LA RIANIMAZIONE NEONATALE DOPO DISTOCIA DI SPALLA … · I colleghi ginecologi eseguono...

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1 Scuola Europea di Anestesia Ostetrica www.eesoa.com Master Biennale di Alto Perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA Direttore Prof. Giorgio Capogna Anno accademico 2017-2018 LA RIANIMAZIONE NEONATALE DOPO DISTOCIA DI SPALLA Tesi finale di Dott.ssa Chiara Sinigaglia Roma 12 Ottobre 2018

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Scuola Europea di Anestesia Ostetrica

www.eesoa.com

Master Biennale di Alto Perfezionamento in

ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA

Direttore Prof. Giorgio Capogna

Anno accademico 2017-2018

LA RIANIMAZIONE NEONATALE DOPO DISTOCIA DI SPALLA

Tesi finale di

Dott.ssa Chiara Sinigaglia

Roma 12 Ottobre 2018

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INTRODUZIONE

Laddove richiesta, l’ assistenza anestesiologica in sala parto comporta l’evenienza di dover

fronteggiare situazioni di emergenza non sempre prevedibili. Alcune problematiche possono essere

anticipate dalla diagnosi prenatale; al contrario nel caso della distocia di spalla (DS) l’anestesista e/o

il neonatologo si trovano per primi e più direttamente a fronteggiare una situazione urgente quando

non è stata posta alcuna diagnosi prima della nascita.

La DS può rappresentare un evento traumatico della nascita con rapido deterioramento delle

condizioni neonatali anche con un travaglio ed un parto fino a quel momento non complicati e un

tracciato rassicurante.

Pur essendo dunque la DS un evento imprevedibile e quindi inevitabile, la conoscenza dei fattori di

rischio e del protocollo terapeutico delle manovre ostetriche possibili, può costituire la migliore

garanzia per un trattamento appropriato di questa complicanza della nascita per la prevenzione e la

riduzione delle sue conseguenze.

Partendo dalla descrizione di un caso clinico specifico ho successivamente illustrato il managment

ostetrico del parto complicato da DS; un’attenta revisione della Letteratura più recente mi ha

permesso di porre l’attenzione su alcune peculiarità della rianimazione neonatale dopo DS descritte

nella seconda parte della tesi.

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CASO CLINICO

Trattasi di una donna obesa (BMI 34) di origine marocchina, di anni 29, gravida (40 sett+6 gg), la

quale si rivolge al nostro PS-Ostetrico per l'insorgenza del travaglio (h 12.30).

Anamnesi

2 gravidanze precedenti con nascita di neonati entrambi di 4700 gr;

allergia all'amoxicillina;

proctite ulcerativa in terapia con mesalazina;

esame culturale vaginale positivo;

curva da carico negativa.

Decorso

All'ingresso viene messa in terapia con clindamicina, vengono rilevati i parametri di PA 100/60

mmHg, T° 36,9°C; viene posta diagnosi di travaglio avviato e viene accompagnata in sala parto (h

14.00).

Alla cardiotocografia si registrano alcune decelerazioni variabili ed i colleghi ginecologi segnalano

contrazioni uterine di lieve entità; il liquido amniotico appare sempre limpido.

Alle h 15.06 viene iniziata infusione ev di ossitocina ( 5UI/500mL a vel 30 mL/h) che viene sospesa

dopo 10 min per l'insorgenza di decelerazioni prolungate; la paziente viene posta a carponi con buona

ripresa del battito cardiaco fetale anche se le contrazioni uterine si mantengono irregolari. La testa si

trova allo stretto medio e alle h 15.47 viene tentato di riprendere l'infusione di ossitocina,

definitivamente sospesa alle 15.57.

Alle h 16,12 i colleghi ginecologi decidono di applicare il Vacuum per bradicardia fetale e scarse

spinte materne; vengono allertati l'anestesista ed il pediatra.

Alle h 16.17, alla prima trazione si assiste alla fuoriuscita della testa fetale; per il mancato disimpegno

del mento si esegue episiotomia e si pone diagnosi di DS.

I colleghi ginecologi eseguono nell'ordine la manovra di McRoberts, la manovra di Rubin 1 e Rubin

2; con la manovra di Jacquemier che permette di estrarre il braccio posteriore e la fuoriuscita del

resto del corpo del neonato alle h 16.20.

Il neonato appare ipotonico e bradicardico, viene asciugato ed accompagnato immediatamente

all'isola neonatale. Viene eseguito una emogasanalisi (EGA) cordonale (pH 7.16, pCO2 59, pO2 8,

lattacidemia 36, BE -7,7, HCO3 14,5, glicemia 79). Viene eseguito un secondamento spontaneo,

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viene somministrata ossitocina 10 UI im e si esegue l'episiorrafia; le perdite ematiche stimate sono

state stimate all'incirca di 150 cc.

Il post partum si è svolto in maniera regolare.

La rianimazione del neonato

Neonato (maschio, peso di 4330 gr) appare in arresto cardiocircolatorio, ipotonico, cianotico ;

vengono eseguite le 5 insufflazioni iniziali e continuata la ventilazione a pressione positiva (30 + 5

cmH2O) per un ciclo di 20 sec; si verifica la pervietà delle vie aeree e la corretta ventilazione

bilateralmente.

A 40 sec dalla nascita la FC è pari ancora a 60 bpm per cui si inizia il massaggio cardiaco (rapporto

3:1). Apgar al 1°min: 4; viene iniziato monitoraggio ECG e SpO2 preduttale.

A 5 min si assiste ad una ripresa della ventilazione spontanea e alla comparsa di pianto inizialmente

flebile; SpO2 98%, FC 170 bpm. All'esame obiettivo l'arto sup dx appare subito esteso, flaccido e

paretico; muove spontaneamente i restanti arti che appaiono in moderata flessione. Apgar al 5°min:

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Nel frattempo con il collega pediatra abbiamo provveduto ad incannulare una vena ombelicale (cal 5

F), abbiamo eseguito una nuova EGA (pH 6,8, HCO3 5, BE -22, lattacidemia 10; vengono

somministrati NaHCO3-8,4% 6 meq + NaCl 10 cc in 10 min.

Alle ore 17,57 il neonato, che appare ore vigoroso e roseo, viene accompagnato in patologia neonatale.

Il successivo decorso del ricovero è stato caratterizzato dal mantenimento di un quadro neuorologico

con paresi flaccida dell'arto sup dx con conservata minima motricità delle dita e della mano; sono

comparsi inoltre il giorno successivo lievi fini tremolii contenibili ai 4 aa, lieve ipertono agli aa di sx,.

Sono stati eseguiti: rx-spalla-clavicola-braccio dx (negativi), elettroencefalogramma (neg),

ecoencefalografia (negativo), otoemissioni (nella norma).

E' stato dimesso a 7 giorni dalla nascita con diagnosi di lieve asfissia neonatale e paralisi ostetrica

dell'arto superiore dx.

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DEFINIZIONE

La distocia di spalla (DS) è una complicanza improvvisa della nascita di un feto in presentazione

cefalica, caratterizzata dalla mancata espulsione delle spalle dopo la fuoriuscita della testa; si verifica

quando la testa fetale è già disimpegnata e le spalle sono fisse e non possono disimpegnarsi. La grande

maggioranza dei feti disimpegna le spalle entro la prima contrazione successiva all’espulsione della

testa; nella DS la testa è trattenuta contro i genitali esterni e talvolta può dare l’impressione di essere

risucchiata indietro verso il perineo materno (“segno della tartaruga”) e l’espulsione del feto non

avviene. La rotazione esterna generalmente non si verifica oppure è incompleta. La maggior parte

delle DS si manifesta quando la spalla anteriore rimane bloccata dietro la sinfisi pubica, più raramente

è la spalla posteriore ad essere bloccata contro il promontorio sacrale; nella forma estrema entrambe

le spalle sono bloccate all’ingresso della pelvi. La DS è una distocia meccanica di tipo osseo causata

dal blocco esercitato da parte della sinfisi materna sulla spalla anteriore del feto e non può essere

risolta con la forza di trazione sulla testa fetale, ma con la modifica del confronto sfavorevole tra

diametro bisacromiale del feto e diametro anteroposteriore del bacino materno.

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DIAGNOSI

La DS viene diagnosticata in presenza di una o più delle seguenti condizioni:

1. Difficoltà con il disimpegno della faccia e del mento

2. La testa fetale resta applicata strettamente alla vulva

3. Mancata restituzione della testa fetale

4. Mancata discesa delle spalle

La distocia di spalla ha un’ incidenza complessiva dello 0,2-1,6% e in genere un basso rischio di

ricorrenza.

I principali fattori di rischio, che tuttavia rendono ragione solo di circa la metà dei casi, sono

rappresentati da tutte quelle situazioni che possono predisporre o riflettere difficoltà meccaniche del

parto:

• l’obesità materna;

• la macrosomia fetale;

• il diabete gestazionale non solo perché si associa ad una macrosomia fetale più

frequentemente, ma perché i feti di madri diabetiche hanno una circonferenza delle spalle che è

sproporzionalmente più larga della circonferenza della testa;

• una precedente distocia;

• un travaglio di parto prolungato;

• un parto vaginale operativo.

Nelle precesarizzate una distocia di spalle può rappresentare il primo segno di rottura d’utero o di

deiescenza della cicatrice laparotomica.

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MANAGMENT

Trattandosi di un evento raro e imprevedibile è opportuno che il responsabile dell’assistenza al parto

sia in grado di effettuare in tempi brevi ed in modo progressivo una serie di interventi di complessità

e invasività crescente e che vengono riassunte nell’acronimo H.E.L.P.E.R.

Help: chiamare aiuto

Episotomy: fare un’ampia episiotomia per ridurre l’ostacolo tissutale e avere uno spazio per le

manovre

Legs: flessione delle gambe (Manovra di Mc Roberts)

Pressure o Push: pressione sulla sinfisi pubica (spalla anteriore) e in contemporanea una trazione

verso la parte posteriore della testa fetale in modo da disimpegnare la spalla anteriore

Enter: introdurre la mano nella pelvi cercando la faccia anteriore della spalla posteriore in direzione

dello sterno

Removal: estrarre il braccio posteriore dopo aver cercato in vagina l’omero e il braccio posteriore

flettendolo ed accastonandolo.

In ogni caso non esercitare trazione o rotazione forzata sulla testa fetale in quanto aumenta il diametro

bisacromiale e ne può risultare una lesione del plesso brachiale e non fare la manovra di Kristeller

perché la pressione sul fondo dell’utero può portare alla sua rottura.

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• Manovra di McRoberts: iperflessione delle cosce materne sull’addome, le ginocchia devono

essere modicamente divaricate, ma i piede non devono essere ruotati verso l’esterno con lo scopo di

ruotare la sinfisi verso l’alto, appiattendo la lordosi lombare e migliorando così la capacità pelvica.

• Manovra di Rubin 1: se si conosce la posizione del dorso fetale si esegue una pressione

sovrapubica sull’addome materno per dislocare la spalla anteriore del feto sul diametro obliquo del

bacino finalizzata allo scivolamento al di sotto della sinfisi pubica.

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• Manovra di Mazzanti: se non si conosce la posizione del dorso fetale la pressione viene

esercitata centralmente in regione sovrapubica in senso anteroposteriore sulla spalla anteriore, con il

palmo della mano, allo scopo di favorirne lo scivolamento al di sotto della sinfisi pubica.

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• Manovra di Rubin 2: la mano è inserita in vagina, la pressione è applicata sulla faccia

posteriore della spalla anteriore spingendola ventralmente verso il torace fetale per portare il diametro

bisacromiale da antero posteriore ad obliquo. Questa manovra ruota le spalle ventralmente nel

diametro più favorevole obliquo del bacino, inoltre riduce leggermente la lunghezza del diametro

bisacromiale.

• Manovra di Wood: premere sulla faccia anteriore della spalla posteriore in modo da farle

compiere una rotazione che la renda anteriore ( l’opposto della manovara di Rubin II)

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• Manovra di Jacquemier: l’obiettivo è abbassare il braccio posteriore del feto portandolo

all’esterno, sostituendo così il diametro bisacromiale con il diametro axilloacromiale, più corto di 2-

3 cm.

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• Manovra di Gaskin: far assumere alla paziente la posizione carponi (mani e ginocchia) ed

esercitare una leggera trazione verso il basso sulla testa, in modo da far uscire la spalla posteriore con

l’aiuto della gravità

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• Manovra di Zavanelli: si fa ripercorrere a ritroso alla testa fetale il percorso compiuto

durante il parto ed il parto viene espletato mediante taglio cesareo; la testa dev’ essere riposizionata

nella presentazione occipito-pubica, iperfletterla e spingerla cranialmente nel canale del parto. Può

rendersi necessario una tocolisi con nitoglicerina 100 mcg ev o sublinguale, terbutalina 0,25 mg ev o

sottocute, fino ad una anestesia generale con agenti inalatori (1).

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COMPLICANZE MATERNE

Le manovre ostetriche finalizzate a risolvere la DS sono associate a un'elevata morbilità materna

anche se eseguite a regola d'arte.

Le possibili complicanze materne sono:

• lesioni traumatiche dei tessuti molli (lacerazioni vagino-perineali e lacerazioni cervico-

vaginali);

• emorragie del postpartum;

• ematomi del canale del parto;

• atonia uterina postpartum;

• infezioni pelviche postpartum;

• trauma psicologico materno;

• rottura d'utero;

• diastasi della sinfisi pubica e neuropatia transitoria materna.

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COMPLICANZE NEONATALI

Pur trattandosi di un evento spesso imprevisto, esso è potenzialmente associato a conseguenze gravi

per madre e neonato. Infatti fino al 4% delle paralisi ostetriche del plesso brachiale si associa a DS;

più frequentemente si osserva frattura di clavicola senza lesione nervosa, mentre in casi più rari la DS

si inscrive in una asfissia perinatale di gravità variabile fino allo sviluppo di una paralisi cerebrale

infantile.

La frattura di clavicola è in genere a “a legno verde”, ma può talora essere completa. Se non si verifica

un danno del plesso, il neonato generalmente mantiene l’arto addotto e con il gomito esteso; i

movimenti passivi e la palpazione causano dolore, il riflesso di Moro è asimmetrico. Tali segni clinici

sono transitori: la lesione consolida sempre spontaneamente, quindi non necessità di trattamento, ma

è utile consigliare facilitazioni per le manovre di accudimento.

La paralisi del plesso brachiale è la causa di morbidità più frequentemente associata alla DS, ma circa

il 50% dei neonati con questa lesione nervosa non ha avuto DS (2). Storicamente infatti si riteneva

che la paralisi fosse conseguenza diretta della compressione della testa fetale contro la sinfisi pubica

materna o di una eccessiva trazione laterale o rotazione forzata della testa del nascituro con deviazione

dell’ asse del tronco, dato che in genere la DS richiede l’applicazione di una forza maggiore da parte

dell’ostetrico per il disimpegno delle spalle durante il parto. Tuttavia sappiamo oggi che un numero

significativo di paralisi si verifica per eventi in utero, e questo rende ragione dei casi non associati a

DS.; le cause possibili includono anomalie dell’organo materno (utero bicorne, utero setto), fibromi

uterini, il malposizionamento intrauterino del feto, l’ipercinesia uterina durante il travaglio. Le lesioni

del plesso brachiale possono osservarsi, infine, anche dopo taglio cesareo (3).

La lesione nervosa può essere limitata ad uno stato di edema importante, compressivo (neuroaprassia),

con guarigione in genere entro 1 mese; può consistere invece nell’interruzione dell’assone a guaina

integra (axonotmesi), con recupero entro un paio d’ anni, o può, nei casi più gravi, essere caratterizzata

da una rottura sia dell’assone che della guaina e in questo caso la prognosi quoad valetudinem dell’

arto è severa. La percentuale di lesioni che esitano in un danno permanente è variabile nelle casistiche

riportate in Letteratura dal 5 al 22% (2).

Nel caso in cui la lesione interessi le radici C5-C6 (paralisi superiore o di Erb-Duchenne), è

compromessa l’innervazione dei muscoli deltoide, bicipite, brachiale e brachio-radiale: l’arto è

ipomobile, addotto, intraruotato con l’avambraccio pronato; la prensione può essere normale. Se

invece la lesione interessa le radici C7-C8-T1 (paralisi inferiore o di Klumpe), è compromessa

l’innervazione dei muscoli flesso-estensori del polso e delle dita, quindi mano e polso sono paralizzati.

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Il braccio è in posizione cosiddetta da schermitore se la paralisi è completa e in genere si associa a

interessamento delle fibre simpatiche, con conseguente ptosi palpebrale, miosi ed enoftalmo.

Un parto complicato da una distocia di spalla può causare inoltre un rapido deterioramento delle

funzioni vitali del neonato, anche se il tracciato fino a quel momento è risultato nella norma. Il

neonato può apparire severamente compromesso: pallido, ipotonico, in arresto respiratorio se non

addirittura in arresto cardiaco; questi piccoli sono a rischio di sviluppare convulsioni, encefalopatia

ipossico-ischemica, disturbi dello sviluppo neurologico, paralisi cerebrale fino al decesso.

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LA RIANIMAZIONE NEONATALE DOPO DS

Uno dei fattori cruciali nello sviluppo dell’asfissia neonatale è rappresentato dall’intervallo di tempo

che separa la nascita della testa fetale dal resto del corpo, cosiddetto head-to-body delivery interval

(HBDI), anche se non è noto quanto rapidamente l’ossigenazione fetale si deteriori con l’aumento del

HBDI o se ci sia una soglia al di sopra della quale l’acidosi fetale si sviluppi. Lo sviluppo di ipossia

è stato attribuito alla compressione del cordone ombelicale tra il corpo fetale e la pelvi materna, alla

compressione del collo del feto e delle carotidi da parte del perineo materno ed al prematuro distacco

della placenta durante una DS prolungata.

In una review retrospettiva Leung et al. hanno esaminato l’associazione tra l’ HBDI con il pH (pH-

a) ed il base excess (BE) arterioso del cordone ombelicale, l’Apgar score a 5min (AS5) ed il rischio

di sviluppo di encefalopatia ischemica, allo scopo di individuare un intervallo di tempo di sicurezza

per esercitare adeguatamente le manovre ostetriche durante la DS(4). Sono stati analizzati 200 casi di

DS intercorsi in un intervallo di tempo dal 1995 al 2009 e sono state analizzate le relazioni possibili

tra il pH arterioso cordonale, il peso alla nascita , l’HBDI. Il pH-a, il BE e l’ AS5 sono stati inoltre

comparati tra di loro nei casi con e senza encefalopatia ipossico-ischemica (hypossic-ischemic

encephalopaty, HIE). L’ analisi univariata avrebbe dimostrato che l’ HBDI sarebbe inversamente

correlato con entrambi il pH-a ed il BE; l’ HBDI ed un tracciato fetale non rassicurante sarebbero

entrambi determinanti indipendenti del pH-a e del BE; il pH si abbassa ad una velocità di 0,011 per

ogni minuto di HBDI ed il rischio di severa acidosi (pH<7) è stato calcolato essere dello 0,5% per un

HBDI <5 min e del 5,9% quando l’ HBDI si prolunga oltre i 5 min. La DS è una complicanza

improvvisa, imprevedibile e dagli esiti potenzialmente nefasti; il personale ostetrico potrebbe essere

indotto ad affrettare eccessivamente la fuoriuscita della spalla bloccata usando una forza eccessiva

e/o manovre scorrette; una chiara comprensione del rischio di sviluppo di acidosi fetale e di HIE in

relazione all’ HBDI potrebbe confortare ed incoraggiare gli operatori ad eseguire correttamente

procedure ostetriche riducendo il rischio di lesioni a carico dell’arto superiore.

Ci sono stati 5 casi di HIE (2,5%), 4 dei quali avevano un HBDI inferiore o uguale a 5. Il rischio di

HIE con un HBDI < 5min è stato di 0,5%, aumenta a 23,5% per HBDI > 5 min (P < 0,001).

Confrontati con i casi senza HIE, l’AS5 dei neonati con HIE era statisticamente più basso; inoltre

presentavano una moderata acidosi non statisticamente differente dal resto del campione. Questo

potrebbe suggerire che l’ insorgenza di HIE non sia direttamente collegata con lo sviluppo

dell’acidosi. Questa dissociazione tra il calo del pH-a e l’ insorgenza di HIE suggerisce l’ipotesi che

nei casi di DS la perfusione cerebrale sia sproporzionalmente danneggiata dalla compressione dei

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vasi venosi del collo da parte del perineo e dei tessuti materni. Conseguentemente non solo si

verificherebbe una insufficiente ossigenazione cerebrale, ma anche l’eliminazione dei cataboliti

anaerobi sarebbe compromessa. In questo contesto il pH-a cordonale rifletterebbe più lo stato della

circolazione sistemica che non l’ipossia e l’acidosi cerebrale, mentre l’AS5 potrebbe rappresentare

un indicatore più robusto del danno cerebrale e riflettere così non solamente la funzione cardio-

respiratoria (colore della cute e frequenza cardiaca), ma anche gli effetti neurologici (respiro, tono

muscolare e riflessi). Questa ipotesi potrebbe spiegare perché la manovra di Zavanelli possa

migliorare l’outcome neonatale anche dopo un prolungato HBDI, poiché il riposizionamento della

testa fetale all’interno della vagina migliorerebbe la circolazione cerebrale.

Dall’ analisi della letteratura emerge anche un altro aspetto peculiare che distingue la rianimazione

del neonato dopo DS: in almeno 2 reports sono stati descritti casi di neonati con una frequenza

cardiaca normale 5-10 min prima della nascita e che dopo una DS sono nati in asistolia; in entrambi

i casi la DS si era risolta in un intervallo di tempo < 10 min e nonostante le corrette manovre

rianimatorie sono morti o hanno riportato gravi danni cerebrali (5-6).

In realtà ciò era già stato descritto nel 1998 in una review inglese (7) di 45 casi di bambini morti dopo

DS in cui era stato possibile stimare l’ HBDI: nel 47% questo era inferiore ai 5 min. Gli autori

all’epoca ipotizzarono che il fallimento della rianimazione neonatale fosse imputabile ad un

preesistente distress fetale non segnalato oppure che l’HBDI fosse stato sottostimato o che la

compressione del collo fetale avesse causato una gravissima ostruzione venosa cerebrale o una

eccessiva stimolazione vagale con conseguente bradicardia; vennero eseguite 25 autopsie e il 96% di

queste rivelò segni di danno d’organo ipossico.

In modelli animali (8-9) dove i feti erano sottoposti a completa anossia, se l’anossia durava meno di

10 min ed era seguita da una corretta rianimazione, era quasi sempre possibile un completo recupero

delle funzioni vitali senza danni cerebrali.

In scenari umani di incidenti ostetrici laddove si sia verificata una improvvisa, acuta, severa e

prolungata bradicardia, come il caso di una rottura d'utero, un distacco di placenta oppure un prolasso

di funicolo, se la nascita del feto avviene entro 10-12 min dall' incidente, il risultato è quasi sempre

la nascita di un bambino sano (10-11).

In particolare nello studio di Mercer (5) si avanzano alcune interessanti ipotesi; sono stati analizzati

2 casi di neonati con un battito cardiaco fetale normale registrato 5-10 min prima della nascita e che

a seguito di una DS nascevano in asistolia.

L'ipotesi avanzata dai colleghi è che l' improvviso arresto cardiaco sia stato dovuto ad uno severo

stato di shock ipovolemico: la perdita di volume ematico, così importante da determinare uno shock

ipovolemico alla nascita potrebbe realizzarsi durante il prolungato passaggio attraverso il canale del

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parto. Durante una DS la spremitura del feto durante il passaggio prolungato nello stretto canale del

parto determina il trasferimento del volume ematico alla placenta; nel contempo il fatto che le pareti

della vena ombelicale siano più facilmente comprimibili di quelle arteriose permette il passaggio

ematico dal feto alla placenta impedendone di fatto il ritorno e risultandone un trasferimento netto di

sangue dal feto alla placenta. Pochi segnali eccetto una tachicardia possono fino a questo momento

essere registrati.

Fino a che il feto si trova all'interno della vagina la compensazione alla perdita di volume viene

esercitata dalla pressione delle pareti vaginali che agiscono da barriera anti-shock per mantenere una

pressione ematica di perfusione alla circolazione centrale (SNC, reni, cuore, polmoni) e

conseguentemente un' adeguata frequenza cardiaca. Al momento della nascita ci sarebbe un’

improvvisa perdita del supporto anti-shock della parete vaginale ed una conseguente vasodilatazione

della circolazione periferica che risulta in una immediata caduta della circolazione centrale; di fatto

il feto nasce in una condizione di severa ipovolemia con la sua presentazione classica. Sono neonati

con corpi per così dire “drenati” (francamante pallidi con una nuance bluastra), perdita di tono e di

riflessi, senza alcun drive respiratorio. La grave ipovolemia è potenzialmente in grado di causare

gravi e rapidi danni d’organo, fino all’asistolia; la condizione di perdita ematica, paragonabile ad

uno shock emorragico, riduce la perfusione a vari organi creando un substrato di danno ipossico-

ischemico ubiquitario.

Lo stesso Mercer nel 2014 (12) ha analizzato gli effetti benefici che in una condizione di rianimazione

neonatale di questo tipo possa avere la cosiddetta “Trasfusione Placentare” che consiste nel passaggio

ematico dalla placenta al feto al momento della nascita grazie alla pratica del ritardato clampaggio

del cordone ombelicale (da uno a tre minuti dopo la nascita o comunque alla cessazione della

pulsazione arteriosa) o della sua spremitura prima del taglio.

Vantaggi della trasfusione placentare

• trasfusione di volume ematico: il neonato che riceve una trasfusione placentare alla nascita

ottiene all’incirca il 30% in più di volume ematico rispetto ad un neonato il cui cordone venga

clampato immediatamente dopo la nascita (13). Durante la gravidanza il volume ematico

fetale è approssimativamente di 115 mL/Kg; al termine della gravidanza all’incirca i 2/3 del

volume ematico circolante perfondono il letto placentare mentre 1/3 è destinato alla

circolazione fetale. Il 10% del cardiac output fetale è diretto verso il letto polmonare, mentre

una percentuale variabile dal 30-50% si dirige verso il letto placentare che funge da vero

organo respiratorio. Al momento della nascita con la chiusura dei 3 shunts anatomici della

circolazione fetale (il dotto venoso, il forame ovale ed il dotto arterioso) a livello del letto

vascolare polmonare si assiste ad una improvvisa perdita delle resistenze ed un

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contemporaneo aumento del flusso per permettere al polmone di iniziare la sua funzione

respiratoria. Al clampaggio immediato del cordone ombelicale si assiste ad una altrettanto

immediata cessazione del flusso attraverso il dotto venoso e conseguentemente alla caduta

dell’output del ventricolo dx, in una condizione di shock ipovolemico come può verificarsi

dopo una DS l’ ulteriore perdita di volume ematico potrebbe precipitare in una asistolia

cardiaca. E’ noto inoltre come il volume ematico guadagnato con la trasfusione placentare

migliori la perfusione di tutti gli organi del neonato: apparato ematopoietico, urinario,

gastrointestinale, neurologico e respiratorio.

• trasfusione dei singoli componenti ematici: il volume ematico che un neonato riceve in più

dopo una trasfusione placentare contiene globuli rossi ricchi di Ferro; questo apporto

aggiuntivo si mantiene fino ai primi 6 mesi di vita (14). La trasfusione placentare permette

inoltre una sorta di trasfusione autologa di cellule staminali; studi su modelli animali

dimostrano che le cellule staminali umane del cordone ombelicale riparano selettivamente

aree danneggiate di tessuto cardiaco e cerebrale, attivate specificamente da citochine rilasciate

dal tessuto lesionato; il medesimo studio indicherebbe inoltre che il danno cerebrale possa

essere preventivamente ridotto dall’ infusione di sangue del cordone ombelicale umano se

trasfuso entro 24 h dall’insulto (15).

I fattori determinanti per la quantità e la velocità della trasfusione placentare sono: il timing del

clampaggio del cordone ombelicale, il livello a cui viene tenuto il neonato rispetto alla placenta, le

contrazioni uterine e la spremitura del cordone ombelicale da parte degli operatori.

I protocolli correnti di rianimazione neonatale prevedono che se il neonato appare flaccido o molto

pallido, ha una frequenza cardiaca molto bassa (minore di 60 bpm) o non compie nessuno sforzo

respiratorio, dev’ essere immediatamente trasferito all’area di rianimazione (16). Per il personale

ostetrico che ha con successo affrontato e risolto una situazione di severa distocia di spalla, il

comportamento naturale è di clampare al momento della nascita il cordone ombelicale e di affidare il

piccolo alle cure del team di rianimazione neonatale.

Se si dimostrasse corretta l’ipotesi che il neonato dopo DS possa trovarsi in uno stato di shock

ipovolemico, l’approccio più corretto potrebbe divenire quello di ritardare il clampaggio del cordone

ombelicale per permettere il ritorno del sangue dalla placenta al bimbo. Sempre secondo i protocolli

attualmente in corso di rianimazione neonatale i primi 60 secondi prevedono l’asciugatura, la

stimolazione e la ventilazione a pressione positiva del piccolo; alcuni autori avanzano l’ipotesi che si

possa rivedere questo passaggio in caso di DS e prevedere che il primo min di rianimazione si effettui

al letto materno.

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Lo stesso Mercer alla luce di queste considerazione suggerisce di avviare una discussione tra gli

operatori coinvolti per portare la rianimazione neonatale al letto della mamma ed eseguirla nei primi

minuti a cordone ombelicale intatto (12).

Menticoglou (6) si spinge oltre e nel suo case report del 2016 analizza il timing della

somministrazione del volume expanders nel corso della rianimazione neonatale. Sempre secondo le

linee guida (16) il riempimento volemico non deve essere utilizzato routinariamente in quanto il

carico di volume in un miocardio ipossico può determinare un ulteriore calo del cardiac output; le

indicazione all’ espansione volemica (Sol. Fisol NaCl 0,9% oppure sol. salina bilanciata nella dose di

10 mL/kg) sono quando il neonato non risponde alle manovre rianimatorie o quando vi sia una storia

associata o segni indiretti di una perdita ematica grave (placenta previa, esteso sanguinamento

vaginale, traumatismo epatico o splenico misconosciuto…). Nell’algoritmo della rianimazione

neonatale questo potrebbe dunque avvenire fino a 10 min dopo la nascita; se l’ipotesi dello shock

ipovolemico fosse corretta dunque , gli autori ipotizzano che si possa considerare in caso di DS una

espansione volemica più precoce ( entro 1-2 min se non c’è ripresa del battito cardiaco).

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