Pastiche #39 online

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versicontroversi mensile gratuito Olio Moroboshi - Debora Pascale ingoia l’arte e la poesia 01/2015 PASTICHE n.39

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E’ la pazzia che ci contraddistingue. E il cuore, più di tutto. Sfollate la mente e preparatevi al peggio. Noi siamo i testimoni. Noi siamo la verità, la strada, l’ingorgo, l’anima venduta al diavolo. Azzerare tutto e ricostruire, questa la nostra nuova missione. Il resto tutta merda antica che ci manderà in rovina!

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versicontroversimensile gratuito

Olio Moroboshi - Debora Pascale

ingoia l’arte e la poesia01/2015

PASTICHEn.39

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E’ la pazzia che ci contraddi-stingue. E il cuore, più di tut-to. Sfollate la mente e prepa-ratevi al peggio. Noi siamo i testimoni. Noi siamo la verità, la strada, la negazione. Azzerare tutto e ricostruire, questa la nostra nuova missione. Il resto tutta merda antica che ci manderà in rovina!

Collaboratori: Chiara Fornesi, Fara Peluso.

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PASTICHE pensata e redatta da Paolo Battista.

Grafica e impaginazione a cura di Moodifwww.facebook.com/pasticherivista

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Forse sono completamente pazzo, ma ho sempre provato l’esigenza di essere qualcosa di più che umano.

David Bowie, Rolling Stone 206, 12 febbraio 1976

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Ho voglia di prenderti a schiaffi, amica miae sono sicuro che stavolta sarebbe una cosa sana.Credimi non è per gelosia che lo pensoe lo ammetto e lo scrivo ma solo perché parlare con teè come parlare con un muro schizzato di frasi sgrammati-cate

Quanti muri da sfondare - a calci - in questa città?

Amore, fotografa le cose peggiori che ci circondanoe avrai in cambio consapevolezza, la solita arteriosapoesia e una nuova lavatrice usataAmore, ci saranno sempre cose di cui lamentarsi, e muri da sfondaree detersivi da comprare e giustizie sommarie da combattere

Pieno come dopo un pranzo domenicale( l’unica cosa che resta da fare è cagare via tuttoprima che il verme solitario s’impossessi dei miei pensieri )

Quanto è difficile spiegarsi, amica mia e quanto è difficile capirsi[ irritante come un prurito stagionale ]

Ecco che fremo, come un albero scosso dai rutti della terraEcco che vorrei prenderti a schiaffi e vorreiprendermi a schiaffi e vorrei romperti in testa un piatto di porcellanae vorrei rompermi in testa tutto quello che c’è da rompere ( compresi i piatti di porcellana )

Muri dasfondarE

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Amore, la ventola ci tira brutti scherzi, e nei giorni peggiorici piove sulla testa anche stando seduti sul cessoAmore, i muri sono ovunque e ovunque lo sprezzo è paleseAmore, io e te amore, e l’odore di pittura fresca della nuova casa

Ci saranno sempre muri da sfondare - amore - in questa o in un’altra città!

PAOLO BATTISTA

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||| Devis Bergantin |||

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La mia amica mi dice che mi ha sognato. Cioè non ha sognato me, ma nel sogno, uno strano, stranissimo sogno, mi pensava. Aveva sognato la metropolitana, quella nuova che hanno aperto e non c'è. Il comune ci tiene, è la sua opera più importante. Tre stazioni attive e non funzionanti in meno di trent'anni. Il comune si prende cura dei suoi cittadini e ci tiene a farlo sapere. E così, proprio in una delle nuove sta-zioni disabitate, organizza un evento di sensibilizza-zione sul mondo Rom. Si tratta di una performance in cui gli zingari prendono delle signore anziane, con i loro cappotti di lana cotta e i foulard che sanno di cipria e colonia, con i loro cappelli, i loro ombrelli, e le espongono come manichini lungo le scale mobili. Le signore se ne stanno li impettite e si lasciano si-stemare la piega delle giacche, il ciuffo dei capelli, l'inclinazione della falda. Perfette immobili. L'unica cosa a muoversi sono le scale, mobili appunto ma vuote. E fra le scale i ragazzi Rom come ombre fuggenti, quasi trasparenti. In alto sulla scala il vigilante osserva la scena, proprio nel mezzo delle due rampe, pilastro epico di tutto il quadro, nero su sfondo vetro trasparente. Tutto è silenzioso, tranne il cigolare delle scale, mobili: Di fuori, dal vetro, si vedono il parco vuoto, i giochi incartati e i fiori piantati ieri per l'arrivo del sindaco. Un giardino vuo-to. Non ci sono bambini, schiamazzi, non si sente cinguettare, non c'è vento. Una sfera di cristallo al contrario che si guarda da dentro, bella e inutile come una palla di vetro. Le vecchie manichine sono gravide, pance enormi che sembrano dover partorire prima del prossimo treno che non passerà. Somigliano al parco, una promessa di bambino che fa della sua assenza il suo stesso senso. Chissà se sotto i cappotti le pance siano trasparenti e cosa ci si vedrebbe una volta scoperte. Immagino uno spec-chio del fuori, più in piccolo. La mia amica risaliva le scale mobili, immobile, guardava i manichini e gli sono venuto in mente io. Non so se per farmelo rac-contare o perché guardava attraverso i miei occhi vuoti, come vetro trasparente, vuoti e inutili come palle di vetro. Quella notte non ho dormito. Solo lontano e profondo un ronzio nel buio. Un rumore sordo e vibrante, cigolante e ripetitivo come una scala mobile.

METRO

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Sento che il mio spazio interiore si sta ampliando. Non in dimensioni, non più grande. Sento sempli-cemente che in me c'è più spazio, minore densità, pronto ad accogliere. E ci scivolano dentro i ricordi messi da parte, i vecchi amori sono belli e ordinati sullo scaffale, senza minaccia alcuna, come le vecchie foto a casa di nonna. Morti che sorridono e sanno di casa, d'amore e di origini. Anche di polvere ce n'è meno; come avessi fatto pulizia per i nuovi, di amori a venire. Ho spazio per nuove bevute, spazio per nuove parole e spazio per nuovi sorrisi. Anche la poesia si è raccolta in sillogi ordinate e non inonda più tutto lo spazio. Torna lo spazio per i racconti e le storie, chissà, per un romanzo. C'è tanto spazio in questo spazio ripulito, questa vecchia cantina che finalmente rimetto in ordine. Penso alle mie amiche incinta e ai loro compagni in dolce attesa, ai miei nipoti, a lasciare spazio per i giochi delle nuove vite, nasconderci dentro lezioni, tirare fuori i miei sbagli più impol-verati e farne uno spettacolo di marionette. Venite parvulos. Venite neonate emozioni, c'è spazio. Ho foderato le pareti con le voci conosciute, così c'è tanto spazio per la musica, senza quel fastidio-so rimbombo delle pareti vuote. Sto pensando di metterci un'orchestra, che io e il mio computer ci sentiamo soli. Invitare gli amici a cantare, sfidarci in ottave come all'osteria. E invitare le amiche a danzare. In alto sarà tutto colorato dei quadri e delle foto delle mie emozioni prestate, di quelle che ho rubato. Quelli forti avranno il loro spazio pri-vilegiato come pinturas negras nella stanza più pri-vata; anche qui ho tanto spazio, tanto spazio per soffrire e imparare. Nel cesso metterò i rimasugli mal digeriti e ne farò concime per fiori, fiori viola, vivi e cupi, e la puzza di merda sarà profumo nuovo, senza spray o coperture, che le coperture rubano spazio. Le ho buttate: le scuse, le vergogne, i timori, le pudicizie, i rimorsi, i rimpianti. Nella stanza più luminosa, quella più vicino agli oc-chi, al naso, alle orecchie, alla bocca, che prende tutto lo spazio che rimane tra la testa e il cuore ho messo un letto enorme con lenzuola bianche e fresche di sole dove poterti sognare ed amare, mia dolcissima amata che ancora non sei. Vieni più vicina, entra, accomodati. Qui c'è tanto spazio. Tutto lo spazio che vuoi.

LOSPAZIOdaniele casolino

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||| Adrio The Boss |||

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Languidi e sofferenti giovani tossici stesi in scric-chiolanti brandine d’ospedale. Si guardano con-fusamente attorno – le palpebre che ballano in fremiti sconnessi, le espressioni terrorizzate di animali presi in trappola. I volti smunti e in-cavati della pelle presa in prestito, i pugni che strin-gono i legacci di cuoio screpolato annodati alle spalliere dei letti. Odore di antisettico – vampate nitrose di acido in spiraliblu e crepitanti scintille verderame.Le mascelle strette che scricchiolano nel silenzio opprimente dei corridoi intonacati a pezzi, mac-chiati da gialle venature crepate. Il silenzio rotto solo dai lamenti d’agonia che strisciano nelle file dei letti, sordidi versi che si appiattiscono al livel-lo del pavimento ammutolendosi in cupi grugniti strozzati.Il dottore dal volto olivastro e dal bianco camice allacciato al collo come la tunica di un sacerdote passeggia davanti ai malati e li osserva lentamen-te con un torvo sguardo indagatore.«Una semplice visita di controllo, ragazzi. Vi abbiamo distolto dai vostri passatempi quotidiani per qualche giorno soltanto. Statene certi: la vostra sofferenza ha un valore per noi. Un valore scienti-fico... se così si può dire. Ma nulla che possiate capire, ne sono sicuro. Nulla di cui potete essere a conoscenza, per il bene dei nostri studi e per il vostro, di bene. Semplicemente siete i nostri mezzi che operano inconsciamente. Ne andrebbe dei nostri esperimenti se voiconosceste più di quello che ora sa-pete. Siete i semplici terminali di uno studio esclusivo che si collega a vari campi. E, sappiatelo, ciò che vi sto confidando lo dico solo per pura simpatia personale. Vi conosco: lavoro con soggetti come i vostri da molti anni e so bene che le radici comportamentali che vi portano ad essere come siete sono identi-che in tutti voi. Mi ispirate una certa pena romantica... Vi capisco ragazzi. Vi capisco profondamente. Io vi amo... ma ora... bando alle ciance e diamo inizio al lavoro. Su, allungate quelle FOTTUTE braccia!».I mugugni di strazio che provengono dai letti sembrano unirsi in un unico lamento strisciante, dalla forza ipnotica, creando attorno una densa sensazione paralizzante, un’aurea di negatività, che sor-prende anche il dottore, che pare intontirlo e farlo barcollare. Il dottore si scuote, muove la testa in due scrollate secche e alza fermamente le mani ben curate come per acquietare l’agonia dei malati stesi – i loro occhi che supplicano l’uomo, le braccia che tirano con forza i legacci, i visi distorti in un’espressione di rabbia famelica e dolore lacerante. Un altro uomo in camice, più giovane, con grossi

estratto da

/// GOLGOTASOUVENIR

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e spessi occhiali, la faccia bonaria ma il viso angolare, tende una cartelletta con spessi diagrammi e crea una smorfia di disapprovazione con le labbra imbronciate.«È sempre la stessa storia Dottore. Cominciano a piangere, a lamentarsi sempre più freneticamente. Si appal-lottolano, si grattano, si scostano, farneticano e ringhiano come bestie ferite; formano sulle lenzuola pozze di sudore acido che... Dio! una cosa da far rivoltare lo stomaco! Hanno traspirazioni e contrastanti vampate termiche come donne partorienti: sono le doglie delle sostanze chimiche che vengono lentamente espulse, il ricambio doloroso delle loro cellule. A Carlo, il mio anestesista, è capitato qualcosa di esecrabile… Pensi che qualche hanno fa un tossico durante una crisi lacerante gli ha dato un morso sulla mano. Il paziente cercava di divincolarsi come un ossesso, gridava frasi irriguardose verso la moglie di Carlo, sulla figlia... cose irripetibili. E la cosa in qualche modo... ehm... divertente... è che Carlo gli stava somministrando dei calmanti. Se lo avesse saputo il tossico si sarebbe comportato certamente in modo diverso: mai visto uno di loro che rifiuti durante l’astinenza una qualsiasi forma di farmaco. A Carlo gli rimase un molare incastrato nella pelle squarciata del palmo. Non è cosa nuova sentirlo che sussurra durante la pausa caffè il ricordo di quell’accadimento con ariagreve, con un’aria terrorizzata e l’espressione rapita: dice che si ricorda nitidamente il lento scricchiolare del calcio del dente che si frantumava sulla sua pelle...».Lunghe fila di corpi straziati stesi come sacchi di pelle vuota su brandine di ossa flash di sterminate distese di disarticolati corpi ammassati una bassa coltre di gas che aleggia come una sotterranea mefitica nebbia elet-

trica piccoli lampi di energia tambureggiano tra le nebbie che passano sui corpi ammantandoli di scuro – «Bene, ragazzi. Allungate e divaricate le braccia e le gambe e restatevene tranquilli, non vi faremo nulla di male ».Il Dottore occhialuto si avvicina e gli porge il mento ap-puntito fin sotto al collo:«Dottore, non sarà affatto semplice. La Procedura di Lettura è sempre più frequentemente destabilizzata da fatti straordinari, in questa sezione. Viviamo in quartieri nei quali si raggruppano soggetti poco affidabili. Questi tossici ne pensano una più del diavolo! Non si può imma-ginare fin dove possono arrivare per scovare una nuova vena pulita!».«Me lo immagino Dottor Brook, me lo immagino io! Elimini subito dal suo comportamento questi modi arroganti e saccenti. È LEI che neanche si può immaginare cosa io ho visto. Queste piccole zone suburbane di ordinaria de-gradazione sociale ed esponenziale espansione di micro-criminalità, di grossolani tossicodipendenti di sostanze tagliate!... Con le Spedizioni di Lettura ho praticato in terrificanti villaggi orientali nella giungla: grovigli goz-

zoviglianti di uomini senza gambe e dagli occhi ciechi si iniettavano droghe sintetiche e colla disciolta con artigianali bastoni ricurvi. Grossi coacervi di carne straziata edeambulante spalmata di fango e schizzata di sangue. Bulbi oculari che sbocciavano dai visi gialli come orrendi fiori di morte. Non mi venga a parlare di cose bizzarre, Dottor Brook!Decrittare i nostri Messaggi diventa sempre più difficile. Ma non ci scoraggiamo di certo. Lavoriamo in condi-zioni pietose, è vero, ma abbiamo un compito da portare avanti, e lo faremo nel migliori dei modi e coi mezzi che attualmente possediamo!Questi tossicodipendenti sono i nostri tavoli epidermici di lettura. I nostri libri di carne. Come un cieco legge su tavolette in rilievo nella scrittura braille, noi distinguiamo le loro ferite d’assunzione e ne riveliamo le frammentarie notizie chepossono interessare i nostri studi sul Controllo. BI-SOGNO– CONTROLLO: i due fattori intimamente legati su cui basiamo le nostre ricerche. Col passare del tempo, questo lavoro può trasformarsi in un’attività oltremodo piacevole, Dottore. Bisogna eviscerare lo scopo e le volontà giuste, dopodiché ci si toglie anche certe soddisfazioni! Ora... Dottor Brook! Faccia in modo che questi soggetti roteino uno alla volta e lentamente braccia e gambe in modo che possa dare un’occhiata alle ferite interne e esterne: una piccola e iniziale visita generale. Poi procederemo alla più specifica ricerca dei Punti di Lettura. Controlleremo anche le vene inguinali e del pene, non è pocofrequente che usino anche quelle, specie nei soggetti datati. È uno sporco lavoro d’indagine, il nostro!».

ALESSANDRO PEDRETTA ////

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Perchè mi parlisempre in un'ottava superiore?Non credi che i miei nervipossano bastarsi?Oggi c'era gente fuori, sentivo gli abiti sfregarsi e le vocisoffocare. Avevo tasche piene di gettonie le ciabatte strisciavano lentela macchinetta sputava caffè e le solite sentenzearticolo non disponibileeppure era l'unico viaggio che sapevo offrirmi.Perchè mi porti i fiori se sai che non si puòniente colori, niente profumiadesso che ci pensovorrei per me l'odore delle bambolequello che ti inchioda la mandibolaplastica e vanigliae che non scordi più.

ALE

SSA

ND

RA

PIC

CO

LI

Non sono madre oggino niente utero

niente ventre ciuccia senoil latte che cola

nientesono corpo di femmina

orifizio inversovagina bocca anopiegata sfinita

usurpata dal giocodal rapimento ubriaco

tu lasciami stesadomani raccoglimi e

insegnami comesi fa

a sopravvivere

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||| Devis Bergantin |||

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Mi hai detto che sono uno stronzoun’egoista un po’ misoginoche non avrò mai una donnaperché non posso amareperché non so amare.

Forse è veronon avrò mai una donna,una sola,perché io le amo tuttele donne.

Una l’ho amataperché mi ha insegnato a leggereche ero ormai vecchio.Un’altrasolo per l’oceano di quegli occhidove volevo affogare.Un’altra ancoraperché al mattino brindavacon il mio sanguee alla serarimescolava carne e lacrime salate.

Una l’ho amataperché i miei casini quotidianili curava con equazionidi labbra umide e sesso sfrenato.Un’altra perché è scesa all’Inferno con metenendomi per mano.Un’altra ancoraperché guardammo l’abisso a fondo, così a fondoche l’abisso guardò dentro di noie poi scappò con la coda tra le gambe.

Una l’ho amataperché aveva fuoco nelle venee ghiaccio negli occhiche di notte scioglievain rivoli di rimmel.Un’altra perché era una sirenache affondò la mia navee ci amammo su uno scoglio.Un’altra ancoraperché usava le note della notteper intarsiare il silenziodi poesia.Una mi ha strappato il cuoreun’altra il fegatoun’altra ancora m’ha frantumato l’animain mille schegge di vetroe di ognuna conservouna piccola parte dentro di me,tasselli di un puzzleche ha i tuoi occhile tue labbrala tua pelle.S

tron

zo

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La vita è una guerraogni risveglio, un raid nevroticoingoi polvere al gusto di napalm

e lo stomaco bruciaasfissiando pensieriin un campo di grano

minato dalle convenzioni

Siamo solo kamikazesenza addestramentoSiamo solo vittime

del fuoco amicoSiamo solo pedine

su un atlante di filigrana

Prigionieridella resa incondizionata

ad impulsi compulsivi,ossessivi,

ossessionatida bombardamenti neuronali

fin dentro la trincea,fin dentro la fossa

A voltepremo la canna in gola

ferro freddo su palato caldosarebbe facile

il grilletto è sensibileun poco più vigliacco

e ritingerei le paretidi sangue e cervello

e vane speranze

A volte marco visitadiserto

passo al nemicoquello seduto sulla rivaacquattato nella giungla

quello che non viveper morire

quello che muoreper iniziare a vivere.

La vita è una guerra

Gianluca Pavia

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Helbones ArtistOlio Moroboshi - Debora Pascale