Pastiche n° 49 novembre 2015

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Cari amici e amiche di Pastiche, ho voglia di credere ancora che tutto sia possibile e ho voglia di credere che la poesia e l’arte sono oramai un atto collettivo capace di smuovere qualche coscienza. Basta con le autocelebrazioni/automasturbazioni dell’ego, troviamo il modo di farci ascoltare, smettiamola di barattare la nostra libertà per qualche fottuto lavoro sottopagato, smettianola di farci inculare a sangue, smettiamola di accettare le loro regole senza riscriverne di migliori. Nessuno può trovare la soluzione ai nostri problemi se non siamo noi a farlo! È ora di smuovere qualche coscienza, partendo dalla nostra! Non aspettiamo domani!

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COPERTINA A CURA DI:LUIGI ANNIBALDIREAPER’SELIFIEpastiche

editorialeeditoriale

#49#49

PENSATA E REDATTA DA:PAOLO BATTISTA

IMPAGINAZIONE DI:ALESSANDRO VALENTINO

COLLABORATORICHIARA FORNESI

PER RICEVERE IN ABBONAMENTOPASTICHE (COSTO 15 EURO)SCRIVETICI A:pasticherivista @gmail.comPER INVIARE IL VOSTRO MATERIALEE PER AVERE INFO SULLE COLLABORAZIONISCRIVETE A:pasticherivista @gmail.com

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NOVEMBRE 2015

CARI AMICI E AMICHE DI PASTICHE,HO VOGLIA DI CREDERE ANCORA CHE TUTTO SIA POSSIBILE E HO VOGLIA DI CREDERE CHE LA POESIA E L’ARTE SONO ORAMAI UN ATTO COLLETTIVO CAPACE DI SMUOVERE QUALCHE COSCIENZA. BASTA CON LE AUTOCELEBRAZIONI/AUTOMASTURBAZIONI DELL’EGO, TROVIAMO IL MODO DI FARCI ASCOLTARE, SMETTIAMOLA DI BARATTARE LA NOSTRA LIBERTÀ PER QUAL-CHE FOTTUTO LAVORO SOTTOPAGATO, SMETTIAMOLA DI FARCI INCULARE A SANGUE, SMETTIAMOLA DI ACCETTARE LE LORO REGOLE SENZA RISCRIVERNE DI MIGLIORI. NESSUNO PUÒ TROVARE LA SOLUZIONE AI NOSTRI PROBLE-MI SE NON SIAMO NOI A FARLO!È ORA DI SMUOVERE QUALCHE COSCIENZA, PARTENDO DALLA NOSTRA! NON ASPETTIAMO DOMANI!

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CARNEVALEAVREMO MILIARDI DI FOTO E PIÙ NESSUNA MEMORIA.

CAMBIEREMO IDEA TUTTI I GIORNI, NON È TEMPO PER LE IDEE.

DAMMI UNO SCHIAFFO SUGLI OCCHI QUANDO LI SGRANO, QUANDO HANNO FAME.

IN MEZZO AI CARTONI BRUCIATI, LE UNGHIE MANGIATE, QUESTO CARNEVALE.

UN DOLORE LONTANO È DOVUNQUE, UN DOLORE VICINO NON C'È.

QUANTO È FEROCE E RIDICOLO POTER ESSERE CHIUNQUE.

CREDOCREDO NELLE PIAZZE SPARUTE, SPAURITE, SPARENTI; ILLUMINATE DI PAROLE CANTATE, INCASTRA-TE BENE. CREDO NELLA MEMORIA PURE QUANDO È UN PUGNO E PASSA IL PETTO FILO A FILO E SI FA VIVIDA, VISIBILE, VIOLENTA. CREDO, PARECCHIO, NEL VERBO ACCOM-PAGNARE, CREDO NELLA FILOSOFIA, CREDO NEL PANE

DOMENICO CARRARA

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miacara

figlia

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Mia cara figliaoggi è una giornata piovosa e l’autunnosi spinge prepotentemente per le strade luride della cit-tà.Salto da una pozzanghera all’altra schivando ragazzi disagiati ma pettinati all’ultimo grido.In mano le buste della spesa,la frutta costa cara,il pane aumenta ogni giorno di dieci centesimie la birra,beh! la birra è troppo calda per potermela gustare.Mia cara figliala volgarità è ovunquee bisogna stare attenti. C’è gente di coloreche chiede l’elemosina e vecchi rincoglionitiche si dannano per avere l’ultima parola.Mia cara figliail bar all’angolo è pieno di rumene bionde che ciarlano da mezz’ora sfottendo vec-chi rincoglioniti che si tocca-no l’uccello.Mia cara figliaanche gli uccellini hanno smesso di cinguettaree in cielo ci sono solo piccio-ni che cagano ovunque,ai lati della strada bidoni zeppi di rifiutie nella mia testa ronza una bruttissima canzone popche ho sentito al supermer-cato.Mia cara figliasono mesi che lavoro sodo e sono stanco,la musica non paga quanto dovrebbee la poesia più che soddi-sfarmi mi confonde.Cosa cerco? Cosa voglio? Forse dovrei

tagliarmi barba e capelli, e tutto apparirebbe meno storto.Mia cara figliai tuoi occhi grandi mi dona-no speranza,quel fottio di speranza di cui adesso ho bisognoper non pensare all’aumen-to della benzina,della frutta, del pane, del latte in polvere, dei panno-lini,per non pensare alle stronza-te che leggo sui giornali,ai vecchi rincoglioniti che flir-tano con le rumenee a questa giornata piovosa di merda,prima di una serie che il tizio del meteodice durerà tutta la settima-na. Mia cara figlia, mia cara dolcissima figlia non sai quanto ti amo, ma ora basta, devo spegnere il cervello e tornarmene casa, ho la maglietta sporca di vomito e le scarpe strette mi stanno massacrando.Mia cara figlia,mia cara bellissima figlia sono fortunato ad averti,ma devo dirtelo,la vita non sarà facile e forse un giorno dovrai lottareper restare in piedi e non farti accoppare,ma ricorda, quando un gior-no leggerai questa parole,io ci sarò sempre, per te ci sarò sempre,anche quando il mondo si fotterà con le sue manie l’ultimo piccione cagherà sulla vecchia carcassa di un’auto.

PAOLO BATTISTA

LUMATERNITÀ - CHIARA FORNESI

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Foto: DANIELE CAMBRIAhttp://danielecambria.com/

LUMATERNITÀ - CHIARA FORNESI

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UN GIOCO NOSTROLei entra in camera in modo prepoten-te, esclamando: “Salitipu!”Senza scompormi, sollevo lo sguardo dal monitor del computer su cui sto scriven-do un racconto nuovo (dopo tanto tem-po): “Crafollo,” rispondo.Lei mi si avvicina, alzando la voce: “Gurubicchio!”“Sassaco,” replico, girandomi a guar-darla. Si sta togliendo l’accappatoio, rivelando la pelle nuda bianca come il latte e punteggiata di lentiggini che sembrano tanti spruzzi di caffè. Sorrido nell’imitazione di un sorriso lascivo che però non mi viene bene, lei sa benissimo che io so che questo è un momento in cui non devo toccarla, un rituale che è solo suo e che non deve essere distur-bato a meno che non sia lei stessa a volerlo.“Nittioriscu,” mormora avvicinandosi e abbracciandomi da dietro. Dal modo in cui si muove capisco che non è il mo-mento rituale che mi aspettavo. Il suo corpo nudo si adagia al mio vestito.Abbandono la scrittura, già insoddisfat-to di quello che sto scrivendo.“Paciuli,” sussurro, mentre comincio a baciarle il seno.Ribido. Tanetto. Santaschio. Babagic-chi. Reletonno. Faffito. Manalascio. Co-reppo. Vavaddo. Gulubembe. Sciscioio. Cantaspuppo. Chilivili. Querittio. Lulufo. Possiamo andare avanti un sacco a ri-sponderci in questo modo, inventando parole che non esistono o che noi cre-diamo non esistere, ci restituisce un sen-so di tenerezza e di dimensione del gio-co che fortifica il nostro rapporto a due. Gli altri ne sono esclusi, è solo nostro. La cosa bella è che capita per caso, senza

nessuna anticipazione, può succedere in cucina mentre si prepara il pranzo o in doccia mentre ci sfreghiamo i corpi, in strada mentre si passeggia o addirit-tura quando il sonno sta per prendere il sopravvento e siamo sprofondati nei guanciali.“Cilipopo.”“Minestricco.”“Tarabasulli.”“Zizzorenno.”“Olo.”“No, Olo no! Hai perso!”Sono vietate parole monosillabi, o sa-rebbe troppo facile. Può seguire una penitenza oppure no.Ho smesso di scrivere il racconto che stavo buttando giù con pigra dedizione. Alla fine mi sono reso conto di quanto somigliasse per trama e sviluppi ai Nove miliardi di nomi di Dio di Arthur C. Clarke, e non capisco neppure perché l’avevo cominciato, è un tipo di storie che mi sono lasciato dietro. Adesso preferisco cose che non raccontano niente di so-stanziale, solo impressioni e spunti, che chiunque potrebbe leggere e interpre-tare da sé, costruendo il suo intreccio personale.Baboscio.Sciolitisso.Guanado.Come i mostri che io e lei inventiamo, preferisco sintetizzare al massimo, la-sciando che sia il suono stesso delle pa-role a descrivere situazioni che altrimenti non riuscirei a inventare.Chiotrido.Canagnazzo.Diolepididdo.

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Pitobbia.Talvolta litighiamo, fra le coppie succe-de. In quei momenti, mi prende la vo-glia di rispondere con tutta una serie di rumori e suoni e versi che non significa-no nulla ma che secondo me esprime-rebbero meglio ciò che stiamo provan-do e vogliamo comunicare. Forse per lei è lo stesso, mi dico, ma nonostante ciò continuiamo a comunicare con quello che il dizionario ci ha insegnato.Nannopro. Come a dire “per la mise-ria”.Ieri un uomo mi ha apostrofato in malo modo perché secondo lui ho attraver-sato sulle strisce pedonali che c’era il semaforo rosso, come se avesse rischia-to lui di rimanere schiacciato sotto la sua brutta macchina sportiva. “Cafu-gu!” gli ho gridato dietro.Lei era con me, ma invece di decapita-re il tizio come mi aspettavo che avreb-be fatto, si è messa una mano davanti alla bocca e ha cominciato a ridere, a ridere.Uauapollo. Tienimenoso. Schaborzio. Un rumore alle nostre spalle. Un piccione si è schiantato contro un muro proprio mentre lei giocava il suo turno. Prima di morire, l’uccello ha gridato qualcosa di cui ci siamo appropriati, qualcosa che era come “Nienno!”Siamo usciti a fare un picnic. Il cie-lo è sgombro di nuvole, ma sembra che debba piovere da un momento all’altro. Ci sono tuoni, all’orizzonte. Giochiamo, come spesso succede. Ghigono. Trippiccio. Rubilesso. Pionto. Caccaquesso. Altri tuoni. Crescono so-noramente, annunciando un tempora-le estivo. Faffolo. Altro tuono. Lei nota

divertita che c’è un tuono ogni volta che diciamo una delle nostre parole inventate. Vivitimo. Tuono. Sassoweso. Tuono. Diciamo “tuono” insieme dopo aver pronunciato ognuno la sua nuo-va bruttura, e comincio a provare una sensazione strana, che la parola tuono abbia meno senso di tutte quelle che abbiamo generato io e lei. Guardando-mi intorno, vedo l’erba e gli alberi, e il cestino del picnic, e tutte le parole che rappresentano queste cose mi sembra-no sciocche e inutili quanto quelle che stiamo figliando. I tuoni rotolano l’uno sull’altro sempre più persistenti, minac-ciosi, il cielo che si fa giallo e turbolen-to. Non ci muoviamo da dove siamo, non vogliamo smettere. Ogni parola inventata adesso è pronunciata ad alta voce, con tono sempre più cupo, stregonesco. Ghienoseno. Furfurmale. Ballistro. Juneopanico. Xassaxone. Tyo-spero. Un tuono più forte di tutti scuote il creato. Il cielo si spacca e un lembo nero apre le nuvole, buttando un suo-no basso e offeso sulla terra. La pioggia non scende.Lei si alza in piedi, il mento in su, sfida le vette con occhi sbarrati e fieri e spaven-tati, si prepara a qualcosa. Io lo so, a cosa. Tutt’a un tratto abbiamo capito.L’attesa è finita.Lei dice la sua ultima parola e tutto vie-ne giù.

David Fragale

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Giacomo Clerici, Coppia Post Nucleare

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LUANA GRATO - POSTFATA RESURGO

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Ci sono mattine in cui il sole è filtrato dalla finestra, ma un raggio ti ar-riva comunque in faccia. Ti svegli, scendi dal lato giusto del letto ma ti senti comunque felice come una mosca in un prato di stitici. Se la not-te ti è andata male, condizionerà il giorno seguente. E così via. Sarà un ciclo che si spezzerà solo quando, una mattina in cui sarà bel tempo, il cielo sarà grigio e starà sputando acqua, scenderai dalla parte sbaglia-ta del letto e, senza pazienza, dirai “me ne passa per il cazzo della po-polazione mondiale”. Non si è cattivi nel dirlo, io giustificherei chiunque lo dicesse. Il fatto è che è più facile preoccuparsi solo e unicamente di se stessi, che di tutta la gente che ci circonda. Non si tratta di egoismo, si tratta di difesa. Se dovrai perdere tutto quello che hai, che senso ha averlo? Che senso ha avere amici per poi cambiare città e non veder-li mai più? Che senso ha avere una ragazza che finirà col tradirti? Che senso hanno i legami, se poi verranno sempre spezzati dal tempo? O dalla stupidità umana. Passiamo la nostra vita a riempirla di cose di cui potremmo fare a meno. Ma per non sentirci pieni e vulnerabili, o sfigati, ingurgitiamo qualcosa che sembra oro, ma che solo dopo i primi due se-condi in cui l’hai messa in bocca, ti accorgi essere merda. E mi dispiace per te, amico, ma è troppo tardi per sputarla. Anche se lo facessi il sa-pore ti rimarrebbe in bocca per un bel pò. Costruite barricate di mattoni per proteggere il vostro io da quello che c’è fuori, ma il vostro fottuto io è claustrofobico e curioso. Uscirà dalle mura del castello per essere preso a calci nel culo dalle persone di cui vi fidate di più, per poi tornare con la coda fra le gambe nella casa che prima gli andava stretta. Ma è talmente stupido che farà questo per tutta la vita. Sarà chiuso, si fiderà, uscirà, verrà preso a calci nel culo, tornerà dentro e poi, dopo un pò di tempo, si fiderà di nuovo. Passerete la vita a dire “questa è la persona giusta” e “mi sbagliavo”. Passerete la vita a circondarvi di persone che credete vi vogliano bene e siano disposte a sacrificarvi per poi mori-re pensando “quanto mi stanno sul cazzo tutte queste persone che mi fissano”. Continuerete a cercare persone con cui passare la vostra vita perchè per voi essere soli è sinonimo di debolezza. Ma la realtà è che nessuno è abbastanza coraggioso da passare la vita da solo. Nessuno è abbastanza forte. Vivere è un pò come andare a pesca, sei sul ciglio del fiume con la tua canna in mano, speri di prendere un bella trota da quattro chilogrammi, ma tutto quello che trovi sono tinche non più gros-se di un paio di dita che ti fanno consumare l’esca e sei costretto a ri-gettare nel fiume. Quando finalmente arriva quello che volevi te lo porti a casa, durante il viaggio fantastichi sul modo migliore per cucinarlo, ma quando lo metti in bocca ti rendi conto di aver sbagliato la cottura e devi buttare una giornata intera nell’immondizia. La vita è così, aspet-ti le persone giuste vivendo per strada, ma peschi solo deficienti che sei costretto a rigettare sul marciapiede. Quando trovi la persona che ti sembra giusta e te la porti a casa, non per farla sulla piastra accom-pagnata da pomodorini, ma per iniziare qualcosa, ti rendi conto di aver alzato troppo la fiamma e sei costretto a buttare via tutto il tempo pas-sato assieme. Butti via tutta i sogni, i progetti e i patti nell’immondizia, insieme al pesce. Perchè si sa, i patti sono come il vetro, chiari e fragili. Ma oramai è troppo tardi, non puoi tornare indietro. Ma se potessi, non ti alzeresti alle cinque del mattino per andare a pesca. Rimarresti a letto, perchè chi dorme non piglia pesci.

CHAPTERXX

Gennaro Mallozzi

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Una scatola rossa poggiata sul comodi-no. Ci tieni dentro i mostri, i demoni, i fan-tasmi. Ci tieni dentro i ricordi. Un casset-to, dello stesso comodino, che ogni tanto pulisci eliminando le schegge dei sogni infranti. La strada, che ti porta a scuola o a fare la spesa, che prima percorrevi con qualcuno e ora percorri da solo. La can-zone preferita che odi, che viene rimessa alla radio come se volessero prenderti in giro. Allora cambi stazione, ma trovi un’altra canzone odiosa. L'ora del pome-riggio in cui litigavate per decidere cosa guardare in TV, e ora puoi guardare quello che cazzo ti pare. Ma la TV è spenta. Tu sei spento. Esci per strada unicamente per non ri-manere a casa da solo con te stesso, perchè sai che ti faresti a pezzi. Cammi-ni guardando le piastrelle e le bottiglie di birra vuote, riempite con le luci accese di una città spenta. Cammini secondo il tuo ritmo, ora che non devi aspettare i suoi passi più corti dei tuoi. Fingi che sapere dove sia non ti interessa, ma guardi ogni panchina, allunghi il collo dentro ogni bar e cerchi il suo profumo fra l'odore del fumo e dell'erba di chi tenta di soffocare i mostri della propria scatola rossa. Tic tac, il tempo scorre ma non te ne accorgi. Passa lento sulla pelle e ti lascia i brividi. Cammini secondo il tuo ritmo, fino a che non ti fermi. Un cazzotto ben assestato nella bocca dello stomaco ha spinto il diaframma sui tuoi polmoni, ti insacchi e perdi fiato. Per cazzotto intendo: i suoi occhi che guardano i tuoi e poi guarda-no altrove. Allora ti chiedi se ad entrambi manca il respiro, o sei solo tu il povero de-ficiente della situazione. Ti chiedi se sei

così facile da dimenticare, se hai lascia-to così poco il segno. Tutti quei momenti in cui ti sentivi leggero, in cui pensavi di poter fare qualsiasi cosa. Ti dimenticavi dello studio, degli impegni, dell' appeti-to e della sete. Un solo piccolo momento rincoglionisce anche le più intelligenti persone. I vostri occhi vedono tutto a ral-lentatore. Sta parlando e voi notate ogni ruga d'espressione che la rende perfet-ta. Notate le palpebre chiudersi e aprirsi come un sipario per mostrarvi lo spet-tacolo della natura che ha creato quegli occhi. I capelli accarezzati dal vento, il gesticolare così fine che sembra una danza. Noti tutto questo e non hai capito un cazzo di quello che ha detto. Ma non ti importa perchè sei felice. Hai ripensato a tutto questo in un solo tic-tac. Ora che la tua mente ti ha riportato nel grigiore della serata ti rendi conto di quanto sei ridico-lo. Sei più o meno come un cane che tenta di mordersi la coda, oppure come lo stes-so cane che riporta lo stesso bastone al padrone senza capire che non arriverà da nessuna parte. Ricominci a farti domande e ti chiedi se c'è qualcosa di intelligente da dire, o di stupido, che possa migliorare le cose. Stai lì e non dici niente, i tuoi occhi tentano di parlare attraverso lacrime pie-ne di sconforto. Ma li trattieni, preghi che non lascino trapelare nulla. Sai che stai per cedere, allora distogli lo sguardo e vai via. La verità è che sei un codardo, perchè hai mille e più cose da dire ma continui a tacere. E intanto, tic -tac. Il tempo passa e non torna più, proprio come le occasioni.

SCATOLAGennaro Mallozzi

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"PREGO, SI ACCOMODI...""E' PERMESSO?""DUNQUE, VEDIAMO UN PO'... LEI HA GIÀ ESPE-RIENZA NEL SETTORE?""IO... VERAMENTE FINO A POCO TEMPO FA LA-VORAVO IN UN ACQUARIO""AH, IN UN ACQUARIO... INTERESSANTE! E DI COSA SI OCCUPAVA DI PRECISO?""FACEVO LA GUARDIA. CONTROLLAVO CHE I PESCI NON SCAPPASSERO""LA GUARDIA AI PESCI EH? QUINDI NON SI È MAI OCCUPATO DI LAMINATI PLASTICI?""NON SO... HANNO LE PINNE?""BEH, NO... DIREI DI NO""AH... E LE BRANCHIE?""MMMNO, NEMMENO LE BRANCHIE...""ALLORA NO, NON ME NE SONO MAI OCCU-PATO. MA SONO UNO SVEGLIO, SA? UNO CHE IMPARA IN FRETTA!""QUESTO NON LO METTO IN DUBBIO MA SULL'ANNUNCIO C'ERA SCRITTO CHE CERCA-VAMO GENTE CON ESPERIENZA NEL SETTORE E A QUANTO PARE LEI NON NE HA""MA IO HO BISOGNO DI LAVORARE! LA PRE-GO, MI DIA UN'OPPORTUNITÀ!""MI RISPONDA A QUESTA DOMANDA: PER-CHÈ DOVREMMO ASSUMERE LEI CHE NON HA ESPERIENZA ANZICHÈ QUALCUNO A CUI NON OCCORRA INSEGNARE DA ZERO IL LAVORO?""DEVO RISPONDERE SUBITO?""NO, FACCIA PURE CON COMODO. CI PENSI PURE UN PO' E POI MI DICA. NEL FRATTEMPO LE FAREMO SAPERE""NO NO, ASPETTI! GLIELO DICO SUBITO! CE L'HO QUI SULLA PUNTA DELLA LINGUA!""BENE, DUNQUE. MI DICA...""IO...""SÌ?""IO...""LEI...""IO...""...""IO...""VA BEH, HO CAPITO... LE FAREMO SAP...""NO NO NO, UN ATTIMO!! ORA MI È VENUTO!""EBBENE?"

"ECCO, DOVRESTE ASSUMERE ME PERCHÈ SONO UNO CHE LAVORA DAVVERO BENE! DOV'ERO PRIMA IN TANTI ANNI NESSUN PESCE SI È MAI LAMENTATO. E NON NE HO FATTO MAI SCAPPARE NESSUNO, SA? UN PAIO CI HANNO PROVATO MA IO ZAC! COL RETINO LI HO MES-SI SUBITO AL POSTO LORO! E POI SONO PUN-TUALE COME LE MESTRUAZIONI DI UNA CHE PRENDE LA PILLOLA. E POI SONO DISPOSTO A FARE QUALUNQUE LAVORO, CON QUA-LUNQUE ORARIO PER QUALSIASI STIPENDIO. LAPREGOLAPREGOLAPREGO, MI DIA UNA CHANCHE!""QUALUNQUE LAVORO HA DETTO, EH?""SISISISÌ, QUALUNQUE!""PROPRIO QUALUNQUE QUALUNQUE?""PROPRIO QUALUNQUE QUALUNQUE QUA-LUNQUE""DICA... LEI È MAI STATO DEFLORATO ANAL-MENTE?""PREGO? NON CREDO DI AVER CAPITO...""INVECE CREDO CHE ABBIA CAPITO BENIS-SIMO... LE OFFRO UN LAVORO FACILE CON POSSIBILITÀ DI ESSERE PAGATO SUBITO. CO-RAGGIO, SI ABBASSI I PANTALONI!""MA QUI, ORA?""SÌ, CERTO! SU, SI SBRIGHI CHE DOPO DI LEI HO ALTRI TRE COLLOQUI...""MA SE LO FACCIO POI MI ASSUMERETE?""CERTO, COME NO! CORAGGIO, GIÙ STE BRA-GHE E MANI SULLA SCRIVANIA!""E VA BEH...""...""AHIA!""E CHE VUOLE CHE SIA... PUFF... PANT... IL GIU-STO PREZZO PER UN FUTURO RADIOSO! PANT... PUFF...""OHIOHIOI...""PUFF... PANT... PANT... PUFF...""MADONNINA VERGINE CHE MALE...""PUFF... PANT... AAAAH... ORA SÌ! PREGO, PUÒ RIMETTERSI I PANTALONI!""AHIAHI CHE DOLORE... E PER IL LAVORO, AL-LORA?""LE FAREMO SAPERE, VADA PURE..."

COLLOQUIO DI LAVORO

Luca Oggero

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LA CITTÀ SFANGA IL PRESENTE, ESAUSTA D’ACQUA.

CHILOMETRI DI INSONNIA IN QUELL’ONDATA NOTTURNA.

LA PAROLAALLOGGIAIN UN TERRIBILE MOTELDI CALME RANDAGIE

INFERNI DI LAGNEDEPOSITATIIN RIVA AL GIORNO

SENSI DI VITAINSOZZATIDA UN’INQUIETUDINE FLUVIALE..

CIELO PIAGNONE,SEI PIETRA SCALCIANTENEL GREMBO DELLA TERRA.

SEMBRIAMO UN ADDIOSOTTO LA PELOSITÀ DELL’INFINITO

UN MOMENTO,“SEMBRIAMO”.

Francesca De Michele

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INQUIETUDINI FLUVIALI

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La domenica pomeriggioguidi la macchina

più lentamentedel solito

in cerca di serenitàe di qualche posto che ti rassomiglia

piano pianosegui la striscia bianca della strada

ed eccolo lì il mondo gigantesco

che si perde in quartieri vuoticentri commerciali affollati

buio e luci gialleti senti così buono

da voler parcheggiare scendere

e godere delle stesse sensazioni

10 minuti in macchinavalgono più di ogni serata

mentre tutti quanti

passeggiano come morti.

Turesti in macchina

e senti che la sua anima

è più forte di tutte le anime

che vagano lì fuori.Vorresti che quei

10 minuti diventassero

20poi 30

e poi una serata

e poi ancora tutte le serate.Ma…come si può rendere l’attimo eterno?Non si può.

Per l’eternità bastano 10 stupidiminuticon un vetro sporcoche ti nascondedal mondo,un volante fermo che non ti portain nessun postoe qualcuno che un’animaancora ce l’ha.

10 MINUTI IN MACCHINA

di cui gode la gente“ecco lì giù un posto nel parcheggio del cinema”te lo freganoeti arrendisopraffatto da lucitramontinoiastupiditàbrava gentee l’unica cosa che ti resta da fareè continuare a girarein cerca di un parcheggioaspettando che che finisca tutto

OGNI STRAMALEDETTA DOMENICA

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Gli amori perduti in qualche inaugurazionee quelli ritrovati per caso in qualche ufficio di colloca-mentoIl ricordo del sesso sporco su stradae il sesso sporco che non c’è piùLe chat erotiche come dei lampi nel buioI ricordi dell’infanzia, male-dettiLe foto delle persone più careL’alcol dei weekendI parenti tutti, da quelli silenziosia quelli strafatti durante i banchetti nataliziGli amici abbandonati per mancanza di gambeGli amici con le gambe in ariaChi ti ama costantementee chi ti odia da sempreLe persone perse in sé stesseLe droghe leggereL’alcol degli altri giorni come un paracadute difettosoLa musica di prima - aggres-sivae la musica di adesso - mal-contentaGli interessi momentaneiLa pittura, la scultura, la fotografiale letture: da Nietzsche a BukowskiL’ incertezze future come un’ulcera

I soldi a volte tantia volte pochiIl lavoro che non si stabilizzaLa famiglia che si disgregaLa famiglia che si ricreaDel veleno per piacereQualche figlio nel futuroUna moglie che non ti resterà fedele per sempre Un antidotoUn’amante molto più giova-ne di tua moglieGli affari politiciInternet e Facebook e tutti i social network del cazzoLe Postepay e i conti in bancaI picnic e le cene in tantiLa solitudine e il fatto che continui ad imbarcare acquaLa provincia come oasi feliceLa provincia, in realtà, come morte

sono solo dei ventilatori che

ti scuoterannoti percuoterannoti esalterannoe ti atterrerannoma alla finequando finiranno,perché finiranno,ti riconsegnerannodolorosamentea te stesso.

SONO SOLO DEI VENTILATORI

MARCO POLANI

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LUIGI ANNIBALDI - LEGGERE UCCIDE