20 settimane.

Studi osservazionali, sebbene piuttosto limitati158, riportano un outcome migliore quandol’inizio della terapia antiaggregante avviene nel primo trimestre, sostenendo che questa po-

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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico

trebbe essere di beneficio per il processo di invasione del trofoblasto.Numerosi studi sono stati effettuati per valutare il potenziale beneficio di altre sostanze

nel ridurre la frequenza e/o la severità della pre-eclampsia, quali la supplementazione di zin-co, magnesio, olio di pesce, l’uso di diuretici, la restrizione di proteine o sale e, anche se i da-ti si basano su campioni limitati, hanno mostrato un beneficio da minimo a nullo70.

Risultati più incoraggianti riguardano, invece, la somministrazione di calcio, antiossidanti edeparina a popolazioni selezionate come a maggior rischio di sviluppare la pre-eclampsia.

La supplementazione di calcio, teoricamente, può ridurre la contrattilità delle cellule mu-scolari lisce sia riducendo il rilascio di paratormone e renina, sia per effetto indiretto attra-verso l’aumento delle concentrazioni sieriche di magnesio159. Una meta-analisi del Cochraneriporta che la supplementazione di calcio, pur non comportando alcun beneficio sulla mor-talità perinatale, è associata, nel complesso, ad una riduzione del rischio di pre-eclampsia160:questa, tuttavia, risulta significativa solo in donne ad alto rischio di ipertensione o con scarsoapporto di calcio con la dieta, suggerendo che tale approccio non abbia un reale significatonei paesi sviluppati.

Per quanto concerne gli antiossidanti, sono stati riportati benefici conseguenti alla sommi-nistrazione di vitamina C ed E a donne definite a rischio di pre-eclampsia sulla base di ano-malie Doppler delle arterie uterine a 18-22 settimane o di una precedente pre-eclampsia cheavesse richiesto il parto prima delle 37 settimane161. In questi casi, l’evidenza clinica di una ri-duzione significativa della pre-eclampsia nel gruppo trattato, viene riflessa, sul versante bio-chimico da una riduzione del rapporto PAI-1/PAI-2, significativamente aumentato nella pre-eclampsia rispetto ad una normale gravidanza. Infine, risultati di studi osservazionali riporta-no una minore ricorrenza della pre-eclampsia ricorrente in donne con trombofilia in seguitoalla profilassi con eparina162.

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280 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

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IMMUNITÀ E GRAVIDANZA.ATTIVAZIONE O DEPRESSIONE:ASPETTI CLINICIE. Bianchini, M.Vessella, *R. Bulla, F .De Seta, A. Candiotto, S. Smiroldo, S. SaccoDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo * Istituto Patologia generale - Università di Trieste

Il sistema immunitario del tratto genitale rappresenta una parte dell’esteso sistema di di-fesa che lambisce le membrane mucose del corpo umano. Sebbene esso, in tal sede, abbianotevoli similarità con altre mucose dell’organismo, per molti aspetti risulta essere unico efunzionalmente separato dalle difese immuni mucosali, come quelle del polmone o dell’inte-stino, per esempio. Tale specifico sistema, infatti, deve proteggere adeguatamente l’apparatogenitale ed essere in grado di rispondere ai patogeni sessualmente trasmissibili, alcuni dei qua-li potenzialmente letali come il virus HIV, il papilloma virus, ed altri che possono avere delleconseguenze devastanti per quanto riguarda la capacità riproduttiva. Contemporaneamente,però tale sistema deve poter garantire la tolleranza nei confronti di antigeni come le mole-cole presenti nello sperma e nei confronti del prodotto del concepimento.

Il sistema immunitario può essere distinto in due grandi compartimenti: l’immunità innatae quella acquisita.

L’immunità innata rappresenta la prima risposta immunitaria agli stimoli e si estrinseca at-traverso l’attivazione del complemento, la fagocitosi macrofagica, la lisi cellulare da parte del-le cellule NK.Tale risposta è immediata e non-antigene specifica e si caratterizza per una li-mitata capacità di distinguere un microbo dall’altro, nonché una natura prettamente stereoti-pata; in altre parole, essa funziona sostanzialmente nella stessa maniera contro la maggior par-te degli agenti infettivi; però risulta essere fondamentale perché non solo fornisce una primalinea di difesa nei confronti dei microbi, ma gioca anche un ruolo molto importante nell’in-duzione delle risposte immuni specifiche. Provvede infatti a fornire una sorta di “segnale d’al-larme” che stimola la generazione di tali risposte.Vi sono infatti anche dei meccanismi di di-fesa maggiormente evoluti, che vengono stimolati dall’esposizione agli agenti infettivi, e cheaccrescono la loro intensità ed il loro potenziale difensivo ad ogni successiva esposizione adun determinato microbo.

Dato che questa forma di immunità evolve come risposta alle infezioni, essa viene deno-minata immunità acquisita o specifica. È in grado di rispondere in maniera diversa a microbidifferenti, ha una specificità per singole molecole ed ha la capacità di “ricordare”, ossia di ri-

PATOLOGIA AUTOIMMUNE

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

spondere più intensamente ad esposizioni ripetute ad uno stesso agente patogeno. Le cellu-le coinvolte in tale tipo di risposte sono i linfociti T, divisi in TH1 e TH2 a seconda del recet-tore espresso sulla superficie cellulare, e i linfociti B.

Perché un antigene estraneo possa essere riconosciuto dai linfociti, deve essere degrada-to in piccoli peptici antigenici ed essere associato alle molecole del complesso maggiore diistocompatibilità MHC di classe I, espresse sulla superficie della maggior parte delle cellule egli antigeni di istocompatibilità di classe II, presenti sulle cellule presentanti l’antigene. L’inizialeincontro di un linfocita con un antigene induce una risposta primaria; in un successivo con-tatto con lo stesso patogeno l’organismo attiva una risposta di memoria caratterizzata da unareattività immunitaria più rapida ed intensa finalizzata alla eliminazione del patogeno e alla pre-venzione della malattia.

La specificità nei confronti dell’antigene è determinata, prima del contatto con l’antigene,dal riarrangiamento casuale dei geni che codificano il recettore, che avviene durante la ma-turazione dei linfociti nel midollo osseo o nel timo. Durante questo processo le cellule auto-reattive sono eliminate permettendo esclusivamente la sopravvivenza delle cellule T che ri-conoscono i tessuti non-self.

In gravidanza abbiamo una condizione molto particolare dal punto di vista immunologico.Essa infatti si caratterizza per l’instaurarsi di un rapporto immune speciale tra madre e fe-

to che consente al feto di resistere all’attacco del sistema immunitario materno, pur posse-dendo antigeni di istocompatibilità diversi da quelli della madre.

Allo sviluppo di questa situazione favorevole per il feto concorrono due fattori: l’instau-rarsi di un processo di immunosoppressione locale a livello placentare e la formazione di unabarriera protettiva per il feto.Alla costituzione della barriera di demarcazione tra madre e fe-to contribuisce il trofoblasto il quale utilizza diversi sistemi per evadere l’attacco immune ma-terno.

Confronto immunitario tra madre e fetoLa placenta, l’organo neo-formato a livello uterino, svolge l’importante funzione di man-

tenere i contatti tra madre e feto. Alla formazione di questo tessuto contribuiscono struttu-re di origine materna e fetale: la decidua e il trofoblasto.

La placenta svolge l’importante compito di assicurare al prodotto del concepimento il nu-trimento necessario al suo sviluppo con un continuo rifornimento di sangue materno, chegiunge attraverso le arterie uterine e spirali fin negli spazi intervillosi a ridosso dei villi coria-li. Per evitare che questo rifornimento subisca interruzioni, le pareti dei vasi materni vanno in-contro ad una completa trasformazione strutturale quando entrano in territorio placentare.La principale trasformazione è la sostituzione dell’endotelio con il trofoblasto al fine di ridur-

282 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

re al minimo il contributo delle cellule endoteliali nel determinare variazioni di flusso con ilrilascio di endoteline, prostaglandine ed altri radicali.

Il trofoblasto rappresenta la parte fetale della placenta. I villi corionici sono formati da duestrati di cellule, uno più profondo di citotrofoblasti mononucleati che aderiscono alla mem-brana basale dei villi ed uno più esterno di sinciziotrofoblasti multinucleati che derivano dal-la fusione dei citotrofoblasti.

Il citotrofoblasto ed il sinciziotrofoblasto formano una barriera che protegge il prodottodel concepimento da elementi potenzialmente dannosi quali i prodotti umorali e/o cellularidella risposta immune materna nei confronti di alloantigeni fetali, i più importanti dei quali so-no gli antigeni di istocompatibilità ereditati dal padre e quindi estranei, che impediscono l’in-gresso di leucociti che potrebbero attaccare il feto con meccanismi citotossici o proinfiam-matori.

A dispetto della funzione di barriera, è ormai noto, che il trofoblasto villoso non impedi-sce il passaggio transplacentare di cellule tra la madre ed il feto, per esempio, microchimeri-smo fetale è stato ritrovato nel sangue materno molti anni dopo la gravidanza ed è partico-larmente presente nelle cellule T periferiche di donne con sclerodermia; ciò suggerisce l’im-plicazione delle cellule fetali nell’insorgenza della malattia.

Il trofoblasto non è presente esclusivamente a livello dei villi, ma cellule trofoblastiche so-no presenti anche a livello della decidua dove prendono il nome di trofoblasto extravilloso(EVT) o di trofoblasto interstiziale. La penetrazione della parete uterina da parte del trofo-blasto extravilloso avviene con un meccanismo non ancora conosciuto ma il processo ricor-da gli eventi coinvolti nella migrazione delle cellule metastatiche. Durante la migrazione alcu-ni trofoblasti interstiziali cambiano morfologia divenendo prima fusiformi, poi rotondeggiantied infine multinucleati quando raggiungono la porzione più profonda della decidua. Questi ul-timi, noti come cellule giganti della placenta, rappresentano la tappa finale di trasformazionedei trofoblasti extravillosi e sono privi di attività invasiva. Altri trofoblasti interstiziali, migran-do in decidua tendono invece a localizzarsi di preferenza attorno alle arterie spirali. Durantela sua progressione attraverso la decidua il trofoblasto è in grado di modificare il pattern dimolecole di adesione.Tali cellule perdono progressivamente l’integrina alfavbeta4 e la E-ca-derina tipiche delle cellule epiteliali per acquisire alfavbeta3, il alfa5beta1 (recettore per la fi-bronectina), la VE-caderina e PECAM-1, molecole più tipiche delle cellule endoteliali.

Vi sono poi delle cellule particolari del EVT, chiamate trofoblasto endovascolare che so-no in grado di penetrare nelle arterie spirali, e di migrare in maniera retrograda all’internodel lume vascolare andando a sostituire parzialmente il rivestimento endoteliale. Le arteriespirali a seguito di questo rimodellamento vengono trasformate in ampi e tortuosi vasi ad al-to flusso e bassa resistenza.

Sia l’invasione trofoblastica endovascolare che perivascolare sono fondamentali per la pro-secuzione della gravidanza. Alterazioni di tale fenomeno sono infatti associati ad un outcome

283GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

ostetrico sfavorevole come la pre-eclampsia, la restrizione di crescita intrauterina (IUGR) el’aborto.

Vi sono poi altri fattori che contribuiscono al rimodellamento vascolare, in particolare, inmodelli murini un ruolo fondamentale sembrerebbero rivestire le cellule NK.

A livello placentare le relazioni intercellulari sono speculari a quelle intercorrenti tra le cel-lule tumorali, infatti il controllo regolatorio dell’inibizione da contatto tra cellula-cellula è tem-poraneamente bloccato durante l’invasione trofoblastica. Alcuni Autori sono giunti a definirelo sviluppo placentare come un “processo pseudomaligno” enfatizzando il ruolo dei fattori dicrescita, dei proto-oncogeni e delle proteine di adesione nello sviluppo placentare.

Trofoblasto e risposta immune maternaLe cellule del trofoblasto sono continuamente esposte al sangue materno e, poichè pos-

siedono antigeni di derivazione paterna, potrebbero costituire un facile bersaglio per i com-ponenti umorali e cellulari del sistema immunitario materno, che riconosce questi antigeni co-me estranei. Per evitare che una eventuale distruzione immuno-mediata di questa barrieraprotettiva apra la strada ad un massiccio attacco del feto da parte del sistema immunocom-petente materno, il trofoblasto ha sviluppato sistemi di protezione molto efficienti.

Il sinciziotrofoblasto non possiede né antigeni MHC di classe I né antigeni MHC di classeII per cui queste cellule non possono essere attaccate da linfociti citotossici, che riconosconoil bersaglio antigenico soltanto in un contesto di restrizione imposto dagli antigeni HLA di clas-se I.

Anche il citotrofoblasto non esprime antigeni di istocompatibilità, al contrario i trofoblastiextravillosi non esprimono antigeni MHC di classe I classici HLA-A e HLA-B (antigeni capacidi stimolare una reazione graft versus host disease-like) ma esprimono solo l’HLA-C ed unaparticolare molecola qualitativamente diversa da quella espressa dagli altri tessuti materni. Sitratta, infatti, di un antigene MHC di classe I (o classe Ib) non classico denominato HLA-Gche, come una classica molecola di classe I è associata alla beta2 microglobulina ed è espres-sa oltre che dalla placenta, in pochi altri tessuti quali l’occhio, il fegato ed i linfociti.

L’HLA-G svolge un ruolo importante nella riproduzione poiché è coinvolta nella presen-tazione antigenica, infatti, i recettori CD8 possono legare l’HLA-G nello stesso modo in cuisi legano ad antigeni MHC di classe I classici, inoltre, l’HLA-G può interagire con le celluleCD4 formando strutture simili a quelle di classe II. Quindi, una funzione dell’HLA-G potreb-be essere quella di presentare antigeni intracellulari estranei alle cellule T.

L’espressione di HLA-G serve anche a proteggere il trofoblasto in quanto inibisce la pro-liferazione dei linfociti T CD4+ e diminuisce la produzione da parte della decidua di TNF-al-fa ed IFN-gamma.

284 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

L’HLA-G, inoltre, è riconosciuta da specifici recettori espressi sulle cellule NK dell’utero,compresi i recettore CD94/NKG2A e LIR-1 e protegge il trofoblasto dall’azione lesiva dellecellule NK.

L’HLA-G è presente anche in forma solubile ed al contrario della forma legata alla mem-brana, stimola il rilascio di TNF-alfa e INF-gamma. L’aumento di queste citochine Th1 è ac-compagnata da un aumento di IL-10 che è in grado di contrastarne gli effetti abortivi. La ri-levanza clinica di tale molecola appare evidente da studi condotti su RSA ed eclampsia (pa-tologia caratterizzata da una scarsa invasione trofoblastica) dove la sua espressione trofobla-stica ed i livelli materni circolanti sembrerebbero essere fortemente diminuiti.

Recenti studi condotti sulle gravidanze in vitro hanno dimostrato come sia lo stesso em-brione sHLA-G (forma solubile dell’HLA-G; massima concentrazione rilevata 2-3 giorni do-po la fecondazione in vitro) a dimostrazione dell’importanza di fattore e dell’enorme poten-zialità dell’embrione stesso, nell’impianto.

Sargent e coll. (Oxford Fertility Unit) hanno dimostrato come la percentuale di successodopo fecondazione in vitro era molto più elevata negli embrioni che producono elevate con-centrazioni di tale molecola rispetto a quelli che non erano dotati di tale capacità. Questi stu-di, tutt’ora in corso, forniscono importanti implicazioni per la fecondazione in vitro, infatti, setali dati preliminari venissero confermati, sarebbe possibile selezionare gli embrioni “migliori”non solo sulla base della morfologia, ma anche della capacità di produrre sHLA-G, compor-tando un maggior tasso di successi e non solo, ma anche la possibilità (ove la legge lo per-mettesse) di trasferire un solo embrione, evitando così i problemi legati alle gravidanze mul-tiple.

I trofoblasti extravillosi esprimono inoltre l’HLA-E, che è in grado di interagire con i re-cettori CD94/NKG2 delle cellule NK ed inibire la loro attività citotossica.

In definitiva, le molecole MHC di classe I non classiche e l’HLA-C svolgono un importan-te ruolo nella soppressione dell’attività delle cellule T e NK nei confronti della placenta. Unarecente teoria, supportata da notevoli evidenze sperimentali, sostiene che l’espressione diHLA-C-E-G avrebbe un ruolo protettivo verso la lisi NK, mediata grazie a due meccanismi,uno diretto sulle cellule trofoblastiche, mirato a regolarne la secrezione citochimica, l’altro in-vece rivolto direttamente sulle cellule NK, mirato a regolare l’espressione recettoriale su ta-li cellule. Inoltre il legame di tali molecole alla superficie delle NK e dei macrofagi sarebbe ingrado di attivare il rilascio di citochine fondamentali per l’angiogenesi, il rimodellamento va-scolare e l’impianto.

Una aberrante espressione di molecole MHC di classe II od una aumentata espressionetrofoblastica di MHC di classe I sarebbero in grado di stimolare una maggiore produzione diIFN- gamma.Tale meccanismo potrebbe essere implicato nella patogenesi della poliabortivi-tà, in virtù del ruolo stimolatore della citotossicità T-mediata di tale molecola, sebbene al mo-mento attuale non vi sia alcuna evidenza sperimentale.

285GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

Tabella1. Rapporti tra trofoblasto e risposta immune maternaTrofoblasto Modificazioni Significato funzionaleExtravilloso antigeni di classe I classici

antigeni HLA di classe I non classici Protezione contro il killing da cellule NKEspressione di inibitori del complemento Protezione contro il killing C-mediato

Villoso Assente espressione di antigeni HLA di classe I Suscettibilità al killing da linfociti citotossici

Trofoblasto e complementoIl sistema del complemento ha un ruolo centrale nella funzione immunitaria. L’attivazione

del complemento coinvolge una cascata di reazioni enzimatiche che genera varie proteinecon attività biologiche che coinvolgono sia l’immunità innata sia quella acquisita che consisto-no nella lisi cellulare, l’opsonizzazione, l’attivazione della risposta infiammatoria e la rimozio-ne degli immunocomplessi. La rapidità d’azione e la assenza di memoria, tipiche di tale siste-ma, lo rendono una componente importante del sistema immunitario innato. Durante la gra-vidanza la placenta rappresenta un’importante stimolo antigenico, tuttavia non si assiste ad al-cuna attivazione complementare, grazie ad alcune proteine regolatrici. Fra queste il DAF/CD55(Decay Accelerating Factor), il MCP/CD46 (Membrane Cofactor Protein) ed il CD59, nonchél’espressione della proteina S o vitronectina, un inibitore del complesso terminale. Il trofobla-sto villoso esprime MCP e CD59 ed un basso livello di DAF e ciò si spiega col fatto che que-ste cellule necessitano di una minore protezione nei confronti del complemento rispetto alsinciziotrofoblasto, inoltre, DAF, MCP e CD59 sono stati ritrovati anche sull’EVT, sebbene que-ste cellule non siano esposte direttamente al sangue materno ad eccezione del trofoblastoendovascolare. Studi condotti sul DAF, sembrerebbero dimostrare come polimorfismi gene-tici si associno ad emoglobinuria parossistica notturna e quindi non si può escludere che pos-sano essere alla base di poliabortività inspiegata.

L’importanza del complemento durante la gravidanza viene testimoniata dalla sindromeda anticorpi antifosfolipidi (APS). Essa è patologia autoimmune che ricorre in circa il 20% didonne con storia di RSA e si caratterizza per la presenza di elevate concentrazioni sierichedi anticorpi IgG rivolti verso una proteina anionica dei fosfolipidi di membrana che sono allabase di modificazioni placentari capaci di compromettere l’esito della gravidanza (trombosiarteriosa e/o venosa). Questi anticorpi sarebbero rivolti verso proteine espresse anche dallasuperficie dei trofoblasti, infatti studi eseguiti su topi gravidi hanno evidenziato come tale con-dizione si associ ad abortività e a ritardo di crescita intrauterina.Tali fenomeni sembrerebbe-ro essere associati ad una massiva deposizione complementare, in particolar modo in assen-za di proteine regolatrici. Infatti l’infusione, su modelli murini di proteine regolatrici è in gra-do di bloccare la necrosi cellulare complemento-mediata.

Anche nella specie umana (come dimostrato dalla attivazione anticorpo mediata della ca-

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

scata complementare in donne con storia di RSA) potrebbe associarsi a poliabortività.Deposizione di componenti complementari è stata dimostrata in aree di necrosi fibrinoideplacentari tipiche di patologie quali la preeclampsia.Tuttavia tali componenti sono state rile-vate anche in placente di donne con gravidanze fisiologiche ma con una estensione ridotta esoprattutto non coinvolgente il sincizio/citotrofoblasto.

Cellule deciduali e loro ruolo nel rapporto immune materno-fetaleI componenti del sistema immune naturale ed acquisito presenti in decidua sono princi-

palmente Natural Killer (NK), macrofagi, linfociti T e linfociti B.

Natural KillerLe cellule natural killer (NK) rappresentano una distinta sottopopolazione linfocitaria che ri-

veste un ruolo fondamentale nelle fasi iniziali della risposta immunitaria ai patogeni grazie allaloro attività citotossica (secrezione di citochine e chemochine). Essi rappresentano il 5-20% deilinfociti del sangue periferico mentre a livello della mucosa uterina (decidua basale, decidua pa-rietale e in prossimità delle arterie spirali) rappresentano la sottopopolazione linfocitaria pre-dominante (70% dei linfociti).

La funzione delle NK uterine non è ancora chiara, poichè, queste cellule, pur essendo in gra-do di esercitare un’attività citotossica nei confronti di cellule tumorali, al pari delle NK extrau-terine, non hanno alcun effetto litico sul trofoblasto a meno che non siano attivate all’IL-2.

Alle NK uterine è stato attribuito un ruolo di controllo sull’impianto, la placentazione e ladiffusione del trofoblasto extravilloso nella parete uterina.Teorie supportate dall’evidenza che,col procedere della gravidanza, il numero delle NK decresce progressivamente fino a diveni-re virtualmente assente a termine di gravidanza.

Tale ruolo di modulatori dell’invasione trofoblastica è stato confermato da studi di Hiby ecoll. che hanno trovato una significativa correlazione tra un polimorfismo genetico del recet-tore KIR espresso dai NK e la pre-eclampsia.Tale patologia, tipica del secondo trimestre del5-10% delle gravidanze è infatti associata ad un incompleto processo di “remodelling” dellearterie spirali. Inoltre tali cellule potrebbero esercitare una funzione di sorveglianza immuno-logica verso i virus controllandone un’eventuale trasmissione verticale oppure nei confrontidi tumori che potrebbero svilupparsi in corso di gravidanza.

MacrofagiLa componente macrofagica presente a livello deciduale riveste un ruolo fondamentale

per la difesa del prodotto del concepimento da possibili agenti patogeni, soprattutto fra la 23a

e la 36a settimana. Infatti microrganismi quali lo Streptococco di gruppo B, l’Escherichia coli,

287GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

la Neisseriae gonorreae e la Chlamydia trachomatis sono ben noti per essere fonte di corio-amnioniti che possono anche essere letali per il feto. Il lipopolisaccaride (LPS) presente sullasuperficie cellulare di diversi patogeni, se introdotto all’interno della cavità amniotica, può in-fatti attivare i macrofagi e stimolarli a produrre fosfolipasi A2, citochine come IL-1,TNF-alfa eIL-6 e ad incrementare la secrezione di Prostaglandina E2 e F2-alfa, responsabili di induzionedi attività contrattile uterina.Tali cellule non rivestirebbero però, solo un ruolo protettivo ver-so agenti esterni, forniscono anche un contributo importante nella regolazione dell’apoptosicellulare, critica per l’invasione e lo sviluppo embrionale, inoltre contribuiscono all’instaurarsidella tolleranza immunologica verso antigeni fetali.

All’inizio della fase luteale del ciclo mestruale, a livello endometriale, è presente un grannumero di macrofagi, ma la loro quantità tende a diminuire durante la fase secretoria; duran-te la gravidanza, i macrofagi sono distribuiti nella decidua in particolare nella zona di invasio-ne trofoblastica. È stato dimostrato che i macrofagi placentari stimolano la crescita dei cito-trofoblasti e la loro differenziazione in sinciziotrofoblasto; possiedono una notevole attività im-munosoppressiva ed una più bassa capacità di produrre IL-1 a seguito di una stimolazione an-tigenica, rispetto ai monociti circolanti. Essi inoltre rappresentano una particolare classe di APC(Antigen Presenting Cells) il loro contatto con le cellule effettrici del sistema citotossico ha, sudi esse, un effetto inibitorio, soprattutto nelle fasi più precoci della gravidanza fondamentaleper l’instaurarsi della tolleranza immunitaria verso il prodotto del concepimento

Linfociti T e linfociti BLe cellule linfocitarie sono poco rappresentate, il numero di linfociti T è modesto e anco-

ra meno rappresentati sono i linfociti B. I linfociti T, con i recettori alfa-beta e gamma-delta,sono presenti durante tutta la gravidanza. Le cellule T alfa-beta che possono essere divise inCD4+ e CD8+ possono interagire con gli antigeni di classe Ib oppure con altre cellule pre-sentanti l’antigene presenti nella decidua per combattere contro le infezioni. Le cellule T CD4+sono più numerose ed hanno attività immunosoppressiva.

Le cellule T alfa-beta sono presenti soprattutto nelle prime fasi della gravidanza, fino alladodicesima settimana, successivamente sono assenti. Esse non necessitano di una restrizioneMHC per la loro azione citotossica ed hanno un’attività antimicrobica.

Tabella II. Cellule deciduali e loro ruolo nel rapporto immuno materno-fetaleCellule Frequenza FunzioneNK-simili (LGLs) Elevata Attività antivirale, antineoplastica, controllo

della diffusione trofoblastica Macrofagi Buona Difesa ed immunosoppressioneLinfociti T Modesta TH1 danno fetale

TH2 protezione Linfociti B Scarsa Ab bloccanti protezione

Ab citotossici danno

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

Citochine e risposta immune maternaLe numerose e complesse interazioni cellulari presenti a livello dell’interfaccia materno-

fetale sono regolate da diversi fattori solubili quali citochine, prostaglandine, ed ormoni. Talimolecole vengono prodotte dalle stesse cellule del sistema immunitario ma non solo, anchedalla decidua, dal trofoblasto e dal corion. Queste molecole solubili sono in grado di agire condiversi meccanismi: autocrino, paracrino ed endocrino secondo modalità complesse spessodifficili da riprodurre su modelli umani.

ImmunodistrofismoIl paradigma noto come “immunodistrofismo” deriva dall’osservazione che il feto “semial-

logenico” (antigeni paterni e materni) è in grado di evadere l’attacco del sistema immunita-rio materno, potenzialmente dannoso per la sua sopravvivenza.

Il sistema immunitario materno possiederebbe, infatti, degli effetti inibitori sul feto, aventituttavia funzioni protettive. Infatti, sembrerebbero limitare l’invasione trofoblastica, come di-mostrato da studi effettuati su gravidanze ectopiche, dove invece il trofoblasto avrebbe unamaggiore invasività.Tale evidenza sembra suggerire come in una gravidanza fisiologica fattorilocali prodotti dalla decidua e/o dall’endometrio stesso siano capaci di regolarne la prolifera-zione e l’aggressività.Tuttavia una eccessiva inibizione trofoblastica immuno-mediata è corre-lata con un insufficiente sviluppo placentare e può essere quindi correlato con un outcomematerno-fetale sfavorevole: aborto, IUGR, pre-eclampsia.

Da studi in vitro è emerso come citochine quali TNF-alfa-beta, IFN-gamma ed il CSF (co-lony stimulating factor) possano limitare non solo l’invasione trofoblastica ma anche quella dilinee cellulari derivanti da corioncarcinoma, ruolo svolto dall’inibizione diretta sulla sintesi pro-teica trofoblastica.Tali citochine sarebbero poi in grado di inibire la proliferazione delle cellu-le deciduali potendo quindi interrompere lo sviluppo embrionario, come dimostrato da stu-di effettuati su donne con storia di poliabortività.

Studi eseguiti sui roditori hanno dimostrato come la somministrazione sistemica di IL-1,IL-2,TNF-alfa ed IFN-gamma possa indurre l’aborto. Sebbene i “livelli fisiologici” di queste ci-tochine siano presenti durante una gravidanza fisiologica, in particolari condizioni come in ca-so di infezione ed ipossia, possono aumentare notevolmente implementando quindi il rischiodi aborto. A livello materno la produzione di questi fattori è ascrivibile a cellule NK, linfocitiT e macrofagi.

ImmunosoppressioneDa diversi studi è emerso come vi siano citochine aventi attività immunosoppressiva in

grado di inibire il sistema immunitario materno. La produzione di tali fattori è deputata aduna particolare popolazione di piccoli linfociti deciduali in grado di rilasciare un fattore solu-bile simile al TGF-beta2 (Transforming growth factorbeta2).Tale fattore è in grado di inibire l’at-

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

tivazione dei linfociti T citotossici e delle cellule NK (meccanismo mediato dal blocco dell’at-tività dell’IL-2); il deficit di tali cellule è associato sia nelle topine che nella specie umana adaborto. Anche il trofoblasto e la placenta sono in grado di produrre un fattore anch’esso si-mile al TGF-beta2 capace di inibire la proliferazione dei linfociti T e di bloccare l’attività liticadella cellule NK.Tale fattore di origine placentare sarebbe in grado di legarsi all’alfa-fetopro-teina presente nel liquido amniotico spiegandone il ruolo immunosoppressivo.

Un’ulteriore citochina dotata di una notevole attività immunoregolatrice è l’IL-10, anch’es-sa di produzione trofoblastica, è capace di regolare in senso inibitorio la produzione di alcu-ne citochine (IL-1, IFN-gamma,TNF-alfa).Anche l’IL-4 è dotata di tale capacità grazie alla sop-pressione dell’attivazione IL-2-mediata delle cellule NK.

Non solo le citochine sono dotate di attività immunosoppressiva, ma, in gravidanza, un ruo-lo fondamentale rivestono molecole come le prostaglandine, l’indolamina 2-3 diossigenasi(IDO) e gli ormoni steroidei.

L’IDO è un fattore solubile di origine enzimatica prodotto dai macrofagi e da altre cellu-le del sistema immunitario in risposta all’IFN-gamma. Esso è capace di prevenire la prolifera-zione dei linfociti T deciduali grazie alla sua capacità di catabolizzare il triptofano, un aminoa-cido essenziale per la proliferazione dei linfociti. L’IDO viene prodotto dalla decidua basalenel primo trimestre, a termine, invece, dalle cellule endoteliali dei villi coriali, a riprova del suoruolo protettivo nel mantenimento della gravidanza. In uno studio del 2002 Santoso et al. han-no rilevato una significativa diminuzione di tale enzima nel liquido amniotico derivante da gra-vidanze pre-eclamptiche rispetto ai controlli sani.Tale ruolo non è ancora stato studiato nel-l’aborto ricorrente.

Gli ormoni steroidei, estrogeni e progestinici, sono anch’essi dotati di una fondamentaleattività immunomodulatrice a livello dell’interfaccia materno-fetale. Il progesterone è in gra-do di attuare un’attività immunosoppressoria agendo su entrambe le braccia del sistema im-mune, umorale e cellulare. I linfociti T materni sono dotati di un peculiare recettore per il pro-gesterone, che se stimolato induce la produzione di una potente molecola, capace di blocca-re l’attività dei Natural Killer attivati.Tuttavia tali effetti sono raggiungibili solo a livello placen-tare dove le concentrazioni del progesterone sono molto più elevate rispetto al siero mater-no, preservando l’immunità sistemica da tale effetto.

Oltre a possedere un effetto immunosoppressore, ben noto è il suo ruolo “preparatore”l’endometrio ad accogliere una gravidanza, nonché, una volta che questa si sia instaurata diinibire l’insorgenza di attività contrattile uterina.

Gli estrogeni sono in grado di sopprimere la proliferazione dei linfociti T e le reazioni diipersensibilità ritardata sebbene alcuni Autori hanno postulato un possibile ruolo attivatorionella risposta anticorpale. Anche gli steroidi presentano concentrazioni lievemente aumenta-te in gravidanza il cui effetto immunosoppressivo è ben noto. In particolare l’1,25 diidrossivi-tamina D, presente in elevate quantità a livello placentare e deciduale è in grado di inibire la

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

produzione di Il-2 e IFN-gamma da parte dei linfociti T e di GM-CSF da parte dei macrofagi.Un altro ormone che, da recenti studi, sembrerebbe rivestire un ruolo essenziale come

immunomodulatore, è il CRH (Corticotropin Releasing Hormone). È l’ormone di secrezione ipo-talamica più importante per la produzione ipofisaria dell’ACTH ed è noto anche per il suoruolo chiave nella risposta infiammatoria, infatti può essere prodotto dal citotrofoblasto villo-so ed extravilloso a dimostrazione delle sue elevate concentrazioni nel sangue materno.Recentissimi studi condotti su specie murina hanno dimostrato il suo ruolo chiave nell’impian-to della gravidanza. Sembrerebbe infatti agire con meccanismi diversi: sul trofoblasto control-landone l’invasività, sui linfociti T citotossici inducendone l’apoptosi ed inibendo la risposta im-mune adattativa. Sarebbe dotato poi di un ruolo proinfiammatorio stimolando la secrezionecitochinica mirata a favorire l’impianto, la vasodilatazione e la quiescenza uterina.

Studi tutt’ora in corso (Oxford Fertility Unit) evidenziano come anche lo stesso embrionesia in grado di produrre CRH e possieda i recettori per quest’ultimo. La funzione di tale re-cettore su embrioni murini sembrerebbe essere quella di promuovere lo sviluppo della bla-stocisti.

Esiste poi una serie di sostanze strettamente legate alla gravidanza per le quali è stata po-stulata una funzione regolatrice della risposta immunitaria. Di questo gruppo di proteine fan-no parte l’Early Pregnancy Factor (EPF), il Pregnancy Specific Beta-1 Glycopritein (SP-1), laPregnancy Zone Protein (PZP) e la Pregnancy Associated Plasma Protein (PAPP-A). Si tratta diproteine di peso molecolare variabile tra 20.000 e 750.000 Daltons prodotte in larga partedal trofoblasto.

Tabella III. Regolatori della risposta immune materna a livello placentareFunzione Gruppo di regolatori Sorgente cellulareProtettiva IL-4,IL-5,IL-10 Cellule decidualiTrofica IL-3,GM-CSF,CSF-1 Linfociti T ed NK decidualiCitotossica IFN-gamma,TNF-alfa Macrofagi,NK, trofoblastiImmunosoppressiva TGF-beta, PGE2, EPF, SP1, PZP, PAPP-A Linfociti T, NK,macrofagi,trofoblasti

ImmunotrofismoDiversamente dai concetti di immunodistrofismo ed immunosoppressione, vi sono, in let-

teratura, diverse evidenze sull’importanza della risposta immunitaria materna nei confronti diantigeni del prodotto del concepimento. Esistono, infatti, diverse citochine di derivazione lin-focitaria che possiederebbero un ruolo trofico sullo sviluppo placentare e sulle funzioni tro-foblastiche contribuendo quindi alla sopravvivenza fetale. Tale concetto sviluppato daWegmann nel lontano 1984, prende il nome di immunotrofismo placentare.

Le principali citochine che svolgono questo fondamentale ruolo includono la famiglia del-le CSF (Colony Stimulating Factor) di origine macrofagica, GM-CSF ed IL-3.Anche le stesse IFN-alfa, IL-1-beta e TNF-alfa avrebbero funzioni immunotrofiche aumentando l’espressione, sul-

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

l’endotelio vascolare, di recettori per il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) durante ilprimo trimestre.

Anche la risposta umorale materna nei confronti di antigeni fetali sembrerebbe essere pro-tettiva.Tali anticorpi “bloccanti” epitopi antigenici fetali potrebbero prevenire la risposta im-mune materna cellulo-mediata, come testimonia la relazione fra la loro assenza e l’abortospontaneo.

Il riconoscimento materno degli antigeni fetali si realizza in un gran numero di gravidanzeevolutive, infatti, anticorpi leucocitotossici anti-fetali (anti-paterni) sono stati riscontrati dal 35%al 65% nelle pluripare e nel 25% delle primipare. Si tratta di isotipi IgG e sono diretti controgli antigeni MHC paterni che, sebbene potenzialmente possano essere nocivi per il feto, nondanneggiano il trofoblasto e sono presenti in molte donne normali.

Il paradigma TH1-TH2I linfociti T helper (CD4+) si dividono in due grandi categorie TH1 e TH2. Queste due

sottopopolazioni linfocitarie producono diversi tipi di citochine, responsabili del diverso ruo-lo di queste cellule nella risposta immune verso agenti patogeni. I linfociti TH1 sono in gradodi produrre IFN-gamma,TNF-beta, IL-2 e TNF-alfa. Quest’ultimo mediatore, il TNF-alfa, vieneprodotto ma in minore quantità, anche dai linfociti TH2, e dato il suo effetto citolitico a con-centrazioni elevate, viene considerata una molecola tipica della risposta TH1.

Le molecole prodotte dai TH1 sono in grado di attivare i macrofagi e di innescare la ri-sposta immunitaria cellulare CD8-mediata, fondamentale nella protezione da patogeni intra-cellulari, agenti citotossici e tipica delle reazioni di ipersensibilità.

I linfociti TH2, invece, producono IL-4, IL-5, IL-6, IL-10 ed IL-3, tutte molecole capaci di sti-molare una vigorosa risposta anticorpale B-linfocitaria, fondamentale nella protezione di pa-togeni extracellulari.

Le molecole prodotte da queste due sottopopolazioni linfocitarie rivestono un ruolo re-ciprocamente inibitorio, IL-10 (TH2) inibisce il richiamo dei TH1 interagendo a livello delleAPC (Antigens Presenting Cells), mentre IFN-gamma (TH1) previene l’attivazione dei TH2. Studicondotti su specie murine ed evidenze cliniche nella razza umana, certificano che la rispostaumorale durante la gestazione sia potenziata così come accade per l’attività delle cellule NK(Natural Killer) e la risposta a patogeni intracellulari, anche le malattie autoimmuni avrebberoun decorso più accelerato.Tutte le evidenze suggeriscono che in gravidanza vi sia una sop-pressione della reattività immunologia TH1 mediata a favore di un potenziamento della rispo-sta TH2.

Si assisterebbe, quindi, ad una graduale diminuzione del rapporto TH1/TH2 come testi-moniano innumerevoli studi compiuti sul ruolo del sistema immunitario nella poliabortività.

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Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

Infatti, la risposta immunitaria materna può essere deleteria per lo sviluppo del prodotto delconcepimento come evidenzia l’elevata percentuale, circa il 31%, di aborto misconosciuto (su-bito dopo impianto). Si stima, infatti, che il 40-60% degli RSA (Recurrent Spontaneus Abortions)definiti come tre o più aborti prima del compimento della ventesima settimana di gestazio-ne, sono attribuiti a cause note (anomalie cromosomiche, endocrinologiche, anatomiche, in-fettive), mentre un 60% rimane ancora inspiegato. Proprio su queste cause “non note” si è fo-calizzata l’attenzione degli studiosi. Nel 1995 Hill e colleghi hanno dimostrato, in donne conuna storia di RSA, una maggiore responsività linfocitaria TH1 nei confronti di antigeni deci-duo-coriali. Infatti, nel 66% di queste donne era possibile isolare una attività embriotossica(IFN-gamma,TNF-beta e TNF-alfa).

Studi più recenti hanno confermato come, in gravidanze fisiologiche concentrazioni di IL-4, IL-5, IL-6 ed IL-10 sono molto più alte alla fine del primo trimestre ed al momento del par-to rispetto a donne con storia di RSA, dove citochine quali IL-2, INF-gamma,TNF-alfa riman-gono costantemente elevate. Inoltre, nel siero dei 2/3 di queste donne sono state rilevateconsistenti concentrazioni di IL-12, potente induttrice della risposta TH1 mediata. In gravidan-ze fisiologiche Piccinni e coll., hanno dimostrato come le stesse cellule placentari siano in gra-do di sostenere lo shift TH2 in virtù della produzione di IL-10 ed Il-4, potenti induttrici dellarisposta TH2.

L’IL-1 sembrerebbe essere infatti una citochina critica capace di mantenere l’equilibrioTH1/TH2 interferendo con le APC, inibendo la produzione citochinica di TH1 ed inibendodirettamente ed indirettamente le cellule NK. Citotrofoblasto e sinciziotrofoblasto produco-no tali citochine in funzione dell’epoca gestazionale.

Anche il progesterone sembrerebbe essere responsabile del mantenimento dello switchTH1 TH2 a livello dell’interfaccia materno-fetale. Esso, infatti, stimolerebbe i linfociti a se-cernere una molecola, il PIBF (Progesterone-induced blocking factor) capace di inibire l’attivazio-ne dei linfociti TH1. A tale azione inibitoria sui TH1 si oppone la relaxina capace di attivare emantenere la risposta TH1-mediata, fondamentale per l’innescarsi del travaglio di parto. Unaalterazione dell’equilibrio tra questi due stimoli a vantaggio della relaxina sarebbe capace diincrinare il ruolo dei TH2 favorendo l’azione dei TH1 e quindi un outcome ostetrico sfavore-vole. Una alterazione dello switch TH1 TH2 non sarebbe solo in grado di chiarire l’eziopa-togenesi degli RSA inspiegati, ma da recenti studi sembrerebbe essere uno dei meccanismicoinvolti nella genesi di altre complicanze ostetriche quali pre-eclampsia e parto pretermine.

LIF (Leucemia Inhibitory Factor) è un fattore prodotto dalle cellule endometriali, NK e, inmaggior quantità dai TH2, fondamentale per l’impianto e per lo sviluppo embrionale. In don-ne con storia di RSA tale fattore sarebbe deficitario proprio per l’alterato switch TH1 TH2.Dagli ultimi studi condotti nella specie murina emerge che il 70% delle topine con gravidan-ze fisiologiche presentano elevate concentrazioni di tale fattore contro solo il 10% delle to-pine con gravidanze ad alto rischio (RSA, PP, Eclampsia). Da queste recentissime evidenze di

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293GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

laboratorio emerge il ruolo fondamentale di tale fattore soprattutto nel primo trimestre digravidanza.

Figura 1. L’aborto spontaneo ricorrente

In conclusionePer lungo tempo illustri studiosi hanno cercato di comprendere se la risposta immunolo-

gica materna venga soppressa o semplicemente alterata in gravidanza e con quale meccani-smo, al fine di comprendere la tolleranza immunologica verso antigeni fetali di origine pater-na. Diversi studi clinici hanno dimostrato, in vitro, come, in realtà, l’organismo materno gravi-do possieda una aumentata suscettibilità ad infezioni, soprattutto virali. Ciò sembrerebbe es-sere correlato ad una diminuzione della difesa cellulo-mediata e della relativa diminuzione del-la risposta TH1.Tuttavia ultimi studi non sembrerebbero confermare tali evidenze sperimen-tali, garantendo all’organismo materno una totale immunoefficienza.Tuttavia nonostante l’im-munità sistemica non venga interessata dallo stato gravidico, il milieu immunologico uterinoviene radicalmente modificato. Studi condotti sia su specie murina che sulla specie umana han-no infatti dimostrato notevole discordanza tra i monociti circolanti nel sangue periferico equelli residenti a livello deciduale. Infatti questi ultimi sembrerebbero essere meno responsi-vi come dimostrato già nel 1987 dove l’infezione da Listeria monocytogenes indotta su uterodi topine gravide non riusciva ad essere debellata, come invece accadeva se l’infezione veni-va indotta in organi quali il fegato o la milza.Tale fenomeno è correlato ad una diminuita re-sposività del sistema monocito-macrofagico locale.

Da allora tutti gli studi compiuti per caratterizzare e comprendere tali modifiche hanno

RECURRENT SPONTANEOUS ABORTION

Frequenza: 25%

Eziologia:- Malformazioni congenite- Disordini endocrini- Infezioni- Alterazioni anatomiche- CAUSE AUTOIMMUNI

- HLA-G non viene espresso dal trofoblasto- Elevata attività NK citotossica- Prevalenza TH1- Elevati livelli di IL-2, IL-12, ed IFNα,TNFα,- Ridotta produzione di IL-10

294 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Immunità e gravidanza. Attivazione o depressione: aspetti clinici

evidenziato come, in realtà non vi sia una sostanziale differenza funzionale del sistema immu-nitario fra una donna gravida e una donna fertile non gravida. Infatti alcuni studi suggerisco-no che sia l’immunità T.mediata che la funzione NK sia diminuita ma nonostante ciò la rispo-sta immune materna rimane inalterata come dimostrato dalla efficace risposta ai vaccini e al-la persistenza della ipersensibilità ritardata verso determinati stimoli antigenici. Inoltre da stu-di sperimentali è emerso come, in gravidanza il trapianto di tessuti allogenici sia seguito dauna intensa reazione di rigetto immuno mediato.

Nonostante gli innumerevoli studi compiuti fino ad oggi, l’atteggiamento del sistema im-munitario materno nei confronti del prodotto del concepimento, rimane, per molti versi an-cora un enigma. La sua presenza e le sue modifiche a livello uterino durante l’impianto del-l’embrione garantiscono la tolleranza nei confronti di antigeni allogenici fetali. L’instaurarsi diuna gravidanza e la sua prosecuzione sono il frutto di una complessa e, per molti versi, anco-ra oscura rete di interazioni cellulari e molecolari (citochine, chemochine, fattori di crescita,...)La comprensione di tali meccanismi e delle loro alterazioni rappresenta, ad oggi, una dellegrandi sfide della scienza per riuscire a predire, e quindi, trattare precocemente eventi oste-trici sfavorevoli, che possono mettere a rischio la salute materna e fetale.

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296 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2222 PATOLOGIA AUTOIMMUNE

LES E SINDROME DA ANTICORPIANTIFOSFOLIPIDI:SORVEGLIANZA MATERNO-FETALEE TIMING DEL PARTOS. De Carolis, A. Botta, S. Garofalo, G. Fatigante, C.Martino, F. Grimolizzi, A. Caruso.Istituto di Ginecologia ed Ostetricia. Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Lupus eritematoso sistemicoIl lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia infiammatoria cronica idiopatica, ad

eziologia sconosciuta, caratterizzata dalla presenza di numerosi autoanticorpi che, in quantotali o in forma di immunocomplessi, sono responsabili di un danno tissutale multiorganico.Taledanno può coinvolgere cute, articolazioni, reni, polmoni, membrane sierose, sistema nervoso,fegato ed altri organi. Come per altre malattie autoimmuni, il decorso del LES è caratterizza-to da periodi di remissione e recidive. Perché si possa fare diagnosi di LES è necessaria la coe-sistenza di almeno 4 dei 12 criteri, sia clinici che di laboratorio, previsti dalla classificazioneARA1.

EFFETTO DELLA GRAVIDANZA SUL LESLe pazienti affette da LES e i loro medici sono comprensibilmente preoccupati dai possi-

bili effetti della gravidanza sul decorso della malattia. La maggiore preoccupazione riguardal’esacerbamento o “accensione” del LES.

Recenti studi hanno chiarito la relazione della gravidanza con la frequenza ed il tipo di rie-sacerbamento del LES. Complessivamente dal 15 al 60% delle donne hanno riattivazioni del-la malattia in gravidanza o nel post-partum2-4. È stato tuttavia accertato che, se la gravidanzainsorge dopo un periodo di remissione del LES, le possibilità che la gravidanza stessa possaprocedere senza complicanze sono superiori rispetto ad una gravidanza che insorge in unadonna in fase attiva di malattia. L’attività della malattia al concepimento si correla con il nu-mero di perdite fetali.

Le pazienti gravide, con LES in remissione da almeno sei mesi, permangono in remissionenei 2/3 dei casi; si verifica, invece, una ripresa della malattia in 1/3 dei casi e, di questi, solo il10% si presenta in forma grave, ma comunque sempre reversibile. Al contrario, se il concepi-mento avviene quando il LES è in fase attiva, si assiste ad un peggioramento della malattia nel-la metà dei casi.

297GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

Nel 20% circa dei casi il LES può esordire per la prima volta in gravidanza o in puerperio.Quando il LES insorge per la prima volta in gravidanza, la malattia è caratterizzata da un de-corso particolarmente severo e richiede una terapia aggressiva.

Per quanto concerne la nefropatia lupica, le pazienti affette da LES che hanno avuto gra-vidanze, non sembrano subire a lungo termine una progressione della lesione rispetto a quan-to atteso al di fuori dello stato gravidico. Si può verificare un deterioramento permanente nel7% di tutte le gravidanze e un peggioramento transitorio nel 30% dei casi.

La remissione clinica, da almeno 6 mesi prima del concepimento, in presenza di una ne-fropatia lupica, si accompagna ad una buona prognosi fetale e ciò vale anche per le forme piùsevere di nefropatia; mentre il concepimento in fase attiva della malattia nei 6 mesi preceden-ti predispone la paziente ad un deterioramento permanente o transitorio della funzionalitàrenale, durante o dopo la gravidanza5.

Se la creatininemia si mantiene sui valori pari o inferiori a 1,5 mg/dl, è stata osservata unabuona percentuale di nati vivi a termine; al contrario, la percentuale dei nati vivi si riduce, sei valori della creatininemia sono superiori a 1,5 mg/dl, con una percentuale di insuccessi oste-trici pari al 50%.

EFFETTO DEL LES SULLA GRAVIDANZAComplicanze materne- Ipertensione arteriosa e pre-eclampsia: Complessivamente il 20-30% delle gravidanze con LESpresenta complicanze legate all’insorgenza di ipertensione arteriosa6. Una storia di malattiarenale (MR) sembra essere il principale fattore predisponente.Nello studio prospettico di Lockshin e coll.6 il 72% delle gravide lupiche con MR era affettoda ipertensione contro il 22% delle pazienti con LES senza MR. L’ipertensione sistemica nellupus potrebbe avere multiple eziologie che includono la patologia renale parenchimale, la pa-tologia nefrovascolare, alterazioni della espressione genetica del sistema renina-angiotensina,ed il trattamento farmacologico con corticosteroidi.

La prevalenza di pre-eclampsia (PE) è più elevata nelle donne con LES. Delle donne conLES e preesistente danno renale, è stato stimato che il 63% sviluppa PE contro il 14% delledonne che non hanno un danno renale7.

In conclusione, il coinvolgimento renale nel LES è un importante fattore di rischio perl’ipertensione, la pre-eclampsia e la riattivazione della malattia, ma non rappresenta una con-troindicazione assoluta alla gravidanza, come si riteneva in passato.

- Trombocitopenia: nella maggior parte dei casi si tratta di una trombocitopenia di grado me-dio-severo che riconosce quattro diversi momenti eziopatogenetici: presenza di anticorpi an-tifosfolipidi (aPL), presenza di LES in fase attiva, presenza di anticorpi antipiastrine, pre-eclam-psia.

298 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

- Patologia vascolare: la patologia vascolare arteriosa nel LES ha tra i meccanismi patogeneti-ci: arteriti, coagulazione intravascolare e aterosclerosi, correlati solitamente alla positività di lu-pus anticoaugulant e di aPL.

Le pazienti affette da LES sono colpite precocemente da un processo di aterosclerosi ac-cellerata, con un prevalente coinvolgimento del distretto coronarico. Sono stati identificati di-versi fattori di rischio responsabili di tale prematura coronaropatia e tra questi i più impor-tanti sono l’ipercolesterolemia e l’ipertensione, associati ad una serie di fattori di rischio mi-nori, come obesità, terapia prolungata con corticosteroidi, durata della malattia ed anzianità.

- Tromboembolismo: gli aPL come anticorpi anticardiolipina (ACA), il lupus anticoagulant (LA)e anti-b2 glicoproteina I giocano un ruolo molto importante nella patogenesi della trombosiin pazienti con LES. C’è una forte correlazione fra alti titoli anticorpali e trombosi arteriosee venose.

- Diabete gestazionale: spesso in queste pazienti insorge un diabete gestazionale, espressionedi un mancato adeguamento della funzione insulinica alla terapia cortisonica somministrata. Ildiabete gestazionale compare soprattutto in pazienti predisposte per familiarità, habitus co-stituzionale, età superiore ai 35 anni e precedente dato ostetrico.

Complicanze fetali- Perdite fetali: diversi studi, sia prospettici che retrospettivi, hanno evidenziato nelle pazientilupiche una maggiore incidenza di perdite fetali rispetto alla popolazione generale. La frequen-za di perdite fetali (aborti spontanei e morti endouterine) è stata stimata essere pari a 8-43%secondo studi retrospettivi, e 11-24% secondo studi prospettici8-11.

I fattori di rischio, implicati nell’incremento delle perdite fetali nel LES, sono i seguenti: at-tività del lupus, danno renale, aPL e precedente storia con perdite fetali.

Anche l’attività della malattia e la presenza di malattia renale esercita un’influenza negati-va nei riguardi dell’esito fetale. La malattia renale attiva è un predittore statisticamente signi-ficativo di perdita fetale (aborto spontaneo e natimortalità). Infatti in tale studio delle pazien-ti con malattia renale attiva il 13% ha avuto nati vivi, il 33% perdite fetali12.

Tutti gli ultimi studi condotti sul LES e gravidanza sono concordi nel ritenere che la pre-senza degli aPL sia il fattore di rischio più importante per il danno fetale. In particolare, gliACA di classe IgG e il LA hanno un’alta sensibilità e specificità nell’indicare il rischio di perdi-ta fetale in corso di gravidanza con LES. La prevalenza media, nel LES, degli ACA è del 44%e quella del LA è del 34%13. Un altro studio indica che la presenza di aPL ed una storia di per-dite fetali predice oltre l’85% delle interruzioni delle gravidanze con LES14.

- Parti prematuri: l’incidenza del parto pretermine nelle donne affette da LES varia tra il 19%ed il 49% contro il 7% circa della popolazione generale15,16. In queste gravidanze sono stati ri-

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LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

scontrati molteplici e potenziali fattori di rischio per il parto pretermine: attività del LES, ma-lattia renale, terapia cortisonica, presenza di aPL, ipertensione, razza nera, bassi livelli sierici diC3, livelli sierici degli anticorpi anti-DNA.

- Ritardo di crescita intrauterino (IUGR): è frequente nelle pazienti affette da LES riscontrare unritardo dell’accrescimento fetale. I dati migliori a riguardo sono quelli di uno studio condottoda Mintz e coll.16 che hanno trovato su 86 gravidanze con LES, il 23% affette da IUGR con-tro il 4% nei controlli. Altre serie riportano una percentuale compresa fra il 12 e il 32% dineonati con ritardo di crescita8,14,17. Kobayashi e coll. hanno dimostrato che livelli bassi dell’at-tività del complemento sierico sono significativamente associati ad una restrizione della cre-scita fetale18. Se l’esito avverso della gravidanza si riflette in bassi o decrescenti livelli sierici delcomplemento, la placenta o il letto vascolare deciduale possono essere la sede di consumodel complemento. Inoltre le gravidanze complicate da nefrite lupica, possono avere un rischiopiù alto di ritardo di crescita intrauterino come riportato da Julkunen e coll19.

MONITORAGGIO DELLA GRAVIDANZA COMPLICATA DA LESLe più importanti complicanze materne correlate al LES sono: i disordini ipertensivi lega-

ti alla gravidanza e la esacerbazione della malattia lupica20.Circa il 20-30% di tutte le pazienti affette da LES svilupperà un disordine ipertensivo du-

rante la gravidanza tra cui il più comunemente diagnosticato è rappresentato dalla pre-eclam-psia (PE).Tale complicanza ricorre più frequentemente nelle donne con ipertensione cronica(preesistente alla gravidanza) e in donne con insufficienza renale.

L’ipertensione gestazionale raramente insorge prima della 20a settimana. Pertanto nel cor-so del primo trimestre e delle prime settimane del secondo trimestre è possibile definire, inuna paziente affetta da LES, l’andamento pressorio di base e lo stato di funzionalità renale.Sarebbe utile inoltre diagnosticare, nel corso del primo trimestre, la presenza di proteinuriapreesistente alla gravidanza attraverso la raccolta delle urine nelle 24h.

Dalla 20a settimana di gravidanza in poi particolare attenzione deve essere data al moni-toraggio della pressione arteriosa ed alla ricerca di proteinuria nell’esame delle urine, da ese-guire almeno una volta ogni due settimane.

Nelle pazienti ad alto rischio, ossia quelle con ipertensione cronica o insufficienza renale,è indicato il monitoraggio della pressione arteriosa quotidiano poiché tali pazienti possonosviluppare PE nel corso di pochi giorni. Sarebbe inoltre prudente istruire la paziente riguar-do ai sintomi più comuni della PE quali cefalea, marcati disturbi visivi e neurologici, dolore epi-gastrico o dolore addominale a barra, emorragie retiniche, rapido incremento di peso.

I disordini ipertensivi in gravidanza specie l’ipertensione gestazionale e PE possono asso-ciarsi, oltre alle suddette manifestazioni cliniche, anche ad alterazioni ematologiche, renali edepatiche, che possono essere indagate con i test di laboratorio: piastrinopenia per consumo

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LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

da danno endoteliale, iperuricemia correlata con la severità della prognosi fetale, aumento diAST, ALT, LDH per citolisi epatica, emoconcentrazione in assenza di emolisi grave, ipocalciu-ria, aumento della creatinina, anemia emolitica microangiopatica (schistociti e consumo di ap-toglobina). I livelli di FDP, Fibrinogeno e PT e PTT sono normali o poco alterati tranne che inpresenza di CID, per lo più secondaria a complicanze ostetriche. L’ATIII invece è spesso ridot-ta a differenza di quanto si osserva nell’ipertensione cronica. Questi parametri sono utili nel-la diagnostica differenziale infatti piastrinopenia, emoconcentrazione, ipocalciuria, iperuricemia,aumento di AST, ALT, LDH e riduzione di ATIII sono associate ad ipertensione gestazionale oPE piuttosto che ad ipertensione cronica.

Il controllo periodico di questi parametri e di piastrine, LDH, aptoglobina, creatinina edesame urine consente invece di monitorizzare la gravità del processo ed è utile alla progno-si materno fetale.

Il coinvolgimento renale è sempre presente nella PE con manifestazioni variabili da pro-teinuria lieve fino all’insufficienza renale grave.

È utile in questi casi anche il controllo dei volumi, che può avvalersi della valutazione del-la diuresi e del peso corporeo.

La sindrome HELLP è definita dalla presenza di emolisi, aumento delle transaminasi, pia-strinopenia ad esordio nel III trimestre o entro le prime settimane dopo il parto, in corso diPE grave. Riportata nel 4-12% delle PE, è caratterizzata da elevata morbilità e mortalità ma-terna e fetale. La presentazione clinica è sovrapponibile a quella della PE con epigastralgie,dolore addominale a barra e talora con subittero.Tra le alterazioni comuni alla PE più speci-fiche di HELLP sono l’anemia emolitica microangiopatica, la piastrinopenia grave e la citolisiepatica. Una CID è presente nel 30-40% dei casi. L’HELLP va dunque sospettata in presenzadi dolore a barra epigastrico o dolore all’ipocondrio destro, piastrinopenia, anemia emoliticamicroangiopatica e citolisi epatica.

Posta la diagnosi di ipertensione l’ospedalizzazione ed il tipo di trattamento dipendonodal grado di ipertensione, dalla presenza di proteinuria e dai sintomi: le raccomandazioni pos-sono andare da limitazione delle attività e riposo a letto a domicilio, con controlli settimana-li in day-hospital, a ricovero immediato con avvio del trattamento farmacologico. Il trattamen-to farmacologico consiste in farmaci di I scelta (metildopa), farmaci di II scelta (nifedipina, la-betalolo e pindololo), farmaci di III scelta (clonidina, metildopa+farmaco di II scelta). I diureti-ci sono indicati solo in presenza di malattie cardiache o renali con sodiosensibilità. Da evita-re gli Ace-inibitori e gli Antagonisti recettoriali dell’Angiotensina per la loro documentata tos-sicità sul rene fetale. Non ci sono evidenze di efficacia di farmaci o misure non farmacologi-che nell’arrestare o evitare l’evoluzione della ipertensione gestazionale e della PE ma obiet-tivo del trattamento farmacologico è quello di mantenere la pressione arteriosa materna en-tro un accettabile range di sicurezza.

Una volta diagnosticata l’ipertensione gestazionale severa o la PE l’unica misura terapeu-

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LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

tica efficace è l’espletamento del parto. Nella PE grave prima della 28a settimana è indicatoindurre il parto dopo profilassi corticosteroidea dell’ARDS. Nella PE grave dopo la 34a setti-mana è indicata l’induzione del parto.Tra la 28a e la 34a settimana nelle PE non severe puòessere considerata una terapia conservativa sotto monitoraggio materno-fetale da interrom-pere in caso di aggravamento delle condizioni materno-fetali.

Nelle nefropatiche orientano verso un’anticipazione del parto il peggioramento della fun-zione renale, della proteinuria e della pressione arteriosa accanto ad un peggioramento deiparametri fetali.

Le modalità del parto sono decise in base alle indicazioni ostetriche ed il parto va pro-grammato in strutture adatte a fronteggiare complicanze materno-fetali (centri di III livello).

L’ipertensione gestazionale potrebbe peggiorare o persistere dopo il parto, per cui un at-tento monitoraggio clinico è suggerito in questa fase.

Per quanto concerne l’allattamento non ci sono controindicazioni durante il trattamentomaterno con calcio-antagonisti, beta-bloccanti e alfa-bloccanti.

Alcuni studi hanno dimostrato che dal 15 al 60% delle donne affette possono avere unaesacerbazione del LES durante la gravidanza o nel postpartum.

L’Ostetrico dovrebbe essere attento a riconoscere i segni e i sintomi di una riaccensionelupica. L’uso di una profilassi immunosoppressiva non è supportata da evidenze scientifiche erimane altamente controversa. Pertanto alcuni medici sostengono l’utilità di frequenti test dilaboratorio per riconoscere precocemente una riaccensione lupica, mentre altri ritengono suf-ficiente uno stretto monitoraggio clinico.

Scoprire una riaccensione durante la gravidanza può essere difficoltoso dato che le sue lemanifestazioni tipiche possono essere reperti normali in una donna gravida; inoltre, le comu-ni complicanze della gravidanza, come la PE, possono mimare la riattivazione lupica: entram-be le condizioni possono presentare proteinuria, ipertensione e disfunzione di più organi.

Potrebbero suggerire una diagnosi di PE i seguenti dati: abbassamento dei livelli diAntitrombina III, ipocalciuria, aumento dei livelli di fibronectina cellulare e nel plasma totale21,trombocitopenia ed incremento delle transaminasi. Al contrario in una paziente con riattiva-zione lupica, potremmo aspettarci di vedere una riduzione dei fattori C3 e C4 del comple-mento22, un aumento degli anticorpi anti-DNA e l’insorgenza di leucopenia.

Per quanto riguarda le complicanze fetali del LES è stata suggerita una forte associazionetra alti livelli di aPL e perdita fetale. Si rende evidente dunque quanto sia importante “scrina-re” le pazienti per il LA, gli ACA e gli anti-beta 2 Glicoproteina I. La prognosi fetale può infat-ti migliorare in seguito ad una diagnosi preconcezionale e ad una adeguata terapia in gravi-danza.

Nelle pazienti lupiche le complicanze fetali sono correlate all’insufficienza placentare, con-dizione spesso associata all’ipertensione cronica e all’insufficienza renale materna. Le conse-guenze dell’insufficienza placentare, dovute ad una restrizione della disponibilità di nutrienti e

302 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

ossigeno per il feto, sono rappresentate da iposviluppo fetale eventualmente associato ad oli-goamnios ed insufficienza respiratoria che può portare dal distress fino alla morte fetale.

Sfortunatamente è impossibile nella maggior parte dei casi predire il grado o la severitàdi insufficienza placentare che potrebbe svilupparsi, tuttavia è possibile sottoporre le pazien-ti ad un accurato monitoraggio delle condizioni fetali attraverso ecografie ostetriche seriate(ogni 3-4 settimane a partire da 28-30 settimane) per diagnosticare restrizioni della crescitafetale ed oligoamnios, e attraverso l’utilizzo della cardiotocografia e del profilo biofisico (“non-stress test”) per identificare segni di ipossia fetale.

Studi di velocimetria Doppler della circolazione utero-placentare e fetale hanno eviden-ziato che un’alta impedenza al flusso è associata al successivo sviluppo di pre-eclampsia, IUGRe di complicazioni correlate23. La flussimetria Doppler è infatti un utile strumento nella pre-dittività di complicanze ostetriche in tali gravidanze ad alto rischio, quando eseguita in un pe-riodo ideale compreso tra 22 e 24 settimane.

Nel nostro centro abbiamo dimostrato che la flussimetria Doppler delle arterie uterine,eseguita tra la 18ª e la 24ª settimana di gravidanza, può dare una buona previsione dell’esitodella gravidanza. Un aumento delle resistenze uterine, ovvero un indice di resistenza (RI) >90°percentile, in particolar modo dell’arteria uterina migliore (quella identificata cioé dall’indicedi resistenza più basso), si associa ad un minor peso fetale alla nascita, ad un più basso per-centile e ad una più bassa età gestazionale al parto.Viceversa un buon valore dell’indice di re-sistenza delle arterie uterine si correla ad una prognosi fetale migliore.

La presenza degli anticorpi anti-Ro/SSA e anti La/SSB, anticorpi rivolti verso antigeni nu-cleari estraibili (ENA), non influisce negativamente sull’esito della gravidanza nelle pazienti conLES ma è un’importante fattore di rischio per il blocco congenito cardiaco neonatale, la ma-nifestazione più severa del lupus eritematoso neonatale, dovuta ad un processo flogistico cheinteressa il tessuto di conduzione cardiaco e che esita in una severa forma di miocardite fe-tale. Il tessuto cardiaco una volta danneggiato è sostituito da tessuto fibrotico con conseguen-te perdita della sua funzionalità24. I danni permanenti che ne conseguono, in alcuni casi, com-portano la necessità del pacemaker al fine di garantire la sopravvivenza neonatale.

È stato dimostrato che la prevalenza del CHB nelle pazienti positive per gli anticorpi an-ti-Ro/SSA e anti La/SSB è del 1,7%, con un rischio di ricorrenza nelle successive gravidanzedel 19%24. È importante quindi effettuare in tutte le pazienti affette da LES la ricerca dei sud-detti anticorpi e sottoporre tutte le pazienti risultate positive ad un’ecocardiografia fetale asettimana a partire dalla 16° fino alla 26° settimana, e successivamente ad un’ecocardiografiaogni due settimane fino alla 34° settimana. Nel caso di diagnosi di CHB si consiglia la sommi-nistrazione di un glucocorticoide che attraversi la placenta (ad esempio desametazone, alledosi di 4 mg/die) per limitare ulteriori danni immunologici e flogistici al cuore fetale.

Valutazioni seriate delle frazioni del complemento possono essere utili nella prognosi enel “management” delle gravidanze complicate da LES. I livelli di C3 e C4 che sono o torna-

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LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

no nel range di normalità durante la gravidanza si associano con una maggior percentuale dinati vivi, la maggior parte dei quali sono di peso adeguato per l’epoca. Al contrario, bassi li-velli o livelli decrescenti di C3 precedono tutti gli aborti spontanei e i parti prematuri. I livel-li di C4 risultano bassi in tutti i casi di aborto spontaneo, ma solo nella metà dei parti pre-maturi. Se l’esito avverso della gravidanza si riflette in bassi o decrescenti dei livelli sierici delcomplemento, la placenta o il letto vascolare deciduale possono essere la sede di consumodel complemento.

Sindrome da anticorpi antifosfolipidiIl termine “Sindrome da Anticorpi Antifosfoflipidi” (APS) è stato per la prima volta conia-

to nel 1956 per denotare l’associazione clinica fra gli anticorpi antifosfolipidi e una sindromedi ipercoagulabilità, caratterizzata da una storia ostetrica di aborti ricorrenti e morti intraute-rine, e da un’aumentata incidenza di trombosi arteriose o venose, infarti cerebrali, iperten-sione polmonare e piastrinopenia.

Gli anticorpi antifosfolipidi (aPL) sono una eterogenea famiglia di autoanticorpi che esibi-scono un largo spettro di “target” specifici, costituiti da varie combinazioni di fosfolipidi, pro-teine leganti fosfolipidi o entrambi.

Gli aPL più comunemente studiati sono: anticorpi lupus anticoagulant (LA), anticorpi an-ticardiolipina (aCL) e anticorpi anti beta2- glicoproteina I.

I dati della letteratura sono oggi concordi nel ritenere che la presenza di aPL sia associa-ta a patologia ostetrica. In effetti, sin dalla sua prima identificazione il LA è stato descritto co-me un prolungamento dei test di coagulazione fosfolipido-dipendenti in pazienti con storia diripetuti aborti del 2° trimestre di gravidanza, associato o meno a fatti trombotici, spesso nel-l’ambito di malattie sistemiche come il lupus eritematoso sistemico25. D’altra parte, negli Anni’80, l’introduzione del test aCL ha confermato come altamente significativa l’associazione conla patologia abortiva, sia nell’ambito della malattia lupica che in donne altrimenti sane26.

Gli aPL sono associati dunque ad un ampio spettro di esiti avversi della gravidanza dagliaborti del primo trimestre, alle perdite fetali del secondo trimestre, alla PE, al ritardo di cresci-ta intrauterina, al parto prematuro e al distacco di placenta. L’alterazione dell’impianto placen-tare ed un quadro di vasculopatia deciduale rappresentano il tratto comune a tutte questecondizioni.Anche se genericamente il meccanismo patogenetico degli aPL viene ricondotto al-la trombofilia, è risultato chiaro nel corso degli anni che i fenomeni trombotici non sono suffi-cienti a giustificare la particolare influenza di questi anticorpi sullo sviluppo della gravidanza.

È stata infatti suggerita la possibilità di un danno diretto sul trofoblasto villoso ed extravil-loso da parte degli aPL attraverso il riconoscimento di epitopi quali la fosfatidilserina espostanel corso della formazione del sincizio.

304 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

Studi condotti nei nostri laboratori hanno confermato questi dati e dimostrato, attraver-so sieri ottenuti da donne con aPL e frazioni immunoglobuliniche di classe IgG, l’effetto fun-zionale degli anticorpi su culture di trofoblasto primario in termini di riduzione della fusioneintercitotrofoblastica, della secrezione pulsatile di gonadotropina (hCG) e di invasività del tro-foblasto27-29.

È peraltro noto come un’alterata angiogenesi nella fase iniziale della gravidanza contribui-sca all’incompleto rimodellamento delle arteriole spirali e all’insufficiente vascolarizzazione pla-centare.

Durante l’8° Simposio Internazionale sugli aPL, tenutosi a Sapporo in Giappone nell’otto-bre 1998, è stato raggiunto un accordo internazionale sui criteri di classificazione per l’APS.Lo scopo di questo sforzo è stato quello di fornire dei requisiti rigidi e inconfutabili per po-ter creare dei gruppi di pazienti assolutamente omogenei, adatti anche ad un’elaborazione distudi controllati (Tabella I).

Un paziente con APS deve avere almeno uno dei due criteri clinici (trombosi vascolare ocomplicanze della gravidanza) e almeno uno dei due criteri di laboratorio (positività per gliACA IgG o IgM o per il LA). Una diagnosi di APS primaria (PAPS) può essere formulata se ilpaziente soddisfa i criteri classificativi della APS e se può essere esclusa la contemporaneapresenza di una malattia autoimmune sistemica. L’APS si definisce secondaria (SAPS) quandoassociata ad un’altra malattia reumatica. La stragrande maggioranza delle forme secondariesono è stata riportata in corso di LES conclamato.

Quando la patologia sistemica associata non può essere formalmente classificabile cometale a causa della mancanza di un numero sufficiente di criteri classificativi, la maggior partedegli autori parla di sindromi lupus-like.

EFFETTO DEGLI APL SULLA GRAVIDANZAÈ stata ben documentata l’associazione tra la presenza degli aPL e storia ostetrica di abor-

ti ripetuti e morti intrauterine, tale per cui, in mancanza di specifico trattamento medico, il ri-schio di perdita fetale si aggira intorno all’80-98%.

Le donne positive per aPL hanno un’alta prevalenza di perdite ostetriche entro il perio-do fetale (10 o più settimane di gestazione). Contrariamente, in donne non selezionate consporadici o ricorrenti aborti le perdite ostetriche si verificano più frequentemente nel perio-do preembrionale (meno di 6 settimane di gestazione) o nel periodo embrionale (da 6 a 9settimane di gestazione). Comunque studi più recenti hanno esteso gli effetti deleteri degliaPL a donne con ricorrenti perdite embrionali e preembrionali, fra le quali il 10-20% ha po-sitività per gli aPL senza altre manifestazioni cliniche.

Oltre agli aborti spontanei e alle perdite fetali del 2° e 3° trimestre, numerose complican-ze ostetriche materno-fetali sono associate alla sindrome: la PE-HELLP, l’insufficienza uteropla-centare, lo IUGR (intrauterine growth retardation) ed il parto pretermine30.

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LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

In questo ambito, il rapporto tra aPL e pre-eclampsia è uno degli argomenti più dibattu-ti. Infatti numerosi studi hanno sottolineato come l’incidenza di PE sia particolarmente eleva-ta in pazienti con la classica forma di APS, sia primaria che secondaria31. D’altra parte, anchenella popolazione ostetrica con PE è stata osservata una elevata frequenza di pazienti conaPL32, anche se non in modo univoco.

Peraltro, uno studio recente33, che esamina 317 pazienti gravide con storia ostetrica di pre-eclampsia e quindi ritenute ad alto rischio di recidive, concludeva che aPL di classe IgG nonclassici (anti-fosfatidilserina) erano associati con la pre-eclampsia severa, gli aCL di classe IgGerano associati con lo IUGR, ma entrambi i test avevano uno scarso valore predittivo per lecitate complicazioni.

D’altra parte, anche per quanto riguarda la frequenza dello IUGR o la predittività degliaPL verso questa complicanza ostetrica, si ricavano dalla analisi della letteratura voci contra-stanti. In effetti lo IUGR è riportato con frequenze che variano dal 30 al 12% in una serie distudi che comunque concordano almeno su un significativo aumento di prevalenza34, contra-riamente ad altri che non la confermano affatto35.

Una certa responsabilità nel creare risultati discordanti è probabilmente attribuibile allanon sempre rigorosa classificazione degli esiti sfavorevoli della gravidanza. Inoltre in questa ot-tica è necessario non dimenticare un esame attento delle metodologie applicate dai singolistudi alla determinazione degli aPL.

Altra complicanza ostetrica nelle pazienti affette da APS è il parto pretermine la cui pre-valenza è stata stimata attorno al 30%. Fortunatamente però, la grave prematurità è oggi in-frequente e comunque i mezzi e la capacità raggiunte nei reparti di terapia intensiva neona-tale trasformano queste nascite pretermine in esiti globalmente favorevoli nella larga maggio-ranza dei casi.

Infine non si può trascurare, tra i problemi clinici delle gravidanze in pazienti con APS, lapossibilità di un evento tromboembolico.Va al riguardo sottolineata la potenziale sinergia trail rischio trombofilico proprio della gravidanza e/o del puerperio e quello rappresentato da-gli aPL.

MONITORAGGIO DELLA GRAVIDANZA COMPLICATA DA APSUna storia ostetrica di ricorrenti perdite fetali, la presenza di una positività ad alto titolo

degli aPL al momento del concepimento sono tutti fattori che correlano con un esito infau-sto della gravidanza, in termini di probabilità che possa ripetersi la perdita fetale o che si ab-bia un peso più basso alla nascita.

Il management ostetrico delle pazienti con APS è sostanzialmente sovrapponibile a quel-lo che abbiamo delineato a proposito delle pazienti affette da LES.

Anche qui il più importante rischio ostetrico materno è rappresentato dall’insorgenza di

306 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

ipertensione gestazionale e/o PE. L’ipertensione preesistente alla gravidanza non è infrequen-te in queste pazienti, probabilmente per la tendenza alla microangiopatia renale.

Anche le complicanze fetali nelle pazienti con APS sono simili a quelle riscontrate nellepazienti affette da LES, ma l’insufficienza placentare, soprattutto quella severa, è molto piùfrequente.

A partire dalla 20° settimana è indicato un intensivo monitoraggio delle condizioni feta-li mediante ecografie ostetriche seriate, al fine di identificare disturbi della crescita fetale edoligoamnios. Inoltre sarebbe utile ricorrere precocemente (a partire da 28 settimane) al“nonstress test” per valutare il benessere fetale.

Anche nelle gravidanze complicate da APS è importante sottolineare il ruolo predittivosvolto dalla Flussimetria Doppler utero-placentare, quando eseguita nel periodo ideale com-preso tra 22 e 24 settimane.

La presenza di vasculopatia nelle arterie del letto placentare è supportata dagli studi divelocimetria Doppler delle arterie uterine nel secondo trimestre di gravidanza. L’associazionedegli aPL con un alto indice di resistenza e/o del notch prediastolico dell’onda Doppler ègeneralmente predittiva di un successivo sviluppo di pre-eclampsia, parto prematuro e bas-so peso alla nascita.

Importante nelle pazienti affette da APS è il monitoraggio delle piastrine e, nel caso diinsorgenza di trombocitopenia, differenziarne le diverse forme correlate o all’insorgenza diPE, o alla presenza di aPL o al trattamento con eparina. Quando la trombocitopenia è asso-ciata ad episodi trombotici dovrebbe essere sospettata una APS catastrofica ossia una for-ma accelerata di malattia che esita in un grave danno multiorgano (più di 3 organi, sistemi,o tessuti interessati) ed in cui vi sia l’evidenza istopatologica di un occlusione diffusa di pic-coli vasi.

Studi recenti hanno enfatizzato un aspetto molto importante nel management delle pa-zienti affette da APS in gravidanza, il solo su cui vi è accordo comune: tali pazienti devonoessere sottoposte ad un intensivo monitoraggio materno e fetale mediante un ben coordi-nato approccio multidisciplinare da parte di dell’ostetrico, dell’internista, del reumatologo edell’ematologo.

In effetti, senza togliere nulla ai benefici dei trattamenti applicati, è necessario ricordareche in questo particolare settore è determinante una sorveglianza ostetrica attenta che, tra-mite le metodologie diagnostiche a disposizione (ecografia ostetrica, flussimetria Doppler,cardiotocografia) finalizzate a valutare il benessere del feto, stabilisca il momento più favo-revole per espletare il parto.

Tale condotta unita ai progressi compiuti nel campo della neonatologia, che permette unabuona sopravvivenza con ridotta incidenza di handicap a distanza anche in feti prematuri, èstata e continuerà ad essere determinante nel migliorare la prognosi ostetrica delle pazien-ti affette da APS.

307GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto

Tabella I. Criteri per la diagnosi di Anticorpi AntifosfolipidiCriteri clinici1. Trombosi vascolari: uno o più episodi di trombosi arteriose, venose o dei piccoli vasi, in qualsiasi organo o tes-suto, confermate da tecniche di imaging, doppler o dall’istopatologia2. Patologia ostetrica:a) Una o più morti fetali dopo la 10a settimana;b) Uno o più parti prima della 34a settimana, accompagnati da pre-eclampsia o severa insufficienza placentare;c) Tre o più aborti prima della 10a settimana.Criteri laboratoristici1. Anticorpi anticardiolipina (aCL) di classe IgG e/o IgM a titolo medio-alto, misurati con metodiche ELISA stan-dardizzata in due o più occasioni a meno di 6 settimane di intervallo.2. Lupus Anticoagulant (LAC) positivo in due o più rilevazioni a meno di sei settimane di intervallo, in accordocon le linee guida della Società Internazionale sulla Trombosi ed Emostasi

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309GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2233PATOLOGIA AUTOIMMUNE

IL NEONATO DA MADRE CON PATOLOGIA AUTOIMMUNE:DANNI DA MALATTIAO DA FARMACI?L.A. Ramenghi, M. Fumagalli, F. MoscaU.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale. Ospedali Mangiagalli, Regina Elena Policlinico IRCCS FondazioneScientifica, Milano, Università di Milano

Le prime segnalazioni indicavano che l”autoimmunità” presente in una sindrome ben de-finita, come il Lupus Eritematoso Sistemico, o rappresentata dalla produzione di sottoclassi diautoanticorpi, potesse interferire con le capacità riproduttive della donna. In realtà la fertilitàsembra non essere così significativamente compromessa, ma, in tempi successivi è emersa unapreoccupazione prevalentemente rivolta ai potenziali effetti di tali patologie autoimmuni sulfeto, in riferimento al rischio di prematurità ed allo scarso accrescimento.

Rimane ancora difficile avere una esatta cognizione epidemiologica di quanto le malattieautoimmunitarie, nel loro complesso, siano di per se dannose per il feto; ancor più difficile èvalutare quanto questo eventuale danno derivi dai farmaci che vengono utilizzati nella madreper lo specifico trattamento. La cura di queste malattie è sensibilmente migliorata ed inoltreesiste una certa variabilità di effetti tra le diverse malattie autoimmunitarie sul feto, in aggiun-ta alla diversa gravità della malattia stessa che spesso però non incide sul rischio che corre ilfeto (vedi oltre). Questa variabilità esiste anche per i diversi trattamenti farmacologici che nonsolo dipendono dai diversi agenti che possono essere utilizzati (si intendono in prevalenza glisteroidi), ma anche dalla diversa suscettibilità individuale (madre e poi feto) ai farmaci stessi.

Molte patologie autoimmuni non sembrano comportare particolari danni per il feto e per-tanto ci riferiremo soltanto ad alcuni esempi paradigmatici di patologie che comportano ri-schi, anche subdoli, di coinvolgere la maturazione di importanti organi fetali, quali ad esempiol’encefalo o il cuore. Si analizzeranno, inoltre, i dati di quei farmaci maggiormente utilizzati nel-la cura delle problematiche autoimmuni, quali gli agenti steroidei.

IpotiroidismoL’ipotiroidismo grave comporta difficoltà nel concepimento e, pertanto, è molto raro du-

rante la gravidanza. Forme meno gravi, se non trattate, portano ad un aumentato rischio di

310 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?

aborti e di nascite con feti morti attraverso meccanismi ancor oggi non ben chiariti. La dia-gnosi di ipotiroidismo eseguita durante la gravidanza è comunque rara, ed infatti la maggio-ranza delle donne con questo problema sono già in terapia con tiroxina (T4) da prima dellagravidanza. C’è però, secondo alcuni studi, uno specifico ipotiroidismo gravidico (autoimmu-nitario o anche da assunzione subottimale di iodio) che si presenta in circa il 2.5% delle gra-vidanze e che può accompagnarsi ad un ridotto sviluppo neuropsicologico del neonato e delbambino, oltre ad essere responsabile di un aumento di complicanze ostetriche.

La disfunzione tiroidea postpartum ha una frequenza piuttosto elevata (5-9%) ed è asso-ciata con il riscontro, nel 10% dei casi, degli anticorpi anti tiroide-perossidasi (antiTPO per gliautori anglosassoni). Lo screening delle eventuali disfunzioni tiroidee dovrebbe essere esegui-to, attraverso le misurazioni di T4 e TSH circolanti. Nel caso di ipotiroidismo la levotiroxinadovrebbe essere somministrata in quanto il T4 è di essenziale importanza per la maturazio-ne del sistema nervoso centrale del feto. Così pure, particolare attenzione va riferita alla as-sunzione giornaliera di iodio, che dovrebbe essere di 200 mg al giorno.

Gli effetti di un ipotiroidismo anche subclinico possono essere particolarmente deleterifin dalle fasi iniziali della gravidanza, infatti il riscontro a 12 settimane di gestazione o della po-sitività anticorpale TPO o di un T4 libero basso si accompagna ad un significativo rischio dideficit neurologico nel nascituro. Da queste considerazioni derivano importanti implicazionisulla eventuale necessità di screening durante la gravidanza.

La sindrome antifosfolipidi (APS)La sindrome da antifosfolipidi si caratterizza per una combinazione di caratteristiche clini-

che che consistono di eventi trombotici o di altri correlati specificatamente al periodo dellagravidanza. Nel 1998 (International Consensus Preliminary Criteria) si sono definiti criteri più ar-ticolati che prevedono la coesistenza di specifici eventi clinici insieme alla positività dei test dilaboratorio. Gli anticorpi antifosfolipidi maggiormente implicati nel determinismo di eventitrombotici sono soprattutto gli anti-betaGP1 e gli anti-protrombina, ma i meccanismi di pa-togenesi rimangono ancora incerti. Il danno endoteliale che conduce poi alla trombosi sem-brerebbe derivare da una azione sinergica tra attivazione del complemento ed anticorpi an-tifosfolipidi. Aborti spontanei ripetuti, prematurità e pre-eclampsie aumentate, rappresentanonote complicanze della condizione di APS.

La sindrome da antifosfolipidi e rischio di danno cerebrale nel neonatoSebbene esistano segnalazioni di lesioni cerebrali ischemiche legate alla sola condizione di

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Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?

APS, ci sembra di poter affermare che questa forma di trombofilia acquisita e transitoria rap-presenta, grazie ad alcuni studi, un rischio piuttosto basso per lesioni a tipo stroke e trombo-si venosa cerebrale. Il discorso si modifica sensibilmente se si considerano in aggiunta alla APScondizioni di trombofilia congenita.

La più convincente analisi deriva da uno studio multicentrico capitanato dal gruppo diUlrike Nowak-Gottl. In questo studio si evidenzia come circa il 70% dei neonati con uno stro-ke clinicamente identificabile presenti almeno un fattore di rischio protrombotico, in confron-to ad una popolazione controllo. Fattori “trigger” aggiuntivi come l’asfissia, la setticemia, il dia-bete materno, ed una trombosi renale venosa acquisita venivano segnalati nel 54% dei casi.In questo studio si evince l’origine multifattoriale dello stroke neonatale che comprende fat-tori di rischio protrombotico, condizioni acquisite o una combinazione di condizioni acquisi-te e gentiche. Questi autorevoli Autori ritengono che uno studio di screening comprensivodei vari fattori protrombotici sia raccomandabile in quei bambini che hanno subito insulti va-scolari sintomatici quali lo stroke.

Il nato da madre con anticorpi Anti-Ro/SSA,Anti-La/SSBSi può arrivare ad avere anche la morte del feto quando sono presenti nel sangue mater-

no anticorpi Anti-Ro/SSA, isolati, o insieme ad anticorpi Anti-La/SSB.Viceversa, la presenza diuna patologia cardiaca non strutturale con “blocco completo” nel secondo trimestre di gra-vidanza comporta che almeno l’85% delle gestanti con tali feti presenti le già citate anomalieanticorpali.

La gamma delle differenti anomalie cardiache fetali vanno da una miocardite fetale, ad unblocco atrioventricolare e all’idrope fetale, prima di esitare nel decesso del feto. È interessan-te notare che il rischio per il feto è assolutamente indipendente dal fatto che ci sia un Lupusconclamato oppure no; in altre parole è sufficiente che vi sia la presenza anticorpale. L’aspettopiù interessante però risiede nel rischio che è esclusivo del feto. Nelle gestanti con tale pro-filo anticorpale non è mai stata riscontrata una patologia cardiaca, suggerendo che questi an-ticorpi presentano una specifica capacità di “infiammare” il cuore fetale che è in via di svilup-po, ma non un cuore adulto.

La sindrome da “blocco completo congenito” comporta un rischio sostanziale di morta-lità (che si aggira intorno al 20%) e di morbilità, con più del 60% dei neonati affetti soprav-vissuti che necessitano di pacemakers per il resto dei loro giorni. Con il miglioramento dellaecocardiografia fetale, blocchi di primo e di secondo grado vengono diagnosticati in utero,aprendo pertanto una finestra di opportunità in merito al potenziale trattamento. Il registroneonatale del Lupus ha permesso di verificare che il blocco incompleto Atrio Ventricolare puòprogredire in età neonatale nonostante l’eventuale rimozione degli anticorpi materni dalla cir-

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Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?

colazione neonatale. La sfida culturale maggiore rimane quella della conoscenza dei vari pas-saggi che iniziano dalla sola presenza di anticorpi, esitando poi in una irreversibile fibrosi deltessuto cardiaco. Nonostante a livello molecolare si ipotizza che uno dei meccanismi di dan-no risieda nella apoptosi di alcune linee cellulari cardiache (e che quindi alcuni target possa-no essere intracellulari) rimane da chiarire come mai la maggioranza dei neonati da madricon gli specifici anticorpi rimanga clinicamente silente e non presenti alcun blocco AV.

Lupus neonataleIL Lupus Neonatale è una non comune malattia autoimmunitaria di tipo “passivo”, nel sen-

so che vi è passaggio transplacentare di antiRo/SSA e/o antiLa/SSB.Tra le caratteristiche cli-niche vi sono le malattie cardiache, il blocco di branca congenito, lesioni cutanee, e proble-matiche di ordine ematologico citopenico.

Nel corso degli ultimi anni si è evidenziato come una malattia epato-biliare possa rappre-sentare una manifestazione del Lupus Neonatale Eritematoso. Poiche la malattia è per defini-zione data dal passaggio di anticorpi materni non è difficile immaginare che sia uno stato pa-tologico transitorio e non permanente. Purtroppo però la forma cardiaca può essere fataleoppure invalidante per tutta la vita.

Farmaci/steroidiDurante la gravidanza, la farmacocinetica dei cortisteroidi cambia, ma è noto che i corti-

costeroidi non sono teratogeni. Diffuse esperienze cliniche suggeriscono una assenza di ano-malie in quei neonati da madri trattate con usuali dosi di prednisone e prednisolone duran-te tutta la gravidanza, sebbene, tali farmaci, siano stati imputati dell’aumento del numero dirotture premature delle membrane e di neonati di basso peso. Betametasone e dexameta-sone sono utilizzati per trattare il feto.

Nel complesso la terapia con corticosteroidi durante la gravidanza viene considerata ap-propriata per controllare malattie materne di tipo autoimmune; per trattare una cardite feta-le da Lupus e per indurre maturazione polmonare fetale al di sotto delle 34-32 settimane digravidanza. Molti studiosi del settore ritengono che gli effetti negativi delle già citate malattieimmunitarie sulla crescita fetale e sullo sviluppo in genere, siano altamente più dannosi del-l’eventuale danno da somministrazione di farmaci nella madre.

Pur se esula dalle finalità di questo breve trattato è noto che l’uso di ripetute dose di ste-roidi prenatali, al fine di promuovere la maturazione polmonare, comporta elevati rischi dicompromissione del normale sviluppo dell’encefalo.

313GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?

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2244 PATOLOGIA AUTOIMMUNE

ASPETTI ECOGRAFICI FETALI NELLE PATOLOGIE AUTOIMMUNIR. Natale,T. Stampalja, M. Zanette, S. Inglese, M.Vessella, R.TercoloDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

IntroduzioneLe patologie autoimmunitarie, definite anche malattie da immunocomplessi, comprendo-

no un gruppo di patologie non organo specifiche che possono causare un quadro clinico ge-neralizzato. La caratteristica principale di tali patologie è la presenza di autoanticorpi che de-terminano alterazioni immunopatologiche soprattutto del tessuto connettivo e vascolare. Neconsegue un’infiammazione “sterile” dei tessuti colpiti come reni, vasi, articolazioni e cute. Gliautoanticorpi provocano distruzione dei tessuti sia con meccanismo diretto, citotossico, siamediante la deposizione di immuno-complessi, situazione in cui il complesso antigene-anti-corpo stesso attacca il tessuto suscettibile.

È caratteristica delle patologie autoimmuni la predominanza di soggetti di sesso femmini-le tra i malati adulti (ratio donna/uomo 8-10:1), che decresce tra gli anziani (ratio donna/uo-mo 5-7:1); da ciò si evince come la donna in età fertile rappresenti circa il 70-75% dei casiaffetti1. La donna con patologia autoimmune, quindi, si trova a voler pianificare o ad iniziare lagravidanza e la patologia di base rappresenta un rischio oggettivo per gli effetti che può ave-re direttamente sul feto. Fino a qualche anno fa in questi casi si sconsigliava alla donna di in-traprendere la gravidanza e si proponeva addirittura l’aborto “terapeutico”, nei casi in cui que-sta fosse già iniziata. I progressi compiuti nella conoscenza dei meccanismi patogenetici di ta-li eventi morbosi, insieme al perfezionamento delle metodiche diagnostiche, ma soprattuttolo sforzo multidisciplinare nella gestione di queste gravidanze, permettono oggi di portare atermine la gravidanza con successo in numerosi casi.

Non è chiaro se queste patologie subiscano sempre un peggioramento durante la gravi-danza, ma il drastico incremento ormonale tipico di tale condizione certamente influenzal’espressione e la progressione di tali patologie. Wegmann ha suggerito che l’unità feto-pla-centare indirizza il sistema immunitario materno verso una risposta umorale mediata da ci-tochine e altri mediatori dell’infiammazione quali per esempio le prostaglandine; gli ormoni,soprattutto il progesterone ed il 17-beta-estradiolo, sono stati studiati come mediatori capa-ci di modulare squilibri tra cellule Th1/Th2 contro citochine anti-infiammatorie durante la gra-vidanza2.

Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una delle patologie autoimmuni multisistemiche più

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Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

comuni nella donna (rapporto donna/uomo 9:1) ed è spesso presente in associazione con lasindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). Rappresenta, inoltre, la patologia autoimmune piùfrequente in gravidanza ed è responsabile di outcome riproduttivo sfavorevole, soprattuttoquando associato ad APS, potendo causare aborto, morte endouterina, parto pre-termine,blocco cardiaco atrio-ventricolare congenito e restrizione della crescita intrauterina (IUGR).Non è stato ancora chiarito un nesso causale tra il peggioramento degli esiti feto-neonatali ela fase più o meno attiva della malattia, ma di sicuro il meccanismo patogenetico della pato-logia autoimmunitaria (deposito di immunocomplessi con conseguente vasculopatie e vascu-liti) è legato alla compromissione fetale.

La maggior parte delle malattie autoimmuni sono caratterizzate dalla presenza di autoan-ticorpi circolanti; alcune, come il LES, presentano un’ampia varietà di autoanticorpi (più di 100tipi di complessi antigene - anticorpo ), altre, invece, sono caratterizzate dal singolo autoanti-corpo marker3. Nelle pazienti affette dal LES gli anticorpi anti-nucleo sono presenti in oltre il90%, Ac anti-DNA, Ac anti-istone e anti-eritrociti nel 60-70%, Ac anti-Sm e Ac anti-RNP nel40%, Ac anti-Ro-SS-A nel 30% e Ac anti-La-SS-B nel 10% dei casi.Tra questi sono considera-ti responsabili diretti di outcome negativo gli Ac anti-Ro-SS-A e Ac anti-La-SS-B che deter-minano il blocco cardiaco feto-neonatale e gli Ac anti-fosfolipidi, in particolare lupus anti-coa-gulant, anti-cardiolipina e anti-beta-2 glicoproteina che causano trombosi venose e arteriose.

Il passaggio trans-placentare di anticorpi materni può causare una rara sindrome, il lupusfeto-neonatale, caratterizzata da blocco cardiaco atrio-ventricolare (BAV), lesioni cutanee e,meno frequentemente, trombocitopenia, anemia e epatite. Da ricordare che se la maggiorparte di questi segni scompare nei primi sei mesi di vita, il BAV è irreversibile. L’origine delBAV nelle patologie autoimmuni materne si fonda sul passaggio trans-placentare precoce dianticorpi materni anti-Ro-SS-A e anti-La-SS-B, i cui antigeni bersaglio sono stati identificati intre proteine: 52KD Ro, 50 KD Ro e 48 KD La3.

La manifestazione clinica del LES materno non è un prerequisito per l’insorgenza del lu-pus feto-neonatale. Quest’ultimo rappresenta forse la forma più grave di malattia autoimmu-ne acquisita che può insorgere in gravide positive per autoanticorpi circolanti (fase latente).Similmente è stato osservato che nelle madri asintomatiche la positività per gli autoanticor-pi aPLA, associati al LES, rappresenta il miglior fattore predittivo di insuccesso ostetrico4.

La sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APS) è caratterizzata da manifestazioni clinichediverse, legate a trombosi arteriose e venose e titolo elevato di anticorpi anti-fosfolipidi(aPLA), un gruppo eterogeneo di anticorpi; in circa il 40% dei casi tale sindrome è presentecontemporaneamente nelle pazienti con LES. Criteri di classificazione clinici della APS inclu-dono trombosi vascolari e aborto ricorrente, che tipicamente avviene dopo la decima setti-mana di gravidanza, al contrario di ciò che avviene nella popolazione generale. La presenza dianticorpi anti-cardiolipina (aCL) e la positività per lupus anti-coagulant (LAC) rappresentano,invece, i criteri di classificazione di laboratorio della sindrome5.

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Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

È stata provata la stretta associazione tra la presenza di questi anticorpi e la vasculopatiadeciduale, gli infarti placentari, lo IUGR, la pre-eclampsia e la perdita fetale ricorrente.

Altre malattie autoimmuni chiamate in causa meno frequentemente, ma con effetti pato-logici feto-neonatali simili, sono la sindrome di Sjogren, la tiroidite autoimmune, l’artrite reu-matoide, la sclerosi sistemica progressiva e la sclerodermia.

Le premesse etiopatogenetiche sono necessarie a chiarire quali dei danni fetali, provoca-ti dalle patologie autoimmuni materne, è possibile diagnosticare durante la vita intrauterina.

Blocco atrio-ventricolare (BAV)L’incidenza del BAV è stimata in 1 su 15000-22000 nati vivi6,7.Il rischio per il feto di avere un BAV, quando la madre presenta una patologia autoimmu-

ne, è di 1:60, ma aumenta a 1:20 se sono presenti in circolo anticorpi anti-Ro-SS-A17; il BAVsi riscontra nel 3.6% dei neonati da madri affette da LES, con una predilezione per il sessofemminile8.

La mortalità complessiva dei feti con BAV associato alla presenza di autoanticorpi mater-ni arriva 11-20%5,6,14,15,16,19.

Il rischio di ricorrenza di BAV dopo un primo figlio affetto è stato osservato da diversiAutori in una percentuale compresa tra il 10% e il 40%9. Il rischio relativo (RR) per le madririsultate positive per la presenza di autoanticorpi circolanti si aggira intorno allo 0.5%.

EmbriologiaIl ritmo del cuore origina a livello del nodo seno-atriale, situato in atrio destro, che com-

pare nella vita embriogenetica verso la sesta settimana di amenorrea; dalle cellule di tale strut-tura partono impulsi che si propagano all’atrio e al nodo atrio-ventricolare attraverso fasci ditessuto specializzato, intorno all’ottava settimana. L’attivazione elettrica si trasmette attraver-so il tronco comune del fascio di His alle branche destra e sinistra e, infine, alle fibre ventri-colari cardiache. L’unione del nodo con il fascio di His si completa verso la decima settima-na. Un’anomalia a livello di questa giunzione può generare BAV. Gli anticorpi materni danneg-giano il miocardio provocando flogosi, fibrosi e un danno irreversibile, dato da calcificazioniche sostituiscono il nodo atrio-ventricolare.

Il passaggio degli anticorpi materni avviene solitamente intorno alla sedicesima settimanadi gravidanza; questo è un periodo cruciale dal punto di vista embriologico, in quanto è il mo-mento in cui il fascio atrio-ventricolare di His comincia l’azione di connessione funzionale; mo-delli sperimentali hanno scoperto che il trasferimento di anti-SS-A, con o senza anti-SS-B av-

317GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

viene per endocitosi a livello delle cellule trofoblastiche. Alterazioni della frequenza cardiacafetale sono associate nel 50% di gestanti con positività per anticorpi antifosfolipidi12.

Gli anticorpi fissati sugli antigeni del cuore fetale inducono citotossicità diretta con reazio-ne infiammatoria linfocitaria. Parallelamente gli stessi anticorpi interferiscono con il trasportodel calcio e del potassio, creando un’alterata ripolarizzazione ventricolare10. Recentemente èstata dimostrata, mediante ibridizzazione con fluorescenza in situ (FISH) la presenza di cellu-le materne nel miocardio fetale11; tale dimostrazione proverebbe l’esistenza di una condizio-ne di microchimerismo, cioè di contemporanea presenza in un organo, di linee cellulari gene-ticamente differenti, materne e fetali, fenomeno riscontrabile anche nelle trasfusioni ematichee nei trapianti d’organo.

In alcuni casi il BAV è associato fibroelastosi endocardica (EFE), una rara forma di fibrosidel miocardio, ancora poco conosciuta che consiste in un’iperplasia del collagene e dell’ela-stina ed in un diffuso ispessimento dell’endocardio che spesso progredisce fino all’ultimo sta-dio dell’insufficienza cardiaca congestizia ed alla morte feto-neonatale. Sebbene il BAV puòessere associato ad EFE sono riportati casi in cui tale quadro era isolato ed associato ad an-ti-RO e anti-La materni in assenza di BAV13.

DiagnosiLa diagnosi di BAV viene posta in presenza di bradicardia fetale e dissociazione tra fre-

quenza atriale e ventricolare, con quest’ultima inferiore rispetto a quella atriale.La metodica diagnostica di scelta è rappresentata dall’ecocardiografia fetale.Con la visualizzazione bidimensionale ad alta risoluzione, l’M-mode, il Doppler pulsato ed

il color Doppler è possibile precisare l’anomalia del ritmo e l’eventuale influenza emodinami-ca sul feto. Il ruolo dell’ecocardiografia nella diagnosi delle aritmie fetali è quindi quello di va-lutare le conseguenze emodinamiche del disturbo elettrofisiologico.

La valutazione ecocardiografica inizia con un completo studio bidimensionale del cuorefetale per escludere l’eventuale presenza di anomalie cardiache strutturali. Partendo sempredalla scansione delle quattro camere cardiache, particolare attenzione deve essere data allaposizione ed al diametro delle camere stesse, alla loro funzionalità, oltre che alla presenza oassenza dell’idrope fetale. L’esame in M-mode deve sempre seguire l’esame bidimensionale. Ilcursore viene posizionato preferenzialmente sulle pareti atriale e ventricolare in modo da va-lutare simultaneamente la loro attività e di seguire accuratamente l’evoluzione temporale diquesti eventi. Nei feti con BAV si osserverà una dissociazione tra le contrazioni atriali e quel-le ventricolari. La classificazione del BAV distingue I, II e II grado.

La diagnosi di BAV di I grado è puramente elettrocardiografica e, pertanto, può essere for-mulata solo dopo la nascita.

318 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

Il BAV di II grado può essere diagnosticato anche in utero e consiste nella determinazionedi una frequenza atriale regolare e una conduzione ventricolare di 2:1, quindi una bradicardiaepisodica.

Il BAV di III grado o completo, infine, consiste nella completa dissociazione tra le contrazio-ni atriali e ventricolari, con frequenza atriale regolare e bradicardia ventricolare18.

L’esame con il Doppler pulsato e color Doppler permette di valutare l’impatto dell’arit-mia sull’emodinamica fetale. Quando il BAV è tale da compromettere la funzionalità cardia-ca nonché l’emodinamica fetale, il feto può andare incontro ad uno scompenso cardiaco con-gestizio. Quest’ultimo si manifesta con una dilatazione delle camere cardiache ed una loro scar-sa contrattilità, con reflusso atrio-ventricolare e si associa spesso con idrope fetale (versamen-to pleurico e pericardio, ascite, ispessimento della cute).

La diagnosi di cardiomegalia viene effettuata calcolando il rapporto tra la circonferenzacardiaca (CC) e quella toracica (TC). Il normale rapporto CC/TC deve essere circa 0.5. Il ver-samento pericardico viene diagnosticato quando il cuore appare circondato da un anello ipoe-cogeno di almeno 2 mm di spessore.

Il reperto ecografico dell’EFE è quello della dilatazione del ventricolo (in genere sinistro),con idrope fetale, mentre l’endocardio appare fortemente iperecogeno. Relativamente allospessore ed all’estensione del miocardio coinvolto, ecograficamente l’EFE può essere classifi-cata di grado minimo, moderato e severo.

Secondo diversi Autori la prognosi per i feti con BAV dipende dalla frequenza atriale eventricolare, oltre che dall’eventuale presenza d’idrope fetale. I feti che hanno una frequenzaventricolare >55 bpm e una frequenza atriale > 120 bpm, senza segni d’idrope, hanno pro-gnosi favorevole14-16,19. Qualora la frequenza ventricolare scenda sotto 55 bpm si ha frequen-temente l’insorgenza d’insufficienza cardiaca congestizia e d’idrope fetale20. Contrariamente,in un recente lavoro21, Berg pur non osservando un’associazione tra l’abbassamento della fre-quenza ventricolare e l’insorgenza dell’idrope fetale con un outcome sfavorevole, concordacon gli altri Autori che il rapporto CC/TC > 0.61 costituisca un segno prognostico sfavore-vole.

Management e terapiaL’espressione clinica del BAV è ad ampio spettro, potendo mantenersi un compenso emo-

dinamico e, quindi uno stato fetale stazionario, o svilupparsi un’insufficienza cardiaca conge-stizia. In alcune pazienti positive per anti-Ro-La è stata osservata nei feti la progressione dauna normale conduzione atrio-ventricolare ad un completo blocco cardiaco in meno di 11giorni. Questo indica che nelle pazienti note per positività anticorpale, oltre ai controlli nelprimo trimestre ed una precoce valutazione ecocardiografica tra 14-16 settimane, il monito-

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Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

raggio ecocardiografico dovrebbe essere settimanale nel periodo di maggiore rischio (18-25settimane di gestazione)22.

Il trattamento del BAV è un processo complesso che richiede un approccio multidiscipli-nare. Il trattamento di ciascun caso deve essere individualizzato, per soddisfare le necessitàdel feto e della madre. Fino ad oggi vari tipi di terapie sono stati proposti nel trattamento diBAV associato a malattia autoimmune: somministrazione di beta-agonisti (salbutamolo o iso-prenalina) ad effetto isotropo e cronotropo positivo, digossina ad effetto isotropo positivo,corticosteroidi e/o plasmaferesi per limitare la severità del processo infiammatorio e l’impian-to del pacemaker fetale. Ma nessuno di questi protocolli è stato dimostrato essere inequivo-cabilmente efficace. Nella scelta del farmaco si deve tener conto anche dello stato emodina-mico del feto ed in presenza di idrope fetale occorre essere più aggressivi e tentare di otte-nere un risultato entro tempi brevi.

I dati della letteratura riportano l’utilizzo dei simpaticomimetici nel BAV secondo vari sche-mi con l’ottenimento nella maggior parte dei casi di un aumento della frequenza atriale e ven-tricolare fetale14,23,24, nonché la risoluzione dell’idrope in alcuni casi23,25 senza però ottenere unmiglioramento dell’outcome a lungo andare26. Questo effetto contraddittorio può essere spie-gato con due motivazioni. In primo luogo bisogna essere consapevoli che l’aumento della fre-quenza atriale e ventricolare non ripristina la coordinazione della conduzione atrio-ventrico-lare dalla quale dipende un adeguato riempimento diastolico e la gittata cardiaca. In secondoluogo è da considerare che alcuni studi prospettici hanno dimostrato che il BAV diagnostica-to in utero può convertirsi spontaneamente senza l’ausilio terapeutico in ritmo sinusale o adun blocco di grado minore27. Di conseguenza la maggior parte degli Autori mette in dubbiol’efficacia di tale gruppo di farmaci nel trattamento di BAV e ne consiglia l’utilizzo nei casi disevera bradicardia fetale23. Non da trascurare sono anche gli effetti collaterali materni dellaterapia a lungo termine con i beta-simpaticomimetici come l’ischemia miocardiaca e l’edemapolmonare28.

La digossina ha proprietà antiaritmiche e antiscompenso, potendo in alcuni casi determi-nare un miglioramento o la risoluzione del versamento pericardico29, ma non un miglioramen-to della frequenza ventricolare. Da sottolineare che la farmacodinamica della digitale in gra-vidanza è caratterizzata da un’eliminazione più rapida del farmaco. Nel corso della terapia ma-terno-fetale con digitale occorrono controlli ripetuti della digossinemia e dell’ECG materni,per sorvegliare l’effetto del farmaco.

Rimane ancora controverso l’utilizzo dei corticosteroidi nelle pazienti positive per anti-AA-a-Ro e/o anti-SS-B-La. A scopo terapeutico o preventivo dello sviluppo del blocco cardiacovengono usati: prednisone, prednisolone, betametasone e desametasone. Il cortisolo mater-no viene convertito in cortisone da 11beta idrossi steroido deidrogenasi (11ß-HSD) per pro-teggere il feto da alte concentrazioni di steroidi materni30. Anche il prednisone e prednisolo-ne vengono largamente convertiti in metaboliti inattivi da 11ß-HSD, cosi che solo circa 12%

320 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

del farmaco raggiunge la circolazione fetale nella sua forma attiva31. Il betametasone e desa-metasone somministrati alla madre vengono scarsamente metabolizzati dalla placenta e pas-sano prontamente nella circolazione fetale32.

La somministrazione profilattica degli steroidi a partire dalle epoche gestazionali precocipotrebbe prevenire il danno infiammatorio al sistema di conduzione cardiaco fetale causatoda anti-SS-A/Ro e/o anti SS-B/La.

L’utilizzo di prednisone e prednisolone a scopo preventivo è discutibile causa la bassa per-centuale del farmaco che raggiunge nella sua forma attiva il feto. Nella recente rewiev di Breure coll. è stato analizzato il tasso di successo dell’utilizzo della terapia corticosteroidea a sco-po preventivo. Di 43 feti 29 erano a rischio moderato (5% d’incidenza di blocco cardiaco nel-le pazienti positive per anti-SS-A-Ro e/o anti-SSB-La) di cui 8/29 (28%) svilupparono il bloc-co cardiaco durante la gravidanza. Dei rimanenti 14 feti che erano ad alto rischio per il bloc-co cardiaco (16% d’incidenza di blocco cardiaco nella pazienti positive per anti-SS-A-Ro e/oanti-SS-B-La con gravidanza precedente complicata dal blocco cardiaco) nessuno sviluppò ilblocco cardiaco totale. È da sottolineare che in 40 di questi feti è stato usato il prednisoloneo prednisone. Solo in 3 casi è stato usato il desametasone e nessuno di questi ha sviluppatoil blocco cardiaco33.

Nella stessa rewiev gli Autori concludono che nei feti in cui il blocco cardiaco si è già svi-luppato, la somministrazione materna dei corticosteroidi è inefficace33. Il trattamento del bloc-co di minore entità ha ottenuto in alcuni casi un miglioramento del quadro clinico, anche setale miglioramento si potrebbe verificare anche in assenza di terapia. Questo suggerisce cheanche in questo gruppo di feti l’efficacia del trattamento corticosteroideo è discutibile33.

Contrariamente l’efficacia del trattamento con betametasone e/o desametasone è stataprovata nei casi con cardiomiopatia dilatativa, condizione ad alto rischio di mortalità associa-ta al blocco cardiaco fetale34.

La somministrazione materna degli steroidi tuttavia non è priva di rischi per il feto. IUGRe oligoamnios sono stati associati a tale terapia35,36. Studi sugli animali hanno inoltre dimostra-to crescita cerebrale fetale ristretta, alterazioni dell’asse ipotalamo-pituitario-surrenalico e delsistema immunitario, nonché alterazioni della morfologia placentare35,36.

Dai dati attualmente disponibili in letteratura si può dedurre che l’efficacia della terapiasteroidea materna non è stata provata nella prevenzione o trattamento del blocco cardiacofetale, comunque il suo utilizzo potrebbe essere considerato nella prevenzione o modulazio-ne dell’infiammazione miocardica, mentre inefficacie nei casi di blocco completo (blocco di IIIgrado)22.

L’unica terapia reale è rappresentata dall’impianto post-natale di un pace-maker, sebbenesia stato tentato il pacing trans-toracico durante la vita fetale. Il management generale dipen-de dall’età gestazionale e dalla maturità polmonare con possibilità di anticipare il parto per iltempestivo impianto del pace-maker.

321GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

Alterazioni della placenta e del liquido amnioticoUno dei target degli autoanticorpi materni, e soprattutto degli anticorpi antifosfoloipidi

(aPL), è la placenta. Nonostante l’esame istopatologico dipende anche dall’epoca gestaziona-le, le alterazioni placentari maggiori riscontrabili nelle pazienti positive per aPL sono: trombo-si, arterosi acute, diminuito numero di membrane sincizio-vascolari, aumentato numero di no-di sinciziali e arteriopatia obliterativa. Queste lesioni non sono specifiche per la sindrome an-tifosfolipidi (aPL) e a volte non correlano con l’outcome fetale53.

Ecograficamente la placenta nella gravidanza con patologia autoimmune materna spessoappare di dimensioni ridotte, con iperecogenicità diffuse o focali, accentuazione della lobatu-ra e la presenza di lacune anecogene.Tali alterazioni ecografiche sono da imputare a modifi-cazioni ischemiche ed ipossiche, vasculopatia deciduale e presenza di trombi37.

Oligoamnios è associato spesso alle altre complicanze ostetriche.

Minaccia di parto pre-termineNelle gravidanze complicate da LES in fase attiva l’incidenza di parti pretermine risulte-

rebbe significativamente elevata, in modo particolare nelle gravide che assumono alte dosi diprednisone38,39.

Da un punto di vista ecografico è ancora dibattuto il valore della misura della lunghezzadel canale cervicale (cervicometria), come segno precoce di parto pretermine, anche se il re-perto ecografico di svasamento del canale (“funneling“) in pazienti ad alto rischio ha sicura-mente un peso nella gestione clinica del caso.

Restrizione della crescita fetale (IUGR)Una restrizione della crescita fetale intrauterina (IUGR) è comune in donne gravide affet-

te da malattie autoimmunitarie riscontrandosi dal 12% al 32%. In due studi prospettici40,41 IUGRè stato riscontrato rispettivamente nel 23% e 18% di gravidanze complicate da LES seguite apartire dalla ventesima settimana, comparate con gruppi di controllo; i risultati di tali studi han-no evidenziato come un esame ultrasonografico eseguito entro le 5 settimane dal parto, pre-vede lo IUGR con buona accuratezza, definendo la restrizione della crescita fetale come cir-conferenza addominale AC < 10th percentile.

L’individuazione dei feti a rischio di sviluppare una restrizione di crescita rappresenta unodei maggiori obbiettivi della medicina perinatale: il percentile del peso alla nascita è inversa-mente correlato alla mortalità perinatale42,43 e la maggior quota di esiti neonatali sfavorevoli

322 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

si verifica nei feti con restrizione di crescita in utero e basso peso alla nascita44: morte neo-natale, emorragia intraventricolare e leucomalacia peri-ventricolare ed altre lesioni neonatalicorrelate all’eventuale prematurità.

Aspetti flussimetrici fetali delle malattie autoimmuniCirca il 25% delle gravidanze in donne affette da LES è complicato da pre-eclampsia45. La

causa dell’aumentata incidenza di pre-eclampsia potrebbe essere legata alla sottostante pato-logia renale46. Distinguere tra un’esacerbazione del LES che coinvolge anche una nefrite atti-va e la pre-eclampsia è difficile in quanto entrambi questi quadri si possono presentare conproteinuria, ipertensione e l’evidenza di una disfunzione multi-organo.

Circa il 50% delle donne con la sindrome antifosfolipidi sviluppa la pre-eclampsia, che puòinstaurarsi già a partire dalla 15a settimana, o un’ipertensione ingravescente47,48. In circa 10%delle donne con l’instaurarsi precoce della pre-eclampsia (prima delle 34 settimane) si pos-sono riscontrare anticorpi antifosfolipidi.

In entrambi i casi il quadro si può associare anche alla presenza di una restrizione di cre-scita fetale.

Nelle gravidanze complicate da LES materno, un aumento della resistenza nelle arterieombelicali è associato all’aumentato rischio di pre-eclampsia e IUGR. Kerslake et al. riporta-no che l’assenza del flusso diastolico nell’arteria ombelicale è un buon predittore della neces-sità di espletare il taglio cesareo nelle pazienti normotensive49. Non è ancora stato del tuttochiarito se nelle pazienti con LES aumenta la resistenza al flusso nelle arterie uterine. Neglistudi di Weineret al. e Guzman et al. tale associazione non era statisticamente significativa50,51.Gli Autori osservarono però che la presenza di resistenze aumentate nelle arterie uterine siassociava ad un’aumentata incidenza di restrizione di crescita e/o un outcome avverso.

La sindrome da anti-fosfolipidi è caratterizzata dalla trombosi dei vasi utero-placentari edall’infarcimento placentare.

Ci sono alcune evidenze che dimostrano che nelle gravidanze con sindrome anti-fosfoli-pidi un aumento dell’indice di resistenza (RI) nelle arterie uterine identifica i casi che succes-sivamente svilupperanno pre-eclampsia e IUGR. Caruso et al. riportano che l’identificazionedi un aumento di RI delle arterie uterine tra 18 e 24 settimane di gravidanza rappresenta unbuon indice predittivo della pre-eclampsia e della restrizione della crescita fetale52. In questosenso il quadro clinico dello studio con Doppler nelle gravidanze con anti-fosfolipidi potreb-be essere simile a quello che caratterizza l’insufficienza placentare, causata dall’inadeguata in-vasione trofoblastica delle arterie spirali. Similmente alla LES anche in questa sindrome lo svi-luppo della pre-eclampsia e dello IUGR è nella maggior parte dei casi preceduto da un au-mento delle resistenze nell’arteria ombelicale.

323GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni

ConclusioniLa risposta alla domanda iniziale di cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con pa-

tologia autoimmune, deve essere differenziata in due possibili evenienze: la prima riguarda ladonna nella quale si conosce la positività per gli autoanticorpi che inizia la gravidanza e chedovrà pertanto essere monitorizzata cercando gli indizi delle molteplici alterazioni che la suapatologia può provocare al feto. Una proposta di protocollo potrebbe pertanto prevedere:

8 settimane: verifica di vitalità embrionale (BCE) aPS > poliabortività12 settimane: conferma BCF e misurazione della nelle pazienti con LES sono riportati falsi translucenza nucale (NT) positivi al “triplo test” per s. di Down14-15 settimane: valutazione delle 4 camere e FHR diagnosi di BAV/EFE18-25 settimane: controllo settimanale di FHR periodo di maggior rischio per

l’insorgenza di BAV20-22 settimane: ecocardiografia diagnosi di BAV;(M mode, Color e Pulsed Doppler) esclusione di anomalie strutturali cardiacheflussimetria delle aa uterine aumento di RI e/o notch in aa uterine25 settimane: FHR/biometria/valutazione LA diagnosi o monitoraggio BAVflussimetria dei distretti fetali diagnosi IUGR precoceflussimetria aa utrineogni 2 settimane: FHR/biometria/valutazione LAflussimetria34 settimane: FHR/biometria/flussimetriaprofilo biofisico/CTGfino a termine controllo settimanale:FHR/biometria/flussimetria/profilo biofisico NST

Nel caso in cui la diagnosi di BAV venga fatta occasionalmente, in qualsiasi epoca di gra-vidanza, la paziente dovrà essere sottoposta ad indagini del pattern anticorpale, dovrà essererapidamente istaurata la terapia e programmati controlli ecografici molto ravvicinati (7-8 gior-ni), per il possibile peggioramento della bradicardia e la possibile insorgenza di segni di scom-penso cardiaco, che possono anticipare l’espletamento del parto.

È raccomandabile che in caso di diagnosi di BAV la paziente sia inviata in un centro di ri-ferimento, in cui sia possibile la gestione multidisciplinare del caso; solo la fusione delle com-petenze in ambito ostetrico, ecografico, cardiologico, neonatologico ed immunologico posso-no culminare in un esito favorevole della gravidanza.

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325GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

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326 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2255 PATOLOGIA AUTOIMMUNE

GESTIONE CLINICA DELLA GRAVIDA CON PATOLOGIA AUTOIMMUNEN. Santangelo,V. Soini, S. Inglese, M.Vessella, E. Filippi, S. Smiroldo Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

I recenti progressi della scienza medica hanno trasformato sostanzialmente la gestione del-le gravidanze complicate da malattie autoimmuni sistemiche; oggi le possibilità di iniziare e por-tare a termine con successo una gravidanza in donne con patologia autoimmune sono di granlunga maggiori che in passato. L’esito della gravidanza in queste pazienti è condizionato dai ri-schi particolari legati alle malattie stesse o dalle conseguenze sullo sviluppo del feto. In un pas-sato non molto lontano era relativamente poco frequente che donne con malattia autoim-mune sistemica pianificassero delle gravidanze. Lo sforzo di questi ultimi 20 anni è stato quel-lo di identificare e, quando possibile, di prevenire, nell’ambito di questa patologia, le cause diinsuccesso ostetrico e cioè di aborto, morte endouterina del feto, prematurità e patologianeonatale1.

L’elemento determinante per il buon esito della gravidanza in una donna con malattia au-toimmune è uno stretto controllo della patologia, sia prima del concepimento che durantel’intera gestazione, attraverso terapie adeguate e un’attenta valutazione della crescita e delbenessere fetale, programmando le modalità e i tempi del parto. È evidente che l’assistenzaalla donna debba essere fornita da un team multidisciplinare, che dovrebbe includere un’équi-pe ostetrica dedicata, un reumatologo esperto nel trattamento durante la gravidanza, un ema-tologo per la gestione delle possibili complicanze trombofiliche, un neonatologo e poi un pe-diatra che conosca e sappia affrontare i particolari problemi che possono insorgere in un neo-nato; un cardiologo pediatrico qualora insorgessero complicanze nel feto legate agli anticor-pi anti-Ro.

Malattie autoimmuni che determinano una condizione di gravidanza a rischio1. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi2. Connettiviti

Artrite reumatoideLupus eritematoso sistemico

327GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Sclerosi sistemica diffusa e limitataSindrome di Sjögren Connettivite mista (MCTD)Connettivite indifferenziata (UCTD)Polimiosite/dermatomiositePolicondrite recidivante

3.VasculitiArterite di TakayasuGranulomatosi di WegenerPoliarterite nodosaSindrome di Churg-StraussPoliangiite microscopicaPorpora di Henoch-SchönleinCrioglobulinemia mista “essenziale”

Il monitoraggio delle malattie autoimmuni in gravidanza Le pazienti gravide con malattie reumatiche autoimmuni necessitano di una particolare as-

sistenza in gravidanza in quanto è necessario tenere sotto stretto controllo il loro stato di sa-lute con un regime terapeutico che non sia dannoso per lo sviluppo del feto2.

La gestione di queste gravidanze va pertanto affidata ad un team di medici che mettonoinsieme diverse competenze. Il reumatologo che si occupa di queste patologie deve lavora-re al fianco di ostetrici che abbiano esperienza in gravidanze “ad alto rischio”. Dopo la nasci-ta del bimbo è poi indispensabile la presenza di un pediatra con competenze specifiche, so-prattutto in caso di parto pretermine, per garantire al bambino la migliore assistenza.

Alcune malattie autoimmuni si associano ad una maggiore frequenza di complicazioni gra-vidiche o neonatali. Rappresentano condizioni di rischio importante le malattie autoimmunicon presenza di anticorpi antifosfolipidi o anticorpi anti Ro/SS-A. I primi si associano, nelle pa-zienti non trattate, ad un’elevata percentuale di aborti o perdite fetali, i secondi si associano,in una percentuale molto bassa di casi, al “lupus neonatale”3, un quadro clinico generalmentetransitorio ma che può includere blocco cardiaco congenito. Alcuni tipi di malattie autoim-muni possono essere negativamente influenzate dalla gravidanza. Questo può essere il casodel lupus eritematoso sistemico, quando non adeguatamente trattato e monitorato durantela gestazione4.

Si può considerare a basso rischio una gravidanza con malattia in remissione stabile, in as-senza di danno d’organo. La gravidanza è a rischio medio/alto se la malattia non è in remis-

328 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

sione, in presenza di nefropatia proteinurica o insufficienza renale, in presenza di ipertensio-ne significativa, di trombofilia o di precedente patologia ostetrica.

I principali rischi materni sono correlati a:- Possibilità di riattivazione della malattia- Ipertensione e sue conseguenze- Aggravamento di nefropatia e insufficienza renale- Trombofilia

I principali rischi fetali sono correlati a:- Insufficienza placentare- Danni da farmaci

In considerazione di questi rischi, un ambulatorio dedicato è fondamentale nella gestionedelle gravidanze complicate da malattie autoimmuni. Il counselling preconcezionale riveste inquesto campo una importanza decisiva sull’esito gravidico. La gravidanza andrebbe infatti pro-grammata in fase di remissione della malattia da almeno 3 mesi. Compito del reumatologo èdi indicare alla donna il momento più opportuno per iniziare una gravidanza, e sconsigliarla oprocrastinarla ed eventualmente suggerire di ricorrere ad un valido metodo contraccettivoquando la malattia è attiva o quando la paziente deve assumere farmaci per il controllo del-la malattia che potrebbero risultare teratogeni per il feto. I farmaci teratogeni vanno sostitui-ti almeno 3 mesi prima del concepimento, non semplicemente sospesi per il rischio di riatti-vazione della malattia. Nelle ipertese gli ACE inibitori vanno sostituiti con un’altra classe difarmaci per il rischio di tossicità fetale. Nelle pazienti trattate con anticoagulanti orali questivanno sospesi appena noto lo stato gravidico, e comunque entro la 10a settimana. Le pazien-ti con artrite reumatoide, pur non essendo generalmente soggette a particolari rischi in gra-vidanza, assumono trattamenti spesso non compatibili con la gravidanza, per cui risulta neces-sario, prima del concepimento, un opportuno aggiustamento terapeutico.

Il calendario delle visite per le pazienti con malattie autoimmuni è abbastanza stretto, tut-tavia ciò è reso necessario dalla complessità della patologia.

A scadenza mensile va effettuato un controllo:- laboratoristico- internistico/immunologico- ostetrico.

Il controllo dei valori pressori va effettuato ogni 2 settimane, nei primi tre mesi, e dal 4mese ogni settimana a domicilio, o quotidianamente se insorgono problemi. Il monitoraggioostetrico prevede la valutazione della crescita fetale, da effettuarsi mensilmente dalle 18-20settimane, ed ogni 2 settimane dalla 32a settimana; inoltre l’identificazione di una condizione

329GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

di insufficienza placentare prevede l’esecuzione della velocimetria Doppler dell’arteria ombe-licale dalle 20-24 settimane. La gestione ottimale prevederebbe che una paziente vista dal reu-matologo abbia la possibilità, se lo richiede la sua situazione, di essere valutata, nella stessa oc-casione, anche dall’ostetrico e viceversa; nella stessa giornata è poi auspicabile che la pazien-te possa effettuare esami di laboratorio, inclusi quelli della coagulazione. Gli esami strumen-tali ostetrici, che di solito hanno un loro calendario, possono essere effettuati estemporanea-mente, se ritenuti necessari al momento della visita.

Il monitoraggio delle pazienti non si esaurisce con il parto. L’ultima visita in ambulatoriova effettuata circa un mese dopo la nascita, per escludere che non siano insorte complicazio-ni nel puerperio.

IL LABORATORIO NELLE MALATTIE AUTOIMMUNIDurante la gravidanza le donne affette da malattie autoimmuni devono eseguire frequen-

ti controlli laboratoristici. Gli esami fondamentali nelle malattie autoimmuni in gravidanza in-cludono l’emocromo con formula per la ricerca di anemia, leucopenia e trombocitopenia, gliindici di fase acuta (proteina C reattiva, ferritina, aptoglobina, ipergammaglobulinemia), gli in-dici di funzionalità renale ed epatica, oltre ad esami specifici per le singole malattie. Emocromo,glicemia e prove di funzionalità renale andrebbero ripetuti mensilmente. In presenza di unacondizione di anemia il test di Coombs diretto e indiretto consente di individuare una ane-mia emolitica autoimmune che richiede spesso un potenziamento della terapia. Il complemen-to andrebbe monitorato periodicamente, e riduzioni progressive e costanti costituiscono unsegnale di allarme. In alcune pazienti è utile la ricerca di una condizione di trombofilia gene-tica, come iperomocisteinemia, deficit di ATIII, proteina C e proteina S, mutazione G20210Adella protrombina, fattore V Leiden.

La ricerca e la quantificazione di autoanticorpi è diventata una componente importantenella diagnosi e nel trattamento di malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, il LES, levasculiti sistemiche, la sclerodermia5. Ciascuna di queste malattie è associata alla presenza diun particolare autoanticorpo o gruppo di autoanticorpi. L’impiego di questi autoanticorpi co-me test diagnostici presenta tuttavia numerose limitazioni: vanno usati come parte di un pan-nello diagnostico piuttosto che come marker indicativi di una particolare malattia. Molti di que-sti markers non hanno correlazione con l’attività della malattia, e possono essere riscontratianche in soggetti sani. Il loro utilizzo dovrebbe essere ristretto alla valutazione iniziale e nonripetuto ad ogni controllo. Altri markers invece correlano con l’attività della malattia e pos-sono essere utilizzati per monitorare l’attività della malattia. Ad esempio, gli anticorpi anti-dsDNA sono da controllare periodicamente, perché il loro aumento può indicare una riatti-vazione della malattia, viceversa gli ANA e gli ENA tendono a rimanere stabili nel tempo. Ladeterminazione degli anticorpi antifosfolipidi è essenziale per la valutazione e il monitoraggiodella gravidanza e del rischio ostetrico, in quanto tipicamente si associano ad aborti e perdi-

330 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

te fetali. Qui di seguito è illustrato un pannello di esami utili per il monitoraggio laboratoristi-co delle malattie autoimmuni.

Tabella 1. Pannello di esami di laboratorio utili nelle malattie autoimmuniEmocromo con formula e piastrine Proteine totali ed elettroforesiSideremia e transferrina IgG, IgM, IgAFerritina Immunofissazione siericaAptoglobina Complemento C3, C4Test di Coombs (diretto/indiretto) Fattore reumatoideAnticorpi antipiastrine Antinucleo (ANA)LDH Anti-dsDNAVES (utilità limitata in gravidanza) Anti ENAProteina C reattiva AnticardiolipinaGlicemia Anti beta2 glicoproteinaCreatinina ANCA (PR3, MPO)Uricemia CrioglobulineNa Anticorpi antitessutali:K tiroidei (Tg,TPO)Ca mucosa gastricaP muscolo liscioAST ALT mitocondriFosfatasi alcalina LKMgammaGT Anticorpi anti viraliBilirubina totale e diretta Virus epatite BCK Aldolasi Virus epatite CColesterolo, HDL,Trigliceridi Virus HIVOmocisteina Anticorpi anti-BorreliaTempo di Quick (INR), APTTResistenza alla proteina C attivata Esame urine completoFibrinogeno Proteinuria (24 ore)Proteina C Proteina S Bence Jones urinariaAnticoagulante lupico Elettroforesi proteine urinarieFattore V (genetica)Protrombina (genetica)

IL RUOLO DELL’IMMUNOLOGO/INTERNISTA Dal punto di vista immunologico, la gravidanza rappresenta un periodo vulnerabile a cau-

sa delle ripercussioni sul sistema immunitario dell’adattamento materno al prodotto del con-cepimento. Il ruolo dell’immunologo nelle gravidanze complicate da malattie autoimmuni, con-siste nell’individuazione, monitoraggio e terapia delle principali condizioni che configurano unaumento di rischio gravidico. I principali fattori di rischio in queste gravidanze sono la presen-za di malattia all’esordio o in fase attiva, la presenza di anticorpi antifosfolipidi, la presenza di

331GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

anticorpi anti-Ro/SS-A6. Compito dell’immunologo è anche stabilire il rischio teratologico deitrattamenti farmacologici in corso e consigliarne la sospensione o la modificazione prima delconcepimento.

L’attività e il tipo di malattiaL’outcome gravidico è condizionato dal tipo di malattia autoimmune e dal grado di atti-

vità della malattia. È noto che alcune malattie autoimmuni rappresentano una condizione dirischio significativo per la gravidanza (es. la sindrome da anticorpi antifosfolipidi), ed è anchenoto che la gravidanza determina un peggioramento di alcune malattie autoimmuni (es. ilLES) ma non interferisce o determina addirittura un miglioramento di altre (es. l’artrite reu-matoide).

Esistono alcune condizioni preesistenti alla gravidanza che possono determinare un au-mento del rischio gravidico, come la presenza di ipertensione, nefropatia e trombofilia.L’ipertensione cronica complica frequentemente la gravidanza nel LES, nella sindrome da an-ticorpi antifosfolipidi e nelle vasculiti, ma può insorgere anche per la prima volta nel corsodella gestazione.

L’ipertensione compare nel 20-30% delle pazienti affette da LES, e può assumere le ca-ratteristiche dell’ipertensione maligna nelle crisi renali della sclerodermia. Un’ipertensione ge-stazionale severa può avere sequele gravissime come stroke, insufficienza cardiaca, insufficien-za renale, eclampsia o morte.

Alla base della condizione ipertensiva esiste spesso il danno renale. Le donne con insuf-ficienza renale da moderata a severa hanno una elevata probabilità di sviluppare pre-eclam-psia, che a sua volta può causare un peggioramento della funzionalità renale. In alcune pa-zienti la gravità della condizione rende necessario il ricorso alla emodialisi in gravidanza e al-l’espletamento immediato del parto.

Una condizione di trombofilia genetica può sovrapporsi ad una trombofilia acquisita ecreare una condizione di rischio gravissimo nelle donne affette.

La riattivazione della malattia autoimmune o “flare” è un possibile effetto della gravidan-za sulla malattia. Le riattivazioni possono essere di gravità variabile, da lieve, nella maggioran-za dei casi, a severa e pericolosa per la vita. Non esiste una profilassi efficace, pertanto l’im-munologo deve avvalersi di un monitoraggio clinico intensivo e di alcuni test di laboratorioper individuare precocemente una riattivazione.

Le malattie in remissione al momento del concepimento hanno un outcome migliore del-le malattie in fase di attività. L’attività di una malattia autoimmune si stabilisce in base alla pre-senza o al peggioramento dei sintomi, all’impiego di cortisonici a dosaggi elevati o di farma-ci immunosoppressori e in base ad alcuni dati di laboratorio.

Esistono molte scale per la valutazione del grado di attività delle malattie autoimmuni aldi fuori della gravidanza, ma stabilire il grado di attività di una malattia autoimmune in gravi-

332 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

danza non è altrettanto semplice, perché alcune fisiologiche modificazioni della gravidanzapossono mimare forme lievi di riesacerbazione delle malattie autoimmuni, e possono limita-re la validità di alcuni riscontri clinici e biochimici. Pertanto l’impressione clinica globale del-l’immunologo ha valore pari se non superiore a quello degli indici proposti per la valutazio-ne dell’attività delle malattie autoimmuni7.

In Tabella II è illustrata la scala di attività LAI-P (Lupus Activity Index- Pregnancy), una dellepiù utilizzate per la valutazione dell’attività del LES in gravidanza. Si parla di “flare” in caso diaumento di 0.25 del punteggio8.

Tabella II. LAI-P scoreLupus Activity Index- Pregnancy (LAI-P) scoreGruppo I: Febbre 0 1 (a) media:manifestazioni cliniche minori Rush 0 2

Artrite 0 2 3Sierosite 0 1 2 3

Gruppo 2: Neurologici 0 3 (b) massimo:manifestazioni cliniche maggiori Renali 0 2 3

Polmonari 0 3Ematologici 0 1 2 3Vasculite 0 3Miosite 0 2

Gruppo 3: Prednisone, FANS, idrossiclorochina 0 1 2 3variazioni della terapia Immunosoppressori 0 3 (c) media:Gruppo 4: Proteinuria 0 1 2 3 (d) media:dati di laboratorio Anti-dsDNA 0 1 2

C3, C4 0 1 2LAI-P score= (a+b+c+d)/4

Gli anticorpi antifosfolipidiGli anticorpi antifosfolipidi sono una famiglia eterogenea di anticorpi diretti, per lo più,

verso proteine che legano i fosfolipidi, che in vivo si associano a ricorrenti episodi trombo-tici. Questi anticorpi includono il lupus anticoagulant, gli anticorpi anticardiolipina e gli anti-corpi anti beta2-glicoproteina I.

La presenza di questi anticorpi costituisce un rischio concreto per la gravidanza indipen-dentemente dal contesto della malattia materna nella quale siano rilevati. Da quando que-sti anticorpi sono stati identificati la strategia terapeutica è di limitarne le conseguenze con-trastandone l’effetto trombofilico con l’uso di farmaci anticoagulanti o antiaggreganti9. L’esitodella gravidanza, prima estremamente sfavorevole, è stato completamente sovvertito dopol’individuazione della sindrome.

Resta da stabilire quanto a questo cambiamento abbia contribuito la farmacoterapia equanto invece abbiano contribuito la sorveglianza ostetrica, il timing del parto e i progressidella terapia intensiva neonatale10.

In Tabella III sono riassunte le principali indicazioni per la ricerca di questi anticorpi.

333GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Tabella III. Indicazioni per la ricerca degli anticorpi antifosfolipidiAborti spontanei ricorrentiMorte fetale inspiegabile del secondo o del terzo trimestrePre-eclampsia severa ad insorgenza < 34 settimaneTrombosi venosa inspiegabileTrombosi arteriosa inspiegabileStroke inspiegabileTIA o amaurosi fugace inspiegabileLES o altre malattie autoimmuniTrombocitopenia autoimmuneAnemia emolitica autoimmuneLivedo reticularisChorea gravidarumFalsa positività di un test sierologico per la sifilideInspiegabile prolungamento dei test di coagulazioneIUGR severo inspiegabile

Anticorpi anti Ro/SS-ANel counselling della paziente con patologia autoimmune che vuole intraprendere una gra-

vidanza dovrebbe essere inclusa la ricerca degli anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B. Questianticorpi, caratteristici del LES, della Sindrome di Sjögren e della connettivite indifferenziata(UCTD), espongono il neonato al rischio di lupus neonatale11, una sindrome caratterizzata damanifestazioni transitorie quali rush cutaneo fotosensibile, epatopatia colestatica, citopenia edella temuta manifestazione permanente del blocco cardiaco congenito.

Il blocco cardiaco congenito è stato correlato alla presenza di anticorpi anti Ro/SS-A ma-terni in base all’osservazione che la larghissima maggioranza delle madri di bambini affetti ri-sulta positiva a questi anticorpi. Inoltre il periodo in cui il blocco diviene rilevabile in utero,corrispondente ad un’epoca gestazionale compresa tra le 18 e le 22 settimane, coincide conun periodo in cui comincia a verificarsi un consistente passaggio transplacentare di immuno-globuline materne. Per una paziente con malattia autoimmune anti Ro/SS-A positiva, il rischiodi avere bimbi affetti da blocco cardiaco congenito è di circa il 5%12.

L’antigene Ro consiste in proteine di 52 e 60 kDa. La presenza nella madre di anticorpidiretti verso la componente 52 kDa dell’antigene Ro e/o verso l’antigene La conferisce unmaggior rischio di blocco cardiaco per il neonato13.

I trattamenti farmacologiciMolte malattie autoimmuni sono attive o si riattivano durante la gravidanza perciò le pa-

zienti devono essere trattate. I dati sugli effetti dei farmaci sui bambini di donne con malattieautoimmuni sono incompleti. Per ogni farmaco si devono considerare i possibili effetti sullaprogressione della gravidanza, la teratogenicità, la tossicità fetale/neonatale, gli effetti a lungo

334 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

termine sui bambini14,15. Nelle Tabelle seguenti sono illustrati i possibili rischi fetali e le con-troindicazioni in gravidanza ed allattamento per i principali analgesici, antireumatici ed immu-nosoppressori impiegati nelle malattie autoimmuni.

Tabella IV. Analgesici e antinfiammatori in gravidanzaFarmaco Impiego principale Possibili rischi Controindicazioni Controindicazioni

nelle malattie per il feto in gravidanza nell’allattamentoautoimmuni

Paracetamolo Analgesico (lieve) Improbabili No No

Codeina Analgesico Depressione respiratoria, No (cautela) Cautelasindrome da astinenza

Aspirina Anticoagulante Rischio minimo con i bassi No Nodosaggi, ma emorragia (basse dosi) (basse dosi)neonatale e ipertensionepolmonare con gli alti dosaggi

Ibuprofene FANS lieve per Anomalie renali Cautela in fase No (basse dosi)l’artrite reumatoide Chiusura prematura del dotto preconcezionale,e altre artriti arterioso, ipertensione nel primo e terzo

polmonare, aborti trimestre

Indometacina FANS potente Aborti, malformazioni Si (utilizzare gli steroidi Si (utilizzare gli steroidiper la spondilite congenite, prolungamento in sostituzione) in sostituzione)

della gestazione,ipertensione polmonare

Tabella V. Farmaci antireumatici in gravidanzaIdrossiclorochina Lupus eritematoso No, ma anomalie oculari No No

sistemico e auricolari con la clorochina (basse dosi) (basse dosi)(artrite reumatoide)

Sulfasalazina Artrite reumatoide Possibile kernicterus No No (evitare gli alti(non confermato). Dare dosaggi)supplementi di acido folico per ridurre i rischi

Sali d’oro Artrite reumatoide Non confermati No No(basse dosi) (basse dosi)

D-penicillamina Artrite reumatoide Anomalie del tessuto connettivo Si Si

Tabella VI. Farmaci immunosoppressivi in gravidanzaPrednisolone Artrite reumatoide, Labio-palatoschisi, IUGR, No, cautela con No, cautela con

lupus eritematoso iposurrenalismo, natimortalità gli alti dosaggi gli alti dosaggisistemico, vasculiti con dosaggi >20 mg/die

Azatioprina Lupus eritematoso Non definiti No, cautela con Cautela, datisistemico, artrite gli alti dosaggi conflittualireumatoide, vasculiti

Ciclosporina A Artrite reumatoide, Ritardo di crescita Cautela Silupus eritematoso (non teratogeno (dati limitati)sistemico, vasculiti negli animali)

Metotrexate Artrite reumatoide, Anomalie facciali Si Silupus eritematoso e scheletrichesistemico, psoriasi

Ciclofosfamide Lupus eritematoso Anomalie facciali, Si Sisistemico, cutanee, degli arti vasculiti e viscerali

335GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

IL RUOLO DELL’OSTETRICOIl ruolo dell’ostetrico nelle gravidanze complicate da malattie autoimmuni, consiste nella

prevenzione e nel trattamento delle principali complicanze gravidiche.Tali complicanze sonoessenzialmente l’aborto, la morte endouterina del feto, la prematurità, la PROM, il ritardo dicrescita endouterino e la pre-eclampsia16.

È stato osservato che le gravidanze che decorrono in pazienti con lupus eritematoso si-stemico registrano una percentuale di aborti e morti endouterine più alta che di norma17.

Il rischio è più elevato nelle pazienti con malattia attiva al concepimento e funzione rena-le compromessa, mentre le donne con malattia stabilizzata e funzione renale discretamenteconservata hanno una buona prognosi riproduttiva. Il rischio di perdita fetale è elevato anchenelle vasculiti in fase attiva.

Il fattore predittivo più importante di perdita fetale è però la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi comporta anche un rischio aumentato diIUGR, pre-eclampsia e parto prematuro.

Una significativa percentuale di aborti e soprattutto di parti pretermine sono segnalati nel-le pazienti con sclerosi sistemica progressiva18.

Le gravidanze che insorgono nelle fasi precoci e di acuzie di questa malattia, con coinvol-gimento renale o cardiaco, comportano un rischio elevato e andrebbero rimandate ad unafase di stabilità della malattia.

Nella sclerodermia diffusa la percentuale di morte fetale è probabilmente del 2-5% quin-di sembra opportuna una sorveglianza fetale intensiva.

A differenza di altre malattie autoimmuni, l’artrite reumatoide non richiede un monitorag-gio ostetrico intensivo, la malattia presenta addirittura un miglioramento in gravidanza e l’out-come gravidico è favorevole nella grande maggioranza dei casi.

I principali rischi fetali nelle malattie autoimmuni sono correlati all’insufficienza placentare,una condizione conseguente all’ipertensione cronica o gestazionale. Le conseguenze dell’in-sufficienza placentare sono correlate al ridotto rifornimento di ossigeno e nutrienti al feto, epossono determinare un ritardo di crescita intrauterino, distress fetale e morte endouterina.

L’ostetrico che si occupa di queste gravidanze deve effettuare frequenti controlli della cre-scita e del benessere fetale attraverso valutazioni ecografiche seriate dalla 18a-20a settimana,flussimetria delle arterie uterine e dell’arteria ombelicale, non stress test dalla 30a-32a setti-mana.

In Tabella VII sono sintetizzati i fattori di rischio nel LES per le principali complicanze gra-vidiche. Da questi dati si può osservare che i maggiori determinanti dell’outcome fetale in pa-zienti con malattia autoimmune sono il grado di attività della malattia al concepimento e lapresenza di anticorpi antifosfolipidi.

336 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Tabella VII. Complicanze ostetriche e fattori di rischio nel LESComplicanza Fattori di rischio nel LESAborto Ipertensione al concepimento

Quantità di steroidi assunti nell’anno precedenteMorte endouterina del feto Numero di riesacerbazioni prima della gravidanzaParto pretermine Sindrome da anticorpi antifosfolipidi

Alto titolo di anti-dsDNAPROM Score di attività del LES nei sei mesi precedenti la gravidanzaIUGR Ipertensione al concepimentoPre-eclampsia LAC

Il monitoraggio ostetrico intensivo è finalizzato alla determinazione del migliore timing delparto. Per pianificare il tipo di parto e per prevenire possibili complicanze è opportuno il coin-volgimento di un anestesista verso la 36a settimana di gestazione. La paziente affetta da ma-lattie autoimmuni rappresenta spesso una sfida anche per l’anestesista a causa delle partico-lari caratteristiche delle singole malattie e degli effetti collaterali delle terapie. I principali pro-blemi sono instabilità/anchilosi di segmenti scheletrici di interesse anestesiologico, come la co-lonna cervicale (importante per l’intubazione tracheale) o la colonna lombare (rilevante perl’anestesia spinale), le anomalie delle vie aeree e/o la disfunzione dello sfintere esofageo su-periore (dermatomiosite) che in pazienti che vanno sottoposte ad anestesia generale posso-no compromettere l’intubazione tracheale e/o la ventilazione o determinare aspirazione delcontenuto gastrico; disfunzioni dei sistemi cardiovascolare o respiratorio, che possono altera-re la normale risposta agli anestetici o alla ventilazione meccanica; disfunzione renale; e alla fi-ne alterazioni ematologiche dovute sia alla malattia (sindrome da anticorpi antifosfolipidi) oai farmaci utilizzati, come acido acetilsalicilico, FANS, corticosteroidi, eparina19.

Oggi è possibile giungere ad un outcome favorevole nella maggioranza delle malattie au-toimmuni. Questo progresso è stato possibile solo attraverso un counselling attento e un mo-nitoraggio intensivo e soprattutto grazie alla collaborazione di tutti gli specialisti coinvolti nel-la gestione di queste gravidanze ad alto rischio.

Lupus eritematoso sistemicoIl Lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune in cui tessuti e cellule so-

no danneggiati da autoanticorpi e immunocomplessi diretti verso uno o più componenti delnucleo cellulare.

Il LES si verifica in una donna su 1000 e nel 6% dei casi coesiste un’altra malattia autoim-mune, come la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi secondaria (APS).

Il lupus è molto variabile nella sua presentazione clinica, decorso e outcome. Si riscontra-no frequentemente malessere, febbre, artrite, mialgia, calo ponderale, rush cutaneo, fotosen-sibilità, pleuropericardite, anemia e disfunzioni cognitive. Almeno metà dei pazienti presenta-no coinvolgimento renale20.

337GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

DiagnosiI criteri della American Rheumatism Association (1997) per la diagnosi di LES sono elenca-

ti di seguito. La diagnosi di lupus richiede 4 o più criteri presenti serialmente o simultanea-mente21.

Criteri della American Rheumatism Association (1997) per la diagnosi di LES.Rush malareRush discoideFotosensibilitàUlcere oraliArtrite (non erosiva, coinvolgente 2 o più articolazioni periferiche)Sierosite (pleurite o pericardite)Disordini renali (proteinuria > 0.5 g/die o cilindri)Disordini neurologici (convulsioni o psicosi sine causa)Disordini ematologici (anemia emolitica, leucopenia o linfopenia, trombocitopenia)Disordini immunologici (anticorpi anti-dsDNA o anti-Sm,VDRL falsamente positiva, livelli anormali di anticorpianticardiolipina IgM o IgG o lupus anticoagulant)Anticorpi antinucleo

I test sierologici immuni impiegati nella diagnosi di LES includono gli anticorpi antinucleo(ANA), riscontrati in oltre il 90% dei casi ma non specifici per il lupus; gli anticorpi anti-DNAa doppia elica (anti-dsDNA) trovati in quasi l’80% dei casi e gli anticorpi contro antigeni nu-cleari estraibili (ENA) trovati in circa il 30% dei casi. Gli ANA a basso titolo possono esserepresenti in individui normali, in altre malattie autoimmuni, in infezioni virali acute ed in pro-cessi infiammatori cronici, inoltre molti farmaci possono causare una positivizzazione della rea-zione. Gli anti-dsDNA sono specifici per il lupus e mostrano la migliore correlazione con l’at-tività della malattia. Gli ENA (extractable nuclear antigens) sono anticorpi diretti contro ungruppo di antigeni nucleari estraibili con soluzione salina, sono dotati di bassa specificità e nonsono correlati con l’attività della malattia; essi comprendono gli anticorpi anti-Ro ed anti-La (ipiù rilevanti dal punto di vista clinico), gli anticorpi anti-Sm e gli anticorpi anti-RNP. Gli anti-corpi anti-Sm sono relativamente specifici per il lupus.

In Tabella VIII sono elencati i principali anticorpi riscontrabili nel LES e le loro associazionicliniche.Tabella VIII.Anticorpo Incidenza Associazioni clinicheANA 98Anti-dsDNA 80 Associato a nefrite e attività clinicaAnti-Sm 30 Specifico per il lupusAnti-RNP 40 Polimiosite, sclerodermia, lupus, connettivite mistaAnti-Ro (SS-A) 30 Sindrome di Sjögren, lupus cutaneo, lupus neonatale, lupus

ANA negativo, blocco cardiaco congenitoAnti-La (SS-B) 10 Sindrome di Sjögren

338 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Antiistone 70 Comuni nel lupus indotto da farmaciAntifosfolipidi 50 Lupus anticoagulant e anticardiolipina associati con trombosi,

perdita fetale, trombocitopeniaAnti-eritrociti 60Anti-piastrine - Trombocitopenia

Complicazioni del LES in gravidanzaComplicazioni materne

I principali fattori che incidono sull’outcome materno nelle gravidanze complicate dal LESsono l’attività della malattia all’inizio della gravidanza, la coesistenza di altri disordini medici oostetrici, la presenza e il titolo degli autoanticorpi, la presenza di anticorpi antifosfolipidi e iltrattamento in corso22.

Non è ancora chiaro se la gravidanza e il puerperio predispongano alla riesacerbazione o“flare” del LES23,24, in letteratura sono infatti descritte percentuali variabili tra il 15 e il 60%.Quando si verifica un “flare”, nella maggior parte dei casi si tratta di manifestazioni cutaneetrattate facilmente con basse dosi di glucocorticoidi. In alcuni casi invece si tratta di riesacer-bazioni gravi25. In Tabella IX sono riassunte tali caratteristiche.

L’ipertensione si sviluppa in circa il 20-30% delle gravidanze con LES, ed è frequentemen-te precoce e severa. La pre-eclampsia è favorita da una nefropatia severa, dall’ipertensionepreesistente, dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi, da un trattamento con corticosteroi-di ad alte dosi. La nefropatia lupica tende a peggiorare in un quarto dei casi, ed in circa il 10%dei casi questo danno renale è permanente.

Esiste una forte correlazione tra severità dell’insufficienza renale prima del concepimentoe rischio di peggioramento durante la gravidanza ed il post-partum. Le condizioni cliniche pos-sono aggravarsi rapidamente e spesso senza avvertimenti clinici o biochimici. In alcuni casi ilLES può diventare pericoloso per la vita, a causa del coinvolgimento renale e cardiaco, dellacomparsa di pre-eclampsia severa e delle complicanze correlate alla sindrome da anticorpiantifosfolipidi.

Tabella IX. Caratteristiche delle riesacerbazioni del LES in gravidanzaRiesacerbazione lieve/moderata Riesacerbazione severaComparsa o peggioramento della malattia cutanea Comparsa o peggioramento dei sintomi neurologiciUlcere nasofaringee VasculitePleurite NefritePericardite MiositeArtrite Anemia emoliticaFebbre attribuita al LES Trombocitopenia (< 60000/ml)Aggiunta di FANS o idrossiclorochina Aggiunta di ciclofosfamide, azatioprina, metotrexateAumento di prednisone fino a 0.5 mg/kg/die Aumento del prednisone > 0.5 mg/kg/die

Ospedalizzazione per manifestazioni correlate al LES

339GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Complicazioni fetali e neonatali Il LES è associato ad un aumento del numero di aborti, morti fetali endouterine e parti

pretermine17. Nelle pazienti con LES la frequenza delle perdite fetali che includono gli abortispontanei (prima della 10a settimana di gestazione) e le morti endouterine del feto (dopo la10a settimana) varia dall’11 al 24%. La perdita della gravidanza è correlata ad attività della ma-lattia, nefropatia severa e presenza di anticorpi antifosfolipidi. L’outcome gravidico è condizio-nato anche dalla significativa frequenza di parti pretermine (24-59%) e di ritardo di crescitaintrauterino (IUGR) (12-32%). Fattori di rischio per il parto pretermine sono l’attività dellamalattia, l’utilizzo di una terapia con prednisone a dosaggi > 20 mg/die, la malattia renale el’ipertensione. I cortisonici aumentano anche il rischio di rottura prematura delle membrane.Fattori di rischio per IUGR sono la malattia renale, la pre-eclampsia e la sindrome da anticor-pi antifosfolipidi.

La presenza di anticorpi anti-Ro e, in grado minore, di anticorpi anti-La è associata con losviluppo di sindromi lupiche fetali o neonatali in circa il 5-10% dei bambini26,27. La condizionefetale e neonatale più seria è il blocco cardiaco congenito completo (CCHB) che si verificain circa il 2% dei feti e può essere identificato in utero dalla 18a settimana di gestazione co-me una bradicardia fetale persistente. Questa condizione è permanente e può risultare in in-sufficienza cardiaca fetale e morte endouterina. In questi casi è spesso inevitabile il parto pre-termine a causa di insufficienza cardiaca fetale, e il 70% dei neonati sopravvissuti richiederàl’applicazione di un pace-maker28. La ricorrenza di questa condizione in una successiva gravi-danza è compresa tra il 16 e il 25%, aumentando al 50% con due precedenti gravidanze af-fette. Altri aspetti della sindrome lupica neonatale includono rush cutaneo, trombocitopenia,epatite colestatica, polmoniti ed emolisi. Queste condizioni raramente richiedono un tratta-mento e sono transitorie, scomparendo entro alcune settimane di vita.

Donne con LES senza coinvolgimento renale, APS o anticorpi anti-Ro non hanno un ri-schio aumentato di complicazioni durante la gravidanza.Attualmente la gestione multidiscipli-nare di queste donne ha migliorato notevolmente l’outcome gestazionale: è possibile in cen-tri specializzati raggiungere una percentuale di nati vivi superiore all’80%, di cui poco più del20% pretermine, con una percentuale di morti endouterine del 5%.

ManagementManagement prenatale: monitoraggio della malattia materna

Prima di intraprendere la gravidanza, le donne con LES dovrebbero sottoporsi ad un coun-selling preconcezionale per la valutazione dei rischi medici ed ostetrici della gravidanza. In que-sta occasione si dovrebbero valutare la funzionalità renale ed i parametri ematologici. Il pan-nello di test consigliati include creatininemia, proteinuria delle 24 ore, clearance della creati-nina ed emocromo con formula e piastrine, inoltre si dovrebbe effettuare la ricerca degli an-

340 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ticorpi antifosfolipidi. Prima del concepimento le pazienti affette da LES devono sospendereFANS e farmaci citotossici. Alle donne con malattia attiva viene consigliato di posticipare lagravidanza, poiché la riesacerbazione del LES è meno comune in donne che sono state in re-missione o stabili con un trattamento minimo per oltre 6 mesi.

Complessivamente il rischio gravidico può essere stimato valutando diversi parametri:- score di attività del LES al concepimento- numero di “flare” nell’anno precedente il concepimento- nefropatia concomitante- corticosteroidi nell’anno precedente alla gravidanza (più o meno di 50 mg/settimana)- ipertensione al momento del concepimento- coesistenza di sindrome da anticorpi antifosfolipidi- lupus anticoagulant- anticorpi anticardiolipina- anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B - anticorpi anti-dsDNA (alto titolo).

La paziente LES gravida dovrebbe essere visitata ogni due settimane nel corso del primoe secondo trimestre e ogni settimana successivamente. È fondamentale la collaborazione traostetrico e reumatologo.Ad ogni visita si devono valutare segni e sintomi di attività della ma-lattia ed i valori pressori. Durante la gravidanza ed il puerperio vanno effettuate frequenti va-lutazioni ematologiche, poiché si possono sviluppare leucopenia, trombocitopenia ed emoli-si, con test di Coombs positivo. La funzionalità renale va valutata con l’esame urine standarde dosando urea ed elettroliti sierici materni, proteinuria delle 24 ore, clearance della creati-nina e rapporto albumina/creatinina urinaria. È spesso difficile distinguere nefrite lupica e pre-eclampsia perché entrambe le condizioni si possono presentare con ipertensione, proteinu-ria, edema e trombocitopenia. La diagnosi differenziale tra nefrite lupica e pre-eclampsia è sug-gerita da parametri sierologici, come la diminuzione del complemento e l’aumento del titolodi anti-dsDNA nel LES e il deficit di ATIII nella pre-eclampsia, da parametri ematologici, comel’anemia emolitica Coombs positiva e la leucopenia nel LES e l’anemia emolitica microangio-patica nella pre-eclampsia, da parametri urinari, come la presenza di globuli rossi e cilindri cel-lulari nel LES e l’ipocalciuria nella pre-eclampsia, e da parametri epatici, come la ipertransa-minasemia nella pre-eclampsia.

La diagnosi definitiva di nefrite lupica a volte è possibile solo con la biopsia renale, che pe-rò viene raramente effettuata in donne gravide. In molti casi la diagnosi è effettuata in modoretrospettivo dopo la risposta ai farmaci steroidei o dopo il parto, quando la pre-eclampsiasi risolve, a differenza della nefrite lupica. Non è chiaro quali siano gli indici laboratoristici piùaffidabili per identificare un peggioramento dell’attività del LES. Non è dimostrata infatti l’uti-lità di una diminuzione dei livelli del complemento o dell’aumento del titolo degli anticorpianti-DNA.

341GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

La terapia del LES include quattro categorie di farmaci: FANS, antimalarici, corticosteroidie citotossici. I farmaci anti-infiammatori non steroidei dovrebbero essere evitati in gravidan-za, come anche i farmaci citotossici come ciclofosfamide e metotrexate.

I corticosteroidi sono considerati abbastanza sicuri in gravidanza. Quelli più impiegati neltrattamento del LES sono l’idrocortisone, il prednisone e il prednisolone, che attraversano so-no in minima parte la placenta. Gli effetti collaterali materni dei corticosteroidi includonoosteopenia, alterata tolleranza ai carboidrati, infezioni, ritenzione idrica ed ipertensione, inol-tre i corticosteroidi aumentano il rischio di diabete gestazionale, pre-eclampsia, rottura pre-matura delle membrane e IUGR.

I vantaggi degli steroidi nelle donne affette da LES superano ampiamente questi rischi. Percontrollare i sintomi deve comunque essere impiegata la dose efficace più bassa. Nelle don-ne in trattamento con idrossiclorochina la sospensione di questo farmaco in gravidanza è con-troindicata perché può causare una riesacerbazione della malattia.

Le riattivazioni della malattia sono in genere lievi e vanno trattate con analgesici a base diparacetamolo, corticosteroidi e idrossiclorochina. Una nefrite lupica severa può richiedere untrattamento con azatioprina o anche ciclofosfamide a basse dosi.

I dettagli sul trattamento del LES in gravidanza sono illustrati nel capitolo “LES - compli-canze severe materne: prevenzione e terapia”.

Management prenatale: sorveglianza fetaleA causa del rischio di insufficienza utero-placentare, l’esame ecografico del feto dovrebbe

essere compiuto ogni 4-6 settimane ad iniziare dalla 18a-20a settimana. La crescita fetale vaseguita attentamente, specialmente in caso di sviluppo di ipertensione materna, per individua-re precocemente l’insorgenza di IUGR. Il monitoraggio fetale (conteggio MAF quotidiano, car-diotocografia e controllo del liquido amniotico settimanale) dovrebbe cominciare dalla 30a-32a settimana. Nelle pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi secondaria può esseregiustificato il controllo del feto a partire dalla 24a-25a settimana.

Alcuni Autori raccomandano lo screening degli anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B nelLES in gravidanza. Nelle donne positive per questi anticorpi si effettua un esame ecograficofetale dettagliato nel secondo trimestre con ecocardiografia fetale, e la frequenza cardiaca fe-tale è monitorata strettamente nella fase tardiva della gestazione. In alcuni casi il blocco car-diaco congenito può essere revertito in utero attraverso la somministrazione alla madre didesametasone. È raccomandato che i feti affetti da CCHB siano seguiti in un centro di medi-cina fetale e il timing del parto dipenderà dal grado di compromissione cardiaca fetale.

Management intrapartumNei casi di LES non complicati, non è necessario indurre il travaglio. Nei casi con coinvol-

gimento renale la donna va trattata in base alla presenza di pre-eclampsia, prendendo in con-

342 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

siderazione tutti i parametri materni e fetali per decidere il timing e il tipo di parto. Le don-ne con coesistente sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono trattate in relazione all’anamne-si ostetrica (vedere il paragrafo sulla sindrome da anticorpi antifosfolipidi). Le donne che so-no state trattate con prednisolone ≥10 mg/die per tre settimane prima del parto o più a lun-go, devono ricevere idrocortisone endovena in travaglio in “dosi da stress”, ad esempio idro-cortisone 100 mg ogni 8 ore per 3 volte durante il travaglio o un bolo di cortisone al mo-mento del parto cesareo.

Figura 1. Algoritmo per il management del lupus eritematoso sistemico in gravidanza

Una donna con diagnosi di lupus eritematoso sistemico desidera una gravidanza

Counselling preconcezionale con un ostetrico e un reumatologo: valutazionedell’attività del LES (funzionalità renale e parametri ematologici) ricerca degli

anticorpi antifosfolipidi sospensione dei farmaci teratogeni

Ritardare la gravidanza finché il LES non è in remissione da almeno 6 mesi

GRAVIDANZA

Monitoraggio clinico Test diagnostici

Visite prenatali ogni 2 settimane nel primo e nel secondo trimestre, poi ogni settimana.

Controllo della pressione arteriosa e dell’attività della malattia

Esame urine, emocromo e prove di funzionalità renale ogni 2 settimane.Screening degli Ab anti Ro e anti La.

Ecografia ostetrica ogni 4-6 settimane dalla 18a-20a settimana

Visita reumatologica ogni 2-4 settimane.Trattamento delle esacerbazioni del LES

Valutazione del benessere fetale settimanalmente dalla 30a-32a settimana

o prima se indicato

343GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Management postnatale: malattia maternaLe riattivazioni post-partum sono comuni e dovrebbero essere trattate prontamente e in

modo aggressivo. Non è consigliabile l’impiego di steroidi nel puerperio a scopo profilattico,poiché non prevengono le riattivazioni; invece le riattivazioni postnatali dovrebbero esseretrattate come nel periodo prenatale, con alcune cautele se la madre allatta.

Il prednisolone in dosi >30 mg/die è associato con soppressione della ghiandola surrena-le neonatale, ed in questi casi può essere necessario sospendere l’allattamento al seno.Sebbene precedentemente esistessero preoccupazioni riguardo alla soppressione immuneneonatale con l’azatioprina, evidenze crescenti sostengono che questo farmaco è sicuro du-rante l’allattamento.

Management postnatale: sorveglianza neonataleSe il feto presenta un CCHB, il parto dovrebbe avvenire in un’unità con il servizio di car-

diologia pediatrica. Sebbene non esistano controindicazioni al parto vaginale, la cardiotoco-grafia intrapartum non è interpretabile ed in pratica la maggior parte dei bambini nasconocon taglio cesareo.Alcuni studi riportano un tasso di mortalità neonatale del 20-30% con que-sta condizione, ma per quei neonati che sopravvivono l’outcome a lungo termine è general-mente buono26,29.

Sindrome da anticorpi antifosfolipidiLa sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una condizione autoimmune caratterizza-

ta dalla produzione di anticorpi antifosfolipidi e da una combinazione di caratteristiche clini-che che includono fenomeni trombotici arteriosi o venosi, trombocitopenia autoimmune eaborti spontanei ricorrenti del primo trimestre (tre o più) o outcome gravidico avverso30,31.

La APS si distingue in primaria, se non si riconoscono altri disordini autoimmuni, o secon-daria, se diagnosticata in soggetti con una malattia autoimmune nota.

DiagnosiI criteri preliminari per la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono stati stabi-

liti nell’International Consensus Statement on Preliminaty Criteria for the Classification of theAntiphospholipid Syndrome nel 199930.Tali criteri sono stati rivisti nel 10° International Congresson Antiphospholipid Antibodies tenutosi a Taormina nel 2002.

Criteri per la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidiCriteri clinici Criteri laboratoristiciTrombosi arteriosa o venosa Lupus anticoagulant risultato positivo in due rilevazioni

a 6 o più settimane di intervallo

344 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Morbilità gravidica: Anticorpi anticardiolipina (IgG o IgM) a titolo medio-alto,- 3 o più aborti consecutivi <10 settimane misurati con metodiche ELISA standardizzata in due o più- una o più morti fetali oltre la 10a settimana occasioni ad almeno 6 settimane di intervallo.- uno o più parti prima della 34a settimana,accompagnati da pre-eclampsia o severa insufficienza placentare

Anticorpi anti beta2-glicoproteina I (IgG o IgM)Per la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono richiesti 1 o più criteri clinici ed 1 o più criteri laboratoristici nellostesso paziente.

I criteri laboratoristici per la diagnosi della sindrome consistono nella individuazione di spe-cifici anticorpi antifosfolipidi. Gli anticorpi antifosfolipidi (aPL) sono anticorpi diretti contro fo-sfolipidi carichi negativamente. Possono essere presenti a basso titolo nel 2% della popolazio-ne, particolarmente negli anziani, e possono essere indotti da infezione, neoplasia, stress e far-maci. Per la diagnosi di APS è raccomandato ripetere i test a intervalli di 8 settimane e sologli individui con titoli persistentemente alti di autoanticorpi possono essere considerati affet-ti dalla malattia.

Gli anticorpi aPL di significato clinico sono gli anticorpi anticardiolipina (aCLs), l’anticoagu-lante lupus (LA) e gli anticorpi anti beta2-glicoproteina I. Gli anticorpi anticardiolipina sonoindividuati con un saggio ELISA, e sieri di riferimento isotipo-specifici hanno permesso la quan-tificazione delle concentrazioni di IgG ed IgM che sono espresse come unità di GPL e MPL.Il LA è un anticorpo associato a trombosi in vivo e a prolungamento dei test di coagulazio-ne in vitro; il dosaggio richiede un saggio relativamente complesso in tre stadi. Gli anticorpianti beta2-glicoproteina I sono diretti contro una proteina legante i fosfolipidi, la beta2-glico-proteina I, una proteina che inibisce in modo competitivo il legame dei fattori della coagula-zione (specialmente il fattore XII e il complesso protrombinasi) alle superfici con fosfolipidicarichi negativamente e previene in tal modo l’attivazione della cascata della coagulazione. Labeta2-glicoproteina I si trova ad alta concentrazione sulla superficie del sinciziotrofoblasto,un’area critica in cui la perdita di beta2-glicoproteina I può prevenire l’impianto o risultare intrombosi dello spazio intervilloso. Anticorpi antifosfolipidi “non classici” includono gli anticor-pi anti-fosfatidilserina, anti-fosfatidilcolina, anti-piastrine, anti-protrombina e anti-annessina V. Gliultimi due sono associati a complicanze ostetriche.

Complicazioni della APS in gravidanzaComplicazioni materne

La APS è una trombofilia autoimmune acquisita. Poiché la gravidanza è uno stato ipercoa-gulativo, le donne con APS sono a rischio aumentato di trombosi a meno che non sia instau-rata una adeguata tromboprofilassi o terapia anticoagulante32. La maggior parte degli eventitrombotici (70%) sono venosi, ma non sono infrequenti trombosi arteriose e stroke. La trom-bosi venosa si verifica a carico degli arti inferiori e in un terzo delle pazienti si può verificareembolia polmonare. Le trombosi arteriose si possono verificare in sedi atipiche come l’arte-

345GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ria retinica, la succlavia, le arterie digitali, e possono causare amaurosi fugace, infarto del mio-cardio, TIA o stroke. Complessivamente la gravidanza ed il puerperio si associano ad un ri-schio di trombosi del 5-12%33,34. Altre complicazioni della sindrome includono anemia emoli-tica autoimmune, livedo reticularis, chorea gravidarum, mielite traversa, endocardite e valvu-lopatie, ulcere cutanee, danno renale, ipertensione polmonare. In donne con APS secondariasi può osservare una esacerbazione della malattia autoimmune concomitante durante la gra-vidanza. Occasionalmente la APS ha un decorso fulminante con trombosi progressive e insuf-ficienza multi-organo (“catastrophic” antiphospholipid syndrome), scatenata da infezioni, proce-dure chirurgiche, complicanze ostetriche o sospensione della terapia anticoagulante35. Questacondizione è gravata da un tasso di mortalità di circa il 50% nonostante il trattamento.

Tabella X. Manifestazioni cliniche della APSOrgano/sistema Manifestazioni clinicheArteriose Trombosi dell’aorta o dell’arteria ascellare, carotidea, epatica, ileofemorale, mesenterica,

pancreatica, poplitea, splenicaCardiache Angina, infarto del miocardio, vegetazioni valvolari, anomalie valvolari, trombi intracardiaci,

endocardite trombotica non batterica (Libman-Sacks), embolizzazione periferica o aterosclerosi

Cutanee Tromboflebite superficiale, ischemia cutanea distale, ulcere cutanee, livedo reticularis,anetoderma

Endocrine Infarto o insufficienza surrenalica, necrosi o insufficienza ipofisariaGastrointestinali Sindrome di Budd-Chiari, infarti epatici, intestinali o splenici, perforazione esofagea,

colite ischemica, pancreatiteEmatologiche Trombocitopenia, anemia emolitica autoimmuneNeurologiche TIA, accidenti cerebrovascolari (embolici o trombotici), chorea, epilessia, mielite trasversa,

emicrania, trombosi venosa cerebrale, mononeuriti multipleOssee OsteonecrosiOstetriche Aborto, morte endouterina del feto, IUGR, HELLP syndrome, insufficienza placentare,

pre-eclampsiaOftalmologiche Trombosi dell’arteria o della vena retinica, amaurosi fugacePolmonari Embolia polmonare, ipertensione polmonare, trombosi dell’arteria polmonare,

emorragia alveolareRenali Trombosi della vena o dell’arteria renale, infarto renale, ipertensione, insufficienza renale

acuta o cronica, proteinuria, ematuria o sindrome nefrosicaVenose Trombosi venose profonde degli arti o della vena surrenalica, epatica, mesenterica,

portale, splenica o della cava inferiore

Complicazioni fetaliOltre all’aborto, molti disordini ostetrici sono associati alla APS. Le gravidanze esitate in

nati vivi sono frequentemente complicate da pre-eclampsia-HELLP, IUGR, insufficienza placen-tare e parto pretermine. In assenza di trattamento si stima che la percentuale di gravidanzeportate a termine sia modesto e si attesti intorno al 10%.

L’associazione tra APS ed aborto ricorrente è chiaramente riconosciuta36,37 ed è anche co-mune l’aborto del secondo trimestre. Il tasso di perdita fetale prospettico nella APS primaria

346 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

è del 50-75%. In donne con LES ed APS secondaria alcuni studi suggeriscono una percentua-le del 90%, sebbene questa sia probabilmente una stima eccessiva. È stato osservato che laAPS causa aborti nel periodo fetale, mentre l’associazione con aborti pre-embionali o em-brionali non è significativa. Donne con aborti embrionali possono avere titoli bassi di anticor-pi antifosfolipidi, ma non presentano generalmente le manifestazioni classiche della sindrome.

In gravidanze che non esitano in aborto o morte endouterina del feto, si osserva un’altaincidenza di pre-eclampsia spesso severa e ad insorgenza precoce38.Tale associazione giustifi-ca la ricerca di anticorpi antifosfolipidi in donne con pre-eclampsia grave <34 settimane. Lapercentuale di restrizione della crescita fetale, anche in gravidanze trattate, oscilla tra il 12%e il 30%; lo IUGR, la pre-eclampsia e le complicanze materne sono responsabili dell’aumen-tata incidenza di parto prematuro iatrogeno39. La frequenza di parti pretermine nella APS rag-giunge il 30%.

ManagementManagement prenatale: malattia materna

Le donne con sindrome da anticorpi antifosfolipidi dovrebbero effettuare un counsellingpreconcezionale per confermare la presenza degli anticorpi antifosfolipidi e per discutere deipotenziali rischi per sé e per il feto, inclusi il rischio tromboembolico, il rischio di interruzio-ne della gravidanza o di parto prematuro, di ipertensione gestazionale, pre-eclampsia e diIUGR. Devono anche essere ricercati i segni e i sintomi di una malattia autoimmune misco-nosciuta. È consigliabile che il counselling preconcezionale sia effettuato da un team multidi-sciplinare comprendente ostetrico, reumatologo ed internista.

Il test di routine per gli anticorpi antifosfolipidi in gravidanza non è consigliabile poiché ledonne con test positivo senza le caratteristiche cliniche di APS non traggono profitto dal trat-tamento40. Il test è invece raccomandato in tutte le donne con una storia di precedente trom-bosi, aborto ricorrente o precedente outcome gravidico avverso, perché una adeguata trom-boprofilassi materna, e quando necessario una terapia anticoagulante a dosaggio pieno, pos-sono prevenire una trombosi ricorrente pericolosa per la vita.

La paziente gravida con sindrome da anticorpi antifosfolipidi dovrebbe essere visitata ognidue settimane nella prima metà della gestazione e poi ogni settimana. La pre-eclampsia puòinsorgere già dalla 15a-17a settimana. Nelle pazienti affette dalla sindrome si dovrebbe valuta-re la presenza di anemia, trombocitopenia e la funzionalità renale. Non è utile il dosaggio se-riato degli anticorpi antifosfolipidi. Occorre ricordare che lo sviluppo di trombocitopenia inuna donna con APS può essere dovuto alla pre-eclampsia, alla sindrome stessa o all’utilizzodi eparina. Quando la trombocitopenia è associata a trombosi può essere anche dovuta alla“catastrophic” antiphospholipid syndrome, e va trattata di conseguenza.

Il trattamento ideale della sindrome da anticorpi antifosfolipidi in gravidanza dovrebbe mi-

347GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

gliorare l’outcome materno e fetale riducendo i rischi di perdita della gravidanza, pre-eclam-psia, insufficienza placentare e parto pretermine e dovrebbe ridurre o eliminare il rischio trom-botico materno. Le principali opzioni terapeutiche in gravidanza includono aspirina, eparina,steroidi e warfarin41,42.

L’aspirina andrebbe iniziata in fase preconcezionale in donne con diagnosi di sindrome daanticorpi antifosfolipidi. Si discute se proporre l’aspirina in monoterapia in caso di sola posi-tività degli anticorpi antifosfolipidi a titolo medio-alto, in assenza di precedenti trombotici edostetrici. Non è invece raccomandata alcuna terapia in donne con titolo basso di anticorpiantifosfolipidi. Due studi randomizzati hanno confrontato l’aspirina da sola con aspirina piùeparina per il trattamento dell’aborto ricorrente correlato alla APS, ed entrambi hanno ripor-tato outcome più favorevoli con l’aspirina in combinazione con l’eparina43,44.

L’eparina è attualmente considerata il trattamento di scelta nella APS. Di solito si utilizza-no eparine a basso peso molecolare (LMWH), come la enoxaparina, la dalteparina e la na-droparina calcica, a causa dei minori effetti collaterali e della maggiore emivita. In donne conanticorpi antifosfolipidi ed una storia di aborto ricorrente, l’eparina va utilizzata ad un dosag-gio profilattico. Le donne con una storia di trombosi devono effettuare terapia eparinica adosaggio terapeutico per tutta la gravidanza ed il puerperio. Con eparina non frazionata sideve ottenere un aumento del PTT di 1.5-2.5 volte la norma, mentre con le LMWH vannomonitorati ogni trimestre i livelli di anti-fattore Xa. Il dosaggio ottimale di eparina in donnecon pregressa morte endouterina o neonatale a causa di una pre-eclampsia severa o di in-sufficienza placentare, ma senza precedenti tromboembolici, è controverso. Queste donne so-no a rischio di malattia tromboembolica e dovrebbero ricevere una tromboprofilassi a do-saggio intermedio, solitamente una LMWH in monosomministrazione fino alla 16a settimanae due somministrazioni successivamente.

L’eparina va iniziata dopo la conferma di un embrione vitale (tra la 5a e la 7a settimana) eva continuata per 6 settimane dopo il parto. I possibili effetti collaterali dell’eparina includo-no sanguinamento, trombocitopenia e osteoporosi, che aumentano con l’aumentare del do-saggio. In donne che hanno episodi trombotici nonostante la tromboprofilassi eparinica, oc-corre anticoagulare con dosi terapeutiche di eparina o di warfarin. Il warfarin è potenzialmen-te teratogeno, producendo un’embriopatia caratteristica nel 2-4% dei feti, ma in casi partico-lari viene utilizzato dalla 14a alla 34a settimana di gestazione.

Un altro rischio è il sanguinamento intravascolare fetale che si può verificare in qualsiasimomento della gestazione durante il periodo di somministrazione del warfarin alla madre.Sembra esistere un’incidenza di complicazioni più elevata in donne gravide che assumono >5mg/die.

Nel passato sono stati utilizzati anche i corticosteroidi a dosaggi medio-alti. Donne trat-tate con prednisone hanno un aumentato tasso di complicanze ostetriche come rottura pre-matura delle membrane, parto pretermine e pre-eclampsia, ed anche di diabete gestaziona-

348 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

le ed ipertensione. Attualmente la terapia cortisonica viene prescritta solo in caso di APS as-sociata a LES o nei casi poco frequenti di trombocitopenia autoimmune. Poiché eparina e aspi-rina a basse dosi hanno meno effetti collaterali, sono raccomandate come terapia di prima li-nea in donne con APS. I trattamenti con immunoglobuline i.v. sono riservati ai casi di fallimen-to della terapia eparinica o all’insorgenza di complicanze come una severa trombocitopenia.

Management prenatale: sorveglianza fetaleA causa dell’alta incidenza di aborto in questa popolazione, è raccomandata un’ecografia

precoce in gravidanza. Dopo la 17a-20a settimana l’esame ecografico del feto ogni 3-4 setti-mane consente di individuare i primi segni di ritardo di crescita e oligoamnios. La flussimetriaDoppler delle arterie uterine nel secondo trimestre può essere utile nell’identificazione del-le donne con APS che possono sviluppare complicazioni in gravidanza. Il monitoraggio del be-nessere fetale (conteggio quotidiano dei MAF, cardiotocografia e controllo del liquido amnio-tico settimanale) andrebbe iniziato dalla 30a-32a settimana o anche prima (26a-28a settimana)se si sospetta una condizione di insufficienza placentare. La cardiotocografia può mostrare de-celerazioni spontanee già nel secondo trimestre in gravidanze complicate dalla APS. Uno stret-to monitoraggio ostetrico è fondamentale per evitare complicanze e determinare il timing delparto.

Management intrapartumLe donne con una sfavorevole anamnesi ostetrica di solito sono indotte a 37-38 settima-

ne di gestazione, ma molto spesso si deve ricorrere ad un parto pretermine iatrogeno. Ledonne che assumono dosi profilattiche di eparina dovrebbero interrompere il trattamento ilgiorno dell’induzione o all’inizio del travaglio spontaneo. Nei casi in cui la donna riceva unaterapia anticoagulante a dosaggio pieno con warfarin, questo va sospeso circa 10 giorni pri-ma del parto elettivo e va iniziata un’infusione endovenosa di eparina non frazionata o LMWHin dosi terapeutiche sottocute. Questo consente un tempo sufficiente per la clearance delwarfarin sia dalla madre che dal feto. Dovrebbe essere fatto ogni tentativo per evitare una ra-pida reversione della terapia anticoagulante con warfarin con vitamina K al momento del par-to, poiché questo rende difficile una successiva terapia anticoagulante nel periodo postnata-le, ma ciò può essere necessario in casi imprevedibili come il distacco di placenta.

Management postnatale: malattia maternaIn donne con anamnesi di aborti ricorrenti la profilassi eparinica va proseguita per 3-5 gior-

ni post-partum. In donne con pregressa morte endouterina del feto o pre-eclampsia severae/o con un pregresso episodio trombotico, la terapia anticoagulante va proseguita per 6 set-timane dopo il parto. La terapia anticoagulante postnatale può essere effettuata anche con ilwarfarin, cominciando 2-3 giorni dopo il parto per minimizzare il rischio di emorragia secon-

349GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

daria del post-partum. Nel frattempo, dovrebbero essere usate dosi profilattiche di LMWHo eparina non frazionata. Dopo il parto le donne con APS dovrebbero effettuare una consu-lenza reumatologica per valutare il rischio di complicanze non ostetriche, come la trombosie l’insorgenza di una malattia autoimmune. In donne con sindrome da anticorpi antifosfolipi-di e un pregresso episodio trombotico che ha messo a rischio la vita, la terapia anticoagulan-te orale andrebbe proseguita per tutta la vita, ad un dosaggio terapeutico (INR ≥ 3).

Figura 2. Algoritmo per il management della sindrome da anticorpi antifosfolipidi in gravidanza (da Branch, 2003)

Una donna con diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi desidera una gravidanza

Counselling preconcezionale con un ostetrico e un reumatologo:iniziare aspirina a basse dosi

Ecografia transvaginale per confermare la presenza di un embrione vitale a 5.5-6.5 settimane gestazionali

Iniziare il trattamento eparinico

Monitoraggio clinico Test diagnostici

Visite prenatali ogni 2-4 settimane fino a 20-24settimane gestazionali poi ogni 1-2 settimane.Monitoraggio per diagnosi precoce di morte

fetale, pre eclampsia e IUGR

Ecografia ostetrica ogni 3-4 settimane dalla17a-20a settimana.

Valutare crescita fetale e volume del liquidoamniotico. Flussimetria delle arterie uterine a

20-24 settimane

Visita reumatologica ogni 2-4 settimaneValutazione del benessere fetale

settimanalmente dalla 30a-32a settimana o prima se si sospetta insufficienza placentare

350 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Management postnatale: complicazioni neonataliTra le complicazioni neonatali della APS, le più frequenti sono l’alta incidenza di prematu-

rità e restrizione della crescita fetale, che richiedono un’adeguata assistenza neonatale. Sonostati descritti rari casi di insorgenza di trombosi in neonati di madri affette da APS, special-mente trombosi arteriose nel distretto cerebrale, pertanto la ricerca di anticorpi antifosfoli-pidi andrebbe sempre eseguita in neonati di madri affette. È possibile un passaggio transpla-centare di anticorpi dalla madre al feto, ma non è escludibile una sintesi de novo di alcuni au-toanticorpi, anche perché spesso si riscontra una discrepanza tra madre e feto nei livelli e ne-gli idiotipi degli autoanticorpi. Sono stati anche ipotizzati disordini dello sviluppo neurologiconei neonati di madri con APS, come difficoltà dell’apprendimento, ma non è ancora chiaro setali disturbi siano semplicemente attribuibili alla prematurità o siano correlati alla sindrome45.

Artrite reumatoideL’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente

le articolazioni e si manifesta soprattutto tra i 35 e i 50 anni. L’aspetto caratteristico è la si-novite che coinvolge le articolazioni periferiche e può determinare distruzione della cartila-gine, erosioni ossee e deformità articolari. Altre manifestazioni extraarticolari sono l’astenia,la malattia pleurica, la pericardite, i noduli sottocutanei e la fibrosi polmonare46.È stato osservato un effetto protettivo della gravidanza sullo sviluppo dell’artrite reumatoide.

DiagnosiIn accordo con la classificazione della American Rheumatism Association del 198747, per la

diagnosi di AR devono essere presenti almeno 4 dei 7 criteri elencati in Tabella. L’artrite de-ve essere presente per almeno 6 settimane.

Criteri della American Rheumatism Association (1987) per la diagnosi di AR

- Rigidità mattutina prolungata (oltre 1 ora)

- Artrite di >3 sedi articolari

- Artrite delle articolazioni tipiche delle mani

- Tumefazione simmetrica delle medesime sedi (destra e sinistra)

- Noduli reumatoidi

- Fattore Reumatoide (FR) serico

- Alterazioni radiologiche (erosioni o decalcificazione ossea iuxta-articolare)

Gli esami del sangue dimostrano spesso la positività del Fattore reumatoide (FR), anticor-pi generalmente del tipo IgM diretti contro la porzione Fc delle immunoglobuline. La forma

351GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

IgM è presente nel 90% dei pazienti con artrite reumatoide. IgG, IgA e IgE sono presenti nel65% dei casi.All’esordio dell’artrite reumatoide solo la metà dei pazienti, presenta il FR, e puòessere osservata positivizzazione in un ulteriore 20% nel corso del primo anno di malattia. IlFR presenta elevata sensibilità, ma scarsa specificità per la diagnosi di artrite reumatoide. Esistecorrelazione tra una elevata concentrazione sierica del FR e sintomi sistemici, vasculite e de-corso più severo della malattia, ma l’impiego del FR nel monitoraggio dell’attività della malat-tia e della risposta al trattamento resta controverso.

Recentemente sono stati studiati anche gli anticorpi anti-CCP (cyclic citrullinated peptide),diretti contro residui di citrullina. Questi anticorpi presentano una elevata specificità (98%) euna moderata sensibilità (68%) per l’artrite reumatoide. La concentrazione di questi anticor-pi potrebbe essere utile insieme al fattore reumatoide come marker di prognosi o severitàdella malattia48.

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

L’artrite reumatoide non influenza la fertilità. Durante la gravidanza il 70% delle pazientiriferisce un miglioramento dei sintomi che inizia già nel primo trimestre e si protrae fino alparto. Questo miglioramento consiste principalmente in una riduzione del dolore e della ri-gidità articolare, ed anche i noduli reumatoidi sottocutanei possono scomparire. In alcuni ca-si però l’artrite reumatoide si riacutizza nel post-partum49.

Alcuni Autori osservano solo una modesta riduzione obiettiva dell’attività dell’artrite reu-matoide in gravidanza; solo il 16% delle pazienti ha una remissione completa, mentre almenoil 25% non mostra miglioramento o presenta addirittura un peggioramento; nel post-partumaumenta significativamente il numero delle articolazioni colpite50,51.

Sembra che la gravidanza influenzi poco la prognosi della malattia. Analogamente l’artritereumatoide non ha effetti negativi sul decorso della gravidanza.

La possibilità che l’artrite reumatoide esordisca in gravidanza è bassa, mentre è più fre-quente che compaia poco dopo il parto: la gravidanza ha un “effetto protettivo” sull’insorgen-za della malattia, mentre la probabilità di insorgenza della malattia è 6 volte più elevata neiprimi tre mesi post-partum49.

Complicazioni fetali e neonataliLa percentuale di perdita della gravidanza sembra lievemente aumentata in donne affette

da artrite reumatoide o che svilupperanno la malattia in futuro, ma questo non preclude l’esi-to favorevole della gravidanza nella grande maggioranza di donne con artrite reumatoide.

Il rischio di pre-eclampsia, prematurità e ritardo di crescita fetale non sembra aumentarenell’artrite reumatoide.

352 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ManagementLa gravidanza non comporta rischi particolari per le donne affette da artrite reumatoide,

ma la questione fondamentale in gravidanza è ottenere un buon controllo della malattia conuna terapia farmacologica che riduca al minimo i rischi fetali con il più basso dosaggio tera-peutico.

La gravidanza andrebbe programmata nel periodo di quiescenza della malattia. Il metotre-xate va sospeso almeno 6 mesi prima del concepimento.

I FANS sono controindicati nel primo trimestre a causa del rischio di aborto e sono con-troindicati nelle ultime settimane di gravidanza per il rischio di chiusura precoce del dotto ar-terioso fetale.

Altri farmaci possono invece essere assunti in gravidanza con una ragionevole tranquillità(cortisone, idrossiclorochina, ciclosporina). I sali d’oro sono stati impiegati in gravidanza, ma iloro effetti sul feto sono in gran parte sconosciuti. Azatioprina e ciclofosfamide non sono co-munemente impiegati in gravidanza.

Nel complesso le donne gravide con artrite reumatoide possono essere tranquillizzatesull’outcome gravidico. Ogni paziente dovrebbe sottoporsi a visita medica ogni 2-4 settima-ne per tutto il tempo della gravidanza, soprattutto se la malattia non è in remissione. Il ripo-so è un aspetto importante del trattamento dell’artrite reumatoide ed anche la fisioterapiapuò essere utile allo scopo di mantenere una buona mobilità articolare. Se necessario, duran-te la gravidanza si può ricorrere a infiltrazioni locali di steroidi. Il parto non richiede precau-zioni particolari, a meno che una grave artrite deformante non costituisca un impedimentomeccanico al parto vaginale.

Se esiste un coinvolgimento del tratto cervicale del rachide si deve porre particolare at-tenzione perché la gravidanza predispone al rischio di sublussazione a causa della lassità arti-colare.

Nelle donne con malattia di lunga data o sintomi cervicali può essere utile una radiogra-fia della colonna cervicale a collo flesso per escludere una sublussazione, e vanno evitate ec-cessive manipolazioni del collo durante l’anestesia generale.

L’interessamento dell’articolazione temporo-mandibolare e della laringe, comune anchenelle pazienti giovani, può causare difficoltà all’intubazione se si deve ricorrere all’anestesia ge-nerale.

Sindrome di SjögrenLa Sindrome di Sjögren è una malattia autoimmune sistemica coinvolgente le ghiandole

esocrine, caratterizzata da un infiltrato linfoplasmacellulare che conduce alla perdita progres-siva della funzionalità ghiandolare52. Si classifica in:primaria: coinvolgimento delle ghiandole esocrine con o senza interessamento sistemico;

353GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

secondaria: in associazione con altre malattie autoimmuni (es. artrite reumatoide, LES, scle-rodermia, vasculiti).

La prevalenza della Sindrome di Sjögren nella popolazione generale è di circa 0.3-1.5%.La malattia si manifesta più frequentemente in donne di età compresa tra i 40 e 50 anni(rapporto femmine: maschi di 9:1).

Le manifestazioni cliniche all’esordio possono essere aspecifiche e comparire molti anniprima della diagnosi definitiva. Esse consistono in: secchezza oculare, secchezza delle fauci,artralgie/artriti, fenomeno di Raynaud (35% dei pazienti), febbre, astenia, dispareunia, inte-ressamento polmonare e renale.

DiagnosiLa diagnosi di sindrome di Sjögren richiede la presenza di 4 o più criteri dell’American-

European Consensus Group53.

Criteri della American-European Consensus Group Classification per la Sindrome di SjögrenI Sintomi oculari: una risposta positiva ad almeno una delle seguenti domandeHa una sensazione giornaliera e fastidiosa di secchezza oculare da almeno 3 mesi? Ha una sensazione ricorrente di sabbia negli occhi? Fa uso di lacrime artificiali più di tre volte al giorno? II. Sintomi orali: una risposta positiva ad almeno una delle seguenti domandeHa una sensazione giornaliera di secchezza orale da almeno 3 mesi? Ha avuto in età adulta episodi ricorrenti e persistenti di tumefazione delle ghiandole salivari?È costretto a bere frequentemente quando mangia cibi secchi?III. Segni oculari: evidenza di impegno oculare documentato dalla positività di almeno uno dei seguenti test:Test di Schirmer I (<5 mm in 5 min)Test al Rosa Bengala (score >4 secondo van Bijsterveld)IV. Istopatologia: un focus score >1 nelle ghiandole salivari minori:V. Impegno delle ghiandole salivari: positività del flusso salivare non stimolato (<1.5 ml in 15 min)

VI. Presenza nel siero dei seguenti autoanticorpi: anti-Ro (SSA) o La (SSB), o entrambiCriteri di esclusione: pazienti con pregressa radioterapia di capo e collo, epatite C, AIDS, linfoma preesistente, sarcoidosi, graftversus host disease, uso di farmaci anticolinergici.

La sindrome di Sjögren è associata ad un ampio pattern di autoanticorpi, come anticor-pi antitessutali, fattore reumatoide (20-30% dei pazienti) ed ANA, tra cui gli anticorpi anti-Ro (SSA) positivi nel 60-75% dei pazienti e gli anticorpi anti-La (SSB) positivi nel 40%.Complicazioni in gravidanza

Mancano dati sugli effetti della gravidanza sulla sindrome di Sjögren, ma l’esperienza sug-gerisce che la prognosi è buona purché la malattia sia stabile al momento del concepimento.Non si osserva un aumento di aborti spontanei o di complicanze materne. Può invece veri-ficarsi un lupus neonatale con blocco cardiaco congenito.

354 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ManagementManagement prenatale: monitoraggio della malattia materna

La malattia di Sjögren non controindica la gravidanza. Come con il lupus e le vasculiti, èimportante che la paziente continui la terapia con i farmaci appropriati come basse dosi disteroidi, idrossiclorochina e/o azatioprina, ed eviti la gravidanza quando la malattia è attiva.Sono utili il trattamento sintomatico della secchezza oculare e orale, e la prevenzione dellecomplicanze attraverso una accurata igiene orale, visite oculistiche periodiche e l’umidificazio-ne degli ambienti.

Management prenatale: sorveglianza fetaleNella sindrome di Sjögren è raccomandano lo screening degli anticorpi anti Ro/SS-A e an-

ti La/SS-B. Questi anticorpi possono attraversare la placenta e causare lesioni infiammatoriedel cuore, della cute e di altri organi fetali. Sono associati a blocco cardiaco congenito. Questacomplicanza è particolarmente frequente in pazienti con sindrome di Sjögren (1:20) per laforte associazione con antigeni HLA-DR3 e anticorpi anti-Ro54.

È opportuno che le donne con sindrome di Sjögren eseguano controlli ecografici ostetri-ci ogni 2 settimane, a partire dalla 18a settimana e che la frequenza cardiaca fetale sia moni-torata attentamente nella fase tardiva della gestazione.

Il trattamento del feto con desametasone somministrato alla madre può revertire il bloc-co congenito se iniziato in una fase precoce. Se il feto presenta un blocco cardiaco congeni-to, il parto dovrebbe avvenire in un’unità con il servizio di cardiologia pediatrica.

Sclerosi sistemicaÈ un disordine multisistemico ad etiologia sconosciuta, caratterizzato da fibrosi della pel-

le, dei vasi sanguigni e degli organi interni. Si distinguono due forme55:- sclerosi sistemica limitata o sindrome CREST (calcificazioni della cute coinvolta, fenome-

no di Raynaud, ipomotilità esofagea, sclerodattilia e teleangectasia);- sclerosi sistemica diffusa (rapido sviluppo di ispessimento cutaneo simmetrico di estremi-

tà prossimali e distali, faccia e tronco, ad alto rischio di coinvolgimento viscerale precoce).Alcuni studi hanno dimostrato che la presenza di cellule fetali chimeriche nei tessuti ma-

terni potrebbe in seguito predisporre alla sclerosi sistemica56. Comunque la persistenza di cel-lule fetali nella madre dopo la gravidanza (microchimerismo) non è ristretta a pazienti con lasclerosi sistemica e può essere riscontrata in individui sani.Diagnosi

La diagnosi di sclerodermia non presenta particolari difficoltà in presenza di un fenome-no di Raynaud associato a lesioni cutanee tipiche e ad interessamento viscerale.

La manifestazioni cliniche della sclerosi sistemica sono molteplici:

355GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

- cutanee: edema seguito da fibrosi cutanea, teleangectasie, calcinosi, fenomeno di Raynaud- articolari: artralgie/artrite- gastroenteriche: ipomotilità esofagea, ipofunzione intestinale- polmonari: fibrosi polmonare interstiziale, ipertensione polmonare, alveolite- cardiache: pericardite, cardiomiopatia, alterazioni della conduzione- renali: ipertensione, crisi renale/insufficienza renale

Gli anticorpi ANA si riscontrano nel 95% dei pazienti, la metà presenta crioglobuline sie-riche.Tra i pazienti con sclerodermia cutanea limitata e variante CREST sono comuni gli an-ticorpi anti-centromero. Il 20-40% dei pazienti possiede anticorpi anti-scl-70, diretti contro laDNA topoisomerasi I. I pazienti con questi anticorpi sono generalmente più giovani dei pa-zienti con anticorpi anti-centromero, e sono spesso affetti da fibrosi polmonare.

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

L’outcome della gravidanza in donne affette da sclerosi sistemica è generalmente favore-vole e la fertilità è sovrapponibile a quella della popolazione generale.

La sclerosi sistemica può comparire per la prima volta in gravidanza o nel post-partum,ma solitamente non peggiora durante la gravidanza se la condizione è stabile al momento delconcepimento57. I sintomi della sclerodermia generalmente restano stabili o migliorano du-rante la gravidanza, ma possono riacutizzarsi nel post-partum.

Il fenomeno di Raynaud tende a migliorare, in particolare con l’aumento della gittata car-diaca nella seconda metà della gravidanza.Tendono invece a peggiorare o a comparire per laprima volta il reflusso gastroesofageo e la disfagia, le aritmie cardiache, l’artrite. Si può osser-vare un deterioramento delle modificazioni sclerodermiche cutanee nella sclerosi sistemicadiffusa, specialmente nel post-partum.

Probabilmente la gravidanza è sicura nelle pazienti senza coinvolgimento renale, cardiacoo polmonare. Le pazienti con coinvolgimento viscerale diffuso devono invece affrontare unaumentato rischio di morbilità e mortalità.

Le principali complicanze della sclerosi sistemica sono le crisi renali, caratterizzate da iper-tensione maligna e insufficienza renale progressiva. Lacerazioni di Mallory-Weiss si possonoverificare in donne con sclerosi sistemica con malattia esofagea e possono causare emorra-gie pericolose.

Le principali cause di morte in gravidanza in donne affette da sclerosi sistemica sono l’iper-tensione, l’insufficienza renale o le complicanze cardio-polmonari.

Complicazioni fetali e neonataliLa sclerosi sistemica è stata storicamente associata con un’aumentata incidenza di aborti

prima e dopo l’insorgenza della malattia, comunque dati più recenti mostrano che solo le don-

356 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ne con sclerodermia diffusa di lunga durata, spesso affette da malassorbimento o insufficien-za renale, hanno un effettivo aumento della percentuale di aborti58. Il parto pretermine è lacomplicanza ostetrica più frequente (circa 30% delle gravidanze), ma fino ad oggi resta inspie-gabile.

Con il management attuale, l’incidenza di IUGR è solo lievemente aumentata, mentre lamortalità perinatale è aumentata solo in pazienti con sclerosi sistemica diffusa tardiva. Comecon il LES, è importante che la malattia materna sia stabilizzata prima della gravidanza al finedi ridurre i rischi di complicanze materne e fetali.

ManagementManagement prenatale: monitoraggio della malattia materna

Nelle donne affette da sclerosi sistemica il counselling preconcezionale è importante perdeterminare la funzionalità renale, polmonare e cardiaca. Le donne vanno invitate ad affron-tare la gravidanza solo quando la malattia è stabile da 3-5 anni. Sfortunatamente non esisteun trattamento efficace per questa patologia. La terapia è sintomatica e diretta al danno deisingoli organi.

Nella valutazione della paziente gravida si dovrebbero includere, oltre agli esami richiestiper la maggioranza delle malattie autoimmuni, anche una consulenza pneumologica e cardio-logica, includendo le prove di funzionalità respiratoria e l’ecocardiografia. Il polmone è un or-gano bersaglio di questa malattia e in alcune pazienti la progressiva fibrosi interstiziale polmo-nare determina fatica respiratoria anche per sforzi modesti e può instaurarsi una cardiopatiasecondaria all’ipertensione polmonare.

Il rischio maggiore in gravidanza per la madre e il feto deriva però dalle crisi renali; esse sipresentano con ipertensione severa ad insorgenza acuta, spesso con trombocitopenia e peg-gioramento quotidiano dei valori della creatinina sierica in donne con sclerodermia diffusa dameno di 5 anni58. Le crisi renali devono essere distinte dalla pre-eclampsia. Un aumento gior-naliero della creatinina sierica e l’assenza di proteinuria negli stadi precoci fanno propendereper la crisi renale della sclerosi sistemica, mentre il peggioramento dei test di funzionalità epa-tica è presente solo nella pre-eclampsia. Gli ACE inibitori che non sono consigliati in gravi-danza diventano essenziali nel controllo dell’ipertensione e delle crisi renali in pazienti gravi-de con sclerosi sistemica59. A differenza della pre-eclampsia, il parto non influenza il decorsodell’ipertensione e della crisi renale.

In pazienti con malattia stabile e storia di una crisi renale prima della gravidanza è possi-bile mantenere il controllo pressorio con nifedipina, ma se la pressione o i valori di creatini-nemia cominciano a peggiorare dovrebbe essere ripreso un ACE inibitore dopo una appro-priata discussione con la paziente. Con un management attento l’anamnesi di una pregressacrisi renale non è una controindicazione per future gravidanze purché la malattia sia stata sta-

357GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

bile per 3-5 anni prima della gravidanza. La nifedipina può essere somministrata per un feno-meno di Raynaud severo in gravidanza, ma i vasodilatatori dovrebbero essere sospesi in as-senza di ipertensione. I corticosteroidi possono essere utili in casi selezionati.

Management prenatale: sorveglianza fetaleIl possibile rischio di ritardo di crescita e di morte fetale richiede controlli ecografici se-

riati. Alla 30a-32a settimana di gravidanza, o anche prima se la situazione lo richiede, si deveiniziare il controllo del benessere fetale.

Management intrapartumLa sclerosi cutanea e dei vasi sanguigni rende difficoltosi i prelievi, gli accessi venosi e le

misurazioni pressorie. Le ferite possono costituire un problema nelle pazienti con malattiaavanzata o trattate con steroidi, perciò gli interventi chirurgici richiedono una scrupolosa at-tenzione.

È consigliabile una consulenza anestesiologica all’inizio della gravidanza a causa dei proble-mi tecnici, in particolare per la difficoltà dell’intubazione endotracheale nell’anestesia genera-le, perché le donne affette da sclerodermia possono avere severe limitazioni all’apertura del-la bocca e si può quindi riscontrare difficoltà alla visualizzazione dell’orofaringe. A causa delladisfunzione esofagea aumenta anche il rischio di reflusso esofageo e sindrome da aspirazio-ne, per cui è sempre preferibile l’anestesia epidurale. Nelle pazienti con significative manife-stazioni polmonari, cardiache o renali può essere necessaria l’ammissione al reparto di tera-pia intensiva nell’immediato post-partum.

Connettivite indifferenziata (UCTD)Le connettiviti indifferenziate sono condizioni paucisintomatiche caratterizzate da manife-

stazioni cliniche suggestive di connettiviti (CTD), ma non sufficienti per la diagnosi di una de-finita CTD (come sindrome di Sjögren, sclerosi sistemica, polimiosite-dermatomiosite). LaUCTD può restare indifferenziata o evolvere in una CTD definita dopo un periodo di tem-po variabile60. L’evoluzione è più comune nei primi 2 o 3 anni dopo l’insorgenza dei sintomi,ed è rara dopo 5 anni. L’insorgenza della UCTD solitamente si verifica prima dei 40 anni edè perciò relativamente comune in gravidanza61.

Diagnosi La diagnosi della malattia è fatta in base ai seguenti criteri: segni e sintomi di una CTD,

senza soddisfare i criteri di classificazione esistenti per una definita CTD, e presenza di ANAdeterminata in almeno 2 occasioni62. La diagnosi di UCTD deve essere riconfermata ad ogniosservazione clinica durante la gravidanza.

358 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

Le pazienti affette da UCTD generalmente hanno un buon outcome gravidico.Nel 24% delle pazienti affette da UCTD si osserva una riattivazione della malattia duran-

te la gravidanza o il post-partum.Le manifestazioni cliniche durante le riattivazioni sono generalmente lievi: artrite, febbre e

rush cutaneo. È anche possibile che la UCTD evolva in una CTD definita durante la gravidan-za, generalmente il LES.

La principale complicanza materna della UCTD è l’ipertensione transitoria; è stato descrit-to un caso di coagulazione intravascolare disseminata nel post-partum.

Complicazioni fetali e neonatali Sono stati segnalati parto pretermine e IUGR in gravidanze complicate da UCTD. In uno

studio61 non sono descritte complicanze neonatali; in particolare non è stato osservato nes-sun caso di lupus neonatale in pazienti positive per anti-Ro/SS-A e anti-La/SS-B. Invece, in unostudio prospettico sul blocco cardiaco congenito completo63 un neonato che ha sviluppatoun blocco cardiaco congenito completo è nato da una madre con UCTD positiva per anti-Ro/SS-A.

ManagementLe pazienti affette da UCTD devono essere seguite in gravidanza da un team multidisci-

plinare, consistente in un reumatologo e un ostetrico esperto, a causa della possibile riattiva-zione della malattia e/o evoluzione in una CTD definita, e delle possibili complicanze ostetri-che e neonatali.

Nel counselling preconcezionale di queste pazienti deve essere discussa la possibilità chela gravidanza possa favorire l’evoluzione di una UCTD in una CTD definita.

Dal momento che l’evoluzione della UCTD si verifica prevalentemente nei primi 3-5 an-ni dall’insorgenza della malattia, le pazienti con una durata della malattia inferiore a 5 anni de-vono essere avvertite del maggior rischio di sviluppare una CTD definita durante o subitodopo la gravidanza. Le pazienti con malattia di durata superiore ai 3 anni restano generalmen-te stabili durante la gravidanza.

Per il trattamento delle pazienti con UCTD durante la gravidanza dovrebbe essere con-siderato un approccio simile a quello adottato per le pazienti con LES lieve, cioè basse dosidi prednisone e/o idrossiclorochina.

Le pazienti con UCTD positive per Ab anti-Ro/SS-A possono avere una frequenza lieve-mente superiore di perdita di gravidanza di quelle anti-Ro/SS-A negative e vanno monitora-te più attentamente.

359GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Connettivite mista (MCTD)La connettivite mista è una malattia reumatica autoimmune caratterizzata dalla coesisten-

za di aspetti clinici di diverse connettivopatie come LES, sclerosi sistemica, polimiosite e artri-te reumatoide, associate con positività agli anticorpi anti U1-RNP, solitamente a titolo eleva-to64. Manifestazioni cliniche caratteristiche di questa malattia sono fenomeno di Raynaud, po-liartrite, tumefazione delle mani o sclerodattilia, alterazioni della funzionalità esofagea, fibrosi pol-monare, miopatia infiammatoria. L’interessamento renale è presente in circa il 25% dei casi.

Complicazioni in gravidanzaSono disponibili solo pochi studi sull’outcome di gravidanze in pazienti affette dalla MCTD

e i risultati sono contraddittori.Gli studi più vecchi mostravano un alto tasso di complicanze materne e fetali. In uno stu-

dio più recente65 non è stato osservato nessun caso di riesacerbazione durante la gravidan-za o nel post-partum e la conclusione è che i rischi di complicanze fetali e di peggioramen-to della malattia materna sono bassi nelle pazienti con MCTD, anche se con alto titolo di an-ticorpi anti-U1-RNP.

ManagementPoiché la MCTD ha una prognosi relativamente buona, non sono necessarie variazioni del-

la terapia durante la gravidanza a meno che la paziente non stia assumendo un farmaco te-ratogeno. Le riesacerbazioni della malattia, particolarmente se con coinvolgimento renale, do-vrebbero invece essere trattate aggressivamente con gli stessi farmaci e schemi posologici uti-lizzati nelle pazienti con LES severo.

Polimiosite/dermatomiositeLa polimiosite è un malattia reumatica autoimmune caratterizzata da infiammazione dei

muscoli striati.Nella dermatomiosite l’infiammazione muscolare è associata a caratteristiche manifesta-

zioni cutanee (macchie eliotrope e papule di Gottron). La malattia si manifesta con debolez-za della muscolatura prossimale e dei muscoli flessori del collo, disfagia, dispnea, disturbi car-diaci (difetti di conduzione, tachiaritmie, cardiomiopatia) e sintomi sistemici come febbre, ma-lessere, calo ponderale, artralgie e fenomeno di Raynaud. In un terzo dei casi lapolimiosite/dermatomiosite (PM-DM) è associata ad un’altra malattia del tessuto connettivo,come artrite reumatoide, LES, MCTD o sclerodermia. Circa il 15% degli adulti che sviluppa-no dermatomiosite ha una neoplasia maligna. La PM-DM ha due picchi di incidenza in età in-fantile e oltre i 45 anni, quindi le donne in età fertile sono raramente affette. Questo spiegala rarità delle gravidanze in pazienti affette da polimiosite/dermatomiosite PM-DM.

360 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

DiagnosiLa diagnosi di polimiosite/dermatomiosite è suggerita dalla presenza di astenia muscola-

re, aumento di CK ed anomalie dell’EMG. I criteri diagnostici secondo Bohan e Peter consi-stono in66:- aumento degli enzimi muscolari (CK, aldolasi, transaminasi, LDH) - debolezza dei muscoli prossimali- alterazioni elettromiografiche- istologia muscolare alterata - rush cutaneo caratteristico

La biopsia è di solito necessaria per porre la diagnosi ed escludere altre miopatie. Nel 50%dei pazienti affetti da polimiosite e nel 15% di quelli con dermatomiosite sono presenti au-toanticorpi anti-Jo-1. Questi anticorpi sono diretti contro una famiglia di aminoacil-tRNA sin-tetasi e correlano con l’attività della malattia.

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

I dati disponibili su gravidanze in donne con PM-DM sono scarsi67. La frequenza di riatti-vazioni della malattia è piuttosto alta (40%) in donne gravide con insorgenza di PM-DM inetà infantile, anche se in remissione da lungo tempo, invece la frequenza di riattivazioni è bas-sa in donne gravide con PM-DM ad insorgenza in età adulta. Sono stati segnalati fino ad og-gi due casi morte materna in donne affette da PM-DM in gravidanza.

Complicazioni fetali e neonatali Le principali complicanze della PM-DM sono parto pretermine e nati-mortalità68. La pro-

gnosi fetale dipende dall’età di insorgenza della PM-DM e dall’attività della malattia. In donnecon insorgenza della malattia in età infantile la percentuale di nascite a termine è di circa il70%, mentre diminuisce a circa il 50% in donne con insorgenza in età adulta prima della gra-vidanza.

Quando la malattia è inattiva durante la gravidanza la percentuale di nati a termine è ele-vata e non si riscontra un aumento delle morti endouterine, mentre in pazienti con malattiaattiva la probabilità di un parto pretermine è del 50% e la probabilità di morte endouterinadel feto e IUGR è elevata.

Sono stati segnalati pochi casi di insorgenza di PM-DM durante la gravidanza. La maggio-ranza dei casi diagnosticati nel primo trimestre sono risultati in morte endouterina del fetoo mortalità neonatale, mentre la maggioranza di quelli diagnosticati nel secondo e terzo tri-mestre sono risultati in nati vivi a dispetto dell’alta frequenza di parti pretermine.

361GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ManagementManagement prenatale: monitoraggio della malattia materna

Nelle donne affette da PM-DM si deve valutare accuratamente l’attività della malattia eil coinvolgimento cardiopolmonare.

In presenza di debolezza muscolare, la spirometria consente di valutare il coinvolgimen-to dei muscoli respiratori. L’aspirazione cronica dovuta a debolezza della muscolatura farin-gea può portare a deficit di diffusione polmonare, così in fase prenatale possono risultareutili l’emogasanalisi e una radiografia del torace. Un ECG è necessario per escludere ano-malie della conduzione e aritmie.

Nel caso di riattivazione della PM-DM durante la gravidanza, il trattamento deve essereiniziato il prima possibile. Come in donne non gravide, il prednisone andrebbe iniziato alladose di 1 mg/kg/die e mantenuto a questo dosaggio fino alla normalizzazione dei livelli diCK sierici. Se la risposta al prednisone è insufficiente dovrebbe essere associata ciclosporinaA o azatioprina.

Plasmaferesi e immunoglobuline ev. sono altre opzioni terapeutiche non controindicatein gravidanza, comunque non è stata dimostrata l’efficacia di questi due trattamenti in pa-zienti con PM-DM durante la gravidanza. Quando la PM-DM insorge in gravidanza, il corsodella malattia è più severo e si richiede un trattamento più aggressivo, con azatioprina o ci-clofosfamide. Se la miosite è attiva al momento del parto è necessario ricorrere ad un par-to assistito.

Management prenatale: sorveglianza fetaleIn considerazione dell’alta percentuale di ritardo di crescita intrauterino e di parto pre-

termine è necessario un monitoraggio prenatale intensivo.

Management intrapartumLa PM-DM può comportare alcune problematiche anestesiologiche se non vengono con-

siderate alcune caratteristiche della malattia. In caso di ricorso all’anestesia generale esisteun rischio significativo di reflusso esofageo e di aspirazione polmonare del contenuto gastri-co a causa della debolezza della muscolatura faringea. In caso di anestesia spinale si deveprevenire una eccessiva diffusione cefalica degli anestetici che possono peggiorare ulterior-mente la funzione dei muscoli intercostali.

Management postnatale: sorveglianza neonataleAlti livelli sierici di creatinina chinasi (CK) sono stati riportati in due bambini nati da ma-

dri con diagnosi di PM-DM durante la gravidanza.I livelli di CK di entrambi i neonati altrimenti sani, sono rimasti elevati per alcuni mesi do-

po la nascita69.

362 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Policondrite recidivanteÈ una patologia di tipo infiammatorio, episodica e distruttiva, che coinvolge la cartilagine

e gli altri tessuti connettivi, compresi l’orecchio, le articolazioni, il naso, la laringe, la trachea,l’occhio, le valvole cardiache, il rene e i vasi sanguigni.

La mortalità a 5 anni dall’esordio può raggiungere il 30% e il decesso è generalmentedovuto o a collasso delle strutture cartilaginee di supporto della laringe e della trachea o acoinvolgimento dell’apparato cardiovascolare sotto forma di aneurismi dei grossi vasi, insuf-ficienza valvolare o vasculiti sistemiche.

DiagnosiLa diagnosi viene posta clinicamente se il paziente sviluppa almeno tre delle seguenti con-

dizioni: condrite bilaterale dell’orecchio esterno, poliartrite infiammatoria, condrite nasale, in-fiammazione oculare, condrite del tratto respiratorio o disfunzione dell’apparato uditivo ovestibolare.

La biopsia del tessuto cartilagineo coinvolto può confermare la diagnosi.

Complicazioni e management in gravidanzaI dati a disposizione su questa patologia in gravidanza sono molto scarsi70,71. L’evoluzione

della policondrite non risulta essere influenzata dalla gravidanza, né la gravidanza dalla poli-condrite. Su 25 gravidanze sono stati osservati sette episodi acuti, per due dei quali è statonecessario un potenziamento delle dosi terapeutiche. Non sono stati osservati casi di poli-condrite neonatale.

I casi di lieve entità possono rispondere al trattamento sintomatico con aspirina, indome-tacina o altri FANS. I casi più gravi vengono generalmente trattati con prednisone e in raricasi si deve ricorrere ad un farmaco immunosoppressivo come metotrexate o ciclofosfami-de.

Il monitoraggio dei segni di restringimento tracheale è importante, poiché può predispor-re a infezioni o anche portare all’emergenza di un collasso tracheale, in cui può risultare ne-cessaria una tracheostomia o uno stent.

GRAVIDANZA NELLE VASCULITILe vasculiti sistemiche costituiscono un ampio gruppo di patologie polimorfe che hanno

come comune denominatore la presenza di una lesione infiammatoria di un vaso, di calibroe sede variabili.

La presenza di alcune caratteristiche cliniche e biologiche ha portato alla redazione di di-verse classificazioni, tra cui quella dell’American College of Reumatology (ACR)72 e la ConsensusConference di Chapell-Hill (CHCC)73 che si basa essenzialmente su criteri anatomo-patolo-gici, in particolare il calibro del vaso interessato.

363GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Classificazione della American College of Reumatology (1990)Poliarterite nodosaSindrome di Churg-StraussGranulomatosi di WegenerVasculiti da ipersensibilitàPorpora di Schonlein-HenochArterite temporale a cellule gigantiArterite di Takayasu

Classificazione della Consensus Conference di Chapell-Hill (1994)Arterite a cellule giganti Arterite granulomatosa dell’aorta e dei suoi rami principali

con predilezione per i rami extracranici della carotide.Spesso interessa l’arteria temporale, di solito in soggetti di età superiore a 50 anni, spesso associata a polimialgia reumatica

Arterite di Takayasu Infiammazione granulomatosa dell’aorta e delle sue maggiori diramazioni di solito in pazienti di età inferiore a 50 anni

Poliarterite nodosa Infiammazione necrotizzante delle arterie di medio calibro e delle piccole arterie

Malattia di Kawasaki Arterite che insorge abitualmente nel bambino sotto i 5 anni di etàche interessa le arterie di piccolo medio e grosso calibro, associataad interessamento cutaneo mucoso e linfoghiandolare

Granulomatosi di Wegener Infiammazione granulomatosa che interessa il tratto respiratorio con evoluzione necrotizzante che interessa le arterie di piccolo-mediocalibro, i capillari e le venule; una glomerulonefrite necrotizzante è comune

Sindrome di Churg-Strauss Vasculite granulomatosa eosinofila con infiltrati polmonari, associata ad asma ed eosinofilia

Poliangiite microscopica Vasculite necrotizzante con assenza o modesti depositi immuni che interessa i piccoli vasi (capillari, venule ed arteriole) ma talvolta anche le arterie di mediocalibro; una glomerulonefrite necrotizzante è molto comune, talvolta associataa capillarite polmonare

Porpora di Schonlein-Henoch Vasculite con depositi immuni di IgA che interessano i piccoli vasi (capillarivenule ed arteriole) con tipico interessamento cutaneo, intestinale e renale con artralgie o artrite

Crioglobulinemia mista Vasculite con depositi immuni di crioglobuline che interessa i piccoli vasi“essenziale” (capillari, venule, arteriole) associata a presenza di crioglobulinemia;

la cute ed i glomeruli sono spesso interessatiVasculiti cutanee Interessamento cutaneo isolato senza interessamento glomerulare e senzaleucocitoclastiche vasculite sistemica

La classificazione delle vasculiti continua comunque ad evolvere. Gli attuali schemi di clas-sificazione riconoscono circa 20 forme primarie di vasculiti e diverse categorie di vasculiti se-condarie, e sono in continua rielaborazione.Considerazioni importanti nella classificazione delle vasculiti sono:- aspetti epidemiologici, come la fascia di età di insorgenza (arterite a cellule giganti oltre i

50 anni, malattia di Kawasaki in bambini di meno di 5 anni);

- aspetti anatomo-patologici, come il tropismo d’organo, la presenza di infiammazione gra-nulomatosa, la deposizione di complessi immuni (nella granulomatosi di Wegener, nella sin-drome di Churg-Strauss e nella poliangioite microscopica non si ritrovano immunocom-

364 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

plessi: questa assenza o modesta quantità di depositi immuni distingue le vasculiti pauciim-muni dalle vasculiti da immunocomplessi);

- l’associazione di specifiche infezioni (epatite B o epatite C);

- la presenza di autoanticorpi, come gli ANCA, anticorpi diretti contro il citoplasma dei po-limorfonucleati neutrofili. Gli ANCA sono strettamente associati con tre categorie princi-pali di vasculite dei piccoli vasi: granulomatosi di Wegener, poliangioite microscopica, sin-drome di Churg-Strauss. L’immunofluorescenza indiretta produce due quadri principali,ANCA citoplasmatici ed ANCA perinucleari, e gli studi immunoistochimici dimostrano duespecificità antigeniche: antimieloperossidasi (MPO-ANCA) ed antiproteinasi 3 (PR3-AN-CA). Il 90% degli ANCA citoplasmatici sono PR3-ANCA, mentre il 90% degli ANCA pe-rinucleari sono MPO-ANCA. I primi sono tipici della granulomatosi di Wegener, mentre isecondi si riscontrano in pazienti con sindrome di Churg-Strauss o poliangioite microsco-pica.Il test per gli ANCA, insieme con altri markers immunopatologici come depositi vascola-

ri di IgA e crioglobuline sieriche facilita la diagnosi e la categorizzazione delle vasculiti dei pic-coli vasi.

Tabella XI. Caratteristiche diagnostiche differenziali di alcune forme di vasculite dei piccoli vasiCaratteristiche Porpora Crioglobulinemia Poliangioite Granulomatosi Sindrome di

di Schonlein-Henoch microscopica di Wegener Churg-StraussSegni e sintomi + + + + +di vasculite dei piccoli vasiImmunodepositi di IgA + - - - -Crioglobuline nel sangue - + - - -o nei vasiANCA nel siero - - + + +Granulomi necrotizzanti - - - + +Asma ed Eosinofilia - - - - +

In Letteratura esistono informazioni insufficienti riguardo la sicurezza e l’outcome della gra-vidanza in pazienti con vasculiti74. Con l’eccezione della arterite di Takayasu e della malattia diBehcet, i dati riguardanti la gravidanza in altre vasculiti sono principalmente aneddotici. Il ma-nagement di una gravidanza complicata da una vasculite deve tenere in considerazione gli ef-fetti della vasculite sulla gravidanza, gli effetti della gravidanza sull’attività della malattia e gli ef-fetti collaterali dei farmaci impiegati75.

È possibile stimare il rischio gravidico in pazienti con vasculite attraverso:- valutazione dell’attività della malattia al momento del concepimento;- valutazione degli effetti della gravidanza sull’attività della vasculite (attraverso uno studio

dei dati presenti in letteratura);

365GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

- considerazione degli effetti fisiologici della gravidanza sulla malattia cronica (ipertensione,insufficienza renale, compromissione vascolare);

- considerazione dei rischi durante il parto (pervietà delle vie aeree, circolazione sanguigna,pressione arteriosa);

- valutazione del rischio di riesacerbazione nel post-partum.L’outcome materno e fetale è ottimizzato se ad interessarsi della donna è un team mul-

tidisciplinare costituito da un ostetrico esperto in gestione di gravidanze a rischio e da tuttigli specialisti che hanno esperienza nei campi delle possibili complicanze.

Il ruolo del team multidisciplinare è di fornire una valutazione preconcezionale, di moni-torare la progressione della gravidanza e di valutare l’attività della vasculite. Il timing e il tipodi parto devono essere pianificati in anticipo. Nel puerperio è necessaria una attenta sorve-glianza delle riesacerbazioni della malattia e degli effetti neonatali dei farmaci richiesti duran-te la gravidanza.

Pianificare il momento del concepimento garantisce una maggiore sicurezza della gravi-danza. Anche se i dati disponibili sono limitati, sembra che l’outcome della gravidanza sia fa-vorevole se il concepimento si verifica in una fase di remissione della patologia. La determi-nazione dell’attività della malattia richiede una sintesi di dati, inclusa l’anamnesi e l’esame cli-nico, la valutazione di esami di laboratorio e le tecniche di imaging. Sono preferibili le misuremeno invasive, ma se le tecniche di imaging non sono evitabili, è obbligatoria un’appropriataschermatura.

Quando la vasculite non è in remissione, le pazienti sono a rischio di danno d’organo eanche di morte.

L’impatto di una vasculite attiva sulla gravidanza dipende dalle manifestazioni della malat-tia, dallo stato di salute della madre, dallo stadio della gravidanza e dai farmaci necessari pertrattare la malattia. Il trattamento dovrebbe essere individualizzato in base agli organi coinvol-ti e alla severità della malattia.Tutti i farmaci immunosoppressivi usati per trattare le vasculitisono potenzialmente tossici in gravidanza.

Fattori critici per l’esposizione fetale sono il dosaggio, il tipo di farmaco, la durata del trat-tamento e il timing durante la gravidanza. Il trattamento di malattie severe e minacciose perla vita dovrebbe avere la precedenza e può richiedere misure pericolose per il feto.

Le vasculiti autoimmuni che costituiscono una condizione di gravidanza a rischio sono:- Arterite di Takayasu- Granulomatosi di Wegener- Poliarterite nodosa- Sindrome di Churg-Strauss- Poliangioite microscopica- Porpora di Henoch-Schönlein- Crioglobulinemia mista “essenziale”

366 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Arterite di TakayasuÈ una vasculite granulomatosa che colpisce i grossi vasi come l’aorta, i suoi rami principa-

li e le arterie polmonari73,76,77. Di tutte le vasculiti, l’arterite di Takayasu è quella che più fre-quentemente si può riscontrare in gravidanza, perché si verifica con maggiore incidenza nel-le donne durante gli anni riproduttivi.

DiagnosiLa diagnosi di arterite di Takayasu è molto probabile in presenza di almeno tre dei 6 cri-

teri stabiliti dall’American College of Rheumatology nel 199078, e cioè insorgenza ad un’età ≤ 40anni, claudicatio di un’estremità, diminuito polso arterioso brachiale, differenza della pressio-ne sistolica tra le braccia maggiore di 10 mm Hg, un rumore patologico sull’arteria succlaviao sull’aorta ed evidenza arteriografica di un restringimento o un’occlusione dell’intera aorta,dei suoi rami principali, o delle grosse arterie nella zona prossimale delle estremità superiorio inferiori. Non sempre è possibile confermare la diagnosi con dati istologici.

Il decorso della malattia può essere valutato con l’esame clinico, con gli indici di flogosi econ tecniche di imaging come l’angiografia, la RMN o l’ultrasonografia Doppler.

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

La gravidanza non sembra influenzare il decorso della malattia, infatti non è stato dimo-strato un peggioramento dell’attività della malattia materna durante la gravidanza79. I due ter-zi delle donne con TA sviluppano complicanze in gravidanza, principalmente ipertensione se-vera e pre-eclampsia, ma sono state descritte anche ischemia cerebrale nel primo trimestre,complicanze cardiovascolari fino allo scompenso cardiaco in fase perinatale, progressione del-l’insufficienza renale e sepsi post-partum79-81.

Complicazioni fetali e neonatali L’outcome della gravidanza è condizionato dal numero e dalla severità delle complicanze,

come ipertensione, pre-eclampsia, insufficienza aortica e aneurismi arteriosi, e dalla precoci-tà del trattamento della malattia materna. Sono stati segnalati aborti spontanei nell’8-16 %dei casi con complicanze come ritardo di crescita intrauterino e parto prematuro nel 40%dei casi79,81. È stata anche segnalata da alcuni autori un’alta incidenza di morti endouterine(21%). Non è stato invece osservato un aumento delle morti neonatali o delle anomalie con-genite80.

ManagementL’incidenza di complicanze in gravidanza è aumentata in donne con coinvolgimento aorti-

co ed ipertensione, pertanto la funzionalità cardiaca dovrebbe essere valutata all’inizio della

367GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

gravidanza e ricontrollata durante la gestazione. È difficile misurare la pressione arteriosa quan-do sono interessate le arterie brachiali, la misurazione della pressione può allora essere ef-fettuata agli arti inferiori, ad eccezione che in travaglio, quando può rivelarsi necessaria unatecnica più invasiva.

L’ecografia vascolare dei tronchi sovraaortici e l’ecocardiografia (per escludere ipertrofiaventricolare, aneurismi dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, insufficienza valvolare aorti-ca ed ipertensione polmonare) andrebbero inclusi nella valutazione iniziale della paziente gra-vida. L’ipertensione dovrebbe essere trattata aggressivamente in gravidanza, con alfa-metildo-pa, calcio antagonisti o idralazina. Alla nascita è inoltre raccomandata la profilassi antibioticacontro l’endocardite infettiva.

La gravidanza dovrebbe essere sconsigliata in donne con una valvulopatia aortica severae con aneurisma aortico, a causa del grave rischio di mortalità materna80. In pazienti gravidecon queste complicanze andrebbe discussa l’interruzione terapeutica della gravidanza. Glianeurismi aortici sono a rischio di rottura e se si verificano nella porzione addominale la com-pressione dell’utero gravido può favorire la trombosi.

Se durante la gravidanza si verifica una riattivazione della vasculite, è raccomandato un trat-tamento con cortisonici a dosaggio moderato, generalmente prednisone 1 mg/kg/die fino alcontrollo della malattia, poi il dosaggio può essere ridotto fino alla dose efficace più bassa, ge-neralmente 10 mg/die. Gli agenti citotossici dovrebbero essere evitati, ma se necessari è rac-comandata la azatioprina.

Il tipo di parto andrebbe discusso con la paziente durante la gravidanza. La TA è stata as-sociata con un aumentato rischio di emorragia cerebrale intrapartum, correlata a ipertensio-ne e precedente ischemia cerebrale. Durante il secondo stadio del travaglio la pressione ma-terna aumenta significativamente e può essere richiesto il monitoraggio arterioso centrale nelperiodo intrapartum, specialmente in pazienti con precedente emorragia cerebrale. La ven-tosa potrebbe essere utile per accorciare il secondo stadio del travaglio in pazienti con iper-tensione severa. In pazienti con TA con malattia estesa e in quelle in cui la terapia medica nonè riuscita a controllare la pressione, è raccomandato il taglio cesareo. In questo caso è racco-mandata l’anestesia epidurale. Sono ovviamente controindicati tutti i farmaci vasocostrittori egli ergot-derivati.

Granulomatosi di WegenerLa granulomatosi di Wegener è una vasculite necrotizzante che interessa principalmente

le vie respiratorie superiori e inferiori ed il rene82.Il picco di incidenza della malattia è dopo i 40 anni, perciò la gravidanza è poco comune

in donne con la WG. La letteratura presenta solo pochi casi di granulomatosi di Wegener ingravidanza.

368 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

DiagnosiLa granulomatosi di Wegener viene diagnosticata in base a elementi clinici, sierologici e

anatomopatologici caratteristici73. È necessaria la dimostrazione di una vasculite granulomato-sa necrotizzante (all’esame bioptico di tessuti appropriati) in pazienti con interessamento cli-nico delle vie respiratorie superiori ed inferiori, associato a glomerulonefrite.

La diagnosi richiede manifestazioni cliniche in almeno due di questi sistemi: apparato re-spiratorio, rene e sistema vascolare.

La biopsia renale determina l’entità delle lesioni renali.Talvolta, la biopsia polmonare per-mette di raggiungere la diagnosi.

Raggruppamenti compatti di cellule atipiche possono essere presenti nell’espettorato deipazienti con interessamento polmonare. È opportuno ricercare sempre la presenza di c-AN-CA ed effettuare una radiografia del torace.

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

Le pazienti con malattia attiva al concepimento o con insorgenza della malattia durante lagravidanza sono ad alto rischio di outcome sfavorevole per morte materna o fetale83-85. Lapre-eclampsia e il peggioramento della funzionalità renale sono le principali complicanze ma-terne della WG86.

Nella donne con malattia in remissione al momento del concepimento la riattivazione siverifica approssimativamente nel 25% dei casi, ma esistono troppo pochi report per deter-minare l’esatta frequenza delle riattivazioni.

Il rischio di riattivazione non correla con l’iniziale severità della malattia, è imprevedibile esi può verificare anche dopo alcuni anni di inattività. La riattivazione si può verificare anchenel post-partum o dopo aborto spontaneo o terapeutico87.

Complicazioni fetali e neonatali In donne gravide con WG attiva si può verificare morte del feto in una alta percentuale

dei casi.L’incidenza di prematurità è elevata tra i figli di donne con WG, particolarmente tra quel-

le con riattivazione della malattia durante la gravidanza85. Un problema importante è il rischioteratogeno dei farmaci utilizzati per il controllo della malattia.

ManagementNelle pazienti con granulomatosi di Wegener la gravidanza dovrebbe essere pianificata so-

lo dopo alcuni anni dalla completa scomparsa dei segni di attività della malattia.A causa dell’alta incidenza di complicanze materne e fetali, in caso di malattia diagnostica-

ta in gravidanza può essere consigliata l’interruzione terapeutica della gravidanza. Esistono da-

369GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ti limitati riguardo al ruolo degli anticorpi citoplasmatici antineutrofili in gravidanza, ma comein pazienti non gravide, non dovrebbero essere utilizzati nella valutazione dell’attività della ma-lattia.

Più utili a questo scopo sono la PCR, le prove di funzionalità renale e il titolo di ANCA -antiproteinasi 3. Una consulenza otorinolaringoiatrica e la radiografia del torace vanno ese-guite per valutare l’interessamento delle vie aeree superiori ed inferiori.

Le donne con WG con peggioramento della funzionalità renale durante la gravidanza de-vono essere distinte da quelle con pre-eclampsia. Entrambe presentano proteinuria e aumen-to dei livelli di creatinina, ma l’ipertensione è più comune nella pre-eclampsia, mentre un se-dimento urinario attivo è indicativo di WG. Le due patologie possono però coesistere. Labiopsia renale può essere dirimente, e non va esclusa a priori in gravidanza data l’estremagravità della patologia. Il trattamento per le riattivazioni della malattia durante la gravidanzadipende dal tipo e dalla severità delle manifestazioni della malattia, dal sito coinvolto e dallostadio della gravidanza. La malattia limitata alle vie aeree superiori può essere trattata con te-rapie locali, glucocorticoidi nasali, antibiotici o glucocorticoidi orali a basse dosi.

Malattie sistemiche richiedono una terapia più aggressiva. Le pazienti trattate con un’as-sociazione di corticosteroidi (prednisone orale ad alte dosi o in alternativa pulse di metilpred-nisolone i.v.) e farmaci immunosoppressori hanno un outcome gravidico migliore di donnetrattate con soli corticosteroidi85.

È importante che il ricorso agli immunosoppressori non sia ritardato, poiché l’outcomedella gravidanza è sfavorevole in caso di undertreatment. L’azatioprina è l’immunosoppresso-re più sicuro, ma solitamente non induce remissione. La ciclofosfamide è un noto teratoge-no, anche se alcuni report non segnalano danni fetali se utilizzata nel secondo e terzo trime-stre. Il metotrexate non ha un ruolo terapeutico in gravidanza a causa dell’effetto antifolati.Sono state anche utilizzate immunoglobuline endovena o l’associazione di plasmaferesi e im-munoglobuline i.v. in aggiunta a steroidi e azatioprina.

Una stenosi sottoglottide nelle donne gravide può complicare il parto e richiede cure spe-cializzate. La stenosi sottoglottide non risponde favorevolmente al trattamento medico e ladilatazione broncoscopica non è consigliabile in gravidanza, pertanto un otorinolaringoiatradovrebbe essere consultato sulla necessità di ricorrere alla tracheotomia per proteggere levie aeree.

Poliarterite nodosa (Panarterite nodosa)La poliarterite nodosa è una vasculite necrotizzante e progressiva che interessa le arterie

muscolari di medio e piccolo calibro di rene, fegato, tratto gastroenterico, nervi periferici, cu-te e cuore. È caratterizzata clinicamente da febbre, perdita di peso, artralgie, mialgia, neuro-patia, disordini gastrointestinali, ipertensione e nefropatia88.

370 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

Esistono pochi dati in letteratura di gravidanze complicate da PAN89. In alcuni casi l’inter-pretazione è complicata dalla presenza di epatite B e dalla inclusione di pazienti che ora sa-rebbero considerate affette da poliangiite microscopica.

DiagnosiLa poliarterite nodosa deve essere considerata come possibile diagnosi, qualora siano pre-

senti febbre inspiegabile, dolore addominale, insufficienza renale e ipertensione o quando unpaziente con nefrite o un disturbo cardiaco ha sintomi inspiegabili, quali artralgia, dolore eastenia muscolari, noduli sottocutanei, eruzioni cutanee tipo porpora, dolori addominali o de-gli arti e ipertensione acuta.

Un terzo dei pazienti mostra positività per HBsAg o HBsAb.La diagnosi definitiva è possibile con una biopsia degli organi coinvolti con la dimostrazio-

ne angiografica di tipici aneurismi a carico dei vasi di medio calibro.

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

La prognosi materna e fetale dipende dall’attività della PAN e dall’esistenza di patologiarenale. Non sembra che la gravidanza favorisca la ripresa evolutiva della PAN e la PAN in re-missione non sembra influenzare la gravidanza se non per i suoi postumi renali. La mortalitàmaterna è elevata se il concepimento si verifica in una fase di attività della malattia, poiché sipossono sviluppare manifestazioni sistemiche ingravescenti.

In donne con diagnosi di PAN effettuata in gravidanza avanzata o nell’immediato post-par-tum, è stato osservato un outcome sfavorevole, con elevata mortalità materna per uremia,emorragia gastrointestinale, coma o insufficienza respiratoria. In donne con diagnosi di PANprecedente alla gravidanza e che concepiscono durante la fase di remissione, l’outcome è fa-vorevole, con il 100% di sopravvivenza materna, rare riattivazioni della malattia e nessuna riat-tivazione nel post-partum.

Le riattivazioni in gravidanza sono caratterizzate da aggravamento dell’ipertensione arte-riosa e dell’insufficienza renale.

Complicazioni fetali e neonatali La PAN in remissione porta alla nascita di neonati sani, anche se spesso pretermine e di

basso peso. La riattivazione della PAN in gravidanza si può associare a morte fetale. L’esameistologico della placenta dimostra infarti placentari e una franca vasculite.

ManagementIn donne con diagnosi di PAN effettuata durante la gravidanza può essere presa in consi-

371GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

derazione l’interruzione terapeutica della gravidanza a causa dell’elevato rischio di morte ma-terna. Purtroppo il trattamento di questa vasculite è in gran parte inefficace, ed anche concorticosteroidi ad alte dosi e trattamento immunosoppressivo, quasi la metà delle pazientimuore entro un anno dalla diagnosi. Il peggioramento di una PAN non severa in gravidanzapuò essere trattato efficacemente con soli glucocorticoidi. Casi di malattia che mettono a ri-schio la vita, particolarmente quando caratterizzati da infarto intestinale, malattia del sistemanervoso centrale o cardiopatia richiedono corticosteroidi ad alto dosaggio con l’aggiunta diciclofosfamide. Esistono segnalazioni di PAN cutanea in neonati di madri affette90.

Sindrome di Churg-StraussLa sindrome di Churg-Strauss è una vasculite granulomatosa che interessa in particolare

il polmone; è caratterizzata da asma, rinite allergica, eosinofilia periferica, infiltrati tessutali eo-sinofili91. La fase vasculitica di solito si sviluppa entro tre anni dall’inizio dell’asma.

DiagnosiSecondo la American Rheumatism Association (1990), la diagnosi di sindrome di Churg-

Strauss (CSS) richiede almeno 4 criteri tra i seguenti92: asma, eosinofilia > 10%, infiltrati pol-monari, mono o polineuropatia, anormalità dei seni paranasali, infiltrato eosinofilo extravasco-lare alla biopsia. A questi criteri andrebbe aggiunta la presenza di una vasculite sistemica inte-ressante due o più organi93. In oltre la metà dei pazienti sono inoltre presenti p-ANCA (MPO-ANCA).

Complicazioni in gravidanzaComplicazioni materne

La riattivazione della CSS si verifica nel 50% delle donne che concepiscono mentre la ma-lattia è in remissione87. Durante la riattivazione, le manifestazioni prevalenti sono il peggiora-mento dell’asma, la comparsa di rush cutaneo e di mononeuriti multiple94,95. La riattivazionedella CSS si può verificare anche nel post-partum. La CSS diagnosticata in gravidanza è asso-ciata ad una prognosi sfavorevole. Le cause di morte materna sono correlate ad arresto car-diaco e cardiomiopatia.

Complicazioni fetali e neonataliSu otto casi di CSS in remissione in gravidanza, sette gravidanze hanno portato alla nasci-

ta di neonati sani, una è esitata in morte endouterina. L’incidenza di parto pretermine è ele-vata in caso di CSS diagnosticata durante la gravidanza o durante le riattivazioni della CSS ingravidanza94-96.

372 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

ManagementLa prognosi materna e fetale dipende dall’attività della malattia all’inizio della gravidanza e

in particolare dalla presenza di una patologia viscerale grave. Rispetto ad altre vasculiti, la sin-drome di Churg-Strauss interessa meno frequentemente e meno severamente il rene, ma cau-sa più spesso neuropatia e cardiomiopatia, per cui vanno monitorate le manifestazioni neu-rologiche e soprattutto cardiovascolari in gravidanza.

Il trattamento della CSS durante la gravidanza consiste generalmente in corticosteroidi acui può essere aggiunta azatioprina. Le pazienti con CSS dovrebbero essere sorvegliate peril possibile peggioramento del broncospasmo che può essere trattato con glucocorticoidi adalto dosaggio.

Un caso fulminante è stato trattato con successo con steroidi e ciclofosfamide nel terzotrimestre. In casi selezionati può essere presa in considerazione l’interruzione terapeutica del-la gravidanza.

Poliangioite microscopicaLa poliangioite microscopica è una vasculite sistemica necrotizzante dei vasi di piccolo ca-

libro che interessa il glomerulo renale e i polmoni73. Presenta lo stesso spettro di manifesta-zioni della granulomatosi di Wegener, ma non vi è infiammazione granulomatosa. Inizialmenteè stata considerata una varietà di poliarterite nodosa da cui può essere difficile distinguere.A differenza della PAN, però, la maggior parte delle donne con poliangioite microscopica svi-luppano una nefropatia severa ed emorragie polmonari.

DiagnosiL’esame istologico rivela una arterite necrotizzante che è istologicamente identica a quel-

la causata dalla poliarterite nodosa. Con l’approccio propugnato dalla Consensus Conferencedi Chapel Hill, la poliarterite nodosa e la poliangioite microscopica sono patologicamente di-stinte dalla assenza di vasculite in vasi diversi dalle arterie nella poliarterite nodosa e dallapresenza di vasculite in vasi più piccoli (arteriole, venule, capillari) nella poliangioite microsco-pica.

Oltre l’80 % dei pazienti sono positivi per gli ANCA, generalmente con pattern perinu-cleare (MPO-ANCA). La positività degli ANCA e la negatività dei test sierologici per l’epati-te B aiuta nella diagnosi differenziale con la poliarterite nodosa.Complicazioni e management in gravidanza

In Letteratura sono descritti solo pochi casi di donne con poliangioite microscopica in gra-vidanza97,98. La malattia può esordire con una emorragia polmonare e una glomerulonefritenecrotizzante, positiva per pANCA e negativa per ANA e anticorpi antimembrana basale (an-ti-GBM). La poliangioite microscopica può presentarsi anche con dispnea ed emottisi in gra-

373GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

vidanza. L’insorgenza asintomatica, la positività dell’esame urine per proteine ed emazie e ilquadro radiologico polmonare, diffuso piuttosto che focale, aiutano nella diagnosi differenzia-le con la causa più frequente di emottisi in gravidanza, che è l’embolia polmonare. A volte,per giungere ad una diagnosi, è necessario ricorrere alla biopsia renale in gravidanza.

Il monitoraggio della malattia è possibile con le prove di funzionalità renale, il controllo deltitolo di pANCA, la PCR e l’esame clinico.

La poliangioite microscopica che causa un grave danno d’organo deve essere trattata conuna combinazione di corticosteroidi ed agenti citotossici. La capillarite alveolare con emorra-gia polmonare è una complicanza pericolosa per la vita e deve essere prontamente trattatacon terapia combinata ed eventualmente con la plasmaferesi. La glomerulonefrite è solita-mente a rapida progressione e va trattata con alte dosi di steroidi (metilprednisolone 1 g/dieper tre giorni) associati a ciclofosfamide, che inducono la remissione in circa l’80% delle pa-zienti. La ciclofosfamide può essere somministrata in boli mensili, e sostituita dopo 3 mesi conazatioprina. Successivamente il controllo della malattia si può mantenere con prednisone ora-le. Il più grande fattore di rischio per una sfavorevole evoluzione della malattia renale è l’ini-zio tardivo del trattamento, quando l’insufficienza renale si è già manifestata.

È possibile che, come per la PAN o altre vasculiti, le pazienti con diagnosi di poliangioitemicroscopica precedente alla gravidanza abbiano un outcome migliore, senza necessità di ri-correre a trattamenti aggressivi che possono aumentare il rischio di morte materna e fetale.

Porpora di Henoch-SchönleinLa porpora di Henoch-Schönlein è una vasculite sistemica mediata dal deposito di IgA, che

interessa i vasi di piccolo calibro93. La porpora vascolare è solitamente confinata agli arti infe-riori ed è associata a coinvolgimento articolare, gastrointestinale e renale di grado variabile.

DiagnosiNel 1990, l’American College of Rheumatology99 ha definito i criteri per la diagnosi di por-

pora di Henoch-Schönlein. Per porre la diagnosi occorrono almeno 2 dei seguenti criteri: etàdi insorgenza della malattia ≤ 20 anni, porpora palpabile, dolore addominale acuto, infiltrazio-ne granulocitaria nella parete di arteriole e venule. Marker della porpora di Henoch-Schönleinsono i depositi vascolari di IgA73.

Complicazioni in gravidanzaNon esistono molti dati sulla porpora di Henoch-Schönlein in gravidanza100,101. Questa ma-

lattia può essere scatenata o esacerbata da numerosi disordini, tra cui le malattie infiamma-torie croniche intestinali, alcune infezioni batteriche e le infezioni virali da HBV, HCV o HIV.

Gli effetti della gravidanza sul decorso di una porpora di Henoch-Schönlein preesistente

374 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune

devono essere chiariti, infatti in alcuni casi è stato descritto un aggravamento della malattia,in altri un miglioramento o anche una scomparsa dei sintomi. Nelle pazienti con anamnesi diporpora di Henoch-Schönlein in età pediatrica si può verificare la riattivazione della malattia.Le complicanze ostetriche più importanti sono l’insorgenza di ipertensione e delle sue pos-sibili conseguenze (pre-eclampsia, eclampsia) e la progressione del danno renale. Se i reni nonsono interessati dalla malattia la prognosi ostetrica è buona. La percentuale di abortività eprematurità non sembra significativamente aumentata.

L’insorgenza della malattia in gravidanza è molto rara, la sintomatologia non è caratteristi-ca e la diagnosi può essere difficile senza l’effettuazione di una biopsia della cute interessata.Quando il coinvolgimento renale, articolare e gastrointestinale precede le manifestazioni cu-tanee, molti aspetti della malattia, come ipertensione, sindrome nefrosica, dolore addomina-le, cefalea e convulsioni, possono mimare la pre-eclampsia o l’eclampsia. In letteratura sonodescritti solo pochi casi, di cui oltre il 50% ha un outcome sfavorevole con nefropatia impor-tante, eclampsia, aborti spontanei o morte fetale.

ManagementL’ipertensione e l’insufficienza renale progressiva possono complicare la gravidanza e per-

tanto vanno monitorate attentamente. Il ruolo dei corticosteroidi nel trattamento della ma-lattia è controverso, infatti questi farmaci non sembrano modificare il decorso della malattiacutanea, anche se sono stati dimostrati effetti benefici in caso di malattia ulcerativa o estesa,mentre modificano il decorso della artrite e dei disturbi gastrointestinali ed hanno un effettoprotettivo sulla nefrite. Il trattamento con corticosteroidi va pertanto riservato alle forme se-vere di porpora di Henoch-Schönlein con coinvolgimento articolare o gastrointestinale, in cuipuò rapidamente migliorare il decorso della malattia. Nei casi più gravi si può ricorrere allaplasmaferesi.

Crioglobulinemia mista “essenziale”È una malattia da immunocomplessi caratterizzata da porpora, astenia ed artralgie, dal fe-

nomeno di Raynaud e da patologie d’organo quali la nefropatia e la neuropatia periferica. Ilquadro sintomatologico è assai variabile, potendo palesarsi con fenomeni attenuati o manife-stazioni cliniche severe, come la glomerulonefrite rapidamente progressiva e la vasculite si-stemica102. La vasculite è provocata dal deposito di crioglobuline miste nelle pareti vascolari,che causa un’infiammazione acuta. Nella maggior parte dei pazienti si osserva l’associazionecon un’infezione da HCV.

DiagnosiLa diagnosi deriva dal riscontro delle crioglobuline, un gruppo di immunoglobuline carat-

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terizzate dalla proprietà di precipitare reversibilmente a temperatura inferiore a 37°C. Le crio-globuline sono classificate in tre sottogruppi:- Crioglobuline di tipo I, costituite da una sola immunoglobulina monoclonale, tipiche del

mieloma multiplo, nella macroglobulinemia di Waldenström ed altre affezioni mielodispla-stiche / linfoproliferative;

- Crioglobuline di tipo II e di tipo III, costituite da due diverse immunoglobuline: una poli-clonale (solitamente IgG) e l’altra monoclonale (generalmente IgM) con attività di fattorereumatoide (FR) nel tipo II ed entrambe policlonali, di cui una (solitamente IgM) con at-tività di FR nel tipo III. Le crioglobuline di tipo II e III possono comparire nel corso di ma-lattie infettive o autoimmuni oppure rappresentare un’entità distinta, non associata a fat-tori causali evidenti, denominata “crioglobulinemia mista essenziale”.La dimostrazione di immunocomplessi circolanti nel sangue si associa alla presenza di li-

velli molto bassi di C4 con C3 normale o appena ridotto nel 90% dei pazienti.

Complicazioni e management in gravidanzaIn gravidanza è possibile un aggravamento del danno renale, con aumento dei valori di

creatininemia, comparsa di sindrome nefritica acuta o sindrome nefrosica e progressione ver-so l’insufficienza renale cronica103.

Se la malattia è modesta, con porpora ed artralgie, è sufficiente un trattamento con FANS,mentre la presenza di glomerulonefrite è un’indicazione alla terapia steroidea associata a ci-totossici, che migliorano sia il decorso della nefrite che la porpora, le artralgie e gli altri sin-tomi vasculitici. La plasmaferesi ha una validità incerta.

Nella crioglobulinemia di tipo I è possibile il passaggio transplacentare di IgG monoclona-li, che possono causare lesioni neonatali. Nella crioglobulinemia mista essenziale da IgM nonsi verificano lesioni neonatali

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380 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2266 TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE

COAGULAZIONE, FIBRINOLISIE STATI TROMBOFILICI NELLA GRAVIDAM. Costantini, M. Bernardon, R.Tercolo,V. Soini, P. Bogatti, GP Maso, S. AlbericoDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo,Trieste

La gravidanza è una condizione associata a profondi cambiamenti nel dinamico equilibrioche regge i rapporti tra i fattori pro-coagulanti, anticoagulanti e fibrinolitici dell’emostasi, estrin-secandosi in un effetto dominante procoagulante. Queste alterazioni fanno parte di quel com-plesso gruppo di adattamenti necessari a sostenere la circolazione utero-placentare durantela gestazione ed a garantire una pronta emostasi nel parto e nel secondamento. A tal fine, ingravidanza si assiste a significativi cambiamenti in tutti gli aspetti della classica triade di Virchow(stasi venosa, danno endoteliale e stato di ipercoagulabilità), ad una progressiva emodiluizio-ne e ad un rialzo della concentrazione di alcuni fattori della coagulazione (II,VII,VIII, IX, X), delfibrinogeno, dei PDF (prodotti di degradazione del fibrinogeno), ad un graduale aumento del-la resistenza all’eparina, mentre il tasso di plasminogeno rimane invariato.

Tutto ciò non va interpretato come un reale stato di ipercoagulabilità ma nel senso chein gravidanza deve risultare più rapido ed efficace il sistema della coagulazione quando le con-dizioni lo richiedano.

Sistema pro-coagulanteLa coagulazione consta di un sistema a cascata che ha come fine ultimo la produzione di

fibrina, la quale agisce a livello endoteliale stabilizzando il coagulo piastrinico. Classicamente,nel sistema coagulativo si distinguono due vie: intrinseca ed estrinseca, clinicamente testatedal APTT (activeted partial thromboplastin time) e dal PT (prothrombin time) rispettivamente.Il sistema coagulativo è regolato da quello anticoagulante e fibrinolitico che cooperando ga-rantiscono l’omeostasi emostatica.

La via intrinseca inizia quando il sangue viene a contatto con una superficie carica negati-vamente, risultando nell’attivazione del fattore XII a fattore XIIa, che a sua volta attiva il fat-tore XI, il quale converte il fattore IX a IXa. La funzione principale della via intrinseca sta nel-l’amplificare l’attività coagulativa innescata dalla via estrinseca.

Fattore scatenante la via estrinseca è il TF (tissue factor), proteina di membrana espressa

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

sulla superficie di cellule che normalmente non si trovano a contatto con il plasma.L’esposizione al plasma di tali cellule dà inizio al processo coagulativo a livello dell’endoteliovasale danneggiato; anche le cellule endoteliali possono esprimere TF se stimolate da endo-tossine,TNF o IL-1, e ciò risulta essere predisponente alla formazione di trombi in condizio-ni patologiche.

Il TF si complessa al fattore VII in presenza di fosfolipidi e calcio e ciò dà inizio ad una se-rie di reazioni proteolitiche che vanno ad attivare, in un sistema a cascata, i diversi fattori del-la coagulazione (Figura I), conducendo alla formazione di fibrina1.

La trombina attua il clivaggio del fibrinopeptide A dalla catena a del fibrinogeno e del fi-brinopeptide B da quella b, generando monomeri di fibrina che spontaneamente polimeriz-zano e vengono resi insolubili dall’azione del fattore XIIIa.

Durante una gravidanza normale si assiste all’aumento dei livelli di protrombina2, fattoreVII2,3, fattore X2,4,5, fattore XII4,5, fibrinogeno2, fattore VIII2 e IX2,4,5.

È facile dedurre come qualsiasi alterazione che comporti un’aumentata espressione di questeproteine sia un fattore predisponente all’instaurazione di un processo trombotico, mentre un lorodeficit conduca ad una condizione di aumentato rischio emorragico.

Sistema anticoagulanteNucleo centrale del sistema anticoagulante sono la proteina C e la proteina S, enzimi vi-

tamina K dipendenti prodotti dal fegato. Quando la trombomodulina si lega alla trombina for-

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

ma un complesso che attiva la proteina C a proteina C attivata (APC).La proteina S si trova sia in forma libera (40%), quota capace di attivare la proteina C, che

in forma legata alla frazione C4b del complemento; ciò fa si che qualsiasi stato che induca unaumento della frazione C4b (gravidanza, infiammazione o stress chirurgici), causi una diminu-zione di attività della proteina S.

La APC inattiva sia il fattore VIIIa che il Va. Proprio una mutazione puntiforme del gene checodifica per il fattore V (fattore V Leiden), è il maggior responsabile dell’insorgenza di APCR(APC Resistance), condizione caratterizzata da un’eccessiva formazione di trombina7, con con-seguente aumento del rischio trombotico.

Un altro importante componente del sistema anticoagulante endogeno è l’antitrombinaIII (ATIII), che legando la trombina previene la conversione del fibrinogeno in fibrina. AT pos-siede anche un sito di legame per l’eparina: tale unione aumenta di circa 1000 volte l’attivitàanticoagulante dell’AT. AT può anche inattivare i fattori Xa, IXa e VIIa; per tale ruolo il deficitdi AT è una ben riconosciuta causa di trombofilia ereditaria e sebbene la sua incidenza siabassa (0.02%) è associato ad un rischio 50 volte aumentato di tromboembolismo venoso.

In gravidanza i livelli di proteina C sembrano essere stabili o solo lievemente aumentati8,con un aumento significativo di attività solo nel primo periodo post-partum; invece c’è unadiminuzione progressiva della proteina S totale e libera9. Pertanto APCR mostra un progres-sivo aumento in gravidanza, che si correla con le alterazioni a carico dei fattori procoagulan-ti elencati precedentemente.

I primi studi condotti sull’AT suggerivano una sua diminuzione in gravidanza, mentre altripiù recenti rilevano una stabilità nei livelli plasmatici, con un aumento dopo il parto.

383GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

Sistema fibrinoliticoLa fibrinolisi agisce bilanciando il sistema coagulativo, prevenendo un eccessiva formazio-

ne di coagulo; è mediata dal TPA (tissue-type plasminogen activator) che attiva il plasminoge-no a plasmina, enzima proteolitico in grado di degradare la fibrina.

L’attivazione della plasmina è inibita dal PAI-I (plasminogen activator inhibitor-I) e dal più re-centemente descritto TAFI (thrombin activatable fibrinolysis inhibitor).

Alcuni studi hanno dimostrato che la concentrazione degli attivatori del plasminogeno, t-PA11 e u-PA12, aumenta in gravidanza, bilanciando l’elevazione del livello di PAI-I e la produzio-ne placentare di PAI-211. Questi ultimi deprimono la fibrinolisi in gravidanza, ma questa au-menta rapidamente dopo il secondamento.

Gli elevati livelli di prodotti di degradazione del fibrinogeno (PDF) che si riscontrano nel-la seconda metà della gravidanza sembrano in contraddizione con quanto appena descritto:durante una gravidanza fisiologica i livelli di D-dimero aumentano proporzionalmente all’etàgestazionale e subiscono un ulteriore incremento nell’immediato periodo post-partum13.Questa condizione inficia il significato diagnostico di tale test, ma una sua negatività permet-te di escludere la possibilità che si sia instaurato un evento tromboembolico.

L’emostasi nella circolazione utero-placentareNella circolazione utero-placentare il sistema emostatico deve soddisfare la necessità di

mantenimento della fluidità ematica all’interfaccia materno-fetale e, al tempo stesso, contra-stare l’emorragia che si sviluppa al momento del distacco della placenta.

Studi sull’ultrastruttura del letto placentare hanno dimostrato che l’endotelio delle arte-rie spirali è in larga parte sostituito da uno strato intimale citotrofoblastico, la cui lamina ela-stica interna è sostituita da una matrice amorfa contenente fibrina e citotrofoblasti.

Il processo di trofoblastizzazione si estende dalla decidua ai segmenti miometriali delle ar-terie uteroplacentari. Queste modificazioni permettono l’espansione del lume vasale per ri-spondere all’aumentato flusso ematico tipico della gravidanza.

Nella gravidanze patologiche questo equilibrio risulta perturbato: il numero di vasi trofo-blastizzati è diminuito14, e l’invasione trofoblastica è poco profonda, non andando oltre il trat-to deciduale; questa è la spiegazione delle alterazioni di flusso evidenziabili tramite tecnica dop-pler nelle donne con pre-eclampsia e IUGR.

Istologicamente la lesione assume il quadro di una necrosi fibrinoide, con placche intima-li contenenti lipidi, cellule muscolari lisce e fibrina, e risulta essere questo il razionale su cui sibasa l’utilizzo della prostaciclina in gravidanza. La alterata morfologia coinvolge anche il ver-sante venoso con erosioni endoteliali.

384 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

Studi sull’emostasi nella circolazione utero-placentare sono limitati dalla difficoltà di otte-nere campioni rilevanti: trombi vascolari sono documentati nel 3-5% delle gravidanze fisiolo-giche15 e pertanto se la trombofilia ereditaria media un aumento delle trombosi uteroplacen-tari ciò dovrebbe manifestarsi all’esame istologico.

Ma a proposito di questo in letteratura si evidenzia una mancata omogeneicità di risulta-ti. Al fine di avere una visione generale l’AJOG10 ha recentemente pubblicato una review del-le indagini condotte sull’associazione tra trombofilia e la perdita fetale ricorrente, la pre-eclam-psia, il ritardo di crescita endouterino e il distacco di placenta.

Dallo studio condotto è risultato che i disordini trombofilici sono associati con un aumen-tato rischio di perdita fetale nella maggior parte degli studi di coorte e caso-controllo analiz-zati, che il rischio è aumentato durante tutta la gravidanza, ma in particolar modo nel II e IIItrimestre, e che una profilassi anticoagulante può migliorare l’outcome di questi soggetti, men-tre non emerge una considerevole associazione con la pre-eclampsia, il ritardo endouterinodi crescita ed il distacco di placenta.

Trombofilia ereditariaIl tromboembolismo venoso rappresenta a tutt’oggi la maggiore causa di mortalità ma-

terna nel Mondo Occidentale e, come dimostrato nell’UK Confidential Enquires into MaternalDeaths16, la maggior parte di questi decessi sono da imputare al mancato riconoscimento difattori di rischio per il tromboembolismo venoso, alla mancata attuazione di una terapia o diuna profilassi adeguata e alla mancata diagnosi clinica di una trombosi venosa profonda (VTE).

Risulta pertanto di fondamentale importanza conoscere quali siano i fattori di rischio pre-disponesti a uno stato trombofilico, siano essi ereditari o acquisiti, temporanei o permanen-

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

ti. Uno o più difetti trombofilici si riscontrano in almeno il 50% dei casi di VTE in gravidanza;i principali sono quelli che coinvolgono le proteine anticoagulanti, proteina C, proteina S e an-titrombina III e i fattori della coagulazione, quali la mutazione del fattore V Leiden (FVL) e del-la protrombina (PT)17.

Il fattore V Leiden risulta da una mutazione puntiforme del gene del fattore V al sito di cli-vaggio della proteina C (Arg506Glu), per questo funzionalmente si manifesta come resisten-za alla proteina C attivata (APCR) e un effetto potenzialmente ipercoagulante. Questo trat-to trombofilico si riscontra nel 20-40% delle donne che sviluppano una VTE associata alla gra-vidanza18.

È interessante anche notare che APCR, in assenza di FV°L, viene acquisita nel 40% circadelle gravidanze, probabilmente come risultato dei cambiamenti del sistema coagulativo cau-sati dalla gravidanza.

L’APCR si riscontra anche in altre condizioni trombofiliche ereditarie o acquisite: presen-za di anticorpi anti-fosfolipidi, del fattore V Cambridge o dell’aplotipo HR2; quest’ultimo, rela-tivamente comune, sembra comportare un ulteriore aumento del rischio trombotico19 ed es-sere associato allo sviluppo di eventi trombotici in giovane età20.

Possiamo pertanto affermare che lo sviluppo di un’aumentata resistenza alla proteina Cattivata sia il fenotipo tramite cui si esprimono condizioni genetiche o acquisite che si espli-cano comunque con una riduzione dell’attività anticoagulante della proteina C.

È interessante notare che la presenza della mutazione del FVL comporta un aumento dievento tromboembolico, con ridotta evoluzione dello stesso verso la tromboembolia21.Questo fenomeno è diverso da quello osservato nei casi con altre mutazioni (tipoProtrombina, ove l’evento trombotico evolve con maggior frequenza verso la embolia).

Il meccanismo per cui questo accade non è chiaro, forse il FVL è associato alla formazio-ne di un trombo più stabile, capace di intensificare la produzione locale di trombina che ri-duce la possibilità di embolizzazione.

La mutazione G20210A del gene della protrombina si associa all’aumento dei livelli di pro-trombina nel plasma e comporta il triplicarsi del rischio di VTE22; si trova in circa il 6% dei pa-zienti con VTE ed è riportata in almeno il 20% di quelli con un’importante anamnesi familia-re positiva per tale problema.

L’iperomocisteinemia può essere associata con l’omozigosi del gene della metilentertrai-drofolato reduttasi (MTHFR C677T), variante genotipica presente nel 10% della popolazio-ne dell’Europa Occidentale e predisponente a trombosi arteriose e venose in concomitanzacon un deficit di vitamina B23. L’omocisteina è un aminoacido prodotto dal metabolismo del-la metionina; il ruolo patogenetico della iperomocisteinemia non è ancora chiaro, sembra in-durre un danno vascolare, riducendo la compliance vasale, causando un’alterazione in sensoprocoagulante dell’endotelio e attivando le piastrine.

Il deficit di antitrombina III è ereditato come tratto autosomico dominante, ad alta pene-

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

tranza negli eterozigoti, ed è incompatibile con la vita negli omozigoti. L’eccezione è rappre-sentata da quelle mutazioni che interessano il sito di legame con l’eparina, nelle quali anchegli omozigoti presentano un quadro clinico simile a quello degli eterozigoti per mutazioni piùimportanti24. Il deficit di AT III risulta essere probabilmente il difetto più severo tra le trom-bofilie ereditarie e per questo se diagnosticato dopo un evento tromboembolico è solitamen-te indicazione alla terapia anticoagulante per tutta la vita; fortunatamente è trattabile con te-rapia sostitutiva.

Altri caratteri da indagare per individuare lo stato di rischio trombofilico di una pazientesono il dosaggio della proteina C, della proteina S, del fibrinogeno, del fattore VIII, la presen-za di anticorpi antifosfolipidi, anticardiolipina e del lupus anti coagulant (LAC).

Inoltre nel monitorare il rischio trombofilico di una donna in gravidanza bisogna attuareun attenta anamnesi personale e familiare e valutare la presenza anamnestica o obiettiva deifattori di rischio riportati dalla Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) nel-l’ultima stesura delle linee guida per la profilassi del tromboembolismo venoso in gravidanzae puerperio25.

387GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

Trombofilia acquisita e gravidanzaAltri fattori conducono ad uno stato di ulteriore ipercoagulabilità: colite ulcerosa, diabete

mellito, pre-eclampsia, sindrome nefrosica, iperstimolazione ovarica e soprattutto la sindromeda anticorpi antifosfolipidi.

La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APLAS) è un complesso disordine multisistemi-co, definito dall’associazione di trombosi vascolari e morbidità ostetrica dovuta alla presenzadi anticorpi antifosfolipidi (aPL) e/o lupus anticoagulant (LAC). (In questa sede tratteremo que-sta patologia per le ripercussioni che essa è in grado di determinare sulla coagulazione ma-terna. In altra parte di questo testo la stessa è trattata nella sua configurazione clinica più am-pia). Il LAC è stato inizialmente identificato in pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES);il nome deriva dal fatto che in vitro questi anticorpi sono associati con un prolungamento deltempo di coagulazione, mentre in vivo si associano a trombosi. Il LAC test va a valutare l’abi-lità di APL di prolungare la formazione del coagulo dipendente dalla presenza di fosfolipidi.Affinché tale test sia positivo è necessario che26:- Prolungamento del tempo di coagulazione in almeno un test che usi plasma povero di pia-

strine: aPTT (prolonged activated partila thromboplastin time) o dRVVT (diluite Russell’s vi-per venom time).

- Non correzione del prolungamento del tempo di coagulazione in seguito al miscelamen-to del plasma del paziente con plasma normale.

- Accorciamento del tempo di coagulazione con l’aggiunta di un eccesso di fosfolipidi o pia-strine.

- Esclusione di altre coagulopatieAPLAS è la più comune causa di trombofilia acquisita in gravidanza e richiede un approc-

cio multidisciplinare che coinvolga ostetrico, internista, ematologo e reumatologo. Perdita fe-tale ricorrente, pre-eclampsia, IUGR, morte endouterina e trombosi sono le manifestazionicliniche di tale patologia: un’appropriata diagnosi e il relativo trattamento farmacologico e disorveglianza clinica della paziente durante la gestazione sono alla base di un concreto miglio-ramento dell’outcome materno-fetale.

Il riscontro di una positività verso gli anticorpi antifosfolipidi impone un approfondimentodiagnostico verso altre patologie, perchè APLAS può essere primitiva o sovrapporsi al LupusEritematoso Sistemico (LES), patologia autoimmunitaria caratterizzata dalla presenza di anti-corpi antinucleo (ANA), che causano lesioni connettivali a livello di derma, glomeruli renali,articolazioni, sierose e vasi sanguinei.

Da un lato, la gravidanza predispone alla riesacerbazione del LES con lo sviluppo di edemi,proteinuria ed ipertensione, segni di uno stato pre-eclamptico, dall’altro il deposito di immu-nocomplessi, che caratterizza questa patologia, conduce ad un danneggiamento del trofobla-sto, dei vasi utero-placentare ed alla distruzione immunomediata del tessuto di conduzione car-diaco (anticorpi antiRo), causando il cosiddetto blocco cardiaco A-V congenito del feto.

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

Viste le considerazioni fatte, la gravidanza risulta essere una situazione che espone la don-na ad un aumentato rischio tromboembolico; pertanto si rivela di fondamentale importanzala valutazione e la stratificazione delle pazienti in classi di rischio, in modo da poter gestire isingoli casi nel modo più consono possibile. A tal fine l’Ostetrico deve eseguire un’attentaanamnesi familiare e personale della paziente e nel caso riscontri eventi che suggeriscono ilrischio di una trombofilia deve attuare le indagini immunologiche e genetiche necessarie.

Devono essere considerati elementi anamnestici a rischio non solo precedenti trombosivenose profonde, embolie polmonari, ictus e infarti del miocardio, ma anche outcomes oste-trici sfavorevoli, come la perdita fetale ricorrente, una precedente pre-eclampsia, un nato pic-colo per l’età gestazionale, un distacco di placenta, una precedente morte endouterina.

Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists25 (RCOG) afferma che la gravidanza èassociata ad un rischio 10 volte aumentato per lo sviluppo di VTE, comparato con il rischiodi donne non gravide e pertanto ritiene opportuno che sia valutato anamnesticamente il ri-schio trombotico individuale, idealmente prima della gravidanza o in fase precocissima. I fat-tori di rischio che vanno ricercati sono quelli elencati in tabella 1.Tale condotta è solo sugge-rita dal gruppo londinese con grado di raccomandazione di classe C, avendo un livello d’evi-denza IV. Il National Screening Committee UK, ha infatti concluso che non esiste evidenza persupportare lo screening per la trombofilia ereditaria in tutte le donne di età fertile, che veni-va eseguito con la ricerca del fattore V Leiden.Tale posizione, definita nel 2000, è stata con-fermata nel Marzo del 2004 e sarà sottoposta a nuova verifica nel 200627.

Pertanto, vista l’incongruità esistente in letteratura circa la validità dell’esecuzione di unoscreening trombofilico, non esistono protocolli validati che indichino il tipo di analisi da com-piere.

Possiamo quindi suggerire di indagare accuratamente l’anamnesi personale e familiare del-la paziente e nel caso sia presente un precedente evento di carattere tromboembolico o unafamiliarità per tale patologia, oppure ci siano uno o più fattori di rischio tra quelli indicati inTabella 1, è opportuno eseguire uno screening atto ad individuare la presenza di una predi-sposizione genetica o acquisita.

Tra le indagini da eseguire ricordiamo:- Ricerca mutazione PT- Proteina C- Proteina S- APCR- AT III- Omocisteinemia.- Ricerca anticorpi anticardiolipina- LAC

389GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

È possibile eseguire in prima battuta l’APCR e l’omocisteinemia e solo se queste risulta-no aumentate andare a valutare se sono presenti i condizionanti genetici di queste alterazio-ni: rispettivamente la presenza del fattore V Leiden e la mutazione della MTHFR. Una voltaottenuto lo stato di rischio della paziente è necessario stabilire quale sia l’iter terapeutico piùopportuno.

In Letteratura esistono diverse linee guida a riguardo, noi abbiamo considerato di espor-re in questa sede quelle della RCOG del gennaio 200425 e dell’American College of ChestPhysician (ACCP)28 del settembre 2004, che per completezza risultavano essere le più appro-priate.

RCOG25

Tromboprofilassi in gravidanza e puerperio:Tipologia paziente Profilassi in gravidanza Profilassi post-partumnon trombofiliche, No LMWH a dosi profilattichecon precedente VTE per 6 settimane*non trombofiliche, LMWH dosi profilattiche* LMWH a dosi profilattiche*con precedente VTE per 6 settimane“estrogeno-correlata” o BMI>30con più di una precedente VTE/ LMWH dosi profilattiche* LMWH a dosi profilattiche*con una precedente VTE+ per 6 settimaneanamnesi familiare positiva/con precedente VTE in sede “insolita”trombofiliche con precedente VTE LMWH dosi profilattiche* LMWH a dosi profilattiche*

per 6 settimanetrombofiliche senza precedenti VTE LMWH dosi profilattiche* LMWH dosi profilattiche*stratificazione del rischio: per 6 settimaneEterozigoti composti (FVL+PT)Omozigosi FVLOmozigosi PTDeficit AT IIIAltre condizioni+fattore no LMWH dosi profilattiche*di rischio associato (Tabella 1) /warfarin per 6 settimanecon APLAS e precedenti trombosi LMWH dosi profilattiche* LMWH dosi profilattiche

per 6 settimane*con APLAS e precedenti ostetrici negativi LDA LMWH dosi profilattiche

per almeno 3-5gg*, soprattutto seesistono fattori di rischio associati

con 3 o + fattori di rischio (Tabella1) LMWH dosi profilattiche* LMWH dosi profilattiche per almeno 3-5gg*

con 2 fattori di rischio (Tabella1) No LMWH dosi profilatticheper almeno 3-5gg*

* si intendono i valori riportati in Tabella II

Il RCOG pone l’accento sulle donne obese, affermando la necessità di rivalutare la don-na prima o durante il travaglio per il rischio di VTE; l’età superiore ai 35 anni, un BMI > 30, o

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

un peso superiore ai 90 Kg sono importanti fattori di rischio indipendenti per VTE anche do-po un parto per via vaginale. La combinazione di uno di questi con un qualsiasi altro fattoredi rischio (es. pre-eclampsia o immobilità), o la presenza d’altri due fattori di rischio persisten-ti può indurre il clinico a considerare l’uso di LMWH per 3-5gg nel post-partum.

ACCP28:Prevenzione del tromboembolismo venoso in gravidanza:Tipologia paziente Profilassi in gravidanza Profilassi post-partumPrecedente VTE associato a Clinical surveillance Postpartum anticoagulantsfatt. rischio momentaneo,non più presentePrecedente VTE Prophylactic LMWH Postpartum anticoagulants“estrogeno-associato” o presenza di altri fattori di rischio (es. Obesità)Precedente VTE idiopatica Clinical surveillance Postpartum anticoagulants

or prophylactic LMWHPrecedente VTE e trombofilia Prophylactic/intermediate- Postpartum anticoagulantso anamnesi familiare positiva dose LMWHDeficit AT III/eterozigoti Intermediate-dose LMWH Postpartum anticoagulantscomposti (FVL+PT)/omozigosiFVL/omozigosi PT + precedente VTEEpisodi ripetuti di VTE o pz Adjusted-dose LMWH Riprendere terapiain terapia anticoagulante cronica anticoagulante cronicaDeficit AT III/ doppi Prophylactic LMWH Postpartum anticoagulantseterozigoti/omozigoti FVL/omozigotiPT senza precedenti VTEAltre alterazioni trombofiliche Clinical surveillance Postpartum anticoagulantscongenite senza precedenti VTE or prophylactic LMWHTrombofilia congenita LDA+ prophylactic LMWH Postpartum anticoagulants+ aborti ricorrenti/aborto del II trimestre/ pre-eclampsia/distacco di placentaAPLAS e ≥2 aborti precoci/ ≥1 LDA+ prophylactic LMWH noMEU/ pre-eclampsia/ IUGR/distacco placentaAPLAS + storia di VTE Adjusted-dose LMWH + LDA Riprendere la terapiain terapia anticoagulante cronica anticoagulante cronicaAPLAS senza storia di VTE Clinical surveillance or prophylactic noo outcome ostetrici sfavorevoli LMWH and/or LDA (75-162mg/die)Omozigosi MTHFR Folic acid supplements no

Prophylactic LMWH: enoxaparina 40 mg sc/die (sebbene il dosaggio possa richiedere delle mo-dificazioni in caso di pesi estremi)Intermediate-dose LMWH: enoxaparina 40 mg sc/12 hAdjusted-dose LMWH: dose aggiustata sul peso della pz; enoxaparina 1 mg/kg/12 h.

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

Postpartum anticoagulants: warfarin per 4-6 settimane con INR tra 2.0-3.0, con iniziale som-ministrazione di LMWH fino a che INR non sia ≥2.0.Surveillance: vigilanza clinica e indagini aggressive per donne con sintomatologia sospetta pertrombosi venosa profonda o embolia polmonare.

L’ACCP suggerisce anche l’utilizzo di gambaletti elastici a compressione graduata a tuttele donne con precedenti episodi di trombosi venosa profonda.

Anche il RCOG25 suggerisce che tutte le donne con precedente VTE o trombofilia sianoincoraggiate ad indossare gambaletti elastici a compressione graduata di II classe in gravidan-za e per 6-12 settimane dopo il parto, mentre quelli di I classe risultano essere i più adattiper pazienti ricoverate ad aumentato rischio di VTE (immobilità), e nel caso che una donnain gravidanza debba volare.

Riteniamo in merito che l’elastocompressione in gravidanza sia una misura preventiva abasso costo da consigliare comunque a tutte le gravide in modo particolare quando compa-re un fattore di rischio specifico per tromboembolia!

Trattamento di una donna in tromboprofilassi durante il travaglio ed il parto:Il RCOG25 afferma che al momento del travaglio la terapia eparinica non deve più essere

autogestita dalla donna, ma dallo staff medico:- Donne in profilassià continuare LMWH durante il travaglio ed il parto.- Donne in trattamento terapeutico a sospendere la terapia o ridurla ad un dosaggio pro-

filattico il giorno prima dell’induzione del travaglio o del taglio cesareo elettivo.- Per ridurre al minimo il rischio d’ematoma epidurale, tecniche d’anestesia regionale devo-

no essere evitate nelle 12 h successive la somministrazione di una dose profilattica diLMWH, e nelle 24 h successive ad un dosaggio terapeutico. La dose successiva di LMWHnon deve essere somministrata per almeno 4 ore dalla rimozione o l’inserimento del ca-tetere epidurale, il quale non va rimosso entro le 10-12 h dall’ultima dose di LMWH.

- Per quanto concerne il TC, la donna riceve l’ultima dose profilattica il giorno precedentel’intervento; la dose successiva va somministrata 3 ore dopo l’operazione, o 4 ore se èstato utilizzato un catetere epidurale.

- Per donne ad elevato rischio emorragico è utile l’uso di UFH che ha un’emivita minore diLMWH e per la quale l’esperienza con il solfato di protamina è maggiore.

Altra questione dibattuta in letteratura è la profilassi in gravidanza per portatrici di valvo-le cardiache meccaniche; l’American Heart Association29 nel 2003 ha concluso che tali pazien-ti necessitano di uno stretto monitoraggio della terapia con warfarin in gravidanza e che ta-le molecola sostituita con UFH iv tra le 6 e le 12 settimane e nelle ultime due settimane digravidanza è associata ad un basso tasso di embriopatia da warfarin e di sanguinamento nel-la mamma e nel bambino. In tale documento è riportato che donne che ricevono dosi di war-

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

farin ≤5 mg, risultano essere a basso rischio per sviluppare l’embriopatia e possono condur-re tale terapia per tutta la gravidanza, anche se sono necessari ulteriori studi su tale argomen-to; inoltre viene affermato che l’eparina sottocute e LMWH non sono raccomandabili al mo-mento, per tali pazienti.

In contrasto con ciò le linee guida dell’ACCP31 suggeriscono in donne gravide portaticidi protesi meccaniche cardiache adjiusted-dose di LMWH 2 volte al giorno, mantenedo unlivello di anti-Xa a 4h di 1.0-1.2 U/ml, oppure UFH sc ogni 12 h in modo tale da ottenere unaPTT in range terapeutico per tutta la gravidanza, oppure l’uso di UFH o LMWH fino alla 13a

settimana, sostituiti con warfarin fino alla prima metà del terzo trimestre, per poi tornare nuo-vamente a UFH o LMWH, con il ritorno alla terapia anticoagulante a lungo termine dopo ilparto. Queste linee guida suggeriscono anche l’aggiunta di LDA (75-162 mg/die) in caso dialto rischio.

Questo è quanto riportano le più recenti linee guida internazionali in ambito di patologiatromboembolica. In letteratura sono reperibili anche le linee guida canadesi e australiane, chequi sono state omesse perché quelle riportate in precedenza sono apparse le più completee specifiche.

Per quanto ci riguarda, volendo riassumere in un breve schema le indicazioni alla trombo-profilassi in gravidanza possiamo dire:1. elastocompressione a tutte le gravide con anamnesi personale o familiare positiva per

eventi tromboembolici in giovane età o estrogeno correlata, o in caso di immobilità e di-sidratazione, e per tutte le classi successive

2. dosi profilattiche di LMWH in gravidanza e per le 6 settimane post partum: donne contrombofilia congenita “maggiore” (deficit AT III, omozigosi FVL, omozigosi per la mutazio-ne della PT, eterozigoti composti), senza precedenti eventi tromboembolici;

3. altri stati trombofilici, in assenza di precedenti eventi tromboembolici: sorveglianza clinicao LMWH a dosi profilattiche in gravidanza e profilassi eparinica nelle 6 settimane succes-sive al parto;

4. pazienti con trombofilia e precedente evento tromboembolico: LMWH a dosi profilatti-che in gravidanza e nelle 6 settimane post partum (è indicato anche un dosaggio più altoin caso di stati trombofilici “maggiori”: 40 mg ogni 12 h);

5. pazienti non trombofiliche, con precedente VTE “estrogeno associato”, o BMI >30, o anam-nesi familiare positiva: LMWH dosi profilattiche in gravidanza e nelle 6 settimane post par-tum;

6. pazienti non trombofiliche con precedente VTE idiomatico, o associato a condizioni mo-mentanee, non più presenti: sorveglianza clinica in gravidanza e profilassi eparinica nelle 6settimane successive al parto;

7. pazienti trombofiliche con precedenti ostetrici negativi (aborti ricorrenti, aborti del II tri-mestre, pre-eclampsia, distacco di placenta): LDA (low dose aspirin)+ LMWH dosaggio

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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida

profilattico in gravidanza e nelle 6 settimane successive al parto;8. pazienti con APLAS e precedenti outcome ostetrici negativi: LDA e LMWH dosaggio pro-

filattico in gravidanza e LMWH per 3-5gg nel post-partum;9. pazienti con APLAS e precedenti VTE (in terapia anticoagulante cronica): LMWH

1mg/kg/12h e LDA in gravidanza, ripresa della terapia cronica nel post partum;10.pazienti con iperomocisteinemia o variante tremolabile omozigote C677T della MTHFR:

supplementazione di acido folico in gravidanza (5mg/die)30.

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395GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2277TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE

EMERGENZE TROMBOTICHE IN GRAVIDANZA:EPARINIZZAZIONE/TROMBOLISIE TIMING DEL PARTOA. Sartore, M. Costantini, G. Russo, S. Smiroldo, E. Filippi, M. Zanette, P. BogattiDipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università di Trieste, I.R.C.C.S. “Burlo Garofolo”,Trieste

IntroduzioneL’embolia polmonare rappresenta la causa più frequente di mortalità materna1,2 e il trom-

boembolismo venoso in gravidanza costituisce un’importante causa di morbidità non sola-mente per il periodo gravidico o puerperale ma anche sul lungo termine3. È stata riportataun’incidenza variabile in un range di 0.5-3/1000 gravidanze4 che si manifesterebbe in manie-ra pressoché sovrapponibile nei tre trimestri e nel post partum5. Le successive due tabelle ri-portano i fattori predisponenti (Tabella 1) e i fattori di rischio (Tabella II) della gravidanza edel puerperio associati alle manifestazioni tromboemboliche.

Una volta manifestatosi l’evento tromboembolico, un immediato ed adeguato trattamen-to deve essere instaurato per ridurre la morbidità e la mortalità materne associate all’embo-

IPERCOAGULABILITA’ STASI ENDOTELIALI TROMBOFILIA ALTRI

Aumento dei fattori II,V,VII,VIII, IX, X, XII, fibrino-geno

Aumento aggregazionepiastrinica

Diminuzione proteina S,attivatore tissutale del pla-sminogeno, fattori XI eXIII

Aumentata resistenzadella proteina C attivata

Antitrombina normaleo ridotta

Ridotto tono veno-so e aumentodistensibilità vasivenosi

Flusso venosoridotto del 50%negli arti inferiorinel III trimestre

L’utero causa unimpedimento mec-canico al ritornovenoso

Danno vascolare almomento delparto (taglio cesa-reo o parto vagi-nale)

CONGENITA- Deficit di proteinaC o S- Fattore V Leiden- DeficitAntitrombina III-Iperomocisteinemia - Variante del genedella protrombina- Deficit plasmino-geno

ACQUISITA - Sindrome anticor-pi antifosfolipidi- Sindrome nefrosi-ca (bassi livelli At III)

- Pregressa embolia - Età > 35- Obesità- Infezioni- Allettamento- Shock- Taglio cesareo- Parto operativo- Chirurgia pelvicanel peri partum

Tabella 1. Fattori di rischio predisponenti associati alla gravidanza6

lia polmonare, per ridurre l’estensione della trombosi venosa profonda e per ridurre la mor-bidità associata alla sindrome post-trombotica8. È chiaro, quindi, che un’efficace prevenzioneprimaria ed un corretto management dell’evento acuto gravidico costituiscono l’obiettivo prin-cipale da realizzare nell’ottica di limitare al massimo le sequele materne e feto-neonatali cuitale patologia è associata.

I cumarinici attraversano la placenta e il loro uso in gravidanza è controindicato1, in quan-to associato a teratogenesi ed emorragia9.

Per molti anni le eparine non frazionate (UFH: unfractionated heparin) hanno costituito ilgold standard profilattico e terapeutico anticoagulante in gravidanza10. Attualmente, le epari-ne a basso peso molecolare (LMWH: low-molecular-weight heparin) hanno sostituito le UFHsia nella prevenzione che nel management dell’episodio embolico acuto in gravidanza11, seb-bene la maggior parte degli studi inerenti alla loro efficacia derivi da popolazioni di non gra-vide1,12.

I vantaggi delle LMWHs rispetto alle UFH sono molteplici. Innanzitutto, determinano unminor rischio di sanguinamento perché aumentano il rapporto fra fattore antitrombotico an-ti-Xa e fattore anticoagulante anti-IIa; sono stabili e prevedibili da un punto di vista farmaco-cinetico avendo un’aumentata biodisponibilità ed emivita plasmatiche e rendendo la sommi-nistrazione terapeutica più agevole e con un monitoraggio terapeutico meno indaginoso; l’at-

396 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

PREESISTENTI TRANSITORIE O AD ESORDIO EX NOVO

- pregressa tromboembolia- trombofilia congenita- deficit antitrombina- deficit proteina C- deficit proteina S- fattore V Leiden (resistenza alla proteina C attivata)- variante del gene della protrombina- sindrome da anticorpi antifosfolipidi- lupus anticoagulant- anticorpi anticardiolipina- età materna > 35 anni- obesità (BMI > 30)- parità > 4- grosse varici- paraplegia- malattie infiammatorie croniche- sindrome nefrosica- malattie mieloproliferative (ex. policitemia vera, trom-bocitosi essenziale)

- procedure chirurgiche in gravidanza o in puerperio- iperemesi- disidratazione- iperstimolazione ovarica- infezione severa (ex. pielonefrite)- immobilità (allettamento > 4 giorni)- pre-eclampsia- eccessiva perdita ematica- viaggi aerei intercontinentali- travaglio prolungato

Tabella II. Fattori di rischio per tromboembolismo venoso in gravidanza e nel puerperio7

397GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

tivazione piastrinica è minore con un ridotto legame al fattore 4 piastrinico, che induce rara-mente trombocitopenia13,14. Inoltre, con le LMWHs si abbatte la quota del 2% di fratture pa-tologiche su base osteoporotica eparino-indotte13,15.

La maggior parte delle linee guida internazionali sulla prevenzione e trattamento del trom-boembolismo venoso in gravidanza indicano nelle LMWHs il gold standard farmacologico el’eparina a basso peso molecolare maggiormente utilizzata è l’enoxaparina1. A tale molecola,quindi, si farà riferimento successivamente nella trattazione dell’approccio terapeutico del-l’evento acuto.

Pochissimi dati sono invece disponibili in letteratura riguardo l’utilizzo di agenti tromboli-tici in gravidanza, tanto che la gravidanza e il post partum sono generalmente considerati unacontroindicazione alla trombolisi16. Saltuarie segnalazioni possono essere trovate sull’utilizzodi cateteri guidati a livello del trombo con iniezione locale di attivatore tissutale del plasmi-nogeno ricombinante umano, con successiva angioplastica ed eventuale posizionamento distent, ma tale presidio terapeutico è tutt’ora nella fase di studio pilota16.

DiagnosiEvento tromboemobolico

Qualsiasi donna con segni e sintomi suggestivi di tromboembolia acuta deve essere valu-tata subito con test diagnostici adeguati per evitare rischi, inconvenienti e costi di un tratta-mento anticoagulante inappropriato. Ogni presidio ospedaliero dovrebbe disporre di proto-colli concordati a livello interdisciplinare per una diagnosi obiettiva di un evento tromboem-bolico sospetto (grado di raccomandazione B)17. La valutazione clinica soggettiva di trombosivenosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP) è inaffidabile, poiché meno della metà del-le donne cui è stata sospettata tale patologia ha una conferma diagnostica strumentale.- Segni e sintomi di TVP: dolore o discomfort all’arto inferiore interessato, specie il sinistro,

che risulta tumefatto e caldo; dolore addominale nei quadranti inferiori; leucocitosi- Segni e sintomi di EP: dispnea, collasso, emottisi, astenia, aumento della pressione venosa

centrale, segni focali a livello polmonare, segni e sintomi di TVP.Dal momento che questi segni e sintomi sono comuni in una gravidanza fisiologica, per

evitare un inutile trattamento in un falso positivo si dovrebbe prontamente ricorrere alla dia-gnostica per immagini (ultrasonografia Doppler o venografia) e ad una radiografia del torace,che, qualora risultasse sospetta, dovrebbe essere completata da un’indagine più approfondi-ta (RMN, scintigrafia polmonare, angiografia).

Evento tromboticoSe la dopplersonografia risultasse suggestiva per TVP, la terapia anticoagulante dovrebbe

essere iniziata immediatamente. Nel caso di fondato sospetto clinico senza conferma stru-

398 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

mentale, la terapia dovrebbe essere mantenuta per una settimana, per ripetere il Doppler ve-noso; se quest’ultimo risultasse ulteriormente negativo, la terapia potrebbe essere sospesa18

(livello di evidenza IV).L’utilizzo del D-dimero come test di screening nelle donne non gravide è attualmente ac-

cettato grazie al suo elevato valore predittivo negativo. In gravidanza, solamente bassi livelli diD-dimero consentono una diagnosi di esclusione o di scarsa probabilità, mentre valori eleva-ti devono spingere ad approfondimenti diagnostici, ma non sono dirimenti per una diagnosidi certezza.

Trattamento iniziale dell’evento tromboembolicoIn un sospetto clinico di TVP o EP il trattamento con UFH o con LMWH dovrebbe esse-

re somministrato fino ad avere una diagnosi di esclusione con test strumentali, a meno chela terapia non sia fortemente controindicata (grado di raccomandazione A)17.

I regimi terapeutici dovrebbero prevedere le seguenti modalità di somministrazione: infu-sione endovenosa continua di UFH, iniezioni sottocutanee di UFH o iniezioni sottocutanee diLMWH.

Infusione endovenosa continua di UFHCostituisce il metodo tradizionale di terapia dell’evento acuto e rimane il trattamento

d’elezione nei casi di massiva EP per il suo rapido effetto e per la ricchezza di studi a suo ca-rico12,19,20. Il regime di somministrazione dovrebbe essere il seguente:- dose carico di 5000 UI, seguite da un’infusione continua di 1000-2000 UI sulla base dei

test laboratoristici eseguiti almeno quotidianamente (il monitoraggio dovrebbe essere at-tuato tramite l’APTT, che deve essere mantenuto a 1.5-2.5 volte rispetto i valori dei con-trolli21; il range da ottenere per il livello dell’anti Xa dovrebbe essere in questa situazione0.35-0.70 UI/ml);

- iniziale concentrazione di infusione di 1000 UI/ml;- misurazione dei livelli di APTT ogni 6 ore dopo la dose di carico; dopo almeno una volta

al giorno. Il dosaggio dovrebbe essere aggiustato per raggiungere il target terapeutico en-tro 24 ore.Come detto, l’utilizzo della UFH in gravidanza potrebbe determinare fratture osteoporo-

tiche e reazioni cutanee allergiche.

Somministrazione sottocutanea di UFH.La somministrazione sottocutanea di UFH è altrettanto efficace rispetto all’infusione en-

dovenosa nel management iniziale del tromboembolismo (grado di raccomandazione A)17.

399GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

LMWHLe LMWH sono più efficaci rispetto alle UFH con minore tasso di mortalità e minori com-

plicazioni emorragiche nelle donne non gravide nel trattamento delle TVP ed altrettanto ef-ficaci rispetto alle UFH nel trattamento dell’EP (grado di raccomandazione A)17. La confermadi quanto riportato viene da uno studio randomizzato e controllato22, da due metanalisi distudi randomizzati23,24 e da una recentissima review1. Riguardo alla sicurezza, i dati inerenti altrattamento acuto sono desunti dal largo impiego che ormai si fa come profilassi in gravidan-za, sebbene, come capita spesso per farmaci utilizzati in gravidanza, non vi sia ancora un’indi-cazione specifica25. I dati più corposi sono a carico dell’enoxaparina (Clexane®) e a questamolecola si farà riferimento per ciò che concerne il trattamento.

Nelle donne non gravide viene raccomandato un regime terapeutico che preveda la som-ministrazione di 1.5 mg/kg di enoxaparina in unica somministrazione giornaliera. Per ciò checoncerne la gravidanza, a causa di alcune modificazioni di farmacocinetica, viene raccoman-dato un dosaggio di 1 mg/kg di enoxaparina due volte al dì.

In linea di massima, la dose iniziale di enoxaparina può essere quella illustratata nella TabellaIII. L’enoxaparina è presente in siringhe da 40, 60, 80 e 100 mg, per cui dovrebbe essere se-lezionato il dosaggio più vicino al peso pregravidico o al peso ad inizio gravidanza della pa-ziente da trattare.

Tabella III. Dosaggio iniziale di enoxaparina nel trattamento degli eventi tromboembolici acuti durante la gravidanzaPeso pre-gravidico Dosaggio iniziale di enoxaparina< 50 kg 40 mg due volte al dì50-69 kg 60 mg due volte al dì70-89 kg 80 mg due volte al dì> 90 kg 100 mg due volte al dìNB: si ricorda che 1 mg = 100 UI

Nel management iniziale di una TVP, gli arti inferiori dovrebbero essere alzati e sottopo-sti a compressione elastica graduata. Importante, naturalmente, la mobilizzazione. Se vieneespletato il parto, soprattutto nelle donne con eventi tromboembolici ricorrenti, può essereutilizzato un filtro cavale temporaneo, cui si può ricorrere nel caso di controindicazioni all’uti-lizzo dell’anticoagulante. In alcuni centri attrezzati, la terapia trombolitica, la frammentazionedel trombo con catetere percutaneo o l’embolectomia chirurgica possono essere prese inconsiderazione, ma attualmente non vi sono indicazioni sul loro utilizzo in gravidanza.Naturalmente, nel caso di TVP con rischio di gangrena, il ricorso alla chirurgia potrebbe nonessere differibile.

VALUTAZIONE DI BASE PRIMA DI INIZIARE UN TRATTAMENTO ANTICOAGULANTEEsame emocromocitometrico con conta dei leucociti, prove emogeniche complete e

400 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

screening trombofilico dovrebbero essere eseguiti prima di iniziare un trattamento anticoa-gulante. Accanto a queste prove mirate, è fondamentale la valutazione della funzionalità re-nale (dosaggio dell’azotemia), epatica e degli elettroliti, poiché un’alterazione a questo livellopuò compromettere il successo terapeutico. Sebbene i risultati dello screening trombofiliconon alterino la condotta terapeutica dell’evento acuto, possono modificare l’impostazione deidosaggi totali e della durata sul medio-lungo termine.

TRATTAMENTO DI MANTENIMENTO PER TVP O EP- Terapia anticoagulante orale in gravidanza

Dopo l’iniziale eparinizzazione dei pazienti affetti da tromboembolia, nelle donne non gra-vide la terapia anticoagulante viene mantenuta per os. Gli anticoagulanti orali attraversano inmodo brillante la placenta, determinando una caratteristica embriopatia nel I trimestre (ipo-plasia nasale), anomalie del sistema nervoso centrale ed emorragia fetale. È chiaro ed eviden-te che la terapia orale in qualsiasi trimestre della gravidanza è da proscrivere.

- Terapia di mantenimento con eparinaLa terapia sottocutanea con UFH o LMWH è altrettanto efficace rispetto alla terapia ora-

le nel trattamento di mantenimento di un episodio tromboembolico (grado di raccomanda-zione A)17.

DURATA DELLA TERAPIANelle donne non gravide la durata della terapia con anticoagulanti è in genere di 6 mesi.

Dal momento che la gravidanza è associata ad uno stato protrombotico per le modificazio-ni emodinamiche soprattutto a carico del circolo venoso e della cascata coagulativa, è pru-dente estendere la terapia di mantenimento a questo intervallo. Se l’evento tromboemboli-co si è manifestato precocemente nella gravidanza e i test sierologici non hanno evidenziatouno stato trombofilico, il dosaggio della UFH o delle LMWH può essere portato a livelli diprofilassi (ad ex. 40 mg di enoxaparina una volta al giorno o 10.000 UI di UFH ripartite indue somministrazioni giornaliere). Dopo il parto il trattamento dovrebbe proseguire per al-meno 6-12 settimane. È possibile uno shift verso la terapia orale (ad ex. Warfarin), poichénon è controindicata con l’allattamento.

TERAPIA ANTICOAGULANTE DURANTE IL TRAVAGLIO DI PARTOLa donna deve essere avvisata che la terapia anticoagulante deve essere sospesa una vol-

ta che la donna si presenta in sala parto. Se un travaglio di parto viene indotto, è opportunoridurre ad un dosaggio profilattico la terapia anticoagulante il giorno prima dell’induzione econtinuare tale dosaggio fino all’espletamento del parto, per poi riportarsi ai dosaggi terapeu-tici. Un’eventuale analgesia epidurale deve essere presa in considerazione solo dopo consul-

401GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

to con un’anestesista esperto. Nel caso di un taglio cesareo elettivo, si opta per un dosaggioprofilattico il giorno prima dell’intervento, tralasciando la somministrazione del mattino (quan-do la donna viene operata) che va somministrato dopo 3-4 ore dal taglio cesareo. Il dosag-gio terapeutico va ripristinato alla sera, a fronte di un rischio di ematoma della ferita di circail 2%. Per tale motivo, è utile lasciare in sede un piccolo drenaggio e chiudere la breccia cu-tanea con agraphes.

PREVENZIONE DELLA SINDROME POST-TROMBOTICALa compressione graduata con calza elastica deve essere mantenuta sull’arto affetto per

almeno due anni dall’episodio acuto.

ConclusioniRACCOMANDAZIONI CHIAVE17

Qualsiasi donna con segni e sintomi suggestivi di TVP e/o EP dovrebbe essere rapidamen-te sottoposta a test diagnostici per evitare i rischi, gli inconvenienti ed i costi di un inappro-priato trattamento anticoagulante. Ogni ospedale dovrebbe avere un protocollo ad hoc (gra-do di raccomandazione B).

Nel sospetto clinico di una TVP e/o EP il trattamento anticoagulante con UFH o LMWHdovrebbe essere iniziato, a meno che non vi siano forti controindicazioni, finchè i test diagno-stici non abbiano escluso l’evento (grado di raccomandazione A).

L’UFH sottocutanea è altrettanto efficace rispetto alla UFH somministrata a livello endo-venoso (grado di raccomandazione A).

Le LMWH sono più efficaci rispetto alle UFH perché presentano un minor tasso di mor-talità e minori complicazioni emorragiche nei soggetti non in gravidanza. Sono altrettanto ef-ficaci nel trattamento dell’EP (grado di raccomandazione A).

Durante la gravidanza le LMWH e le UFH in somministrazione sottocutanea sono altret-tanto efficaci nella terapia di mantenimento di un tromboembolismo venoso rispetto alla te-rapia orale, senza i devastanti effetti collaterali fetali cui quest’ultima è associata (grado di rac-comandazione A).

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402 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto

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403GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2288TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE

GESTIONE MULTIDISCIPLINAREDELLA CIDV. Soini, R.Tercolo, M. Costantini, P. Lanza, S. Inglese, M.Vessella, S. SaccoDipartimento Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

IntroduzioneIl primo vero problema nei riguardi della CID (coagulazione intravascolare disseminata) è

la definizione. Si tratta di una patologia che ogni medico deve conoscere e temere, in consi-derazione del fatto che solo una diagnosi tempestiva e corretta può salvare la vita del pazien-te. Si verifica in un’ampia varietà di complicanze ostetriche ed è caratterizzata da un disordi-ne trombo-emorragico associato a sindromi organiche ben definite e alterazione dei para-metri della coagulazione, con attivazione di sostanze ad azione procoagulante, attivazione delsistema fibrinolitico e consumo dei fattori della coagulazione. La possiamo meglio definire co-me una sindrome caratterizzata dall’attivazione massiva del sistema coagulativo, con forma-zione di grandi quantità di trombina e precipitazione del fibrinogeno sottoforma di trombi difibrina. Nella CID si ha quindi la coesistenza da un lato, di una coagulazione intravasale pato-logica e dall’altro, un’esaltata fibrinolisi a livello della microcircolazione periferica. Il risultato èun grave difetto emocoagulativo aggravato dall’azione anticoagulante degli FDP. A seguito delconsumo dei fattori della coagulazione e dell’attivazione del sistema fibrinolitico, tale condi-zione può esitare, paradossalmente, in gravissime complicanze emorragiche, con consumo delfibrinogeno, delle piastrine e di altri fattori della coagulazione. È da sottolineare il fatto che laCID è sempre un fenomeno secondario, che segue sempre all’innesco di un’attività coagula-tiva generalizzata. Come vedremo più avanti, le manifestazioni cliniche possono oscillare dalievi disordini della coagulazione, evidenti solo ai test di laboratorio, ad emorragie massive edincontrollabili, con livelli molto bassi di fibrinogeno e piastrine. La mancata prevenzione o dia-gnosi precoce di CID rappresenta una delle cause principali di inadeguato trattamento nelledonne che muoiono di emorragia ostetrica e, nonostante i progressi dell’assistenza ostetricae dei servizi di ematologia, l’emorragia associata a CID rappresenta una delle maggiori causedi mortalità e di morbilità materna.

IncidenzaA causa della vastità delle complicanze ostetriche che possono accompagnarsi ad una CID

404 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

e della variabilità della gravità del fenomeno, è impossibile citare una incidenza media dellapatologia, ma l’incidenza di CID grave con emorragia incontrollabile è stimata intorno allo 0,1%di tutte le gravidanze.

Non esistono studi basati sulla popolazione o studi controllati sulle coagulopatie in gravi-danza, a causa dei piccoli numeri che vengono osservati da ciascun dipartimento. L’incidenzadi CID in rapporto alle varie complicanze è molto variabile, poiché vengono utilizzati spessocriteri diagnostici differenti.

EtiologiaLa gravidanza può costituire una condizione predisponente alla CID in quanto si realizza-

no fisiologiche modificazioni della crasi ematica e coagulativa che aumentano la probabilitàd’insorgenza e la gravità di una CID.

Il meccanismo patogenetico della CID in ostetricia può essere innescato da molteplici cau-se: la presenza in circolo di sostanze ad azione procoagulante, un danno endoteliale dei pic-coli vasi o la presenza di fosfolipidi procoagulanti, che vengono liberati in risposta ad emolisiintravascolare, sono pertanto tre i fattori che giocano un ruolo importante nell’etiologia del-la CID.

Condizioni cliniche non ostetriche correlate alla CID in base al meccanismoeziopatogenetico1. Immissione in circolo di attivatori della protrombina:- Condizioni ostetriche (embolia di liquido amniotico aspirato dopo il parto, distacco pre-

coce di placenta, atonia con emorragia post-partum, aborto settico, ritenzione di feto mor-to, aborto da cloruro di sodio, ecc);

- Interventi su organi ricchi di trombochinasi, per es. sul polmone, pancreas, prostata, pla-centa (4P);

- Emolisi grave, per es. per incompatibilità trasfusionale;- Veleno di serpente;- Stati neoplastici terminali con liberazione in circolo di sostanze tromboplastinosimili, nel-

le leucemie.

2. Attivazione della coagulazione tramite mediatori:- Endotossine di batteri gram negativi in gravide;- Sindrome di Waterhouse Friderichsen (coagulopatia da consumo con emorragia cutanea,

405GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

shoch, rigidità nucale ed emorragie cutanee e surrenali nella sepsi da Meningococco);- Coagulopatia da consumo nella setticemia da batteri gram negativi;- Porpora fulminante: affezione acuta, con microtrombi vasale post-infettiva con emorragie

cutanee estese e simmetriche della cute e necrosi centrale e CID.

Condizioni ostetricheDanno dell’endotelio vascolare- Pre- eclampsia- Shock ipovolemico- Shock settico

Rilascio di fattori tromboplastinici tissutali- Distacco di placenta normoinserita- Embolia di liquido amniotico- Ritenzione di feto morto- Corionamnionite- Mola idatiforme- Placenta accreta- Soluzione fisiologica ipertonica per indurre un aborto- Statosi epatica acuta

Produzione di fosfolipidi procoagulanti- Emorragia feto- materna- Incompatibilità trasfusionale- Setticemia- Emolisi intravascolare

In definitiva, la penetrazione in circolo di fattori tromboplastinici, la presenza di fosfolipidiprocoagulanti o un danno endoteliale provocano la conversione della protrombina circolan-te a trombina, quindi la precipitazione del fibrinogeno sotto forma di trombi di fibrina spe-cialmente nei piccoli vasi periferici di tutti gli organi e tessuti.

La presenza di tali microtrombi attiva localmente i processi fibrinolitici, che attaccano en-zimaticamente la fibrina e tendono a restaurare la pervietà vascolare.

Una volta che la CID è iniziata, si innesca un circolo vizioso, con ulteriore consumo deifattori della coagulazione, delle piastrine e peggioramento del sanguinamento, fino a che nonsi corregge la causa scatenante.

406 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

RischiI rischi materni e fetali da coagulopatia, in termini di mortalità e morbilità sono paragona-

bili a quelli che si riscontrano nelle emorragie ostetriche maggiori.

Rischi materni:- Morte: 5,5 casi per milione di gravidanze. Questo rischio aumenta con la parità e l’età ma-

terna sino a 20 per milione di gravidanze nel gruppo di età superiore a 35 anni.- Morbilità maggiore.- Morbidità iatrogena da sovraccarico idrico, da reazioni avverse alle trasfusioni, dal catete-

rismo venoso centrale. L’errore medico più comune, tuttavia, deriva da una sottostima del-la perdita ematica, con conseguente insufficiente apporto di liquidi nelle fasi iniziali.

- Anemia.- Sindrome di Sheehan in quanto una grave emorragia può provocare ipopituitarismo per-

manente per necrosi avascolare dell’ ipofisi.- Riduzione della fertilità per diverse cause: isterectomia, lesioni del tratto genitale che han-

no richiesto altri interventi chirurgici, formazione di aderenze uterine ed infezioni secon-darie con occlusione delle tube. A causa dell’ esperienza traumatica, inoltre, molte di que-ste pazienti non vogliono portare avanti un’ altra gravidanza, anche quando la CID ha por-tato a decesso del nascituro.

Rischi fetali:- Mortalità dovuta ad asfissia- Ipossia cerebrale- Complicanze associate alla prematurità

Qui di seguito faremo un cenno delle principali cause ostetriche che possono creare unsubstrato per l’instaurarsi dei una CID mentre nel capitolo inerente la terapia prenderemo inesame il trattamento terapeutico di ciascuna causa qui sotto riportata.

DISTACCO DI PLACENTAIl DIPNI resta la causa più comune di coagulopatie in ostetricia e si correla al grado di se-

parazione placentare ed allo shock ipovolemico. Nei distacchi gravi con morte del feto, si os-serva grave ipofibrinogenemia (stadio 3 della CID) nel 35%-38% dei casi e questa incidenzaè molto inferiore in caso di feto vivo. Gli stadi precoci di CID sono molto comuni in presen-za di distacchi lievi e moderati, ma possono di solito essere corretti se si procede rapidamen-te all’ espletamento del parto per via addominale.

Il meccanismo iniziale è rappresentato dal rilascio di sostanze tromboplastiniche, ma neicasi di shock ipovolemico da distacco grave, la situazione è peggiorata dai livelli elevati di pro-dotti di degradazione della fibrina, che agiscono essi stessi da anticoagulanti. Il 10% delle pa-

407GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

zienti con DIPNI mostrano anormalità coagulative significative, lo stillicidio continuo o sangui-namento dal naso e dalle gengive può far sospettare la complicanza coagulativa. L’emorragiapostpartum è la causa più frequente di morte nelle pazienti con DIPNI.

Alcuni studi hanno dimostrato che la valutazione ecografica ed il dosaggio della trombo-modulina (che risulta aumentata) risultano essere a volte mezzi diagnostici. Gli FDP sono im-portanti perché hanno un’azione anticoagulante, inibiscono l’attività miometriale, hanno un ef-fetto cardiotossico in dosi elevate ed infine sono associati ad emorragia postpartum severasoprattutto in donne con DIPNI.

In ogni caso è controindicata l’anestesia locale o analgesia perché può peggiorare la con-dizione di ipovolemia causando l’espansione del letto vascolare degli arti inferiori risultantedal blocco regionale.

EMBOLIA DI LIQUIDO AMNIOTICOQuesto disastro ostetrico avviene per lo più durante il travaglio con sacco amniotico in-

tegro, talora durante un taglio cesareo o immediatamente dopo il parto. Comporta una mor-talità materna superiore al 60% nelle pazienti sintomatiche ed è la causa del 10-20% di tuttele morti materne (5° causa di morte materna nel Regno Unito, 3° causa in Francia). In un’al-ta percentuale (oltre il 50%) le sopravvissute presentano sequele neurologiche. Si ritiene cheil liquido amniotico penetri in circolo attraverso soluzioni di continuo della placenta e/o delsegmento uterino inferiore, provocando trombi piastrinici nei vasi polmonari e grave insuffi-cienza cardio-respiratoria. In questa fase la mortalità è molto elevata, ma se la paziente supe-ra l’insulto iniziale svilupperà una CID massiva, con livelli ematici non dosabili dei fattori dellacoagulazione. La diagnosi può essere confermata postmortem tramite il rilevamento di liqui-do amniotico e squame fetali all’interno del circolo polmonare materno, e pertanto l’inciden-za dei casi a prognosi infausta è difficile da definire, dal momento che la diagnosi è solo sug-gestiva e non può essere provata.

In realtà il riscontro di materiale fetale a livello dei vasi polmonari non è più patognomo-nico di embolia polmonare da quando si sono avuti casi di riscontro dello stesso in pazientinon andate incontro ad embolia polmonare da liquido amniotico. Occasionalmente sostanzedi origine fetale possono essere aspirate dal catetere PVC o rilevate a livello dello sputummaterno. L’obiettivo terapeutico principale è mantenere la circolazione sistemica fino a che larisposta fibrinolitica dell’endotelio non elimina la trombina intravascolare a livello polmonare.

RITENZIONE DI FETO MORTODopo il riscontro diagnostico di una morte intrauterina si osserva una graduale riduzio-

ne dei fattori della coagulazione, che sono rilevabili ai test di laboratorio dopo circa 3- 4 set-

408 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

timane. Circa l’80% della pazienti con un feto morto ritenuto andrà incontro a travaglio spon-taneo entro 3 settimane, ma il 30% di quelle che non partoriscono entro 4 settimane andràincontro ad una CID di basso grado (compensata), che può però sfociare in una forma trom-boemorragica acuta.Tessuto necrotico fetale e sostanze di tipo tromboplastinico, provenien-ti dall’autolisi fetale, vengono rilasciate nella circolazione sistemica materna determinando l’attivazione dei sistemi coagulativo e fibrinolitico con conseguente CID e coagulopatia da con-sumo.

La condizione è oggi molto più rara, dal momento che la conferma della morte endou-terina viene effettuata tramite ecografia, i test della coagulazione sono controllati regolarmen-te e l’induzione del travaglio viene effettuata molto prima che siano trascorse 3- 4 settima-ne. In queste pazienti a travaglio avviato viene consigliata la rottura del sacco amniotico per-ché si è visto che c’è un rischio aumentato di travaglio precipitoso ed embolia da liquido am-niotico. In caso di ritenzione di singolo feto morto in gravidanze pretermine plurigemine percondizioni cliniche di vario genere (esempio: disordini genetici, sindrome di trasfusione feto-fetale) la discoagulopatia in realtà riguarda il feto rimanente più che la madre. La risoluzionead eventuale insorgenza, seppur di fasi iniziali, di CID è sicuramente una diagnosi precoce dimorte fetale e successivamente espletamento del parto

PRE-ECLAMPSIASebbene etiologia e patogenesi di questa condizione non siano ben definite, lo sviluppo

della sindrome conosciuta come pre-eclampsia sembra derivare da un danno endoteliale ge-neralizzato, provocato da fattori rilasciati in circolo dalla placenta. Lo stimolo per il rilascio ditali fattori è dato dall’insufficienza utero- placentare e dall’ ischemia placentare ed il danno en-doteliale diffuso spiega la varietà di organi coinvolti, compreso il sistema della coagulazione.

I disturbi precoci sono rappresentati da una riduzione della conta piastrinica in una pa-ziente altrimenti asintomatica, a causa del danno endoteliale, del consumo delle piastrine ma-terne ed aumento degli FDP.

A seconda della severità del quadro clinico avremo approcci diversi.

SEPSIQuesta è una complicanza ostetrica che sta scomparendo però, se non riconosciuta e

prontamente trattata, può portare a decesso della paziente.Lo shock endotossico può seguire a corionamnionite, aborto settico, infezioni endouteri-

ne del post- partum e quindi scatenare una discoagulpatia imporatnte. I germi isolati comu-nemente sono Gram negativi, sebbene si possano anche incontrare Clostridium welchi eBacteroides soprattutto in corso di aborto settico.

409GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

In tale condizione una CID può attivarsi attraverso due meccanismi diversi, a seconda chei germi in causa siano Gram+ oppure Gram-. Nel primo caso si realizza una distruzione gra-nulocitaria con liberazione di elastasi e di tromboplastina che determinano, rispettivamente,riduzione dell’ attività dell’ antitrombina III e attivazione della coagulazione. In caso di sepsida Gram-, il danno è mediato da endotossine, con distruzione leucocitaria, lesione vasale en-doteliale e conseguente aggregazione piastrinica, attivazione della coagulazione ed eventualeCID.

Successivamente, possono comparire emolisi intravascolare secondaria, con ematuria edoliguria caratteristiche, emolisi microangiopatica con il possibile sviluppo di lesioni cutanee si-mili alla porpora. Sepsi, ipotensione ed anomalie della coagulazione sono segni prognostici ne-gativi per l’ instaurarsi di una coagulopatia da consumo.

La trasfusione di sangue ha effetto quasi nullo in questa condizione rispetto a quello cheaccade nelle condizioni ostetriche complicate da CID scatenata dallo shock ipovolemico.

PURPURA FULMINANSÈ una rara condizione che si presenta per lo più in puerperio ed è aggravata solitamente

da una setticemia da Gram negativi. Si pensa ci sia un’attivazione del sistema coagulativo condeposizione di trombi di fibrina a livello dei vasi cutanei e di altri organi; si manifesta inizial-mente a livello del volto e degli arti sotto forma di macchie color porpora a margini frasta-gliati eritematosi che istologicamente sono sede di vasculite leucocitoclastica. La rapida evo-luzione di questa patologia porta a shock, tachicardia, febbre ed anche a morte, se non trat-tata per tempo, anche se le pazienti sopravvissute sono comunque a rischio di andare incon-tro ad amputazione di dita o arti a seguito di lesioni gangrenose e necrosi degli stessi.

L’associazione CID e leucocitosi è segno laboratoristico di purpura fulminans. Non appe-na si ha il sospetto di questo tipo di diagnosi si dovrebbe iniziare una terapia con eparina perevitare l’ ulteriore consumo dei fattori della coagulazione.

Altri fattori di rischioAltre condizioni rare, in gravidanza, ma che possono essere associate a CID e ad altera-

zioni della coagulazione comprendono l’ aborto indotto con soluzione fisiologica ipertonica,la steatosi epatica acuta gravidica ed altri disordini epatici.

La mole idatiforme e la placenta accreta si associano a CID in seguito alla perdita dell’ in-tegrità della decidua basale, che facilita il passaggio di liquido amniotico e di altre sostanzetromboplastiniche nel circolo materno.

L’ accretismo placentare, che rappresenta un altro fattore di rischio, (condizione frequen-

410 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

temente associata a placenta previa o casi di pregresso taglio cesareo e quindi cicatrice ute-rina) si manifesta nella quasi totalità dei casi con emoraggia massiva, durante un secondamen-to difficoltoso, da cui appunto si può innescare il meccanismo della CID. Il trattamento con-siste nell’isterectomia d’urgenza o nell’embolizzazione arteriosa, metodo quest’ultimo conser-vativo ma utilizzato in rari casi.

Ricordiamo inoltre la trasfusione di sangue incompatibile, le vaste emorragie feto-mater-ne e altre cause di emolisi intravascolare, quali reazioni a farmaci e uso di altri liquidi di man-tenimento.

La statosi epatica gravidica (AFLP) è associata frequentemente ai diversi stadi della CID;la diagnosi e il suo trattamento precoce sono essenziali per il miglioramento della sopravvi-venza della madre e del feto. Si è notato che prima dell’insorgenza dei sintomi conclamati del-la malattia si ha la comparsa di alterazioni dei parametri ematochimici (trombocitopenia conneutrofilia) tra i quali si evidenziano valori molto bassi di ATIII. In effetti il trattamento dell’ALFP e della conseguente CID comprende la somministrazione di ATIII concentrata; in talicondizioni la somministrazione di eparina può essere molto dannosa.

CLINICAIl quadro clinico della CID dipende dall’entità del disturbo emocoagulativo, dalla velocità

con cui si instaura, nonché dallo stadio e dalla severità della sindrome.Dal punto di vista clinico particolarmente temibile in ostetricia è la sintomatologia emor-

ragica, secondaria appunto a coagulopatia da consumo. Può trattarsi di un sanguinamento sub-dolo, persistente (tipico delle sindromi a prevalente componente fibrinolitica), oppure di unacomplicanza emorragica acuta.

Il sanguinamento può pervenire da vie vascolari aperte come la cavità uterina dopo il di-stacco della placenta, totale o parziale, da lacerazioni occorse durante il parto, da incisioni chi-rurgiche oppure dalle sedi di esecuzione di punture.

Emorragie possono insorgere anche spontaneamente sotto forma di petecchie, ecchimo-si, epistassi, ematuria.

Il malato presenta shock, polso piccolo e frequente, agitazione, pallore, sudorazione fred-da e labbra cianotiche; possibilmente ha delle petecchie e/o porpora emorragica, ossia dellemacchie che sembrano “piccoli nevi puntiformi” diffusi in tutto il corpo, mentre si manifesta-no emorragie. Più raramente possiamo avere acrocianosi periferica, trombosi e alterazioni pre-gangrenose delle dita, del naso e dei genitali aree in cui il flusso sanguigno è ridotto dal vaso-spasmo o dai microtrombi.

A seconda dei distretti interessati possiamo inoltre avere sintomi:- neurologici: coma, delirio, convulsioni

411GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

- renali: oliguria, anuria- gastrointestinali: ematemesi, melena- epatici: ittero- polmonari: dispnea

La CID in ostetricia può presentarsi in forma latente, in assenza di sintomatologia e di de-ficit emostatico o in forma manifesta oppure associata a complicanze gravi o a shock.Nella CID riscontriamo tre fasi:1. Fase pre-CID: presenza di malattie e stati a rischio2. Fase della CID: alterazioni di laboratorio e diatesi emorragica3. Fase post-CID: ipercoagulabilità reattiva, ma via via non si rilevano i prodotti di degrada-

zione del fibrinogeno che in un primo memento sono presentati ad alto dosaggio.

Nel luglio 2001, l’International Society on Thrombosis and Haemostasis ha proposto un al-goritmo per valutare se il paziente è affetto da CID:

1 Disordine sottostante già noto associato a CID SI NO2 continua stop3 Conta piastrinica: >100=0; se <100= 1; se <50=24 Fibrina solubile/ D dimero se normale= 0; d= 2; dd=35 Incremento del PT se < 3s= 0; se 3-6s=1; >6s=36 Fibrinogeno se >1g/l= 0; se <1g/l =1

7 SOMMARE LO SCORE

- Se > 5 CID manifesta e si ripete la valutazione,- Se < 5 ma > 0 CID non confermata, si ripete al entro 1, 2 giorni.

Nelle forme acute si osservano emorragie profuse (uterine, cutanee o mucose), incoagu-labilità del sangue secondaria a diminuzione del fibrinogeno circolante con ditruzione quasicompleta mentre nelle forme croniche o sub-acute i fenomeni emorragici sono scarsi o ad-dirittura assenti.

I STADIO II STADIO III STADIOForma compensata Forma scompensata Forma altamente scompensata

(pre-eclampsia e sdr correlate) (DIPNI, pre-eclampsia grave) (DIPNI, eclampsia, embolia di liquido amniotico)Nessuna manifestazione Nessuna manifestazione Emorragia in atto

emorragica emorragica> FDP > FDP > FDP

> Fibrinopeptide A > Fibrinopeptide A > Fibrinopeptide A< Fibrinogeno < Fibrinogeno

< PLT < PLT< Fattore V Diminuzione di tutti i fattori < Fattore VII della coagulazione

< ATIII < ATIII < ATIII< Proteina C < Proteina C < Proteina C< Proteina S < Proteina S < Proteina S

Õ

Õ

412 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

Nelle forme acute si osservano emorragie profuse (uterine, cutanee o mucose), incoagu-labilità del sangue secondaria a diminuzione del fibrinogeno circolante con distruzione quasicompleta mentre nelle forme croniche o sub-acute i fenomeni emorragici sono scarsi o ad-dirittura assenti. Solitamente gli stadi I e II hanno un decorso sub-acuto o cronico però pos-sono evolvere repentinamente ed in breve tempo al III stadio.

Nei casi in cui l’esordio è improvviso e il decorso è grave ci si può trovare di fronte subi-to al III stadio senza che ci sia un vero passaggio dallo stadio I, II, III.

DiagnosiÈ la fase più delicata della CID e presuppone che un medico abbia il sospetto clinico di

ciò che cerca e presuppone l’attenta ed umile valutazione del malato.La diagnosi di una CID acuta è prospettabile in base al quadro clinico delle emorragie pro-

fuse. Se c’è CID la paziente sanguina da più di un organo o tessuto ed anche dalla zona ovevengono fatte le iniezioni. Di fronte ad un paziente con grave emorragia in atto, l’urgenza nonconsente di perdere tempo in complessi studi della coagulazione; invece ci si deve limitare apochi esami praticabili senza indugio ed a prelevare un abbondante campione di sangue pri-ma di iniziare ogni tipo di terapia, campione che verrà sottoposto in un secondo tempo agliesami più complessi a scopo di documentazione e chiarimento diagnostico dettagliato. Nonappena si osserva un sanguinamento preoccupante da qualunque sede bisognerebbe prele-vare 10-20 ml di sangue per le prove crociate e per le indagini di laboratorio, prima di inizia-re la rianimazione.Per evitare risultati inattendibili è importante:- Attuare un prelievo rapidamente- Attuare il prelievo in modo poco traumatico (per evitare aggregazione piastrinica)- Non lasciare applicato il laccio emostatico tanto tempo prima della veni puntura (perché

la prolungata stasi venosa può provocare attivazione locale della fibrinolisi)- Non effettuare il prelievo da cateteri o cannule venose

Nelle forme sub-acute e croniche il problema diagnostico è meno presente; qui la situa-zione emocoagulativa può essere più agevolmente precisata nella sua patogenesi e documen-tata nella sua evoluzione, sfruttando metodi laboratoristici più complessi. Si valuteranno: FDP,fibrinopeptide A, ATIII e le prove dell’attività fibrinolitica.

LaboratorioCome sopra citato in caso di un sanguinamento preoccupante bisognerebbe prelevare im-

413GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

mediatamente 10-20 ml di sangue per le prove crociate e le indagini di laboratorio, e succes-sivamente procedere al trattamento rianimatorio.

Il tempo di trombina è il test più rapido di efficienza emostatica, dal momento che talevalore risulta aumentato in caso di ipofibrinogenemia e di aumento dei frammenti di degra-dazione della fibrina (FDP). Il prelievo dovrebbe essere utilizzato anche per il dosaggio degliFDP, dal momento che il loro aumento in fase acuta testimonia la presenza di CID; il test pe-rò dovrebbe essere posticipato fino alla fine dell’emergenza, dal momento che il risultato nonè utile per il trattamento acuto.

I test di screening dovrebbero essere ripetuti ad intervalli regolari durante tutto il perio-do di rianimazione per valutare la necessità di somministrare emocomponenti specifici qualile piastrine.

Esami dirimenti da eseguire in corso di emorragia massivaEmocromo < continua delle PLT (anche nel giro di 30, 40 minuti)Fibrinogeno < veloceATIII < veloceFDP >D-Dimero >PT <PTT >

Indicativi di CID< Fibrinogeno> PT> PTT< PLT< ATIII

Indicativi per una condizione di pre-CID< ATIII< alfa2 antiplasmina

Nelle forme latenti si osserva da una parte una riduzione del fibrinogeno, delle PLT, del-l’attività dell’ATIII e dall’altra un aumento degli FDP, del D- dimero, del PT e del PTT con pre-senza di schistociti circolanti.

Nelle forme conclamate, con deficit emostatico evidente, si possono rilevare analoghe, mapiù marcate, alterazioni dei parametri coagulativi.

Un’alterazione di almeno tre o quattro dei sopraccitati parametri (soprattutto la riduzio-ne del fibrinogeno, delle piastrine e un concomitante aumento di PT e PTT) devono far sup-porre ad una diagnosi di CID.

Notevole valore diagnostico è stato riconosciuto al dosaggio del D-dimero (che risultaaumentato), soprattutto se associato al dosaggio dell’ATIII (diminuito), del fibrinopeptide A,

414 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

marcatore del danno endoteliale e degli FDP (che risultano entrambi aumentati).Il D-dimero può essere considerato un indice globale di attivazione emostatica, in quan-

to è il prodotto finale di una sequenza di reazioni comprendenti: la proteolisi selettiva del fi-brinogeno ad opera della trombina, la stabilizzazione della fibrina da parte del fattore XIII edinfine la degradazione della fibrina stabilizzata ad opera della plasmino, perciò è sempre indi-ce di fibrinoformazioene e quindi, ad alti livelli, di rischio trombotico.

Elevati FDP Elevato consumo di fibrinogeno NO CIDBasso D-Dimero Normale formazione di fibrina

Elevati FDP Elevato consumo di fibrinogeno SOSPETTA CIDElevato D-Dimero E formazione di fibrina

La determinazione di uno solo dei parametri non è invece sufficiente a dare indicazionivalide in caso di sospetta CID.

Quindi il dosaggio di tali parametri ematochimici consente di identificare precocementeforme latenti di CID.Tale diagnosi precoce, in ostetricia, è di cruciale importanza, in quantorappresenta uno dei principali fattori in grado di influenzare favorevolmente la prognosi. Lanormalità di ATIII esclude una CID. Nel 60% delle pazienti con CID acuta osserviamo un au-mento del PT e PTT aspetti questi che osserviamo più raramente in un quadro di CID cro-nica. Comunque il parametro che meglio indica la presenza di CID è la diminuzione dell’ATIIIindicativa che il consumo dei fattori della coagulazione supera la produzione.

Opzioni terapeuticheÈ una terapia spesso e volentieri drammatica in quanto tale sindrome, sebbene a volte ca-

ratterizzata da un decorso torpido, può causare emorragie fatali e può richiedere una tera-pia d’emergenza; il trattamento della malattia scatenante è imperativo.

Il principio fondamentale del trattamento è l’identificazione e la rapida correzione dellacausa di base.

Nel trattamento della CID in ostetricia possono essere attivati tre ordini di terapia: oste-trica, medica e chirurgica. Bisognerà tenere conto dell’età della paziente, della causa della CIDe, soprattutto, del prevalere della componente trombotica, della componente emorragica, odei danni d’organo. In ostetricia, la situazione clinica da affrontare è, quasi sempre, di tipo emor-ragico. Sarà quindi necessario attivare contemporaneamente:- Una terapia ostetrica specifica, evidenziando tempestivamente le fonti del sanguinamen-

to, con successiva revisione delle vie del parto e sutura accurata di eventuali lesioni. Dovenecessario si dovrà procedere a tamponamento stipato utero- vaginale e all’uso di utero-tonici, per favorire un’emostasi meccanica.

415GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

- Una terapia medica di sostegno della volemia e/o di correzione dell’anemia, mediante in-fusione di plasma, sangue fresco, plasma expanders, emazie concentrate.

- Una terapia sostitutiva dei fattori della coagulazione consumati- Un trattamento medico di blocco dell’attivazione della CID, che si avvale dell’eparina cal-

cica, dell’ATIII.- Protocollo profilattico per prevenire le recidive in caso di CID cronica

Il ricorso alla terapia chirurgica va preso in considerazione nei casi in cui l’utero è l’evi-dente e persistente punto di partenza delle sostanze attivanti la CID (aborto settico, distac-co placentare con apoplessia utero-placentare), oppure nei casi in cui si ritiene necessario eli-minare la fonte di sanguinamento di maggior entità.

È chiaro comunque che la prognosi di una CID conclamata, risulta condizionata in modocruciale, dal tempestivo riconoscimento della sua fase patogenetica clinica. È questa diagnosiprecoce che consente poi di programmare una terapia mirata. Se l’emorragia è grave, è indi-cata una terapia sostitutiva: concentrati di piastrine per correggere la trombocitopenia (e an-che come fonte del fattore V piastrinico); crioprecipitati per reintegrare il fibrinogeno e il fat-tore VIII; plasma fresco congelato per aumentare il tasso del fattore V e di altri fattori dellacoagulazione e come fonte di ATIII, che può anch’essa risultare ridotta a seguito di una CID.

Il trattamento, quindi, comprende:1. Aggressiva terapia della causa scatenante la coagulopatia2. Supporto con emoderivati in presenza di sanguinamento o alto rischio

- PLT se piastrinopenia < 50.000- Plasma fresco congelato:15 cc/kg

3. Antibiotico terapia nei casi opportuni (cefalosporine di terza generazione in prima battu-ta e successiva antibiotico terapia mirata dopo antibiogramma)

Distintamente dalla fase della CID il trattamento comprende:Nella fase pre-CID:- come profilassi si impiegano eparina a 500 UI/ora in pompa infusionale, riducendo se ne-

cessario, monitorizzando la coagulazione.

Durante la CID:- si impiega un prodotto concentrato a base di ATIII, in quantità necessario per un ripristi-

no normale dell’ATIII (circa 3000-5000 di ATIII)- plasma fresco per integrare il fibrinogeno ridotto; se il tempo di Quick è ridotto e se il

PTT sale, almeno 500 ml nelle prime due ore; qui non si impiega eparina

Nella fase di post-CID:- eparina per ridurre l’ipercoagulabilità- ATIII se la sua attività scende al di sotto dell’ 80%.

416 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

Nel caso di CID acuta è opportuno se non è presente una perdita ematica, dare eparinaa piccole dosi anche se generalmente non è indicata a bloccare la CID, se la malattia causalepuò essere prontamente controllata.

Tuttavia, la somministrazione di eparina può essere appropriata qualora i rilievi clinici sug-geriscano lo sviluppo di complicanze trombotiche e consumo di fibrinogeno (per esempio,quando si vada manifestando un’oliguria progressiva nonostante la P.A. e il volume vascolaresiano normali, va considerata seriamente la possibilità di una progressiva deposizione di fibri-na nel letto capillare glomerulare; oppure quando una cianosi ingravescente e la freddezzadelle dita delle mani e dei piedi depongono per un’incipiente gangrena). L’eparina non è as-solutamente da utilizzare in presenza di grave emorragia come nel terzo stadio della CID quiè più utile impiegare un concentrato di ATIII.

Nella CID al I-II stadio ed anche in quella al III stadio dopo la cessazione dell’emorragia,l’eparina può essere impiegata con profitto sia al dosaggio “pre-anticoagulante” sia anche adosi piene.

L’uso di eparina nel trattamento del sanguinamento sembra tutt’ora controverso. Sebbeneil suo utilizzo sia un modo logico per ridurre la produzione di trombina e per prevenire unulteriore consumo dei fattori della coagulazione, essa dovrebbe essere riservata a pazienti contrombosi o a quelli che, nonostante l’ energico trattamento con plasma e piastrine, continua-no a sanguinare.

Il trattamento profilattico con eparina può prevenire la progressione della CID.Si conclude però che non esistono prove definitive che suggeriscano che l’eparina forni-

sca un qualche beneficio rispetto alla terapia di supporto.Molti autori suggeriscono che l’eparina sia controindicata in caso di circolo non intatto,

compreso il distacco di placenta. È possibile che l’eparina abbia un ruolo nel trattamento dipatologie quali l’embolia di liquido amniotico e la sepsi e numerosi piccoli studi controllatihanno riferito di pochi casi trattati con successo.

Quindi l’uso di eparina deve essere generalmente riservato ai casi in cui risulti predomi-nante l’occlusione microvascolare piuttosto che l’emorragia.

Farmaco molto importante nella correzione di questa coagulopatia è l’ATIII soprattutto inpazienti con un livello inferiore al 60% grave emorragia.

Concentrati di proteina C attivata hanno mostrato beneficio clinico in alcuni pazienti conmeningococcemia e CID.

L’irudina, inibitore del fattore tissutale, e gli inibitori delle proteasi a serina sono oggettodi studio.

L’uso di antifibrinolitici non è da proporre sicuramente nel I e II stadio, mentre nel III sta-dio possono essere indicati dopo aver controllato gli aspetti più gravi dell’emergenza emor-ragica e solo se persistono sanguinamenti. Con l’utilizzo di questi farmaci esiste il rischio chequesti impediscano l’allontanamento dal circolo dei trombi microvascolari da organi quali il

417GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

cervello e reni, una volta risolta la CID, provocando sequele a lungo termine.Solo di rado è necessario somministrare altro fibrinogeno dal momento che è sufficiente

quello presente nel plasma fresco congelato che contiene inoltre i fattori V,VIII e la ATIII inconcentrazioni più elevate.

Ricordiamo sempre che, quando l’intervento terapeutico è tempestivo ed il disordineemocagulativo non è ancora molto pronunciato, la rimozione del fattore etiologico iniziale èquasi sempre sufficiente da solo a risolvere la condizione.

La scelta del trattamento va programmata in base alla condizione emocoagulativa; comun-que il principale pericolo cui sono esposte le pazienti con grave emorragia ostetrica è l’ipo-volemia.

La priorità iniziale è quella di mantenere il volume circolante e la perfusione tissutale epertanto la rianimazione con cristalloidi e colloidi deve essere iniziata non appena possibile.Il reintegro della volemia è decisivo, solitamente lo si esegue con sangue intero, plasma fre-sco, sospensioni concentrate di entrambe in associazione a Ringer Acetato più Emagel.

Il plasma fresco congelato contiene tutti i fattori della coagulazione compreso il fibrinoge-no, ma viceversa non possiede piastrine (le quali riflettono sia il grado di CID che di sanguesomministrato) per cui se le PLT sono inferiori a 50000 è necessario somministrare in asso-ciazione un concentrato piastrinico.

Un rapido ed adeguato rimpiazzo del volume circolante permetterà inoltre di evitare ildanno renale ed aiuterà l’eliminazione degli FDP attraverso il fegato, contribuendo al ripristi-no della normale attività emostatica.

La localizzazione ed il trattamento della sede di sanguinamento è fondamentale e deveessere fatto ogni sforzo per tentare di limitare le perdite ematiche, inoltre è d’obbligo man-tenere l’utero contratto e limitare il sanguinamento del letto placentare.

Qui di seguito riportiamo degli schemi terapeutici applicabili in base alla causa che ha sca-tenato la discoagulopatia:

Terapia della CID nel DIPNI1. Correzione dell’ipovolemia2. Espletamento del parto (mediante Taglio cesareo)3. Mantenimento della P.V.C.4. Somministrazione di fattori della coagulazione

Terapia della CID in corso di embolia da liquido amniotico1. Mantenere il circolo sistemico2. Espletamento del parto (mediante taglio cesareo)3. Monitoraggio PVC4. Infondere plasma fresco5. Eparina (5000 UI ev in bolo, quindi infusione in pompa)

418 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

6. Controllo dei parametri vitali diuresi> 25ml/hP.A.S.>90 mm/Hg pO2>60 mm/Hg)L’obiettivo terapeutico principale è mantenere la circolazione sistemica fino a che la rispo-

sta fibrinolitica dell’endotelio non elimina la trombina intravascolare a livello polmonare.

Gestione della condizione clinica allertando il rianimatore:- Mantenere la ventilazione (O2) con maschera o con intubazione- Rapida infusione di cristalloidi (2-3 volte rispetto al volume di liquidi perso)- Esami di laboratorio: emocromo, test della coagulazione, EGA- Rx torace, ECG- Somministrazione di fenilefrina e di dopamina; digitalizzazione rapida- Somministrazione di plasma fresco congelato (FFP), di emazie concentrate e di piastrine- Se possibile clinicamente, porre un catetere nell’ arteria polmonare per il corretto mana-

gement emodianamico- Aspirazione del sangue per la ricerca di eventuali elementi fetali- Se la paziente sopravvive al fatto acuto, la degenza successiva dovrà proseguire in un’Unità

di Terapia Intensiva.

Conduzione ostetrica:- Estrazione del feto prima possibile (taglio cesareo)- Accurata descrizione del quadro clinico e dei provvedimenti adottati nella cartella clinica- Nei casi venuti a morte richiedere riscontro autoptico, con particolare riguardo al circo-

lo polmonare (ricerca di elementi di origine fetale)

Terapia della CID in caso di feto morto ritenuto1. Diagnosi precoce2. Espletamento del parto (mediante taglio cesareo)3. Eventuale antibioticoterapia

Terapia della CID in corso di sepsi1. Risoluzione dell’infezione2. Cefalosporina di III generazione in prima battuta3. Esecuzione di emocolture e antibiogramma, quindi antibioticoterapia mirata4. Reidratazione5.Trasfusione di sangue (?)6. Eparina (?)

Trattamento della CID in corso di pre-eclampsia1.Trattamento antipertensivo

419GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Gestione multidisciplinare della CID

IdralazinaLabetaloloNifedipina

2. Espletamento del parto (per via addominale)3. Ripristino della volemia4. Solfato di Mg (?)

ConclusioniL’evento emorragico è sicuramente quello che, in ostetricia, genera la maggior preoccu-

pazione ed è spesso difficile individuarne rapidamente la causa e porvi rimedio.Il sospetto viene avvalorato dai dati di laboratorio che ci dimostrano deficit coagulativi as-

soluti o relativi all’efficienza emostatica, e nei casi più gravi, da successive compromissioni d’or-gano.

In realtà, in ostetricia, solo raramente siamo in grado di diagnosticare con certezza unaCID con tutte le sue peculiarità cliniche e di laboratorio, poiché si vedono abitualmente so-lo gli effetti finali di una CID e cioè l’emorragia e l’incoagulabilità, eventi, questi che possonoperò derivare da altre cause.

Accade così che di fronte a sanguinamenti persistenti che non si giovano delle abituali mi-sure di terapia ostetrica, si ipotizzi un deficit coagulativo secondario ad una CID e si etichet-ti il caso appunto come CID.

Il trattamento della paziente ostetrica emorragica è il medesimo in presenza o meno dialterazioni della coagulazione e presuppone la presenza di un protocollo terapeutico prede-finito in ogni dipartimento di ostetricia.

La novità attuale è la possibilità di individuare preventivamente, con dati oggettivi, i casi arischio di CID e di comportarsi di conseguenza.

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421GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

2299TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE

TROMBOEMBOLISMO VENOSO:FARMACI E COMPLICANZEP. Bogatti, GP Maso, M. Piccoli, M.Vessella, S. Inglese, M.Costantini Dipartimento Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

Obiettivi primari della moderna ostetricia nel campo della patologia trombo-embolica ven-gono considerati lo screening dei casi a rischio su cui utilizzare una adeguata profilassi e, ri-spettivamente, il corretto inquadramento diagnostico della patologia tromboembolica in at-to con l’instaurazione della opportuna terapia. Su questa linea quindi all’ostetrico viene sem-pre di più richiesto di utilizzare farmaci attivi sui processi coagulativi con una approfondita co-noscenza dei loro meccanismi d’azione e dei possibili effetti collaterali.

I farmaci cui fare riferimento sono tradizionalmente rappresentati dalle eparine -eparinanon frazionata (UFH) ed eparina a basso peso molecolare (LMWH)- e dagli anticoagulantiorali.

In riferimento a questi ultimi va subito detto che la loro embrio e feto tossicità, connes-sa al passaggio transplacentare, che condiziona anche l’azione anticoagulante sul feto, direttae non monitorabile, ne sconsigliano l’uso in gravidanza.

Unica eccezione a questa regola è da taluni concessa per la gravida portatrice di protesivalvolari cardiache di tipo meccanico in cui la profilassi con LMWH, anche a dosi aggiustate,non offre sempre risultati soddisfacenti. In tali casi l’utilizzo di anticoagulanti orali viene taloraproposto dalla 12 settimana (fuori periodo organogenetico critico) e fino alla 35 settimanaper non creare interferenze in prossimità del parto sulla base di una anticoagulazione fetalepotenzialmente dannosa in tali circostanze.

L’utilizzo degli anticoagulanti orali, quando sia richiesta una profilassi da iniziare o protrar-re in puerperio o quando si voglia ritornare ad una assunzione farmacologica che la pazien-te attuava già precedentemente e che era stata sospesa per la gravidanza, è invece compati-bile con l’allattamento.

In tali circostanze la paziente è generalmente già ritornata alle competenze dello specia-lista di trombosi ed emostasi dal quale viene generalmente gestita la terapia anticoagulanteorale. Per tali considerazioni non tratteremo di questa classe di farmaci, peraltro di delicatagestione, limitandoci a sottolineare che, sempre, il loro utilizzo deve iniziare embricato conl’eparina per le ben note azioni inibenti sui fattori vitamina K dipendenti in cui rientrano a pie-no titolo le proteine anticoagulanti C ed S. Dal momento che l’azione di interferenza con leproteine C ed S si instaura più rapidamente rispetto a quella sugli altri fattori K dipendenti(II, VII, IX e X) nelle fasi di avvio della terapia anticoagulante orale si induce sempre un au-

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Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

mento del rischio trombotico che deve essere controllato dalla eparina. Allorchè si sia stabil-mente raggiunto il range terapeutico degli anticoagulanti orali (INR terapeutico per 2-3 gior-ni) la somministrazione eparinica può venire sospesa.

Del pari non tratteremo dei farmaci trombolitici il cui uso è indicato nel paziente criticocon embolia polmonare con o senza instabilità emodinamica o anche nel paziente non criti-co, ma con disfunzione del ventricolo destro. Pur essendo riportato l’utilizzo di tali farmacianche in rari casi di donne gravide, gli enormi rischi di sanguinamento placentare ad essi con-nesso non li fanno rientrare tra i farmaci di competenza dell’ostetrico.

Esistono svariate altre classi di farmaci potenzialmente utili nel trattamento del trombo-embolismo venoso. Di questi gli inibitori dell’avvio della coagulazione, che hanno come obiet-tivo il complesso fattore VIIa/tromboplastina tissutale hanno appena raggiunto la sperimenta-zione di fase II.

Gli inibitori della propagazione della coagulazione che bloccano il fattore IXa e Xa o i lo-ro cofattori fattore VIIIa e fattore Va sono in vari stadi di sperimentazione. Solamente gli ini-bitori indiretti del fattore Xa, Fondaparinux e Idraparinux, sono attualmente in uso.

Tra gli inibitori diretti della formazione della trombina, l’irudina, l’argatroban e la bivaliru-dina sono stati immessi sul mercato in Nord America per indicazioni limitate. I primi due so-no stati approvati per la terapia della piastrinopenia indotta da eparina, mentre il terzo è uti-lizzato come alternativa all’eparina, per i pazienti sottoposti ad interventi coronarici percuta-nei. Lo Ximelagatran è il primo inibitore trombinico diretto assumibile per via orale.

Un riferimento a questi farmaci verrà fatto a proposito del trattamento della piastrinope-nia da eparina.

L’eparina è un miscuglio eterogeneo di glicosaminoglicani, dotata di attività anticoagulan-te indiretta in quanto necessita, per la sua azione, del fattore plasmatico antitrombina III (ATIII). Il legame dell’eparina con il sito lisinico dell’AT III produce in quest’ultima un cambiamen-to sterico che la trasforma da lento e progressivo inibitore trombinico in una forma moltorapida.

L’arginina del centro reattivo presente sulla molecola di AT si lega in modo covalente al-la serina del sito attivo della trombina e di altri enzimi coagulativi, inibendo così in modo ir-reversibile la loro attività procoagulante. È scoperta recente che il legame tra eparina e ATavviene tramite un’unica unità glicosaminica contenuta all’interno di una sequenza pentasac-caridica.Tale sequenza è stata sintetizzata e costituisce un promettente anticoagulante di nuo-va creazione. Lo sviluppo delle eparine a basso peso molecolare negli Anni ’80 ha portato alconcetto che l’inattivazione della trombina e delle altre proteine coagulanti attivate è dipen-dente dalla lunghezza della catena saccaridica, mentre per l’inattivazione del fattore X attiva-to è solo richiesta la presenza del pentasaccaride ad alta affinità.

L’eparina è eterogenea rispetto al peso molecolare, attività anticoagulante e farmacocine-tica.Il peso molecolare varia da 3000 a 30000 daltons (media 15000) e solo 1/3 della dose

423GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

somministrata si lega all’AT comportando l’attività anticoagulante. I rimanenti 2/3 della dosehanno una minima attività anticoagulante a concentrazioni terapeutiche, ma a concentrazio-ni superiori l’eparina sia a bassa che ad alta affinità catalizza l’effetto antitrombinico di una se-conda proteina: il cofattore eparinico II (HCII). A concentrazioni ancora maggiori l’eparina abassa affinità ostacola la formazione di fattore X attivato attraverso meccanismi indipenden-ti dall’AT e dal cofattore eparinico II.

Il compleso eparina/AT inattiva la trombina, il fattore Xa, IXa, XIa e XIIa, essendo i primidue quelli più sensibili alla inattivazione (la trombina addirittura 10 volte di più del fattore Xa).

L’eparina inibisce la trombina legandovisi direttamente (tramite un effetto aspecifico di ca-rica) o indirettamente tramite il legame ad alta affinità tra il pentasaccaride e l’AT. Le mole-cole di eparina con meno di 18 saccaridi perdono la possibilità di legarsi simultaneamenteall’AT e alla trombina e perciò sono incapaci di catalizzare l’inibizione trombinica. Di controframmenti eparinici molto piccoli che contengano il pentasaccaride ad alta affinità catalizzanol’inibizione del fattore Xa tramite l’AT. Inattivando la trombina, l’eparina non solo inibisce laformazione di fibrina, ma anche l’attivazione piastrinica e dei fattori V e VIII indotta dalla trom-bina. L’inattivazione trombinica mediata dal fattore eparinico II è carica dipendente, penta-saccaride indipendente, peso molecolare dipendente, dal momento che richiede un minimodi 24 residui saccaridici e può operare anche in caso di severo deficit di ATIII.

La terza via anticoagulante dell’eparina risulta in una modulazione della generazione di fat-tore Xa indipendente dall’AT e dal HCII. È carica dipendente e mediato dal legame eparini-co con il fattore IXa. Richiede dosi molto elevate del polisaccaride solfato.

L’effetto anticoagulante dell’eparina è eterogeneo perché solo 1/3 delle molecole epari-niche contiene il pentasaccaride ad alta affinità e perché il profilo anticoagulante e la clearan-ce dell’eparina sono influenzate dalla lunghezza della catena polisaccaridica delle molecole.Così le catene a più alto peso molecolare sono allontanate dalla circolazione più rapidamen-te di quelle a basso peso, che si accumulano con un progressivo decremento nel rapportotra attività anti IIa/anti Xa.

Le frazioni epariniche ad alto peso molecolare, con bassa affinità per l’AT, hanno un mag-giore effetto sulla funzionalità piastrinica rispetto alle frazioni epariniche a basso peso ed altaaffinità per l’AT.Tali interazioni con le piastrine e le cellule endoteliali contribuiscono ai san-guinamenti indotti dall’ eparina in maniera indipendente dall’effetto anticoagulante.

Oltre all’effetto anticoagulante l’eparina aumenta la permeabilità vascolare, sopprime laproliferazione delle cellule muscolari lisce della parete vascolare e degli osteoblasti e attiva gliosteoclasti con una complessiva perdita di osso. Le vie di somministrazione dell’eparina nonfrazionata comprendono quella endovenosa e quella sottocutanea. Quest’ultima prevede unaumento del 10% circa rispetto all’ ultimo dosaggio endovenoso per superare la ridotta bio-disponibilità ad essa connessa. Quando l’eparina è somministrata per via sottocutanea a do-si anticoagulanti l’effetto è ritardato di circa 1 ora e livelli plasmatici di picco sono raggiunti in

424 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

approssimativamente 3 ore. Dopo la sua entrata in circolo l’eparina si lega a molteplici pro-teine plasmatiche che ne riducono l’attività, con ciò contribuendo alla variabilità della rispo-sta anticoagulante e al fenomeno laboratoristico della resistenza eparinica. L’eparina si legaanche all’endotelio e ai macrofagi con ciò complicando la sua farmacocinetica. La resistenzaall’eparina è un termine che definisce quei pazienti che richiedono dosaggi abnormementeelevati per spostare l’aPTT a livelli terapeutici.

Vari meccanismi di resistenza includono deficit di AT, aumentata clearance eparinica, au-mento delle proteine leganti e aumenti del fibrinogeno e del fattore VIII. In tali casi esiste unadissociazione tra l’effetto anticoagulante dell’eparina misurato dall’APTT e rispettivamente dailivelli di eparina misurati dalla attività anti Xa. I risultati clinici indicano che in pazienti con TEVresistenti all’eparina (richiedenti cioè >40000 U/die per raggiungere un aPTT terapeutico) ri-sultati clinici equivalenti vengono ottenuti anche a dosaggi inferiori aggiustati sul raggiungimen-to di livelli di eparina (misurati come attività anti Xa) di 0,35-0,7 IU/ml. La clearance eparini-ca si effettua tramite un meccanismo rapido a saturazione (legato al legame con l’endotelioed i macrofagi che la depolimerizzano) ed un meccanismo lento, non saturabile, prevalente-mente renale. Dal momento che, a dosaggi terapeutici, il primo meccanismo interessa una lar-ga parte dell’eparina, si comprende la non linearità della risposta anticoagulante la cui durataed intensità aumentano in modo non lineare all’aumentare delle dosi. Pertanto l’apparenteemivita biologica dell’eparina aumenta da 30 minuti per boli endovena di 25 U/kg, a 60 mi-nuti per boli di 100 U/kg a 150 minuti per boli di 400 U/kg.

Le LMWH sono glicosaminoglicani polisolfati con peso molecolare di 1/3 circa rispettoall’UFH, che derivano da differenti metodi di depolimerizzazione della UFH.Tale depolimeriz-zazione conduce quindi a frammenti a basso peso molecolare dotati di minor capacità legan-te a proteine o componenti cellulari da cui derivano quelli che sono considerati i vantaggidelle LMWH rispetto alla UFH da intendere soprattutto in termini di riduzione delle compli-canze:- minor legame con la trombina e minor rapporto di attività anti IIa/anti Xa: da questo pro-

filo non emerge un vantaggio clinico noto- minor legame con le proteine plasmatiche e quindi elevata (80-90%) biodisponibilità (svin-

colata da una cinetica di saturazione) con maggior predicibilità di effetto anticoagulante aduna data dose: sul piano clinico questo rende il monitoraggio dell’effetto anticoagulantenon necessario e minori le complicanze emorragiche

- minor legame con i macrofagi e conseguente clearance renale: ne consegue una maggio-re emivita con possibilità di somministrazione monodose

- minor legame piastrinico con minore incidenza di formazione di anticorpi indotta dall’epa-rina: ne consegue una ridotta incidenza di piastrinopenia da eparina

- minore legame con gli osteoblasti e quindi ridotta attivazione degli osteoclasti con mino-re incidenza di osteopenia.

425GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

LMWH sono preparate dall’eparina seguendo metodi differenti di depolimerizzazione chi-mica o enzimatica che conducono a molecole con diverse proprietà farmacocinetiche e pro-filo anticoagulante: ciò le rende non perfettamente intercambiabili sul piano clinico. Hanno unpeso molecolare medio di 4000-5000 daltons con una distribuzione del peso da 1000 a10000. Solo le LMWH con un minimo di 18 residui saccaridici (compresa la sequenza pen-tasaccaridica specifica) possono creare un complesso ternario tra eparina, AT III e trombina: ne consegue che solo quelle LMWH con peso molecolare al di sopra di tale soglia sono ingrado di inattivare la trombina.Al contrario tutte le LMWH che contengono la sequenza pen-tasaccaridica ad alta affinità possono inattivare il fattore Xa. La conseguenza di ciò è che lepreparazioni commerciali di LMWH hanno rapporti di attività anti fattore Xa : anti fattore IIavariabili da 4:1 a 2:1 a seconda della loro distribuzione di pesi molecolari. Al contrario tuttele molecole di UFH possiedono almeno 18 residui saccaridici e mostrano un’attività anti Xaanti IIa di 1:1.

Le complicanze emorragiche della terapia eparinicaL’emorragia rappresenta indubbiamente la principale complicanza della terapia anticoagu-

lante. Essa viene definita maggiore se in sede intracranica o retroperitoneale, se mortale o serichiedente la trasfusione o l’ospedalizzazione. L’eparina esplica la sua azione pro-emorragicainibendo la coagulazione, alterando la funzionalità piastrinica e aumentando la permeabilitàcapillare.

Il sanguinamento da anticoagulanti avviene solitamente in sedi dove l’integrità vascolare èalterata (come ad esempio dopo chirurgia), in associazione con neoplasie o calcoli renali, mapuò avvenire anche spontaneamente in sedi dove non vi è apparentemente compromissio-ne della integrità vascolare. In realtà tali compromissioni sarebbero di minima entità, ma sa-rebbero esacerbate dall’anticoagulante. Questo meccanismo può spiegare la predisposizioneal sanguinamento intracranico dell’anziano o del paziente con pregressa malattia cerebrova-scolare.

Il profilo del rischio emorragico del singolo paziente è multifattoriale e determinato dal-l’età, dalla condizione clinica che richiede la terapia, dal tipo di farmaco usato, dal dosaggio, dalmetodo di monitoraggio laboratoristico, dall’utilizzo concomitante d’altri farmaci e dalla coesi-stenza d’altre condizioni patologiche, attuali o pregresse, prime fra tutte quelle che hanno ri-chiesto una recente chirurgia o che sono state associate a traumi o l’insufficienza renale.

Tra le molteplici condizioni patologiche che possono richiedere l’utilizzo dell’eparina a do-saggi terapeutici (malattia vascolare ischemica cerebrale, sindromi coronariche ischemiche,trombosi arteriose degli arti, cardiochirurgia ) quella che focalizza l’interesse ostetrico è rap-presentata principalmente dalla malattia tromboembolica venosa. In queste circostanze l’inci-

426 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

denza delle complicanze emorragiche è stata riportata da studi randomizzati, non su popo-lazioni ostetriche, che hanno paragonato l’uso d’UFH in infusione venosa continua con quel-la intermittente, UFH in infusione venosa con UFH sottocute, UFH endovenosa per un pe-riodo di 7-10 gg con terapie brevi di 4-5 gg, UFH endovenosa continua e anticoagulanti ora-li con anticoagulanti orali solamente, UFH endovenosa somministrata in base al peso con ap-procci standardizzati (5000 U in bolo, 1000U/ora) e con monitoraggio basato o sulla valuta-zione dell’aPTT o dell’eparinemia, e infine UFH endovena con LMWH sottocute. Per quantoconcerne l’uso in gravidanza, data la pochezza dei dati disponibili, le raccomandazioni deriva-no da estrapolazioni di dati su popolazioni non ostetriche, da case reports, e da serie di casiostetrici.

L’incidenza della complicanza emorragica maggiore in gravide, trattate con UFH a dosi te-rapeutiche, è stimata intorno al 2%.

Durante la gravidanza la risposta dell’aPTT alla terapia eparinica è spesso attenuate perun’eparino-resistenza dovuta ad un aumento del fattore VIII e del fibrinogeno. UFH a dosi ag-giustate per via sottocutanea possono causare un effetto anticoagulante persistente al partoche ne complica l’uso prima del travaglio. Un effetto anticoagulante è stato osservato ancheper 28 ore dopo l’ultima iniezione sottocutanea di UFH a dose aggiustata con un allungamen-to dell’aPTT persistente al parto di incerta origine. Le complicanze emorragiche appaiono es-sere molto rare con l’utilizzo di LMWH.

Riduzione del rischio emorragicoLMWH terapeutica è somministrata in dosi rapportate al peso senza necessità di moni-

toraggio laboratoristico. Non esistono tuttavia trials rivolti alla individuazione del dosaggio cor-retto in popolazioni speciali, quali le donne obese, e nell’insufficienza renale. In tali circostan-ze è stata suggerita l’opportunità del monitoraggio laboratoristico.

Il test raccomandato in questi casi è il dosaggio dell’attività anti Xa con test cromogenico.Non esistono chiare evidenze sulla relazione tra attività anti Xa e l’outcome clinico. Lo svi-

luppo e la propagazione della trombosi sono inversamente collegati con l’attività anti Xa, mail livello minimo richiesto resta incerto.

Dopo una somministrazione sottocutanea di LMWH a dose aggiustata, l’attività anti Xaraggiunge il picco a 4 ore quando appunto è consigliato il suo dosaggio. Il livello varia tra lediverse LMWH per questioni farmacocinetiche, ma un range terapeutico conservativo è con-siderato tra 0,6 e 1 UI/ml per le pazienti con VTE trattate con due somministrazioni al gior-no. Il range è meno chiaro nel caso di monosomministrazione, ma è probabilmente >1 UI/mlper l’enoxaparina169, 0,85UI/ml per la tinzaparina, 1,3UI/mi per la nadroparina e 1,05 UI/mlper la dalteparina.

427GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

Nel caso della paziente obesa la volemia non ha una relazione lineare con il peso e per-tanto una somministrazione rapportata al peso potrebbe condurre a sovradosaggio con con-seguente rischio emorragico. Dati recenti su pazienti con body mass index (BMI) >30 nonmostrano tuttavia aumento delle complicanze emorragiche dopo somministrazioni calibratesul peso. Dal momento che però sono poche le pazienti studiate con peso superiore ai 150kg sembra ragionevole sottoporre a controllo laboratoristico tali soggetti.

Di converso le somministrazioni profilattiche a dosaggio fisso, per lo stesso principio, po-trebbero risultare sottodosate e pertanto, nelle obese, è preferibile una somministrazione pro-filattica comunque rapportata al peso. In mancanza di dati definitivi è prudente un aumentodel 25% del dosaggio profilattico di LMWH nelle pazienti molto obese (ad esempio 40 mgdi enoxaparina 2X al dì).

Per quanto concerne l’insufficienza renale non vi sono dati sulla somministrazione a dosistandard di LMWH dal momento che tale condizione è generalmente motivo di esclusionedai trials randomizzati. Tuttavia è ormai assodato che la clearance dell’attività anti Xa delleLMWH è correlata alla clearance creatininica anche se con variazioni a seconda della speci-fica LMWH. L’accumulo di attività anti Xa dopo multiple dosi terapeutiche è di particolarepreoccupazione, in particolare per una clearance creatininica <30ml/min 199. Una revue sul-l’argomento è giunta alle seguenti conclusioni:1. la maggior parte degli studi mostra un accumulo di attività anti Xa nei pazienti con ridot-

ta funzionalità renale 2. l’effetto farmacocinetico varia per le diverse LMWH 3. non esiste un valore soglia unico di clearance della creatinina che correli con un aumen-

to del rischio emorragico per tutte le LMWH.Sulla base di queste considerazioni è raccomandato l’uso di UFH per una anticoagulazio-

ne terapeutica in pazienti con insufficienza renale. È consigliato il monitoraggio laboratoristi-co dell’attività anti Xa, se viene scelta LMWH. Il valore soglia della creatinina clearance pertali raccomandazioni varia tra le varie LMWH, ma un limite accettabile sembrano essere i 30ml/min.

Per quanto concerne ancora la riduzione del rischio emorragico particolare attenzionedeve essere posta riguardo l’attuazione di manovre medico-chirurgiche, anche minimamenteinvasive, in pazienti che assumono eparine anche a dosi profilattiche.

A tale proposito vanno considerate particolarmente le manovre di rimozione di cateteriperidurali e drenaggi, che devono rispettare la tempistica legata alla cinetica del farmaco. Inquesti casi è consigliabile operare le manovre richieste almeno 1 ora prima della successivasomministrazione e almeno 2-4 ore dopo la precedente somministrazione di UFH a dosi pro-filattiche. Per le LMWH tali intervalli vanno opportunamente aumentati ad almeno 2 ore pri-ma della successiva somministrazione e almeno 10-12 ore dopo una precedente sommini-strazione.

428 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

A tale riguardo estrema attenzione deve essere posta alla somministrazione concomitan-te di altri farmaci capaci di influenzare altre componenti del sistema coagulativo quali gli an-tinfiammatori non steroidei, che sovente rientrano nei regimi di analgesia postoperatoria. Aquesto proposito ricordiamo la specifica controindicazione ministeriale all’utilizzo contempo-raneo di LMWH e ketorolac trometanolo (Lixidol), che ne potenzia enormemente il rischiodi complicanze emorragiche

Trattamento del sanguinamento associato all’eparinaLa gestione del sanguinamento in eparino-terapia dipende dalla sede e dalla entità dello

stesso. In tutti i casi, tranne quelli veramente poco rilevanti, il trattamento consiste nella im-mediata sospensione della terapia e nella gestione della origine dell’emorragia. L’interventochirurgico o endoscopico può rappresentare talora una scelta obbligata, specialmente quan-do il sanguinamento persista dopo il termine dell’effetto anticoagulante dell’eparina.

Il solfato di protamina si lega con grande affinità all’eparina in virtù della sua forte caricanegativa e ne neutralizza l’azione.Tale effetto è immediato, ma si può osservare un reboundanticoagulativo legato alla clearance più rapida del solfato di protamina rispetto all’eparina.Nella somministrazione del farmaco bisogna porre molta attenzione ai pazienti allergici alloiodio, al pesce o all’insulina zinco-protamina.

Il dosaggio della protamina si calcola in base alla stima della concentrazione eparinica incircolo.

1 mg di protamina neutralizza approssimativamente 100 unità di eparina e quindi, se unpaziente ha ricevuto 5000 unità di eparina in bolo seguite da un’infusione di 1000 unità/oraper 3 ore, si dovrebbero somministrare all’incirca 25 mg di protamina, basandosi sulla stimadi un’emivita eparinica di 1 ora

Per un paziente che riceve una infusione stabile a 1250 U/ora sono richiesti circa 30 mgdi portamina. L’emivita della protamina è minore di quella dell’eparina e pertanto sommini-strazioni ripetute possono essere richieste nei pazienti con alta eparinemia. Un calo dell’aPTTpuò servire per confermare l’avvenuta neutralizzazione dell’eparina. I rischi di severe reazio-ni, come ipotensione e bradicardia, possono essere ridotti da una somministrazione endove-nosa lenta in 1-3 minuti.

Per quanto concerne LMWH fin dai primi studi è emersa una minore incidenza di emor-ragia rispetto a UFH confermata da recenti metanalisi che suggeriscono minore incidenza diemorragie in pazienti trattati con LMWH per trombosi profonda rispetto a queli in terapiacon eparina standard.

La gestione del paziente con emorragia in corso di trattamento con LMWH è problema-tica. Il solfato di protamina neutralizza tutta l’attività anti fattore IIa, ma solo il 75% dell’attivi-

429GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

tà anti fattore Xa di LMWH per una ridotta capacità di legame con la stessa. Il resto dell’at-tività anti Xa non è neutralizzabile dalla protamina.

Il solfato di protamina andrebbe comunque somministrato ad un paziente in anticoagula-zione con LMWH che sviluppi una complicanza emorragica maggiore, predisponendo tutta-via per una valutazione chirurgica o endoscopica.

Entro le 8 ore dalla somministrazione di LMWH la dose di portamina richiesta è di 1mg/100 U anti-Xa per l’enoxaparina. Se il sanguinamento persiste si può somministrare unaseconda dose di 0,5 mg di portamina /100 U. Dosi ridotte sono richieste dopo le 8 ore dal-la somministrazione di LMWH. Inoltre dosi sequenziali di protamina possono essere richie-ste, particolarmente quando LMWH è stata somministrata per via sottocutanea,a causa delprolungamento dell’emivita.

Complicazioni trombotiche della terapia anticoagulanteLe eparine ed i dicumarolici sono le due classi più utilizzate di farmaci anticoagulanti.

Ironicamente entrambi possono occasionalmente indurre sindromi protrombotiche: la trom-bocitopenia da eparina (HIT) e la necrosi cutanea da dicumarolici.

Approssimativamente il 3% dei pazienti non ostetrici che utilizzano UFH sviluppano HIT.Questa percentuale è maggiore per UFH bovina, a sua volta maggiore rispetto a quella di UFHporcina, a sua volta maggiore di quella di LMWH. Anche la tipologia della popolazione con-diziona la frequenza (pazienti chirurgici> pazienti medici>pazienti gravide).

La HIT è una delle più comuni reazioni immunomediate da farmaci. Il ruolo centrale svol-to in questi casi dalla generazione di trombina offre il razionale per una trattamento rivoltoappunto alla riduzione della formazione trombinica (danaparoid, irudina ricombinante, arga-troban).

Si caratterizza in vivo per una attivazione piastrinica causata da IgG la cui produzione vie-ne indotta dall’eparina e rappresenta un fattore di rischio indipendente per trombosi venosae arteriosa anche in pazienti a basso rischio di base. Comporta generalmente la formazionedi trombi piastrinici in vasi venosi o arteriosi di grande calibro. La sua evenienza non dipen-de dal dosaggio eparinico e pertanto vi possono essere soggetti anche quei pazienti che as-sumono il farmaco in via profilattica. Un consensus report ha raccomandato che il termineHIT venga utilizzato in riferimento esclusivo alla malattia mediata da anticorpi: si tratta per-tanto di una sindrome clinico patologica in cui la diagnosi può essere fatta con accuratezzaquando uno o più eventi clinici (trombocitopenia, trombosi, lesioni cutanee, reazioni sistemi-che acute) coesistano con anticorpi specifici dimostrabili. Di converso, il termine trombocito-penia non immune associata all’eparina dovrebbe essere usato nei casi di trombocitopenia incorso di trattamento eparinico, non associata a specifici anticorpi. Spesso tale situazione si rea-

430 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

lizza per altre cause (emodiluizione perioperatoria, risposta infiammatoria sistemica) sebbe-ne un effetto diretto di attivazione piastrinica da eparina, non immunomediato, può esserecausa in alcuni pazienti. A differenza della HIT non vi è modo di inquadrare con sicurezza ilruolo dell’eparina nella trombocitopenia non immune associata alla somministrazione epari-nica.

L’attitudine dell’eparina a provocare la secrezione piastrinica di alfa granuli in cui è conte-nuto fattore piastrinico 4 (PF4), e di legarvisi, condiziona la comparsa di un sito antigenicomodificato sul PF4 (dopo ed in virtù del legame eparinico) contro il quale può venire diret-ta la risposta anticorpale. Questo modello è compatibile con il riscontro che altri carboidra-ti solfati, non eparinici, possono precipitare reazioni analoghe e con il riscontro di minore in-cidenza di HIT con LMWH , dal momento che solo molecole epariniche di almeno 14 zuc-cheri possono legarsi a PF4.

Gli anticorpi così formati possiedono potente capacità di attivazione piastrinica con gene-razione di microparticelle piastriniche procoagulanti, attivazione endoteliale con l’espressionesulla superficie di tromboplastina tissutale e neutralizzazione della attività anticoagulante del-l’eparina da parte del PF4 che giustifica l’eparino-resistenza spesso riscontrata in questi pa-zienti.

La situazione clinica preesistente condiziona poi la tipologia della trombosi, che va a ma-nifestarsi essendo tipico il tromboembolismo venoso nei pazienti ortopedici, quello arterio-so nei pazienti sottoposti ad interventi cardiovascolari, mentre nei pazienti con cateteri ve-nosi centrali è tipica la trombosi degli arti superiori.

I pazienti con HIT mostrano tipicamente un calo piastrinico del 50% rispetto ai valori pre-cedentemente determinati che inizia tra i 5 ed i 10 giorni dall’avvio della somministrazioneeparinica. Talora l’esordio è più precoce, entro 24 ore, qualora vi sia stata una precedenteesposizione all’eparina (generalmente entro i 3 mesi precedenti). In tal caso vi può essere unaimmediata ricorrenza della trombocitopenia alla reintroduzione dell’eparina, causata dalla pre-senza di anticorpi circolanti e non come conseguenza di risposta anamnestica.Anche una con-ta piastrinica con valori che scendono al di sotto delle 150.000 piastrine/ml va valorizzata perla diagnosi.

L’entità della trombocitopenia è tuttavia generalmente lieve o moderata con valori mini-mi di 50-60.000 piastrine /ml. In meno del 5-10% dei pazienti la conta scende al di sotto del-le 20.000 piastrine/ml, livelli, al contrario, frequenti in più della metà dei casi con trombocito-penia immune da altri farmaci. Ecchimosi e petecchie sono generalmente assenti anche neicasi più severi, dal momento che il rischio più rilevante è effettivamente quello trombotico enon quello emorragico. La trombosi è frequente nella HIT indipendentemente dalla conta pia-strinica e può avvenire in casi con calo piastrinico che conduca ad una conta non inferiore al-le 150.000 piastrine/ml.

Le complicanze sono rappresentate per il 50% dalla trombosi venosa profonda, per il 25%

431GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

dall’embolia polmonare, per meno del 3% da trombosi dei seni cerebrali, per il 5-10% da trom-bosi aorto-iliaca, per il 3-5% da accidenti vascolari acuti cerebrali, per il 3-5% da infarto mio-cardio, in meno del 3% da trombosi degli arti superiori, renali, mesenteriche, spinali o di altridistretti arteriosi. Il 25% dei pazienti sensibilizzati che ricevono eparina sottocute può mostra-re lesioni cutaneee; percentuale analoga può mostrare reazioni sistemiche acute (febbre, bri-vidi, vampate, ipertensione, tachicardia, e trombocitopenia acuta entro 5-30 minuti da un bo-lo eparinico endovenoso. Un infarto emorragico surrenalico interessa l’1-3% dei pazienti com-plicati. Più rari (<3%) sono gli episodi di coagulazione intravascolare disseminata con ipofibri-nogenemia e trombosi multiple.

Due tipi di test sono utilizzati per confermare la diagnosi di HIT: quelli di attivazione equelli antigenici. Nessuno dei due è ideale ed entrambi dovrebbero essere disponibili nei la-boratori di riferimento. Per la diagnosi vanno utilizzati i sieri di fase acuta dal momento chegli anticorpi implicati sono riscontrabili per poche settimane o mesi. I test di attivazione espli-citano le capacità attivanti le piastrine di donatore dei sieri contenenti le IgG patogene utiliz-zando concentrazioni terapeutiche di eparina.A concentrazioni epariniche sopraterapeutichel’attivazione viene inibita.

I metodi per migliorare il controllo di qualità nella identificazione degli anticorpi implicatinella HIT includono l’utilizzo di anticorpi monoclonali bloccanti il recettore Fc con i quali siverifica una inibizione dell’attivazione piastrinica da parte dei sieri patologici, e la valutazionedi un pannello di sieri di controllo negativi e, rispettivamente, con deboli e con forti capacitàinducenti HIT. Con questi ultimi si verifica che le piastrine da donatore utilizzate per il test sia-no adeguate per rilevare anticorpi HIT di varia potenza. In mani esperte la sensibilità e spe-cificità dei test per la HIT con piastrine lavate sono superiori al 90%. Purtroppo i test funzio-nali più usati valutano l’aggregazione di piastrine normali da donatore sospese in plasma ci-tratato e mostrano una bassa sensibilità per la HIT di circa il 50%.

Per la prevenzione della HIT è consigliato disporre di una conta piastrinica di base che varipetuta a giorni alterni per i primi 15 giorni di trattamento. È possibile quindi dilazionare idosaggi ogni 7 giorni per altri 15 giorni e successivamente mantenerli a cadenza quindicina-le.

Nei casi in cui la HIT viene sospettata l’eparina dev’essere immediatamente sospesa, maanche seguendo questo accorgimento il rischio di trombosi resta alto e pari al 50%. In que-sti casi andrebbe comunque utilizzato un altro anticoagulante ad azione rapida (danaparoid,lepirudina, argatroban) fino al recupero della conta piastrinica e soprattutto se il paziente èad alto rischio trombotico di base. Obbligatorio è in questi casi con HIT confermata condur-re un esame ecodoppler degli arti inferiori prima della dimissione per escludere trombosi inatto in quei distretti ad alto rischio.

Il trattamento della HIT complicata da trombosi dovrebbe prevedere un anticoagulanteche riduca la formazione di trombina e per cui vi sia provata efficacia nella HIT. Attualmente

432 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

sono disponibili due agenti: il danaparoid sodium e l’iruduna ricombinante (lepirudina) ciascu-no con vantaggi e svantaggi .

Il danaparoid sodium (Orgaran) è un mix di glicosaminoglicani anticoagulanti con attivitàprevalente anti Xa (attività anti Xa/anti IIa = 22/1).Tale attività si esplica catalizzando l’inatti-vazione trombinica e del fattore Xa mediata dall’ATIII come nel caso dell’eparina. Alcuni diquesti costituenti sono in grado di interagire con gli anticorpi anti HIT dal momento che, aseconda della sensibilità del test usato, dal 10 al 40% dei sieri con HIT mostrano in vitro uncerto grado di cross reattività con il Danaparoid. Questa cross reattività in vitro è tuttavia in-significante clinicamente e non deve distogliere dall’uso di questa terapia che consente un trat-tamento efficace in circa il 90% dei pazienti senza insorgenza di nuovi episodi trombotici.

L’attività anticoagulante del Danaparoid si misura con l’attività anti Xa, che tuttavia non èrichiesta dal momento che l’effetto anticoagulante è largamente prevedibile per somministra-zioni aggiustate sul peso. Dopo un carico intravenoso di 2 fiale (1500 U) fino a 60 Kg, 3 fialetra 60 e 75 Kg, 4 fiale tra 75 e 90 Kg o 5 fiale per >90 Kg, il mantenimento è di 400U/oraper 4 ore, poi di 300 U/ora per altre 4 ore e poi di 150-200 U/ora. L’attività anticoagulanteè ottenuta nel giro di pochi minuti dalla somministrazione.

Dopo la dose di carico iniziale il mantenimento può essere somministrato anche per viasottocutanea a 1500 U ogni 8 o 12 ore. La profilassi si attua con 750 U sottocute ogni 8 o12 ore.

La principale complicanza della terapia con Danaparoid è rappresentata dal sanguinamen-to che però, nell’animale da esperimento, risulta meno frequente che con la terapia conLMWH. Mancano dati sull’uomo. L’attività del Danaparoid sul fattore IIa può essere parzial-mente neutralizzata dal solfato di portamina, che però non esercita alcuna azione sulla attivi-tà anti Xa. Pertanto un sanguinamento in corso di terapia è di gestione problematica data an-che la lunga emivita dell’attività anti Xa (24 ore). Il Danaparoid sodium non passa la placentae pertanto può essere usato in gravidanza.

La Lepiridina (Refludan) è un derivato ricombinante dell’irudina che inibisce la trombinacon un legame non covalente ad alta affinità, pressochè indissolubile. La sua clearance è pre-valentemente renale il che consiglia estrema cautela nei pazienti con insufficienza renale.L’emivita plasmatica è di 40 minuti dopo somministrazione endovena e di 120 minuti per viasottocutanea. È approvata per la HIT complicata da trombosi. Dopo un bolo iniziale endove-noso di 0,4 mg/kg, l’infusione di mantenimento si attua a 0,15 mg/kg/ora. L’effetto anticoagu-lante si monitorizza con l’aPTT ratio che dev’essere mantenuto tra 1,5 e 2,5. Sovente vi è laformazione di anticorpi anti lepirudina che paradossalmente aumentano l’attività anticoagu-lante. Questo farmaco può dare un allungamento dell’INR e creare con ciò problemi per ildosaggio di anticoagulanti orali eventualmente associati. Non ha un antidoto specifico e, pas-sando la placenta, è di uso problematico in gravidanza.

L’Argatroban (Novastan) è un antitrombinico sintetico, metaboilizzato per via epatica, in-

433GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

dicato nel trattamento della HIT senza o con trombosi. Il dosaggio è di 2 microgr/kg/min conincrementi volti a mantenere un aPTT di 1,5-3 volte il valore iniziale. Ha breve emivita (<1ora), ma non possiede antidoto specifico.

Sinteticamente quindi, in riferimento alla HIT, valgono le seguenti raccomandazioni:- monitoraggio piastrinico (a giorni alterni fino al 14° giorno) nei pazienti con rischio stima-

to > 0,1%;- per i pazienti che iniziano l’eparina e che la hanno già assunta entro i 3 mesi precedenti,

il controllo va fatto già nelle prime 24 ore;- in caso di sintomi acuti di tipo infiammatorio, cardiorespiratorio, neurologico o inusuali en-

tro 30 minuti da un bolo endovenoso, una conta piastrinica va istituita immediatamente;- per tutti i pazienti che assumono eparina, o che l’hanno assunta nei 15 giorni precedenti,

una HIT va esclusa se compare calo piastrinico >50% e/o insorge un evento trombotico;- per i pazienti con HIT diagnosticata o sospettata seriamente va istituita terapia con un an-

ticoagulante alternativo, non eparinico, quale lepirudina, argatroban, bivalirudina o danapa-roid;

- anticoagulanti orali non vanno usati, per l’effetto di abbassamento sulla proteina C anti-coagulante che in questi casi genera conseguenze drammatiche, fino a ripristino stabile ecompleto della conta piastrinica ed embricati, a dosi basse, con l’anticoagulante alternati-vo, per almeno 5 giorni, e fino al raggiungimento di un INR terapeutico per almeno 2 gior-ni;

- per i pazienti con diagnosi di HIT durante la somministrazione di anticoagulanti orali, l’ef-fetto di questi ultimi va neutralizzato con vitamina K (5-10 mg per via orale o endoveno-sa);

- trasfusioni piastriniche vanno accuratamente evitate. I casi con sanguinamento attivo me-ritano considerazioni a parte.

Osteoporosi indotta da eparinaLe eparine sono generalmente utilizzate per brevi periodi di trattamento, mentre per an-

ticoagulazioni di lunga durata si preferisce fare ricorso agli anticoagulanti orali.In gravidanza tuttavia tali farmaci sono controindicati e pertanto si assiste ad utilizzi pro-

lungati di eparine.Cali significativi della densità ossea sono stati osservati in questi casi nel 30% dei pazienti,

mentre fratture vertebrali sintomatiche si osservano nel 2-3% dei pazienti trattati per più diun mese.

La demineralizzazione è dose dipendente e si associa ad un calo del 50% nel numero de-gli osteoblasti e della matrice osteoide, ma pure ad un aumento della superficie degli osteo-

434 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze

clasti con incremento del riassorbimento osseo. Dopo la sospensione del trattamento epari-nico i fenomeni osteoporotici non sono rapidamente reversibili dal momento che l’eparinaresta sequestrata per lunghi periodi nell’osso, legata a proteine della matrice ossea.

Le LMWH comportano un minor rischio di osteoporosi per il minor legame con i com-ponenti cellulari e proteici ad esse associato.

FARMACI POSOLOGIA NOTESOLFATO DI PROTAMINA 1 mg ev ogni 100 U di Per infusioni stabilidi circa 1250 U/h

eparina UFH sono richiesti circa 30 mg di farmaco(va considerato T/2 di 60 h)

SOLFATO DI PROTAMINA 1 mg ogni 100 U di LMWH Ridurre il dosaggio per latenze piùentro 8 ore dalla dose lunghe

DANAPAROID SODIUM 1fl=750 U: dose aggiustata al peso Fino a 60 kg =2 fl–– mantenimento ev –– 400 U/h per 4h poi 60-75 kg = 3 fl

300 U/h per 4h poi 75-90 kg = 4 fl150-200 U/h > 90 kg = 5 fl

–– mantenimento sottocute –– 1500 U ogni 8-12h(dopo dose di carico ev)–– profilassi –– 750 U sottocute ogni 8-12hLEPIRUDINA Bolo iniziale ev 0,4 mg/kg Monitorare con valori di APTT

Mantenimento 0,15 mg/kg/h mantenuti tra 1,5-2,5ARGATROBAN 2µg/kg/minuto con incrementi

per mantenere APTT terapeutico di 1,5-3

Letture consigliate

1. Colman R et al. Hemostasis and thrombosis. Basic principles and clinical practice. Fourth Edition. Lippincott 2001 Williamsand Wilkins.2. CHEST, 2004;126/ Nr 3 Supplement. September 2004. The VII ACCP Conference on antithrombotic and thrombolitictherapy.

435GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

3300TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE

COSA CERCARE ECOGRAFICAMENTE NELLA GRAVIDANZA CON PATOLOGIA TROMBOTICO-EMORRAGICAA. Grasso, S. Revesz, P. Bogatti, M.Vessella, S. Inglese,T. StampaljiaUnità di Diagnosi Prenatale, UDPEG, IRCS Burlo Garofolo-Trieste

Per patologia trombotico-emorragica si intende convenzionalmente una sindrome conse-guente ad un’accelerazione comunque indotta del processo emocoagulativo nel sangue cir-colante, con consumo dei fattori della coagulazione, della fibrina e delle piastrine, con massi-va deposizione di fibrina e possibile ostruzione dei microvasi e alterazione secondaria dellafibrinolisi.Tale sindrome definita in unico termine come coagulazione intravascolare dissemi-nata o CID è sempre un fenomeno secondario innescato da una serie di meccanismi che com-prendono il rilascio di agenti tromboplastinici in circolo, i fosfolipidi procoagulanti, che vengo-no liberati in risposta ad emolisi intravascolare e possibile danno endoteliale dei piccoli vasi.Le principali condizioni cliniche ostetriche che possono associarsi ad una CID sono:- La preeclampsia- Il distacco di placenta- L’embolia di liquido amniotico- La ritenzione di feto morto.

Tutti questi quadri clinici possono configurarsi nell’ambito di una paziente con alterazioniemocoagulative su base genetica sia in senso tromboembolico (vedi paziente trombofilico)che in senso emorragico.

La malattia tromboembolica è la causa principale di mortalità materna negli Stati Uniti.La preeclampsia, il ritardo di crescita intrauterino, il distacco di placenta e il parto preter-

mine complicano dello 0,2/3% delle gravidanze e sono le principali cause di morbidità e mor-talità perinatale.

L’esame istologico dei vasi utero-placentari e dell’architettura intervillosa nelle placente del-le gravidanze complicate da questa patologia, dimostra un aumento dei depositi di fibrina, trom-bosi e alterazioni endoteliali e del trofoblasto associata alla conseguente ipossia5. La presenzadi trombofilia congenita o acquisita è stata recentemente considerata la causa principale dieventi trombotici materni e messa in relazione con un outcome perinatale sfavorevole.

436 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica

Le trombofilie congenite più comuni e clinicamente più significative sono rappresentatedalla mutazione eterozigotica del fattore V di Leiden, la mutazione della protrombinaG20210A e la variante termolabile della Metilentetraidrofolato reduttasi, causa più comunedella iperomocisteinemia. Le trombofilie più rare sono rappresentate da deficienza autosomi-ca dominante dell’AT III, della Proteina C e della Proteina S. La principale causa di trombofi-lia acquisita è rappresentata da sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

Questi disordini sono responsabili di oltre la metà di tutti eventi tromboembolici mater-ni come la TVP e l’EP con una incidenza di 1 su 1000 e comportano un aumento del rischioda 3 a 4 volte di sviluppare preeclampsia, IUGR, distacco di placenta e parto pretermine seb-bene complessivamente presenti nel 15% della popolazione europea.

Le condizioni emorragiche più rilevanti clinicamente in gravidanza sono rappresentate dal-la porpora trombocitopenica idiopatica o Morbo di Werlhof e delle piastrinopenie congeni-te o Morbo di Willembrandt e dalla emofilia.

Parliamo di trombocitopenia nella condizione in cui la conta piastrinica diventa inferiorea 150 x 109/l. Da un punto di vista pratico la donna gravida con una conta piastrinica inferio-re a questi valori viene sottoposta ad ulteriore valutazione clinica e di laboratorio.

Le prinicipali cause di trombocitopenia in gravidanza sono.Consumo o distruzione di piastrineSequestro splenico di piastrineProduzione midollare insufficiente

La trombocitopenia gestazionale è responsabile di circa il 70% dei casi di trombocitope-nia materna al momento del parto. La causa sembra essere sconosciuta. In genere questa pa-tologia si sviluppa nel terzo trimestre di gravidanza. La trombocitopenia gestazionale può es-sere difficile da distinguere dalla trombocitopenia autoimmune lieve.

La trombocitopenia autoimmune (AITP) è causata da autoanticorpi diretti generalmentecontro le glicoproteine della superficie piastrinica e può essere idiopatica o secondaria ad al-tra patologia. Il sito principale di distruzione piastrinica è costituito dalla milza. LA AITP puòpresentarsi acutamente con porpora ed emorragie mucose autolimitanti.

È stato stimato che la AITP si verifica nello 0,14% delle donne gravide al momento delparto, per le quali è responsabile del 3% dei casi di trombocitopenia34.

I rischi materni sono correlati all’emorragia spontanea prima della nascita ed al momen-to del parto.

I rischi fetali sono legati alla possibilità degli anticorpi IgG anti-piastrine di attraversare laplacenta dando origine a trombocitopenia fetale, con possibili emorragie fetali o neonatali.Studi retrospettivi dimostrano che circa la metà dei neonati di madri affette da AITP eranotrombocitopenici alla nascita ed il 12% presentava una morbilità significativa secondaria ademorragie36.

437GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica

Ampi studi prospettici pubblicati all’inizio degli anni ’90 chiariscono che il rischio per il fe-to ed il neonato nelle madri con AITP di emorragie secondarie a trombocitopenia è estre-mamente basso. Questi studi riportano come incidenza totale di trombocitopenia il 10-30%,dove la trombocitopenia severa era meno comune e le emorragie intracraniche rare33-35.

Dal punto di vista materno nelle gravide con AITP è dibattuto se sia opportuno espleta-re il parto per via vaginale.

Un’altra patologia emorragica importante da non sottovalutare in gravidanza è la malat-tia di von Willebrand data da un deficit ereditario di fattore VIII della coagulazione. I livelli difattore VIII tendono ad aumentare durante la gravidanza nelle donne normali. Possiamo ri-scontrare un miglioramento della tendenza emorragica nelle donne con malattia di vonWillebrand tipo 1, nel tipo 2 non si verifica alcun miglioramento clinico mentre nel tipo 3 lagravità della patologia aumenta. Il rischio di sanguinamento per le portatrici di emofilia A eper casi di malattia von Willebrand risultano maggiori nel periodo post-partum. Le procedu-re invasive effettuate nel primo trimestre (come ad es.il prelievo dei villi coriali) si caratteriz-zano da un aumentato rischio di sanguinamento, soprattutto perché in questa fase della gra-vidanza non si verifica un’incremento sostanziale del fattore VIII.

Il rischio fetale quindi per un feto maschile da una madre portatrice definita di emofilia Ao B è 50% di possibilità di risulatare affetto. Sanguinamenti spontanei neonatali documentatiesistono dopo un parto traumatico che deve essere evitato, mentre le decisioni relative al ta-glio cesareo devono essere prese unicamente sulla base di eventuali problemi ostetrici.

Nelle pazienti con gravi patologie a rischio emorragico quali pre-eclampsia, trombofilia, so-no state riportate emorragie intracraniche a prognosi peggiori come le subependimali conversamento emorragico intraventricolare, dilatazione ventricolare ed estensione al parenchi-ma cerebrale. L’ecografia può dare un valido aiuto nella diagnosi precoce delle emorragie in-tracraniche (intra-ventricolare, intra-cerebellare) fetali. Infatti le scansioni seriate ultrasonogra-fiche hanno potuto dimostrare l’evoluzione da un quadro anatomico intracraniale normale aduna ventricolomegalia o ad una poroencefalia, in associazione con patologie emorragiche ma-terne31. Le condizioni a rischio per lesioni del sistema nervoso centrale sono: IUGR, HELLP,parto pretermine, traumatismi materni. L’incidenza dell’emorragia intracranica è stimata a 1-5/10.000 parti. Una predisposizione materna/fetale può essere dimostrata in meno di metàdei casi32.

L’aspetto ecografico dell’emorragia cerebrale è quello di un’area iperecogena irregolarelocalizzata nella parenchima cerebrale o nel sistema ventricolare dilatato. Le emorragie pa-renchimali possono andare incontro ad un processo progressivo di colliquazione con esito incisti porencefalica. L’emorragia appare inizialmente come una massa solida che progressiva-mente assume un aspetto cistico con interposte aree ecogene.Tale quadro leucomalacico puòessere preceduto quindi da una ecodensità periventricolare, che può essere visualizzata pre-cocemente mediante ecografia transvaginale in feto in presentazione cefalica43. Estremamente

438 GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Management in assenza di EBM

Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica

più rare sono le emorragie subdurali localizzate tra la calotta cranica e parenchima cerebra-le, esse in genere presentano le stesse cause delle emorragie intracraniche o sono seconda-rie a traumi materni.

La risonanza magnetica viene indicata per la conferma dei casi a rischio.Da una condizione trombotica emorragica come finora descritto, ne consegue una mol-

teplicità di patologie in gravidanza che coinvolgono la madre, il feto e gli annessi fetali e chepossono essere valutabili ecograficamente.

Il ruolo dell’ecografia in quest’ambito è multidisciplinare e dovrebbe essere rivolto ad iden-tificare in gravidanza precoce alcuni fattori di rischio che da soli o associati siano tali da defi-nire la probabilità di sviluppare le complicanze sia materne come l’EP, la TVP, la preeclampsia,emorragia post TC che fetali come la IUGR severa e le emorragie intracraniche.

Pertanto gli ecografisti coinvolti nella gestione della gravida a rischio di patologia trombo-tico emorragica saranno di provenienza ostetrica, chirurgico-vascolare e cardiologica.

L’ecografia ostetrica potrà avvalersi dell’utilizzo della flussimetria Doppler che dà impor-tanti informazioni sulla circolazione fetale e uteroplacentare. Abbiamo già ricordato che le al-terazioni trombotiche placentari evidenziate nelle pazienti affette da trombofilia sono alla ba-se del meccanismo fisiopatologico che conduce alla preeclampsia ed al ritardo di crescita in-trauterino9.

È stato ipotizzato che queste anormalità vascolari sono responsabili del decremento del-la velocità del flusso diastolico e dell’aumento dell’impedenza di flusso a livello delle arterieuterine. Con l’ecografia transvaginale già a partire dalla 12ª-16ª settimana di gestazione è pos-sibile evidenziare la presenza di notch diastolico o di aumento della RI (indice di resistenza)in entrambe le arterie uterine.

Poiché la fisiologica trasformazione delle arterie radiali e spirali è completa tra la 20ª e la24ª settimana di gestazione, l’impedenza vascolare e uteroplacentare decresce gradualmentefino a stabilizzarsi dopo la 24ª settimana. La persistenza del notch diastolico o dell’aumentodella resistenza al flusso a 24 settimane è in stretta relazione con lo sviluppo di una IUGR e/opreeclampsia a termine di gravidanza2.

Il reale valore predittivo in realtà non è ancora chiaro ma anche da studi recenti si evin-ce che la presenza di notch bilaterale precoce alla 12ª-16ª settimana che persiste alla 20ª set-timana di gestazione ha un alta sensibilità (dall’81 all’87%) nella predizione di parti pretermi-ne (<34 settimane) dovuti a pre-eclampsia (81,2%) o a IUGR (57-61%) ed è quindi in stret-ta relazione con un outcome prenatale sfavorevole6.

Nell’ambito di una condizione trombotico-emorragica il chirurgo vascolare potrà aiutarel’ostetrico nella diagnosi di TVP utilizzando gli ultrasuoni con una metodica di scelta non in-vasiva come la CUS (compression ultrasonography). La tecnica prevede l’utilizzo di una sondalineare di 7,5 MHZ, con la paziente in posizione supina viene visualizzata la vena femorale co-mune a livello del legamento inguinale usando l’arteria adiacente come punto di repere. La

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vena poplitea viene studiata con la paziente prona o in decubito laterale con il trasduttoreposto posteriormente nella fossa poplitea media e mosso lentamente dalla fossa poplitea ver-so il basso fino alla triforcazione delle vene del polpaccio. Con il trasduttore si comprime quin-di il lume di tutto il sistema venoso prossimale fino alla triforcazione. Nelle paziente sintoma-tiche la incompleta compressibilità del lume venoso è segno di presenza di TVP prossimale.Se le vene risultano compressibili e non si visualizza lume residuo, si può escludere la presen-za di TVP sia nella vena femorale comune che nella poplitea. Una CUS normale però nonesclude un TVP prossimale ma il test andrà ripetuto a distanza di una settimana per esclude-re la possibilità di una estensione del trombo verso la parte più distale della vena poplitea12.

Se il test diviene anormale è segnale di presenza di una TVP prossimale.La CUS ha un’alta sensibilità per la TVP prossimale sintomatica (97%) e una specificità del

94% nella popolazione generale21. La CUS però da sola è inadeguata per la diagnosi della trom-bosi isolata della vena iliaca. Poiché quest’ultimo è ad alto rischio di EP. Quando la sintoma-tologia della paziente (gonfiore dell’intera gamba con dolore posteriore) ci fa sospettare unatrombosi della vena iliaca è opportuno eseguire ulteriori indagini diagnostiche come la pleti-smografia ad impedenza (IPG), il dosaggio dei D-dimeri, MRV (magnetic resonance venogra-phy), doppler pulsato o CT scan12.

Ecocardiografia nella diagnosi di EP in gravidanzaNella paziente gravida con segni clinici sospetti di EP (dispnea, tachicardia, dolore toraci-

co) ed in fase non acuta di emergenza della patologia, la tecnica diagnostica più utilizzata è lascintigrafia ventilo-perfusionale. Solo 1/3 di tutte le pazienti sottoposte a questa indagine haun quadro scintigrafico decisivo mentre nei 2/3 la scintigrafia è incerta. In quest’ultimo casose persiste il sospetto di PE ancora una volta, la CUS può avere un ruolo decisivo nella dia-gnosi di TVP asintomatica che potrebbe essere presente in concomitanza ad una EP.

L’ecocardiografia transtoracica transesofagea che coinvolge lo specialista cardiologo nelmanagement della paziente a rischio tromboembolico, non ha in realtà un ruolo clinico sta-bilito nella diagnosi di EPA e non è raccomandata come test di routine nella diagnosi di so-spetta embolia polmonare37.

Tuttavia segni ecocardiografici indiretti come la ipocinesia ventricolare dx o la valutazionedel rigurgito tricuspidale, la persistente ipertensione polmonare e il libero sbandieramentodel trombo possono aiutare a stimare la gravità di un episodio embolico già diagnosticato conaltri mezzi23.

Inoltre l’ecocardiografia può essere d’aiuto nel guidare una trombolisi o una embolecto-mia e successivamente nel monitorare l’effetto del trattamento mediante studi seriati dellafunzione ventricolare37.

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Ulteriori studi in futuro chiariranno e definiranno più precisamente l’utilizzo ed i limitidell’ecocardiografia nel management dell’embolia polmonare.

Lo studio ecografico delle pazienti gravide a rischio di patologia trombotico emorragicaè di fondamentale importanza per i seguenti motivi:

1. Lo studio Doppler delle arterie uterine e delle arterie ombelicali fetali in gravidanza ini-ziale permette di identificare le pazienti che svilupperanno successivamente una pre-eclampsia e/o un IUGR severo e che sono a rischio di parto pretermine con un valorepredittivo positivo dal 57 all’87%1. Questo consente di sottoporre le pazienti ad una sor-veglianza più stretta del benessere materno fetale ma soprattutto di instaurare misureprofilattiche terapeutiche come aspirina a bassa dose con lo scopo di migliorare l’outco-me prenatale.Una recente review sistematica ha evidenziato come l’aspirina a basse dosi ha un effet-to statisticamente significativo nel risolvere l’incidenza di preeclampsia nelle donne conalterata flussimetria delle arterie uterine diagnosticate nel secondo trimestre7.

2. L’ecografia transvaginale nelle pazienti a rischio permette di diagnosticare precocemen-te i casi di emorragia intraventricolare fetale permettendo di sospettare una causa trau-matica verificatasi in epoca pre-partale. Il riscontro di un reperto di questo tipo assumeoggi una rilevanza medico legale fondamentale in caso di danno cerebrale neonatale.Questo dato infatti in casi di manifestazione patologica neonatale tardiva (1 anno di vi-ta del bambino) dimostra che la noxa patogena all’origine dell’ handicap psicomotorio,non si è realizzata per un’asfissia intra-partum, non documentata, ma in epoca preceden-te al travaglio di parto, scagionando quindi l’incolpevole ostetrico, che ha assistito queldeterminato travaglio di parto.

3. L’ecografia addominale rappresenta un’indagine importante nel controllo delle patologiedel post-partum di tipo emorragico, con relativo quadro ipotensivo materno. In questepuerpere infatti, al di là del quadro clinico più o meno eclatante è possibile evidenziarela presenza di una raccolta ematica patologica, con la sua precisa collocazione: sottocu-tanea, sottofasciale, endocavitaria sino ad un quadro di emoperitoneo importante. È pos-sibile in questi ultimi casi anche valutare l’estensione addominale dello stesso. È quindi difondamentale importanza non limitarsi alla osservazione della pelvi, ma allargare l’inda-gine a tutto l’addome, con lo scopo di evidenziare eventuali raccolte a livello della log-gia splenica e/o epatica.

4. La CUS permette di diagnosticare una TVP con un’alta sensibilità e specificità e quindi ditrattare le pazienti affette con lo scopo di prevenire le complicanze tromboemboliche eridurre quindi i tassi di morbilità e mortalità materna. Nelle pazienti con diagnosi di TVPil regime terapeutico ottimale tiene conto della sicurezza del farmaco, sia per il feto che

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per la madre, dell’efficacia e del dosaggio che serve nella fase acuta, nel mantenimento enel post partum. Nella donna con TVP acuta sono raccomandate dosi elevate di epari-na a basso peso molecolare (LMWH) per 5 giorni con aggiustamento della dose nel cor-so della gravidanza e sospensione con 12/24 ore prima del parto e ripresa dopo il par-to per 6 settimane17. Nella donne affette da trombofilia nelle quali si evidenzia un’aumen-to del rischio di TVP e un’associazione con pre-eclampsia, IUGR e aborti ripetuti, la rac-comandazione è quella di utilizzare o aspirina a basse dosi più minidose di eparina op-pure LMWH a dosi profilattiche. Questi aspetti sono trattati più ampiamente in altri ca-pitoli di questo testo

5. L’ecocardiografia oltre che come momento diagnostico in caso di sospetta EP, può esse-re utilizzata per una valida e accurata valutazione del rischio nelle donne con diagnosi diEP severa37.

Le tecniche ecografiche descritte finora di facile esecuzione e non invasive ci permetto-no di identificare precocemente quei fattori di rischio associati a complicanze tardive sia ma-terne che fetali.

La diagnosi precoce dell’alterazione del flusso nelle arterie uterine e della presenza diuna TVP ci impone di attivare misure di prevenzione e/o di controllo intensivo per miglio-rare l’outcome fetale e per la prevenzione delle complicanze materne quali l’EP e la pre-eclampsia.

L’ecografia inoltre offre un valido aiuto nel monitorare il benessere fetale.La semplicità di esecuzione e il basso costo delle tecniche ci può fare riflettere sulla pos-

sibilità di educare gli ostetrici già esperti nel campo degli ultrasuoni ad utilizzare metodichecome la CUS. Per l’ecocardiografia su pazienti sintomatiche o a rischio tromboembolico ildiscorso è più difficile, specialistico e complesso e quindi possono ipotizzarsi valutazioni suquadri di emergenza in assenza di un cardiologo.

In questi casi l’entità delle anomalie del cuore destro può aiutare a confermare il sospet-to di EP, anche da un operatore che non possiede una specializzazione specifica.

È chiaro che le relative competenze specialistiche nella consulenza ecografica devono es-sere privilegiate, ma in alcuni casi o per carenze strutturali del centro ostetrico ove la pa-ziente è ricoverata o per motivi di urgenza clinica, può essere vitale possedere cognizioniecografiche, che prescindono dal limite ostetrico, e consentono di ottenere un’informazio-ne più completa del quadro clinico nella donna in gravidanza con un conseguente migliora-mento della sua prognosi.

Riteniamo simpatico chiudere questo nostro capitolo con una “poesiola”, che ricorda inrima i momenti procedurali della diagnostica della tromboembolia polmonare.Talvolta que-sti anagrammi scientifici possono costituire un “memento” in momenti di stress operativo.

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If PE you want to detect,And ECHO is what you select,Why did you not planCt or lung scanTo prove there’s a blood flow defect?Once diagnosis is secure,The ECHO itself is no cure.For prognostication,Risk stratification,

ECHO can guide treatment for sure!You’re still hesitating, I seeNot certain about the RV?For more precise measureThan simply blood pressure,Just say “ECHOCARDIOGRAPHY”.

(Samuel Z. Goldhaber, MD, FCCP. Echocardiography in theDiagnosis and Management of Pulmonary Embolism).

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