Periodico italiano magazine maggio-giugno 2015

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Mensile di informazione e approfondimento. In copertina: eternamente giovani. Non perdetevi gli aggiornamenti settimanali sul nostro sito www.periodicoitalianomagazine.it

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Il fascino delle rugheL’ossessione dell’eterna giovinezza è un mito che proviene da lonta-no. In passato, era legato soprattutto all’utopia di riuscire, graziealle scoperte scientifiche più moderne, non tanto a fermare il tempoo a rallentare l’incedere degli anni, bensì a sconfiggere molte pato-logie e, persino, la morte stessa. Si trattava, cioè, di un’utopica ricer-ca d’immortalità. Oggi, invece, questo sogno un po’ ingenuo si è com-pletamente appiattito attorno a un’ideale estetico di eterna bellez-za. Siamo ormai di fronte a una vera e propria ossessione, che puòcondurre anche a gravi turbe psichiche d’insicurezza, facendo emer-gere paure più o meno profonde. Siteme, in particolare, che le opportunitàdella vita stiano giungendo al terminee si cerca di viverne forzosamente dinuove e a tutti i costi, illudendosi dipoter essere felici e spensierati comequando si era giovani. Regolarmente, ladelusione causata da un tempo conside-rato nemico pesa come un brusco ritor-no con i piedi per terra, esponendocianche a qualche disavventura. Il verofascino interiore di una persona nondipende affatto da diete, prodotti di bel-lezza o interventi chirurgici, bensìdalle sensazioni che si riesce a donare,anche da adulti e persino in età avan-zata, al prossimo. La vera bellezza èuna caratteristica innata: chi non cel’ha, non se la può dare. Moltissimepersone s’ingegnano per cercare diallungare la nostra vita, mentre invece,in molti casi, risulta assai più vantag-gioso ‘allargarla’, aprendosi con spiritolibero e curioso a nuovi arricchimentiinteriori. Il nostro processo di destrut-turazione cellulare è un fatto naturale:non lo si può fermare. La chirurgia plastica, ma ancor di più i pro-gressi biotecnologici, ci aiuteranno senz’altro a invecchiare rima-nendo gradevoli alla vista degli altri. Ma si può risultare bellissimianche con le nostre rughe, che in realtà sono lì a dimostrare equili-brio e maturità nel saper accettare i nostri difetti e gli anni che pas-sano. È fuor di discussione che la vita media delle persone si siaallungata. E ciò, in teoria, dovrebbe darci modo di vivere più serena-mente rispetto al passato. Ma una vita più lunga, coniugata a uninvecchiamento accettato con naturalezza, è assai più soddisfacentedel vuoto ideale estetico di pura immagine, buono soprattutto a farcisembrare perfetti nell’unica occasione a cui non potremo assistere,né fare opera di presenza: al nostro funerale. A cosa giova tutto ciò?

VITTORIO LUSSANA

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editoriale [email protected]>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Daphne Selfe, classe 1928, professione modella. Dal

2014 è nel Guinness dei Primati come top model più

anziana del mondo e con i suoi 87 anni è ancora prota-

gonista di campagne pubblicitarie di moda

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Cinema e fumetti E i Fantastici 4? Gentile redazione,volevo segnalare una piccola omissione nell’articolosu cinema e fumetti uscito sul numero di aprile dellarivista. Nello specifico mi riferisco al fatto che ilsignor Morino abbia dimenticato di citare alcuni filmimportanti come ad esempio I Fantastici 4 e Daredevilche io personalmente ho trovato piacevoli ed’intrattenimento. Capisco che non si può parlare diogni singolo film, ma mi chiedevo comunque se siastata una scelta consapevole o una semplicedimenticanza?

Marco FioriniRisponde Giorgio MorinoChiarisco subito il suo dubbio: la scelta è stata intenzionaleperché nell’articolo sono stati presi in considerazione film chehanno avuto un effettivo riscontro più che positivo albotteghino e che fossero stati anche apprezzati dalla critica.Oltre a questo si è cercato di considerare i film prodotti solodai Marvel Studios e non le altre pellicole in quanto facentiparte di un unico universo cinematografico, cosa che non sipuò applicare ai film da lei citati. Fare delle scelte e applicaredei tagli non è mai facile, perché ogni film, come giustamenteLei notava, lascia sempre qualcosa allo spettatore, ma inquesto caso il ragionamento ha seguito una direzioneesclusiva.

Giorgio Morino

Il lavoronon sempre è al primo postoGentile redazione,vorrei riportare la mia esperienza personale. Holavorato per oltre dieci anni in una grossa azienda,con contratto a tempo indeterminato. Un lavoro chemi dava la sicurezza economica ma nel quale non misentivo per niente realizzata. All’inizio era soloinsofferenza, poi è arrivata ladepressione, la sensazione di nonessere più me stessa. Unamattina non ce l’ho fatta più: misono licenziata. Un salto nel buio.Ho avuto tutti contro, amici efamiglia. La liquidazione mi hapermesso di ‘galleggiare’ qualchemese. Poi, poco alla volta horicominciato a capire chi ero ecosa volevo. La passione per il restauro, che avevocoltivato ai tempi dell’università, è diventato il mionuovo lavoro. Ho ricominciato tutto da capo. Neinegozi di antiquariato ho trovato lavoretti di piccolirestauri. Poi una mattina in un mercatino hoconosciuto il mio attuale compagno. Stessa passione:ridare nuova vita a vecchi oggetti. Oggi viviamo elavoriamo insieme. La stabilità economica è difficile,ma quella emotiva mi dà tanta forza ad affrontaretutte le difficoltà quotidiane. Il posto fisso non è tutto.È importante anche dare spazio a se stessi.

Diana F.Risponde Francesca BuffoCara Diana,ti ringrazio per aver voluto condividere la tua esperienza connoi e con i nostri lettori.

Francesca Buffo

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Non chiamateli anzianiPantaloni a pinocchietto per lui, leggings super attillati per lei. Cuffienelle orecchie e dipendenza dal web, si possono ammirare in giro com-pletamente a loro agio tra Ipod, Ipad e Iphone. Mangiano cibo sano,praticano molto sport, vestono come teenagers e ricorrono a tratta-menti estetici, non disdegnando il ‘ritocchino’ qualora le creme tonifi-canti, rassodanti, anti rughe o anti age non fossero più sufficienti. Enon è raro che tra un lembo e l’altro della loro epidermide, ‘casualmen-te’ scoperto, si intravedano variopinti tatuaggi. Le magliette, i jeans ei vestiti devono essere aderenti. Perché l’aderenzafa sexy e quindi giovane. Ma chi sono? I ‘finti’ gio-vani. Sbirciando tra le definizioni del vocabolarioTreccani, questa tendenza viene detta ‘giovanili-smo’, ovvero “atteggiamento di chi, non più giovane,ostenta modi e comportamenti che sono tipici deigiovani, o come tali considerati, specialmente perconformistico condizionamento di mode culturali”.La sociologia da tempo sta tentando di trovare unaspiegazione a questa categoria che da qualche annoa questa parte sembra essere uscita fuori dal nulla.Ma non sono alieni. Sono ultracinquantenni che sisentono giovani dentro e che ‘a mollare’ non ci pen-sano proprio. Esperti in comunicazione, in accordocon alcune tesi sociologiche, fanno ricondurrel’esplosione di questo ‘fenomeno’ all’evoluzione diun processo storico rivoluzionario, quale fu il movi-mento sessantottino e lo sdoganamento giovanili-stico, sostenendo che un 50/60enne di oggi indossajeans scoloriti o attillati perché quello era il modoin cui vestiva quando aveva 20 anni.Atteggiamento che ha finito con il consolidarsiquando, finito il movimento del ’77, ha inizio il‘riflusso nel privato’ nei comportamenti giovanili: il consumo è il nuovoDio e i veri valori di questa mutata società diventano il perseguimen-to dell’affermazione personale e il narcisismo. Il termine ‘giovane’subisce dunque una profonda mutazione e diviene categoria sociologi-ca perché non va più a identificare semplicemente l’adolescente.Pubblicità, cinema, internet, mezzi di comunicazione di massa in gene-rale, mode e consumi trasversali, rappresentano i principali veicoli dimodelli e di pratiche quotidiane che impongono una società eterna-mente giovane. Dove la giovinezza non è più determinata dall’età ana-grafica ma dalla superficie fisica. Si è giovani se nella qualità del pro-prio aspetto, nel modo in cui si appare, ci si atteggia, ci si veste, sipensa e si parla, si è diversi rispetto agli anziani (categoria con laquale pare che oggi nessuno voglia più identificarsi). Gli esperti ladefiniscono ‘Trans-Age’, ovvero di epoca senza età.Hanno 50 anni, ma da vent’anni ne hanno sempre trenta. Quindi nonchiamateli anziani!

CARLA DE LEO

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Attraverso la chirurgia esteticae la farmacologia la culturacontemporanea ha prodottonegli ultimi decenni orde didonne e uomini di mezza etàcon i tratti ormai deformati dalsilicone e botox. Ma l’elisir peruna lunga gioventù è soprattut-to un sano stile di vita

sommario Anno 4 I numero 12 I Maggio-Giugno 2015

3 Editoriale

4 Posta

5 Storia di copertina

8 Per sempre giovaniEliminare l’invecchiamento, le malattie e la morte sembra essere una meta raggungibile attraverso le teorie transumaniste

12 Mantenere attivo il cervelloÈ possibile mantenersi giovani anche quando il nostro fisico, a causa di alcuni inevitabili processi biologici, comincia a decadere?

14 Un corpo tecnologicoDal ‘pene-robot’ al naso artificiale in grado di rilevare la contaminazione dei cibi: l’uomo versione cyborg ormai è tra noi

17 Campioni contro il tempoNon chiamateli nonni: fare sport all’età di ottantanni si può grazie a uno stile di vida corretto e un mix di motivazione, allenamento e fortuna genetica

20 La nuova Libiache non c’èCon le speranze della 'primavera libica' che si sono spente tra la violenza delle milizie e l'indifferenza dell'Occidente, la situazione non è mai stata così delicata

22 Bobo Craxi“In Libia, la fase post Gheddafi è stata gestita malissimo”

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Gioventùossessiva

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28 Alice projectdall’Italia all’IndiaIl rivoluzionario metodo di insegnamentodi Valentino Giacomincon cui punta ‘all’interdipendenza e l’unità di tutti i fenomeni’

34 Il linguaggio del rumIntervista a Leonardo Pintouno dei massimi esperti italianidella ‘bevanda dei pirati’

38 Le donne di TancrediCon il suo album d’esordio, ‘Le donne di un clown’, uscito a marzo, il cantautore cosentino racconta un mondo in bilico fra fantasia e verità

40 L’universo di ArtanA ritmo di rock, il cantautore di origine albanese rivendica una società in cui l’uomo sia il bene più prezioso da salvaguardare

42 Immortalità hollywoodianaIl sogno di essere belli e giovani in eterno è un tema ricorrente in molte pellicole

46 Il fiato corto di Into the woodsLa trasposizione cinematografica della Walt Disney si rivela un film stracolmo di ripensamenti e ‘tagli’ effettuati con l’accetta

48 Cinema film

Massimo Fecchi è tra i più gran-di disegnatori a livello mondialee vanta qualcosa come un centi-naio di storie Disney realizzatein poco meno di 15 anni: in que-ste pagine ci racconta la suaesperienza di fumettista

Nel segnodi Paperino

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Anno 4 - n. 12 - Maggio-Giugno 2015

Direttore responsabile: Vittorio LussanaVicedirettore: Francesca Buffo

In redazione: Gaetano Massimo Macrì, Giuseppe Lorin, Michela Zanarella, Carla De Leo,Serena Di Giovanni , Ilaria Cordì , Silvia Mattina,Giorgio Morino, Michele Di Muro, Clelia Moscariello

REDAZIONE CENTRALE: Via A. Pertile, 5 - 00168 Roma - Tel.06.92592703

Progetto grafico: Komunicare.org - Roma

Editore Compact edizioni divisione di Phoenix associa-zione culturale - Periodico italiano magazine è unatestata giornalistica registrata presso il RegistroStampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010

PROMOZIONE E SVILUPPO

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Oggi l’eterna giovinezza tanto desiderata da Oscar Wilde è possibi-le. Non solo la scienza ha permesso attraverso scoperte informa-

tiche e genetiche l’ allungamento della vita, ma esiste una sorta dirinascimento intellettuale che mira a rendere la quotidianità semprepiù piacevole e longeva. Il movimento culturale, intellettuale e scien-tifico che si pone il miglioramento della specie umana con l’eliminazio-ne dell’invecchiamento, delle malattie e della morte, è definitoTransumanesimo. Questo movimento raduna scienziati, filosofi euomini di cultura di ogni parte del mondo con lo scopo di prolungarel’esistenza e rendere migliore la vivibilità umana.Secondo Nick Bostrom, filosofo svedese esperto in intelligenza artifi-ciale, tra i principali teorici del movimento, il Transumanesimo rap-presenta un modello di riferimento per il futuro dell’uomo. Ecco allorache diventa necessario capire il significato di transumano, ovvero l’in-dividuo in transizione verso il postumano, che ha capacità miglioririspetto alla norma, sia dal punto di vista fisico, psichico e intellettua-le. L’essere postumano è fuori dal comune, le sue aspettative di vitavanno oltre i cinquecento anni, le sue capacità sono due volte sopra glialtri, non percepisce alcuna sofferenza.Esiste una dichiarazione dei principi del movimento dove si esprimo-no le caratteristiche che lo identificano nella sua unicità. Uno dei prin-cipali obiettivi è la riprogettazione umana per impedire l’invecchia-mento, un potenziamento dell’intelletto che eviti lo stato di dolore. Perarrivare a questi particolari orizzonti di svolta è dunque necessariol’utilizzo di nuove tecnologie, è indispensabile una certa apertura men-tale a queste nuove forme di sperimentazione.I transumanisti si pongono l’espansione delle proprie capacità fisichee intellettuali per garantire un controllo maggiore sulla propria vita.Per discutere di questi principi è oppportuno l’incontro e l’individua-zione di strutture sociali dove razionalizzare il benessere cosiddetto‘moderno’. Per comprendere meglio le basi che hanno portato allo svi-luppo del movimento, basta orientarsi verso lo stesso Bostrom, che èstato tra gli esponenti della teoria. La teoria transumanista ha chiaririferimenti all’antichità , si parte addirittura dal periodo greco, dovel’uomo già sentiva l’urgenza di migliorare le proprie condizioni fisichee psichiche. È con la rivoluzione scientifica in epoca moderna, dopo ilfuturismo, che si arriva a una sorta di svolta nel modo di trattare lascienza e nell’ affrontare l’uomo. È Julien De La Mettrie, medico e filo-sofo francese, a condurci verso l’uomo-macchina, inteso come ingra-naggio di parti materiali fatte a perfezione, la versione dell’attualecyborg per fare un esempio concreto. Facendo un passo indietro non si

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Per sempregiovani

Eliminare l’invecchiamen-to, le malattie e la mortesembra essere una metaraggungibile attraverso leteorie transumaniste, che sipongono come obiettivo ilprolungamento della vita ela perfezione della specie,arrivando a una fasepostumana

Julien De La Mettrie, medico efilosofo francese, è stato il primoscrittore materialista dell’illumi-nismo. Nel 1747 ha scritto ‘L’uomomacchina’

primopianoprimopiano La medicina ‘antiaging’, l’ingegneria genetica e l’inte>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Nick Bostrom (10 marzo 1973) è unfilosofo svedese della OxfordUniversity, noto per il suo lavoro sulcosiddetto rischio esistenziale e ilprincipio antropico. Oltre a studi escritti tanto divulgativi quanto acca-demici, ha fatto frequenti apparizio-ni su diversi media occupandosisoprattutto di tematiche pertinential transumanesimo e ad argomentiad esso collegati quali la clonazione,l'intelligenza artificiale, la superin-telligenza, la possibilità di trasferi-mento della coscienza su supportitecnologici, le nanotecnologie e le tesisulla realtà simulata

può comunque non fare riferimento a Darwin e alla sua teoria sul-l’evoluzione nel volume ‘l’Origine della specie’ del 1859, dove l’evolu-zione è una combinazione tra cambiamenti materiali e il caso.Secondo i transumanisti l’uomo tecnologico è in grado di modificare estravolgere la sua natura, portandola attraverso la biotecnologia a unaspecie postumana che esprime la perfezione assoluta.Bisogna attendere il 1927 per sentire per la prima volta il termineTransumanesimo. Fu J. Huxley a utilizzare la parola per primo. Ma ènella seconda metà del Novecento con gli studi sull’intelligenza arti-ficiale che si fortifica la teoria transumanista.I futuristi americani degli anni Sessanta come Peterson e Drexlerhanno sicuramente contribuito a un rafforzamento di queste ipotesi.Non tutto ciò che è stato espresso e definito è stato apprezzato, esisto-no libri di critica sulle problematiche e sulle incongruenze del movi-mento. Fukuyama è stato uno degli autori che in modo lucido ha con-trastato in buona parte le teorie del Transumanesimo.Il potenziamento della medicina anti-aging, l’ingegneria genetica el’intelligenza artificiale fanno da motore trainante alle tesi di Bostromche considera l’ipotesi di un vicino raggiungimento di tali obiettivi.L’evoluzione dalla specie umana a una superiore, senza alcun difetto epatologia, parte da un’ eliminazione degli embrioni malati o con ano-malie, e con l’applicazione di microchips che vanno a modificare equindi migliorare le capacità umane. Tali applicazioni sarebbero dautilizzare non solo in campo medico e terapeutico, ma anche per quan-to rigurada la mente e le sue funzioni. Le teorie transumaniste verto-no comunque al raggiungimento di uno status di esistenza post-biolo-gica, attraverso la riproduzione dell’individuo attraverso il computer,ma si sa che questa sorta di alterazione umana può essere molto peri-colosa e in grado di stravolgere i principi di ogni società democratica.

MICHELA ZANARELLA

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elligenza artificiale fanno da motore trainante alle tesi transumaniste di Bostrom>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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La paura di invecchiare oggiè da riferirsi al solo elemen-

to estetico. Ci si è spinti cosìoltre in questo senso al puntoche si è resa necessaria unanuova definizione di uomo comepost-human. Un concetto “ruba-to” all’arte e alla filosofia, chesegna la fine del concetto uma-nistico dell’uomo al centro dellarealtà, e che in questo caso siriferisce all’intervento sullanatura del corpo umano tra-sformandolo chirurgicamente,fino a superare i canoni di bel-lezza classici giungendo a crea-re un essere che dell’aspettoumano ha ben poco. Un casoestremo è, per esempio, l’ameri-cano Justin Jedlica, sottopo-stosi a 150 interventi chirurgici

con l’obiettivo di divenire unKen versione umana.Diverso, ma simile per obiettivo,il caso di Valeria Lukyanova(nella foto in apertura), modellaucraina che mediante un inter-vento al seno, palestra, unadieta a base di aria e acqua (latecnica induista dell’Inedia) eun sapiente uso di make up, èriuscita a trasformarsi in unaBarbie in carne e ossa.Il voler preservare il più a lungopossibile un aspetto che rispon-da a un’ideale di bellezza irrea-le, tuttavia non riguarda sola-mente casi di interventi sulcorpo così invasivi. È possibilearginare il pericolo semplice-mente con un guardaroba rin-novato e un adeguato stile di

vita. Più in generale il mondo diinternet è un vero pandemoniodi ricette, farmaci (più o menoscientificamente testati), lifestyle e testimonianze che pro-mettono di garantire l’eternagiovinezza.Nei secoli tanti sono i rimedianti età sperimentati (comel’estratto di testicoli animali o dicellule embrionali o l’uso dellaplacenta). Basti pensare che ilprimo vademecum scritto risalea 2600 anni fa: è il papiro egizia-no intitolato ‘Come trasformareun vecchio in un ventenne’.Si data agli anni ‘60 l’invenzionedi un farmaco, il Gerovital(ancora oggi reperibile), messo apunto a Bucarest da AnnaArslan. Si tratta di un derivato

primopiano Trasformare chirurgicamente il proprio corpo fino a su

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Gioventùossessiva

Attraverso la chirurgiaestetica e la farmacolo-gia la cultura contem-poranea ha prodottonegli ultimi decenniorde di donne e uominidi mezza età con i trat-ti ormai deformati dalsilicone e botox. Mal’elisir per una lungagioventù è soprattuttoun sano stile di vita

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della procaina, un anesteticolocale che migliorerebbe i pro-cessi metabolici e i processi diossidazione cellulare e mante-rebbe l’equilibrio dei processicorticali e la funzionalità delsistema nervoso centrale.Con gli anni ’90 sono iniziate lesperimentazioni in campo ormo-nali con il DHEA ( prodottodalla ghiandola surrenale) defi-nito come ‘ormone della giovi-nezza’. Recentissimamente èstato lanciato sul mercato ilBasis, un nuovo farmaco dabanco in pillola, in vendita sulmercato americano, sperimen-tato sui topi ma i cui effetti sul-l’uomo non sono ancora cono-sciuti. È frutto del lavoro di unastart-up fondata da LeonardGuarente, del Mit di Boston, dalnome programmatico diElysium Health e che vanta laconsulenza di 5 premi Nobel.Il farmaco in sostanza va a inte-grare la molecola, Nad, la cuipresenza nelle cellule diminui-sce con l’invecchiamento.L’efficacia sull’uomo verrà quin-di verificata, con un certo scetti-cismo da parte di alcuni studio-si, solo nel corse degli anni. Ilcliente in questo caso è quindianche cavia e questo è stato pos-sibile perché il prodotto è unnutraceutico e viene vendutocome integratore (categoria chenon necessita di autorizzazioneda parte del Food and DrugAdministration.Un altro farmaco disponibile sulmercato è il Cialis ( contenenteil principio attivo Tadalafil), piùconosciuto come alternativa alViagra. Questa pillola giallaavrebbe infatti anche la capaci-tà di indurre una diminuzionedi radicali liberi nell’organismoche aumentano naturalmentecol passare degli anni.

L’esperimento, portato avantida alcune unità operative del-l’azienda ospedaliera universi-taria di Pisa, ha riscontrato chedopo 10 giorni dalla fine di unciclo di somministrazione di 20mg di Cialis ( due volte alla set-timana, dopo le 23) a un campio-ne di pazienti non fumatori, siregistra l’abbattimento del 50%dei radicali liberi (che alteranole strutture di tutte le cellule esi propagano a catena).Alternativi ai farmaci sono, poi,tutta una serie di rimedi natu-rali che interessano le abitudinialimentari e motorie. Natural-mente non si tratta di prodottiche promettono miracoli, mahanno il vantaggio di non averecontroindicazioni. Sono soprat-tutto accorgimenti che, se segui-ti con costanza, consentono dimantenere una vita sana e chequindi possono portare a viverepiù a lungo.

D’altronde il web abbonda diricettari del benessere, e lanuova moda che ci vorrebbetutti vegetariani, in virtù di unsostanziale benessere, ne è unpalese esempio.In generale i medici sostengonoche per ridurre gli effetti dell’in-vecchiamento è consigliato nonfumare, non bere alcolici, faresport, passare molto tempo lon-tano dai centri urbani, mangia-re cibi che depurino, equilibrinoe tonifichino l’organismo- unavera e propria lotta ai radicaliliberi. Un caso emblematico inquesto senso è quello dell’ameri-cana Annette Larkins, origi-naria del South Carolina. A par-tire dagli anni ’60, ha messo apunto uno stile di vita che leconsente oggi, a 73 anni diapparire molto più giovane.Sull’argomento ha pubblicatolibri e DVD e spesso viene ospi-tata in programmi TV.Segue una dieta vegana e crudi-sta. Si ciba di frutta, verdura,noci, semi e acqua piovana cheraccoglie e filtra personalmente.I cibi provengono dal suo orto evengono coltivati senza l’uso dipesticidi. I prodotti vengonolavorati a crudo e deidratati.Esagerata? Forse. Ma se i risul-tati sono quelli che vedete infoto, c’è da farci un pensierino.

MICHELE DI MURO

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uperare i canoni di bellezza classici

Justin Jedlica e Valeria Lukyano: i loro corpi sono stati plasmati da chi-rurgia, dieta e ginnastica per farli assomigliare a Ken e Barbie.

L’americana Annette Larkins, 73anni, ha messo a punto uno stile divita ‘antinvecchiamento’

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Èdi questi ultimissimi giornila notizia secondo cui, per

aiutare gli anziani a sentirsimeno soli, a tenerne la mente‘allenata’ e a scacciare da loro lo‘spettro della morte’, AngelaMusolesi, una sorella francesca-na, si sia inventata il primo‘social’ destinato alla terza età.Si chiamerebbe ‘Special age’ ecostituirebbe un esempio di col-laborative economy in grado diunire le competenze della perso-ne per condividere, scambiaretempo e socializzare. Tra le ini-ziative del progetto spicca inparticolar modo quella denomi-nata ‘Anziani per i giovani’, conla quale gli ‘attempati’ potrebbe-ro offrire qualche ora del lorotempo per trasmettere ai ragaz-zi le proprie esperienze. Come,ad esempio, lavorare a maglia opreparare una buona torta o,ancora, svolgere lavoretti di fale-gnameria. Un bel progetto, quel-lo messo in capo dalla suorafrancescana, almeno sulla carta.Anche se, forse, difficilmentepraticabile, data l’oggettiva diffi-coltà di molti anziani ad intera-gire con le nuove tecnologie. Manon è tanto questo, il problema.La domanda più importante è laseguente: vogliamo davvero cre-dere al ‘ruolo taumaturgico’ delprogresso tecnico e scientifico,

dei social media e del web? Nonriponiamo forse in esso un’ecces-siva fiducia? Inoltre, vien dachiedersi: cosa significa, vera-mente, essere ‘vecchi’, oggi?Viviamo in una società ossessio-nata dall’immagine, dall’appari-re, dal desiderio di rimanere‘eternamente giovani’. Ma cos’è,davvero, la ‘giovinezza’? LaTreccani la definisce: “L’etàintermedia tra l’adolescenza e lamaturità, e, per estensione,tutta la prima età dell’uomo”.Ma è davvero così? O parliamopiuttosto di una condizione più‘spirituale’, intangibile, aleato-ria, difficile da definire? Esisteuna sostanziale differenza tra ilconcetto di giovinezza ‘in sensoorganico e fisiologico’ e quello da

intendersi in chiave metaforica? Una nota poesia di PabloNeruda intitolata ‘Chi muore’(Ode alla vita) sostiene, a ragio-ne, che “lentamente muore chidiventa schiavo dell’abitudine,ripetendo ogni giorno gli stessipercorsi […] chi non rischia ecambia colore dei vestiti, chi nonparla a chi non conosce.Lentamente muore chi fa dellatelevisione il suo guru […] chiabbandona un progetto prima diiniziarlo, chi non fa domandesugli argomenti che non conosce,chi non risponde quando glichiedono qualcosa che conosce[…]”. Nelle parole di Nerudal’elisir dell’eterna giovinezza èracchiusa in poche, significative,parole: viaggio, passione, emo-zione, lavoro, lettura, sogno,

primopiano Il segreto per una più proficua e sicura longevità risied>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Mantenere attivoil cervello

È possibile mantenersi giovani anche quando il nostro fisico, a causadi alcuni inevitabili processi biologici, comincia a decadere?

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musica, progetto, ottimismo,curiosità. E, guarda caso, non viè nulla di ‘materiale’ in questalista. Niente che sia riconducibi-le a un oggetto preciso (che cipossa ‘ringiovanire’). Perché se ildeperimento fisico, come diceva-mo poc’anzi, non può essere con-trastato, quello mentale e spiri-tuale può, anzi deve, essere ral-lentato. Talvolta addirittura fer-mato. Non tanto con l’ausilio dicreme rassodanti e anti-age o,nei casi più estremi, del botulinoe del bisturi, ma mantenendo ilnostro ‘cervello’ e il nostro spiri-to sempre attivi. Certo, la tecno-logia in questo a volte può ancheaiutare. Soprattutto in un Paesecome l’Italia dove l’indice di vec-chiaia è molto alto e il mercato,per forza di cose, richiede delleinvenzioni tecnologiche che pos-sano garantire un livello di vitasoddisfacente. Ci si riferisce, inparticolare, al settore del ‘digitalhealth’ ove in questi ultimi annimedicina e risorse digitali stan-no convergendo al fine di miglio-rare la qualità della vita dell’an-ziano. Settore che ha prodottoalcune applicazioni e dispositivitecnologici di recente invenzionein grado di monitorare i parame-tri vitali dell’anziano (ad esem-pio, il dispositivo WinPack) odiagnosticare eventuali patolo-gie (come nel caso del CellScope,l’ otoscopio digitale in grado dicontrollare alcune infezioni del-l’orecchio). Ma la giovinezza, loabbiamo capito, è uno statomentale che va al di là di qual-siasi terapia o farmaco. Spessosi tratta di una condizione psi-chica ben precisa che si autoali-menta attraverso la ‘voglia divivere’.La chiave dell’eterna giovinezzaè in un organo nascosto, inacces-sibile, del nostro copro: il cervel-lo che, scientificamente parlan-do, inizia il suo lento decadimen-

to a partire dai 45 anni di età.Diversi studi hanno infattidimostrato che già a partire dai49 anni le attività di ragiona-mento e di memoria iniziano acalare, negli uomini come nelledonne. Nel mentre però che l’at-tività cerebrale rallenta, si inne-scano dei meccanismi di com-pensazione che prevedono unasorta di ‘collaborazione’ dei dueemisferi cerebrali, destro e sini-stro. Con tutto quello che ne con-segue. I due emisferi, infatti,

‘lavorano’ in modo diverso e laloro cooperazione produce per-tanto alcuni cambiamenti nellafunzionalità del nostro cervello.Il quale, in parole spicciole,quando diventiamo anziani si‘reinventa’ e comincia a svilup-pare diverse caratteristiche. Atal proposito, altri studi hannocomprovato che negli anzianiaumenterebbe il lato creativo, ilquale eluderebbe il dominiodella metà razionale del cervel-lo. La creatività, l’ingegno,sarebbero proprio gli elementiche resistono all’usura deltempo. La scienza, quindi, hascoperto da tempo che un cervel-

lo attivo è in grado di mantener-si lucido più a lungo: resiste allademenza e agli altri disturbineuro cognitivi tipici dell’età cheavanza. Al contrario, una menteannoiata, depressa, pigra è piùsoggetta a disturbi, anche fisici.Sembrerebbe perciò che il segre-to per una più proficua e sicuralongevità risieda tutto nellenostre abilità cognitive e nel-l’espressione ‘tenersi attivi’. Chenon significa solo stare davantia una televisione, a un computero a un cellulare dalla mattinaalla sera, illudendoci di interagi-re con il mondo, bensì coltivarele proprie passioni, i propri inte-ressi, reinventarsi quotidiana-mente. Come hanno fatto nel2013, gli ultrasettantenni MarioBorri e Adriano Moioli, fondato-ri della start up New TechTargets (Ntt). Un’azienda che,con una tecnica rivoluzionariaed ecologica, produce pellicole,tessuti tecnici speciali e fintapelle. Laminati senza piomboche poi finiscono nei camici deimedici, degli infermieri e deipazienti per la protezione dairaggi X e per la schermaturadurante le radiografie.Schermature degli apparecchiaeroportuali per il controllo deibagagli, il materiale con cui ven-gono fabbricate le barriere gal-leggianti utilizzate in mare perarginare le chiazze di petrolio incaso di disastri ambientali e lafinta pelle impiegata nell’arre-damento, nell’abbigliamento enelle calzature. Certo, non èsempre facile fare ‘imprendito-ria’, soprattutto quando si hasettant’anni. Ma il concetto èchiaro. L’importante è ‘evitare lamorte a piccole dosi’, per dirlacon Neruda. Ricordando sempreche “essere vivo richiede unosforzo di gran lunga maggioredel semplice fatto di respirare”.

SERENA DI GIOVANNI

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da tutto nelle nostre abilità cognitive e nell’espressione: “Tenersi attivi”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Ricordate il protagonistadella serie televisiva sta-

tunitense ‘The Six MillionDollar Man’ trasmessa inItalia nei primi anni Ottanta?È il colonnello Steve Austinche, a causa di un incidentedurante una missione, perdele gambe, il braccio destro el’occhio sinistro. E sul quale,pertanto, viene effettuata unaricostruzione all’avanguardia,che sostituisce gli organi dan-

neggiati con arti bionici.Attraverso cui Steve acquisi-sce delle capacità eccezionalicome correre a velocità altissi-me, avere una forza fuori dalcomune e una visione ravvici-nata di oggetti molto lontani.Ecco, oggi ‘l’uomo da sei milio-ni di dollari’ potrebbe essereuna realtà. Perché grazie aigrandi passi avanti compiutidalla bioingegneria, l’ideazio-ne di dispositivi artificiali atti

a sostituire una parte delcorpo mancante o a integrareuna danneggiata si fa semprepiù frequente. È di questi gior-ni, ad esempio, la notizia del-l’esistenza di un pene robot ingrado di garantire una vitanormale a tutti coloro che acausa di un carcinoma abbia-no subìto una penectomia,oppure alle persone chevogliano cambiare sesso. Sitratta del progetto ‘Robot-

primopiano Oggi, grazie ai grandi passi avanti compiuti dalla bioi>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Dal ‘pene-robot’ alle lenti a contatto ‘smart’ per diabetici; dal naso artificialein grado di rilevare la contaminazione dei cibi, alla prima mano hi-tech‘made in Italy’; dagli esoscheletri per gli arti superiori e inferiori, agli ‘stivali’che facilitano la camminata ai pazienti vittime di ictus o di altre patologie cheinfluiscono sul movimento; fino alla pelle altamente tecnologica, nata perdare il senso tattile alle protesi: l’uomo versione cyborg ormai è tra noi

Un corpotecnologico

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penis’, pensato da SergioTarantino, Alessandro Dio-dato e Andrea Cafarelli, trericercatori dell’Istituto diBiorobotica della Scuola supe-riore Sant’Anna di Pisa, nel-l’ambito di un corso finalizzatoal lancio di imprese hi-tech. Il‘Robot-penis’ è, infatti, unodegli otto progetti proposti aPisa al termine del corso‘High-tech business ventu-ring’, iniziativa legata al per-corso ‘Tuscan start-up acade-my’ finanziato dalla RegioneToscana. A rendere l’idea dav-vero innovativa è la possibilitàdi controllare la protesi trami-te il pensiero e gli stimoli ner-vosi, garantendo così alla per-sona che la ‘indossa’ il piaceresessuale. Tutto ciò, medianteun nuovo sistema di sensoriz-zazione e l’uso di materialielastici ‘smart’ e biocompatibi-li. Al contrario di quantoavviene generalmente nei casidi ricostruzione chirurgica delpene, l’erezione della protesirobotica potrà, dunque, avve-nire in maniera naturale almomento della manifestazio-ne del desiderio sessuale. Manon finisce qui. Pare, infatti,che a breve Google lancerà sulmercato delle particolari lentia contatto ‘smart’ per diabeticicapaci di tenere sotto controllola glicemia, cioè la concentra-zione di glucosio nel sangue.Le smart lens si comporrebbe-ro di due chip in grado di rile-vare il tasso glicemico del san-gue attraverso le lacrime.‘Nasum’, invece, progetto pre-sentato da alcuni ricercatoridel Sant’Anna di Pisa in occa-sione del ‘High-tech businessventuring’, sarà in grado diindividuare nel cibo l’eventua-le presenza dei principali

organismi patogeni responsa-bili delle malattie da intossi-cazione alimentare, come ilbotulino e la salmonella. Epermetterà di sapere in antici-po se è possibile mangiare unalimento senza rincorrere adanni per la salute. Se‘Nasum’ ci preserverà dunqueda eventuali intossicazioni ali-mentari, la prima mano artifi-ciale ‘made in Italy’, nata gra-zie alla collaborazione traInail e IIT (Istituto italiano diTecnologia di Genova), dispo-nibile a partire dal 2017, con-sentirà ai pazienti amputatidi arto superiore il recuperodella funzionalità complessi-va. Realizzata con il contribu-to della tecnologia 3D-prin-ting, in materiale plastico econ alcune componenti metal-liche, la mano artificiale,secondo gli esperti, sarebberobusta e leggera (meno di 500gr) ed estremamente flessibi-le, grazie all’ingegnerizzazio-ne di un tendine artificiale checonsente di riprodurre i movi-menti naturali. Il pazientecontrollerebbe la mano prote-sica attraverso due sensoriche recuperano il segnale

naturale dei muscoli residui.Il dispositivo non prevedrebbeoperazioni invasive per ilpaziente ma rappresenterebbeuno strumento indossabile consemplicità sull’arto amputato.Il centro IIT RehabTechnologies (sempre in colla-borazione con INAIL) stareb-be inoltre collaudando altriprototipi di protesi robotiche.Pensando a disabilità degliarti inferiori o perdita dimobilità dovuta all’invecchia-mento, sarebbero in fase disviluppo pre-clinico anche unesoscheletro per la deambula-zione di persone paraplegicheed una piattaforma roboticaper la riabilitazione in campoortopedico. Il tutto, allo scopodi sviluppare tecnologie chepermettano all’uomo dimigliorare la propria qualitàdella vita ed eliminare le bar-riere derivanti da inabilitàtemporanee o permanenti.Come nel caso di Ekso, eso-scheletro per la riabilitazionedegli arti inferiori realizzato,dopo dieci anni di lavoro, dalla‘California Ekso Bionics’ epresentato al centro di riabili-tazione ‘Prosperius Tiberino’

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ingegneria, ‘l’uomo da sei milioni di dollari’ potrebbe essere una realtà>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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di Umbertide, primo partnereuropeo della società america-na. Un dispositivo capace diallungarsi fino a raggiungereun’altezza di 190 centimetri edi sostenere un peso di 100chilogrammi. O, ancora, comenel caso di ‘ReTeLINK’, pro-getto che prevede un esosche-letro di arto superiore, ovveroun dispositivo robotico indos-sabile ‘sensorizzato’. Il suoalto livello tecnologico permet-terebbe all’operatore di ‘senti-re’ ciò che il robot manipolato-re, posto lontano da lui, statoccando. L’idea è stata pre-sentata dai ricercatori MarcoCempini, Mario Cortese eMatteo Moisè dell’Istituto diBioRobotica di Pisa ed è statatestata da decine di visitatorinell’ambito dell’ ‘HannoverMesse’, la più grande fieraindustriale del mondo, doveperaltro ha ricevuto un pre-mio da Kuka, azienda leaderin Europa e seconda al mondonel campo della robotica. È invia di sviluppo, inoltre, unaltro esoscheletro in grado dimodificare la struttura dellecaviglie, una sorta di stivalehi-tech capace di regalare unosprint in più a ogni passo,riducendo il consumo di ener-gia metabolica del 7% rispettoa chi cammina con normaliscarpe da ginnastica. Undispositivo che, stando airicercatori della NorthCarolina State University edella Carnegie MellonUniversity, sarebbe utilesoprattutto a pazienti vittimedi ictus o di altre patologielegate al movimento.L’esoscheletro utilizzerebbeuna molla e un sistema di fri-zione in grado di lavorare intandem con i muscoli del pol-

paccio e tendine d’Achille. Ildispositivo in fibra di carbo-nio, aerodinamico, peserebbecirca 500 grammi e non sareb-be motorizzato, quindi nonrichiederebbe energia da batte-rie o altre fonti esterne.La nuova mano bionica cherestituisce il tatto e non neces-sita di intervento chirurgicoper l’impianto, in grado di tra-sformare il pensiero in movi-mento e di restituire sensazionitattili, ha più o meno le stessefinalità dello ‘stivale’.Progettata dall’istituto diBioRobotica della ScuolaSuperiore Sant’Anna, potràessere messa in commercio acifre molto basse, per unire ladiffusione della tecnologia a unforte impegno sociale. Grandeattenzione è stata prestata,inoltre, all’estetica della prote-si, disegnata grazie alla colla-borazione che si è instauratatra ricercatori e designerdurante il progetto. Una prote-si da esibire e non da nasconde-re, come sostiene Christian

Cipriani, docente all’Istituto diBioRobotica e coordinatore delprogetto ‘My-HAND’, finanzia-to con oltre 400 mila euro dalMinistero dell’Istruzione,Università e Ricerca. Anche lapelle hi-tech creata da un grup-po di ricercatori sudcoreani estatunitensi sarebbe in gradodi mimare le capacità sensoria-li ad alta risoluzione dellapelle vera. Con l’obiettivo diconferire il senso del tatto ealtre percezioni alle personedotate di arti artificiali. Lecosiddette ‘protesi’. Che, comeabbiamo visto, stanno dive-nendo sempre più dinamiche:rispondono a comandi imparti-ti dal paziente stesso non attra-verso impulsi vocali o l’uso dibarre di comando, ma con imovimenti naturali dei muscoliresidui. Protesi robotiche cheriproducono l’attività sponta-nea dell’arto amputato, ripor-tando la persona a una vitaquasi ‘normale’. Dispositivi hi-tech da sfilare e indossare apiacimento, come fossero guan-ti o stivali. Perché oggi l’uomobionico non è più un sogno. Ègià quasi una realtà.

SERENA DI GIOVANNI

primopiano Protesi robotiche che riproducono l’attività spontanea>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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In alto l’esoscheletro Esko per lariabilitazione degli arti inferiori.In basso la nuova mano bionicache restituisce il tatto e non neces-sita di intervento chirurgico perl’impianto

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L’allungamento della vitacorrisponde a uno sposta-

mento del concetto di giovinez-za, fare sport a livelli agonisticinon è più la sola prerogativadella fascia adolescenziale,soprattutto tra i vincenti icosiddetti “veterani” continua-no a raccogliere grandi succes-si. Tra i “famosi” dello sportmondiale spiccano i nomi diValentina Vezzali (41 anni),Roger Federere (34 anni) eFrancesco Totti (38 anni), iquali trascurano eventualiproblemi fisici per concentrar-si sui concetti di motivazione ededizione per essere ancoracompetitivi nonostante la loroetà. Questi atleti sono arrivatia un alto livello all’interno delproprio sport e hanno investitosoldi ed energie per costruirsiun’identità diversa rispettoalla normalità dei lavoratori efanno fatica ad abbandonaretutto. Molti sportivi conserva-no il loro talento e ritardano ladepressione di fine carriera,continuando a condurre unostile di vita con orari, diete eritmi ben precisi e constanti,ma soprattutto fissano in con-tinuazione obiettivi come nelcaso del più longevo pilotaValentino Rossi con 35 anni dietà e 8 volte sul podio dellaMotoGp e che afferma ‘vogliodiventare il pilota più vecchioa vincere una gara di MotoGp,

per questo continuo a guidarecon la solita passione’(Wired.it).Tradizionalmente la medicinaufficiale indica la giovinezzacome l’età di maggior splendoredell’individuo, che possiedel’energie fisiche e psichiche perraggiungere il massimo poten-ziamento fisiologico. Non è piùcosì importante l’età cronologi-ca o gli anni di carriera allespalle, un vincente può contra-stare i pregiudizi tecnici attra-verso una dimensione psicolo-gica tesa alla realizzazione del-l’obiettivo quotidianamente.Tra i casi emblematici delmondo sportivo è significativala storia di Bernard Hopkins, ilpiù anziano campione delmondo della storia del pugilato(campione mondiale dei pesimedi per ben dieci anni), che

arrivato all’età di 50 anni nonha nessuna voglia di appenderei guantoni al chiodo, comedimostra il cambio di sopranno-me da ‘The Executioner’, ilboia, ad ‘Alien’ e l’intenzione diintraprendere una dieta perrientrare nei pesi medi.La comune classificazione tem-porale degli stadi del ciclo vita-le umano può dunque esserestravolta dal punto di vista bio-logico, può capitare che un over80 si avvicini a un’età biologicainferiore, ottenendo successiinimmaginabili. La vecchiaianon è una parabola decadentedell’uomo ma un’occasione dicrescita, finalmente quel baga-glio di conoscenze che permetteall’individuo di gestire il pro-prio corpo, ritrovando la forzadella giovinezza passata. L’etànon è sempre un nemico deglisportivi e tanti sono i casi cheaffascinano e stupiscono l’opi-nione pubblica, uno fra tutti laperformance della ginnastatedesca di 86 anni, JohannaQuaas, al campionato mondia-le di ginnastica ritmica Turnierder Meister che ha luogo ognianno Cottbus, nel Brande-

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a dell’arto amputato, riportando la persona a una vita quasi ‘normale’>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Non chiamateli nonni: fare sport all’età di ottantanni si puògrazie a uno stile di vida corretto e un mix di motivazione, alle-namento e fortuna genetica

Campioni controil tempo

Sport /L’attività cerebrale funziona come un muscolo

Johanna Quass, 86 anni, vincitrice del campionato mondiale di ginnasti-ca ritmica ‘Turnier der Meister’

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burgo. Johanna è la ginnastapiù anziana del mondo, nel1954 vince il campionato nazio-nale della Germania dell’Estgareggiando con la squadrafemminile di Pallamano e anco-ra oggi volteggia e si muove conun corpo da ventenne. Un altrocampionissimo che non teme iltempo è il vigevanese ClaudioSacchiero, un ottantunenneche pratica ancora a livello ago-nistico sci per mari e per monti.Claudio era un dilettante dellosci fino alla pensione, quandocon più tempo libero ha iniziatoa gareggiare e a collezionare iprimi successi, ultimo dellaserie è il terzo posto alla Coppadel mondo dello sci alpino di

categoria. La frattura al peronenon ha impedito a Claudio dipartecipare alle competizioniinvernali ed è determinato afarlo anche nelle prossime edi-zioni, in quanto è convinto chenel Dna risieda il segreto dellasua longevità e delle sue perfor-mance atletiche.Tali eccellenze sportive sono ilfrutto di anni di determinazio-ne e di confronto con i proprilimiti per superarsi, senza maiperdere l’obiettivo e la concen-trazione.Questi intelligenti ultraottan-tenni sono l’esempio di comenel corso della vita, l’attivitàcerebrale funzioni proprio comeun muscolo. È la mancanza di

allenamento o di movimento acausarne l’atrofia, le cellule nonsi rinnovano e dunque non arri-vano più gli stimoli nervosinecessari alla contrazionemuscolare. Un allenamentoduro e protratto nel tempo pro-duce un’ipertrofia dei neuronidelle aree cerebrali che rappre-sentano l’istinto e la motivazio-ne, situate all’interno del siste-ma limbico, responsabili dellacapacità di resistenza agli sfor-zi e della forza di volontà o voli-tività sportiva.Se non è possibile sottrarsi alpassare del tempo, si puòingannarlo e restare giovanifacendo sport.

SILVIA MATTINA

primopiano Restare giovani facendo sport>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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A sinistra, Claudio Sacchiero (81 anni). La sua carriera di sciatore è iniziata dopo la pensione. A destra, JohannaQuass con i trofei conquistati nella sua lunga carriera di ginnasta

La scomparsa della mezza etàMa se a 40/50 anni si è ancora giovani, che fine ha fatto la definizione di ‘uomo/donna di mezza età? E più precisamente: quando si entra nel-

l’età matura? Se l’allungarsi della vita media, il benessere, il culto per la forma fisica e i moderni trattamenti di bellezza hanno assottigliato

le differenze, verrebbe spontaneo rispondere ‘mai’. Sicuramente giovinezza e maturità sono concetti avvertiti soggettivamente, questioni testa

quindi. Ma è interessante notare come l’espressione ‘mezza età’ stia via via scomparendo, fatto che determina inevitabilmente un netto seg-

mento tra l’essere giovani e l’essere vecchi. A tal proposito, vi riportiamo i dati di un sondaggio della ‘Benenden Health’ (azienda British che

offre servizi di assistenza sanitaria) condotto su 2000 cittadini e cittadine britannich. Ebbene: mentre il 53% ha dichiarato di essere convinto

che la mezza età non esista più, l’80% ha addirittura ammesso di avere difficoltà a definire il termine. E ben il 43% dei cinquantenni intervi-

stati ha affermato di non essere ancora entrato in quella fase. Quindi quando arriva, se arriva, quella fase? Pare semplicemente che non arri-

vi. La ricerca, seppur condotta nel regno Unito, ben si presta a definire una situazione generale, soprattutto per i Paesi occidentali, dove il culto

dell’eterna giovinezza e la paura di invecchiare sono diventati ormai valori fondamentali dell’esistenza. Si è maturi, quindi di mezza età, solo

quando e se ‘mentalmente’ ci si sente tali. Non è l’età anagrafica a determinare quanto siamo vecchi, ma una condizione mentale. E se avete

timore della ‘maturità’, provate a sbirciarne i contro segnali che vi proponiamo: avete 40/50 anni ma conoscete le canzoni estive, non lamen-

tate mal di schiena, non avete bisogno del riposino pomeridiano, non disdegnate la tecnologia e i locali notturni? Se la vostra risposta è affer-

mativa, allora potete stare tranquilli: non siete ancora ‘maturi’!

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La crisi di Tripoli sembranon trovare soluzione.

Dalla caduta di Gheddafi, nel-l'ottobre del 2011, quella chedoveva essere una nuova era

esteri Dalla caduta di Gheddafi, nell'ottobre del 2011, quella che doveva essere una nu

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La nuova Libiache non c’è

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Con le speranze della 'primavera libica' che si sono spente tra la vio-lenza delle milizie e l'indifferenza dell'Occidente, la situazione nonè mai stata così delicata

per il popolo libico si è trasfor-mato in un inferno nel qualel'Is acquisisce maggioreinfluenza e la situazione diven-ta sempre più frammentaria.

In Libia è in corso una guerracivile da ormai quattro anni.Un Paese in guerra con dueparlamenti distinti:- il primo ha sede a Tobruk ed

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rivali che controllano la mag-gior parte del territorio libico:- Est della Libia: quest'area èprevalentemente controllatadalle truppe del governo diTobruk, una città costiera nelnordest del Paese, non lontanadal confine con l'Egitto.Tuttavia la città più importan-te della regione, Bengasi, non èpienamente sotto il controllodell'esercito di Tobruk. Alcunearee di Bengasi infatti sononelle mani di varie milizie, tracui Ansar al Sharia, che vor-rebbe instaurare la legge isla-mica in tutta la Libia ed è con-siderata molto vicina ad al-Qaeda e allo Stato islamico.Anche la città di Derna, nelnordest del Paese, a metà traBengasi e Tobruk, è sotto ilcontrollo di diverse fazioni dijihadisti, alcune delle qualialleati con l'Is (è per questo chei recenti bombardamenti aereicondotti dalle forze militariegiziane, in collaborazione conil governo di Tobruk, hannointeressato principalmentequest'area).- Ovest della Libia: ci sono iribelli di Alba libica (LibyanDawn), composti da un mix diislamisti e milizie provenienti da

Misurata. Secondo alcuni, essirappresentano il gruppo piùpotente, essendo in pieno control-lo della città di Misurata e diuna parte di Tripoli, la capitaledella Libia.- Khalifa Haftar: in tutto que-sto gioca un ruolo fondamentaleanche la figura del generaleKhalifa Haftar, a capo dell'eser-cito di Tobruk, e già comandan-te sotto Gheddafi.- Milizie e ribelli: moltissimirivoluzionari risultano divisi inuna miriade di milizie, armatee ben organizzate, che ricalca-no la suddivisione tribale dellaLibia. Queste milizie sonounite contro il generale KhalifaHaftar, il quale a sua voltaviene accusato da Guma al-Gamaty, leader del Partito delcambiamento e di estrazionelaica, di non voler lottare con-tro il terrorismo, ma di essereinteressato solamente al potereper il potere.Nel frattempo migliaia didisperati tentano di lasciare ilPaese. E sono solo una minimaparte delle vittime civili di cui,paradossalmente, nessunosembra tenere conto.

MARTA DE LUCA

uova era per il popolo libico si è trasformato in un inferno

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è ufficialmente riconosciutodalla comunità internazionale,ma non dalla Corte supremalibica. Il parlamento è statoeletto il 25 giugno del 2014 eha come primo ministroAbdullah al-Thani;- il Congresso nazionale, invece,si trova nella capitale dellaLibia, Tripoli, ed è in caricadall'8 agosto 2012. Ha deciso dinon sciogliersi una volta scadu-to il suo mandato, a metà 2014.Omar al-Hasi è il suo primoministro ed è sostenuto dadiverse formazioni islamiste.Due governi che si contrastano avicenda per il controllo dellaproduzione petrolifera.Una battaglia sulla legittimitànella quale si innesta la guerri-glia armata dello Stato islamico,che attacca le forze di entrambii governi nel tentativo di pren-dere il controllo della maggiorparte del territorio. Una situa-zione nella quale qualsiasi pos-sibilità di mediazione tentatadalle Nazioni unite è misera-mente fallita, malgrado le buoneintenzioni del delegato Onu,Bernardino Léon, che un paio disettimane fa – dopo le primediscussioni – annunciò che l’in-tesa sulla terza bozza di accordocon il parlamento di Tobruk erada considerarsi raggiuntaall’80%, nonostante il voto con-trario dell’Assemblea nazionaledi Tripoli. Invece, nulla di fatto:la settimana scorsa, negli incon-tri algerini, la doccia fredda. Laquarta bozza che, rispetto alleaspettative, stravolgeva l’orien-tamento della stessa nuovaarchitettura istituzionale trac-ciata con la bozza precedente,vedeva la netta opposizione diTobruk. Intanto, il Paese spro-fonda nel caos.Ma qual è la situazione reale inLibia, oggi?Al momento ci sono due fazioni

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Incontriamo Bobo Craxi, responsabile esteri delPartito socialista italiano, al fine di riflettere

insieme a lui sulla grave emergenza immigrazio-ne, che sembra ormai assumere proporzioni colos-sali e che viene posta sempre più al centro deldibattito politico interno. Indubbiamente, la que-stione sembra prestare il fianco a critiche che tro-vano la loro ragion d’essere anche in molte incer-tezze, italiane e dell’Unione europea. Riuscire atrovare una nuova formula di equilibrio tra ildovere di accoglienza per chi ne ha diritto e unaben governata gestione dei flussi migratori inentrata, sembra essere il difficilissimo rebus chenessun esecutivo occidentale riesce ad affrontaree a risolvere in maniera soddisfacente.

Onorevole Craxi, con il salvataggio di altritremila profughi, avvenuto in questi giorninelle acque del Mediterraneo, la situazio-ne si sta ormai delineando come unamigrazione di proporzioni colossali: com’è

possibile che nessuno riesca a trovare unaccordo stabile con Tobruk e con Tripoliper riuscire a fermare un’ondata migrato-ria di tali dimensioni?“Nelle cancellerie internazionali vi è la convinzio-ne che la mediazione dell’Onu, affidata aBernardino Leon, potrebbe dare i suoi frutti, par-ziali, con l’avvio del Ramadan a metà del mese.Naturalmente, questa, che potrebbe essere unasemplice pre-condizione per la stabilizzazione del-l’area, appare più che altro un ‘wishful-thinking’.Tanto è vero che l’inazione e la divisione hannoaperto la strada a nuove conquiste da parte deigruppi che si ispirano, o che sono direttamente oindirettamente legati all’Is. Quindi, bisognaattendere l’esito di questi dialoghi, favoriti daiPaesi del Maghreb e piuttosto boicottatidall’Egitto, impegnato nel successo di Tobruk suTripoli, cioè dell’area ‘sunnita’ tradizionale rispet-to a quella egemonizzata dai ‘Fratelli musulmani.Il resto è naturalmente condizionato dagli inte-

politica La mediazione dell’Onu, affidata a Bernardino Léon, potrebbe dare frutti >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Bobo Craxi:“In Libia, la fase post Gheddafi

è stata gestita malissimo”

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ressi che i Paesi occidentali vantano sull’area. E ilrisultato è questo delicato stallo”.

Ma perché l’emergenza umanitaria nondiviene la priorità rispetto alla guerra civilee agli scontri in corso in Libia?“Innanzitutto, come noi sappiamo e vediamo,l’emergenza è considerata tale soltanto dai Paesipiù esposti sul Mediterraneo: diciamo pure chesiamo noi quelli che subiamo giornaliere invasio-ni. Sbarchi che determinano, oramai, una condi-zione di saturazione delle aree meridionali, non-ché una reazione spropositata dell’opinione pub-blica nazionale, che fonde migrazione per causeestreme con l’immigrazione clandestina o, addirit-tura, terroristica. C’è una causa remota di questainvasione, che risale alle carestie per fame, siccitàe conflitti interetnici abbattutisi nelle aree centra-li sub-sahariane. Queste c’erano anche ai tempi incui regnava Gheddafi. Dunque, è anche sbagliatorimpiangere i metodi sbrigativi con cui il Governolibico di allora scongiurava il fenomeno.Altrettanto discutibile è il non voler ammettere ilfallimento della strategia per un cambiamento diregime promossa in Libia. Oggi, gruppi armati eincontrollati regolano il flusso degli immigrati:essi risultano equipaggiati con i ‘Pick-up’ gentil-mente offerti dai turchi e dotati di armi automati-che, graziosamente fornite proprio dalle potenzeoccidentali. Non penso che si tratti di una situa-zione che possa durare a lungo: quando la corren-te migratoria e terroristica invaderà i Paesi limi-trofi, è presumibile ritenere che vi sarà un inter-

vento armato: non è un caso che gli algerini abbia-no ammassato truppe al confine e i tunisini stia-no occupando le città del sud con le loro forzearmate”.

Quali sono stati gli errori italiani nel gesti-re questo problema? Forse, quello di nonriuscire a sensibilizzare maggiormentel’Ue o la comunità internazionale?“L’errore non è stato quello di fare pressionesull’Unione europea, quanto piuttosto ritenereche da quel fronte si sarebbe mosso qualcosa dipiù concreto che non un generico pattugliamentodelle coste. Quanto all’accoglimento della massamigratoria, le cifre parlano in modo eloquente:Francia e Germania e persino qualche regione delnord’Europa (Benelux e Stati scandinavi) hannoaperto le proprie porte all’emigrazione non senzapagare un prezzo economico e sociale. Dunque,ritenere queste nazioni insensibili è pura propa-ganda. Il punto, semmai, è quello di una mancatastrategia preventiva: si sono assecondate sceltetragiche di politica estera, di cui non furono calco-late le conseguenze. Le forze politiche che siassunsero queste posizioni sono fra coloro che daquesta tragedia ne stanno traendo un profittopolitico. Io, per parte mia, ho sollecitato informal-mente il Governo italiano ad avviare colloquiparalleli con il Governo di Tripoli, sebbene lacomunità internazionale non lo riconosca. Sonostato sollecitato, qualche mese or sono, da quelleautorità che si sono dichiarate disponibili alla coo-perazione in materia di sicurezza e migrazione.Naturalmente, non ho avuto alcuna risposta inmerito. E chi mi aveva sollecitato un’azione eraforse convinto che vi fosse una continuità politicafra l’Italia di Craxi e Andreotti e quella odierna.Invece, abbiamo dovuto prendere atto che così nonè, anche se qualcuno, un giorno, mi dovrà spiega-re dove possa condurre questa politica estera, chenon è né carne, né pesce: non è allo stato ‘parme-nideo’ più puro”.

Come si potrebbe stabilizzare la situazionein Libia e Cirenaica, secondo lei? Magaridividendo la nostra ex colonia in due parti,come ai tempi dell’Impero ottomano?“In passato, furono possibili assemblaggi di tribùe di regioni assai differenti quando si crearono lecondizioni per un dominio assoluto dell’occidentecristiano, cioè dopo che venne piegato l’Impero

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solo parziali>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Bobo Craxi, responsabile Affari esteri del Partito socia-lista italiano

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ottomano. Quello stesso dominio che qualche scia-gurato ‘maitre à penser’ di stanza presso l’ammi-nistrazione Usa ha cercato di ripristinare con lerivoluzioni arabe. Ma la Storia più recente ci inse-gna che a una scomposizione degli ‘Stati-nazione’difficilmente segue una ricomposizione, sia essaper assimilazione etnica oppure di tipo religioso.Paradossalmente, i libici non intendono rinuncia-re alla loro nuova identità, quella sorta nella fase‘post Gheddafi’: non a caso è circolata una “ban-diera unitaria” che rappresenta i colori dellaSenussia, ovvero dell’antica dinastia che domina-va la Cirenaica. Sul piano amministrativo nonsarebbe neanche tanto sbagliato addivenire a unatripartizione delle regioni (c’è da aggiungereanche il Fezzan). Ma sul piano politico, è evidenteche le divisioni che attraversano il mondo araboriprodurranno il conflitto anche in queste nuoveentità, venutesi a creare nel vuoto lasciato daldominio delle autocrazie di stampo militare.

Purtroppo, la strada è segnata da un destino simi-le a quello dell’Irak, mentre invece il presente èmolto simile a uno scenario ‘somalo’ prodottosi apoche centinaia di chilometri dall’Europa.Avventure militari sono da scongiurare, poichéprovocherebbero ulteriore instabilità, minaccian-do ancor più concretamente la nostra sicurezza”.

Veniamo alle vicende di casa nostra: abbia-mo letto il suo giudizio in merito alle recen-ti elezioni regionali. Lei non crede che, aprescindere da chi ha vinto e chi ha perso, lavera notizia, questa volta, sia quella di undato astensionistico che sembra quasiminacciare nuove ‘gelide stagioni’ per lapolitica italiana?“Il Pd ha sostanzialmente perso questo ‘giro’ elet-torale amministrativo perché la sua idea di rifor-mismo è confusa. In politica, il riformismo è gra-dualità, mentre la fretta finisce per confondere gliobiettivi che si intendono raggiungere. Così èstato, per esempio, per la legge elettorale, oppuresulla scuola. Per non parlare, poi, dei temi inter-nazionali, in cui disorganizzazione e furbiziahanno consentito all’Europa di sbatterci la porta

in faccia, lascinadoci in un m are di guai. Il recu-pero della fiducia dei cittadini ormai è una sfidache dev’essere combattuta quotidianamente e,purtroppo, nulla aiuta a questo fine. È vero che difronte a una simile diserzione dal voto locale, chedi solito rappresenta il voto ‘partecipato’ per eccel-lenza, il livello di guardia risulta ormai superato.Pensare di poter recuperare questa fiducia insi-stendo sul ripetuto, confuso e, in definitiva, impro-duttivo cambio delle regole del ‘gioco’ ha finito, inquesti venti anni, per lacerare il tessuto democra-tico, aprendo la strada a forme assai discutibili diorganizzazione della vita democratica. L’articolo49 della Costituzione, che regola o, meglio, chelasciava largo arbitrio alla vita democratica inter-na dei Partiti, è ormai largamente disatteso: sisono dischiuse le porte a forme incontrollate eanche pericolose di populismo, invocato dal basso,ma gestito chiaramente dall’alto, in alcuni casipersino dall’esterno. La paura che il corpo eletto-

rale possa non recarsi più alle urne potrebbe esse-re utilizzata per ripristinare forme meglio ordina-te di organizzazione delle istituzioni. Ma ritengonecessario, al contempo, aprire una fase di rifles-sione ‘revisionista’ in merito all’obiettivo di priva-re la democrazia italiana di un contrappeso demo-cratico reale com’era quello rappresentato dalSenato della Repubblica, che non può limitarsi aessere un organo secondario di elezione indiretta.Così come sarà necessario dare battaglia all’inter-no della sinistra italiana affinché venga mantenu-to lo spirito originario di un’area plurale ma rap-presentativa: più forte e larga è la sinistra, più siindeboliscono i movimenti che tendono a sostituir-la con un disegno ‘ambiguo’, un misto di neopopu-lismo ed eversione antisistema, sia essa rivoltaall’interno che verso l’Europa”.

E come sono andate le cose per il suoPartito, il Psi?Il Psi in quanto tale ha presentato la proprialista con il proprio simbolo in una sola regione,la Campania, dove ha eletto un rappresentante.Tra l’atro e significativamente un neo-elettoproveniente dalla nostra generazione più giova-

Politica Avventure militari in Libia provocherebbero ulteriore instabilità, minacc>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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“La Storia più recente ci insegna che a una scomposizione degli ‘Stati-nazione’ diffi-

cilmente segue una ricomposizione, sia essa per assimilazione etnica oppure di tipo religioso”

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ne, nonché molto valido: Enzo Maraio. Nel restodel Paese, si è confermata una presenza politicain liste di ispirazione laico-socialista, ma nelleMarche e in Umbria registriamo una gravesconfitta storica, mentre in Toscana e in Puglianon avremo alcun rappresentante. Natural-mente, si può riflettere su come sia giusto ripar-tire. Ma è doveroso affermare in premessa che aquesto dato, molto negativo, non si è offerta unadiscussione autocritica, bensì trapela, dallasegreteria nazionale, una ‘triplice ipotesi’ di pro-spettiva politica, nessuna delle quali contemplal’obiettivo principale: quello di riportare i socia-listi in Parlamento sotto un simbolo socialista.Nencini ‘blinderà’ il suo ruolo al Governo e alPartito, ma politicamente è già stato sconfittodagli elettori, che in questo caso sono gli arbitrisupremi e persino da quei gruppi socialisti‘sparsi’ che non solo non ci votano, ma si fannoeleggere altrove. La questione è aperta e riguar-da l’azione del Governo, la presenza dei sociali-sti nella sinistra italiana, il ruolo stesso deisocialisti italiani nel porre al Paese la questionedemocratica che si è aperta.

In che modo pensa di affrontare la crisi delPsi? Ha intenzione di chiedere la guida delPartito?“Penso che debbano essere innanzitutto sociali-sti di nuova generazione a contribuire a risolve-re il problema del vuoto apertosi dalla mancan-za di un Psi degno erede della grande tradizioneriformista italiana. Io non ho mai fatto mancareil mio contributo di idee e di esperienza, macapisco come, a volte, la mia presenza sia stataritenuta ingombrante e mi sono ritagliato unruolo differente. Ora, di fronte a questo stato dicose, molto negativo, un intervento diretto nonlo posso escludere, anche se difficilmente laripresa socialista passerà attraverso una resadei conti nel ceto politico dirigente. Quel che ècerto è che siamo di fronte a un’emergenza chenon possiamo ignorare: quando intere Regionirimangono senza rappresentanza e consistentigruppi dirigenti abbandonano la lotta, bisognareagire. Occorre moltiplicare gli sforzi, i luoghidi discussione e di riunione, individuare paroled’ordine efficaci e intercettare nella stanchezzae nel rifiuto della politica tradizionale coloro cheancora hanno fiducia nei programmi dettati dal-l’insieme di quei valori che la nostra tradizione

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iando ancor più concretamente la nostra sicurezza>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Gli effetti positivi dell’immigrazioneMolti italiani sono convinti che gli stranieri siano un costo

per le casse statali, ma i dati dicono altro

Da oltre un decennio il dibattito sull'immigrazione si concentra su tre argomenti: l’Unioneeuropea ci lascia soli nella gestione degli immigrati; gli immigrati costano troppo per lenostre finanze pubbliche; gli immigrati sono un peso inutile per il paese. Tralasciando ladolorosa constatazione che le argomentazioni in tal senso sono di solito molto superficiali,inesatte e promuovono una propaganda politica fondamentalmente discriminatoria, voglia-mo porre l'attenzione sui dati ufficiali che, invece, dimostrano tutt'altro. Innanzitutto non èvero che siamo abbandonati dalla Ue. Il programma europeo per la “Solidarietà eGestione dei flussi migratori”, infatti, riconosce all’Italia (così come ad altri paesi Ue “di fron-tiera”) risorse finanziarie ad hoc per sostenere gli oneri più gravosi di questa attivitài, realiz-zando così un meccanismo di solidarietà finanziaria tra paesi membri. Il programma opera concretamente attraverso quattro fondi: - il Fondo per le frontiere esterne (prevede risorse per la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza,la Marina Militare, le Capitanerie di Porto e il Ministero degli Affari Esteri per finanziare un'at-tività di controllo e di sorveglianza delle frontiere esterne);- il Fondo per i rimpatri ( destinato a migliorare e agevolare la gestione dei rimpatri, soste-nendo finanziariamente gli sforzi compiuti dall’Italia - come dagli altri Stati membri benefi-ciari - per questa attività);- il Fondo europeo per i rifugiati (destinato a finanziare progetti di capacity building per crea-re situazioni di accoglienza durevoli negli Stati membri. Il Fondo non finanzia direttamentel’attività istituzionale per l’accoglienza, ma azioni che mirano a rafforzarla);- il Fondo per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi (co-finanzia azioni concrete a sostegnodel processo di integrazione degli immigrati, favorendo al tempo stesso la creazione dibuone pratiche volte a sostenere la cooperazione interna ed esterna allo Stato). Tra il 2005 e2013 l’Italia ha partecipato a tredici progetti finalizzate alla lotta dell’immigrazione irregola-re finanziati da questo fondo. Le risorse stanziate per finanziare queste attività ammontanoa 38,2 milioni di euro, di cui 33,3 milioni di provenienza comunitaria.Gli immigrati sono solo un costo? Non è vero: nel periodo 2005-2012 il costo totaledelle politiche di contrasto all’immigrazione clandestina più il costo di funzionamento ditutto il sistema accoglienza degli immigrati è stato di circa 1 miliardo e 500 milioni (di cuicirca 230 milioni finanziati dalla Ue). Una cifra, secondo molti, eccessiva. Invece l'impattosulle finanze pubbliche è positivo perché gli immigrati hanno, in media, una struttura di etàpiù favorevole e le tasse che pagano sono maggiori dei servizi che ricevono. In particolare gliimmigrati finanziano il sistema pensionistico più che usufruirne. Inoltre, l’immigrazioneassume un’importanza economica particolare in un paese come l’Italia che ha forti problemidi invecchiamento della popolazione. Infatti quasi tutta la crescita della forza lavoro verifica-tesi nel nostro paese tra il 2000 e il 2010 è dovuta all’arrivo di nuovi immigrati. Le imprese fondate e gestite da immigrati sono 497 mila, l’8,2% del totale, e assicurano unvalore aggiunto di 85 miliardi di euro. Non solo, i redditi dichiarati dai 3,5 milioni di contri-buenti nati all’estero, nel 2012 ammontavano a 44,7 miliardi di euro, arrivando a incidere peril 5,6% sull’intera ricchezza prodotta dal Paese. L’Irpef netta versata ammonta a 4,9 miliardidi euro (2.099 euro pro capite).Un contributo notevole arriva anche dai consumi degli stranieri i quali, spiega un’analisi diBankitalia, hanno una propensione al consumo pari al 105,8%, ovvero i consumi familiarisuperano nettamente il reddito. Partendo dall’ipotesi che il reddito venga speso per il 90%in consumi soggetti a Iva, è possibile stimare un gettito di circa 1,4 miliardi di euro, ai qualisi aggiungono altri 7,6 miliardi di euro derivanti da imposte su carburanti, lotti e lotterie, epagamenti per il rinnovo dei permessi di soggiorno.

ilPUNTO

socialista, democratica e riformista esprime.Dobbiamo inoltre saper affrontare la sfida postada un sistema elettorale che ci consentirà l’auto-nomia. Dunque, dovremo essere conseguenti atale autonomia politica: autonomia di movimen-to nella sinistra italiana e autonomia di giudizionei confronti del Governo Renzi.Quell’autonomia che il Psi, in questi ultimi dueanni, non ha saputo dimostrare”.

SILVIA MATTINA

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Massimo Fecchi, già fumettista da alcuni decen-ni, incontra il mondo Disney nel 1997, quando

disegna su testi di Darko Macan, per la casa editri-ce danese Egmont, la storia “Flower Power” che hacome protagonista Paperino. La Walt DisneyCompany Italia, per un suo compleanno, pubblicòsu Topolino n° 2911, una storia di McGreal-Fecchiintitolata “Paperino e le scuse più difficili” (a lato neriproduciamo tre vignette esplicative).La sua preparazione professionale iniziò con ilmeticoloso studio all’Istituto d’Arte di Roma dove sidiplomò. Iniziò subito la collaborazione con il quoti-diano romano “l’Unità” nelle pagine del Pionieredove le sue strisce erano i personaggi di “Picchio &Pacchio”; fu nel 1965 che si specializzò nel disegnoanimato e mensilmente dava alle stampe “Miao”che le generazioni dell’epoca ancora ricordano.Insieme a Cambiotti e Belardinelli, altri disegnato-

ri dell’epoca, contribuì al successo di Kriminal eJacula ma la sua innata simpatia e la sua velocitànel segno venne fatta conoscere al grande pubbliconel programma televisivo della Rai, “Telezecchino”;era il 1968. La sua bravura gli permise di crearenuovi personaggi pregni di simpatia che in qualchemodo rispecchiavano la sua indole.L’aiuto ai colleghi è inevitabile quando con il perso-naggio da lui disegnato, “Serafino”, nella collettivasi firma con lo pseudonimo Framas, facendo ottene-re successo di critica e di pubblico a “il Giornalino”.Ma i nostri eroi Tom & Jerry sono in agguato eMassimo Fecchi crea e sviluppa il loro carattere eprosegue con Bugs Bunny e Tweety e Silvester,comics per la Warner Bros. Deejay l’ha creato luiper la British Fleetway agency. Dal 1973 al 1995collabora con la tedesca Kauka Verlag dove disegna“Die 7 Schnuckel” per Pépito, così come “Fix und

lavoro “Per intraprendere questa professione è importante frequentare molto prest>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Nel segnodi Paperino

Massimo Fecchi è tra i più grandi disegnatori a livello mondiale e vanta qual-cosa come un centinaio di storie Disney realizzate in poco meno di 15 anni: inqueste pagine ci racconta la sua esperienza di fumettista

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to uno studio o qualcuno che faccia questo tipo di lavoro”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Foxi” e “Lupo” per la Fix und Foxi weekly. MassimoFecchi ha collaborato in Germania per il giornalemagazine Knax, per il quale ha disegnato “DieMiesel”. Dal 1984, disegna, aggiorna e adatta icomic ed i cartoon tedeschi per le EdizioniPumuckl, dirette dalla figlia di Kauka, Masha.Quando vennero alla luce “Fix und Foxi” nel 1995Massimo ideò la parodia di “Odysseus”. MassimoFecchi ha disegnato una infinità di storie cheriguardano Paperino, “Donald Duck” per la DanishDisney publisher Egmont fino al 1998. È un prezio-so “animatore” per l’Hahn Film di Berlin, eMassimo è anche un illustratore delle Edizioni SanPaolo e delle Edizioni Paoline. Massimo Fecchi è daconsiderarsi uno dei più grandi artisti di fumettiche l’Italia ha. Il suo lavoro spazia dai fumetti dellaWalt Disney ai comics della Kauka, che sono le piùimportanti case editrici in Europa. Fra le sue atti-vità c’è anche la formazione dei fumettisti deldomani. Ma come si lavora in questo settore? Ce loha spiegato in un incontro nel suo studio romano.

Massimo Fecchi, la famiglia di Paperino da leidisegnata è rappresentata da personaggi chealmeno nel carattere sono riscontrabili nellaquotidianità? Cosa la lega a Donald Duck? “Donald Duck, è il personaggio che rappresental’uomo comune e quindi ha quelle caratteristiche incui ci riconosciamo un po’ tutti. È uno sfortunato eun perdente, come può non rimaneresimpatico?Siamo sempre rassicurati e divertitiquando i guai capitano a Paperino. Cosa mi lega alui? Forse i nipotini; ma lui ne ha tre, io quattro”.

Disegnatori italiani, francesi, tedeschi, giap-ponesi; il suo punto di vista per ciò che riguar-da la bravura e le opportunità di lavoro?“È importante frequentare molto presto uno studioo qualcuno che faccia questo tipo di lavoro; pensoalle antiche botteghe dell’artista. Riguardo la bra-vura è indispensabile quell’inclinazione naturaledetta talento che poi bisogna affinare passando oree ore sul tavolo da disegno. Le opportunità di lavo-ro sono una conseguenza della formazione e dellabravura, non tralasciando il caso”.

Vignetta, comics, cartoons, strisce e altroancora; ci da delle delucidazioni in merito?“Sono una grande famiglia ma tutti figli di unapenna e una bottiglietta di china. Per essere sinte-tico posso fare un esempio: Io disegno comics,fumetti in italiano. Charles Schulz (Linus) disegna-va strisce, Forattini disegna vignette. I cartoons,

cartoni animati, è cinema, di conseguenza sono unlavoro di equipe”.

La sua tecnica nel disegnare, la sua organiz-zazione lavorativa; il disegno a matita o ainchiostro, l’acquerello o la tempera o l’in-chiostrazione, i personaggi e gli sfondi: cidescrive la sua progettazione creativa?“Leggo la sceneggiatura per poi tradurre sul fogliobianco le parole in segni che visualizzino lo svolgi-mento di un azione. Uso la matita per l’abbozzo ecompleto il disegno con il pennello e la china.Disegno i personaggi e dopo lo sfondo.Generalmente non mi occupo né della colorazionené delle scritte dei fumetti”.

Ha dei collaboratori fidati o fa tutto da solo?“Spesso mi avvalgo di collaboratori che si occupanodel ripasso a china, anche se preferisco fare tutto dasolo”.

Manfred Klinke, cosa si prova ad elaboraredisegni su sceneggiature di un grande autorecome lo è stato lui?“Una grande difficoltà a capire il tedesco! Scherzi aparte, Manfred oltre che un ottimo soggettista, sce-neggiatore e capo redattore era una bravissimapersona. Mi stimava molto e mi incoraggiò sempreagli inizi della mia professione”.

La sua idea sui concorsi per disegnatori?“Ritengo che per un giovane sia sempre importantepartecipavi per farsi conoscere e avere opportunitàdi lavoro”.

GIUSEPPE LORIN

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Trent’anni fa ValentinoGiacomin viveva in Italia.

Era un insegnante della scuolaelementare, “Un osservatorioideale per avere il polso dei cam-biamenti sociali attraverso ilcomportamento dei bambini”. A

differenza di molti suoi colleghi,si rese conto che l’aumento diiperattività tra i ragazzi nonpoteva essere risolto con i ‘classi-ci’ aggiornamenti didattici.Perché si trattava di un malesse-re esistenziale di fronte a cui la

scuola non era in grado di offrirerisposte. E il ‘vecchio’ metodo diinsegnamento puntava solo edesclusivamente a impartirenozioni. Quando invece bisogna-va ‘curare’ la mente, ovvero pren-dersi cura del luogo stesso da cui

istruzione Un progetto pedagogico innovativo, nato trent’anni fa, che i>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Un giorno il Dalai Lama gli consigliò: “Educazione”. Da quell’istante perValentino Giacomin la vita mutò radicalmente: si trasferì in India, continuan-do ad applicare il suo rivoluzionario metodo di insegnamento con cui punta‘all’interdipendenza e l’unità di tutti i fenomeni’

Alice projectAlice projectdall’Italia all’India

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provenivano quei disagi deiragazzi. Questa, dunque, in ori-gine, l’intuizione pedagogica diGiacomin che andava però verifi-cata sul campo. Da qui le primesperimentazioni nelle scuole ita-liane, insieme alla sua collabora-trice più stretta, Luigina DeBiasi. Nel 1982 nasceva cosìAlice Project UniversalEducation. “Scoprimmo l’inte-resse dei bambini per il loromondo interiore, per i loro pen-sieri, le loro emozioni. Erano feli-ci di parlare di sé, di quello cheavevano scoperto nel fantastico‘villaggio della loro mente’. Nonsi sentivano giudicati, maapprezzati e accettati”. Visti iprimi successi, arriva il passoseguente: “compiere in classe duepercorsi esplorativi: uno per ilvillaggio esterno (con la sua sto-ria, geografia, ecc.) e uno per ilvillaggio interiore (con i suoi abi-tanti, i suoi ostacoli, pericoli, lesue bellezze, le sue emozioni…). Ilnostro obiettivo era di integrareil curriculum scolastico con laconoscenza del mondo interiore,facendo scoprire agli alunnil’enorme potere in loro possesso:potevano cambiare il loro villag-gio interiore a loro piacimento.Bastava la magia della consape-volezza!”. Trent’anni fa, dunque,Valentino Giacomin iniziava aportare avanti il progetto Alice aFontane di Villorba, in provinciadi Treviso; la sua collega,Luigina De Biasi, a SantoStefano di Valdobbiadene. Infine,un giorno, l’incontro con il DalaiLama e quelle sue parole su cosafare che lo hanno spinto a parti-re per l’India. “Seguii il consiglio.Ed eccomi qui in India, da ven-t’anni, alle prese con tre scuole intre Stati diversi, frequentate dapiù di mille studenti; tre ostellicon circa un centinaio di ragazzi

e ragazze che vivono in condizio-ni familiari disagiate; una cin-quantina di insegnanti; unmutuo in Banca da pagare…”. Epensare che all’inizio, nel 1994,aveva 75 studenti e 4 insegnanti.Il resto ve lo raccontiamo in que-sta intervista.

Valentino Giacomin, in cosaconsiste effettivamente il suometodo di insegnamento?“Siamo convinti che l’essere siauna unità bio-psico-spirituale.Nelle nostre scuole cerchiamo dicoltivare i tre tipi di conoscenza:una a livello del corpo; una sulpiano della psiche (mente razio-nale: la conoscenza che tuttiabbiamo ricevuto nelle scuole);la terza è un tipo di conoscenzaintuitiva e ‘contemplativa’ (sag-gezza) che include le prime due ele trascende, permettendo aglistudenti di intraprendere lastrada verso quella che possiamodefinire ‘vera conoscenza’. Tutticonosciamo le prime due formedi conoscenza, mentre la terza, lapiù importante, è lasciata erro-neamente alle religioni”.

Ma come fate, praticamente,a integrare le tre forme diconoscienza?“Con la storiella dell’albero. Seio, indicando un arbusto, doman-do ai bambini Cos’è quello chevedete?, cercando di stimolarnela coscienza sensoriale, avròcome risposta: Un albero!. E cos’èun albero? Potete definirlo?. Aquesto punto di solito le rispostevariano in base alle informazioniche gli studenti hanno ricevuto.È un vegetale composto di radici,fusto e foglie, per esempio. Sitratta di utilizzare la coscienzaanalitica, deduttiva, logica, cheviene debitamente stimolata ecoltivata nelle nostre scuole, nor-

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integra la conoscenza razionale con quella intuitiva e contemplativa>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Valentino GiacominTrevigiano, di Zero Branco, classe ’44, diumili origini. Famiglia di agricoltori con 5fratelli, “Dignitosamente poveri”. Vivenella provincia dove entra in contatto conla vita contadina, semplice ma anchespesso troppo povera e disagiata. Un’esperienza che gli segna la vita e lo spin-ge a trovare un ‘metodo’ per migliorare lecondizioni umane, attraverso l’educazio-ne. “Ricordo quando ero piccolo, le miesorelle tornarono un giorno da scuoladicendo che avevano visto i loro compa-gni ricchi mangiare i tutoli delle pannoc-chie. Li avevano scambiati per le banane”.Dalla madre, religiosissima, apprende lavia verso il trascendente che non abban-donerà più. Studia Psicologia allaCattolica di Milano, poi diviene insegnan-te per dieci anni, ma interrompe la car-riera per andare a dirigere il settimanaledi De Michelis, Nord Est. Nel frattempo,infatti, diventa giornalista, praticando ilmestiere per 25 anni. Nel 1982 crea ilProgetto Alice, lo sperimenta in Italia perquasi un decennio e nel 1994 si trasferi-sce in India dove lo applica con successo emaggior rigore scientifico per impedireche le nuove generazioni diventino“poveri nell’anima”.

malmente. Ma nessuno dubitache radici, fusto e foglie sianoveramente nell’albero. Di solito,l’insegnante si ferma a questopunto, soddisfatto”.

Lei invece va oltre?“Noi di Alice, invece, cerchiamodi portare gli studenti a compie-re un ulteriore passo, attraversoquello che abbiamo chiamato‘dubbio creativo’.

Dubbio creativo?“Sì, chiediamo loro: Davvero cre-dete che l’albero sia diviso in tre

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parti? Un bambino di pochi anniriesce a rispondere allo stessomodo? No, perché non sa!Nessuno gli ha insegnato i nomi.Allora, radici, fusto, foglie… sononomi?”.

Ce lo dica lei.“Gli studenti non hanno difficol-tà ad ammetterlo. Li mettiamodi fronte al dubbio: Da dove ven-gono i nomi? Potete trovarli den-tro le cose, dentro l’albero?’. Larisposta è no, siamo noi che lipensiamo! Dunque, radici, fustofoglie e tutti gli altri nomi checosa sono, alla fine? L’obiettivodella conversazione è di destrut-turare – senza creare traumi, gio-cando - l’edificio delle conoscenzeconvenzionali acquisite, per rico-struire un castello migliore, piùvero, reale, scoprendo che, difatto, nomi, qualità, classificazio-ni, non sono altro che prodotti delnostro pensiero proiettati sullecose, sui fenomeni, semplici con-cettualizzazioni. In poche parole,illusioni”.

L’albero c’è, ma in realtà nonc’è. La realtà che vediamonon è corretta. Ebbene, unavolta appreso ciò?

“Il passo successivo viene stimo-lato con domande del tipo: Alloracome esiste veramente quell’albe-ro? Esiste davvero un albero làfuori?, Come esistono veramente ifenomeni?, La conoscenza che hodegli altri è, per caso, simile aquella dell’albero con fusto, radi-ci e foglie creduti esistenti dentrol’albero stesso?E la conoscenza dinoi stessi? Quando classifico uncompagno come stupido o intelli-gente dove si trovano quelle qua-lità: nel compagno o nella miamente che le ha pensate, proiet-tandole poi all’esterno?”.

Un percorso per gradi,insomma“Un percorso di saggezza chenon nega l’esistenza di nomi,divisioni, qualità, ma stimola acomprendere che non possonoessere trovati al fuori del lorocreatore: la mente, il pensiero.Una volta compreso il ruolo fon-damentale del pensiero, alloral’indagine, la ricerca vengonoindirizzate non più sulla realtàesterna, ma sulla propria mente.Di qui, l’introspezione, la medita-zione come strumento di cono-scenza di ciò che avviene dentroognuno di noi. Le domande ora

saranno di tipo diverso: Che cosaè un pensiero? Chi pensa? Cos’èl’io che domina la nostra psichegiorno e notte? Esiste un pensato-re e la cosa pensata? Da dovenasce un pensiero? Dove finiscequando se ne va? È reale, vero?Che differenza esiste tra un pen-siero e l’altro? Domande essen-ziali per diventare saggi.L’obiettivo finale è arrivare alsilenzio della mente, oltre i pen-sieri, oltre la mente stessa, perrealizzare - chissà quando - laterza forma di conoscenza: quel-la olistica”.

Dunque, ricapitolando, leiparte da un presupposto: ilmodo in cui conosciamo larealtà è sbagliato. Perché lapercepiamo male e di conse-guenza anche le idee checontinuiamo a crearci (conlo studio compreso) sarannodifettose. Ecco, in che senso eperché noi percepiamo malele cose?“Intanto, complimenti per laqualità della domanda. Va diret-tamente al cuore del Progetto.Ho scritto una dispensa per imiei studenti su questo argo-mento. Diventa consapevole

istruzione Un percorso didattico che stimola l’introspezione e la meditazi>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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della tua ignoranza. Ho elencato35 buone ragioni per diventareumili di fronte al misterodell’Universo, e accettare la con-clusione di Socrate: So di nonsapere. La chiave per capire lavisione di Alice sta in questadomanda: Ciò che percepisco è larealtà che esiste da qualche partelà fuori? Oppure è il risultato dicomplesse funzioni del nostrocervello che costruisce un’imma-gine di quella realtà che, tutta-via, rimane sconosciuta comeentità oggettiva? È chiaro che noiabbiamo immagini nel nostro

cervello. Un’immagine non è larealtà materiale. Una foto di unoggetto non è l’oggetto reale. Èsolo una rappresentazione. Ibambini e gli adulti sanno chequando reagiscono a un fenome-no (che credono esterno), in real-tà reagiscono a una loro rappre-sentazione, cioè a una immagineche loro stessi hanno costruito?”.

Di questo passo siamo con-dannati a non conoscererealmente nulla, ad avere ilcervello pieno zeppo diimmagini che non corrispon-

dono al vero. Come uscire daquesto circolo vizioso?“Quanto è fedele l’immaginecostruita dal cervello rispettoalla realtà oggettiva, infatti? Èassodato che del mondo che cicirconda, scoperto dalla scienzaattuale, noi conosciamo solo dueparti su dieci, mentre le restantiotto parti sono sconosciute. Inostri sensi ci nascondono il 90-95% della realtà. Se è vero que-sto, un insegnante non ha ildovere di informare, quantomeno, i propri studenti dellarelatività, illusorietà (non verità)di tutto quello che conosciamo,che abbiamo immagazzinatonella nostra memoria?”.

Lei dice questo ai suoi stu-denti? Con quale reazione daparte loro?“Agli studenti pongo questoesempio: Supponete di essere suun aereo. Improvvisamente, ilpilota annuncia “Cari passegge-ri, vi devo informare, per onestàprofessionale, che conosco solo il5 per cento circa di questo aereo ele sue funzioni”. Che cosa fareste?Non vi precipitereste fuori, incro-ciando le dita? Bene, l’aereo rap-presenta il mondo esterno e ilnostro mondo interiore. Come cipermettiamo di agire, di prende-re decisioni importanti, che coin-volgono noi stessi, gli altri e l’am-biente, sulla base di una cono-scenza così limitata? È un invitoa riflettere seriamente, prima diagire. Non pensa che se a scuolasi fosse insegnato questo, forse, il‘Global warming’ (il riscalda-mento del pianeta, ndr) non cisarebbe stato?”.

L’umanità, grazie a quel 5-10% è progredita immensa-mente. In fondo in una picco-la parte (se ciò è vero) risiede

tutta la nostra conoscenza,sia pure limitata. Ma tuttequelle informazioni, perquanto errate che siano,dove finiscono?“La percentuale di ignoranzariguardo i fenomeni (esterni equelli ‘interiori’) si riferisce allaconoscenza convenzionale, quel-la che si insegna a scuola. Nonoccorre Alice per dimostrare que-sto e non è questa la specificitàdi Alice. Anche noi, come tutte lescuole, semmai, cerchiamo di col-mare quel vuoto di conoscenza,secondo le esigenze, le circostan-ze, le richieste dei programmiministeriali (per passare gliesami, ad esempio). Quindi, seun bambino non conosce che ‘2 x2 = quattro’, ignora al cento percento la risposta. Ma se l’inse-gnante gli spiega il meccanismodella moltiplicazione, dopo un po’darà la risposta giusta al centoper cento. Allo stesso modo, lei,come giornalista, adesso puòconoscere il 10 % di Alice, madopo l’intervista, spero che lapercentuale raggiunga l’80, il 90%. Ripeto, questa è la conoscenzarelativa, convenzionale, degliinsegnanti, degli studenti, deiprofessionisti. Che può e deveessere aumentata giorno dopogiorno per migliorare la qualitàdella nostra vita, per le nostreesigenze pratiche (nel caso diquesta intervista, la comprensio-ne di Alice attraverso una corret-ta comunicazione). Ma propriousando questo tipo di conoscenzaconvenzionale (che si ricollega alrazionalismo cartesiano e almaterialismo che lo sostiene) e isuoi strumenti cognitivi (sensiorganici e pensiero logico), Alicepropone agli studenti un altrotipo di conoscenza ‘superiore’ cheindichiamo come saggezza, guar-dandoci bene dal rifiutare o

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one come strumento di conoscenza >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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escludere la conoscenza empiricadel ‘2 x 2 = 4’. Senza questo tipodi conoscenza ‘superiore’ – è lanostra convinzione - gli studentinon potranno mai trovare unequilibrio interiore capace diprodurre serenità, pace e felicitànelle loro vite”.

I ragazzi così istruiti findalla tenera età, come si pre-dispongono a questo tipo diapproccio? “Non è che formiamo ‘bande disaggi!’ No, non siamo arrivati adun estremo del genere. Non tuttidiventano ‘santi’, purtroppo.Alcuni sbandano, vittime diimpronte inconsce che non rie-scono a controllare, nonostantel’ancora gettata da Alice. Lacoscienza istintiva non cedefacilmente il passo a quellarazionale e quest’ultima è recal-citrante a ‘fondersi’ in quellatrans-personale. Ma questi sban-damenti sono da leggere in chia-ve positiva, nel senso che stannoa dimostrare che non c’è un‘brain-washing’ da parte dellascuola, dove tutti sono omologatisecondo un modello… yogico. Noiindichiamo un percorso auto-realizzativo. Gettiamo delleimpronte, dei semi, idee diverse.Non sappiamo quando e comequesti semi germoglieranno. Masiamo sicuri che non resteranno

inattivi nel profondo della psi-che. L’esperienza ci ha dimostra-to che gli studenti non dimenti-cano. E tanto ci basta. Mi vienein mente il paragone con chi hafatto un corso per la sopravvi-venza. Ha maggiori probabilitàdi cavarsela di chi è a digiuno ditecniche per l’emergenza”.

Quindi, tornando alladomanda, quali sono i fruttiche riuscite a raccoglierecon il vostro approccio meto-dologico?“Siccome non si tratta di unapproccio accademico, scolastico,nozionistico, ma di una propostadi esperienza, le risposte sonodavvero incoraggianti. Vediamogli studenti felici, sereni, dopoaver incontrato il loro respiro, adesempio, oppure i loro pensieri ele loro emozioni, senza essernetravolti. Io credo che la quasitotale assenza di problemi didisciplina e bullismo nelle nostrescuole sia la conseguenza di que-sto incontro con la propria inte-riorità, il proprio Sé (Jung), che èla fonte della felicità. Infatti,quando viene negata questaconoscenza ‘superiore’, come hogià detto, nascono conflitti che siesprimono nella rabbia, nell’ag-gressività contro se stessi oppureverso i compagni. La prova diuna proposta educativa che fa la

differenza non sono i libri scritti,le teorie, le metodologie all’avan-guardia, ma l’atmosfera che sirespira quando varchi i cancellidella scuola o la porta di unaclasse. A questo proposito, viinvito a visitare le nostre scuole,giusto per non apparire autore-ferenziale”.

Tutto questo è, come dire,molto bello e affascinante,ma parliamo pur sempre discuola, dove alla fine, nelbene o nel male, contano irisultati ottenuti. I vostristudenti quanto rendono?“La risposta è semplice. Se dav-vero la proposta educativa harispettato le tappe, gli effettipositivi sulla conoscenza richie-sta dalla scuola sono significati-vi. Infatti, non puoi pensare dinegare il modo di esistere di unalbero se prima non lo hai cono-sciuto secondo i testi della bota-nica. La terza forma di conoscen-za non annulla le prime due, male valorizza e potenzia, perché nesono il fondamento. Insomma,non può esistere uno yogi asino!Senza peccare di orgoglio, riportoun dato statistico: da alcuni anninon ci sono bocciati agli esami diStato della classe X e XII.Quest’anno, ad esempio, il 90%degli studenti dell’ultima classe(il nostro ultimo anno di liceo)ha passato l’esame con la ‘firstdivision’. Non credo sia difficilespiegare questo successo: quan-do la mente è serena, quando glistudenti sviluppano attenzione,memoria e concentrazione(attraverso la meditazione e lapratica dello yoga), anche lo stu-dio diventa molto più facile. Oggic’è una vasta letteratura in pro-posito. Ma noi di Alice comin-ciammo quasi trent’anni fa…”.

GAETANO MASSIMO MACRÌ

istruzione Il bullismo nelle ‘nostre’scuole non esiste>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Alice in ItaliaProgetto Alice ha in Italia due ONG che organizzano corsi e conferenze attra-verso cui far conoscere la propria attività. La filosofa Gloria Germani di recen-te ha pubblicato un libro sul Progetto e la decrescita felice. Si intitola ‘A scuo-la di felicità e decrescita: AliceProject’ edito da Terra Nuova e con prefazionedel Dalai Lama.Questi i contatti in Italia: Associazione di Volontariato “Progetto Alice Onlus”Treviso, contatto: Luigina De Biasi, e-mail: [email protected] e ProgettoAlice Universal Education School ONLUS” Udine, contatto: Agata Montevecchi,e-mail: [email protected], [email protected].

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beverage Leonardo Pinto è uno dei massimi esperti italiani della ‘bevanda>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il linguaggiodel rum

Lui è un ‘folle’ appassionato di rum. Il suo obiettivo, il bere consape-vole e responsabile. Scegliendo, in primis, in base alle proprie emozio-ni. Perché dietro questo ‘semplice’ distillato si nascondono storie diuomini, di territori, di tradizioni e anche di solidarietà

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“Bere è un momento emozionale, che crea sug-gestioni e fa da piacevole contorno alla

nostra serata o alla nostra compagnia. Non il moti-vo della compagnia”. Con queste parole esordisceLeonardo Pinto Nazario, il trentaquattrenne som-melier pugliese totalmente innamorato del distilla-to dei pirati. Lo abbiamo incontrato a Roma, dovesta organizzando la terza edizione di ‘ShowRum’(26-28 settembre al Salone delle fontane), il festivalitaliano interamente dedicato al rum, e si è gentil-mente prodigato a soddisfare le nostre curiosità.Perché il rum di curiosità ne fa sorgere tante. Variada Paese a Paese, sfuggendo a una classificazionerigida e ben delineata: dalle tipologie, al territoriodi provenienza, dalle tradizioni, alle storie a essolegate e alle modalità di accompagnamento nelladegustazione. Lo si può gustare con un buon sigaro,con del cioccolato – rigorosamente amaro – o condella frutta. Come ingrediente per dolci o per piattirivisitati. Liscio o con ghiaccio. Non da ultimo, ilrum parla di uomini, di territori, di schiavi, di sacri-fici e sofferenze. Tante storie che non aspettanoaltro che essere scoperte. Ecco perché bere rum puòdiventare un mezzo anche educativo, che veicola iprincipi del bere consapevole e responsabile.

Leonardo Pinto, nel suo festival parla di ‘sto-ria del rum’ e di un intero mondo nascostodietro a profumi, colori e sapori: ci spieghe-rebbe meglio questa espressione?“Il rum è uno dei pochi distillati che rappresenta ilterritorio di origine non soltanto per quel cheriguarda profumi colori e sapori. Ancora oggi cisono storie legate a luoghi, come la Jamaica, Cubao la Guyana, dove alcune ricorrenze vengono ‘bene-dette’ con il rum: la nascita di un bambino, ad esem-pio, o le fondamenta di una casa in cui si sta perandare a vivere (affinché il prezioso liquido ‘salvi’dagli spiriti cattivi). Così come si può aprire unabottiglia, versandone il contenuto a terra, anchesoltanto per fare piacere agli angeli. Inoltre il rumè sempre stata una bevanda popolare. Legata aglischiavi e successivamente, quindi, al popolo – che,nei territori del rum, dagli schiavi discende –. Perqueste popolazioni il rum era l’unica cosa a cuipotersi ‘appigliare’ nella loro vita. Era il loro salario,ma anche un modo per non pensare alla propriacondizione. È quindi una bevanda porta con sé unastoria molto interessante”.

In quest’ottica cosa significa bere rum?

“Partiamo dal presupposto e dal concetto che ho iodel bere: siccome non è una cosa che ‘ordina’ il medi-co, quando voglio bere, cerco di farlo in manieraconsapevole. Ed è il messaggio che più tendo a sot-tolineare e a trasmettere sempre: scegliamo undistillato in base a delle emozioni che ci regala enon in funzione della sbronza finale. Il rum in que-sto senso è un prodotto che bevuto nel giusto modo,consapevole, inteso non soltanto nella moderazione,ma anche nella conoscenza intorno al distillato, puòregalarti delle emozioni. Equivalenti a quelle che sipossono provare quando si vede un bel film o quan-do si vive un’esperienza a teatro o si guarda unagara sportiva”.

Perché rum e non whisky: che cos’ha di così

a dei pirati’, una passione che lo ha portato a creare un festival nazionale per diffonderne la cultura>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Leonardo Pinto NazarioPugliese di nascita e modenese di adozione, il trentaquattrenneLeonardo Pinto, Sommelier dal 2011, lavora nel mondo dei distil-lati in veste di consulente all’import ed export, brand building,vendita online e educational. Ma è soprattutto un grandissimoappassionato dell’universo alcolico, con un particolare debole peril rum, la bevanda dei pirati. Il distillato che sin dal 1997, data delloro ‘primo incontro’ e ragione di un vero e proprio colpo di fulmi-ne, lo ha ammaliato con le sue mille sfumature di colori, odori esapori. E per l’affascinante storia che reca con sé. Tanto da spin-gerlo, all’inizio di questo percorso di scoperta, a fingersi anchegiornalista per poter estorcere il maggior numero di notizie e diinformazioni presso le distillerie. Nel 2004, sempre in veste diappassionato, apre il blog ‘Isla De Rum’, in cui condensa ed elabo-ra uno ‘chere’ di queste informazioni (tipologie, distillerie e noti-zie correlate ai territori di origine). Gradualmente, prende semprepiù piede l’idea che questa passione – continuata ininterrotta-mente a latere del suo lavoro – sarebbe potuta diventare essastessa un vero e proprio lavoro. E nel 2012 apre finalmente la suaattività: “ShowRum”, il festival giunto alla sua seconda edizioneinteramente dedicato alla bevanda dei pirati.

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speciale questa tipologia di distillato?“Perché, a differenza del whisky, che è legato econnesso soltanto a un Paese e a un piccolo terri-torio con le sue tradizioni, il rum si porta dietrodelle peculiarità tutte sue: nella sua storia e nellegame con il territorio (come accennavo prima),ma anche nella sua grande varietà, nella piacevo-lezza organolettica, nella rivoluzione attuale chesta vivendo a livello produttivo (che ne porta sulmercato tipologie nuove e qualitativamente sem-pre migliori). Ma anche nel tentativo di volerveramente portare la qualità nella tradizione.Tutto queste sono caratteristiche uniche del rum,che nessun altro distillato possiede”.

Durante le scorse edizioni di ShowRum si èutilizzata molto l’espressione ‘popolo delrum’.“Non parlerei di popolo del rum. Ma piuttosto diatteggiamento delle persone che bevono rum . A

differenza della maggior parte degli altri distilla-ti, il mondo del rum è assolutamente privo di‘gerarchie’ o ‘snobismi’ di qualunque tipo: è gio-viale e conviviale. Dal produttore famoso all’ulti-mo dei consumatori si instaura un clima di condi-visione e di amicizia vera. Il personaggio e l’ap-passionato parlano alla pari, senza che nessuno sisenta inferiore all’altro. Si crea quasi una comu-nità di amici, di persone, che quando si incontra-no, pur essendosi viste magari soltanto una voltanella loro vita, hanno questa passione, questa ‘lin-gua’ in comune. Ci si sente parte integrante di ununico mondo e l’atmosfera che si instaura è vera-mente bellissima”.

Attraverso la conoscenza di questo distilla-to spera di diffondere la cultura del bereconsapevole e responsabile?“In verità, con la mia manifestazione, io metto adisposizione uno strumento che provo a struttu-

beverage Il rum è un prodotto che bevuto nel giusto modo può regalar

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Hemingway Special

Conosciuto anche con i nomi ‘Emingway Daiquiri’, ‘Daiquiri special’,‘Wild daiquiri’ o ‘Papa doble’, il ‘Daiquiri Emingway Special’ è un cock-tail a base di rum bianco, maraschino, succo di lime e succo di pom-pelmo. Nasce come evoluzione del più classico ‘Daiquiri’, suo precurso-re già in voga nei territori caraibici e soprattutto a Cuba, dove fuinventato intorno al 1898 o intorno al 1905 (le teorie intorno allanascita di un drink spesso sono tante e discordanti tra loro: cercatequelle che più vi stuzzicano, vi serviranno per arricchire la preparazio-ne del cocktail con una buona dose di aneddoti con cui intrattenereospiti e amici).La ‘trasformazione’ in ‘Special’ avvenne per opera e ‘intromissione’ del

celebre scrittore statunitense – nonché gran bevitore – ErnestHeminway, che, assiduo frequentatore di locali e famoso per la suapreferenza ai gusti ‘secchi e forti’, un giorno chiese al barman de ‘ElFloridita’, nel pieno centro storico de l’Avana, di rendere più ‘robusto’ ilsuo daiquiri. In primis, fece eliminare lo zucchero dal daiquiri, la cuidolcezza venne sostituita con il morbido aroma del liquore di ciliegiemarasche (ma che, a differenza dello zucchero, essendo un liquore,avrebbe apportato un contributo alcolico supplementare al drink) efece aggiungere del succo di pompelmo, che rese il sapore dellabevanda ancor più aspro e pungente.

IL DRINK

Avendo un’anima caraibica, questo cocktail ha un aspetto fresco, ungusto gradevole e aromatico e un’apparenza leggera. Ma, attenti:inganna. Difficile fermarsi al primo e spesso, al secondo, si affaccianoun terzo e un quarto con molta facilità, con il rischio che ad un certopunto, chi lo beve, si ritrovi a parlare da solo in qualche angolo del bar.

PREPARAZIONE

Non è difficile da preparare e non occorrono molti ingredienti.Munitevi innanzitutto di una coppa ‘Martini’. All’occorrenza, anche la

più classica coppa champagne andrà bene. Riempitela di ghiaccio, inmodo da freddare bene le pareti del bicchiere, e lasciatela in questomodo per tutta la durata della preparazione del vostro cocktail.Avrete bisogno di: rum bianco caraibico, maraschino (o liquore diciliegie marasche), succo di lime e succo di pompelmo.Versate tutti gli ingredienti all’interno di uno ‘shaker’, riempitelo dighiaccio e agitatelo energicamente per circa 6/8 secondi. Buttate il ghiaccio dalla coppa ormai raffreddata e, con un filtro,andate a versare il composto dello shaker all’interno del bicchiere.Servite il vostro fresco e profumato drink impreziosendolo con laguarnizione di una ciliegina rossa al maraschino. Fatela cadere sul fondo del bicchiere: non solo sprigionerà lentamen-te dei morbidi retrogusti, ma donerà al vostro cocktail un aspetto piùallegro e colorato.

RICETTA

3 cl di rum bianco caraibico1,5 cl di maraschino1,5 cl di succo di lime1,5 cl di succo di pompelmo

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rare nella miglior maniera possibile: iniziandodagli stand, che nell’edizione 2014 del festivalerano divisi per colore per definire le diverse aree(rum ‘agricole’, rum tradizionali e angolo selezio-ni). Si è trattato di una macro divisione per con-durre per mano chi non è esperto, nel percorsoeducativo. Ci siamo premuniti anche di far trova-re, al banco degustazioni, personale in grado didare informazioni che andassero al di là del solonome o dell’età di invecchiamento del prodotto. Cisiamo prodigati, quindi, nel tentativo – che stadiventando molto concreto grazie anche e soprat-tutto all’ausilio di tutte le aziende che hanno ade-rito a ‘ShowRum’, credendo nel progetto e invian-do personale qualificato – di coinvolgere il consu-matore. Il mio target è stato ed è quindi bilatera-le: da una parte il consumatore, anche non esper-to ma interessato. Dall’altra, la mia spinta, sem-pre più forte, sui produttori: per la presenza dimaster blender o di persone che la distilleria lavivono (o l’hanno vissuta) e che conoscono moltobene il ‘brand’. Ho bisogno di queste persone die-tro gli stand, perché questo è l’unico modo pereducare il pubblico: alla fine, si educa bevendo. Ecosa c’è di meglio se non un ‘face to face’ tra chista dando da bere e chi beve?”.

Creare un festival quindi si è rivelata un’ideavincente?“Nella scorsa edizione, il festival è andato benissi-mo, sia come presenza che come ‘assorbimento’ delmessaggio. La cosa che mi ha più stupito è statainfatti proprio la grande attenzione dei partecipan-ti: di solito, in queste manifestazioni aperte a tutti,c’è sempre il rischio che l’alcol sia la principaleattrattiva. E spesso, poi, si pone il problema disci-plinare finale. Invece ci siamo trovati di fronteuna popolazione molto ponderata e attenta, cheha preso i suoi tempi per effettuare il percorsodegustativo. Godendo realmente di quel momen-to: chiedendo, assaggiando, passeggiando, man-giando qualcosa per stemperare l’alcol. E ripren-dendo il percorso successivamente. Non foga,quindi, ma clima di rilassatezza e approccio dicondivisione. La mia soddisfazione più grande èstata proprio questa: il concetto del festival èstato completamente recepito, assorbito e rispet-tato. Èd è un risultato che, che siamo sicuri direplicare anche nell’edizione di quest’anno per laquale stiamo già progettando nuove sorprese,consapevoli che ormai è diventato un appunta-mento molto atteso da parte del pubblico”.

CARLA DE LEO

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re delle emozioni >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

ShowRum è il primo vero festival Italiano com-

pletamente dedicato al pirata dei distillati, il

Rum. All'interno dello spazio dell'evento, che si

svolge ogni anno a Roma nel mese di ttobre, i

visitatori hanno la possibilità di degustare eti-

chette appositamente selezionate, degustare i

migliori Rum del mondo sapientemente abbinati

a cibo, cioccolato, caffè e sigari che ne esaltano il

gusto. Un vero e proprio viaggio interamente

dedicato ai piaceri sensoriali.

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Il disco di Gaspare Tancredi è composto da 10tracce e si ispira al cantautorato degli anni ’60

e ’70. Un album ricco di poesia che, negli intentidel giovane autori, vuole suggerire di guardarecon curiosità la realtà circostante. Perché bastagirare l’angolo per scoprire che non siamo soli.

Gaspare Tancredi, come nasce il titolo diquesto album?“Nel mondo dei libri ho incontrato delle donne, dalcuore appassionato o pieno di veleno, accanto auomini valorosi, spregevoli, comandanti, dispostia sacrificare la propria patria per l’amore di unadonna. Anche il mio clown a suo modo è un condot-tiero, che senza armi conduce la sua personale esi-stenza sul filo del presente e del ricordo, tra sguar-di divertiti, ma spesso taglienti verso il suo bislac-co mestiere. Per questa sua scelta di vita le donneche vivono al suo fianco possono apparire dellechimere, delle nuvole leggere.”

Cosa porti delle tue origini cosentine nellatua musica?“Il Sud è presente nelle canzoni per i paesaggi,torridi o gonfi di pioggia. Il meridione rivive nelracconto orale: storie che passano di bocca in boccaal punto da perdere parte degli elementi caratte-rizzanti e raggiungere l’inverosimile. La leggen-da.”

I tuoi brano ricordano molto il cantautoratodegli anni ’60 e ’70. Quali sono i tuoi riferi-menti musicali?“Devo molto alla canzone d’autore del periodo ’60-’70, i riferimenti di questi anni sono molteplici,ma non mi sento di appartenere a una delle famo-se ‘scuole’, non per rifiutare un’etichetta, ma igeneri che mi hanno ‘formato’ sono molto diversitra loro: Leonard Cohen, Paolo Conte, Bob Dylan,

musica “Nell’epoca del disimpegno, io penso che laddove tutto sembra così dese>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Le donnedi Tancredi

Con il suo album d’esordio, ‘Ledonne di un clown’, uscito amarzo, il cantautore cosentinoracconta un mondo in bilico frafantasia e verità

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Lucio Dalla, Tom Waits, Claudio Lolli, BillieHoliday, Joni Mitchell, Simon & Garfunkel, PieroCiampi, De André, Tenco e tanti tanti altri. Hoascoltato anche la musica “imposta” dalle radio edalla tv. Nella mia discoteca personale trovanoposto vinili e dischi strumentali jazz e blues che siaffiancano pacificamente ai Pink Floyd.”

Hai dichiarato: “Ho deciso di fare il clown(….) di usare la finzione per rifuggire la fal-sità.” È un messaggio?“Sono cosciente del fatto che questa raccolta dicanzoni può apparire a tratti provocatoria. Per lascelta dei suoni e degli strumenti acustici nell’era2.0, per la ricerca dei testi, non sempre diretti maaperti alla possibilità di più significati. ‘Le donnedi un clown’ può risultare un lavoro impegnato.Nell’epoca del disimpegno, io penso che laddovetutto sembra così omologato e desertico bisognaprendersi la libertà di gettare dei semi, che fiori-scano in mezzo all’erbaccia, che possono essere leteorie generali, segnate come insuperabili. Perquanto mi riguarda la canzone è invenzione, pen-siero, fantasia, verità. Il messaggio contenuto nel-l’album è quello di scegliere, e non subire, come sivuole usare il proprio tempo. Di guardare conattenzione e curiosità le forme di vita che ci cir-condano. Di non pensarsi soli su questo pianeta,perché basta girare l’angolo e si incontra unclown, ci si sdraia in un parco e si conosce unaragazza di nome Vera, che lotta con le sue insicu-rezze. Si entra in un bar e si stringe la mano di

ertico bisogna prendersi la libertà di gettare dei semi, che fioriscano in mezzo all’erbaccia”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Gaspare TancrediCosentino di nascita, Gaspare Tancredi ha pubblicato con l’etichetta palermi-nata U07 il suo disco d’esordio “ Le donne di un clown”. Con questo lavoro lacasa discografica ( il cui catalogo è composto prevalentemente da musica clas-sica) si apre al cantautorato moderno. Il disco è distribuito da Believe Digital. Lo stile è quello del più classico cantautorato folk di matrice italiana fatto diracconti, chitarra acustica, pianoforte, batteria, basso e fiati. Una visione del mondo filtrata con sguardo poetico e dolcemente malinconicotra il vissuto e il contemplativo. Il linguaggio è quello tipico dei cantautori delsud Italia come risulta evidente dall’ambientazione delle storie in piccoli paesibagnati dal sole e lambiti dal mare.Chiari i rimandi a De Andrè e De Gregori, ma si scorge la volontà di un seppurtimido aggiornamento filtrata mediante gli influssi che si potrebbero far risa-lire, ad esempio, a Samuele Bersani, Brunori Sas e Mannarino.È lo stesso autore a sintetizzare la sua poetica: “Ho deciso di essere un clownuna notte in cui dei fiocchi di luna mi caddero in faccia, la notte in cui persi la bus-sola comprata dai cinesi e rimasi fermo e solo in mezzo a dei binari della ferrovia aGenova. Da quel momento ho deciso di fare il clown, di ripagare questa realtà che avolte mi stringe e mi consuma con dei numeri di varietà, da quel momento ho deci-so di vestire con scarpe larghe e giacca in tweed, di disturbare i passanti con mossebuffe e guanti in stoffa, di usare la finzione per rifuggire la falsità.”Le tracce si caratterizzano secondo atmosfere rilassate e più vivaci, quasi daprima maggio. Il disco è ben arrangiato ed eseguito. Appare come un lavorointellettualmente onesto, non volendo dichiaratamente proporre una rivolu-zione, ma piuttosto inserirsi nella scia della produzione dei grandi del genere.Gaspare Tancredi dimostra di aver ben compreso, appreso e fatto sua la lezio-ne del cantautorato italiano. Negli arrangiamenti si notano alcuni picchi diinteresse, mentre traspaiono nelle linee vocali alcune ingenuità nella costru-zione ritmica delle liriche. Lo stile di scrittura è personale e, nonostante diver-se felici intuizioni nella creazione dell’ immaginario , necessita di essere anco-ra affinato.

MICHELE DI MURO

Dario, capace di filosofare ma non di chiedere unappuntamento a una fioraia dalle forme morbidee, ancora, se ci si spinge fino al molo si può vedereil vecchio André che cerca l’ultima battaglia inmare aperto.”

Esiste una canzone dell’album a cui sei piùlegato oppure quella più autobiografica?“Sono legato a tutte le canzoni del disco, e c’è tantodi me in ognuna di esse, in quanto sono delle miecreazioni; ma una volta composte e registrate le can-zoni pretendono la libertà di muoversi, di apparte-nere a chi, a seconda del momento, ne ha bisogno.”

I tuoi prossimi progetti?“Il tour di promozione nazionale è iniziato in pri-mavera e proseguirà fino all’autunno.Contemporaneamente sono occupato alla stesuradelle canzoni del nuovo album, e nella scrittura dicanzoni per un’opera teatrale.”

CLELIA MOSCARIELLO

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cate alla moglie. Scrive le prime canzoni chesuona con energia nei locali del trentino.Nel 2008 arriva alla ribalta televisiva nel paesenatale partecipando al concorso ‘Top Fest’ di Topchannel. Il suo brano rock ‘Dolore’ gira in tutte leradio nazionali. Nel 2011 produce e pubblica il suoprimo lavoro discografico. Nel 2013, grazie aRoberto Perrone, apre in acustico cinque seratedella compagnia teatrale ‘Le Comedie’ in Francia.Nel 2014 pubblica il secondo album: ‘ArtanFuorimoda’. Ferrarese d’adozione e trentino per

musica Con il suo ultimo singolo, Artan Rroku conferma il suo talento musicale: >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Non è facile lasciare la propria terra e cercaredi realizzare i propri sogni lontano dalla

famiglia e dai luoghi dove si è nati e cresciuti. C’èriuscito Artan, all’anagrafe Artan Rroku, che gio-vanissimo è arrivato in Italia dall’Albania graziea una missione della Caritas.Durante il suo percorso di studio si avvicina ado-lescente alla musica, fino ad appassionarsi alrock. Oltre alla musica si dedica anche alla lettu-ra, ha una predilezione per ‘Memorie dal sottosuo-lo’ di Dostoevskij, ama le poesie di Montale dedi-

L’universodi Artan

A ritmo di rock, il cantautore di origine albanese rivendica una socie-tà in cui l’uomo sia il bene più prezioso da salvaguardare e raccontache “amare la vita vuol dire anche ‘odiarla’, ma mai disprezzarla”

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lavoro, Artan pubblica il 21 novembre 2014 perAlka record label, il nuovo singolo,‘Quell’universo’. Un brano di denuncia verso ilpotere, che toglie dignità ai più deboli, illudendo emascherando la realtà per giochi economici.

Dall’Albania all’Italia, raccontaci questoviaggio che ti ha portato nel nostro paese.“Sono entrato in Italia in modo regolare, da stu-dente, nel 1997. Avevo 16 anni. Un’età problema-tica, se poi aggiungi che sei in un altro Paese, e dasolo, tutto diventa più complicato. Col tempo,però, ci si abitua alla cultura locale e alle tradizio-ni e tutto va a finire per il meglio.In quegli anni, però, l’immigrazione via mare arri-vava con gommoni e nelle condizioni più dispera-te. Non facendo parte di questa categoria, l’inter-locutore spesso era spiazzato. Il lieto-fine, a quan-to pare, non riscontra mai tanta curiosità.Ancora oggi continuano ad approdare sulle costeitaliane navi di disperati in cerca di un futuromigliore. Mi fa male pensare che un cittadinoeuropeo con seicento euro va in America per levacanze e un immigrato disperato ne paga duemi-la per attraversare il mare, rischiando la vita. E,per giunta, è pure visto come quello che arriva amangiare la vita dei ‘nostri’. Tantissimi giovani(negli ultimi anni) si spostano per crearsi un futu-ro fuori da questa nazione e sono considerati deigrandi; gli immigrati che arrivano sono quelli cherubano. Mi dispiace molto che ci siano delle perso-ne che ragionano per concetti facili, idee vuote,preconcetti banali. Siamo in fondo tutti figli diimmigrati e la Storia dovrebbe insegnare qualco-sa a tutti, a inchiodare anche certeidee politiche da quattro soldi”.

Avresti mai pensato di diventa-re un artista e di farti conosce-re nel mondo musicale? “Non credo di essere un artista veroe proprio, né tanto meno uno arri-vato! Sono semplicemente una per-sona che ama scrivere canzoni. Unoche crede nella musica e nelle colla-borazioni. Il grande privilegio diquesta forma di arte è quella diunire, condividere, denunciaresistemi fatti da ‘uomini organizza-ti’. Ecco, mi sento fortunato a cono-scere musicisti che credono nella

forma più alta del termine ‘Musica’.Credo che i termini ‘emergere’, ‘successo’, ‘compe-tizione’ siano adatti per i ‘talent show’! Io appar-tengo a un’altra scuola: credo nel messaggio. Ecco,devi avere un messaggio, cose da dire non banali.”

Dostoevskij scrisse: “ama la vita più dellasua logica, solo allora ne capirai il senso”.Una tua riflessione.“Amare la vita vuol dire anche ‘odiarla’. Un con-flitto eterno, ma mai disprezzarla. L’ultimo miosingolo è ‘La vita’. È un dono prezioso! Ma vivia-mo in tempi in cui ‘quattro potenti’ ce la voglionorendere impossibile. Mi auguro che finisca questa-guerra economica in atto e che l’uomo sia il bene

più prezioso da salvaguardare. In‘Quell’universo’ ho cercato di denun-ciare i giochi economici che manda-no le vite di molte persone in rovi-na.”

Che significato ha per te iltalento?“Per me il talento è figlio di tantifallimenti, è un continuo rialzarsi,migliorarsi! È un lavoro costante,passionale e spesso senza alcunaricompensa. È credere fino in fondoin quello che fai e cercare di farlo almeglio. Quando credi di esserearrivato, sei appena all’inizio.”

MICHELA ZANARELLA

iIn questa intervista ci racconta la sua storia di straniero ‘regolare’>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Vivere per sempre è unamaledizione. Il più grande

desiderio dell’uomo è semprestato visto a Hollywood comeun dono che avvelena l’anima econduce all’infelicità.Nel 2015 è uscito nelle saleAdaline - l’eterna giovinezza,ennesima interpretazione deltema che, senza particolariguizzi e pochi momenti davveromemorabili, ci trascina nella

vita di Adeline Bowman, natanel 1908 e condannata a noninvecchiare mai a causa di unmisterioso incidente avvenutonel 1935. Seguendo la vita diquesta ragazza e il suo esserecostantemente immutabile, ilregista Lee Toland Krieger civuole ricordare quanto a rende-re veramente piena la nostravita sia la consapevolezza didover invecchiare e morire.

Senza questo limite, senza que-sto timer nulla ha veramentesenso e tutto si trasforma inuna serie infinita di eventisenza importanza. Adeline, pernascondere la sua particolarenatura, è costretta a nascon-dersi vivendo come un fanta-sma, vedendo invecchiare lafiglia e non stringendo mai rap-porti sentimentali con nessuno.Come sarebbe infatti vivere

cinema L’eterna giovinezza è anche sinonimo di irresponsabilità, perenne diverti>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Immortalitàhollywoodiana

Il sogno di essere belli e giovani in eterno è un tema ricorrente inmolte pellicole, ma tra fantasia ed effetti speciali l’elisir di lunga vitanon è affatto garanzia di felicità

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accanto a una persona, vederlainvecchiare, ammalarsi e mori-re avendo la consapevolezza dinon poterla seguire?La banalità della seconda partedella pellicola, quando lanostra protagonista inizia asentire i morsi dell’amore neiconfronti del giovane EllisJones, interpretato da MichielHuisman (Il Trono di Spade),rovina una costruzione dellatrama abbastanza interessanteanche se eccessivamente scon-tata. Si direbbe quasi che a uncerto punto della stesura dellasceneggiatura gli autori abbia-no detto, “va bene, bellissimo,adesso però dobbiamo farlainnamorare perché già ci siamodilungati troppo”, senza appro-fondire bene l’elemento cardinedella narrazione: amore edeternità sono due elementiincolmabili.Non credo sia una banalitàaffermare che nel 90% dellestorie narrate, l’amore sia ilcatalizzatore di ogni trama. Laricerca dell’anima gemella èstrettamente legata in questosenso alla percezione della vec-chiaia e della fine, il non voleraffrontare quello che sarà“dopo” da soli.Highlander (1986), in questosenso, è il film che meglio esem-

plifica quanto detto: un uomoscopre di essere immortale e diessere il tassello di una guerramillenaria tra esseri immortalie la sofferenza per quella chesembra una tortura senza fineè acuita anche dalla perditadella donna amata, uccisadurante uno scontro, ma desti-nata comunque alla vecchiaia ealla morte, un lusso che il pro-tagonista Connor MacLeod nonpuò permettersi.A tal propositola canzone dei Queen “Who

Wants to Live Forever”, conte-nuta nell’album A Kind ofMagic (interamente ispiratoalle vicende della pellicola) si faportavoce del senso stesso del-l’opera: “chi oserebbe vivere ineterno/quando l’amore è desti-nato a morire”.L’immortalità e l’eterna giovi-nezza sono anche sinonimo diirresponsabilità, eterno diverti-mento e sconsideratezza. Peterpan, il bambino che non invec-chia mai nato dalla fantasiadello scrittore inglese J.MBarrie è entrato così profonda-mente nella nostra culturapopolare anche grazie al cine-ma. Indimenticabile in questosenso il cartone animato firma-to Walt Diney Le Avventure diPeter Pan (1953) che però nonriesce ad approfondire la que-stione per la scelta di unapproccio eccessivamente “gen-tile” e delicato. Molto più effica-ce è in questo senso il film PeterPan del 2003 diretto da P.J.Hogan in cui vediamo unragazzo ribelle che però si

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mento e sconsideratezza: come Peter Pan, il bambino che non invecchia mai>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Nella pagina accanto: Ben Barnes in ‘Dorian Grey (2009)Sopra: Cristopher Lambert, protagonista di ‘Highlander’ (1986)

Una scena di ‘Peter Pan’ (2003) diretto da P.J. Hogan

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rende conto, in alcuni frangentidella trama, di cosa significhicrescere, avere una famiglia eamare. Un notevole passo inavanti.Doveroso infine parlare dell’al-tro grande immortale della let-teratura, nato dalla genialeimmaginazione di Oscar Wildecome degenerazione della vol-garità e della decadenza dellacultura inglese dell’800: DorianGray. Questo personaggio cosìcomplesso e affascinante, desti-nato a essere giovane e bello ineterno mentre a invecchiare èun suo ritratto, è stato portatosul grande schermo la bellezzadi 16 volte, l’ultima delle qualinel 2009 con il film DorianGray interpretato dall’attoreinglese Ben Barnes. Anche quil’amore risulta inconciliabilecon la vita eterna, indissolubil-mente legata alla degenerazio-ne morale e fisica del protago-nista e trasposta sul ritratto.Solo l’amore per la giovaneEmily potrebbe salvarlo, ma ledrammatiche conseguenze diuna giovinezza eterna e disso-luta non potranno in alcunmodo essere evitate.

La fantasia degli sceneggiatorie gli effetti speciali hanno prod-dotto tante differenti declina-zioni sull’argomento passandodalle ferite che si ‘rimarginano’magicamente degli highlandersai filtri che garantiscono del-l’immortalità ma non prevedo-no alcun effetto di autoripara-zione. È così che le due indi-menticabili protagoniste de ‘Lamorte ti fa bella’, Meryl Streepe Goldie Hawn, si ritrovanocon corpi devastati dalla lorostessa incuria, dimostrando chesenza bellezza e gioventù l’im-

mortalità è del tutto inutile.A dimostrazione che il cinema èsempre portatore di messaggichiari e universali non mancaneanche chi all’idea di eternitàdecide di rinunciare per amore.È il romanticissimo angelo di‘City of angels’, interpretato daNicolas Cage, che sceglie la vitaterrena scoprendo che gioia edolore sono le due facce di unastessa medaglia e che il ciclodella vita, pur con i suoi alti ebassi, un suo perché ce l’ha.

GIORGIO MORINO

cinema Al cinema spesso l’amore è inconciliabile con la vita eterna>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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A sinistra: Blake Lively, protago-nista di Adaline: l’eterna giovi-nezza. Qui sopra: Goldie Hawn eMeryl Streep in ‘La morte ti fabella’. In basso: Nicolas Cage eMeg Ryan in ‘City of angels’

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cinema La versione cinematografica del celebre musical di Broadway, di Rob Ma>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Un film ‘rabberciato’. O permeglio dire: ‘raffazzonato’.

Chi conosce la versione teatraledi ‘Into the woods’ non può checonfermare un simile giudizionei confronti di una trasposizio-ne cinematografica, distribuitanelle sale italiane pochi giorniprima delle feste pasquali, cheinvece di cogliere la vera essen-za del musical, cioè la sua inti-ma gioiosità nel rappresentarepassioni giovanili, spensiera-tezze e pene d’amore, si lasciaandare alla superficiale tenta-zione di voler ‘psicanalizzare’ lefiabe dei fratelli Grimm e il loropiù autentico contenuto morale.Va da sé che gli americani sonfatti così: rimangono colpiti daun singolo elemento e lo trasfor-mano in fondamento oggettivo,dimenticando tutto il resto. Ilnostro non è un giudizio intera-mente negativo nei confrontidella Walt Disney, la quale ci haspesso commosso o fatto sogna-re attraverso ‘sintesi’ accettabi-li di naturalezza e spiritosaintelligenza. Né intendiamo‘stroncare’ di netto uno sforzo dirielaborazione e ammoderna-mento di un mondo, quello dellefiabe, che ha rassicurato eincantato le notti più agitate ditantissime generazioni di bam-

bini. Più semplicemente, ci limi-tiamo a osservare come realiz-zare la versione cinematografi-ca di un ottimo musical diBroadway rappresenti, spesso evolentieri, un lavoro assai com-plesso, irto di difficoltà, nonfacilmente adattabile per ilgrande schermo. Nella versioneteatrale del 1987, i registiStephen Sondheim e JamesLapine seppero intrecciare, congrande coerenza, cinque favole -

e non soltanto quattro - al finedi approfondire quei contenutidi responsabilità, individuale emorale, a cui i nostri figlidovrebbero rimanere fedelinella vita adulta. Nella versio-ne cinematografica di RobMarshall, invece, si finisce conl’ottenere l’effetto opposto:ognuno persegue i propri desi-deri e tutto risulta ‘compresso’all’interno di una spettacolariz-zazione che finisce col perdere

Il fiato cortodi Into the woods

La trasposizione cinematografica della Walt Disney si rivela un filmstracolmo di ripensamenti e ‘tagli’ effettuati con l’accetta, abbando-nandosi alla superficiale tentazione di voler ‘psicanalizzare’ le fiabedei fratelli Grimm

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di vista il vero intento dellefiabe stesse, ovvero quello didarci una ‘morale finale’. Il filmdi Robert Marshall, alla finedella ‘fiera’ si rivela un carneva-le di personaggi e canzoncine, di‘dive e divetti’ posti in ‘vetrina’,di distorsioni e confusione.Un’opera che, probabilmente,sin dall’inizio non risultavaadatta a una riduzione di dueore e cinque minuti per il cine-ma. E infatti, il principale difet-to di ‘Into the woods’ è proprioquesto: si tratta di una ‘riduzio-ne’. Ciò lo si percepisce danumerosi elementi. A comincia-re dal fatto che, nella versioneteatrale, tra le nozze diCenerentola e gli attacchi della‘gigantessa’ intercorrono moltimesi, se non addirittura anni.Una fase temporale che rappre-senta la vera ‘chiave di volta’dell’intreccio originario pensatoda Sondheim e Lapine, i qualipresero ‘spunto’ dal tentativo difuggire dalla consueta frase concui le fiabe per bambini si sonsempre concluse: “E visserotutti felici e contenti…”. E pro-prio con la finalità di far rie-mergere il mondo delle favoledal quel tradizionale ‘recinto’che lo ha sempre dipinto comeuniverso astratto o ‘alternativo’,il giovane Jack della versioneteatrale si annoia e sognanuove avventure; il fornaio e lamoglie si rendono conto delleconseguenze negative dei lorodesideri e della difficoltà diessere genitori, maturando unanuova consapevolezza sull’im-portanza di tale ruolo;Cenerentola viene costretta atrovare un posto a corte allamatrigna e alle sue sorellastre,senza mai riuscire ad affrancar-si dalla propria umile prove-nienza sociale, rimanendo, perpuro e spiritoso paradosso dellavicenda, con ‘una scarpa e una

ciabatta’;?la vicenda diRapunzel, nel film della Disneya un certo punto viene quasiabbandonata, come se non vifosse tempo o modo di farealtro, mentre nel musical tea-trale la ragazza viene anch’essatradita dal suo principe, che lepreferisce Biancaneve, causan-do la disperazione della prota-gonista, la quale finisce col sui-cidarsi gettandosi essa stessatra le fauci della ‘gigantessa’; ilprincipe di Cenerentola tradiscela propria sposa non soltantocon la moglie del fornaio, maanche con la ‘bella addormenta-ta’ nel bosco; infine, il padre delfornaio, vero e proprio deus exmachina della versione teatrale,in questa ‘americanata’ vienebrutalmente tolto di mezzo, sor-volando ogni introspezione psi-cologica sul fornaio medesimo,che non si capisce chi sia, dadove nasca, da quale vicendapersonale provenga, chi fossero isuoi genitori e quali ‘bussolemorali’ gli abbiano lasciato peraffrontare la foresta, alla ricercadi quegli oggetti che gli servonoper preparare quella ‘pozione’che gli consentirà di liberarsidalla sua maledizione. Per tuttiquesti motivi, il film alla fine sitrasforma in una strana ‘saga’di apparizioni e comparsate: la‘strega’ Merryl Streep, cheovviamente se l’è ‘cavata’ conmestiere ed esperienza; il ‘lupocattivo’ Johnny Depp, che conti-nua a replicare se stesso; lamatrigna di Cenerentola,Christine Baranski, ripropostaper l’ennesima volta come bra-vissima ‘caratterista’, quandoinvece meriterebbe ruoli assaipiù significativi e importanti.Alla fine di tutto, resta unacerta perplessità per un film chenon a caso non è riuscito a por-tare a casa nemmeno uno ‘strac-cio’ di Oscar, nonostante le

numerose ‘nomination’ e che,sempre non a caso, ha visto pre-miata con l’Award dei giovaniartisti solamente quella LilliCrawford, chiamata all’ultimomomento per ricoprire il ruolodi Cappuccetto rosso, in sostitu-zione di un’ancora troppo acer-ba Sophia Grace Brownlee. Unfilm stracolmo di ripensamenti,insomma, tormentato da unaserie di ‘tagli’ effettuati con l’ac-cetta e girato troppo a ‘brigliesciolte’, confidando tutto suglieffetti speciali, la bellezza deicostumi e le scontate buoneinterpretazioni della Streep edi Johnny Depp, anche se que-st’ultimo ci ha ormai più che‘annoiato’ con le sue interpre-tazioni schizofreniche, tutteidentiche le une alle altre. Unfilm sull’egoismo che annullal’eroismo, che proprio non rie-sce a far emergere un minimodi ‘equità antropologica’ sia neicaratteri psicologici, sia neicomportamenti dei suoi perso-naggi. Nel bosco non si va peraffrontare la natura o in quan-to metafora della vita, bensìperché ognuno deve aggiustar-si i ‘cavoli’ propri e e realizzareil suio sogno. Bah!

VITTORIO LUSSANA

rshall è un film sull’egoismo che annulla l’eroismo>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Siamo a metà degli anni ‘80e il lottatore Mark Schultz,

reduce dai successi del mondia-le appena vinto, viene contatta-to dal multimiliardario JohnDupont che ha in progetto diaprire una scuola di lottatori ediventarne coach, mentore efinanziatore portando gli atletialle olimpiadi di Seul ‘88. Il pro-getto sembra attrarre le atten-zioni di Mark che finalmentepotrà spostarsi dall’ombra forseper certi versi ingombrante delfratello maggiore Dave, suoallenatore da sempre.Storia lineare e semplice, trattoda una vicenda realmente acca-duta, che il regista BennetMiller non ha preteso diromanzare, raccontandoladescrittivamente, seguendo gliavvenimenti quasi come undocumentarista. Non prende

posizione, infatti, né parlandodell’avvenimento storico, néanalizzando le conflittualità deipersonaggi.I protagonisti, gli egregi inter-preti Channin Tatum (MarkShultz), Mark Buffalo (DaveShultz) e Steve Carell (JohnDupont), vivono le loro nevrosiliberi da critiche, e condiziona-menti. Gli stati d’animo osser-vati sono molteplici: l’inadegua-tezza che John Dupont vive neiconfronti della vecchia madre(Vanessa Redgrave) lo ridurràa grottesco fantoccio, quaran-tenne frustrato e solo, con unetà psicologica da adolescente,che vive in perenne conflittocostringendosi a dimostrare diessere migliore di ciò che lamadre pensa di lui, fino a ren-dersi ridicolo agli occhi deiragazzi che si illude di allenare.

Già perché John non ha nessuntitolo per allenare una squadradi lottatori: non conosce la lottaperché la madre non gli ha maipermesso di praticarla. Questolo porterà alla definitiva folliache concluderà alla tragicamorte di Dave.La stessa inadeguatezza la viveMark nei confronti del fratello,campione pluripremiato animosensibile, devoto alla famiglia ealla moglie.Il finale atroce riporta tutto inordine: John sarà arrestato;Mark lotterà ancora per qual-che anno. Unico vincitore Dave,che terrà alto anche nellamorte l’onore e il rispetto deivalori che lo hanno contraddi-stinto durante la vita.Un film potente che fa riflette-re, senza lasciare posto allasperanza.

Foxcatcher Un film di Bennett MillerCon Steve Carell,Channing Tatum,Mark Ruffalo,Vanessa Redgrave,Sienna MillerDrammaticodurata 134 min.USA 2014

Cinema film a cura di Adele Perna>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Foxcatcher

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Mi sono sempre chiesta, finda bambina, cosa sarebbe

successo nella mia vita se percaso avessi perso uno dei sensipiù importanti: la vista, l’uditoo l’uso della parola. La sensa-zione che provavo mi mettevaenorme angoscia. Qualche gior-no fa ho avuto il piacere divedere il nuovo film di EricLartigau e ho capito molte coseinteressanti: l’amore non habisogno né di essere sentito(con le orecchie), men che menodi essere detto. La storia che ilfilm racconta è una semplice edelicata favola dei nostri giorni:Paula Bélier (la diciannovenneLouane Emera) nasce in unafamiglia di contadini e allevato-ri sordomuti, ma lei ci sentebenissimo, parla e sa anchecantare molto bene, cosa chescopre durante le lezioni di coroa scuola.In poco tempo le lezioni dicanto per Paulina diventanoprivate perché l’insegnante,colte le doti della ragazza, laiscrive alle audizioni perentrare nel coro di un’impor-tante scuola a Parigi.

Inizia per Paula un grandetravaglio interiore: lasciare lacasa e tutto ciò che comporta,o rimanere in paese con lasua famiglia e abbandonare ipropri sogni? Ciò che rende speciale questofilm è la delicatezza del regi-sta nel trattare temi cosìimportanti la dolcezza stanella perfetta descrizione deipersonaggi: il padre (il bra-vissimo Francois Damiens)ama la figlia talmente tantoda regalarle la libertà di esse-

re ciò che realmente è.Mettendole la mano sul colloper sentire le vibrazioni chela sua voce produce, ‘ascolta’un brano cantato dalla figlia.Paula arriverà all’audizionecon tutta la famiglia al segui-to, e si esibirà traducendo perloro la canzone con il linguag-gio dei segni.Può esserci amore più gran-de? Amare qualcuno nono-stante il riconoscersi diverso.Identificarsi in un gruppo avolte non è così vantaggiosoanche se quel gruppo, è quel-lo da cui si è nati. Ognuno dinoi deve seguire la sua veraindole e il suo vero io e volarevia, come canta la protagoni-sta durante la scena finale.Chi ci ama davvero capirà esarà li accanto a noi a urlarcidi non mollare vedendocispiccare il volo.

La famiglia BélierUn film di Eric LartigauCon Karin Viard,François Damiens,Eric Elmosnino,Louane Emera,Roxane DuranCommedia, durata 100 min.Francia 2014.

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La famiglia Bélier

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