Pesaro IN Magazine 1/2011

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® Pesaro-Urbino www.inmagazine.it Anno VI - N. 1 - APRILE-MAGGIO 2011 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB - FILIALE DI FORLÌ - Contiene i. p. - Reg. al Tribunale di Forlì il 20/02/2006 n. 6 - E 3,00 Sant’Angelo in Lizzola I tesori nascosti del borgo La passione per le moto Il ruggito del motore Raphael Gualazzi Follia a tutto jazz Martina Guiggi Potenza bionda sotto rete

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Anno VI - N. 1 - APRILE-MAGGIO 2011

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Sant’Angelo in Lizzola I tesori nascosti del borgo

La passione per le motoIl ruggito del motore

Raphael GualazziFollia a tutto jazz

MartinaGuiggi

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Pur se quest’anno sta un po’ stentan-do, il volley femminile è ormai uno sport consacrato a Pesaro. Ecco per-ché aprire con la solarità di Martina Guiggi, a cui fa seguito, sempre nel segno di una passione al femminile, il ritratto di sei donne, ognuna pro-tagonista nel proprio lavoro. Non è certo un’esclusiva della nostra pro-vincia, ma è comunque il marchio di una “armonia” tutta italiana, da tutelare e promuovere, quella fra la bellezza del territorio, che ci porta a Sant’Angelo in Lizzola, e la bontà della gastronomia locale, che sta-volta vede protagonista prosciutti e salumi di Geminiani. Potremmo ar-rivarci, lassù, magari in sella a moto

d’epoca (altra grande passione stori-ca nostrana) accompagnati da alcu-ni centauri, un tempo piloti e oggi collezionisti; come “storica” è anche l’attività portata avanti con passio-ne all’Officina Macchini di Pesaro, tempio di mestieri troppo presto di-menticati. In mezzo, il “check point” della salute, col professor Raimondo Venanzini e l’incontro artistico con Giuliano Del Sorbo; poi un’impen-nata musicale col “piccolo grande urbinate” Raphael Gualazzi, vincito-re a Sanremo Giovani, e con Cristia-no Filippini. Infine arte e impresa grazie TVS, le cui pentole, ormai un classico, si vestono ora anche di sem-bianze artistiche. Buona lettura!

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Stampa: Graph S.N.C. - San Leo (PU)

Direttore Responsabile: Andrea Masotti

Redazione centrale: Andrea Biondi, Roberta Brunazzi

Progetto grafico: Lisa Tagliaferri

Impaginazione: Sabrina Montefiori

Controllo produzione e qualità: Isabella Fazioli

Ufficio commerciale: Irena Coso, Laura De Paoli

Collaboratori: Benedetta Andreoli, Alberto

Berardi, Franco Bertini, Simonetta Campanelli,

Elisabetta Ferri, Ettore Franca, Silvia Sinibaldi,

Simona Spagnoli, Beatrice Terenzi,

Maria Rita Tonti

Fotografi: Laura De Paoli, Leonardo Mattioli,

Luca Toni

Chiuso per la stampa il 06/04/2011

Edizioni IN MAGAZINE S.R.L.Redazione e amministrazione: Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47100 Forlì tel. 0543.798463 - fax [email protected] Coordinamento redazione Pesaro: Simonetta Campanelli via Genga, 8 - cell. 335.5262743 [email protected]

| EDITORIALE di Franco Bertini e Andrea Masotti |

Sommario

4 Annotare Brevi IN12 Essere Martina Guiggi18 Costruire Donne e professioni24 Camminare Sant’Angelo in Lizzola30 Vivere La passione per le moto34 Curare Raimondo Venanzini36 Trasformare Artisti per TVS

38 Costruire Officina Macchini40 Creare Giuliano del Sorbo42 Cantare Raphael Gualazzi44 Suonare Cristiano Filippini46 Ideare Il cuscino per la bicicletta48 Progettare Diego Olivieri50 Gustare Salumi Geminiani

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Fattoria Mancini al Vinitaly

Verona - L’azienda vinicola pesarese, guidata da Luigi Mancini,

ha partecipato all’edizione 2011 di Vinitaly, dal 7 all’11 aprile. Presso lo

stand, come sempre, numerose le degustazioni verticali dei vini prodotti

dall’azienda negli ultimi dieci anni. www.fattoriamancini.com

Gruppo di lettura alla Memo

Fano - L’incontro dedicato a Non è un paese per vecchi di Cornac McCarthy

ha inaugurato a metà marzo il “Gruppo di lettura” alla Memo,

iniziativa ideata dall’Assessorato alla Cultura in collaborazione con le

librerie del centro storico, mediateca Montanari (Memo) e biblioteca

Federiciana. L’obiettivo è creare un gruppo d’appassionati lettori che approfondisca, volta per volta, la

conoscenza di un testo. (B.A.)

Una mostra per Guercino

Fano - È stata presentata lo scorso 29 marzo, presso la Fondazione

Cassa di Risparmio, la mostra “Guercino a Fano”, in programma

dal 7 maggio all’1 ottobre nella Pinacoteca San Domenico.

L’esposizione propone una rassegna delle opere che Giovanni Francesco

Barbieri, detto il Guercino, realizzò a Fano su commissione delle famiglie

notabili della città. L’esposizione è aperta tutti i giorni (tranne lunedì)

dalle 18 alle 22.

Classe e tradizione alla Strada dei Campioli

Barchi - Non lontano da Orciano e Mondavio, Silvana Ridella Fiorini ha realizzato un altro dei suoi sogni. Nell’incantevole tenuta agricola di famiglia ha inaugurato la Strada dei Campioli foresteria agrituristica, luogo ideale per trascorrere una serata, una vacanza o per ospitare cerimonie e incontri conviviali. Gli ambienti sono arredati con classe e ricordano sapori

e profumi di una terra dalle tradi-zioni ricche di storia. Le pochissime camere, una diversa dall’altra, sono arredate con mobilio d’epoca e di fa-miglia, e portano ciascuna il nome di uno dei vini prodotti nell’Azienda Vinicola Fiorini. Cibo tradizionale, con il tocco di classe della squisita ac-coglienza che Silvana riserva ad ogni singolo ospite. (S.C.)

Sapori e relax all’Excelsior

Pesaro - A meno di un anno dalla ri-apertura l’Hotel Excelsior consolida la sua offerta con una ristorazione per diverse esigenze, ma sempre con lo stile 5 stelle. Nell’informale bistrò a pranzo e cena si respira aria di re-lax, con pasti leggeri grazie anche alle mezze porzioni. Imperdibile il brunch

della domenica mattina. Più formale il 59’ Restaurant per cene gourmet. In attesa che la spiaggia riapra con il “Lido” completamente trasformato, il centro benessere affacciato sul mare propone il pacchetto total relax a un in-teressante prezzo d’entrata valido fino all’autunno. www.excelsiorpesaro.it

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Pesaro - Negli Stati Uniti, l’organizzazione della cerimonia nuziale viene spesso affidata a veri specialisti. Anche a Pesa-ro è attivo, ormai da un decennio, un team di professionisti in matrimoni guidato da Stefano Pinto. È 360 Wedding Planner, agenzia che supporta piano progettuale, fase ope-rativa e regia dell’evento. Pinto e collaboratori lavorano per evitare agli sposi di essere travolti da inutili fatiche e stress nel periodo pre-fiori d’arancio, risolvendo ogni situazione con classe, attenzione e cura dei dettagli. Lo studio 360 Wedding Planner organizza anche eventi e si occupa di pianificazioni pubblicitarie e comunicazione. (S.C.)

FYF, a metà maggio la 7° edizione

Fano - Dal 12 al 15 maggio, Fano torna protagonista nel panorama italiano col Salone Nautico dell’Adriatico, alla settima edizione. “Con il Festival inauguriamo la stagione estiva della città - ha spiegato Alberto Santorelli, assessore al Turismo -; il Salone è l’occasione per molti turisti di trascorrere un week-end in nome della nautica ma an-che innamorarsi di tutte le altre opportunità della città”. Quest’anno l’ingresso è gratuito e si sta studiando un pro-gramma di appuntamenti per garantire la permanenza grazie ad attività collaterali, convegni, appuntamenti spor-tivi; l’intrattenimento musicale e gli spettacoli che coinvol-geranno tutta la città. www.fanoyachtfestival.it

Le nozze col Wedding Planner

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Corso per curatori di mostre

Pesaro - Corso per curatori di mostre al via in aprile nella sede del Centro Arti Visive Pescheria, tenuto

dal professor Ludovico Pratesi. Obiettivo è mettere i partecipanti in

contatto diretto con la professione di curatore, fornendo gli strumenti per entrare in contatto con le istituzioni

che operano nel settore. Il corso prevede anche l’elaborazione di

un progetto di Mostra, discusso e analizzato assieme al docente. Gli

incontri sono incentrati sul sistema dell’arte e museale, sulle figure

artistiche e creative, sulle operazioni tecniche e modalità organizzative.

Approfondimenti sono dedicati anche alla comunicazione dell’evento, alla

promozione e alla pubblicazione del catalogo, al reperimento dei

finanziamenti. www.centroartivisivepescheria.it

(S.C.)

Continua Jazz “in provincia”

Pesaro - Fino a maggio prosegue “Jazz in provincia”, decima edizione

della rassegna musicale avviata ad inizio 2011. Artisti di fama

nazionale ed internazionale sono ospitati nei teatri storici di Pesaro-

Urbino. Importanti le novità che caratterizzeranno questa edizione

2011, organizzata e diretta da Adriano Pedini. www.fanojazz.org (S.C.)

Sci di fondo... in riva al mare

Pesaro - Chi ha detto che non si può sciare… al mare? Approda anche

in città la scuola di “Skiroll”, nuova proposta sportiva che riguarda lo

sci di fondo su strada. Il crescente interesse riscosso in varie parti

d’Italia da questa disciplina è dovuto alla progressiva diffusione delle

piste ciclabili. L’iniziativa è promossa dall’associazione “Torollski

center”, affiliata alla Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio, in

collaborazione con la Provincia e i Comuni di Pesaro e Fano. (S.C.)

Evagarden, make up Lounge

Pesaro - Nel cuore del centro stori-co, in via Branca 10, da aprile c’è un nuovo spazio da non perdere firmato Evagarden make up lounge, dedica-to al trucco e alle donne che amano l’eccellenza del Made in Italy, dove gli artisti del trucco e del fascino sono a disposizione delle clienti per sug-gerire il make-up e prodotti ideali e personalizzati. Cura della propria immagine, trucco quotidiano o per

un evento speciale; trucco facile, ami-chevole, giovane, accessibile, fresco, aperto, libero trucco che c’è ma non si vede, trucco con prodotti di qualità ed esclusivi Evagarden. Un luogo dove la donna si lascia ispirare e coinvolge-re da colori e infinite possibilità, dove quello che sente coincide finalmente con quello che vede e dove scopre di poter essere come non avrebbe mai creduto di poter diventare. (S.C.)

Trucco “marchigiano” per RaiDue

Pesaro - Esperto di effetti speciali e mago del make up, il pesarese Carlo Diamantini è il truccatore personale di Ubaldo Pantani, uno degli attori comici nel cast di “Quelli che il calcio”, la trasmissione domenicale condotta da Simona Ventura. Fin dalla prima puntata, Diamantini ha trasformato Pantani nei suoi tanti personaggi, adattandone il volto a diverse “mac-chiette”. Pantani ha anche messo in scena la parodia di un aspirante dell’“Isola dei Famosi”, con un forte accento pesarese ispirato alla parlata di Diamantini. Il truccatore lavora “in tandem” col fanese Andrea Giomaro,

che cura il make-up dell’altro comico del programma, David Pratelli. Non nuovo al piccolo e al grande schermo, Diamantini ha lavorato anche per la trasmissione “Frankenstein” e per due film di Dario Argento. (B.A.)

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Turismo, nuova rete IAT

Pesaro - L’ospitalità inizia con un’efficace informazione e accoglienza turistica. È con questa certezza, e con

la volontà di fare del turismo uno dei perni per il rilancio dell’economia del territorio, che la Provincia ha messo a punto una nuova rete IAT di uffici e

servizi. L’obiettivo è creare un efficace lavoro di squadra per promuovere il territorio, puntando sulle produzioni

tipiche di enogastronomia, artigianato, creatività e imprenditoria locale. La

rete IAT si avvale anche dell’appoggio e contributo delle Pro Loco. (S.C.)

Fonderia Bucci, nuovo impulso alla Ceramica

Pesaro - Da oltre cinquant’anni Buc-ci è, per la ceramica, sinonimo di de-sign, ricerca tecnologica, qualità dei materiali. “Fonderia” è la società che rilancia la ceramica Bucci, metten-doci la stessa passione del maestro. Produce oggetti in gres per la tavola e l’arredamento, linee personalizzate per ristoranti e alberghi d’alto livello. Design raffinato nel rispetto dell’ope-ra del fondatore, uno dei più impor-tanti designer e ceramisti del ’900. “Fonderia” prende il nome dal loft in cui si producono le ceramiche di

Bucci da più di quarant’anni. È com-posta da Viviana, figlia del ceramista Franco, Gabriele Bucci, nipote ed erede dell’arte di “saper fare” la ce-ramica, Claudio Ferri, imprenditore dinamico e creativo, e Cinzia Panici, appassionata di design contempora-neo (nella foto con Rita Miranda, artista ospite di una mostra). Rinnovata anche l’area commerciale del loft, con nuo-vi concetti di vendita, produzioni di alto artigianato e vetrine espositive dei partner, tra cui PrimoPiano, ne-gozio di design e arredamento. (S.C.)

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Milano - La collezione Dondup autunno-inverno 2011/12 donna è stata presentata il 24 febbraio scorso, con un’o-riginale messa in scena per i capi grunge e romantic-chic. La fashion designer Manuela Mariotti mixa stili differenti, giocando sugli opposti e creando insoliti equilibri tra cul-ture, tessuti, forme, pesi e lunghezze. Al cocktail seguito alla presentazione hanno partecipato gli amici di sempre: Elena Santarelli, Albertino, Melissa Satta, Elenoire Casa-legno (nella foto con Manuela Mariotti), Anna Safroncik, Alena Seredova, Alessandro Costacurta, Omar Pedrini, Francesca Fioretti, Michela Coppa, Maddalena Corvaglia e Guendalina Canessa. (R.B.)

Simonetta Fabbri ospite di Brendhouse

Pesaro - Simonetta Fabbri espone le sue creazioni presso lo showroom Brendhouse in via Rossini. Biancheria per la casa, complementi e oggetti d’arredo realizzati con materiali di recupero. Tessuti di fine serie, esuberi di fa-legnameria e materiali destinati al macero, ma di qualità e provenienti dall’alta imprenditoria, sono trasformati da maestri artigiani in pezzi unici o numerati, di singolare bellezza e impatto. Ogni pezzo si contraddistingue per design, colore, forma e materiale utilizzato. Un gusto molto femminile, un marchio che ha il suo impatto. (S.C.)

Mix di stili per Dondup

Via Manzoni 56/58, Pesaro - Tel & Fax 0721/30760www.moduscollezioni.it - [email protected]

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Festival della Casciotta

Urbino - Omaggio alla casciotta, vero e proprio patrimonio gastronomico

urbinate. Dedicata a questa specialità è la prima edizione del Festival della Casciotta di Urbino

in programma il 14 e 15 maggio, iniziativa promossa dall’assessorato

alle Attività Produttive del Comune per valorizzare il prodotto Dop del

Montefeltro e riscoprire sapori e tradizioni della città dei Duca. Nelle

vie e piazze del centro storico si terranno mostre-mercato, incontri

con esperti, concorsi culinari, laboratori enogastronomici, speciali

percorsi degustativi, visite guidate ai caseifici della zona, premiazioni e

concerti. (S.C.)

Tende nuove per Modus

Pesaro - Nuova iniziativa nello show-room di Modus, firmata da Alessandro Bicciato. Si tratta di Schemaquattro, rivoluzionario sistema per interpre-tare i tendaggi. Un semplicissimo meccanismo, simile alla tenda a pac-chetto, permette di fare modifiche a piacimento, riprodurre foto, carta da parati, decori con stampa su tessuto o materiale plastico, per creare bande orizzontali libere a impacchettamen-

to. Un movimento semplice come quello della tenda a pacchetto ma con la versatilità di facili modifiche permette un’interpretazione perso-nale che può cambiare a seconda della situazione, stagione o ambien-te. Insomma, è come cambiare una tovaglia prima di apparecchiare la ta-vola. Una novità assoluta nel genere. La curiosità va premiata: una visita a Modus è d’obbligo. (S.C.)

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Gelato artigianale a Strasburgo

Tavullia - L’azienda pesarese IFI si conferma nell’élite del gelato artigianale, arricchendosi di un nuovo, prestigio-so riconoscimento a livello istituzionale e di settore. Le vetrine scelte per la Terza Giornata Europea del Gelato Artigianale, presentata il 9 marzo scorso al Parlamen-to Europeo, sono state tre Lunette create dall’azienda e presentate a Sigep 2011, richieste per l’occasione da Artglace (Confederazione delle Associazioni dei Gelatieri Artigiani della Comunità Europea). “La nostra presenza in questa sede è un premio alle scelte e al lavoro degli ul-timi anni”, ha commentato con soddisfazione Gianfranco Tonti, presidente IFI. “Gli sforzi per portare innovazione nella gelateria hanno dato i risultati che ci auguravamo. E a dimostrarcelo, oltre ai riconoscimenti istituzionali, sono soprattutto i veri protagonisti di quest’arte gioiosa, i gelatieri”. (R.B.)

50 anni di Scavolini in un Libro

Pesaro - La prima azienda di cucina in Italia festeggia 50 anni con La più amata dagli Italiani. Scavolini 1961-2011. 50 anni di cucine, volume edito da Skira e curato da Mas-simo Martignoni, storico dell’arte e autore di numerosi studi dedicati all’architettura moderna e al design. Dopo l’ntroduzione di Philippe Daverio e il saggio fotografico di Gabriele Basilico (in chiusura, un secondo saggio fo-tografico attraverso i ritratti di Filippo Romano), il libro racconta un importante capitolo del design italiano ma è anche un album di ricordi, che intreccia la storia del pro-dotto e dell’Azienda a quella della famiglia. Martignoni accompagna il lettore in un viaggio attraverso l’evoluzio-ne del marchio ma anche attraverso quello dell’Italia.

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Essere | Martina Guiggi

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Un metro e novanta di energia pura, da cui partono schiacciate imprendibili. Molto più che un semplice capitano, Martina Guiggi è l’indiscussa leader della Scavolini Volley. Icona sportiva assoluta per la città, così come Walter Magnifico lo fu per il basket.

testo Franco Bertini - foto Leonardo Mattioli

Una che nasce a Pèccioli, con ac-cento sulla e, paese di nemmeno quattromila anime in provincia di Pisa, deve per forza avere una missione importante da compiere. Da portare a termine nel mondo di quella che una volta era sempli-cemente la pallavolo e che oggi è diventato l’esplosivo e scoppiettan-te fenomeno del volley femminile. I veri “messia” per la verità sono sempre all’oscuro del compito al quale sono chiamati e destinati, e anche lei racconta che al volley c’è arrivata da ragazzina, quasi per caso, grazie agli amici, dopo aver fatto un po’ di danza e vari altri sport. Fatto sta che, a 14 anni, quel-li della Pecciolese, serie C1, l’han-no piazzata in mezzo al campo, le hanno detto: “tu sei un centrale, vai e schiaccia più forte che puoi di là della rete per la vittoria nostra e per la bravura tua”. Lei è Martina Guiggi, quasi un metro e novanta di splendida ragazza bionda e tan-to basti per ora come presentazio-ne. I suoi anni d’apprendistato che dovevano avvicinarla sempre più al compimento dell’importante

missione di cui diremo la vedono per un anno a Ravenna col Club Italia; poi, a soli 17 anni, dà l’addio a Peccioli, alla Pecciolese e soprat-tutto alla sua amata famiglia - pa-dre architetto, madre operatrice immobiliare, due fratelli, di cui uno ovviamente pallavolista - per il debutto in Serie A1 con l’Asystel Novara, prestigiosa compagine nazionale. La stoffa e il talento ci sono in abbondanza, tanto che quasi subito è convocata in Nazio-nale con la quale, attraverso gli anni, coglierà allori importanti, compresi gli Europei e la World Cup del 2007. E altro ancora ci sarà nel suo futuro. Ma ormai il destino bussa alla sua porta come l’avvio della Quinta sinfonia di Beethoven e nel 2004, sul fiorire dei vent’an-ni, la manda alla Scavolini Pesaro, da poco in A1, che aveva appena indossato quel nome fatidico (“mi dissero che volevano costruire una squadra giovane...”). E fu così che Martina Guiggi, dal bel parlare fluido e senza inflessioni particola-ri e perfino ottima cuoca, con una maturità classica nel cassetto e stu-

dentessa di Conservazione di Beni Culturali, approdò nella terra do-minata dal basket. Una situazione particolare, come uno che arriva con la fisarmonica in Scozia dove tutti suonano la cornamusa. “All’i-nizio era una realtà un po’ strana”, dice seduta nel soggiorno del suo appartamento di Baia Flaminia, arioso e pieno d’oggetti che richia-mano il suo sport e la sua vita di ragazza, col programma degli alle-namenti settimanali attaccato die-tro la porta d’ingresso. La gente la incontrava per strada, la vedeva stupendamente alta e le chiedeva ‘basket?’, ‘No, volley’, rispondeva lei. E intanto, dal 2004, cresceva, bra-va, tremendamente efficace nella sua schiacciata: “La botta potente dà soddisfazione - spiega -, la palla alta ti consente di valutare meglio la posizione del muro avversario”. Lei però preferisce “la palla velo-ce, arrivando da dietro”, come un albatros in volo, con tutte le dita e le mani piene di cerotti per difen-derle dalle botte tremende sul pal-lone. E poi tutte a darsi un cinque, ad abbracciarsi, a darsi pacche sul

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di dietro dopo ogni punto segnato, “un po’ per routine - dice -, ma in certi momenti per risollevarsi o per congratularsi davvero”, un grappo-lo di belle ragazze giovani, aitanti e sorridenti. Anche lei confessa che “la bellezza ha giocato una buona percentuale” nel grande lancio del volley femminile. Adesso lasciamo per un attimo Martina seduta nel suo soggiorno e diamo un’occhiata al contesto in cui lei, inconsapevo-le, è chiamata a compiere la sua missione. A Pesaro il basket domi-na da sempre, ma anche la Robur Pallavolo ha alle spalle una lunga e gloriosa attività. A Pesaro domi-na il basket targato Scavolini dal 1975, giunto al suo primo scudetto esattamente nel 1988, bissato poi

due anni dopo, mentre la Robur non ha mai vinto granché. Dal 2004 però, quando Martina arriva a Pesaro, anche il volley femminile si chiama Scavolini. Capita l’antifo-na? In realtà Martina Guiggi è, sot-to mentite e bellissime spoglie, la Walter Magnifico del volley pesare-se: uno arrivava da San Severo di Foggia e l’altra da Peccioli di Pisa: due “messia” stranieri per accom-pagnare basket e volley cittadini verso i loro trionfi. La coincidenza dei fatti lo dice e lo conferma: Ma-gnifico arriva a Pesaro nel 1980, la Scavolini Basket vince il suo primo scudetto nell’88; la Guiggi arriva a Pesaro nel 2004 e nel 2008 la Sca-volini Volley vince il primo scudet-to, poi “trissato” nel 2009 e 2010.

Attenzione ad un’altra coinciden-za, meglio sarebbe dire un altro segno degli dei: la Scavolini Volley di Martina vince il primo scudetto a vent’anni di distanza esatti dal primo scudetto della Scavolini Ba-sket di Magnifico. E ancora giù coi simboli: in entrambi i casi erano arrivati due superallenatori: Josè Roberto Guimaraes, “Ze Roberto”, e Valerio Bianchini, il “Vate”. E qui torna in mente anche l’altro slogan, quello “un capitano c’è solo un capitano”: era stato inventato per Magnifico, ma dal 2008, dopo lo scudetto, vale anche per Martina.Che vuol dire essere il capitano del-la squadra? Risponde con calma: “Vuol dire gestire il gruppo, cre-scere con la squadra, parlare anche

Sopra, a fine partita, festeggiata dai tifosi. A fianco, Martina Guiggi in azione.

In apertura, la giocatrice immortalata durante una gara della Scavolini Volley.

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fuori del campo... ho buona psicolo-gia... parlo col coach a nome di tutti”.Martina Guiggi è a Pesaro ormai da sette anni: arrivò ragazza di vent’an-ni ora è una donna di ventisette. Dà un’occhiata verso il futuro, che ancora “non pensa a prefigurare”. Però ci pensa un po’ su: “Oggi la carriera di una giocatrice può arri-vare fino ai 33/34 anni”. Al futuro comunque guarda con attenzione professionale: in giro c’è aria di cri-si, le sirene dei paesi dell’est sono forti e anche ricche, offerte ce ne sono già state, se ne parlerà col pro-curatore e coi genitori, che gestisco-no i suoi guadagni. Si vedrà a suo tempo. Ma, detto sinceramente, e pur facendole mille auguri di buo-na fortuna tecnica ed economica, il suo futuro da altre parti d’Italia o del mondo non ci tocca troppo il cuore. Per noi Martina Guiggi rap-presenta qualcosa d’altro, di diver-so e anche, sportivamente parlando, più “sacro” agli dei penati. È bella, e non ci piove, è alta ed è verissimo, è bravissima ed è certo, ed è stata e resterà soprattutto il “messia” del volley femminile pesarese, come Walter Magnifico lo fu del basket. Il merito delle vittorie è ovviamente delle squadre, ma di quelle squa-

dre loro sono stati il simbolo e la continuità, anzi Martina continua ad esserlo. Mandati dagli dei dello sport sono arrivati quando volley e basket stavano crescendo e li hanno accompagnati, come protagonisti e testimoni simbolici, fino ai loro primi trionfi. Quella tra Martina e Walter mi pare una storia paral-lela così bella che dev’essere per forza anche vera. È possibile pen-sare che a Pesaro il volley vada per una strada e il basket per un’altra? Chi lo pensasse sarebbe un superfi-ciale, incapace di cogliere la verità

profonda che corre sotto i fatti e li collega fra loro con un filo sotterra-neo e ininterrotto. Date retta, non è un caso che a Pesaro volley e ba-sket vivano nel nome di Scavolini. Alla fine tutto si tiene e si chiarisce perfettamente, basta saper leggere gli avvenimenti. Vi serve un’ulti-ma prova? Allora eccola qua. Chi credete sia il ragazzo con la quale Martina convive da un paio d’anni? Si chiama Andrea Bartolucci. E che fa nella vita? Gioca a basket. Nella Scavolini. Naturalmente. Non po-teva essere che così. IN

A fianco, l’atleta in abiti “civili”, nella sua casa. Sotto, mentre si allena in palestra con le compagne di squadra.

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Chi insegna arte, chi si occupa di grafica, design, teatro, architettura o medicina. Sei storie al femminile, tutte accomunate dalla ricerca della bellezza e dell’armonia nel proprio lavoro quotidiano.

testo Silvia Sinibaldi e Simonetta Campanelli - foto Luca Toni

Ognuna, seppure in modo diverso, lavora confrontandosi con l’idea di armonia, seguendo un concet-to di bellezza declinato dal tem-po della storia dell’arte fino allo spazio della salute, attraversando musica, teatro, modulazioni della voce, disegno e gusto. A questo le sei donne che vogliamo raccontare aggiungono la ricchezza e la fatica di aver trasformato una passione nell’impegno lavorativo della vita.Sei donne diverse, delle quali Anna Cerboni Baiardi, docente di Storia dell’Arte, offre una definizione che ruba il mestiere a chi scrive: “Tutte noi ci siamo costruite la possibilità di esprimere liberamente la nostra sensibilità. Abbiamo cercato nella bellezza, declinata nelle diverse specificità, la nostra dimensione, per affermare un pensiero, un modo d’essere, uno scudo e un’al-ternativa alla volgarità dilagante. Ma l’armonia cui ognuna aspira è una conquista giornaliera, una sfida complicata e spesso deluden-te, anche se lanciata da una pro-

spettiva privilegiata, poiché siamo donne che, sulla base di solidi va-lori, hanno potuto scegliere il loro destino”.Della bellezza dice Lucia Ferrati, operatore teatrale e attrice: “Es-sendo italiana ho il privilegio di vivere in mezzo a un’idea di bello e armonia cercata e tramandata da millenni. Ne sono consapevole e orgogliosa, ma sono anche pro-fondamente grata a coloro che ci hanno lasciato quest’eredità, che abbiamo, a nostra volta, il dovere e il piacere di salvaguardare, far co-noscere e tramandare alle future generazioni”.Per Viviana Bucci, graphic designer ed event concepter, la parola chiave è armonia: “L’idea dell’armonia mi piace. La cerco sempre in un progetto di grafica, dosando gli ingredienti e tenendo presente l’obiettivo finale: comunicare e far capire di cosa si sta parlando”.Specifica e mirata l’idea del bel-lo per Annamaria Gubbini, medico dermatologo: “Il viso della Giocon-

da o il corpo di un Atleta Greco esprimono sicuramente il ‘bello’ e ‘l’armonico’. Anche nella mia pro-fessione bisogna ricordare sempre ciò che è ‘bello’, per prenderne esempio: non esagerare mai, e non creare correzioni estetiche non ar-moniche, che possono risultare patetiche”.Lo stesso vale per Roberta Martufi, architetto: “L’armonia è una meta complessa da raggiungere, un’ope-razione da fare tanto più in questo periodo storico, eliminando il su-perfluo, per cercare di giungere all’essenza delle cose”. Come dice-va Mies Van der Rohe, Less is more.Come nasce la passione, come si scopre un talento? Per qualcuna è una strada segnata: “Sono cresciu-ta in una famiglia di intellettuali - spiega Baiardi - e non avrei sapu-to immaginare per me un futuro diverso. Dunque non sono nata con una passione, semmai con una prospettiva già piuttosto tracciata. La passione è venuta dopo, quan-do ho scoperto che quella prospet-

La passione fatta Mestiere

Costruire | Donne e professioni

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tiva si riempiva d’entusiasmo, sod-disfazione, di una capacità sempre maggiore di orientamento, profes-sionalità e tenacia, dove anche la fortuna, quando arriva, ti appare come un segno del destino. Dun-que, potrei dire che ho costruito la mia passione, che l’ho protetta e arricchita strada facendo, che ogni tanto ci litigo e la metto in discus-sione immaginando come sarebbe stata la mia vita se avessi fatto altro, ma poi vi faccio ritorno ogni volta con più entusiasmo”. Viviana Bucci è sulla stessa onda: “In primis, con-ta la passione; non tanto per un par-ticolare mestiere, quanto proprio come atteggiamento di vita, come forma caratteriale. Sono nata così e credo che non avrei potuto vive-re in modo diverso. Occorre però avere ben chiaro che certe scelte sono un vero e proprio lusso che ci si concede, un lusso che lascia poco spazio ad altre agiatezze e

comodità. Bisogna saperne fare a meno senza rimpianti. Ho avuto anche la fortuna di vivere in una famiglia dove cultura e arte erano il pane quotidiano. Sono cresciuta in mezzo a persone che avevano scelto di fare quello in cui crede-vano. Erano interessanti, determi-nate, sempre in movimento e so-stanzialmente felici, anche quando combattevano con mille difficoltà. Questo mi ha affascinato e mi ha portato ‘naturalmente’ a imitare il loro modello”. Per Lucia Ferrati è persino una questione di rispetto. “Ci vuole, innanzitutto, la grande fortuna di ‘innamorarsi’ di un la-voro. Senza una intramontabile passione, la fedeltà, la dedizione e la fatica necessarie non sareb-bero gioie, ma pesi insostenibili e ingiustificabili. Poi è doveroso il rispetto: per il lavoro stesso e per coloro che sono i fruitori di tale la-voro e che meritano il meglio. Ciò

Sopra, da sinistra, la designer Cristina Zangheri e la dermatologa Annamaria

Gubbini. In apertura, in alto l’attrice Lucia Ferrati, sotto, la storica dell’arte

Anna Cerboni Baiardi.

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comporta un costante e profondo studio, una preparazione scrupo-losa e mai casuale o improvvisata, conoscenza del passato, attenzione all’oggi e grande curiosità per il fu-turo. Poi, forse, ci vuole una natu-rale attitudine a voler condividere con gli altri questo grande amore”.Poi la buona sorte: “La passione per l’interior design si è accentuata con il tempo - ci svela la nostra se-sta protagonista, Cristina Zangheri - appena ho iniziato a raccogliere le prime belle soddisfazioni col mio lavoro, che ho sempre svolto con sensibilità. Certo un po’ di fortuna è complice, ma è con la costanza e

la fiducia nella propria attitudine che ho conquistato risultati”.E insiste Anna Maria Gubbini: “Mi sono trovata a fare la dermatologa quasi per caso, per aver seguito il consiglio dei miei fratelli maggiori, anche loro medici. Poi con passio-ne, tenacia e un po’ di fortuna, ho costruito la mia strada, realizzando i miei sogni”. E conferma Roberta Martufi: “La passione permette di trasformare una professione in qualcosa di unico: l’entusiasmo è contagioso. Ricorderò sempre quan-do ormai una ventina d’anni fa mi presentai a Vittorio Livi (presidente di Fiam, ndr) che non sapeva nulla di me, proponendomi per il restau-ro del giardino di Villa Miralfiore (di proprietà dell’azienda, ndr). Volevo tanto fare quel lavoro che lo avrei fatto anche gratuitamente. Non so se fu più l’incoscienza della gioventù o l’amore che avevo per quel luogo, ma alla fine riusciì ad ottenere l’incarico”.Tutte guardano al futuro e dun-que ai giovani: tutte consigliano di seguire la passione, metterci te-nacia, capacità di sacrificio, tutte invitano alla specializzazione, alla conoscenza approfondita. Tutte ri-levano un’epoca segnata dal ma-lessere e avara di prospettive ma tutte consigliano di tenere duro, ad essere pronti per afferrare il proprio colpo di fortuna. Il 13 feb-braio scorso anche loro erano in piazza a rivendicare la dignità di essere donne, e l’unica che non c’era, condivideva il principio. IN

Dall’alto, la graphic designer Viviana Bucci e l’architetto Roberta Martufi.

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Una storia millenaria scritta sulle pietre di Sant’Angelo in Lizzola. Dentro le antiche mura, nelle botteghe e nelle trattorie. Un luogo magico, in cui personaggi illustri hanno lasciato il segno.

testo Ettore Franca - foto Leonardo Mattioli

Ci vuole poco per andare a Sant’An-gelo in Lizzola. Domina la valle del Foglia, sulle strade che si staccano da quella “delle Regioni”, sia venen-do da Pesaro sia da Urbino. Raggiungerlo significa arrivare in un paese silenzioso, con ancora in-tatta gran parte delle mura, rivolte al mare. Le piccole case del borgo, pieno di luce, sono affiancate da costruzioni recenti che non turba-no troppo l’atmosfera d’altri tempi.Prima dell’anno Mille qui c’erano due castelli, Sant’Angelo e Liciòle, poi fusi in unico abitato, per esten-dere il territorio a valle fino ad in-globare il villaggio di Montecchio, sulla sinistra del fiume.Punto strategico, nel ’400 entra nell’orbita degli Sforza, signori di Pesaro; poi seguirà le vicende del Ducato di Urbino del grande Fe-derico finché papa Giulio II, zio di Francesco Maria della Rovere, l’as-segnerà al nipote. Il quale lo eleva a “castello” e, “dei tanti che ne ha”

(come cantavano Enzo Jannacci e Dario Fo), lo dona in feudo comi-tale ai Mamiani, che conservano il titolo fino al 1885 quando muore Terenzio Mamiani, ultimo conte di Sant’Angelo. Il quale fu anche protagonista del Risorgimento ita-liano, dai moti del ’31 a Modena a quelli del ’48 a Roma, ricoprendo incarichi di Governo sia con Pio IX sia nel neonato Regno d’Italia. Per-sonaggio di rilievo, Terenzio Ma-miani meritò citazioni di Carducci, che gli dedicò un libro, e di Gia-como Leopardi, suo cugino. Per raccontare la sua storia Antonio Brancati e Giorgio Benelli hanno dovuto riempire tre monumentali volumi.Vanto di Sant’Angelo è Giovanni Branca, architetto alla Santa Casa di Loreto e autore della “porta ma-rina” del paese, per il quale pro-getta e realizza anche l’acquedotto e ripristina le mura. Branca è però passato alla storia per il suo Le ma-

I tesori nascosti del Borgo

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Camminare | Sant’Angelo in Lizzola

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chine, libro in cui spiega il modo di utilizzare il vapore come forza motrice. Siamo all’inizio del ‘600; prima d’allora, nessuno ci aveva pensato.Nell’800 Sant’Angelo fu centro di cultura dell’intellighentia pesa-rese, che qui aveva costruito i suoi palazzi e ci passava… le ferie. Ba-ricentro era la famiglia del conte Giulio Perticari che, con la moglie Costanza, si circondava degli in-gegni del tempo in un’atmosfera

vivace. C’erano il suocero Vin-cenzo Monti ma anche Rossini, Leopardi, Cassi, Giordani e altri personaggi illustri, per quali, nel 1851, fu inaugurato il teatro “di famiglia”, decorato dai Liverani. Un gioiello purtroppo distrutto in un bombardamento dal quale si è salvato solo parte del corredo de-gli scenari che ora, dopo un lungo restauro sostenuto dall’ultimo rap-presentante della famiglia Pertica-ri, sono tutt’ora conservati.

Altrettanta passione e volontà il conte Giancarlo Cacciaguerra Per-ticari ha investito nel ripristino del-la chiesa che, voluta dagli antenati alla fine del ’600, fu centrata da una bomba d’aereo con pesantissi-mi danni, lasciando integra solo la struttura muraria: tetto sfondato, porte, cantoria e arredi distrutti.Accanto esisteva un “ospedale”, che una Confraternita gestiva a fa-vore di ammalati e viandanti. Uni-ca nelle Marche, perché il suo cul-

In alto, visione d’insieme del paese, ancora circondato dalle antiche

mura rivolte verso il mare.A fianco, la “fonte dei poeti”.

In apertura, una stradina del borgo.

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to era diffuso soprattutto Oltralpe, la chiesa fu dedicata a S. Egidio, protettore di storpi e lebbrosi ma anche di balie e maniscalchi. Così, mentre ferravano i cavalli, i “vian-danti” sostavano per devozione.L’interno è un prezioso unicum, perfettamente restituito dopo i restauri sostenuti dal conte. Gio-vanni Venanzi (Pesaro 1627 -1705) aveva dipinto le 10 grandi tele, le 6 predelle, le lunette con Evangelisti e Dottori della Chiesa. L’altare è inquadrato in una strepitosa “mac-china” di legno dorato con oro zecchino, curiosa per la presenza di angeli neri, di ebano. Incorni-cia il “Miracolo di S. Egidio e della cerva”, sovrastato dal “transito di S. Giuseppe”. Vera rarità, scono-sciuta anche dagli storici dell’arte, è lo straordinario Crocifisso ligneo. L’autore, Francesco Planta, famoso per le sculture della Scuola di San Rocco” a Venezia, dichiarava che “…le mie opere sono in questa eccetto una che tengo per me”: pare si riferisse proprio al Crocifisso, chissà come finito nella chiesa di S. Egidio. Nella via centrale e nella piazza si respira l’aria del paese animato da

poche botteghe e soprattutto dal forno di Giuseppe Vagnini, attuale “erede” di una dinastia di fornai che l’ha gestito da sempre. Fuori paese è stata ripristinata la “Fonte dei poeti”, una struttura che rac-coglie le acque di una sorgente e rende affascinante il luogo che, di tanto in tanto, viene utilizzato per manifestazioni letterarie.Vicina è anche “La fonte vecchia”, trattoria casereccia ottima per ri-svegliare sapori dimenticati: taglia-telle ben fatte, gnocchi all’anatra, arrosti misti, dolci di forno e, su tutto, la pasticciata alla pesarese, che da sola merita un viaggio.Motore economico del Comune è Montecchio, frazione (si fa per dire) di Sant’Angelo.Nella valle sono insediate le mol-te attività industriali e artigianali legate soprattutto al settore del legno e al suo indotto. Era un pic-colo borgo rurale tagliato dalla “feltresca”, risorto nel dopoguerra dopo la tragica esplosione della polveriera tedesca scoppiata il 21 gennaio 1944, provocando la mor-te di oltre 30 abitanti e la quasi to-tale distruzione del paese. IN

La pasticciata. Tesoro d’altri tempi

L’ingrediente più abbondante della “pasticciata” è… il tempo.

Ora che tutti hanno fretta, per una pasticciata come “faceva la nonna” tocca andare in trattoria; ma se c’è tempo, (e si è in quattro) si fa così. In un tegame mettere 4/6 cucchiai

d’olio extravergine, 2 spicchi d’aglio, 1 cipolla infilzata di chiodi

di garofano (sono l’inprinting del piatto), 1 carota e 1 costa di sedano. Ad olio caldo aggiungere un girello

di vitellone (800 gr.) legato in una rete, rosolarlo girandolo spesso

per “sigillare” la carne. Versare un bicchiere di vino rosso facendolo

evaporare a fiamma viva, regolare di sale e pepe, chiudere il coperchio

e cuocere a fuoco basso per 1 ora - 1 ora e ½, rabboccando acqua se

serve. Spenta la fiamma, togliere “gli odori”. Lasciar raffreddare per 2

- 3 ore: liberare la carne dalla rete, farne fette di ½ cm. Nel tegame

dove è rimasto il sugo aggiungere polpa di pomodoro (la nonna usava

la “conserva” diluita in acqua!), quindi le fette di carne. Far cuocere

ancora per un’altra ora e ½, sempre a tegame coperto e fuoco blando. Servire calda, accompagnata con

“erbe” lessate e passate in padella.

A fianco, il monumento in memoria di Giovanni Branca, architetto della Santa Casa di Loreto e autore della

“porta marina” di Sant’Angelo. A destra, l’altare della chiesa di S. Egidio.

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Baronciani (due fratelli), Campanelli, Grassetti, Lazzarini, Battisti. Uomini accomunati da una passione antica, nata dentro alle officine ed esplosa sulle piste. Oggi immancabili promotori, e animatori, dei raduni di moto d’epoca.

testo Elisabetta Ferri e Simonetta Campanelli - foto Leonardo Mattioli

Il ruggito del Motore

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Vivere | La passione per le moto

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A scavare nelle storie dei centauri degli anni ruggenti si scopre un denominatore comune: la passione per i motori è nata quasi sempre all’interno di officine, di proprietà di famiglia, dove s’imparava il mestiere. Ancora ragazzini, il rombo li ha stregati per sempre. Tanto che oggi, quando molti coetanei giocano a carte, loro invece vanno in giro per il mondo, partecipando ai raduni delle moto d’epoca.Augusto Baronciani (e più tardi il fratello Paolo), ereditò la “malattia” dal padre Salvatore, capo-reparto motori e collaudatore Benelli: “Ero il più grande - ricorda - e fui il primo a provarci; anche se avevo iniziato col basket, come allievo di Aido Fava. Il contatto coi corridori mi affascinò e i primi guadagni li investii su una MV Agusta. Vinsi su-bito un campionato marchigiano. La mia dote migliore? Non sopportavo stare dietro”. Due campionati italiani juniores vinti nel ‘56 e ‘57: una carriera bruciante quanto breve, interrotta da un grave incidente sul circuito di Gal-larate in cui perse la gamba sinistra. “Avevo 21 anni e mi sentii finito. Ma il conte Agusta, per cui correvo, non mi abbandonò, offrendomi un lavoro. Non ho mai odiato la moto per questo, anzi, sono stato io a far partire il registro storico Benelli, un regalo alla città”.

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La saga dei Baronciani passa così nelle mani di Paolo, che insiste per convincere papà, ancora trauma-tizzato dall’incidente del primoge-nito, a lasciarlo provare: “Sognai che avevo vinto a Monza e mi ven-detti l’orologio per racimolare i sol-di che servivano per cominciare. Grazie all’aiuto di un meccanico che lavorava in officina partì la mia avventura”. Nel 1960, su MotoBi uf-ficiale, Paolo trionfa al campionato cadetti con 11 vittorie su 12 gare. E arriva anche la chiamata in Na-zionale: “Passai anni meravigliosi correndo insieme a Campanelli, guadagni minimi, passione enor-me. Ma mi ero dato un termine: e dopo quattro anni lasciai”. E pro-prio quello di Paolo Campanelli è ancora oggi un nome noto anche a livello internazionale: basti dire che a maggio, in Spagna, sarà or-ganizzata una rievocazione in suo onore. Biondo, spavaldo, la sua vita assomiglia a un romanzo. Persino quando emigrò in Svizzera trovò il modo di correre, e vincere, sulle due ruote. “A cinque anni ero già in officina con mio padre Bruno. Ho corso per 32 anni. Il mio segre-to era il ritmo, la mia dote il corag-gio. In effetti, ero abbastanza speri-

colato...”. Ricco il palmares: 27 volte sul gradino più alto del podio, nel ’52 vince il titolo italiano su Gilera Saturno nella classe 500; nel ’55 si ripete sul Leoncino della Benelli 125, al Motogiro d’Italia; vince inoltre 4 titoli per monocilindriche e un titolo di campione svizzero. Non ha avuto eredi maschi “ma le mie tre figlie le ho messe tutte sulle moto, anche di grossa cilindrata. Ci sapevano fare”, dice.Anche Silvio Grassetti rappresen-ta un monumento di quegli anni pioneristici. Classe ’36, è stato tre volte campione d’Italia: con la 250 della Yamaha, la 350 della Benel-li, la 500 della MV Agusta. “Sono l’unico di quel gruppo a non aver avuto una famiglia che sapeva di motori. La strada che intrapresi fu una sorpresa: ero collaudatore Mo-toBi, la prima moto la comprai con una cambiale”. Ben presto lo vuole la Benelli: era talmente bravo che saltò la categoria juniores passando direttamente a correre coi grandi. Il suo talento non fu però ricom-pensato abbastanza a livello di ri-sultati: “Si correva per il panino, la soddisfazione e il manubrio”, ricor-da. Oggi partecipa ai raduni stori-ci, “con una Grassetti 250 da me

Officine Benelli. La storia in moto

Officine Benelli è il nome assegnato al vecchio complesso edilizio

della fabbrica Benelli, una nuova struttura aperta al pubblico

partendo dall’unico edificio storico rimasto utilizzabile della vecchia

fabbrica motociclistica, in via Mameli a Pesaro. Svolge funzioni

di Museo espositivo delle moto Benelli-MotoBi e delle moto

marchigiane, con attività di mostra permanente o temporanea. Centro

culturale di raccolta e diffusione di cultura motociclistica, è anche

scuola di restauro di moto d’epoca, naturale ampliamento della

scuola per meccanici di moto da competizione, realizzata dalla

Provincia. È anche sede del Moto Club Benelli e del Registro Storico

Benelli. L’apertura è dalle ore 17 alle 23 nei giorni feriali, fino alle 20

il sabato. www.officinebenelli.it

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costruita asieme all’ingegner Savelli”, dice con fierezza.Eugenio Lazzarini è il più titolato di tutto il gruppo e ap-partiene a una generazione successiva. Nato nel 1945, comincia come meccanico in Benelli e arriva a conquistare tre titoli mondiali: nel ’78 con la Mba 125, l’anno dopo nella classe 50 su Kreider ufficiale, infine nel 1980 su Iprem 50 da lui elaborata. “Il primo è stato il più emozionante, ma sono affezionato a tutti e tre”. La sua storia è simile a quella dei predecessori: “Lavoravo anche la notte pur di avere i soldi per provarci ma dovetti aspet-tare di diventare maggiorenne, mio padre non voleva”. Anche qui c’è un fratello maggiore, Enzo, campione sfor-tunato, in auge solo per una stagione prima di un grave infortunio. “Il mio punto forte? Dal mio lavoro mi veniva una naturale predisposizione a mettere a punto la moto meglio degli altri. Grazie a questo ho vinto e, dopo il riti-ro, ho fatto vincere altri piloti, come Gresini e Cadalora”, sottolinea con orgoglio. Anche Luciano Battisti, classe ’44, fin da piccolo vive in mezzo ai motori. Il padre Walter era pilota: “Mi impedì di correre fino a 22 anni. Con pochi soldi acquistai una Ducati 125, taglia troppo piccola, però, per i miei 182 centimetri”. Nel ’67 diventa pilota ufficiale della MotoBi, con una 250 derivata dalla serie. Con una guida pulita, a suo agio anche sul bagnato, vince diverse gare e conquista ottimi piazzamenti. Nel ’69, però, davanti alla scelta di passare professionista, sceglie il lavoro. “Que-gli anni - dice - sono stati i più belli della mia vita. Adoravo prendere decisioni in pochi secondi e tenere la concen-trazione al massimo: doti che mi sono servite in seguito”. Come gli altri, continua a restaurare moto da corsa e da strada, che porta poi a manifestazioni internazionali. IN

Sopra, Eugenio Lazzarini. Nella pagina a fianco, a sinistra, Augusto Baronciani, al centro Luciano Battisti. In apertura, da sinistra, Paolo Campanelli, Silvio Grassetti e Paolo Baronciani.

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La malattia psichiatrica tra pregiudizi ed

emarginazione. E la cura come forma attiva di welfare. La parola a Raimondo Venanzini,

nuovo coordinatore della Psichiatria per

l’Area Vasta 1.

Il dottor Raimondo Venanzini è il nuovo coordinatore della Psichia-tria per l’Area Vasta 1, da cui dipen-dono i tre dipartimenti di Salute Mentale di Pesaro, Urbino, Fano. Sessant’anni, sposato con Paola (nella foto, insieme al medico), farma-cista a Senigallia, due passioni, il golf e le sue adorate gatte, Gilli e Gioia, il dottor Venanzini ha vissu-to il passaggio cruciale tra i vecchi manicomi e la Riforma 180.Ce lo racconta?“Fu un periodo bellissimo. La leg-ge Basaglia portò nuove esperien-ze anche da noi dove, oltre all’o-spedale San Benedetto, entrò in funzione un dipartimento di salu-te mentale a Mombaroccio diretto dal dottor Mario Petromilli. Il re-parto Psichiatrico lavorava alla vec-chia maniera, con ricoveri coatti e segnalazioni agli organi di polizia. La nostra, invece, era una struttu-ra aperta a cui si accedeva su base volontaria. Fu un enorme passo

in avanti: i pazienti firmavano per uscire, ma poi tornavano. In loro c’era la consapevolezza della malat-tia e la necessità delle cure”. Perché la scelta dello psichiatra?“Direi per curare me stesso. Ogni buon psichiatra sa di aver scelto questo mestiere per questo”.Quale cambiamento culturale c’è stato? Il malato mentale perde an-cora la propria dignità di uomo?“I pregiudizi restano fortissimi e la malattia psichiatrica porta con sé ancora uno stigma. I ‘matti’, nell’accezione comune, sono sem-pre aggressivi e violenti, anche se in una bassissima percentuale hanno queste manifestazioni. La gran parte di loro potrebbe essere tranquillamente reinserito nella vita normale. Invece sono margi-nalizzati, l’aiuto non viene”.La psichiatria è entrata con forza nella nostra società. Ogni compor-tamento umano, ogni pagina di cro-naca è vivisezionata e trova una sua

spiegazione: questo ci ha aiutato a conoscere meglio l’animo umano?“La psichiatria dà solo risposte individuali. Noi medici svolgiamo comunque una forma di welfare all’interno di una società in piena decadenza. Faccio un esempio: il servizio che a Fano cura i distur-bi dell’umore intercetta problemi che vanno oltre i sintomi su cui interveniamo. Dietro il comporta-mento aggressivo di un bambino, o alcune forme di adultizzazione precoce, ci sono spesso fenomeni di maltrattamento sulle donne, che hanno ricadute sui figli”.Stanno venendo avanti anche com-portamenti border-line che condi-zionano la quotidianità: quali?“È mutata la fenomenologia dell’aggressività e della violenza. Ci sono forme più subdole che si manifestano spesso anche nella re-sistenza ai farmaci. E la psichiatria è un ottimo punto di osservazione per questi cambiamenti”. IN

testo Simona Spagnoli - foto Luca Toni

Nei meandri della Mente

34 | IN Magazine

Curare | Raimondo Venanzini

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Specchio della verità, mappamondo, bersaglio: un utensile da cucina si trasforma in oggetto d’arte grazie al genio di grandi artisti italiani. Sotto l’egida dell’azienda TVS di Urbino.

Sedici punti di vista che veicolano concetti politici ed esistenziali lega-ti all’ecologia, valore fondamentale in TVS. Per il terzo anno l’azienda di Urbino (nella foto, l’Ad Giuseppe Bertozzini) conferma la combinazio-ne vincente tra arte e cucina: sedici artisti trasformano un utensile di uso comune, una padella, in un dispositivo d’immagini e concetti, pensieri e fantasie. Ma come si tra-sforma un arnese in opera d’arte? L’espressione artistica dell’ogget-to è stata rappresentata in diverse modalità: alcuni artisti si sono con-centrati sulla natura fisica e la fun-zione; altri hanno usato la padella come supporto d’immagini per far giungere un messaggio. Michelan-gelo Pistoletto, ad esempio, l’ha tra-sformata in uno specchio della veri-tà; Domenico Bianchi ha riprodotto gli sfondi arabeschi delle sue tele; Mimmo Paladino ha dipinto la pa-della in nero e ci ha messo sopra un uccellino. Disegno differente per Ettore Spalletti, con paesaggi colli-

nari e luci del tramonto. Interpreta-zione orientale per Stefano Arienti, che attraverso dei fori ha disegnato un serpente. Usando tinte fluore-scenti e luci Alfredo Pirri ha dato alla padella un aspetto quasi sacra-le. Sembra invece un gioco la padel-la artistica di Nunzio, trasformata in una barca metallica. Un messaggio globale come l’estensione dell’og-getto in uso viene veicolato dalla coppia d’artisti Botto & Bruno e da Flavio Favelli, che riproduce l’emi-sfero nord di un mappamondo in bianco e nero. Una connotazione geopolitica arriva anche da Pietro Ruffo, che ha posizionato una map-pa dell’emisfero australe circondata dalle bandiere delle nazioni che si contendono l’Antartide, divorate a loro volta da un insetto che si ciba di carta. La superficie di una padel-

la può evocare anche le celle della prigione di Guantanamo (opera di Francesco Arena); Marzia Miglio-ra trasforma invece il fondo in un bersaglio, con cerchi concentrici e parole. Concetto simile a quello di Nico Vascellari, che ha trasformato la padella in un’arma, un pugna-le per la caccia agli animali. Stessa azione di Daniele Puppi, che l’ha ammaccata ed esposta insieme alla registrazione del gesto violento di percuotere il metallo. Ci sono an-che artisti che hanno dato all’opera un connotato politico e poetico, di stampo pacifista, come la padella a tre manici di Massimo Bertolini, con al centro il simbolo della pace. Oppure l’immagine poetica di Ma-rio Airò, che nella sua padella intra-vede i bagliori di un cielo assolato riflesso nell’acqua. IN

testo Simonetta Campanelli - foto Laura De Paoli

Sedici padelle in cerca d’Autore

TVS, da Urbino al mondo

TVS nasce a Urbino nel 1968 ad opera di Gastone Bertozzini. Oggi è uno dei principali player internazionali nella produzione di articoli da cottura in alluminio rivestiti con materiale antiaderente. L’azienda opera in più di 60 Paesi nel mondo, dove collabora con i migliori marchi, proprio grazie alla capacità di creare articoli unici e personalizzati in ogni componente. Tra i Paesi più importanti quelli dell’UE, Russia, Corea, Giappone e Stati Uniti. Oltre i due terzi del fatturato è realizzato all’estero. Nel 2010 TVS ha venduto circa 12 milioni di pezzi. Sono circa 260 i dipendenti interamente impiegati nella sede centrale di Fermignano. www.tvs-spa.it

36 | IN Magazine

Trasformare | Artisti per TVS

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Sedici padelle in cerca d’Autore

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Una macchina artigianale che macina pezzi per pulegge e aratri, pentole e cinema. Riunendo attorno a sé amici e appassionati. È la lunga avventura imprenditoriale dell’Officina Macchini, guidata da Giorgio Dominici.

C’è un luogo vicino al mare dove si produce e ripara di tutto: l’Officina Macchini, laboratorio d’idee con-crete. Si trova in via Mario Paterni 9, luogo d’incontro, chiacchiere, scambio. Un’officina storica, fon-data da Nicola Macchini intorno al 1860 e che ancora oggi è una mac-china artigianale che macina pezzi per aratri, alberi, pulegge, battito-ri e rondelle. Dal 1985 è passata a Giorgio Diminici, artista dell’utensi-leria. “Prima ero dipendente - rac-conta - dal 1967. Poi ho rilevato il laboratorio dalla famiglia Macchi-ni. Qui si trovano anche pezzi non più in commercio. Da me vengono tutti, dal falegname al muratore, dal macellaio al contadino, fino all’operaio”. Intorno all’officina gravitano tanti personaggi, a volte bizzarri. Come un cenacolo, dove

varie umanità s’incontrano, anche solo per parlare. Un luogo in cui si crea, ma anche ci si rilassa. Il ru-more delle macchine che lavorano diventa una nenia e l’operaio si tra-sforma in performer, artista futu-ristico. Diminici ha 64 anni e da un po’ non ha più dipendenti (“la crisi ha colpito anche questo setto-re”), ma intorno a lui tanti amici lo vengono a trovare: il circoletto artigianale ogni giorno si anima come ogni luogo dove si lavora, con la gioia dentro. “La mia gior-nata lavorativa non si finisce mai”, spiega Giorgio. “Sto qui anche 11 ore, mi piace quello che faccio, è la mia vita”. L’artigiano dalle idee concrete si è trasferito a Pesaro, da Sant’Angelo in Vado, nel ’69. Ora si sente pesarese a tutti gli effetti. Ma i suoi clienti vengono da tutta

Italia. “In zona non esistono bot-teghe come la mia”, afferma orgo-glioso. “Quindi arrivano tante per-sone anche da fuori città. Non so se la mia officina sia unica in Italia, ma poco ci manca...”. In tutti questi anni non c’è stato attrezzo, ogget-to o pezzo che Giorgio non abbia riparato e a volte migliorato. Un la-voro particolare che gli ha permes-so di conoscere tanta gente. “Da me sono venuti tutti, di ogni età e categoria sociale; dall’ingegne-re al ragioniere, dal marinaio alla casalinga. Vendo, aggiusto e cono-sco così tanta gente: mi arricchisco come persona, perché la ricchezza umana è tanta”.Un operaio, un artigiano, un artista, un poeta. “Da me vengono anche signore che mi chiedono di ripara-re un manico di una pentola…”. E si diverte, Giorgio, che dal ‘67 ne ha costruiti e riparati di pezzi. Mai stanco, sempre sorridente e pronto a dare una mano. “Ho servito anche gente dello spettacolo: non attori o registi, ma i tecnici del cinema”. Bruno Macchini, ultimo erede del-la storica Officina Macchini, passò l’enorme eredità di una famiglia laboriosa e creativa a Giorgio, che ora continua la tradizione con lo stesso spirito. E con la speranza che un domani questo laboratorio, in centro e vicino al mare, continui a vivere e a regalare sorrisi. IN

testo Beatrice Terenzi - foto Leonardo Mattioli

La macchina delle Idee

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Costruire | Officina Macchini

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La cultura degli Incas s’intreccia con quella europea nei dipinti di Giuliano del Sorbo. Che dai suoi viaggi trae linfa vitale per le sue opere.

“Dipingo l’invisibile, l’impossibi-le, dipingo l’anima umana”. Così si presenta Giuliano Del Sorbo, ar-tista autodidatta e atipico: “Non uso il cavalletto. Ho preso la tela, l’ho tirata giù dal cavalletto e l’ho attaccata al muro”. Dopo una vita in viaggio, vive a Pesaro dal 2003. “La mia università artistica l’ho fatta nei viaggi”, racconta. “Ho co-minciato a dipingere da bambino e a 25 anni ho deciso che l’arte sarebbe stata la mia vita. A Cusco, in Perù, ho avviato un percorso di crescita spirituale con lo studio della cultu-ra incaica che, insieme a quella eu-ropea, ha influenzato la mia arte. Lavoro sull’anima ma il corpo è il centro della mia ricerca: nelle figu-re che rappresento a volte non si riconosce se sono maschi o femmi-ne, perché non hanno pelle né ciò che può distinguerli; mi interessa solo la loro energia spirituale. Nel guardarli, ciascuno dovrebbe rico-noscersi perché miro a trasmettere l’invisibile: l’arte deve dare emo-zione, ciò che ci manca e di cui si ha paura”. Del Sorbo si è fatto conoscere anche per spettacolari performance di “pittura estrema”, all’opera su una enorme tela men-tre, come un alpinista, viene calato dalla facciata dei palazzi.È un nuovo modo di essere artista oggi?“Ho realizzato performance di pit-

tura estrema e altre in teatro e spa-zi alternativi, dal 1991, per non far morire il mio segno. È un po’ come un grido della pittura, affinché possa avere uno spazio per vivere. Per riuscirci ho fatto le prove al Furlo, assieme ad alcuni alpinisti. Lo scorso maggio, invece, al teatro Rossini di Pesaro ho realizzato la performance Action music - Action painting, con il pianista Mario Ma-riani per la rassegna Teatro oltre”.Dopo aver vissuto tanto all’estero e a Milano, Pesaro le è mai stata “stretta”?“No, non mi ha mai limitato, anzi. Questa provincia è la terra di Raf-faello e Bramante e io ho fatto qui tantissime cose che a Milano non avrei fatto. Però sogno un luogo d’aggregazione in cui poter usu-fruire dell’arte e sentirsi tutti pro-tagonisti, dove si possano fare la-boratori e sperimentare”.Qual è il ruolo dell’arte oggi?“È una guida spirituale: critica la società che non va bene e propone come vivere in armonia. L’artista è un patrimonio che andrebbe salva-guardato e l’arte dovrebbe essere gratuita per il pubblico”.Ora per lei c’è una nuova sfida…“Da Bucci, a Pesaro, sto facendo un laboratorio di ceramica: dipingo un servizio di ventidue ceramiche, su commissione di un mio collezio-nista di Milano”. IN

testo Benedetta Andreoli - foto Leonardo Mattioli

Il pennello dell’Anima

Chi è Giuliano Del Sorbo

Nato nel 1961 a Aylesbury (Inghilterra), da sempre lo

accompagna la pittura. Dipinge nel 2005 la scenografia della rassegna

“Le Modelle. Percorsi di genealogia femminile” nella Provincia di

Pesaro e Urbino, e nel 2007 espone più di cento opere alla Rocca di

Fano. Tiene performance di pittura estrema a Pesaro, a Rocca Costanza e in piazza del Popolo, poi, nel 2008,

alla Rocca di Gradara e nel 2009 a Roma, in piazza Colonna. È del 2010

Action Music - Action Painting, al Teatro Rossini di Pesaro.

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Creare | Giuliano del Sorbo

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Campione assoluto dell’ultimo Sanremo Giovani, Raphael Gualazzi ha conquistato pubblico e critica con il suo sound. Un fuoriclasse targato Urbino, lanciato verso palcoscenici internazionali.

È la ‘bomba canora’ del momento, da quando con Follia d’amore ha vin-to la 61esima edizione di Sanremo Giovani, sbaragliando letteralmente gli avversari. Raphael Gualazzi, urbi-nate, classe 1981, è oggi un trenten-ne d’assalto che passa da un concer-to all’altro in attesa di partecipare all’Eurofestival. La sua canzone san-remese ha conquistato, oltre che il pubblico, il premio della critica “Mia Martini” e quello della sala stampa. Segno inequivocabile che la buona musica, quando è veramente tale, non può che trionfare. Grazie al suo innato talento Raphael è stato ingaggiato dalla Sugar, la casa di-scografica di Caterina Caselli, che quanto a fuoriclasse ha un fiuto in-fallibile. Gualazzi, del resto, è figlio d’arte: il padre Velio, negli anni ’60, è stato il batterista della prima band di Ivan Graziani. Raphael si definisce un ‘artigiano’ della musica ma ha avuto una preparazione classica, ap-profondita grazie allo studio del pia-noforte al Conservatorio “Rossini” di Pesaro. Ben presto ha ampliato i propri orizzonti appassionandosi alla musica jazz e al cosiddetto stri-de piano, focalizzando la sua atten-zione su interpreti come Ellington, Tatum, Gardner, filtrati attraverso il sound di Buscaglione, Conte e Cammariere. In concomitanza con il Festival di Sanremo è uscito il cd Reality and Fantasy che sta scalando

le classifiche: nella versione remixa-ta da Gilles Peterson accompagna alcuni spot del gruppo Fiat (dopo il successo del riarrangiamento del-la storica “Don’t stop” dei Fletwood Mac per la pubblicità dell’ENI), mentre Follia d’amore compare nella colonna sonora del film “Manuale d’amore 3”. Raphael è un ragazzo del suo tempo a cui il successo non ha tolto spontaneità e riservatezza: quando gli impegni glielo consento-

no, torna ad Urbino per stare in fa-miglia e incontrare gli amici di sem-pre che sono anche i suoi fans più scatenati. E non mancano neppure gli apprezzamenti ‘istituzionali’. Il governatore Gian Mario Spacca ha dichiarato: “La sua vittoria riempie d’orgoglio la comunità marchigia-na”, mentre il sindaco di Urbino e il presidente della Provincia pensano già a Gualazzi come possibile ‘testi-monial’ della regione Marche. IN

testo Maria Rita Tonti

Follia a Tutto jazz

Da Urbino a Sanremo, passando per Parigi

Salito alla ribalta grazie alla vittoria sul palco sanremese, Rapahel Gualazzi vanta già una carriera che viene da lontano. Dopo le prime esibizioni ad Urbino - il primissimo concerto al bar “La stazione”, poi i concerti al Caffè del Sole - è volato a Parigi, dove ha suonato nei luoghi simbolo del jazz, mietendo successi anche all’Heineken Jammin Festival. E ora i suoi brani sono tra i più scaricati da iTunes. www.raphaelgualazzi.com

Cantare | Raphael Gualazzi

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Bach, Vivaldi, metal e hard rock. Un originale

mix da cui nasce The first crusade, primo cd del musicista pesarese

Cristiano Filippini, ambientato ai tempi della

prima crociata.

“Innanzitutto un caro saluto ai let-tori di IN Magazine!”. Così esordi-sce, con simpatica spavalderia, Cri-stiano Filippini, giovane musicista pesarese, appassionato di generi musicali molto diversi fra loro e apprezzato compositore.Dove e quando ha mosso i primi pas-si in campo musicale?“Ho iniziato a suonare a sedici anni, prima la chitarra, spinto dal-la mia passione per l’hard rock. Poi il pianoforte, nel periodo in cui ho frequentato il Conservato-rio Rossini”.È uscito di recente il suo primo cd The first crusade. A chi si rivolge e quali sono le sue caratteristiche?“The first crusade è un’opera epica e sinfonica ambientata ai tempi della prima crociata. Gli arrangiamenti e gli strumenti usati sono classici e sinfonici, or-

chestra, pianoforte e organo, e la struttura è quella di un’opera liri-ca in tre atti, con un’ouverture, cioè una sinfonia introduttiva, e un fi-nale. Lo stile della composizione è, però, riconducibile alle grandi colonne sonore hollywoodiane dei colossal o alle rock opera moderne. L’album è piaciuto ad ascoltatori diversi tra loro: il target, natural-mente, comprende tutte le fasce d’età”.Quali sono i suoi musicisti di rife-rimento?“Per quanto riguarda la musica classica i miei modelli sono Bach e Vivaldi per le atmosfere, Wagner per gli arrangiamenti. Per quanto riguarda la musica più moderna i miei riferimenti sono i Carmina Bu-rana e le grandi colonne sonore hol-lywoodiane a partire dagli anni ’80. Poi, naturalmente, l’hard rock e il

metal, quello realizzato con classe”.Che tipo di musica ascolta nel tempo libero?“Ultimamente, o almeno da quan-do la musica rappresenta il 90% della mia giornata, di rado ascolto novità, nonostante sia sempre ag-giornato su quello che viene pub-blicato. I grandi classici del passato sono quasi sempre i miei preferiti”. Progetti futuri?“Ogni anno la mia casa di produ-zione prevede almeno un’uscita a nome Cristiano Filippini. I futuri album saranno dedicati a impor-tanti periodi storici, enigmi irri-solti, grandi libri della letteratura classica, epica, fantasy o gotica. Op-pure attingerò direttamente dalla mitologia. Dò quindi appuntamen-to ai miei ascoltatori e ai lettori al prossimo autunno/inverno, con il nuovo album!”. IN

testo Maria Rita Tonti - foto Luca Toni

Quelle note senza Età

Suonare | Cristiano Filippini

44 | IN Magazine

www.fanoyachtfestival.it

12.15 MAGGIO 2011VII EDIZIONE / FANO - MARINA DEI CESARI - PORTO TURISTICO

IL SALONE NAUTICO DELL’ADRIATICOFANO YACHT FESTIVAL

INGRESSO GRATUITO

Regione Marche

Provincia di Pesaro e Urbino

Comune di Fano

ALBERGHI CONSORZIATIFANO - TORRETTE - MAROTTA

media partners sponsor

info: 0721 1830484 - 333 3584531

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Due mamme, cinque bimbi in due. Una grande esperienza, dunque, no-nostante la giovane età, e la scoperta che i bambini si addormentano dove capita, senza chiedere il permesso a nessuno. Aggiungiamo poi che le due mamme amano pedalare con i loro figli per le vie di Fano. Nasce così DreamBike by Clotul, “Sogno in bicicletta per Cloe e Tullio”. Non ci vuole molto a comprendere che sono esattamente gli ultimi nati nel-le due famiglie (sei anni insieme), i due soggetti più portati ad addor-

mentarsi sul seggiolino della bici di mamma. Ma veniamo alle due gio-vani mamme, creative per necessità: una è Beatrice Farneti, architetto ed insegnante di Tecnologia e Infor-matica, proveniente da esperienze di progettazione architettonica con una grande passione per la storia e l’archeologia del territorio; l’altra è Tatiana Tonnini, laureata in Scienze del Turismo, attualmente gestore di un B&B e con una grande passione per l’omeopatia, la cucina e l’arre-damento. Ed ora passiamo alla loro creazione: un comodo e versatile cu-scino a forma di grande caramella da porre sopra il manubrio della bici-cletta per sorreggere e proteggere il capo del bimbo che si addormenta durante la passeggiata o i trasferi-menti. Dolcezza e sicurezza. Origi-nale la presentazione sul web dell’in-venzione, regolarmente brevettata.Partendo dallo slogan, “Chi dorme piglia Dream Bike!”, accompagnato da una deliziosa letterina indirizza-ta ai bimbi. E se col tempo alcuni problemi sono venuti alla luce, le due infaticabili mammine li han-no risolti fino a farne un oggetto perfetto. Dalla tasca con chiusura in velcro, ai passanti per agganciare ciuccio o sonaglini; dal taschino per riporre le manine quando è freddo, ai lacci regolabili per fissare il cu-scino al manubrio; dal parapioggia impermeabile per coprire cuscino

e seggiolino, al cuscino interno, re-alizzato in piuma&fill, con tanto di certificazione di qualità ecologica. Nessun problema, piccolo o gran-de, è rimasto irrisolto, e le risposte sono curiosamente fornite prima ancora di formulare domande. Per-ché il super-cuscino, non bisogna dimenticarlo, è stato testato sui loro stessi bambini. Frutto dell’intelli-genza e della creatività italiana, ma anche dell’amore. L’oggetto ha già destato l’interesse di una grande ditta a livello nazionale la quale, in un momento in cui l’uso della bicicletta si sta diffondendo, ne ha compreso l’enorme possibilità di mercato. Perché ogni mamma che va in bicicletta, per necessità o per scelta ecologica, possa usufruire al meglio di quel fantastico mezzo di locomozione che tutti conosciamo. Dunque: Sogni d’Oro. IN

Il bimbo si addormenta sul seggiolino della bici? Nessun problema. Dall’intraprendenza di due mamme nasce DreamBike by Clotul, cuscino anatomico per i più piccoli.

testo Alberto Berardi - foto Luca Toni

Chi pedala e chi Dorme

Il cuscino-caramella

Il cuscino-caramella rende più sicuro il bimbo in bicicletta, ma non solo. Può essere anche un aiuto per posizionarsi comodamente durante l’allattamento e i sonnellini in auto, per rapportarsi in sicurezza con la sbarra del passeggino e, perché no, anche col carrello della spesa nel supermercato, in altalena, nel cavallo a dondolo e chi ne ha più ne metta... Un sogno di cuscino, per far dormire sereno il piccolo quando il sonno arriva. www.clotul.com

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Ideare | Il cuscino per la bicicletta

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Slow Sparkling è un progetto di promozione del territorio a cavallo tra le province di Rimini e Pesaro-Urbino, firmato da Diego Olivieri.

Slow Sparkling è un’idea di Diego Olivieri, che ha concretizzato un progetto di valorizzazione dell’i-dentità del territorio compreso tra la provincia di Rimini e quella di Pesaro-Urbino. Due concetti uniti in simbiosi virtuosa. Il progetto na-sce per promuovere le eccellenze del territorio, grazie all’unione di risorse culturali, paesaggistiche, valoriali, sociali, esperienziali e produttive. La scelta del nome del progetto crea curiosità e attrae l’attenzione, specie del pubblico estero: il termine Slow è nell’acce-zione qualitativa della lentezza, a difesa degli stili di vita, un signifi-cato dell’essere che, in un mondo frenetico in cui il correre è d’ob-bligo, suggerisce invece un approc-cio rallentato (almeno ai piaceri), consentendo di apprezzare meglio qualità e particolarità del terri-torio. Il termine Sparkling vuole indicare una particolare capacità attrattiva, produttiva e seduttiva, ovvero rivelare l’anima efferve-scente del progetto e del territorio. Slow Sparkling si pone quattro obiet-tivi, attraverso altrettanti punti di sviluppo. Il primo è SlowSparkling Festival, appuntamento annuale a Cattolica, città di confine tra le due

province che coinvolge attivamen-te i comuni dell’entroterra. Segue SlowSparkling Events che offre eventi tutto l’anno e in tutto il ter-ritorio a cavallo delle due province con manifestazioni già esistenti e in sinergia, come proseguimento del Festival. SlowSparkling Land, invece, promuove il territorio in occasione d’importanti manifesta-zioni italiane ed europee, per far leva sul mercato di riferimento e conquistare l’interesse di un target nuovo, considerando l’appeal tema-tico, capace di esaltare le eccellenze e marcare l’identità in ambito turi-stico. Infine, SlowSparkling Expo: ultima parte del progetto, che mira a creare un nucleo rappresentati-vo per presentare con sistema il territorio all’Expo di Milano 2015, condividendo fondamentali linee guida. Nel rispetto della tradizio-ne e al passo con l’innovazione, la visione Slow Sparkling vuole esaltare le eccellenze locali attraverso temi globali, e contestualizzare realtà progettistica, produttiva, commer-ciale, professionale e artistica del territorio in ambiti distinti ma in-terattivi, per rendere fruibile un risultato che possa avere successo. www.slowsparklingfestival.it IN

testo Simonetta Campanelli - foto Laura de Paoli

Eccellenze Effervescenti

L’ideatore del progetto

Diego Olivieri è titolare dell’omonima agenzia di

comunicazione di Cattolica, che racchiude menti, strumenti ed eventi per la comunicazione. Una struttura elastica pensata per potersi adattare

alla piccola impresa come alla grande industria. L’organizzazione

di eventi, come quelli legati a Slow Sparkling, è solo una delle tante attività svolte dall’agenzia, che si occupa di comunicazione, promozione e marketing a tutto

campo. www.olivieri.it

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Progettare | Diego Olivieri

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Prosciutto Dop, salame, salsiccia, pancetta: un trionfo di sapori che regna a casa Geminiani, norcineria storica tra Marche e Romagna.

L’area di Sant’Angelo in Lizzola, ter-ra di mezzadri fino al dopoguerra, ha sempre mantenuto vivo il culto del maiale, considerato fortuna e ricchezza della cucina dei poveri. Di padre in figlio c’era sempre qual-cuno che apprendeva l’arte dei maz-zarèn e, nel mese di gennaio, andava nelle case dei contadini per il rito di “fare le carni”, a partire dalla ucci-sione del maiale.Sono cambiati i tempi, i riti e le leg-

gi. Così il “fare le carni” dalla festa che era è diventata una catena... di smontaggio. È rimasto però lo spi-rito. Chi lo ha conservato è la fami-glia Geminiani, che ha dato vita ad un’azienda di successo. L’attività è iniziata nei primi anni ’60 quando Sauro, con la moglie, mise a frutto le esperienze paterne e ampliò il raggio di attività che, da più gene-razioni, curava la norcineria locale. La filosofia alla base dell’azienda è quella di garantire il massimo della qualità. A partire dalla scelta dei maiali che, selezionatissimi, pro-vengono da allevamenti della Ro-magna e delle Marche, presso i quali direttamente controllano le rigide norme di razza, età, alimentazio-ne e stabulazione degli animali. La macellazione avviene in uno stabi-limento romagnolo, a Cesena, dal

quale ogni settimana arrivano dai 5 ai 700 capi. Le cosce, trattate e con-dite come d’uso, vengono spedite a Parma, nei complessi di proprietà seguiti dai figli dove, condotta da esperti “salatori”, viene controllata la stagionatura. Dopo i tempi della “meditazione” escono i prosciutti “nostrani”, della memoria, presti-giosi “Parma Dop”. Nel laboratorio di Sant’Angelo 21 operai trasforma-no il resto delle carcasse nella se-rie di insaccati tradizionali: salsiccia fresca e secca, lonza, lonzini, sala-mi, coppa, coppa di testa, pancetta magra e grassa, guanciale, ecc., nati nel rispetto della norma ISO 9201, tappa obbligatoria dei processi pro-duttivi. Norme che rendono più efficiente la struttura, migliorano l’operato e garantiscono produzio-ne e qualità ai clienti, assicurata dal codice che, di ogni “pezzo”, consen-te tracciabilità e rintracciabilità per risalire la filiera fino all’allevatore.Vari automezzi dell’azienda e di al-cuni “padroncini” distribuiscono in Romagna, Marche e Toscana dove la salumeria Sauro Geminiani e fi-gli è presente, sia nelle botteghe sia negli ipermercati, seguita da una clientela di fiducia che riconosce l’impegno e la serietà dell’azienda. www.salumificiogeminiani.it IN

testo Ettore Franca - foto Leonardo Mattioli

Il buono e il bello del Maiale

Gustare | Salumi Geminiani

Il salame “lardellato”

Quello tradizionale, senza additivi, nasceva dai tagli più pregiati della spalla, della rifilatura di lombata e coscia, private dal grasso e parti “nervose”. La carne era

macinata a grana medio-fine (i norcini procedevano “a coltello” per non scaldarla nelle trafilatrici), si condiva con sale, pepe macinato e in grani. Qualcuno aiutava

l’impasto con un po’ di vino bianco, altri infilavano qualche chiodo di garofano. S’inglobava il grasso tagliato a cubetti ricavato dal guanciale, in ragione del 15-20%, si cercava una distribuzione omogenea nell’insieme. Insaccato nel budello “gentile”,

il più adatto alle stagionature lunghe, “maturava” una settimana al camino della cucina. Si aspettavano poi dai 2 ai 4 mesi per tagliarlo nelle fette dal colore scuro,

non artificialmente mantenuto rosso dai nitrati.

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