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IL LINGUAGGIO: SVILUPPO E DISTURBIPROF.SSA GENEROSA MANZO

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Università Telematica Pegaso Il linguaggio: sviluppo e disturbi

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LE ALTERAZIONI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3

2 LA SINDROME DISMATURATIVA -------------------------------------------------------------------------------------- 4

3 LE FASI DI SVILUPPO DEL LINGUAGGIO --------------------------------------------------------------------------- 7

4 COME IDENTIFICARE I DISTURBI DEL LINGUAGGIO -------------------------------------------------------- 14

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17

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1 Le alterazioni

L’acquisizione del linguaggio avviene secondo un iter cronologico ben preciso, si comincia

a scandire bene le prime parole intorno ai 12 mesi, le prime frasi intorno all’anno e mezzo e ci

conclude l’iter introno ai quattro o cinque anni, anche se molto spesso ci possiamo trovare di fronte

a ritardi significativi dovuti alle diversità fisiologiche e anche psicologiche dei soggetti, anche senza

una vera e propria patologia.

I bambini che ritardano l’acquisizione del linguaggio riescono per lo più a superare questa

difficoltà col tempo e solitamente recuperano primi di immettersi nell’universo scolastico.

In altri casi possiamo trovarci davanti a veri e propri disturbi che devono essere individuati e poi

posti sotto osservazione onde evitare comportamenti e apprendimenti distorti. All’origine di questi

disturbi abbiamo di solito cause di tipo intellettivo e psicologico e cause strumentali e di deficit

mentale.

La popolazione che presenta tali disturbi è enorme e non è affatto raro che molti di essi si

risolvano anche col passar del tempo.

Ci sono numerosissime classificazioni di varie scuole di pensiero, le scuole italiane ad

esempio classificano in questo modo: Levi parla di dislalie (sordomutismi, semimutismi, sordità

parziale, balbuzie, disartria), disfasie (sordità verbale, cecità verbale, audimutismo, afasia motoria

ed agrafia), dislogie (difetti dell’attività psichica superiore).

Altri modi di classificare possono essere quelli riferibili alle cause, per esempio se un bambino

non parla bene si possono considerare:

Difetti d’udito;

Difetti neurologici;

Ritardi mentali;

Disturbi emotivi.

Sicuramente una prima distinzione va subito fatta tra due grandi gruppi di disturbi: una meno

grave (disturbi semplici) e l’altra più complessa (disfasie, audiomutismi). La prima comprende i

difetti di semplice risoluzione, mole volte persino di soluzione spontanea, l’altra necessita

dell’opera e dell’intervento immediato di specialisti della riabilitazione. Il primo gruppo viene di

solito iscritto tra le sindromi dismaturative, le seconde vengono chiamate sindromi alterative di tipo

grave.

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2 La sindrome dismaturativa

La sindrome dismaturativa è costituita da quella grossa categoria che va dalle dislalie agli

audiomutismi.

Le dislalie sono errori fissi nell’articolazione di alcuni fonemi, durante il processo di

acquisizione del linguaggio può accadere che il bambino incontri delle difficoltà a riprodurre

correttamente alcuni fonemi.

La riabilitazione del bambino dislalico consiste nel cercare di reinsegnargli i meccanismi

dell’articolazione dei fonemi, in tal modo il bambino successivamente imparerà ad introdurre

correttamente i fonemi nelle parole senza mai fermarsi e senza rallentare il ritmo del linguaggio.

Nella riabilitazione risulta molto utile, come afferma Minuto la gestualità, selezionata in modo che

ricordi al bambino determinanti caratteri distintivi del fonema, mediante l’evocazione della forma

della lettera, dell’immagine articolatoria o di entrambe. Per esempio tre dita appoggiate sul tavolo in

modo da formare un ponte a tre arcate, possono servire per illustrare il fonema /m/; oppure rapidi

movimenti verticali dell’indice possono ricordare la vibrazione apico-linguale della /r/; infine due

dita a cavallo sul naso, possono illustrare la forma grafica della /n/ e, nel contempo, mettere in

risalto la componente nasale del fonema.1

Tutte le difficoltà di acquisizione del linguaggio devono essere considerate disturbi solo

quando continuano ad essere presenti dopo i tre anni. Tuttavia è bene tener già sott’occhio verso i

tre anni la quantità e la qualità dell’acquisizione linguistica del bambino per evitare che si trascuri

l’intervento terapeutico e riabilitativo.

Il livello di acquisizione del linguaggio va tenuto d’occhio e se non si notano variazioni nei

difetti dopo i tre anni, bisogna ricorrere necessariamente alla visita specialistica la quale si servirà

dei seguenti percorsi:

Anamnesi familiare, vanno ricercati eventuali precedenti di ritardo del linguaggio o di

disordini specifici dell’apprendimento;

Anamnesi personale, vanno valutati gli eventi della gravidanza, del parto e dei primi mesi di

vita in ambito biologico e psicologico;

Dati relativi al contesto, vanno esaminati in chiave linguistica, sociologica e psicologica i

dati relativi al contesto;

1 Minuto I., Le patologie del linguaggio infantile, La Nuova Italia, Firenze 1994, p. 124

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Esame neurologico funzionale, vanno considerate, in particolare, le prassie bucco-facciale,

la lateralizzazione, le prassi e gestuali;

EEG, va esclusa una eventuale sofferenza temporale;

Esami audiometrici adeguati, ve valutata, in particolare, la correlazione tra eventuale perdita

uditiva e sviluppo del linguaggio;

Testing neuropsicologico, va esaminata la competenza cognitiva extraverbale, l’attenzione,

la memoria sequenziale, la percezione;

Valutazione psicolinguistica, va esaminata mediante registrazione, il linguaggio spontaneo,

e il linguaggio ottenuto in prove standardizzate di comprensione e ripetizione;

Valutazione della competenza comunicativa, va esaminata la presenza e l’uso

dell’interazione comunicativa a livello mimico, gestuale linguistico.2

Nei ritardi semplici, di solito, è interrotta solo la riproduzione delle parole, mentre la

comprensione resta normale.

Il ritardo semplice, spesso denota una difficoltà nell’organizzare una frase con una corretta

sintassi, accompagnato di solito da dislalie e ritardo di parola con buone possibilità di regredire da

solo e lasciare il posto a una organizzazione corretta della parola.

Il ritardo semplice, può essere causa di fattori affettivi, ambientali, come l’iperprotezione, il

rifiuto, il disinteresse. Ovviamente pur essendo disturbi semplici, bisogna tenere presente che se non

corretti possono generare ansia e quindi portare a difficoltà relazionali che possono poi portare

ulteriori aggravamenti come balbuzie o difficoltà nell’apprendimento del linguaggio scritto.

A differenza dei ritardi semplici o delle dislalie abbiamo le disfasie, alterazioni più gravi.

Nelle disfasie, anche se spesso la diagnosi è difficile, c’è la necessità di intervenire con

urgenza. Il soggetto, in caso di disfasie presenta una serie difficoltà nella ricezione del messaggio

verbale anche se l‘apparato uditivo non presenta alterazioni funzionali, per cui si perviene a una

difficoltà d’uso dei termini di spazio e tempo, difficoltà di comprensione di frasi lunghe con

coordinate e subordinate, con conseguente difficoltà di apprendimento del linguaggio scritto3.

2 Cfr Arluno, Schindler, Il bambino sordo nella scuola di tutti, Omega, Torino 1982.

3 Vitale C., I percorsi dell’Educazione Speciale Teoria e Prassi nella Scuola dell’Autonomia, Edisud Salerno, Salerno

2001.

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I bambini affetti da disfasie a tre anni non parlano ancora e a sei anni hanno un linguaggio

molto imperfetto e deficitario. Essi tendono a usare poche parole e a ripeterle, hanno un vocabolario

molto limitato.

Altra patologia molto grave è l’audiomutismo, il bambino a cinque anni non parla del tutto o

è padrone di pochissimi elementi linguistici e tutta l’organizzazione del linguaggio è carente con

gravi turbe del livello intellettivo. La sfera del bambino audiomutista è fortemente scossa: il

bambino è poco attento, il suo interesse è labile; si stanca presto per cui il comportamento di un

bambino del genere è molto simile a quello di un ritardato mentale.

Questo tipo di disturbo potrebbe essere spiegabile con una lesione cerebrale, che invece non

c’è e per questo motivo l’indagine clinica è molto difficile.

Minuto sottolinea che “….è difficile poter differenziare l’audiomutismo dalla sordità e

dall’insufficienza mentale, soprattutto quando le compromissioni di queste patologie sono eclatanti

nelle rispettive specificità. Per giunta, nei soggetti affetti da audiomutismo, in ragione della

mancanza di attenzione, di interesse e di linguaggio, risulta difficoltoso somministrare test specifici

e valutarne i risultati. Le difficoltà aumentano, naturalmente, quando le situazioni patologiche sono

gravi e profonde; con comportamenti, relazioni interpersonali e caratteristiche ben definite”.4

Ovviamente una terapia precoce è fondamentale, anche se lunga, i risultati sono notevoli, ma

non sempre definitivi, non riuscirà a raggiungere un livello di comunicazione scritta o orale

all’altezza dei normali livelli di inserimento nel contesto sociale.

4 Minuto I., op.cit., p. 4.

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3 Le fasi di sviluppo del linguaggio

Per imparare a parlare il bambino deve saper riconoscere le strutture astratte delle frasi che

riproduce e ascolta, ed utilizzare abilmente le regole di trasformazione che collegano le strutture

astratte con il comportamento linguistico reale.

Lo sviluppo del linguaggio richiede il concorso di numerosi fattori psicofisici:

Buona capacità di percezione ( prevalentemente uditiva);

Sviluppo intellettivo e cognitivo nella norma;

Funzionalità del sistema nervoso centrale;

Sviluppo sociale (possibilità di interagire con altre persone; di sentirle parlare e imitarne

il linguaggio);

Controllo emotivo;

Sviluppo affettivo (conquista della “sicurezza di base”);

Capacità di memorizzazione (memoria uditiva immediata e differita);

Capacità associativa;

Buona funzionalità del sistema respiratorio e capacità di emissione dei suoni5.

Il compito richiesto al bambino non è semplice, eppure i tempi in cui si struttura il

linguaggio sono sorprendentemente brevi.

La velocità con cui i bambini apprendono il linguaggio e il fatto che tale competenza sia

tipica della specie umana ha portato alcuni studiosi ad ipotizzare che esistano delle strutture mentali

innate, specifiche e indipendenti da altri sistemi cognitivi, deputate allo sviluppo linguistico,

mentre proprio in considerazione della complessità del linguaggio, altri ricercatori sostengono

l’ipotesi del coinvolgimento attivo di sistemi cognitivi e percettivi almeno nelle prime fasi di

sviluppo del linguaggio.

5 Barone L., Sangiuliano R., L’educatore negli asili nido, Edizioni Simone, Napoli 2009, p.13.

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Per molti anni lo studio del linguaggio è stato condotto con misure quantitative, come ad

esempio il numero di parole conosciute ed utilizzate dal bambino.

Il concetto di sviluppo che ne derivava considerava il linguaggio come una prestazione che

progressivamente diviene sempre più efficiente, in corrispondenza con la riduzione del numero di

errori e con l’incremento del repertorio lessicale; lo sviluppo è dunque inteso come il progressivo

annullamento della distanza fra il modello adulto e le imperfette imitazioni che i bambini sono in

grado di realizzare nelle differenti fasi di crescita. In sostanza, fino ad allora lo sviluppo del

linguaggio è stato considerato come una qualsiasi manifestazione comportamentale che evolve in

funzione della quantità di stimoli a cui è esposta6.

A partire dagli anni Sessanta, con i modelli provenienti dalla linguistica cambia

radicalmente la concezione dello sviluppo del linguaggio, in virtù dell’idea che il linguaggio sia un

sistema organizzato con delle regole di combinazione specifiche.

Lo sviluppo del linguaggio non è più inteso come una funzione che si sviluppa con

l’allenamento (come se fosse un organo fisico), ma piuttosto come una serie di cambiamenti

strutturali all’interno di un sistema di regole, che sono frutto di un processo di scoperta progressiva

e di ricostruzione. L’esistenza di tale processo deriva proprio dallo studio dei tentativi che il

bambino compie nell’intento di comprendere e assegnare forma linguistica ai significati. Sono stati

identificati diversi livelli in cui il sistema linguistico è strutturato per ciascuno di essi vi sono delle

regole differenti e diverse unità di analisi. I livelli costitutivi del sistema sono quattro: sintassi,

fonologia, semantica e pragmatica.

Il linguaggio è uno strumento complesso che ha una serie di specifiche funzioni:

1. Il linguaggio serve per comunicare qualcosa ad altri, ma permette di comunicare anche con

noi stessi: il soliloquio e l’esporre ad alta voce i dati e le strategie di risoluzione di un

problema aiutano nel ragionamento;

2. Il linguaggio serve a descrivere il mondo che ci circonda;

3. Il linguaggio serve ad inventare qualcosa che non esiste;

4. Il linguaggio permette di condurre un ragionamento, collegando e generando idee e

favorisce l’emergere di opinioni e punti di vista nuovi;

5. Il linguaggio serve a produrre pensieri;

6. Il linguaggio serve a convincere gli altri a fare qualcosa, ad ottenere qualcosa dagli altri e da

noi stessi;

6 Stella G., Sviluppo cognitivo, Mondadori, Milano 2000.

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7. Il linguaggio può anche parlare di se stesso; siamo di fronte a quello che è definito

metalinguaggio (ovvero il linguaggio usato per descrivere il linguaggio)7.

Il bambino raggiunge tutte le competenze attraverso una serie di fasi che si succedono in un

ordine preciso e fondamentalmente uguale per tutti i bambini.

La lettura di queste tappe non deve però, essere effettuata con troppa rigidità, in quanto un

bambino è sempre diverso dall’altro.

Per identificare in maniera precoce la presenza di un disturbo del linguaggio, è necessario

apprendere ad osservare in che modo so sviluppa il linguaggio in quel bambino tenendo conto di

numerosi fattori e soprattutto della diversità che intercorre fra lui e gli altri bambini.

Vi sono notevoli differenze individuali nello sviluppo linguistico: alcuni soggetti progrediscono

più rapidamente, altri vanno a rilento e ciò non vuol dire che raggiungono diverse capacità nelle

competenze linguistiche.

I bambini mostrano sin dall’inizio una maggiore comprensione rispetto alla produzione verbale,

ma ciò accade a tutti e a tutte le età della vita, infatti le parole che riusciamo a comprendere e quindi

ad afferrarne il significato sono più numerose di quelle che sappiamo usare spontaneamente.

L’aspetto della comprensione rappresenta un dato prognostico da non sottovalutare perché può

rivelarci la presenza di importanti deficit.

Le prime frasi che il bambino elabora sono di tipo telegrafico ed elaborate quindi con poche

parole. È importante osservare che il bambino, pur omettendo alcune parole, non ne confonda mai

l’ordine e che conservi quello del modello che ha sentito.

Progressivamente le frasi emesse dal bambino diventeranno sempre più lunghe e complesse;

egli aggiungerà al suo bagaglio linguistico le parti del discorso che prima mancavano, tuttavia,

anche questa fase non è uguale per tutti i bambini.

L’ordine di acquisizione dei morfemi grammaticali non ha una regola precisa per tutti, con

molta probabilità acquisirà prima i morfemi più usati nell’ambiente familiare, perché quest’ultimi

sono stati ascoltati da lui più frequentemente.

Nel giro di circa trenta mesi il bambino è in grado di acquisire la padronanza della struttura

complessa della sua lingua, ma compie ugualmente importanti progressi sintattici e semantici anche

molto tempo dopo questa età8.

7 Stella G.,op.cit.,p.8.

8 Gosciu G., Pratelli M., L’insegnante specializzato, vol.2, Editrice Tresei scuola, Ancona 2000.

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A sei anni il bambino ha ancora una scarsa conoscenza di alcune congiunzioni e ha difficoltà nel

distinguere il soggetto in molte frasi, però, sia avvia verso la comprensione della forma passiva pur

non facendone mai uso.

A 9-10 anni il bambino usa tutte le parole sia nel contesto fisico che in quello psicologico e

riesce poi, ad identificare il rapporto fra questi due usi.

Nel periodo che va dai 7 ai 12 anni, si denota un netto incremento della lunghezza e della

complessità degli enunciati scritti e parlati.

È possibile per varie fasce di età analizzare lo sviluppo del linguaggio:

Nascita. Il bambino emette le sue prime manifestazioni vocali: pianto e grido.

Prime settimane di vita. Sul versante ricettivo: Il bambino è consapevole degli stimoli

sensoriali che provengono dall’esterno e inizia ad assimilare queste sensazioni. Sul versante

percettivo risponde agli stimoli uditivi (occhi spalancati, sussulto cessazione del pianto e si

distinguono le emissioni dolci da quelle dure). Quando è soddisfatto emette brevi suoni

gutturali.

A due mesi. Sul versante ricettivo: È gratificato dal suono della voce della madre. Spesso

guarda chi parla e risponde con un sorriso. Sul versante percettivo Quando qualcuno gli

parla produce suoni gutturali di tipo vocalico.

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Dai 2 mesi ai 5 mesi. Sul versante ricettivo: Comincia ad esercitare un primo controllo su

alcuni parametri della sua produzione vocalica: intensità e durata.

Inizia a sviluppare la capacità di localizzare le fonti sonore. Individua e riconosce i suoni più

armoniosi soprattutto la voce umana (quella della madre o di chi si occupa di lui. Mostra

spavento o disturbo se ascolta voci arrabbiate, si mostra invece, eccitato se ascolta le voci

che si avvicinano.

Sul versante percettivo: La produzione vocalica varia per intensità e durata, in rapporto

alle sue esigenze. Il bambino collega il tipo di emissione con un particolare atteggiamento

fono-articolatorio.

I suoni vocalici cominciano ad essere frammisti a suoni di tipo consonantico, manifesta

pianto se è a disagio.

Dai 6 mesi ai 12 mesi. Sul versante ricettivo: Impara a riconoscere timbri diversi e mette a

punto un perfezionamento della coordinazione dell’attività oro-faringea e laringea

Comincia ad imitare i modelli sonori già uditi, prestando attenzione soprattutto alle

intonazioni. Usa il linguaggio per conferire significato alle sue interazioni. Sembra

riconoscere il nome degli oggetti quando vengono nominati ed inizia a comprendere il

significato del “no”. Sul versante percettivo inizia il periodo della lallazione.

L’intonazione dei suoni ha carattere emotivo e si esplicita con un andamento melodico.

Risponde con vocalizzi quando è chiamato per nome.

Ad un anno. Sul versante ricettivo :Il linguaggio ha una funzione organizzativa sui

contenuti di pensiero, ma il bambino non può ancora usarlo ai fini operativi senza

riferimenti percettivi concreti. Inizia la comprensione di alcuni comandi semplici e dimostra

di saper riconoscere gli oggetti in funzione del loro uso. Sul versante percettivo:La

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lallazione è presente solo durante il gioco, ma non è più usata per comunicare. Il bambino

ripete sempre le stesse sequenze di suoni e compaiono le prime parole con significato. Tali

parole hanno in se un alone semantico molto ampio e sono definite olofrase e rappresentano

frasi ad un solo componente.

Dai 12 ai 18 mesi. Sul versante ricettivo: Riconosce ed identifica molti oggetti o figure

quando sono animate, comprende semplici domande, esegue due consegne consecutive,

ricorda ed associa nuove parole per categoria. Sembra capire le condizioni e gli stati

psicologici di chi parla con lui. Sul versante percettivo denomina toccando gli oggetti,

chiede aiuto, ripete frasi per il piacere proprio e dei familiari ciò che ha sentito dire. Il

numero di parole pronunciate è limitato ad una trentina. Usa frequentemente una sequenza

di quattro o più sillabe senza reale significato, ma con una struttura melodica (ciò viene

definito gergo).

Dai 18 mesi ai 2 anni. Sul versante ricettivo: inizia ad avere interesse per le conversazioni

generali e quelle rivolte a lui. Inizia a dare un ordine nella frase ed esegue una serie di due o

tre compiti semplici posti in relazione fra loro. Comprende molte più parole di quelle che

produce. Sul versante percettivo è presente l’ecolalia (si ha quando si accentano una o più

parole) e si possono apprezzare le prime frasi contratte, ovvero prive di connettivi

funzionali e congiunzioni. Il bambino tende a raccontare esperienze usando ancora la

combinazione di gergo e alcune parole. Inizia a riferirsi a se stesso usando il proprio nome.

Si verifica un ampliamento del vocabolario parlato anche se il suo linguaggio a volte risulta

essere incomprensibile agli estranei.

Dai 2 ai 3 anni. Sul versante ricettivo: riconosce ed identifica le categorie di nomi familiari

e mostra di comprendere una associazione di parole cogliendone una funzione. Manifesta

interesse a comunicare e ad apprendere il linguaggio degli adulti. Attribuisce significato ai

numeri e indica su comando diverse parti del corpo. Sul versante percettivo: usa

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espressioni di 2-3 ed anche più parole, si riferisce a se stesso usando il pronome piuttosto

che il suo nome. Si assiste al progressivo assestamento del sistema fonologico, riesce a

descrivere in maniera breve attività del presente ed esperienze passate. Fa molte domande e

smette di usare il gergo.

Dai tre ai 5 anni. Sul versante ricettivo: comprende il concetto di tempo: identifica

presente, passato e futuro. Il bambino prende coscienza della sua individualità e delle sue

possibilità. Sul versante percettivo: si raggiunge la frase grammaticale corretta e si assiste

ad un marcato incremento nell’accuratezza delle articolazioni foniche. A tre anni il

vocabolario comprende circa 1000 parole e da tale momento aumenta la capacità di produrre

parole von più sillabe. Sa ripetere filastrocche e canzoncine, sa riferire una storia e

riformulare un pensiero a qualcuno. A quattro anni ha un vocabolario di circa 1000 parole e

a 5 di 1500. Inizia ad usare il perché esplicativo e sa contare fino a 59.

9 Gosciu G., Pratelli M.,op. cit., p.10.

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4 Come identificare i disturbi del linguaggio

I disturbi del linguaggio rappresentano un ‘alterazione a livello dei meccanismi della

produzione della parola, della voce, e del codice linguistico.

Nelle varie patologie il disturbo può interessare, alcuni o tutti gli aspetti, in maniera più o

meno grave, in rapporto al periodo di insorgenza delle cause.

La maggior parte dei disturbi è presente fin dai primi mesi di vita del bambino ma si

evidenzia solitamente intorno ai tre anni, quando il bambino possiede tutte le strutture sintattiche

della sua lingua.

Prima di quest’età però, un’attenta osservazione sullo stato evolutivo delle abilità

linguistiche di un bambino può fornire preziose indicazioni, che si rivelano determinanti per

riconoscere eventuali patologie del linguaggio, ma anche per evidenziare altri tipi di disagio.

Un elemento a prima vista negativo che può preoccupare il genitore è la mancanza di

linguaggio. Ad esempio il bambino che a due anni non parla, può farlo per una serie di specifiche

ragioni, non bisogna subito pensare che ci troviamo di fronte ad una patologia di tipo autistico .

L’ansia dei genitori può avere serie ripercussioni sul bambino e certamente non contribuisce

a migliorare la situazione, in questi casi è indispensabile rivolgersi ad un logopedista o ad uno

psicologo.

Può essere utile un’osservazione e un’analisi di come il bambino comunica e come gli altri

si pongono nei suoi confronti e soprattutto di cosa si aspettano da lui. Può succedere che i genitori

parlino poco con il bambino, tale condizione è molto più frequente del solito, è questo il caso di

quei genitori che credono che il linguaggio si sviluppi indipendentemente da loro. Questa

concezione è totalmente errata in quanto non si considera affatto la stimolazione linguistica,

quest’ultima ha una rilevanza notevole nello sviluppo del linguaggio. Anche se le sue competenze

devono essere ben distinte da quelle dell’adulto, il bambino impara a parlare soprattutto e anche per

mezzi dell’imitazione.

Il bambino potrebbe non parlare perché lo ritiene poco motivante o perché ha sperimentato

la positività della comunicazione gestuale.

In certi casi può accadere che la richiesta da parte dei genitori sia eccessiva per il bambino e

quest’ultimo sentendosi inadeguato, smetta di parlare, non è corretto domandare al bambino in

maniera pressante di ripetere parole e frasi con l’intento di aiutare il bambino a “parlare bene”.

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L’assenza di linguaggio non sempre deriva da comportamenti inadeguati, è necessario

accertarsi al più presto se vi sono difficoltà di tipo uditivo con un esame audiometrico in campo

libero, se il bambino può collaborare o con un esame obiettivo delle competenze uditive. In tenera

età non è semplice determinare le effettive abilità uditive per la scarsa collaborazione del bambino.

Non si devono trascurare le ipoacusie, esse possono essere controllate sia al nido che dai

genitori nei vari momenti della giornata.

Quando non vi sono deficit uditivi accertati è necessario indagare più a fondo e rivolgersi ad

un logopedista che farà un’analisi approfondita e si interesserà di valutare le capacità di

comprensione e cercherà di stimolare la produzione verbale annotando tutti i comportamenti

anomali.

Il controllo del logopedista, generalmente, si limita all’inizio ad un controllo periodico per

valutare l’evoluzione delle competenze linguistiche. Solo in seguito, se ce ne è bisogno, può essere

programmato con un’azione diretta sul bambino.

Prima dei tre anni le difficoltà di tipo fonologico sono piuttosto frequenti, il bambino in

questa fascia di età sta completando la sua mappa fonologica e man mano che il sistema si

organizza, nuove forme più corrette sostituiscono quelle vecchie e scorrette.

La presenza di dislalie, sostituzioni, inversioni e omissioni foniche è il primo motivo di

preoccupazione.

Nei casi in cui il linguaggio è incomprensibile, non sempre però la situazione è così grave

come si potrebbe pensare. In questo caso il bambino compie errori seguendo sempre una stessa

logica e se impariamo a leggere fra le righe possiamo cogliere delle informazioni molto utili. Se le

difficoltà e le distorsioni sono presenti nella pronuncia dei fonemi più complessi, il caso non è

preoccupante, perché a questa età non tutti i bambini ne hanno assunto la piena realizzazione.

I bambini con disordine fonologico hanno spesso numerosi deficit anche in altre aree del

linguaggio come quella morfologica, sintattica e lessicale.

Il logopedista mette a punto una osservazione obiettiva delle competenze del bambino, ma le

informazioni più importanti provengono certamente dalle persone che ruotano intorno al bambino

stesso, esse sono importantissime dal punto di vista dell’inquadramento diagnostico.

In genere se un bambino manifesta un forte ritardo nello sviluppo del linguaggio ed evidenti

anomalie nella struttura frasistica, ha molte possibilità di essere disfasico, ma è necessario

accertarsene. Solo un’osservazione accurata e specialistica può confermare tale sospetto.

Università Telematica Pegaso Il linguaggio: sviluppo e disturbi

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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I disturbi del linguaggio possono essere suddivisi in tre categorie in base alla sintomatologia che li

caratterizza si riconoscono:

I disturbi della voce e della parola;

I disturbi del codice linguistico primitivi;

I disturbi del codice linguistico secondari.

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Bibliografia

Barone L., Sangiuliano R., L’educatore negli asili nido, Edizioni Simone, Napoli 2009.

Cfr Arluno, Schindler, Il bambino sordo nella scuola di tutti, Omega, Torino 1982.

Gosciu G., Pratelli M., L’insegnante specializzato, vol.2, Editrice Tresei scuola, Ancona

2000.

Minuto I., Le patologie del linguaggio infantile, La Nuova Italia, Firenze 1994.

Stella G., Sviluppo cognitivo, Mondadori, Milano 2000.

Vitale C., I percorsi dell’Educazione Speciale Teoria e Prassi nella Scuola dell’Autonomia,

Edisud Salerno, Salerno 2001.