Pastiche 46 agosto 2015

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Credo che la letteratura abbia un enorme valore terapeutico ma proprio per questo debba essere provocatoria e sregolata. Solo testando la nostra capacità d’emozionarci riusciremo a capire di che pasta è fatta la nostra coscienza. Scoprire la parte oscura di noi stessi è un gioco duro ma vitale per capire qual è il nostro posto nella comunità. La letteratura può aiutarci, certo, ma bisogna spingersi oltre; alla fine tutto avrà un senso, e smetteremo di vagare come anime in pena in un mondo totalmente mercificato e condannato alla prostituzione.

Transcript of Pastiche 46 agosto 2015

#46

MENSILE GRATU ITO

PASTICHEVERS ICONTROVERS I

#46

MENSILE GRATU ITO

PASTICHEVERS ICONTROVERS I

COPERTINA A CURA DI:

DAVID FRAGALESONIA SECCHI

CREDO CHE LA LETTERATURA ABBIA UN ENORME VALORE TERAPEUTICO MA PROPRIO PER QUESTO DEBBA ESSERE PROVOCATORIA E SREGOLATA. SOLO TESTANDO LA NOSTRA

CAPACITÀ D’EMOZIONARCI RIUSCIREMO A CAPIRE DI CHE PASTA È FATTA LA NOSTRA

COSCIENZA. SCOPRIRE LA PARTE OSCURA DI NOI STESSI È UN GIOCO DURO MA VITALE PER CAPIRE QUAL È IL NOSTRO POSTO NELLA COMUNITÀ. LA LETTERATURA PUÒ AIUTARCI, CERTO, MA BISOGNA SPINGERSI OLTRE; ALLA FINE TUTTO AVRÀ UN SENSO, E SMETTEREMO

DI VAGARE COME ANIME IN PENA IN UN MONDO TOTALMENTE MERCIFICATO E CONDANNATO

ALLA PROSTITUZIONE.

pastiche

editorialeeditoriale

#46#46

PENSATA E REDATTA DA:PAOLO BATTISTA

IMPAGINAZIONE DI:ALESSANDRO VALENTINO

COLLABORATORICHIARA FORNESI

PER RICEVERE IN ABBONAMENTOPASTICHE (COSTO 15 EURO)SCRIVETICI A:pasticherivista @gmail.comPER INVIARE IL VOSTRO MATERIALEE PER AVERE INFO SULLE COLLABORAZIONISCRIVETE A:pasticherivista @gmail.com

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AGOSTO 2015

Dal balcone la vista è magnifica e l’aria che si respira fresca come il

canto degli uccelli. Le luci della città sono lontane e più lontane ancora le luci della metropoli. Il vento sbuffa di continuo piegando le cime flessuose dei lecci e dei ligustri. Restiamo in ascolto. Poi, ci stringiamo e restiamo intrappo-lati l’uno all’altro, minuscoli come for-miche sotto la mastodontica purezza della montagna. Kiara dorme. Primo sabato di ottobre. Dai campi il solito ronzio della spacca-legna. Nel paese poche anime. Il signor G si appoggia al suo bastone color ace-ro. La pelle squamata, lo sguardo vispo, calvo, tozzo; è forte come una corteccia,

piccolo e ben messo. Il signor G è il mio vicino. I suoi vestiti odorano di terra. Odore di alberi e terra che impregna la casa di pigmenti autunnali, e silenzio! Siamo qui da poco più di un mese, ma ancora non ci siamo abituati al silenzio. Mi alzo, prendo una birra e accendo la tivvù. Una zanzara mi ronza sulla fac-cia.Kiara dorme sulla poltrona di pelle gialla. Un braccio, il destro, dietro la te-sta. L’altro, tatuato di ricordi, appoggia-to lievemente sulla pancia. Una gamba, la sinistra, allungata e accavallata sulla destra. Il respiro tutt’altro che lento, inesorabile. I capelli arancioni e disor-dinati. La pelle bianca.“ Da quando ho smesso di fumare fumo

più del solito “ sbuffo, e prendo una Ca-mel, la squarcio. Accumulo il tabacco nel palmo della mia mano destra. Con l’altra prendo una canna dalla scatolina di ferro amaranto e l’appoggio sul filtro. Do fuoco, squaglio e mischio. Lecco e accendo, poi bevo un sorso di birra e cerco di acquietarmi. Devo abituarmi al silenzio. Devo abi-tuarmi ai nuovi vicini. Devo abituarmi alla nuova casa. Devo abituarmi a me. A noi. Ho come l’impressione di vive-re nel corpo di qualcun altro. Ho come l’impressione che non sia io a scegliere. Tutto è confuso, annebbiato, annichili-to. Butto giù un altro sorso, do un’altra bel-

la boccata e cambio canale senza fare attenzione alle immagini che scorrono a strappi. Kiara dorme. Cerco di non svegliarla. Un’esplosione sbotta dalla tivvù. Ab-basso il volume. Cambio canale. Dopo poco chiudo gli occhi, e quando li ria-pro sono quasi le nove di sera. Un buco enorme spicca al centro della maglietta, la canna tutta stropicciata è poggiata sul mio stomaco come un verme venuto allo scoperto. Mi alzo, la riaccendo, bevo un goccio, guardo Kiara che ancora dorme e la sveglio con un bacio sulla fronte. Lei mi guarda strizzando le palpebre. Pu-pille brillanti di verde. Occhi nostalgici e famelici.

SILENZIO

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E’ questo lo sguardo che amo! Qualcuno vuole rubarci la nostalgia! Mi siedo al suo fianco, la bacio sulle labbra: “ come stai? “, le dico. “ Che ore sono? “, mi chiede. “ E’ tardi “ le rispondo. “ Quant’ho dormito? “ mi chiede meccanica.“ Quasi tre ore “ le dico, “ ed anch’io “. Poi vado al cesso, lei mi segue come un pulcino spellacchiato. “ Ho fame “ sogghigna, e si siede sul water per pisciare. Io butto a terra i vestiti e m’infilo sotto la doccia. Kia-ra fa lo stesso, le lavo la schiena con perizia da dermatologo, lei si rilassa, sorride, poi la prendo da dietro men-tre l’acqua scorre sulle nostre teste bagnate. Sono il primo ad uscire e a vestirmi. Kiara resta ancora qualche minuto ma quando esce canticchia: “ caz-zohofamehofamehopropriofame… “ e con l’accappatoio e l’asciugamano blu in testa schizza ai fornelli come una cuoca di Masterchef.“ Anch’io “ le dico abbottonandomi la camicia verdeacqua e stappo una bottiglia di Dolcetto d’Asti vecchia di trent’anni rubata domenica scorsa a casa di mia madre. Quando mi siedo al portatile qualcosa frigge in padella, ho una vecchia bot-tiglia di vino tra le mani, e le parole vengono fuori da sole. Scrivo un po’ di frasi sul sesso, sulla noia, sull’acqua della doccia, sulle scelte e sul silenzio, e poi mi siedo a tavola. Verso il vino per Kiara che mette su un’ottima insa-

lata di pollo. I suoi occhi mi cercano e faccio appena in tempo a incrociarli prima di vederli puntare altro; preci-samente il vino. Agita il bicchiere, ne annusa il contenuto e con grazia ne assaggia un sorso. “ Non so “ mi dice interrogativa, “ non riesco a capirne il gusto, a te piace? “.“ Hai ragione “ le rispondo, “ non si capisce, però non è propio ‘na schi-fezza! “.Dopo cena quando sto per versare l’ultimo goccio stiamo ancora cer-cando di capire le qualità nascoste del Dolcetto. “ Cazzo hai ragione “ fa lei ridacchiando, “ questo vino è una vera schifezza! ““ Però!! “ scherzo agitando la bottiglia vuota, “ figurati se ci piaceva da mo-rire! “.Kiara lancia un gridolino divertito, brillo, afferra il bicchiere e fa per sco-larselo tutto. “ Vacci piano “ le dico sorridendo, ma faccio lo stesso, e sedendomi sul diva-no racimolo l’occorente per un’altra canna. Passiamo la serata guardando vecchi video di Melies, poi andiamo a letto stanchi e disfatti chiudendo fuo-ri gli ululati vicini e lontani dei cani. La notte è piombata tra i monti del Partenio fin dentro la nostra nuova casa, c’è odore di terra e ombre gi-ganti e silenzio, quel silenzio a cui non siamo più abituati, quel silenzio al quale per forza di cose dovremo abituarci.

Paolo Battista

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foto di: CHIARA FORNESI

La donna socchiude gli occhi; i ragazzini adesso non sono che macchie sfocate; rosso; altre macchie; grigio; il grigio del marciapiede. La donna chiude gli occhi. Un sospiro. La lingua dell'uomo tra le sue dita; la saliva sulle ferite; l'uomo ai suoi piedi; la camicia macchiata di sangue; il bagliore delle stoviglie appena lavate; il sole si specchia sui frammenti di vetro. «Ma cosa è successo?» Il corpo dell'uomo sopra il suo; le prime volte non sembrava così pesante; oltre la veranda un panorama campestre di maniera: un bosco di pini, un declivio erboso, una piccola casa. «Ti spor-cherai tutto». A vent'anni l'idea di un cielo bianco. Labbra a labbra. Quando la donna riapre gli occhi la scena svanisce. Lo squillo del telefonino. Moglie e madre. L'uomo risponde al cellulare, si alza dalla poltrona e va di là. Torna poco dopo. Moglie e madre e la figlia di sua figlia e tutte le figlie di mogli e madri al mondo che a loro volta diventeranno poi mogli e madri, mogli e madri, mogli e madri, mogli e madri, mogli e madri. L'uomo tossi-sce. Sulla serranda chiusa – la donna nota soltanto ora questo particolare – la scritta CREDI A ME, O SI-GNORE, accompagnata da una buffa caricatura di Gesù Cristo crocefisso. La testa è quella di Donald Duck e il corpo quello di Scwharzenegger ai tempi d'oro. Al posto dell'aure-ola un profilattico rotto dalla cui sommità partono raggi neri in tutte le direzioni. Il proprietario del negozio negozio di alimentari venne trovato morto lo scorso anno sui binari della stazione Magliana. La gola tagliata da parte a parte e l'occhio destro fuori dall'orbita.

Simulo orgasmi da circa dieci minuti. Ho la gola secca. Sandro ha penetrato Giulia senza pre-servativo mentre Claudio se lo faceva succhiare da lei. Ora, in un momento di distensione, i tre stanno facendo un gioco. Giulia, tenendo sempre gli occhi chiusi, deve indovinare di chi è il cazzo che la colpisce sulla faccia. «Di chi era?» domanda Claudio dopo il suo turno.«Du-u-u» mugola Giulia.«Di chi?» ripete Claudio.«Du-u-o».Claudio la colpisce di nuovo sul naso.Sandro domanda a Claudio com'è possibile che una minorata mentale abbia queste conoscenze sessuali. «Voglio dire», continua lui; «come ha fatto a non scam-biare il tuo cazzo per qualcosa... uhm, da masticare?»Claudio ride: «Forse perch....»La scorsa estate ho sognato Umberto Eco che mi spiegava la semiotica dei graffi sulle auto. Innanzitutto, diceva, bisogna evitare i graffi semplici. Meglio qualche figura più elaborata. Au-menta lo sfregio morale e rende l'atto intellettualmente onesto. Perché sul pube di Giulia non ci sono tracce di peli?

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Alla televisione una presenta-trice dallo sguardo ipocrita-mente triste sta parlando con la madre di una delle vittime del “mostro”. Il volume basso costringe l'uomo ad avvicinar-si. Non sa dov'è il telecoman-do. Sua moglie è tornata in cucina. La presentatrice ha gli occhi lucidi e fa domande come:

"Si ricorda in che posizione l'hanno trovata?" "E qual è stata la sua prima reazione?" - "In che condizioni era il corpo?" - "Sua figlia è stata anche violentata?" - "Sì? Terribile. Con cosa?" - "Con una bottiglia... anche dietro o soltanto davanti?" L'intervista fa venire in mente all'uomo gli anni '90. Cosa ha fatto negli anni '90? Riflette. Sua figlia nacque nel '97. Il primo capodanno del decennio lo trascorse in uno chalet di montagna con alcuni amici di cui non ricorda più il nome. Nel '94 conobbe la madre di Giulia. Nel '96 la sposò. Nel '97 lui se ne andò di casa per tre settimane. Non disse mai a sua moglie cosa fece in quei giorni; lei non glielo chiese mai.

Primissimo piano della madre della vittima. Dettaglio dei suoi occhi pieni di lacrime.Il pubblico ha un'espressione triste.Scorrono alcune foto della vittima. Con il fidanzato - al mare - in montagna - a casa - da bambina - con il suo peluche preferito - con il papà morto qualche anno fa - con gli amici - a casa - sulle gambe del nonno.Ancora primissimo piano della madre.Altre foto della vittima. Mezzobusto della presenta-trice.

Lo sguardo dell'uomo si spo-sta dal grembo della presenta-trice alle tende della finestra. Sono logore. Presto dovranno essere cambiate.Campo lungo. Il pubblico batte le maniGiulia sta fissando il poster di Topolino e sente qualcosa muoversi nella sua pancia, poco sotto lo stomaco. Ma è un’impressione.Sandro mi fa cenno di uscire dall’armadio. Giulia sta tentando senza successo di infilarsi il reggiseno. Le sue tette, esageratamente grandi per quella che suppongo sia la sua età, le arrivano fin quasi all’ombelico. Claudio scoppia a ridere e soltanto dopo aver scattato alcune foto con il cellulare si decide ad aiutarla.«Andato tutto bene?» do-

mando.Sandro si accende una canna. «Hai visto tu stesso, no?» dice dopo aver buttato fuori il fumo.Poco dopo Claudio riaccom-pagna Giulia a casa e io resto solo con Sandro. Le ventidue e dieci. La luce gelida del vecchio lampadario. C’è puzza di sudore, di liquidi seminali. Sandro sembra più vecchio mentre mi spiega come hanno fatto a convincere i genitori di Giulia a farla uscire. Vorrei quasi domandargli “perché” ma so bene che il “perché”, in fondo, non mi interessa. E la domanda cadrebbe inevitabil mente nel vuoto. A nessuno interessano i “per-ché”. Mai.Sandro mi passa la canna e faccio un tiro. Tossisco. «Sembra plastica», gli dico. Lui alza le spalle. La televisione trasmette un gioco a premi. La donna passa all’uomo la caraffa piena d’acqua e gli rivolge uno sguardo di cui nemmeno lei riesce a capire la natura. Gli occhi di Giulia sono fissi su una vecchia foto di famiglia attaccata alla parete con il nastro adesivo. Non ricorda nulla. Nessuno ricorda. A bre-ve tramonterà il sole; le ombre si allungano; è questa l’ora; la vita sembra rarefarsi.

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ANDREA CARENZI

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FINE

Posacene,re,,,pesi, , Proust, ,sonno,sano,.

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Si comunica che In città tireranno su un nuovo centro commerciale. Prati che si mettono fuoco, alcolizzati che espa-triano, puttane che sventolano bandiera bianca, ragazza esperta in friggitoria ringrazia, robin hood si suicida, gli ufo minacciano, i fiori giacciono sulle staccionate di un’ estate sbavante di bianchezza, ai confini di quel cadaverico color d’ erba la striscia sonora di un post rock nordico si abbarbica incondiziona-tamente nel glaciale e arioso eden ancora per poco incontaminato e il richiamo della terra non è stato abbastanza origliato, perché qui il vento si strascica corposa-mente nel mio ventre e brucio con violenza e senza accorgermene con rapidità sono schiava del 2015, un altro anno di aborti rivoluzionari e di circhi appoggiati su un pacifismo maltrattato. Ho sognato di essere la gente, tutta, profumavo di borotalco alla vaniglia, poeti ripieni di autogestione che costru-ivano illegalmente dio in una piccola man-sarda di legno scuro, una parte del luogo in cui ci sentivamo pazzi nel ruotarci accanto. Posacenere, pesi, Proust, sonno sano ci guarivano la miopia dei cuori. Ci mescoliamo in tutto questo ancora oggi, inciampiamo nei panni rotolati sul pavimento, cadiamo nelle mutande, nel bidone dell’immondizia, dalle scale del palazzo. Non ricordiamo più gli appunta-menti, gli orari delle partenze, la lista della spesa, Amare. Come se ci fossimo amalgamati in quel sogno, appollaiandoci sulla realtà a cazzo di cane. Cominciamo a distaccarci sempre più dal tutto, l’anar-chia del tempo appare passionale quanto pericolosa, rientriamo in un meccani-smo di noncuranza dei fatti del giorno, egoisticamente scriviamo, studiosi, suonatori, leggiamo, ruttiamo politica, non rispondiamo al telefono, esistiamo

in noi. Gli anni tritano lentamente ogni processo delle cose con una sensibilità a volte anche agghiacciante che sembra di star seduti nel nostro sempre in prima fila davanti al mondo nuovo di Huxley, imprigionati nella nostra stessa consa-pevolezza, a sfogliare, a spogliarci di inquietudini Pessoane. All’improvviso sappiamo e subito dopo non sappiamo, i bla bla bla ai tavolini dei bar scarseg-giano agli occhi rossi di un’allergia ai semi di un pomodoro fuori controllo, ci manca il gusto di assaporare i nostri io dentro ai fra, di scrostare il pensiero in mezzo alla carnalità del mondo, su una strada terrena e su un amore mortale, con una macchina e un percorso che ritaglia i dettagli della vita superflui, segreta-mente imploriamo un’esplosione di teste che ci governano le tasche, e non solo, imploriamo un funerale dell’universo per poter avere ancora una possibilità di rinascere sognanti con un universo dentro altrettanto sognante. Caffè d’orzo e stipsi : sul teschio del sole c’è scritto: “non c’è nessun dio marxista che passa di qua, piantatela di guardar-mi, siate la fiaccola di voi stessi”. E così non più alberi nella futura estate quaggiù in città. Bisognerà con la Nien-tità inventare un’ altra luce d’esistenza, Nina Simone è già partita con mood indigo e con lei i granelli di tabacco dispersi tutti in una tossica e maligna gioia ter-restre. Macchine, semafori, ippopotami, cacche, scarpe scontrose che sbadigliano un sorriso, giganti in giacca seduti seri dentro a grossi vassoi di aperitivi pome-ridiani a divorare le pagine dei giornali. C’è chi spera in un attentato al palazzo del governo e chi si spettina sull’ oro-scopo del giorno. Siamo tutti divoratori e spettinati, gli starnuti rumorosi sopra un fottuto strato di coscienza.

FRANCESCA DE MICHELE

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L o t r o v a r o n o c o n l a v i t aC h i u s a i n u n a n g o l o

L u i b o c c h e g g i a v a P o c o p i ù i n l à

N e m m e n o u n a n g e l o i n a f f i t t oA c o n f o r t a r e

L a t r a g e d i a c o m e u n d i s t i n t i v oA t t a c c a t o s u l p e t t oD a l l a t o d e l c u o r e P e n d e v a s b i l e n c a

S b a v a v a t u t t o i n t o r n oU n f l u s s o o p a c o e m o l l eS g o r g a v a d i r e t t a m e n t e

d a l l a p e l l eU n a l u m a c a u m a n a

I n p r o c i n t o d i t e r m i n a r s iP e r e c c e s s o d i m a n c a n z a

d i v i t aQ u a l c u n o s i v o l t ò

I n d i r e z i o n e d e l l a s c i aN o t ò l a s o l i t u d i n e e i l s i l e n z i o

A p p o s t a t i d i e t r o l ' a n g o l oD i s s e q u a l c o s a

d e n t r o l a b o c c a c h i u s aS t r i n s e i p u g n i n e l l e t a s c h e

S p u t ò V o l t a n d o i p i e d i

N e l l a d i r e z i o n e o p p o s t a p e n s a n d o

O r a m a i è s p a c c i a t oL a b a v a z a m p i l l a v a o r a

D a v a n t i a o c c h i d i v u o t oE c e m e n t o

I n c i p i t ( B a l l a t a c h e m a i s c r i v e r ò )

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Quella che puzza di piscio all’albaQuando tutti gli stronzi ancora

dormonoQuella che odora di mare in cloaca

Che brucia nei cassonettiChe frigge a tutte le ore

Che urla per avere ragioneColletti bianchi misti a nullate-

nentiAccomunati da un cellulare portato

all’orecchiola mano poggiata sul fianco gomito

in altoIl sorriso ebete della comunicazio-

ne Wi-FiLa danza della conversazione in

movimento

Chiese e pedofili sorridentiTroppi figli scalzi

Orfani dei servizi socialiPicciotti vestiti firmati sempre

attentiIl ras che non ti perde mai con gli

occhiDavvero ti fa impressione la CIA?

I vicoli riabilitati a bistrot per turisti

Cibo esposto come gioielli comme-stibili

Attento a non guardare troppo bene

Potresti provare voglia di vomitareI mercati di Guttuso

Fagocitati da nuovi e lussuriosicompra, spendi e torna presto

Oggi ho rivisto il mostro Stava lì circondato dai suoi gatti neriGigantesco eunuco con sguardo indifferenteChe con la sua sola bruttezzaRiesce a imbrogliare tuttiGli ho chiesto: come va?Il suo sguardo insospettabilmente limpido

Si è specchiato nel mioE snudando uno dei tanti futuriha sussurrato: pelle e carne e ossa Io vedo quello che tu nascondiIl tuo prezioso presente di pietà e di riscattoI tuoi pensieri di carta stracciaI tuoi occhi che vedono troppo.Non c’è redenzione su questo suoloSe non nel petto dei suoi sciagurati figliLa culla dell’arte e della civiltà è ormai vuotaPiù nulla ci si aspetta da queste sterili mura.

Un gabbiano stride in altoAltre grida si aggiungono alle sueApro gli occhi ….C’è ancora quell’odore di piscioE’ l’alba ….

la,mia,citta’

SILVANA DI GIROLAMO

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FOTOGRAFIEE C C O T I A L Q U A R T O S O R R I S O

A L T E R Z O R I M P I A N T O

A L L A S E C O N D A C A R T A D A P A R A T I ,

E C C O T I D E N T R O U N V A S O A P P E N A R O T T O N E L L A

P R I M A V E R S I O N E D I U N P I A N T O

G I O C A T T O L O I N V E N T A T O , R A G A Z Z I N O L U P O

U L T I M O I N P I E D I D A S I N I S T R A I L P I U ’ D I S T R A T T O ,

E C C O T I U N S O G N O A L Q U I N T O P I A N O ,

P R O T E T T O I N V I S I B I L E P A D R E C H E T I P O R T A U N A

C H I T A R R A D A S U O N A R E ,

T E R Z O A L L A G A R A D I N U O T O ,

I N C E R T O S E C A N T A R L A O S C R I V E R L A ,

O P P U R E S O L A M E N T E V O C E A G R A N E L L I D I Q U A R Z O

Q U A N D O N O M I N I I L C U O R E , E D È U N A G I O S T R A

D E N T R O U N A C O N C H I G L I A ,

E C C O T I S T U D I O E A M O R E

T A M B U R O N E G L I O C C H I E N O T T O L E D A N Z A N T I A

S C A L P I T A R E I L M A R E ,

I N P I E D I S U U N A S C A L A

D I R E T T O R E D ' O R C H E S T R A

E N I N N O L O A N C O R A D ' A R T E R A G N A T E L A

Q U A N D O T R A M E E F R A M M E N T I D I P O E S I A F A N N O

N E L L ' O C C H I O

U N A S T R A D I N A A V O L A R E

E M A R Z O P R I L L A S E M P R E

I N B I C I C L E T T E D I P I O G G I A

GIOVANNI PERRI

poche cose, dicevo, vorrei regalarti, amore, poche, che non esistono da sole e se le guardi, un poco, e se le cerchi, ci trovi dentro il nome, amore, il tuo e il mio:ti regalo il vuoto d'aria che è dentro una poesia -non la poesia, che quella è di tutti e si perde e lo sai -l'ossigeno nella bottiglia e quella nave che gira e gira e gira dentro l'occhio; la farfalla che sono quando ti entro nel piede e dico è un bell'andare da me a te nella corrente: se solo salissi da un odore_se solo spo-stassi ancora di un metro la mia voce mi portassi coi denti nella pioggia dove risiede la parola ignara e l'eco di tutti i tuoi capelli- e quello sono io che colgo un'intenzione e nuoto come un pesce o forse come un caneti regalo il tempo dell'amoreche non ha voce e non è mai capa-ce e tace e tiene addosso il corpo di una luce e sulla schiena un liquido lunare il rumore dei miei aeroplani che soffiano presagi e fanno tremare le finestre agli occhi_le tue vetrate e- gotichela quiete immane dei laghi nella voce di un figlio che ti dice:papà stasera me la leggi una poesia?e ti regalo l'attimo primadove non c'è doloree noi non esistiamo ancoraeppure ci sentiamocome se fossimo davvero nel tempodi dircicol silenzioche cos'è l'amore

nel silenzio

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DEBORA PASCALE

VITTORIA BURASCHI