OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA...

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1 OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA CAMPANA

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    OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA

    CAMPANA

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    Università Statale Gent

    Facoltà di Lettere e Filosofia

    Schaubroeck Stijn

    Master francese-italiano

    OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA

    CAMPANA

    Direttrice di tesi: Prof.ssa Dr. C. Crocco

    2008

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    Ringraziamenti

    Sinceri ringraziamenti alla Prof.ssa Dr. C. Crocco per la sua direzione, le sue correzioni e in

    particolare per la sua pazienza.

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    Indice

    Ringraziamenti p. 3

    Indice p. 4

    Premessa p. 7

    PARTE PRIMA p. 9

    0. Introduzione p. 9

    1. I sostrati p. 11

    1.1 Il sostrato preindeuropeo p. 11

    1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica p. 12

    2 Toponimi di origine latina p. 15

    2.1 Latinizzazione della penisola p. 15

    2.2 I registri dei toponimi latini p. 16

    2.3 I suffissi latini p. 16

    2.4 Gli arcaismi p. 18

    3 I superstati p. 20

    3.1 Le invasioni barbariche p. 20

    3.2 I toponimi postlatini p. 21

    4 Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi p. 23

    5 Toponomastica medievale p. 26

    5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica p. 26

    5.2 Toponomastica urbana e stradale p. 30

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    PARTE SECONDA p. 32

    1. Panoramica storica della Campania p. 33

    2. Toponomastica campana p. 38

    2.1 Le tante origini della toponomastica campana p. 38

    2.2 Toponomastica antica p. 39

    2.2.1 L‟osco p. 39

    2.2.1.1 I Sanniti p. 40

    2.2.1.2 La lingua osca p. 41

    2.2.2 Naturalis Historia p. 44

    2.2.3 Altri autori p. 57

    2.2.4 Conclusione p. 58

    3. Lessico campano p. 60

    4. Il dialetto campano p. 62

    4.1 Tratti tipici dei dialetti campani p. 62

    4.1.1 Metafonesi napoletana: dittongazione e chiusura p. 63

    4.1.2 Rafforzamento sintattico p. 64

    4.1.3 Variazione consonantica p. 65

    4.1.4 Il rafforzamento sintattico: marca del femminile plurale p. 66

    4.1.5 La conservazione del genere neutro p. 66

    5. Alcune particolarità della toponomastica Campana p. 68

    5.1 Tratti panitaliani p. 69

    5.1.1 Sintassi e formazione delle parole p. 69

    a. L‟obliquo privo di preposizione: Monteleone e Pontelandolfo p. 69

    b. Il suffisso -one: Castiglione p. 70

    5.1.2 Morfologia p. 71

    a. Ablativo o accusativo: Pozzuoli, Pompei e Capri p. 71

    b. Resti del locativo: Amalfi p. 71

    c. Modificazioni fonetiche dell‟uscita del tema: Baselice p. 72

    5.1.3 Fonetica p. 73

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    5.1.3.1 Vocalismo p. 73

    a. Io ed ea protonici: Napoli p. 73

    b. Caduta della vocale mediana nei proparossitoni: Ischia p. 73

    c. Le vocali e ed i atone di sillaba finale in Italia centrale: Napoli, Amalfi e Pozzuoli p.

    74

    5.1.3.2 Consonantismo p. 75

    a. Consonante più u in iato: Sessa Aurunca, Sessa Cilento p. 75

    b. Metatesi di r: Capri e San Francato p. 75

    c. Discrezione e concrezione dell‟articolo: Acerra, Atripalda e Afragola p. 76

    5.2 Caratteristiche specifiche dell‟area campana p. 77

    5.2.1 Morfologia p. 77

    a. Il tipo le corpora: Pratola Serra p. 77

    5.2.2 Fonetica p. 78

    5.2.2.1 Vocalismo p. 78

    a. Dittongazione condizionata di ę nell‟Italia meridionale: Surriento „Sorrento‟ e

    Salierno „Salerno‟ p. 78

    b. Casi particolari dello sviluppo di o in Italia meridionale: Pezzulo „Pozzuoli‟ p. 78

    5.2.2.2 Consonantismo p. 79

    a. b iniziale: Santo Vendetto, San Venditto, Barano d’Ischia e Benevento p. 79

    b. j iniziale: Gioi p. 80

    c. -d- intervocalica: Pròceta „Procida‟ p. 81

    d. -f- intervocalica: Alife, Carife, Sorifa, Tifata e Ufita p. 81

    e. Il nesso cl e tl in posizione interna: Forchia ed Ischia p. 82

    f. Il gruppo br: Venafro, Solofra, Solofrone, Rofrano p. 83

    g. Il nesso rb e lb: Alfano (Rohlfs 1966, § 262) p. 83

    h. Il gruppo sl: Ischia p. 84

    i. I nessi bi e vi: Caggiano, Vico Triggio, Largo Triggio e Faibano p. 84

    j. I nessi ssi, psi, rsi: Cassano p. 85

    k. Il nesso ti fuori della Toscana: Pozzuoli p. 86

    6. Conclusione p. 87

    ALLEGATI p. 89

    Bibliografia p. 92

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    Premessa

    Nel contesto degli studi linguistici, soprattutto diacronici, la toponomastica occupa una

    posizione particolare: a lungo, infatti, non ne è stata riconosciuto adeguatamente l‟utilità.

    Nel corso del XIX secolo i linguisti comparativi si resero conto del fatto che c‟erano delle

    forti somiglianze tra le diverse lingue europee ed asiatiche. Essi supposero, pertanto,

    l‟esistenza di un‟unica lingua alla base di tutte quelle che erano oggetto di studio. Tale lingua

    archetipa fu denominata indeuropeo. Tuttavia, mancando tracce dirette di questa lingua, la

    linguistica comparativa dovette servirsi principalmente di forme ricostruite e non attestate,

    soprattutto a livello dello studio della fonetica.

    Per quanto riguarda il lessico, i linguisti fecero ricorso alla comparazione di alcuni tra gli

    elementi linguisticamente più stabili, cioè nomi di piante e di animali, i nomi che si

    riferiscono alla geografia, e soprattutto i toponimi e gli antroponimi.

    Così, attraverso gli studi di indeuropeistica, gli studi toponomastici hanno assunto per la

    prima volta un notevole rilievo.

    Nella prima parte di questa tesi, parlerò della toponomastica italiana in generale. Va osservato

    che la toponomastica, pur facendo parte degli studi linguistici diacronici, intrattiene

    indispensabilmente rapporti con gli studi storico-culturali. Perciò una parte considerevole del

    lavoro consisterà di una rassegna generale della storia del mondo romano ed in particolare

    della Campania.

    Dopo aver presentato una panoramica delle varie invasioni, migrazioni e colonizzazioni in

    Europa e nella penisola italica, tratterò nei primi capitoli la compagine degli strati che

    precedono il latino (i sostrati), di quelli che sono coesistiti con il latino (gli adstrati) e quelli

    che si sono sovrapposti al latino (i superstrati). Per ovvie ragioni mi soffermerò più a lungo

    sullo strato latino. Per quanto riguarda la toponomastica latina, un intero capitolo è stato

    dedicato ai vari registri, agli arcaismi e alla suffissazione.

    Sempre nella prima parte prenderò in esame i vari componenti della toponomastica italiana: la

    geotoponomastica (che tratta i limnonimi o i nomi dei laghi, gli idronimi o i nomi dei corsi

    d‟acqua e gli oronimi o i nomi delle montagne), l‟agiotoponomastica o toponomastica sacra,

    la toponomastica stradale (ed urbana), ecc.

    Nella seconda parte seguirò lo stesso procedimento (migrazioni > sostrati > toponimi),

    applicandolo però specificamente alla toponomastica dell‟area campana.

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    Tratterò poi in maggiore dettaglio la toponomastica antica, cercando di spiegare alcuni tratti

    toponomastici meno trasparenti (i.e. che non provengono dello strato latino) esemplificandoli

    con i toponimi campani presenti nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Metterò poi a

    confronto le particolarità di derivazione dialettale dell‟area campana con alcune irregolarità

    (dal punto di vista dell‟evoluzione latino > italiano) presenti nella toponomastica campana.

    Vorrei ancora sottolineare che, sulla toponomastica del Mezzogiorno d‟Italia e sulla

    toponomastica campana in particolare, le fonti sono piuttosto scarse. Al contrario abbondano

    gli studi sulla toponomastica dell‟Italia settentrionale.

    In conseguenza ho dovuto servirmi di opere che trattano la toponomastica in modo generale.

    Cionondimeno ho cercato di distillare il maggior numero di elementi applicabile anche alla

    toponomastica campana. Così, nelle esemplificazioni, ho sempre avvantaggiato i toponimi

    campani e, nei casi in cui il testo non proponeva un toponimo campano, ho citato nei limiti del

    possibile un toponimo di un‟area geograficamente vicina.

    Vorrei sottolineare, infine, che lo scopo di questo lavoro non era di descrivere in modo

    esauriente la toponomastica campana, quanto piuttosto di presentare un‟analisi-campione

    sufficiente a definire con una certa precisione l‟insieme dei toponimi dell‟area campana.

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    PARTE PRIMA

    0. Introduzione1

    «Toponomàstica [comp. di top(o)- e onomastica: 1884] s.f. 1 Settore dell‟onomastica che

    studia i nomi propri dei luoghi. 2 Insieme dei nomi di luogo di una regione, di uno Stato,

    di una lingua».

    Come ci informa lo Zingarelli, la toponomastica italiana è una disciplina relativamente

    giovane: non si parla di „toponomastica‟ prima del 1884. Ma come sempre l‟oggetto è più

    vecchio che il suo nome. Della toponomastica possiamo fissare la data di nascita nel 1873,

    l‟anno in cui Giovanni Flechia pubblicò la sua opera Di alcune forme di nomi locali dell’Italia

    superiore. L‟obiettivo di Flechia era di ricostruire i significati originali di alcuni nomi locali

    dell‟Italia settentrionale. Dobbiamo però notare che la toponomastica non è nata come una

    disciplina autonoma, ma come disciplina tributaria della linguistica. All‟inizio la

    toponomastica e la linguistica hanno percorsi paralleli: poco prima del Flechia, Graziadio

    Isaia Ascoli aveva pubblicato i suoi Saggi Ladini, trattando anche dei dialetti dell‟Italia

    settentrionale.

    Prima del 1873, quando non si poteva ancora parlare di una vera disciplina toponomastica, le

    ricerche sui toponimi erano condotte da storici e geografi, ma i loro metodi erano individuali e

    non si poteva parlare di un vero metodo scientifico. I loro risultati erano dubbi e spesso basati

    su congetture. È innegabile tuttavia il valore delle ricerche di geografi come Olinto Marinelli

    per quanto riguarda i termini geografici e i geonimi.

    La toponomastica come disciplina autonoma, cioè indipendente dalla geografia e dalla storia e

    con una metodologia linguistica, si divide in due rami. Un primo ramo si occupa dello studio

    di toponimi particolari provenienti dall‟intero territorio nazionale. Altri studi tentano di

    spiegare tutti i toponimi di una particolare regione o di una determinata area. Ad esempio, per

    quanto riguarda la toponomastica regionale, contributi validi sono stati elaborati da Silvio

    Pieri che ha proposto un modello di studio che metteva in risalto la necessità di una vasta

    documentazione e una ricerca archivistica. Così Pieri (1898, 1919, 1969) ha illustrato molto

    bene i toponimi della Toscana sottolineando l‟influsso del sostrato etrusco. Sulla scorta dei

    1 Per l‟introduzione mi sono basato su: G.B. Pellegrini, Toponomastica, «I. Sviluppo delle ricerche

    toponomastiche», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen,

    Niemeyer Verlag, 1988, pp. 431-433.

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    lavori del Pieri, sin dall‟inizio del „900, numerosi studiosi si sono occupati della studio dei

    toponimi delle varie regioni in particolare.

    In generale, tuttavia, la toponomastica italiana non ha mai potuto raggiungere lo stesso livello

    di sviluppo delle altre discipline linguistiche sul piano dell‟accuratezza e della completezza.

    Solo pochissimi studiosi sono riusciti a trattare la toponomastica italiana in modo esaustivo:

    inoltre i risultati delle ricerche toponimiche di uno studioso concordano di rado con quelli di

    un altro e sono spesso incerti.

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    1. I sostrati2

    1.1 Il sostrato preindeuropeo

    Gran parte dei toponimi italiani derivano da nomi abbastanza antichi. Si tratta di toponimi che

    traggono le proprie origini dai sostrati prelatini. Tuttavia, una concezione molto diffusa negli

    studi toponimici francesi e italiani suppone l‟esistenza di un sostrato preindeuropeo, o

    „mediterraneo‟ per V. Bertoldi3. Questa tesi poggia sul fatto che tra il 1500 e il 500 a.C. delle

    tribù preindeuropee (se possiamo credere gli autori classici si tratterebbe degli antichi Liguri)

    avrebbero occupato l‟area mediterranea. Secondo Bertoldi ed altri la loro lingua sarebbe

    all‟origine di parecchi idronimi e termini fitonimici o geonomastici. Queste spiegazioni

    semantiche rimangono però ipotetiche perché poggiano troppo su ricostruzioni fonetiche. Così

    Pellegrini ci ammonisce che «alle interpretazioni „mediterranee‟ si può – e vero – muovere

    assai spesso l‟appunto che esse si fondano, in molti casi, su equazioni soltanto apparenti o su

    formanti ritenuti eccessivamente indicativi, con la concessione di alternanze vocaliche o

    consonantiche non sempre controllabili, e spesso semplicistiche o erronee, di comodità

    strategica. Assai più valido è il metodo che si propone di individuare l‟identità di intere parole

    alle quali è più verosimile di attribuire un significato concreto, piuttosto che appoggiarsi

    unicamente a temi o radici»4. Con più certezza possiamo fissare le origini prelatine dei

    idronimi e dei nomi di città antiche che sono attestati nei testi di autori greci e latini (ad

    esempio Plinio il vecchio per la Campania) o che ritroviamo nei graffiti o nelle iscrizioni

    antiche.

    2 Per la storia della lingua mi sono basato su: E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco,

    2005. 3 Il sostrato mediterraneo di Bertoldi corrisponde al sostrato „iafetico‟ del linguista russo N. Marr. Secondo

    quest‟ultimo l‟area del sostrato si espande dai Pirenei alla Caucasia. Secondo W. Von Wartburg un popolo di

    origine nordafricano (i dati linguistici puntano nella direzione degli Iberi) avrebbe rotto quest‟unità linguistica

    mediterranea. 4 G.B. Pellegrini, «Toponimi ed etnici nelle lingue dell‟Italia antica», in: A.L. Prosdocimi (a cura di), Lingue e

    dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p. 82.

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    1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica5

    A partire del X secolo a.C. entrano in Italia varie popolazioni che non mancano di esercitare

    un‟influenza sulla lingua e le cui tracce sono ancore oggi manifeste nella toponomastica

    italiana.

    Prima del X secolo a.C. alcune zone d‟Italia erano occupate da due popoli di cui oggi non

    sapiamo molto: i Liguri e gli Iberi. I primi, probabilmente di origine preindeuropea

    occupavavano l‟area costiera tra Massilia (Marsiglia) e La Spezia (più o meno l‟area della

    Liguria odierna). Gli altri, di origine nordafricana, occupavano la Sicilia e la Sardegna. Dalla

    forma ligure-leponzia *GWHORM („caldo‟) derivano i toponimi Bormio (Lombardia), Aquae

    Bormidae e Bormida (Liguria). Dal sostrato iberico deriva il suffisso –essos in toponimi come

    Herbessos (Sicilia) (cfr. in Spagna, Tartessos)6.

    Intorno al X secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le Alpi in due ondate. Prima del X

    secolo a.C., i Protolatini si spinsero in Italia fino alla Calabria odierna occupando anche la

    Sicilia alla quale diedero il loro nome (furono infatti i Siculi a conquistare la Sicilia). Furono

    inoltre i Protolatini a dare alla penisola il suo nome Italia. Tale nome che designava all‟inizio

    solo la parte centro-meridionale della penisola, deriva da Italus, il dio toro dei Protolatini e

    significa „terra piena di bestiame‟.

    Nel X secolo a.C., il secondo gruppo, gli Osco-Umbri, attraversarono le Alpi e si stabilirono

    intorno a Bologna da dove si espansero verso il Sud, dividendo così il territorio protolatino in

    due parte: la Sicilia e il Lazio. L‟osco, il dialetto dei Sanniti, era parlato da Roma alla

    Campania. Cionondimeno è una lingua attualmente quasi sconosciuta. In Campania sono

    scoperte delle iscrizioni, tra l‟altro un trattato fra due città e la legge municipale della città di

    Bantia (che comprende 400 parole in osco) che risalgono ad un periodo compreso tra il III e il

    I secolo a.C. come confermano alcuni graffiti trovati a Pompei. L‟osco fu la lingua ufficiale in

    varie città dell‟Italia centro-meridionale (come Capua in Campania), fino al II secolo a.C.,

    quando perse il suo prestigio e sparì, non senza però lasciare delle tracce. Il toponimo Nuceria

    Alfaterna (Campania) ad esempio, si richiama all‟aggettivo umbro *NOUKRIA, *NOKRIA („la

    nuova‟). Pompei (Campania) < Pompeji riprende il numerale osco pompe, „cinque‟ alludendo

    alle cinque borghi di cui l‟antica città di Pompei era composta7.

    5 Cfr. Carta I.

    6 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «II. Gli Studi sul sostrato», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 433. 7 Ivi, p. 434.

  • 13

    Un secolo dopo, gli Etruschi, un popolo di origine incerta, fondarono un regno a nord del

    Lazio fermando così l‟espansione osca. Tra il 800 e il 400 a.C. il loro regno si estese da

    Bologna alla Campania. Vari nomi di città dell‟Italia centrale risalgono a questo sostrato

    etrusco, come quello della capitale, per cui i toponomasti propongono due spiegazioni: Roma

    < Rumon, altro nome per il Tevere; romanus dovrebbe essere stato l‟equivalente di „fluviale‟.

    Oppure, Roma < ruma, „mammella‟, (cioè „colle‟), con riferimento allora al Palatino8.

    Nello stesso secolo i Greci si stabilirono nelle zone costiere della Sicilia, della Calabria e della

    Campania fino a Napoli. Popolo marinaro, i Greci occupavano le coste e senza penetrare mai

    l‟entroterra. Dal VII al III secolo a.C. il greco servi come lingua di cultura nell‟Italia

    meridionale. Il nome del capitale della regione di Campania deriva dal sostrato greco: Napoli

    (Campania) < Νεάπολις (cioè „città nuova‟)9.

    Prima dei Greci i Fenici avevano qualche colonia in Sicilia, ma questo popolo potè far sentire

    la propria influenza solo sporadicamente: Tharros (Sardegna) < Tiro (nome fenicio), cfr. ebr.

    zar „roccia‟, „scoglio‟10

    .

    Dopo il 1000 a.C. due popoli di origine illirica attraversarono il mare Adriatico. I primi, i

    Veneti, occupano le coste dell‟odierno golfo di Venezia. Una traccia del sostrato veneto

    sarebbe riscontrabile nel suffisso –este, presente in toponimi come Trieste (in Friuli-Venezia

    Giulia). I secondi, i Messapi, occuparono Puglia. Al sostrato veneto appartiene tra l‟altro

    Vicetia, „Vicenza‟ (Veneto) cfr. lat. VICUS, gr. οἶ κος, ‟insediamento‟11; a quello dei Messapi

    appartengono i toponimi pugliesi Brindisi e Taranto.

    A partire del 400 a.C. i Celti, un popolo proveniente dalla Germania meridionale, attraversò le

    Alpi cacciando via gli Etruschi dalla pianura padana. Al sostrato gallico risale il nome Milano

    < Mediolanum („la pianura di mezzo‟) < gall. *LANUM („pianura‟)12

    . Nel 387 a.C. i Celti

    assediarono Roma ma, incapaci di prendere il Campidoglio, si ritirano nella pianura padana

    occidentale, da dove cacciarono via una parte della popolazione etrusca nelle Alpi, i Reti.

    Ecco perché certi toponimi nelle Alpi svizzere portano il suffisso etrusco -enna (Clavenna,

    Parsena). Inoltre, i nomi di alcuni comuni altoatesini come Vipiteno hanno un‟origine etrusca:

    Vipitenum < personale etr. Vipiθenes13

    .

    Viste le tante migrazioni nell‟Italia prelatina e la costellazione di sostrati che ne risulta, non

    meraviglia la grande varietà diatopica dell‟italiano attuale. È nella toponomastica – i nomi di

    8 Ivi, p. 433.

    9 Ivi, p. 434.

    10 Ibidem.

    11 Ivi, p. 433.

    12 Ibidem.

    13 Ibidem.

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    luoghi sono degli elementi più stabili di una lingua - che questa frammentazione linguistica,

    dovuta ai sostrati, ha persistito meglio.

    2. Toponimi di origine latina

  • 15

    2.1 Latinizzazione della penisola14

    Benché i sostrati abbiano fatto sentire il proprio influsso, è il latino a marcare di più la

    toponomastica italiana. La storia del latino comincia verso 800 a.C.. In quest‟epoca il latino

    era un dialetto parlato a Roma, come lo erano anche l‟osco-umbro e l‟etrusco. Tra il 700 e 500

    a.C. gli Etruschi erano il gruppo etnico dominante a Roma. Nel 509 a.C., quando i romani

    spodestarono l‟ultimo re etrusco, Tarquinio il superbo, finì l‟egemonia etrusca. Tutto questo

    però non sarebbe mai stato possibile senza l‟invasione dei Celti che, a partire dal 400 a.C.

    misero gli etruschi sotto pressione. Un altro fattore importante fu la guerra civile tra Mario e

    Silla nel 82 a.C. in cui la nobiltà etrusca sotto la guida di Mario dovè soccombere per mano

    dei romani di Silla. Non è il merito di Silla aver messo fine al potere etrusco anche se fu lui a

    dare agli Etruschi il colpo di grazia. Lo stesso successe con gli Osco-Umbri qualche anni

    prima, con la guerra sociale dal 91 al 88 a.C..

    Seguirono poi le guerre dei romani contro i Sanniti (alla fine del IV secolo a.C.).

    L‟espansione nel meridione continuò nel 275 a.C., quando il re Pirro perse la guerra con i

    Greci della Magna Graecia contro i romani. Tuttavia i romani, per avendo vinto sul piano

    militare, non furono mai in grado di cancellare completamente il greco e la cultura greca

    nell‟Italia meridionale.

    Nel 241 a.C. fu annessa la Sicilia, tre anni dopo la Sardegna. Nel 191 a.C. venne inglobata la

    Gallia Cisalpina e con l‟annessione della Liguria nel 154 a.C. i romani giunsero a controllare

    il territorio dell‟Italia attuale.

    Si potrebbe dire che, in Italia, si continuò a parlare latino fino all‟800, quando colla

    rinascenza carolingia nacque la coscienza che il latino si era ormai differenziato in varie

    lingue diverse. Non meraviglia dunque che durante questi sedici secoli il latino abbia marcato

    in modo irreversibile la toponomastica italiana.

    2.2 I registri dei toponimi latini

    14

    B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 6-10.

  • 16

    I toponomi di origine latina sono facilmente riconoscibili perché sono quasi tutti composti da

    un lessico di base. Inoltre, è possibile collocare i toponimi latini in alcune categorie principali.

    In primo luogo, ci sono i toponimi che si riferiscono alla vita pubblica, con molti derivati di

    FORUM, „piazza pubblica‟, come San Giovanni di Porfiamma (Foligno) che deriva da FORUM

    FLAMINII15.

    Nella stessa categoria possiamo collocare i toponimi che alludono alla vita religiosa, ad

    esempio i derivati di FANUM, „luogo sacro‟, „tempio‟, come i numerosi comuni italiani col

    nome Fano, soprattutto in Toscana16

    .

    Poi ci sono i toponimi che derivano dalla numerazione delle pietre miliari. Così si incontrano

    in Italia nomi come Terzo < AD TERTIUM LAPIDEM, Quarto, Cinto e così via17

    , ad es. Terzo di

    Mezzo (Campania, nella provincia di Salerno), quatro chilometri a est di Eboli; Quarto

    (Campania), sei chilometri a ovest di Napoli ecc. Meno frequenti sono i casi che superano

    dieci, ad es. Quintodecimo (Benevento), ma non si è sicuro che si tratti di un toponimo tratto

    da una pietra miliare18

    .

    Ci sono inoltre toponimi che alludono all‟agrimensura. Si tratta di toponimi che derivano tra

    l‟altro da CENTURIA, „una misura di cento iugeri‟, come Centòja, Centòje in Toscana o

    Centòra, Centòre altrove, e che derivano da CANNABULA, „un fosso di scolo per prosciugare i

    fondi‟, come Canabbia (Toscana)19

    .

    2.3 I suffissi latini

    L‟ultima tra le categorie principali è composta da quei toponimi che esprimono una proprietà

    fondiaria. Si tratta principalmente di questi nomi che comprendono il suffisso –ano, preceduto

    da un nome proprio. In latino il suffisso –anum si combinava spesso con un „nomen gentile‟ o

    un „cognomen‟ per esprimere un‟appartenenza, ad es. fundus Vettianus - uno dei composti

    nome + anum nella Tabula Alimentaria di Veleia trovata a Piacenza, Emilia-Romagna - cioè

    15

    G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435. 16

    Ibidem. 17

    Ibidem. 18

    G.B. Pellegrini, «Osservazioni di toponomastica stradale», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia,

    struttura, società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 218-219, 225. I toponimi che derivano da pietre miliari sono da

    collocare nella toponomastica stradale (cfr. infra). 19

    G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435.

  • 17

    „la tenuta della stirpe Vettia‟. Carmignano (Padova, Veneto) < CARMINIUS e Caverzano

    (Belluno, Veneto) < CARMINIUS, testimoniano ancore di questa formazione20

    .

    Salta agli occhi che questo suffisso -anum > -ano si incontra in tutta Italia, salvo che

    nell‟estremo Sud della Calabria, nella Sicilia e nella Sardegna. Nell‟Italia meridionale, cioè

    l‟area che corrisponde più o meno alla Magna Graecia, dove si è fatto sentire l‟influsso greco,

    il suffisso –anum > -ano ha fatto posto per quello greco -óς-anò come in Cagnanò

    (Sicilia) < CANIUS, Gallieianò (Calabria) < GALLICIUS21

    .

    Si osserva che anche i toponimi che risalgono ai sostrati prelatini esprimono spesso

    un‟appartenenza e che ognuno di questi sostrati è all‟origine di un suffisso che può essere

    preceduto dal nome del possessore. Così, nell‟Italia settentrionale si incontrano toponimi che

    finiscono con i suffissi -ago < -acus, ad es. Giussago (Pavia) < JUSTIACUS, JUSTIUS; -ach < -

    acus, ad es. Cugnàch (Sedico, Belluno), colla vocale finale caduta < COVINIUS; -acco < -

    acus, ad es. Adegliacco (Friuli Venezia Giulia) < *ALLIACU, ALLIUS22. Probabilmente i

    suffissi derivanti da -acus, -acum sono di origine celtica, analoghi a quelli che si osservano

    nella Francia centro-meridionale: cfr. Cognac, Armagnac, Bergerac ecc., corrispondenti nella

    Francia settentrionale ai suffissi -y, -ay < -iacum, ad es. Orly < AURELIACUM (cfr. Aurillac

    nella Francia centrale)23

    .

    Suffissi collo stesso senso sono -ate, molto frequente in Lombardia, ad es. Lambrate e -en(n)a

    e -inus probabilmente di origine etrusca, ad es. Bibbiena (Toscana)24

    .

    Il suffisso -asco < -ascus, ad es. in bergamasco (di Bergamo), comasco (di Como) ecc.,

    merita particolare attenzione. Come i suffissi -anus e -acus, anche -asco si aggiunge a nomi di

    persone e esprime un‟appartenenza. Ma per quanto riguarda la sua origine non esiste una

    unanimità tra i toponomasti. Vista l‟alta frequenza del suffisso nel nordovest dell‟Italia, alcuni

    come Giovanni Flechia (1873), suppongono una provenienza ligure. Il fatto però che il

    suffisso –asco si trovi anche nel territorio ladino, ha spinto alcuni linguisti a propendere per

    un‟origine celtica o indoeuropea. D‟altro canto, la prima attestazione del suffisso in

    un‟iscrizione genovese del 117 a.C., elenca i fiumi Neviasca, Vinelasca, Veraglasca e

    Tudelasca e sembra rinforzare l‟idea di una provenienza ligure. Inoltre anche in Corsica,

    20

    Ibidem. 21

    Ibidem. 22

    Ibidem. 23

    G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti

    d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 38. 24

    G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 436.

  • 18

    antico territorio ligure, si incontrano nomi geografici quali Aragnasco, Grillasca, Giuvellasca,

    Palasca e Venzolasca25

    .

    Secondo la tesi proposta dai sostenitori di un‟origine ligure il suffisso -asco sarebbe stato

    preso in prestito dai Celti e poi dai Romani, che avevano già assunto suffisso celtico -acum. I

    Romani accordavano ad -asco una funziona analoga a quella di -ano e -ago, come si verifica

    nei doppioni Arnasco / Arnano, Arnago < ARNIUS; Calvignasco / Calvignano < CALVINIUS;

    Maiasco / Maiano < MAIUS ecc26

    .

    2.4 Gli arcaismi

    Varie voci che esistevano nel latino volgare non si sono mantenute nelle lingue romanze.

    Spesso queste parole venivano sostituite da termini innovativi o da parole con una

    connotazione diversa. Tra queste parole possiamo collocare ad esempio la parole per

    „cavallo‟, EQUUS („destriero‟), che nel latino volgare viene soppiantata dalla parola

    spregiativa CABALLUS („ronzino‟) che risulta in it. cavallo, fr. cheval, prov. cat. cavall, sp.

    caballo, port. cavalo, rum. cal. Altre termini vengono sostituiti da due o più forme, ad es.

    l‟aggettivo PULCHER che nelle zone periferiche cede il posto a FORMOSUS: sp. hermoso, port.

    formoso, rum. frumos mentre nelle aree centrali è l‟aggettivo BELLUS che s‟impone: it. bello,

    fr. bel / beau27

    .

    Si osserva anche una differenza tra zone periferiche, che sono generalmente più conservatrive,

    e zone centrali, che tendono a essere più innovative. Così si può incontrare in lingue

    periferiche parole che non esistono più nelle lingue centrali, ad es. MAGNUS („grande‟) e

    DOMUS („casa‟) che nel Sardo risultano in mannu e domu, parole che non continuano nelle

    altre lingue romanze28

    .

    È dunque nel linguaggio conservativo che persiste un lessico arcaico. Ecco perché anche la

    toponomastica – come si è detto, i nomi di luoghi sono tra gli elementi linguisticamente più

    stabili – può servirci come una fonte per la conoscenza del lessico arcaico. Inoltre la

    toponomastica ci permette anche di ricostruire meglio i confini dei sostrati e dei superstrati.

    Ciò fa di essa una vera disciplina linguistica e non esclusivamente una disciplina storico-

    25

    G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti

    d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 39. 26

    Ivi, p. 39-40. 27

    G.B. Pellegrini, «Toponomastica e lessico arcaico», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia, struttura,

    società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 286-287. 28

    Ivi, p. 287.

  • 19

    geografica29

    . Alcuni esempi di parole latine che non sopravvivono nelle lingue romanze ma di

    cui possiamo ancora distinguere le tracce in parecchi toponimi sono ACERNUS (aggettivo

    significante „di acero‟) > Acèrno (Campania), AGELLUS („campicello‟) > Aiello del Sabato

    (Campania), ARX, ARCE („rocca‟, „altura‟) > Arce (Campania, presso Caserta), BASILICA

    („chiesa‟) > Baselice (Campania), CENTURIA („misura di cento iugeri, poi di duecento‟) >

    Centora (Campania, presso Aversa), MAIOR, -ORE („maggiore‟) > Frattamaggiore

    (Campania), SUBSICIVUM („particella di terreno che rimane esclusa della misurazione di una

    centuria‟) > Succivo (Campania), THERMAE („bagni caldi‟) > Telese Terme (Campania),

    VETUS, -ERIS („vecchio‟) > Castelvetere sul Calore (Campania)30

    .

    29

    Ivi, pp. 297-298. 30

    Ivi, pp. 288-297.

  • 20

    3 I superstati

    3.1 Le invasioni barbariche

    All‟inizio del X secolo l‟impero romano è ormai sfaldato dalle tante tensioni e le popolazioni

    slave e germaniche coglono l‟occasione per espandersi nei suoi confini.

    Nel 406 i Vandali lasciarono l‟Ungheria per la penisola iberica, ma nel 410 furono cacciati via

    dai Visigoti, dagli Svevi e dagli Alani e furono costretti ad attraversare il Mediterraneo verso

    l‟Africa, da dove occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Baleari. Nel 406,

    cominciò anche l‟espansione dei Burgundi, un popolo proveniente della Germania

    settentrionale, che, respinti dai Romani, si stabilirono nella Savoia e nella parte confinante

    della Svizzera. Nello stesso periodo gli Alamani occuparono la Svizzera settentrionale, dove

    alcuni anni dopo si stabilirono anche i Bavari, costringendo la popolazione romana di ritirarsi

    nelle Alpi. Infine, nel 411, l‟esercito romano in Britannia si vide sconfitto dalla popolazione

    anglosassone e poco dopo i Celti furono respinti verso l‟est.

    All‟inizio del V secolo l‟impero romano era ormai ridotto alla sola penisola italica; la caduta

    avvenne nel 476, quando Odoacre, il re degli Eruli, una piccola tribù germanica, depose

    l‟imperatore d‟Occidente Romolo Augustolo. Il suo regno fu però di breve durata perché già

    nel 493 Odoacre fu sconfitto dagli Ostrogoti di Teodorico a Ravenna. Il dominio di

    quest‟ultimo resistè fino a 526, quando l‟imperatore dell‟oriente Giustiniano cominciò dalla

    Sicilia la riconquista della penisola italica che finì nel 555. Nel frattempo si veniva

    consolidando il regno dei Franchi sotto la guida di Clodoveo.

    Nel 568 i Longobardi, respinti dalle popolazioni Slave dall‟area dove si trova oggi l‟Ungheria,

    trovarono la pianura padana indifesa. Durante i due secoli seguenti occuparono quasi tutta la

    penisola. Pavia diventò la capitale del regno longobardo. I Longobardi però, non riuscirono

    mai a conquistare il sud. Il loro regno si estese fino a Benevento (Campania), ma il resto del

    territorio meridionale (fino a Napoli) e le due isole rimasero bizantini. Carlo Magno sconfisse

    definitivamente i Longobardi nel 773-774.

    Nel IX secolo, la Sicilia, sempre dominata dai Bizantini, venne invasa dagli Arabi che

    riuscirono a sottomettere i Bizantini in una guerra che durò quasi un secolo. Nello stesso

    tempo attaccarono le coste dell‟Italia meridionale, senza riuscire ad imporre un proprio regno

    durevole (salvo a Malta). Nella seconda metà del XI secolo gli Arabi furono cacciati via dai

    Normanni invocati dai Bizantini. I Normanni fondarono in Sicilia un regno durevole che si

  • 21

    estendeva anche sulla penisola. Per quanto possa sembrare strano i Normanni furono in grado

    di vivere in Sicilia in perfetta armonia con gli Arabi fino al XIII secolo.

    Nell‟Italia meridionale troviamo anche alcuni stanziamenti albanesi. Nel XV secolo, gli

    albanesi, in fuga dall‟espansione turca, sbarcavano a ondate in Calabria. Coinvolti come

    mercenari del re di Napoli, ottennero terre e alcuni privilegi.

    3.2 I toponimi postlatini

    Numerosi sono i toponimi che si richiamano ai popoli che hanno invaso la penisola italica nel

    periodo postlatino. Ad es. Alagna (Lombardia) < ALANI, Soave (Piemonte, Veneto) < SVEVI,

    SVAVI, Sassinoro (Emilia-Romagna e Campania, presso Benevento) < SASSONI, Burgondi

    (Pavia) < BURGUNDI ecc31

    .

    Ancora più numerosi sono i toponimi che si riferiscono alla presenza dei Goti, ad es. Castello

    di Gòdego (Treviso), Gòdeghe (Vicenza), Goito (Mantova) ecc., e per quanto riguarda l‟Italia

    meridionale Sant’Agata dei Goti (Campania, presso Benevento). Onnipresenti nella

    toponomastica italiana sono inoltre i derivati longobardi ad es. FARA „insediamento di una

    comunità di viaggio longobardo‟ (soprattutto nell‟Italia settentrionale) > Farra d’Isonzo

    (Friuli Venezia Giulia), Farra d’Alpago (Belluno) e così via; BERG „monte‟ > Perga, Berga,

    Valperga; GAHAGI „luogo chiuso da siepe‟, „bosco‟ > Caggiano (Campania); SALA „corte‟,

    „casa padronale‟ > Sala Consilina (Campania, presso Salerno)32

    .

    L‟influsso bizantino sulla toponomastica dell‟Italia meridionale è abbastanza considerevole,

    soprattutto per quanto riguarda le due isole e la Calabria. Osserviamo tra l‟altro Cefalù

    (Sicilia) che esiste nel greco classico e che tramite il bizantino ha formato il toponimi attuale,

    Kefaloύd(i)ojCefalà Diana Calatafimi qal

    cat fïmi „la rocca di Eufemio‟ o qasr > Càssaro (Palermo).

    Particolare interesse meritano i casi di paronomasia come Caltanissetta. L‟antico nome di

    questa città era Nis(s)a (abitata dai Nisseni) che viene interpretato dagli Arabi come nisā, il

    plurale arabo per „donne‟. La parola araba per designare la loro cittadella era allora qalcat an-

    31

    G.B. Pellegrini, Toponomastica, «V. Toponimi di origine postlatina», in: G. Holtus, Lexicon der

    Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 437. 32

    Ibidem. 33

    Ivi, pp. 437-438.

  • 22

    nisā > Caltanissetta, cioè „castello delle donne‟. Lo stesso è successo per quanto riguarda

    Ἕννα, Henna (Castrum Ennae) che veniva interpretata dagli Arabi come Yannah, Yanni cioè

    Ioanni, Giovanni. Così troviamo attestato nel 1091 un Castrum Ioannis, nel 1142 kάstrou

    iwάnnou, nell‟arabo qasr yānah, che diventa più tardo Castrogiovanni34

    .

    Potremmo elencare i tanti esempi di toponimi siciliani che hanno subito l‟influsso arabo, ma

    lo scopo qui è semplicemente quello di evidenziare l‟impatto enorme – ma non sorprendente,

    dato che gli Arabi hanno vissuto durante cinque secoli nella regione - della civiltà araba sulla

    Sicilia. Il fatto che gli Arabi siano stati in grado di modificare ancora nel Medioevo la

    toponomastica siciliana, mette in risalto la loro importanza linguistica e culturale per l‟Italia

    meridionale.

    Per quanto riguarda la presenza albanese nell‟Italia meridionale, tracce chiare di tali

    insediamenti si possono trovare nella toponomastica di questa zona: cfr. S. Cosmo Albanese

    (Calabria), Falconara Albanese (Calabria)35

    .

    34

    Ivi, p. 438. 35

    E. Finamore, I nomi locali italiani, Rimini, Edizioni Nuovo Frontespizio, 1980, p. 8.

  • 23

    4. Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi

    Come ho già fatto notare sopra, certi termini geonomastici risalgono a tempi abbastanza

    antichi. Si tratta di nomi di corsi d‟acqua detti „idronimi‟, di nomi laghi o „limnonimi‟ e di

    nomi monti o „oronimi‟. Nell‟ottica di una datazione di questi termini geonomastici dobbiamo

    inanzittutto fare una distinzione tra gli idronimi da un lato e i limnonimi e gli oronimi

    dall‟altro. Generalmente gli idronimi sono più vecchi degli oronimi visto che i corsi d‟acqua

    erano in tempi remoti quasi le uniche vie di communicazione e di circolazione. Dunque

    spesso i nomi dei corsi d‟acqua derivano da strati molto antichi, non di rado indeuropei, cioè

    prelatini. ad es. Serio (Lombardia) < Sarius < la radice iendeuropea *SER-/*SOR- „scorrere‟

    (cfr. Sarca (Lago di Garda)); Àbano (fonte termale di) < APONUS < la radice indeuropea *ap-

    „acqua‟, „fiume‟; Arno < la radica indeuropea *er-/*or- „mettere in movimento‟, „agitare‟ (cfr.

    l‟Arne, un‟affluente della Suippe in Francia, nel dipartimento della Marna). Però questi

    idronimi non si sa da quale sostrato derivino precisamente. Si può solamente dire da quali

    strati provengano le modificazioni che hanno subito. Di altri idronimi italiani, spesso

    settentrionali, i toponomasti hanno potuto precisare l‟origine. Ad es. Reno (Emilia-Romagna),

    probabilmente di origine celtica *REINOS36.

    H. Krahe37

    , ha fatto uno studio sugli idronimi dell‟Europa centro-settentrionale e ha potuto

    distinguere alcuni suffissi ricorrenti in parecchi idronimi di origine indeuropea. Tuttavia gran

    parte dei toponomasti italiani e francesi non condividono le sue tesi. Krahe individua tra

    l‟altro il suffisso -nt(ia) come in Aventia > Avenza (Carrara) (cfr. Avena (Calabria)) in cui si

    riconosce la radice *av-/*au- „fonte‟, „corso di fiume‟38

    .

    Uno studio molto interessante sull‟idronomia è stato fatto dal linguista tedesco Gerhard

    Rohlfs (1972). Egli individua differenti categorie di provenienza dei nomi di fiumi. Così

    parecchi fiumi e torrenti prendono il nome di animali, ad es. Drago (Sicilia), Dragone

    (Toscana), Serpente (Sicilia), Grue (Lombardia), Cervo (Piemonte), Corvo (Campania),

    Cicogna (Veneto) ecc. Lo stesso vale per gli oronimi, ad es. Aquila (Calabria), Monte Corvo

    (Sicilia), Monte Porco (Campania), Monteleone (Umbria, Campania) ecc39

    .

    36

    G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 438. 37

    H. Krahe, Unsere ältesten Flussnamen, Wiesbaden, Harrassowitz, 1964, (citato in G.B. Pellegrini,

    Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano,

    Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439.) 38

    G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439. 39

    G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti

    d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 46.

  • 24

    Anche i nomi di divinità possono apparire in oronimi o idronimi, come avviene nei

    numerosissimi monti con il nome Monte Giove (Piemonte, Lombardia, Toscana, Abruzzo,

    Calabria) e nei tanti oronimi nell‟Italia settentrionale che si richiamano alla dea romana

    Minerva: Minerbe (Verona), Minerbio (Bologna), Manerbio (Brescia) < Minervium „tempio

    di Minerva‟ e in Calabria c‟è un fiume dal nome Mércure. In vari nomi di paesi nell‟Italia

    meridionale si riconosce il nome di Ercole. Sono le tracce di un antico culto erculeo in questi

    regioni, Ercole (Campania), Erchie (Campania, presso Salerno), un paese omonimo si trova in

    Salento40

    .

    Molto particolare appare anche l‟idronimia degli affluenti, di cui i nomi sono spesso composti

    dal nome del fiume in cui escono e un suffisso diminutivo che ci si aggiunge. Ad es.

    l‟affluente del Tàmmaro (Campania, Benevento) si chiama la Tammarecchia, quello del

    Tevere si chiama il Teverone e i due fiumiciattoli che si uniscono nel Crati (Calabria) si

    chiamano il Cratone e il Craticchio41

    .

    Secondo lo stesso Rohlfs, alcuni limnonimi prendono origine da credenze popolari. Si tratta

    soprattutto di laghi che si trovano in aree disabitate e inospitali. In Sardegna esiste un Riu de

    Giana „fiume della strega‟ (Giana < sard. jana „strega‟ < Diana), cfr. il nome del torrente

    Janare (Campania, presso Benevento); in Calabria c‟è un fiume che si chiama Satanasso; in

    Sicilia troviamo il fiume Madredonna < Mater domina < Mater matrona, che si riferisce

    probabilmente all‟antico culto della dea Cibele42

    (cfr. la Via Matromania (Capri): < la grotta

    di Matromania, luogo di venerazione della dea Cibele)43

    .

    Non si deve poi dimenticare che, non di rado, la presenza di un fiume, di un monte o un lago

    può anche riflettersi nei toponimi delle località limitrofe. Si osservano i toponimi come

    Fiume, Flúmene (Sardegna), Lago, Poggio, Rocca, che in certi casi sono specificati da un

    aggettivo che segue come in Fiumefreddo, Flúminimaggiore (Sardegna), Lagonegro,

    Poggioreale, Roccaforte, o come avviene di norma nella toponomastica francese centro-

    settentrionale, precede il nome: cfr. Altomonte, Belmonte. Spesso i toponimi di questo tipo

    comprendono un suffisso diminutivo per esprimere la dimensione Roccella (Calabria),

    Rocchetta (Liguria), Monticello (Piemonte), Fiumone, Petrone ecc44

    .

    40

    Ivi, p. 47. 41

    Ibidem. 42

    Ivi, pp. 47-48. 43

    G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia,

    Firenze, Sansoni, 1972, p. 101. 44

    G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti

    d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 32.

  • 25

    Elementi ricorrenti nella toponomastica delle aree montagnose sono Motta „monte con cima a

    cupola‟, Serra „catena dentellata‟ (cfr. Serre in Campania), Morra „massa rocciosa‟ (cfr.

    Morra de Sanctis in Campania) e Penna „cima‟, cioè elementi che alludono all‟aspetto delle

    formazioni montagnose. Frequentissimi nell‟area appenninico meridionale (Campania,

    Abruzzo) sono le forme peschio, pesco, cioè „roccia‟, e i loro derivati, ad es. Pesco

    Lombardo, Pescopagano ecc. Altre forme costante sono péntima „rocca grande‟ (cfr. Péntima

    in Abruzzo), ed altri toponimi che alludono alla forma delle montagne Montepertuso „monte

    perforato‟ (Campania), Pettinascura „pettine oscuro‟ (Calabria). La vicinanza di un palude o

    un avvallamento risulta in toponimi composti dalla forma pugliese lama, cioè „avvalamento

    umido e paludoso‟, ad es. Lama dei Peligni (Abruzzo), Lamalunga (Puglie), Lamatorta

    (Puglie) e così via45

    .

    Viene anche frequentamente incorporata nei toponimi la nozione di „cavo‟ (grotta), ad es.

    Grotte (Sicilia), Sperlonga (Campania), Sperlinga in Sicilia (dove una parte della popolazione

    vive ancora in abitazioni scolpite nelle grotte), Spílinga (Calabria) < lat. spelunca < gr. ant.

    spή lugga‟cavità‟46.

    Anche la vicinanza di un fiume,di un lago, di un sorgente minerale o un bagno può essere

    determinante per certi toponimi, ad es. Piedilago (Campania), Bagnoli (Campania), Pozzuoli

    (Campania) < lat. puteoli47

    .

    45

    Ivi, p. 33. 46

    Ibidem. 47

    Ivi, p. 36.

  • 26

    5. Toponomastica medievale

    5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica

    Di particolare interesse per lo studio della storia culturale appare la toponomastica sacra, cioè

    i nomi dei luoghi, spesso di piccole località, in cui figura un nome di un santo o di una santa.

    Si osserva questo tipo di toponimi non prima dal VI secolo, cioè quando la fede cristiana si

    era abbastanza diffusa. All‟inizio questi toponimi erano accompagnati dalle forme sanctus (o

    sancta) e domnus (o domna). Quest‟ultima forma figura ancora nella toponomastica francese

    agglutinata al nome del santo in toponimi del tipo Domrémy, Dompierre, Domgermain,

    Dampierre, Dammartin, Donnemarie, Dannemarie ecc. Toponimi di tale formazione non

    occorono in Italia. Però nella toponomastica dell‟Italia meridionale (Dompetrizzi, Don

    Gennaro, Don Giovanni...) e di Sardegna (Don Antiogu, Don Efisi) è molto frequente l‟uso

    dell‟appelativo „don‟ (cfr. la toponomastica spagnola), ma non si è sicuro che esso si riferisca

    a un santo. Ciononostante si sa con maggiore certezza che appartengono alla toponomastica

    sacra i nomi introdotti dalla forma femminile domina, come ad es. nella chiesa di

    Donnaromita a Napoli48

    .

    Nell‟Italia meridionale, presso gli insediamenti greci, parecchi nomi di località comprendono

    le particelle ajo e as che risalgono al greco ἅ giojla forma equivalente del latino sanctus.

    Però i toponimi di questo tipo si limitano alla Calabria meridionale, ad es. Ajom Betro „San

    Pietro‟, Ajo Nicola, Ajo Laurendi ecc. e alle Puglie, ad es. As Antoni o nell‟accusativo An

    Antoni, An Jako, An Aloi. Ogni tanto, tali particelle sono difficilmente riconoscibili, come in

    Accisári „San Cesario‟ (Calabria) e Addunao „San Donato‟ (Calabria)49

    .

    Appartengono alla stessa categoria i toponimi nell‟Italia meridionale che sono composti da

    una forma derivata del greco ύrioj ‟domnus‟ (nel senso di „sanctus‟), come il monastero di

    Cersosimo < Cyr Zosimo < ύrioj Zώsimoj (Lucania) o i toponimi calabresi Cernostasi (<

    Anastasius), Cerantoni (< Antonius), Ceramarta (< Martha)50

    .

    Non di rado, visto l‟uso frequente in Italia di forme vezzeggiative per i nomi propri, è difficile

    determinare i nomi santi da cui certi toponimi derivano, ad es. San Mommé (Toscana) < San

    Tommaso. Si considera anche le numerose forme aferetiche (caratterizzate dalla caduta di una

    sillaba all‟inizio di una parola) o apocopate (con caduta di una sillaba alla fine della parola)

    48

    G. Rohlfs, «Nomi di santi nella toponomastica italiana (Hagiotoponomastica)», in: id., Studi e ricerche su

    lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 75-76. 49

    Ivi, p. 76. 50

    Ibidem.

  • 27

    come San Boldo (Friuli) < Uboldo < Ubaldus, Sant’Aponal (nome di una chiesa veneziana) <

    Sant‟Apollinare, Santa Stasia (Campania) < Sant‟Anastasia ecc51

    . In vari altri casi, si osserva

    una connotazione simile nelle costruzioni con suffissi vezzeggiativi affettuosi (sovente

    diminutivi) come in San Giovanniello (Campania), Sant’Angiolillo (Campania)52

    .

    Come si è detto qui sopra, vari agiotoponimi subiscono tali modificazioni fonetiche (cfr.

    infra) che, per chi non si intenda della materia, può risultare quasi impossibile riconoscere un

    qualsiasi nome di santo. Si osservano ad esempio San Chiaffredo (Piemonte) < Santo

    Theotfredus, San Forzorio (Sardegna) e San Rossore (presso Pisa) che sono tutti e due

    riconducibili al santo Luxorius, e in Campania Sant’Elmo che si richiama al santo Erasmus53

    .

    Non di rado, anche l‟appelativo romanzo San(to) / Santa o quello greco hágios, si dissolve nel

    nome del santo o della santa, ad es. Selino (Bergamo) „San Lino‟, Santhià (Piemonte)

    „sant‟Agata‟, Marcellino (Lombardia) era anticamente San Marcellino e così via; del greco

    hágios rimane una traccia (As-) in Aspalmo (Calabria), Asparmu (Calabria), che si è perso

    completamente in Jacurso (Calabria) < santo gr. Akurios e Jòppolo (Calabria) < lat. Opulus <

    santo gr. Euplos54

    .

    Anche il caso contrario, però, non è eccezionale. Può accadere cioé, che un qualsiasi

    toponimo assuma ingiustamente l‟accezione „San(to)‟. Ciò è successo col nome del comune

    campano di San Támmaro. Di questo preteso San Támmaro, considerato santo patrono anche

    a Vico Pantano nel vescovato di Aversa, le fonti storiche non ci dicono niente. Secondo una

    leggenda si tratterebbe di un santo che avrebbe vissuto prima in Africa e poi in Campania

    (dopo l‟invasione africana dei Vandali). Durante il suo soggiorno campano sarebbe stato

    vescovo di Benevento, dove avrebbe prestato il suo nome al fiume Támmaro (un affluente del

    Calore). Più probabilmente però, un santo di nome Támmaro non è mai esistito ed è il fiume

    che ha dato il suo nome a questo santo fittizio55

    .

    Spesso toponimi che iniziano per „san‟, vengono scorrettamente considerati come

    agiotoponimi. In Campania, nella provincia di Benevento, c‟è una località che si chiama San

    Genito. Benché un santo di nome Genitus sia attestato, San Genito è più probabilmente

    ricalcato sul nome dato in varie regioni italiane al corniolo, sanguine, che dappertutto in Italia

    risulta in toponimi dal tipo Sanguineto, Sangineto ecc56

    .

    51

    Ibidem. 52

    Ivi, pp. 83-84. 53

    Ivi, p. 77. 54

    Ivi, p. 79. 55

    Ivi, p. 80. 56

    Ivi, p. 81.

  • 28

    In altri casi esiste una confusione tra il maschile santo e il femminile santa, ad es. Santa Saba

    (Calabria) dal santo Sabas, Santa Mama (Calabria) dal santo Mamas, Santa Jona (Abbruzzo)

    dal santo Jonas, San Fosco (Campania, presso Benevento) da Santa Fosca57

    .

    Molte volte gli appelativi San(to) e Santa indicano un santo o una santa non attestato, ad es.

    San Cisano (Campania, nella provincia di Avellino), San Puoto (Campania, nella provincia di

    Caserta), Santa Commara (Campania), Santa Marena (Campania), oppure accompagnano

    altri nomi come in Sansepolcro (Toscana), Santa Spina (Calabria), Santa Trinità

    (Campania)58

    .

    Ho già accennato al fatto che l‟agiotoponomastica può fornire dati rilevanti per la ricerca

    dialettologica. Così lo l‟evoluzione di un nome come Pancratius verso i toponimi San

    Brancato (più volte nell‟Italia meridionale) o San Francato (Campania, nella provincia di

    Salerno) illustra la sonorizzazione di certe consonanti sorde dopo un nasale nel dialetto

    napoletano (cfr. infra per la metatesi di r). Ad esempio San Venditto e Santo Vendetto (tutti e

    due in Campania) si richiamano di sicuro al santo Benedetto, visto che nel dialetto napoletano

    una b in posizione iniziale evolve verso una v (cfr. infra)59

    .

    Ogni tanto tali evoluzioni foneticche risultano nella venerazione di un altro santo. Il comune

    Sant’Oreste (nei Monti Sabini) ha ricevuto il suo nome nel Medioevo dal santo Eristus o

    Aristus < (H)edistus. Però, dal momento in cui si è scoperto che, accanto al santo Eristus,

    esisteva anche un sant‟Oreste, ambedue sono stati considerati come patroni del comune60

    .

    Occasionalmente due toponimi quasi omofoni (cioè con una minima differenza fonetica)

    venivano considerati falsamente come riferiti a due santi diversi, come ad es. è avvenuto per i

    toponimi San Nicandro (Campania) e San Licandro (Campania) in cui si tratta senz‟altro

    dello stesso santo. Lo stesso vale per il doppione San Mango (Campania, Calabria) e San

    Magno (Calabria)61

    .

    Un caso ancora più complesso e oscuro è quello del toponimo campano (anche a Lucania,

    Salerno) San Chirico, che di solito viene ricondotto a Cyriacus < Kuriakό j volg.

    Kurikό jTale derivazione suppone ipoteticamente che nell‟Italia meridionale la kgreca si sia

    mantenuta davanti a una vocale palatale. Più probabile è la tesi di Gerhard Rohlfs (1972) che

    fa risalire il nome Chirico a quello del santo greco Clericus che nell‟Italia meridionale si

    57

    Ivi, p. 82. 58

    Ivi, pp. 82-83. 59

    Ivi, pp. 78-79. 60

    Ivi, p. 77. 61

    Ivi, p. 78.

  • 29

    sarebbe dovuto assimilare a Cyriacus. L‟altra ipotesi di Rohlfs parte dal nome Quiriacus, che

    per confusione da luogo alla forma Quiricus, che avrebbe risultato in Chirico62

    .

    Di particolare importanza socio-culturale è apparsa la ricerca della frequenza dell‟occorrenza

    degli agionimi nei toponimi e la loro ripartizione sul territorio italiano. Nella toponomastica

    italiana il nome Maria è il più frequente, appare 618 volte (44 volte nella toponomastica

    francese), seguito da Martino (455 volte v. 238 volte in Francia), Giovanni (367 volte v. 162

    volte in Francia) e Michele (274 volte v. 65 volte in Francia)63

    .

    Spesso vari agiotoponimi che alludono a uno stesso agionimo si limitano ad aree determinate

    e sovente è possibile determinarne il centro di culto. Inoltre certi agiotoponimi occorrono

    unicamente in una regione. In questo caso si tratta di aree abbastanza isolate come la Sicilia

    (Sant’Alfano, Sant’Alfio, San Ciro, San Fratello) e la Sardegna (Sant’Alenixedda,

    Sant’Angius, Sant’Antioco, Sant’Arvara, Sant’Arzolo, ecc. (la lista comprende 29 nomi))64

    .

    Il raffronto degli agiotoponimi permette anche di stabilire certi legami tra i regioni. Saltano

    agli occhi le corrispondenze tra la Sardegna, la Corsica e Toscana. Vari agiotoponimi

    occorrono in queste tre regioni mentre sono assenti nel resto dell‟Italia: Santa Reparata

    (anche in Abruzzo), Santo Gavino, San Lussorio. La prima santa ha il suo centro di

    venerazione in Toscana (Pisa, Firenze, Lucca), mentre gli ultimi due hanno il centro di culto

    nella Sardegna. Nell‟alto Medioevo la Corsica ha dunque subito a turno l‟influsso toscano e

    sardo65

    .

    Ho già messo in evidenza il contributo greco alla toponomastica dell‟Italia meridionale. Un

    altro apporto è stato dato dai Normanni e dai Francesi. Parecchi agiotoponimi nell‟Italia

    meridionale sono ricalcati su agiotoponimi francesi: si confrontino Sant’Etiena (Campania,

    nella provincia di Salerno) v. Saint-Etienne, Sant’Aloia (Basilicata, nella provincia di

    Lucania) v. Saint-Eloi (Eligius), Santo Mardo e Santo Metaro (Puglie, nella provincia di

    Taranto) v. Saint-Mard e Saint-Médard (ant.) (Medardus) e così via66

    .

    5.2 Toponomastica urbana e stradale

    62

    Ibidem. 63

    Ivi, p. 84. 64

    Ivi, pp. 86-87. 65

    Ivi, p. 88. 66

    Ivi, p. 89.

  • 30

    Un altro tipo di toponomastica che prende origine nel Medioevo è la toponomastica stradale.

    Da un lato, parecchi toponimi urbani risalgono all‟antichità. Dall‟altro, moltissimi sono stati

    sostituiti da nuove forme nel corso del tempo. Spesso tali toponimi sono più trasparenti

    rispetto a quelli antichi. Si tratta tra l‟altro di toponimi - spesso di minore rilevanza linguistica

    - che tendono a immortalare persone illustri. Per quanto riguarda i toponimi antichi sono

    frequentissimi i nomi che alludono all‟antica suddivisione delle città in terzieri o in quartieri

    (per le piccole città), in sestieri, a partire dal XIII secolo e così via. Si pensi ad esempio alla

    divisione in dodicesimi (per horae)67

    .

    Certi quartieri prendono nome dalla popolazione che ci vive. Così appare molto interessante

    l‟etimo della parola ghetto. Il Ghetto era il quatriere veneziano destinato nel 1516 agli Ebrei.

    All‟origine questo quartiere era un‟isoletta dove si fondevano („ghettavano‟) le bombarde68

    nelle tante fornaci che vi si trovavano. Nella stessa categoria vanno inseriti gli Schiavoni,

    cioè, i quartieri destinati agli Slavi69

    . Per la Campania abbiamo ad es. Rua Francesca (Napoli)

    „via dei francesi‟ dall‟antico gallico ruga, cioè „via‟70

    .

    Numerosi sono anche i nomi stradali che ci informano sulla presenza di acqua, cioè fontane,

    ponti, spiagge, porti, paludi, canali, ecc. Per gli esempi mi limito alle città campane71

    : Via

    Chiaia (Napoli): napol. chiaja „spiaggia‟; Via del Lavinaio (Napoli): calabr. sicil. lavinaru

    „canale d‟acqua, torrente‟; Mandracchio (Napoli, nome popolare del Porto Piccolo) „parte

    interna e piccola di un porto‟; Fontana della Maruzza (Napoli): napol. maruzza „chiocciola‟;

    Via Chiatamone (Napoli) e Via Platamone (Atrani, nella provincia di Salerno) < gr.

    ‟terreno piano di lido‟.

    Molto tipici sono i nomi di strade in prossimità di incroci, ad es. Vico Triggio (Benevento),

    Largo Triggio (Avellino) dal antico italiano trebbio „trivio‟.

    Altre strade hanno ricevuto il nome dalla vicinanza di un edificio: Via dell’Anticaglia

    (Napoli) „ruderi antichi‟, i.e. avanzi di antiche costruzioni che in forma di due archi passano al

    di sopra della strada; Via Arce (Salerno, Sorrento): lat. arx „castello‟ (cfr. Arce, comune in

    Campania); Via Foría (Napoli): ha preso il nome dagli antichi casali fuori mura chiamati tὰ

    τwrίa (cfr. Forío in Ischia ed a Cilento); Galitta (Napoli) dall‟antica galitta „garitta‟, cioè un

    67

    G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, pp. 439-440. 68

    La bombarda è un « rudimentale tipo di bocca da fuoco dei secc. XIII e XIV» (Zingarelli) 69

    G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen

    Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 440. 70

    G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia,

    Firenze, Sansoni, 1972, p. 98. 71

    Gli esempi sono tratti da: G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su

    lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 91-108.

  • 31

    casotto di soldati presso l‟ufficio delle Poste. Un caso particolare è quello della Via del

    Parlascio (Capua), un nome stradale frequentissimo dappertutto in Italia ma di cui non si

    conosce con certezza l‟etimo esatto. Alcuni prediligono un‟origine greca perielάsion, il

    diminutivo dell‟antico periέ lasij, cioè „luogo dove si può girare attorno‟, che si sarebbe

    trasmesso dalla Campania al resto d‟Italia, ancora prima della parola amphitheatrum. Però, ci

    ne sono altri che suppongono che parlascio sarebbe derivato dal germanico bero-laz, cioè

    „luogo di custodia per orsi‟. La vera origine del termine rimane un mistero.

    La maggioranza degli altri nomi stradali non si inserisce in queste categorie, ciò nonostante

    sono abbastanza marcati diatopicamente (cfr. infra) e diastraticamente, soprattutto per quanto

    riguarda nomi dei vicoli napoletani ad es. Vico Barrettari (Napoli): dal napoletano barretta

    cioè „berretta‟; Vicolo Calascione (Napoli): dal napoletano calascione cioè „colascione‟,

    strumento musicale tipicamente napoletano; Le Chianche (Napoli): dal napoletano chianca

    cioè „macelleria‟; Vicolo della Corsea (Napoli): dal napoletano corsea cioè „corsia, corridoio‟;

    Vico dei Lammatari (Napoli): dal napoletano lammataro cioè „artigiano che lavora le lame

    delle armi bianche‟; Vico della Tofa (Napoli): dal napoletano tofa cioè „conchiglia marina da

    buccina‟72

    ; Vico delle Zite (Napoli): it. mer. zita cioè „sposa novella‟ ecc.

    72

    La buccina era un tipo di strumento a fiato.

  • 32

    PARTE SECONDA

    «Omnium non modo Italiae, sed toto orbe terrarum pulcherrima

    Campaniae plaga est. Nihil mollius caelo: denique bis floribus vernat.

    Nihil uberius solo: ideo Liberi Cererisque certamen dicitur. Nihil

    hospitalius mari: hic illi nobiles portus Caieta, Misenus, tepentes

    fontibus Baiae, Lucrinus et Avernus, quaedam maris otia. Hic amicti

    vitibus montes Gaurus, Falernus, Massicus et pulcherrimus omnium

    Vesuvius, Aetnaei ignis imitator. Urbes ad mare Formiae, Cumae,

    Puteoli, Neapolis, Herculaneum, Pompei, et ipsa caput urbium,

    Capua, quondam inter tres maximas (Romam Carthaginemque)

    numerata. »

    Publio Annio Floro, (Epitoma, 11)

  • 33

    1. Panoramica storica della Campania1

    L‟area della Campania odierna è sempre stata una regione densamente popolata, già nell‟età

    preistorica. Oggi l‟incontestato centro gravità della regione è Napoli, ma non è sempre stato

    così. Prima della seconda metà del „200 – cioè quando Carlo d‟Angiò ha stabilito la capitale a

    Napoli – erano le altre città che si imponevano.

    Nel IX secolo a.C., Capua, città etrusca, (ora Santa Maria Capua Vetere) dominava la regione.

    In quel periodo la popolazione etrusca si estendeva fino al sud della regione. A partire del VII

    secolo a.C. Capua perse d‟importanza, il che tornò a vantaggio di Cuma, una città fondata dai

    Greci, che si erano già insediati nell‟isola di Ischia, cui diedero il nome Pithecusa, „isola della

    scimmia‟. Lo stanziamento greco a Cuma si estese poco a poco verso il sud, fino a

    Dicearchia (l‟odierna Pozzuoli) e Partenope, un insediamento collinare (sul monte Echia)

    presso il mare. I Greci tendevano inoltre a non espandere il loro territorio, che si limitava a

    qualche insediamento sugli altopiani vicini al mare da cui erano in grado di dominare il

    terreno sottostante.

    Il Cilento, l‟area meridionale della Campania attuale, faceva invece parte del territorio lucano:

    la zona montuosa, che circonda le valli del Calore e del Volturno (che delimitano la provincia

    di Avellino e quella di Benevento) era occupata dai Sanniti e dagli Oschi.

    Nel 524 a.C. i Greci sbaragliarono gli Etruschi a Cuma, lasciando così la pianura aperta ai

    Sanniti che occupavano il territorio etrusco fino alla stessa Cuma. Allo stesso tempo Napoli

    diventò un centro economico di primo piano, visti i tanti rapporti commerciali con altri porti.

    Come ho già sottolineato, queste migrazioni di popolazioni non sono prive d‟importanza per

    quanta riguarda la composizione della regione attuale e i suoi dialetti. Così, il dialetto di

    Cilento condivide molte caratteristiche con il dialetto lucano. Nel 326 a.C. i Romani

    sconfissero i Sanniti e fondarono dappertutto nella regione delle città fortificate, favorendo lo

    sviluppo delle località circostanti. Ancora per più d‟un secolo le diverse popolazioni

    continuarono a parlare la propria lingua, fino a 180 a.C., quando i Greci dovettero riconoscere

    il prestigio del latino, facendone la lingua ufficiale a Cuma.

    È grazie ai Romani che la città di Napoli ha potuto evolversi come il centro della regione, tra

    l‟altro tramite la costruzione di una rete viaria che serviva le regioni limitrofe: la via Pompilia

    che collegava Capua, Nola, Nocera, Salerno fino alla Lucania; e la via Appia che passando

    per Capua, Benevento e Avellino collegava la capitale alle Puglie.

    1 Per la parte della storia campana mi riferisco al primo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi,

    Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 3-14.

  • 34

    Verso il II secolo d.C. l‟impero romano cominciò a sgretolarsi, provocando lo spopolamento

    della regione, la riduzione della produzione agricola e dell‟attività economica. Nel 493, la

    penisola era divisa in due: il nord era occupato dai Bizantini che cercavano di conquistare il

    sud che era in possesso dei Goti.

    Nel VI secolo, arrivarono nella Campania i Longobardi. L‟entroterra campano fu occupato dai

    Longobardi, mentre i Bizantini si erano stabiliti nel Cilento e nella zona costiera, dove

    occupavano Gaeta, Napoli, Amalfi. Quest‟ultima serebbe diventata più tardi una vera gran

    potenza marinara.

    Le tracce della suddivisione della regione sono ancora oggi presenti nel dialetto campano. Nel

    napoletano sono sopravvissute parecchie parole di origine greca, mentre nelle zone interne

    vari toponimi indicano una presenza longobarda anteriore.

    Teniamo anche presente che proprio nell‟area longobarda, cioè a Montecassino, si è

    sviluppata una prima forma di volgare italiano (un volgare campano), attestata nei cosiddetti

    Placiti Cassinesi, quattro giuramenti pronunciati tra il 960 e il 963 a Capua, a Sessa ed a

    Teano, riguardanti la proprietà di alcune terre nel ducato di Benevento.

    Nel XI secolo entrarono in Campania i Normanni, che si stabilirono soprattutto nelle città

    (Aversa, Capua, Salerno, Napoli), mentre Benevento entrò a far parte dei possedimenti papali.

    Spetta ai Normanni il merito di aver unificato la regione e di averne fissato i confini che

    sarebbero rimasti quelli del Regno di Napoli. Durante il regno di Enrico VI (1191-1197) la

    popolazione di Napoli era pari a 40.000 persone. Successivamente, Napoli fu in parte messa

    in ombra da Palermo, che diventò la capitale sotto Federico II, figlio di Enrico VI.

    Ciononostante, fu Federico II ad accordare a Napoli un certo potere politico e culturale ed a

    fondare a Napoli uno Studio Universitario. In questo periodo alcuni gruppi venuti dall‟Italia

    settentrionale si stabilirono in Campania. Ecco perché alcuni toponimi campani si richiamano

    alla presenza di Lombardi, ad es. Torella dei Lombardi, Guardia dei Lombardi, Sant’Angelo

    dei Lombardi.

    Quando morì l‟imperatore Federico II, furono gli Angiò a reggere il timone del regno. Il

    Regno di Napoli era stato infatti assegnato dal Papa a Carlo d‟Angiò. Questo incontrò la

    resistenza di Manfredi, figlio ed erede legittimo dell‟imperatore Federico, che fu però

    sconfitto nel 1266. Sotto Carlo d‟Angiò la capitale si spostò di nuovo a Napoli. Questa però

    non fu una buona decisione: l‟incremento demografico e l‟aggravio fiscale successivo creò un

    profondo divario tra la capitale e il resto della regione, disturbando il sistema feudale fondato

    dai Normanni, che aveva persistito fino a quel momento. Nello stesso tempo Napoli subì

    l‟influsso di Francia, come testimoniano i numerosi francesismi nel dialetto napoletano.

  • 35

    Nel 1442 gli Angioni dovettero fare posto al re catalano Alfonso d‟Aragona, detto il

    Magnanimo. È per opera di Alfonso d‟Aragona, che invitò alla corte gli umanisti più celebrati

    del „400 (Pontano, il Panormita, Lorenzo Valla), che Napoli prese parte al dibattito

    umanistico nel XV secolo. In questo periodo tuttavia la cancelleria si servì del latino e del

    catalano, non dell‟italiano. La vita culturale si intensificò ancora sotto il regno di Ferdinando I

    con la letteratura popolaresca e dialettale, e dunque italiana, di alcuni gentiluomini napoletani.

    Abbastanza popolare furono anche i gliòmmeri (le frottole2), e le farse

    3. Alla fine de XV

    secolo, comunque, con l‟Arcadia di Iacopo Sannazzaro (1504), la norma toscana raggiunge

    anche Napoli4.

    Contemporaneamente Napoli avanzava sempre più come gran potenza commerciale. Napoli

    esercitava una forte attrazione su commercianti di ogni sorta. Questi si stabilirono nella zona

    portuale della città, dove oggi si trovano ancora tracce di queste presenze nei nomi delle

    strade: rua Catalana, Loggia di Genova, Loggia dei Pisani, piazza Francese, via Giudecca.

    Nel 1503 entrarono nell‟Italia meridionale gli Spagnoli. In questo periodo continuò a crescere

    il numero degli abitanti a Napoli, che non perse la sua forza d‟attrazione, necessitando anzi di

    un certo ampliamento urbanistico, soprattutto per poter alloggiare l‟esercito spagnolo. Perciò,

    per ordine del viceré Pedro di Toledo, furono costruiti i Quartieri spagnoli. Però.

    Nel secolo successivo l‟Italia attravversò un periodo di fame e povertà. Nel 1607 il sistema

    economico spagnolo rischiò la bancarotta. Gli Spagnoli continuavano ad aumentare le tasse

    per sostenere la casse dello stato. Visto lo sfruttamento continuo dell‟Italia meridionale da

    parte degli Spagnoli, una rivolta era inevitabile. In campagna i contadini si diedero al

    brigantaggio e, nel 1647, quando la crisi aveva raggiunto il suo punto culminante, il popolo

    napoletano, sotto la guida di Masaniello, insorse contro la tirannia spagnola. Questa

    ribellione, però, venne presto respessa dagli Spagnoli. Oggi, vari strorici considerano lo

    sfruttamento spagnolo dell‟Italia meridionale nel Seicento come il germe della Questione

    Meridionale5.

    Dopo il breve regno austriaco (fino al 1734), Napoli si sottomise al dominio di Carlo III di

    Borbone, un re illuminista, che riportò la città di Napoli al suo antico splendore. Carlo III

    impiegò molti capitali spagnoli per la modernizzazione e il rinnovamento culturale della città:

    2 Frottola: «Composizione poetica italiana di origine popolare e giullaresca in voga nel XIV e XV sec., di vario

    metro, spesso di senso oscuro per la presenza d'indovinelli o proverbi». (Zingarelli) 3 Farsa: «Genere teatrale, risalente al XV sec. ma vivo ancor oggi, di carattere comico e grossolano». (Zingarelli)

    4 Per la letteratura napoletana quattrocentesca: B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960,

    pp. 277-280. 5 Con questo termine si intende il divario economico tra l‟Italia settentrionale che dopo il Risorgimento (1860)

    ha potuto industrializzarsi come il resto dell‟Europa, e l‟Italia meridionale che è rimasta, in larga misura, una

    società contadina.

  • 36

    per ordine suo vennero costruiti monumenti e nuove strade: la reggia di Caserta, il Teatro San

    Carlo a Napoli e anche un dormitorio pubblico, il cosiddetto Albergo dei Poveri. Carlo III

    progettò anche di rendere l‟istruzione accessibile per tutti; questo progetto però non fu messo

    in pratica.

    Durante il regno di Carlo III di Borbone Napoli si aprì anche alle idee rivoluzionarie francesi.

    A seguito di un moto rivoluzionario, nel 1799 fu proclamata la Repubblica partenopea. La

    rivoluzione partenopea fu però stroncata sul nascere perché le idee rivoluzionarie degli

    intelletuali non ottennero un grosso consenso presso la plebe, che rimase fedele alla

    monarchia.

    Dal 1806 fu Napoleone Bonaparte a tenere le sorti del Regno di Napoli, fino al Congresso di

    Vienna nel 1815 che lo consegnò di nuovo ai re Borbone.

    Nel primo Ottocento, mentre dappertutto in Italia germogliavano le idee di unificazione

    politica (anche a Napoli dove all‟Università sorgevano nuovi circoli intellettuali), la centralità

    di Napoli giocò un ruolo determinante sul piano linguistico. Furono l‟amministrazione e la

    Chiesa napoletane a diffondere tramite i documenti scritti la lingua italiana nel resto della

    regione.

    Nel 1861 il Regno di Napoli smise di essere un‟entità autonoma ed entrò a far parte del Regno

    d‟Italia. Cambiò così anche il nome di una parte del Regno di Napoli: fu ripristinato l‟antico

    nome di Campania, il nome che utilizzavano anche i Romani. Con l‟unificazione dell‟Italia,

    Napoli, che non era più il capitale del Regno di Napoli ma il capoluogo di una regione

    italiana, perse gran parte della sua forza d‟attrazione così come gran parte del suo prestigio

    culturale e del suo influsso politico. Diminuì anche l‟attività commerciale. Allo stesso tempo

    il brigantaggio diventò sempre più sistematico e si organizzò nella camorra. Lo squilibrio

    attuale tra nord e sud è, secondo vari storici, la conseguenza diretta della crisi seicentesca, che

    colpì soprattutto l‟Italia meridionale, e del peggioramento dei problemi del Mezzogiorno

    avvenuto durante e dopo il Risorgimento.

    In seguito ai problemi sociali molti giovani lasciarono l‟Italia meridionale per il Nord

    America. Inoltre la crisi sociale provocò anche lo spopolamento delle campagne, trasmettendo

    la crisi anche all‟agricoltura campana. Tutti questi sconvolgimenti hanno avuto il loro influsso

    sulla situazione linguistica in questa regione. La migrazione dalla campagna alle città non

    favorì la sopravvivenza dei dialetti campani, visto che nelle città la lingua quotidiana che si

    andava imponendo era l‟italiano. Si sono perdute così molte parole che si riferivano

    all‟agricoltura, alla viticoltura e al artigianato.

  • 37

    Anche l‟insegnamento scolastico ha giocato un ruolo di primo piano per quanto riguarda la

    perdita progressiva dei dialetti. Il suo scopo principale era di insegnare l‟italiano e di

    sopprimere il più possibile l‟uso dei dialetti ovvero di cancellarli completamente.

  • 38

    2. Toponomastica campana6

    2.1 Le tante origini della toponomastica campana

    La seguente rassegna dei toponimi campani rende conto di tutti questi movimenti migratori in

    Campania durante la sua storia. I toponimi, che non sono sensibili alla variazione diacronica

    quanto altri elementi della lingua, testimoniano fedelmente dei contributi linguistici dei

    differenti invasori campani.

    Cominciamo col nome della regione: Campania, sarebbe di origine etrusca e si riferirebbe

    agli abitanti della città di Capua, che dagli Etruschi venivano chiamati Cappani e poi

    Campani. Di conseguenza, va da se che all‟inizio la Campania comprendeva solo l‟area

    intorno a Capua, il cosiddetto Terra di Lavoro. Il toponimo Capua deriva dall‟etrusco Capys,

    cioè „uccello rapace‟. Anche il nome del fiume Volturno, che in tempi assai remoti è stato

    anche il nome di Capua, sarebbe di origine etrusca. Volturno si richiama a velthur „uccello‟.

    Di origine osca sono: Avella < ant. Abella e Avellino < ant. Abellinum, che derivano dalla

    radice indeuropea *ABEL, cioè „mela‟.

    Di origine greca sono Cuma e Agropoli (presso Paestum), Procida < gr. prochutòs „sparso‟,

    Forìo < gr. Χὸ ριον „villaggio‟ e Lacco Ameno (nell‟isola di Ischia) < laccòs „fossa‟. Anche il

    nome del capoluogo campano è di origine greca: Napoli < gr. Νεὰ Pὸ λις, cioè „città nuova‟

    per distinguerlo dal nome antica Palὲ poli, cioè „città antica‟.

    In Campania sono frequentissimi i toponimi di origine romana che alludono alle proprietà

    fondiarie, che sono composti da un nome proprio e dal suffisso di appartenenza latina -anum,

    ad es. Gragnano < Granius, Secondigliano < Secondilius, Marano < Marus, Calvizzano <

    Calvitius, Savignano < Sabinius, Sicignano < Sicinius, Giugliano < Iulius.

    Numerosissimi nella campagna campana sono i toponimi che si richiamano a nomi di piante,

    ad es. Corleto < coryletum „nocciolo‟, Faicchio < Fagetulum e Faìto (monte) < fagetum si

    riferiscono tutti e due al faggio, Laurito < Lauretum „bosco di lauri‟.

    All‟occupazione longobarda di Napoli risalgono i toponimi Sala Consilina < long. sala „la

    corte o l‟edificio dei signori‟, San Bartolomeo e Gallo Matese < long. wald „bosco‟. Il fatto

    che in processo di tempo la popolazione indigena non si rendesse più conto del significato

    esatto di tali prestiti longobardi è provato dal toponimo Bosco del Gaudio, la cui traduzione

    6 Tutti gli esempi sono tratti dal §7 del primo capitolo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi,

    Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 14-19.

  • 39

    letterale è „bosco del bosco‟. Ancora altri toponimi derivano da nomi di persone germanici, ad

    es. Pontelandolfo < Landulfo, Atripalda < Tripaldo.

    Si richiamano rispettivamente ai Bulgari e ai Sassoni i toponimi Celle in Bulgheria e

    Sassinoro, ai Slavi il toponimo Schiavi, che nel 1862 viene sostiuto da Liberi, perché si

    pensava erratamente che il vecchio nome si riferisse ad una condizione di schiavitù.

    2.2 Toponomastica antica7

    In questo paragrafo presenterò alcuni toponimi campani confrontandoli con le loro forme

    antiche, cioè con il nome che fu loro attribuito dalle popolazioni che nell‟epoca classica si

    erano stabilite nell‟Italia centro-meridionale.

    Durante il periodo augusteo, la penisola italica era divisa in undici Regioni. Questa

    reorganizzazione amministrativa fu instaurata dall‟imperatore Augusto nel 7 d.C..

    Ovviamente le frontiere delle Regioni dell‟Italia augustea non corrispondevano a quelle

    attuali, ma rispettavano le aree abitate dalle popolazioni indigene. Per quanto riguardava

    Campania, il suo territorio corrispondeva più o meno alla parte meridionale della I Regione

    (Latium et Campania). Le due altre parti della I Regione costituiscono oggi la regione di

    Lazio. Quest‟area era prima abitata dagli Aurunci, gli Alfaterni, i Picenti, i Pentri (un popolo

    sannitico) e i Sidicini, che parlavano tutti la lingua osca. L‟area della Campania al sud del

    Sele faceva parte della III Regione (Lucania et Bruttii) è fu abitata dai Lucani, un popolo del

    tipo osco. Una zona che ricopre in grande parte la provincia di Avellino, e in parte minore

    quella di Benevento, era abitata dagli Irpini, anche loro una popolazione osca (sannitica).

    2.2.1 L’osco

    Come vedremo anche nell‟analisi di alcuni toponimi particolari che figurano nella Naturalis

    Historia di Plinio il Vecchio, di tutti i sostrati prelatini sembra quello osco di aver marcato il

    più la toponomastica campana. È dunque il sostrato osco che merita ancora una volta la nostra

    attenzione particolare.

    7 Per il paragrafo introduttivo mi riferisco a: D. Detlefsen, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und

    Geographie, ed. W. Sieglin, Leipzig, Verlag von Eduard Avenarius, 1901.

  • 40

    2.2.1.1 I Sanniti8

    Attorno al V secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le montagne sannitiche e raggiunsero

    la pianura campana. Gli Etruschi di Capua, impreparati all‟arrivo dei nuovi nemici perché

    coinvolti in una lotta con la popolazione indigena, furono le prime vittime della marcia

    sannitica.

    In Campania i Sanniti accolsero elementi etruschi - e dunque in maniera indiretta anche

    elementi della popolazione opica indigena - e certi elementi provenienti della cultura greca.

    Tutti questi i componenti concorsero quindi a costituire l‟identità campana - già abbastanza

    diversa da quella originale sannitica.

    La popolazione sannitica in Campania non potè mai organizzarsi e rimase sparsa durante tutto

    il IV secolo. I Sanniti si disposero in piccoli stati: il territorio dei Sidicini, la lega campana, la

    federazione di Nola, quella di Abella e quella di Nocera.

    Nel 341 a.C. la lega campana, di cui il potere fu centralizzato a Capua, invocò il soccorso dei

    Romani contro i Sanniti del Sannio, che cercarono di assaltare i Sidicini. Così, dal tempo della

    prima guerra sannitica, la storia romana rimase inestricabilmente legata a quella sannitica.

    Con l‟approvazione dell‟aristocrazia sannitica (ad es. nei casi di matrimoni misti), varie

    famiglie romani si stabilirono in Campania. Quando il partito aristocratico e proromano

    dovette infine cedere il passo a quello democratico ed antiromano, la città di Capua insorse

    contro Roma, ma fu rapidamente sconfitta nel 338 a.C. Cionondimeno la città di Capua

    conservò una certa autodeterminazione: Roma, infatti, non le tolse il diritto di battere moneta.

    Sono tra l‟altro propriamente i conii sulle monete osche che ci hanno procurato dei dati che,

    dal punto di vista linguistico, e soprattutto al livello degli studi toponomastici, non sono meno

    interessante di quelli che ci presentano i graffiti o le iscrizioni. Sulle monete osche troviamo

    coniati ad esempio i toponimi9: allibanon, alliba, alifha, allifanwne alifa (Allifae, l‟attuale

    Alife nella provincia di Caserta), akudunniad (Aquilonia, l‟odierna Lacedonia nella provincia

    di Avellino), aderl (Atella, l‟odierna Castellone di Sant‟Arpino), benuentod-proprom e

    8 Per la parte storica sui Sanniti mi riferisco a: A.L. Prosdocimi, «L‟osco», in: id., Lingue e Dialetti dell’Italia

    antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, pp. 845-846. 9 Per la moneta osca mi riferisco a: V. Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, Rosenberg &

    Sellier, 1953, pp. 102-106.

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    L(Benevento, nella provincia omonima), kaiatinum (Caiatia, l‟odierna Caiazzo nella

    provincia di Caserta), le forme kampanom, kampano e kappano(Campani, nomi con cui qui

    si intende la popolazione e non la regione), kapv (Capua, l‟attuale Santa Maria Capua Vetere

    nella provincia di Caserta), nuvkrinum alafaternum – egvinum num, nuvkirinum

    alaf[ate]rnum e nuvirkum alavfum (Nuceria Alfaterna, l‟attuale Nocera Superiore nella

    provincia di Salerno), tíanud – sidikinud, tianud – sidikinud, tiia ud – [s]idikinud e tiano

    (Teanum Sidicinum, l‟odierna Teano nella provincia di Caserta), tedis (Telesia, attualmente

    situato presso San Salvatore Telesino nella provincia di Benevento). Nei capitoli che seguono

    cercheremmo di spiegare l‟elemento osco nei toponimi sopraelencati.

    Fino al 216 a.C. i capuani si piegarono al dominio romano. Con lo sgretolarsi del partito

    aristocratico però, il partito democratico-popolare assunse pieni poteri ed incitò i capuani

    all‟insurrezione contro Roma. La loro intenzione non era di semplicemente scuotere il giogo

    romano, ma anche di imporre la propria autorità sull‟antico dominatore. Perciò, loro fu

    prestato soccorso da Annibale. Ciononostante la rivolta sannitica fu sedata quasi sull‟istante.

    Nel 211 a.C. Capua si arres