Pastiche #34 agosto

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versicontroversi mensile gratuito Luca Zavattini - Embrace scippa l’arte e la poesia 08/2014 PASTICHE n.34

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Non smetteremo mai di essere quello che siamo /

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versicontroversimensile gratuito

Luca Zavattini - Embrace

scippa l’arte e la poesia08/2014

PASTICHEn.34

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a

Collaboratori: Chiara Fornesi, Fara Peluso.

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Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta chiaramente agli autori.

PASTICHE pensata e redatta da Paolo Battista.

Grafica e impaginazione a cura di Moodifwww.facebook.com/pasticherivista

http://issuu.com/pasticherivista

David Foster Wallace / \ / LA SCOPA DEL SISTEMA

I RAGAZZI DI OGGI MI PREOCCUPANO.INVECE DI BERE BIRRA E ANDARE AL CINEMA E PERDERE LA VERGINITÀ E SPIARE NEI BAGNI DELLE RAGAZZE E DIMENARSI AL SUONO DI RITMI SGUIATI SE NE STANNO LÌ A INVENTARE LUNGHE STORIE TRISTI E CONTORTE.

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I Atto

odio le domande della gente, da starci così male,

da finire in psichiatria /

tutta la notte a piangere ( senza lacrime ) /“ sindrome dell’abbandono “

e voglia di saltarti addosso ( niente di sentimentale ) /

il rubinetto che sgocciolae fantasmi etruschi impressi nella muffa /

passare ore a grattarsi il naso e strofinarsi gli occhi /

nei silenzi dell’emicrania /

il dio della luce cerca spiragli ( o meglio crepe ) o balconi da cui affacciarsi /

cREPE

Paolo

Batti

sta

II Atto

restare distesi senza far caso al nulla /frigo vuoto e ragni in altalena /

è la complicità che cercavamo?

( per un istante abbiamo smesso di farci la guerra ) e adesso ci aspettanosogni neri come l’asfalto /

tu già dormi/

io, occhi spalancati /

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Rapida collezione di causa-effetto irriverente pratica di modelli matematici colloidali, sinuosi, rapidi collaterali soffi di sifilide estinti sul retro di muri di plastica; specchi retrovisori di specchi ustori al largo di Siracusa, al largo di Lampedusa; tratti di mare invasi da zattere collose, resina impetuosa ai margini della collina scafista imbarcate fra le dune del Libano (Libia?), attraverso colpi di canno-ne, promesse di ritorno a casa, viaggi nel tempo benaugurali, immagini travisate di luoghi irrisolti, dentro parole vuote di significato, almeno quanto me, almeno quanto il resto dell’esistenza, della resistenza avviata placidamente verso la consuetudine, il disordine ovattato di giorni e notti passati in mare, dentro una plastica oleosa matura di mare, notturna immagine di sollievi stanchi di resistere troppo a lungo alle promesse di futuro incerto, coperti dal rumore dei colpi di mortaio, promessa di tortura, lucidi piegamenti di tendini, lussazioni di articoli da regalo, coscienza a festa, in lutto per incoscienza, madida di immagini sovra-stimolate dal ritorno di immagini irreali, di là dallo spec-chio oltre il muro di mattoni: latero cemento disfatto da un terremoto extrasensoriale, mistificato dal passaggio del rasoio sulla mia guancia: la destra; avanti, indietro; avanti indietro; un passo falso, uno dietro l’altro, emergono ricordi di proiezioni di onde elettromagnetiche sparate da stelle di neu-troni in rivolta, affastellate attorno alla rivoluzione di mille soli, a legioni di galassie troppo intente a cambiare la teoria quantistica delle particelle elementari, antimateria di antimateria, sillogistico

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intervento del caos, introdotto dalla sovrastima causata dalla convinzione sistematica che attraversare un piccolo braccio di mediterraneo sia meno rischioso che affrontare la propria esistenza in guerra, imbracciando la disperazione di un viaggio pagato con i sogni di una vita, pagato con la vita stessa, cerebrale elementare, adolescente e diafana, masticata dalla cultura del tempo, irrisorio concet-to immaginifico, incerto margine di struttura infantile, biologia basilare eterosessuale; collaterale ossessione di senso, particolato sognante intimo e sovrapposto; istigo la violenza verbale ad essere stratificata attraverso una collezione immaginifica di fiori di nylon, introversa diaspora accondiscen-dente, trasposta attraverso il rapido affastellarsi dei mille soli; unica sollecitudine di cambiamenti di significato uniti alla mia immagine pandemica, liberata dal vaso di Pandora, misterico atto liberato-rio viscerale immagine del me stesso riflesso attraverso una superficie di mercurio e vetro, millimetri giustificabili dall’assuefazione indotta dall’acido lisergico, moltiplicato dall’evoluzione sistemica della rivoluzione planetaria attorno al proprio asse, il mio atto liberatorio, in cui la visione di collisioni sottomarine si ripercuote sulla illibata quarta dimensione del caso, del caos?, matriciale conseguen-za del mio essere labile traslucido acquirente liscivioso di stupida cocaina, verbale acquisizione di sollecitudine, senso serafico di una rapida conseguenza di una ricerca di logica creativa, dissuasa da uno specchio ustore installato sulla superficie di Marte, durante un rapido inverno invertebrato, scon-siderato margine di sviluppo per la colonizzazione del suolo, humus di coltivazioni di oppiacei, come conseguenza immemore della lettura delle poesie di Mallarmé, inguaribile assenteista del tempo, rovesciato come acqua sporca dentro asfalto spugnoso, imbevuto di materico istinto di navigazioni solitarie su sestanti sonori, una bussola invertebrata che snocciola insignificanza, mentre uomini e donne sbriciolano certezze, sulle nostre coste sabbiose, navi di fantasmi in tuta mimetica asseverano la presenza di una povertà solida e lisciviosa, disperata consapevolezza della presenza del fango sotto le nostre scarpe, diligente immagine che sprigiona una solida assenza di gravità, nuvola tragica di sovraesposizioni agli effetti del contatto con l’antimateria, mentre fiori di ossidi di americio fuorie-scono stanchi dagli scarichi delle macchine del tempo.

ATTILIO SCATAMACCHIA

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e

Sono le solitudini cio' che mi appassionano,poichè vi è un mondo nascostodove si può trovare la nostra anima;si puo' scappare dalla solitudinema a cosa servirebbe?si puo' fuggire da noi stessi,navigare in essaci conduce alla scoperta dell'autenticolontano dal rumore e dal clamoreconosco del mondo ciò che devoamo solo l'essenziale.

LUIGI FINUCCI

Come si può morir due volte?nemmeno un bimbo

dopo essersi bruciatocommette lo stesso errore,

l'errore umanoil perseverare distrugge il cuore

lo rende di vetrorispecchiando memorie così lontane

che offuscano il cammino serenoportando alla pazzia,

consapevolezza di vederenegli uccelli

un volo mancato.

SOLITUDINI

MEMORIE

Cosa c'è di sotto?

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f

   Io me la spassosì, me la spasso.   Ho passato periodi tristicupiviolentirischiando di marcire nella disperazionementre tentavo suicidi insicuri.   La vita è un bel paccoed è tutto compresoil cielo, gli orroriil sesso, le solitudinil'ansia di universi arcanila tua donna incavolatatu con le tue crisi che non si capisconoil mondo che rotola giù per le vie fognariei cani randagi allucinati da cibi decompostiche si aizzano contro le macchineintravedendo magari dei mostri.   Ci sono strade fatte per tipi solici sono soli fatti per strade da scoprire.   Al bar non c'è nientenon c'è niente neanche in piazzanon c'è niente nelle festenon c'è niente perlopiù

dappertuttoeppure ogni tanto ma molto di radosbuca fuori un tipo stranoun tipo malmessouno che sembra osservare altri universio magari semplicemente una panchina solitariae va a sbracarsi come fosse unicoe poi non c'è più nessuno.   Non me ne frega niente dei vostri probleminon me ne frega niente neanche dei mieicerco di andare oltrevoglio saltare quel muroe poi volarefino all'improbabileanche se fosse semplicemente uno schianto;che poi, semplicementebehdipende dal punto di impatto.

GIOVANNI FAVAZZA

Cosa c'è di sotto?

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\ /\/ CHIARA FORNESI \ /\/

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come andare, se tu sei la radice che mi porta con il sole, la luna, e undici stelle– e in meversa tutti i succhi [...]?

ero un astro libero, un dado brillante scagliato da Lucifero– hai fermato la sua rotazione, l’hai fissato nel cerchio della rossa scorza fungosa\

sono un astro appesoche scivola sul tuo olio verticale, su e giù– con il concime e la feccia delle cose, [e non desidera di più];

sii la sua orbita, cristallina ed eretta,lascia che ti succhi la clorofilla\

\\\AMARJI, tratte da “ROSA DELL’ANIMALE”: dialogo poetico d’amore con Maria Grazia calandrone \ in stampa.

\\\

con il ramo della vista rosso e tenero tendo una mano dalla finestra della bianca cecità cosmografica verso il tuo corpo

il frutto del tuo corpo è un grappolo di pendagli bianchi\ che cade tutto in una volta nella sorgente del tempo, ostruendo gli sbocchi della conversione

(*) passi nuda tra linfa e corteccia il tuo corpo il mio corpo è sul fiore della notte sul neurocranio del bahamut

1.

2.

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con il ramo della vista rosso e tenero tendo una mano dalla finestra della bianca cecità cosmografica verso il tuo corpo

il frutto del tuo corpo è un grappolo di pendagli bianchi\ che cade tutto in una volta nella sorgente del tempo, ostruendo gli sbocchi della conversione

(*) passi nuda tra linfa e corteccia il tuo corpo il mio corpo è sul fiore della notte sul neurocranio del bahamut

\ /\/ DEBORA PASCALE \ /\/

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Il cadavere che non c'era

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ROSARIO BATTIATOda un’ idea di

ESTEBAN GARZON

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n

Le sere estive da noi sanno essere particolarmente unte. Sembrano gocciolare. E non si tratta soltanto dell'umidità, che per l'isolano medio è la causa di tutti i suoi mali (compreso il lavoro e/o la voglia di lavorare), ma di un rampicante invisibile che si insinua nelle cose e le deforma. Le fa colare come un quadro di Dalì fino a farle dissolvere. E forse sarà questa specie di clima lisergico che si accalap-pia la mente e le lascia creare situazioni e storie che altrove non avrebbero modo d'esistere. Però le storie inventate, spesso, hanno conseguenze reali nella vita di tutti noi. C'erano due cittadine poco distanti. I nomi non sono importanti. I ragazzi e le loro famiglie percor-revano quelle strade abbastanza frequentemente anche per sfuggire alla verga estiva che sferzava menti e corpi e che, nel paese numero 1, era particolarmente virulenta. Nel paese 2, che era appena più elevato della collinetta in cui ragazzi e famiglie passavano la loro quotidianità, c'era qualche colpo in meno. Accadde proprio durante una di queste sere. Si dice sia la noia, invece è soltanto la creatività, che spesso pesca in un bacino purulento e malsano, a creare le situazioni più incresciose. I ragazzi pensarono di fare uno scherzo. Semplice. Innocente. Pericoloso. Ma prima serve una premessa. La strada che unisce i due paesi non è asfaltata né illuminata. Sembra una minuscola protuberanza che lega, muta e cieca, due organismi unicellulari abbracciati da una fitta boscaglia. In queste lunghe passeggiate la tensione si adagiava sui minimi storici. Il gruppo, mossi i primi passi in compattezza, si contraeva ed espandeva, un effetto fisarmonica, sulla base dell'interesse delle conversazioni. A volte capitava pure che si smembrasse, formando dei piccoli gruppi di conversazione. C'erano tre coppie di genitori e rispettivi figli. In totale undici persone. Ai due figli più grandi venne l'idea. La più grande idea della loro breve vita. Il piano era stato espo-sto, a via di gesti, mugugni e battutine, anche agli altri cugini presenti che ovviamente avevano colto al volo la proposta. Ci volle poco per la realizzazione. Approfittando della serata fresca e nera, i due si allontanarono dal nucleo, mentre gli altri, guidati dal terzo in ordine di età, sovrintendevano alla situazione. In caso di pericolo avrebbero tentato di concentrare l'attenzione su di loro. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Il piano era semplice ed efficace. I due cugini più grandi avrebbero confezionato una scena del delitto un centinaio di metri più avanti rispetto al gruppo. Uno dei due, il più grande, si sarebbe completamente denudato, perché poteva pure capitare che nonostante l'oscurità qualcuno riconosces-se i suoi capi, e poi, accoccolato in terra, avrebbe finto la morte apparente, suscitando la meraviglia dei parenti. All'avvicinamento degli adulti per l'esame del cadavere, il ragazzo, rimessosi in piedi, avrebbe urlato a squarciagola, riempendo la notte isolana del finto risveglio di un morto vivente. E tutti loro cugini avrebbero goduto alla vista dei visi della famiglia colorati di stupore, orrore e paura. E così quei loro genitori così rigidi e inflessibili, eppure così deboli e vulnerabili nei confronti della morte, sarebbero stati ridimensionati. Ovviamente avrebbero incassato la successiva punizione, ma da quel giorno li avrebbero pesati diversamente. La prima parte del programma andò benissimo. I due si allontanarono dal gruppo ed ebbero tutto il tempo per preparare la scena. Il finto cadavere in strada, l'altro nascosto dalla vegetazione appena più in là per non perdersi lo spettacolo. Il gruppo arrivò. E passò. Senza commenti, senza proferire verbo. Superarono il finto cadavere senza curarsi, almeno apparentemente, di un ragazzo nudo e riverso di fianco, sporco di terriccio. Pareva impossibile non notarlo, sebbene fosse buio, perché il chiarore della luna illuminava comunque quel tanto necessario per riconoscere le cose intorno. Eppure passarono. Quando si furono sufficientemente allontanati il finto cadavere si rivestì. Correndo a perdifiato i due cugini si riunirono al gruppo. Pareva non ci fosse niente di alterato nel clima placido di quella serata. Si scambiarono un cenno d'intesa con i tre cugini che avevano vissuto lo scherzo dall'interno. Si allontanarono tanto quanto bastava per discutere e intendersi. “L'hanno visto?”, chiese il più grande. “Noi l'abbiamo visto di certo”, risposero i tre rimasti col gruppo. “E quindi?” incalzò il primo. “Quin-di niente. Nessuno ha parlato o detto niente, hanno semplicemente proseguito”. C'è sempre un problema in questi casi. Quando dei ragazzi pensano di avere avuto un'idea geniale, e la presunta idea geniale si rivela un fiasco, allora si passa alla fase dell'incaponimento. Cioè fare in modo che funzioni. A ogni costo. Così accadde. “Adesso ci penso io”. Approfittando dell'imminenza della città 2, il cugino più grande passò davanti al gruppo e lo staccò.

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o

L'aria era lievemente più fresca, e non frustava più. Solleticava al massimo. Ma non servì a placare la sopraggiunta follia di quel piano. Il ragazzo corse verso la caserma della polizia. In quel luogo lavorava un suo caro amico di infanzia. Pensava di coinvolgerlo in un gioco che ormai si faceva sem-pre più balordo. Aprì la porta. Fu investito da un gettito d'aria maleodorante che sapeva di sudore e punizione. All'accettazione c'era un tizio nero ed enorme. Completamente glabro. Chiese dell'amico. Il grassone volle sapere il motivo. Sempre poliziotti sono, in fin dei conti. “Visita di cortesia”, disse. “Le visite di cortesia si fanno a casa, non al lavoro”. E quindi tornò a osservare il vuoto sulla sua scri-vania, come se si fosse spento. Poi sollevò appena lo guardò, tanto quanto bastava per vederlo uscire dalla caserma. Il gruppo intanto era arrivato. Famiglie e ragazzi si erano sparpagliati tra i luoghi della città 2. La giornata trascorse senza troppi patemi. Poi tutti tornarono a casa. Nessuno parlò. Rifecero la medesima strada al contrario. Nessun cadavere. Eppure qualcosa era accaduto. Nella lunga notte isolana ci furono dibattiti e discussioni. Tornate a casa le famiglie parlarono separatamente. Poi si sentirono per telefono, e parlarono ancora. Il cadavere non era passato nell'indifferenza. Tutti avevano visto e taciuto. Al ritorno la riunione tra i capifamiglia aveva sancito la decisione: chiamare la polizia e dare una versione comune.La polizia fu chiamata. Fece le domande di rito e si ritirò. I poliziotti erano in due. L'amico del cugino più grande e il tizio enorme e glabro. Che ovviamente vide il ragazzo a casa di una delle famiglie. Lo vide e lo collegò a quel giorno e a quella richiesta. Il ragazzo non fu interrogato, ma il ragazzo fu riconosciuto. Qualcosa non quadrava in tutta quella storia. Il ragionamento del poliziotto: i genitori avevano detto di aver chiamato la polizia dopo il viaggio di ritorno, però il ragazzo evidentemente sapeva qualcosa prima ed era stato in centrale per parlarne con l'amico già alla fine del viaggio di andata. Coincidenze? Il punto era: fino a che punto era coin-volto? Fino a che punto erano coinvolte le famiglie?Mentre queste semplici domande affastellavano la mente del poliziotto, che si era ripromesso di fare un altro giro in casa del ragazzo per parlargli senza l'ingombrante presenza del collega, la situazio-ne prese una piega rapida e inspiegabile. Sono i dettagli a metterci nei guai. Quando la mente è sovraccarica, oppure sovreccitata, l'ovvio, che solitamente occupa uno spazio ben definito e stabile nella nostra quotidianità, si traveste di assenza. Il cugino più grande, il finto cadavere, si rese conto di essere senza documenti. Li aveva evidentemen-te persi nell'atto di spogliarsi. La storia aveva ormai preso uno sviluppo autonomo. Era un serpentone cinese senza gente dentro. Che fare? Raccontare tutta la storia ai genitori? No, era troppo tardi. Il ragionamento del ragazzo: meglio continuare a fingere, del resto per indagare la polizia aveva bisogno di un cadavere, e il cadavere non ci sarebbe mai stato. Ma il serpentone, senza uomini a guidarlo, è fuori controllo. Lancia capocciate a destra e manca, e distrugge ogni cosa senza andare poi tanto per il sottile. Accadde così che il cugino più grande co-municò ai genitori solo l'essenziale: aveva perso i documenti il giorno prima nel bosco tra una corsa e l'altra. I genitori parvero rabbrividire. Si guardarono, sospirarono. Il ragionamento dei genitori: c'è un cadavere nel bosco, il loro ragazzo aveva perso i documenti nel bosco, sarebbe stato un sospettato. In ogni caso. Tante domande incrociate e visioni contorte di uno scherzo sin troppo riuscito. Un cortocircuito, insomma. I genitori del cugino spesero tutti i loro risparmi per fare dei documenti falsi e spedire loro figlio in un Paese lontano. Da immigrato non desiderato. La polizia non avrebbe trovato nulla: né cadavere né documenti. Erano stati tutti sepolti dalle menzogne.

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Eppure, esistono persone che hanno modi di vedere degni di uno sfintere al posto agli occhi; quelli che hanno un pianeta davanti gli occhi e non sono capaci di fare un passo indietro per vedere l'intero universo. Non so, noi baciamo o pretendiamo un approccio da una persona protendendo le labbra o le mani, ma in realtà è il guardarla e cominciare a ricordare perché la desideriamo che fa la differenza. Il sistema nervoso centrale fa accellerare il polso, il lobo frontale abbassa le inibizioni e sentiamo il bisogno di baciarla o di averla. Noi siamo cosi: impulsivi e compulsivi.Si rilascia ossigeno nei respiri profondi sprovvisti di ritmo, si tessono sogni come una sorta di follia della polimerizzazione dei desideri o la circon-ferenza meschina vestita sexy come i desideri per spingere triptofani a produrre serotonina attraverso neurotrasmettitori impazziti che si toccano e si scopano tra loro con dita spesse come vibratori del nervoso centrale. E' un'inerzia comparabile a un dio eterno che ha vissuto e si riproduce in mille infiniti, negli strati più profondi per bruciare i pensieri più freddi. Attraverso queste apparentemente complesse interazioni biochimiche, impariamo a sopravvivere alle nostre vite al limite, di sognare poesia per lasciare le briciole come piccoli sassolini nascosti sotto il peso di questa in-spiegabile fiaba chiamata vita che ci vede come irrilevanti particelle micron nei meandri dell'universo. E' la magia del colore, una scala cromatica oltre il chiaroscuro e l'illuminazione impigliata ad una bobina.La diffusione di stagioni a spirale, incatena alla filosofia; i lugubri della ciclica e caleidoscopia sul senso della rugiada e la bellezza; un elettricità distillata in funzioni. Un fiore, si ama odorarlo sempre, è essenzialmente uno sconosciuto;un petalo denso e profumato: di colore e passione.

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Helbones ArtistLuca Zavattini - Keeper