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Faculteit Letteren & Wijsbegeerte Tesi di laurea La retorica di Mussolini: analisi di discorsi dell'anno 1925 Promotor: Prof. dr. Claudia Crocco 2008-2009 MARGOT VAN SCHAREN Master Engels-Italiaans

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Faculteit Letteren & Wijsbegeerte

Tesi di laurea La retorica di Mussolini: analisi di discorsi dell'anno

1925

Promotor: Prof. dr. Claudia Crocco 2008-2009

MARGOT VAN SCHAREN Master Engels-Italiaans

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RINGRAZIAMENTI In primo luogo vorrei ringraziare la professoressa Crocco per l’aiuto, per i commenti e i suggerimenti e soprattutto per l’incoraggiamento dopo un periodo difficile riguardo al lavoro. Vorrei anche ringraziare i miei genitori, Michel, Karen, Elien e Tim per il sostegno e perché hanno fatto tutto per creare un clima ideale in cui potessi lavorare senza preoccupazioni. Infine, la mia più profonda gratitudine alla mia amica Anne-Sophie, per volermi accompagnare a Bologna per cercare libri e articoli utili per la mia tesi.

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INDICE I. Introduzione p.4 II. Contesto p.6

1. La lingua e il fascismo p.6 1.1 Politica linguistica p.6

2. La lingua e il Duce p.9 2.1 Mussolini scrittore e oratore p.9

2.1.1 Gli anni della giovinezza e il periodo prima del ventennio fascista p.9

2.1.2 Scritti e discorsi durante il ventennio fascista p.11 2.2 Caratteristiche stilistiche p.11 2.3 Gustave Le Bon e la sua «Psicologia delle folle» p.16 III. L’analisi p.18

1. Campi semantici rilevanti per l’analisi p.18 2. I discorsi analizzati p.22 3. Analisi p.26 3.1 Caratteristiche grammaticali p.26 3.1.1 Aggettivazione p.26 3.1.2 Uso dei tempi verbali p.31 3.2 Figure del suono p.32 3.2.1 Allitterazione e Assonanza p.32 3.3 Figure retoriche p.34 3.3.1 Metafora, Similitudine e Metonimia p.34 3.3.2 Antonomasia e Personificazione p.38 3.3.3 Iperboli p.39 3.3.4 Antitesi p.41 3.3.5 Domanda Retorica e Percontatio p.42 3.3.6 Polisindeto, Anafora e Ossimoro p.43 3.4 Altre caratteristiche stilistiche p.44 3.4.1 Le strutture binarie e ternarie p.44 3.4.2 Il condizionale come espressione correttiva p.49 3.4.3 Risentimento e Denegazione p.50 3.4.4 Funzione conativa p.52 3.4.5 Elenco p.53 3.4.6 Neologismi p.54 3.5 Altri commenti sui discorsi analizzati p.54

IV. Conclusione p.57 V. Bibliografia p.59

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I. INTRODUZIONE Alla luce della mia tesina, nella quale ho fatto un’indagine sul linguaggio caratteristico durante il fascismo, ho scelto di approfondire quest’argomento. Nella tesia ho fatto solo accenni non dettagliati alla retorica di Mussolini, ma siccome la lingua del Duce è notissima per la sua ricchezza, mi sembrava opportuno elaborare e indagare le varie caratteristiche della retorica mussoliniana. Come in ogni regime totalitario, la lingua fu uno strumento di grande rilevanza nella lotta per il consolidarsi del regime e nella manipolazione del popolo. Un esempio notissimo che viene in mente concernente l’impiego della lingua con lo scopo di convincere, di manipolare, è il caso di Hitler nella Germania degli anni ’30 e ’40. Attraverso i suoi discorsi imponenti e impressionanti, Hitler riuscì a far credere ad un intero popolo l’ideologia della razza ariana. Comunque, la forza della lingua può anche essere adoperata in un modo più positivo: si pensi ai discorsi recenti del presidente Barack Obama, che sono stati uditi da milioni di persone e hanno lasciato un’impressione forte in tutto il mondo. Tuttavia, la strategia di adoperare la lingua per fini politici e ideologici, fu anche un aspetto eminente del fascismo. Sia tramite una politica linguistica estrema – la quale viene considerata nel primo capitolo- sia tramite un uso particolarmente creativo ed estensivo della lingua, i fascisti poterono convincere e impadronirsi del popolo italiano. Questo brano di un testo dei scrittori fascisti può dare una prima impressione:

«Ora che gli italiani, rigenerati dalle sue parole e dal suo esempio si sono ripresi: ora che la Marcia su Roma è sboccata finalmente nello Stato Fascista; ora che la rivoluzione dà al paese nuove leggi; ora che tutto è tornato in ordine e la Patria ha riacquistato la sua dignità e la sua fierezza; ora che l’Italia ha ripreso il suo posto nel mondo, e l’esercito è agguerrito e la flotta è riorganizzata, e l’ala tricolore domina ovunque; ora che la più spinosa questione, quella dei debiti di guerra, è allo studio definitivo e sulla via della soluzione; ora che gli italiani riconoscenti si ritrovano a Predappio, nella terra natìa del Duce» (citato in Lazzari, 1975:55)

In questo brano si evidenziano già alcuni tratti tipici dello stile fascista: l’uso di parole che appartengono ai campi semantici indicativi delle fondamenta dell’ideologia fascista («la rivoluzione», «la Patria», «dignità», «fierezza», «l’esercito», «la guerra»), l’aggettivazione abbondante («la più spinosa questione», «gli italiani riconoscenti»), l’anafora (la ripetizione di «ora che») e la metafora («sulla via della soluzione»). Ovviamente, soprattutto i discorsi di Mussolini furono e sono ancora notissimi in quell’ottica. Questi discorsi sono stati soggetti a numerose indagini, le quali dimostrarono che il Duce impiegò uno stile tipico per lui, pieno di figure retoriche e altre strategie linguistiche che rispecchiarono l’ideologia fascista. In primo luogo si tratta di un forte nazionalismo e di conseguenza un purismo a livello linguistico. Mussolini si oppose all’uso dei forestierismi e tentò di cancellare queste parole, usando parole alternative italiane o italianizzate. Si pensi al famoso caso di «autista» per il francese «chauffeur». Questa parola viene ancora usato oggi. In secondo luogo si presenta l’esaltazione della grandezza, della forza, della giovinezza e la mitologia antica che si transformarono in per esempio iperboli, pleonasmi e un’aggettivazione sovrabbondante. In terzo luogo, per Mussolini, fu importante un moderatismo sia politico che linguistico (Simonini, 1978:10). Il moderatismo politico fu necessario per dare contrappeso all’estremismo degli squadristi (si pensa al delitto Matteotti) che talvolta causò quasi il fallimento del fascismo nel governo italiano. Soprattutto

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all’inizio del consolidarsi del regime, Mussolini fu estremamente cauto e biasimò ogni uso di violenza contro gli antifascisti. Per quanto riguarda il moderatismo linguistico, si tratta dell’uso di discorsi che furono intelligibili per il popolo della piccola borghesia e non tanto elitari. Questo si traduce anche in strutture semplici come quella binaria e ternaria, che sono state considerate ritmi naturali (Simonini, 1978:64-65)1. Per esempio: «Esso è degno di vivere nella più grande Roma che sorgerà

1) dalla nostra volontà tenace 2) dall’amore 3) e dal sacrificio (a) concorde e (b) consapevole»

(brano del discorso «La nuova Roma» del 31 dicembre 1925) Ovviamente, queste sono solo alcune delle varie caratteristiche della retorica mussoliniana e per il mio lavoro ho scelto di indagare in quale modo 16 tratti già indicati come tipici mussoliniani da vari studiosi2, sono presenti nei discorsi pronunciati da Mussolini nell’anno 1925. L’anno 1925 ebbe un significato particolarmente considerevole nella storia del Fascismo. All’inizio di quell’anno Mussolini pronunciò un discorso decisivo che indicò il consolidarsi del regime. Prima vi fu la crisi concernente il delitto Matteotti e di conseguenza il regime fascista conobbe un periodo molto instabile e insicuro. Nonostante ciò, quel discorso del 3 gennaio 1925 ebbe un grande influsso sul corso della storia fascista. Il fatto che questo testo sia indicativo della strategia di Mussolini nel configurare il regime fascista come regime totalitario attraverso l’introduzione di nuovi leggi e non tramite un coup d’état, mi ha convinto di svolgere l’indagine sulla retorica di Mussolini in quell’anno. Inoltre, Giovanni Lazzari nel suo libro «Le Parole del Fascismo» del 1975, indica che vi sono stati 3 periodi prima del 1934, segnati da due dati – il 3 gennaio 1925 e l’11 febbraio 1929- che hanno tutti un particolare tratto lessicale (e ideologico) che sono indicativi delle caratteristiche del periodo in considerazione. Il Lazzari ha scoperto che per il secondo periodo, quello a partire dal 3 gennaio 1925, emergono parole come «Destino», «Roma», «Tradizione», «Grandezza», «Morale» e «Ideale», nel contesto di un «estrapolazione mitologica» (Lazzari, 1975:105). In quel periodo vi fu ottimismo a causa del consolidarsi del regime e per questo Mussolini fa ricorso al mito della Roma antica e la sua grandezza per far ricordare questa potenza al popolo italiano. Comunque, anche se nella mia analisi ho trovato gli stessi risultati che Lazzari, mi è saltato nell’occhio anche un forte ricorso all’esaltazione della guerra, della forza e della trincerocrazia. Questi elementi sono significativi per il primo periodo secondo il Lazzari, dal 1922 al 1924. Non è tanto sorprendente visto che i discorsi che ho analizzato emergono dall’anno e quindi dal periodo seguente che, nonostante la vera presa di potere, era appena iniziato. Come già menzionato sopra, ho utilizzato 16 tratti per svolgere la mia analisi dei discorsi del 1925. Questi sono stati menzionati nei libri di Giovanni Lazzari, Augusto Simonini, Enzo Golino. Ho anche consultato un libro sulla retorica antica per alcune definizioni: «Stijlvol overtuigen, Geschiedenis en systeem van de antieke rhetorica» di Danny Praet (2001). Ho voluto indagare in qual modo queste caratteristiche appaiono nei discorsi che ho scelti, quindi quelli dell’anno 1925. Per questo, ho

1 Anche in Ch. Perelman- L. Olbrechts Tyteca, The New Rhetoric, Parigi, Notre Dame, 1959.

2 Si tratta di «Le Parole del fascismo» di Giovanni Lazzari(1975),«Il linguaggio di Mussolini» di Augusto Simonini(1978) e «Parola di Duce» di Enzo Golino(1994).

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riportato nello schema d’analisi vari parametri come l’aggettivazione, uso di figure retoriche e la denegazione. Lo scopo della tesi è quindi di fare un’analisi di vari discorsi dell’1925, utilizzando uno schema che applicherò su tutti questi discorsi. Lo schema d’analisi è il seguente:

- Caratteristiche grammaticali : 1) l’aggettivazione 2) l’uso dei tempi verbali

- Figure del suono: 1) l’allitterazione 2) l’assonanza

- Figure retoriche:

1) Metafora, Similitudini e Metonimie 2) Antonomasia e Personificazione 3) Iperboli 4) Antitesi 5) Figurae sententiae: Domanda Retorica e Percontatio 6) Figurae verborum: Per adiectionem: Polisindeto, Anafora e

Ossimoro

- Altre caratteristiche stilistiche: 1) le strutture binarie e ternarie 2) l’indicativo vs. il condizionale come espressione correttiva 3) il risentimento e la denegazione 4) la funzione conativa 5) l’elenco 6) neologismi (ornatus in verbis singulis: verba ficta)

II. IL CONTESTO 1. La lingua e il fascismo 1.1. Politica linguistica Questo capitolo intende solo essere un accenno breve all’argomento della politica linguistica durante il fascismo per completare il quadro contestuale all’interno di cui si deve collocare l’analisi dei discorsi. Quando si parla del fatto che la lingua occupò un posto importante nel configurarsi del regime fascista, non si fa solo riferimento ai discorsi affascinanti del Duce ma anche alla censura, alla lotta contro l’analfabetismo e il dialetto, all’avversione dei forestierismi e alla campagna contro il «Lei» a favore del «Voi». Affinché si diffonda il messaggio nazionalistico del fascismo, occorre insegnare al popolo italiano, all’epoca per la maggior parte analfabeta, una lingua unitaria, cioè la lingua italiana. Poiché tutte queste persone parlavano il loro dialetto locale, la riforma scolastica di Gentile nel 1923, introdusse il metodo «dal dialetto alla lingua» nelle scuole, basandosi tra l’altro sulle idee del Croce per quanto riguarda la grammatica. Per il Croce la grammatica puramente normativa doveva essere abolita a favore di una linguistica e una grammatica estetica in cui si ribadì «l’autonomia di ogni atto espressivo» (Simonini, 1978:209).

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Nei libri scolastici della riforma Gentile, si trovavano quindi soprattutto esercizi di traduzione dal dialetto all’italiano, basandosi su opere di letteratura dialettale. Gabriella Klein indica quali furono i punti principali del metodo «dal dialetto alla lingua»: «partire dal retroterra linguistico e culturale dell’alunno», «il fondamentale bilinguismo dell’alunno era una “condizione privilegiata, nell’ordine dell’intelligenza”», «un insegnamento grammaticale non astratto ma calato in un contesto linguistico reale; partire quindi da testi di letteratura dialettale da un lato e dagli stessi errori dell’alunno dall’altro» e «pervenire all’apprendimento dell’italiano per mezzo della traduzione dei testi di letteratura dialettale e della correzione degli errori dell’alunno» (citati in Klein, 1986:39). Comunque, questa concezione di educazione, pose dei problemi pratici e editoriali perché adoperando questo metodo, occorreva elaborare e stampare libri e dizionari partendo da ogni dialetto locale (o almeno si propose di impiegare dialetti regionali). Inoltre, in questo periodo fiorirono dibattiti intorno a questi problemi editoriali, ma anche intorno ad altri dettagli pratici come per esempio la questione se bisognasse insegnare il dialetto affinché gli studenti avessero una base solida per imparare l’italiano. Questi problemi non furono mai veramente risolti e nel 1934 la politica linguistica del regime fascista cambiò, escludendo il dialetto definitivamente dai programmi scolastici (Klein, 1986:53). L’abolizione del dialetto cominciò già nel 1926 quando il dialetto acquistò lo status di fattore «di disgregazione della compagine nazionale» (Simonini, 1978:209) e quando venne tolto il dialetto dagli esami di ammissione alla scuola media (Klein, 1986:53). Secondo Klein, l’esclusione definitiva del dialetto nel 1934 fu possibile a causa del fatto che il regime conobbe l’inasprirsi dell’atteggiamento autoritario e perché il metodo «dal dialetto alla lingua» non acquistò mai un posto fisso e stimato nei programmi didactici. Di conseguenza, con la scomparsa del dialetto dai programmi scolastici, si iniziò un secondo periodo della politica linguistica scolastica, che conobbe soprattutto un senso di «autarchia linguistica» (Klein, 1986:53). Klein conclude l’argomento della politica scolastica fascista con l’indicare i tre obiettivi del regime, impiegando questa politica linguistica, per di più, non per lavorare alla costruzione ed elaborazione di varie tecniche didattiche, ma soprattutto per considerazioni politiche. In primo luogo si trattò di stabilire una norma linguistica che servisse la causa, oltre all’istruzione, alla lotta contro l’analfabetismo e la dialettofonia. In secondo luogo si utilizzò il latino per la costruzione di un modello linguistico che si può anche applicare sulla lingua di istruzione e sulle altre lingue moderne. In terzo luogo il regime volle «instaurare un rapporto numerico tra le lingue moderne, come oggetto d’insegnamento» basandosi sull’utilità politica di queste lingue (Klein, 1986:65). Si pensi al fatto che il tedesco acquistò un maggiore numero di cattedre a scapito di quelle di francese. Per quanto riguarda l’«autarchia linguistica» già menzionata, si deve collegarla alla xenofobia e alla lotta contro gli esotismi o i forestierismi. In questo contesto, occorre osservare il processo di assimilazione delle minoranze linguistiche nell’Italia fascista. Innumerevoli le misure prese nell’ambito della vita privata (l’istruzione e l’onomastica) e nella vita pubblica (la toponomastica, le scritte pubbliche e gli uffici pubblici) con lo scopo di ridurre l’uso e l’importanza delle lingue delle minoranze. A proposito delle scritte pubbliche, si pensi al caso della provincia di Trento ove verso la fine degli anni Trenta fu vietato interamente l’uso del tedesco nei manifesti, nelle etichette e nelle insegne, in tutte le scritte rivolte al pubblico. Klein si riferisce in

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questo contesto all’atteggiamento del regime, che si tradusse nella politica linguistica, indicando una questione di status e di funzione che una lingua minoritaria potesse svolgere in una data comunità, più che la lingua in sé. Così il tedesco come lingua straniera venne tollerata dal regime mentre l’uso del tedesco come lingua minoritaria e vernacolo fu fortemente vietato (Klein, 1986:92-93). Nonostante ciò, vi fu l’emergere di voci di protesta e critica, a volte ironiche ma sottili: per esempio con l’apparizione di alcune insegne pubbliche che esposero un uso scorretto dell’italiano. Per assicurarsi che le insegne utilizzassero l’italiano correttamente, il regime emanò un decreto quasi assurdo che vietò l’uso scorretto dell’italiano sulle insegne pubbliche e che una commissione dell’ufficio comunale ne provvedesse a controllare la correttezza (Klein, 1986:94). Riguardo alla toponomastica, Klein ci informa che nel 1923 fu emanato un decreto che rendeva obbligatoria l’italianizzazione dei toponimi più importanti nelle regioni del Trentino-Alto Adige e della Venezia Giulia; solo una minoranza dei toponimi ebbe il permesso di utilizzare una forma bilingue a condizione che venissero preceduti dalla forma italiana (Klein, 1986:96). Il compito di sviluppare il processo di italianizzazione fu affidato al geografo Ettore Tolomei e nel libro di Klein è riportata la classificazione di Kramer (1981) a proposito dei tentativi e dei procedimenti del Tolomei nella creazione di toponimi italiani. Per esempio, si fece ricorso all’etimologia per la ricostruzione della forma romana, «latinizzando i toponimi e dando loro poi una veste toscana (Montiggl da lat. Monticulum diventa per Tolomei Monticolo)» (Klein, 1986:99). Anche la semplice traduzione («Mittelberg» che diventa «Monte di Mezzo»), l’adattamento del toponimo alla pronuncia italiana («Pflersch» diventa «Fleres»), il mantenimento della forma tedesca pur cambiandola nell’ortografia affinché fosse in concordanza con il sistema italiano («Natz» diventa «Naz») e l’invenzione di nuovi toponimi senza fondo scientifico o legame col toponimo tedesco o ladino («Dreisprachenspitze» venne cambiato in «Cima Garibaldi») sono procedimenti attestati nel processo di italianizzazione (Klein, 1986:99). Tuttavia, all’epoca non sempre vennero rispettate queste nuove nomenclature, che furono non di meno ufficiali e stampate nel Prontuario di Tolomei e successivamente anche in un Dizionario ufficiale, stampato per l’estero. Infine, e anche legato al concetto di xenofobia, occorre ricordare il purismo del fascismo ossia l’esigenza dell’italianità della lingua. Siccome negli anni Trenta vi fu un’inasprimento del regime autoritario (si pensi anche all’esclusione del dialetto nelle scuole), anche la lotta contro i forestierismi si intensificò con l’aiuto di vari decreti e leggi. Inoltre, negli anni Quaranta la Commissione per l’italianità della lingua (della R. Academia d’Italia) pubblicò una quindicina di elenchi contenenti sostituzioni italiane per i forestierismi (Klein, 1986:115). Si pensi in questo caso anche al divieto dell’uso di «Lei» e la sostituzione della parola con «Voi». Il «Lei» fu, erroneamente, visto come un ispanismo, dalla forma spagnola «Usted» (Klein, 1986:116). Anche nella lotta contro gli esotismi, vi furono vari procedimenti: in primo luogo si ebbe l’adattamento grafico di alcune parole straniere, come per esempio «caoutchouc» che diventò «caucciù». Poi si ebbe l’adattamento morfo-fonetico, cambiando spesso la desinenza della parola secondo il sistema italiano: «kümmel» diventò «cumino». Infine vi furono alcuni tipi di sostituzione lessicale, come il cambiamento di significato di una parola già esistente che in quel momento acquistò un posto in un linguaggio settoriale («garage» viene sostituita da «rimessa») e la

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sostituzione di un termine straniero da una circonlocuzione: «shampooing» diventò «lavanda dei capelli» (Klein, 1986:139-141).

2. La lingua e Il Duce 2.1. Mussolini scrittore e oratore 2.1.1. Gli anni della giovinezza e il periodo prima del ventennio fascista Mussolini utilizzò la sua eccellente abilità di “manipolatore” di parole per produrre testi scritti o testi recitati in piazza, che sempre ebbero una forte influenza su chi leggeva o chi ascoltava. Mussolini dimostrò che fu in grado di scrivere testi di alto livello e di parlare con molto facondia. Forse ereditò questa virtù da suo padre, che fu molto impegnato nella vita politica della Romagna (come socialista) e che aveva imparato da solo a scrivere e leggere. Il padre di Benito ebbe pubblicato alcuni articoli in giornali socialisti regionali, come «Rivendicazione» e lesse «Das Kapital» di Marx. Intorno al 1900 Mussolini – quando aveva 17 anni- cominciò a scrivere poesie, che però avrebbe distrutto qualche anno dopo. Comunque, una poesia si è conservata; la composizione si apre così: «Ridon tremuli i rii, tra la fiorita/ erbetta nel languor del dì novello/ mentre la Primavera esce verita/ nell’oro verde del suo brocatello» (citato in Farrell, 2003:19). All’età di 18 anni, il 10 febbraio 1901, la scuola gli chiese di recitare un in memoriam, nel teatro di Forlimpòpoli, per Giuseppe Verdi, morto qualche giorno prima. Questo discorso, il primo discorso per un grande pubblico, fu un po’ controverso perché Mussolini sferrò un attacco alla classe dirigente; il pubblico tuttavia ne fu molto affascinato e anche nel giornale socialista Avanti! il discorso fu accolto con molto entusiasmo. In quegli anni, anche l’interesse per altri scrittori e per la poesia emerse in lui, che si dedicò alla lettura di Dante, Zola, Hugo e Gustave Le Bon – del quale lesse e rilesse molte volte «La Psychologie des Foules». Prima di dedicarsi interamente alla politica, Mussolini conobbe un’importante carriera di giornalista e redattore di varie riviste e vari giornali. Nel 1902 si trasferrì in Svizzera e iniziò il suo primo lavoro di giornalista: scrisse alcuni articoli per «L’Avvenire del Lavoratore», una rivista socialista per immigrati italiani. Questa professione lo avrebbe reso famoso in Italia nell’arco dei dieci anni seguenti. Nel 1903-1904 comminciò anche a scrivere per «Avanguardia Socialista» e «Il Proletario» - un giornale italiano pubblicato a New York- e pronunciò sempre più numerosi discorsi pubblici, perché diventò anche più attivo nella vita politica. Qualche anno dopo scrisse una dissertazione chiamata «La filosofia della forza» che venne pubblicata in tre parti nella rivista «Il Pensiero romagnolo» del 1908. Questa dissertazione dimostra l’influsso di Nietzsche sul pensiero del Duce e parla del fatto che per Mussolini la cristianità, il suo perdonare e l’amare il prossimo sono le cause di molti problemi e guerre nel mondo. Sarfatti, nel suo libro «Dux» ha chiamato questo atteggiamento «anticlericalismo religioso» di Mussolini (Farrell, 2003:40). Nel 1909 Mussolini diventò redattore della rivista «L’Avvenire del Lavoratore» a Trento e cominciò anche a lavorare per «Il Popolo», il giornale socialista di Cesare Battisti. Battisti lo nominò redattore del giornale in occasione del ventiseiesimo compleanno di Mussolini. A partire da quel punto, Mussolini utilizzò il giornale e la rivista per sferrare attacchi alla chiesa e alla democrazia, essendo lui in quel periodo un socialista. Lo stile degli articoli fu violento, arrabbiato, umoristico, sarcastico e acuto. Ma non vi fu veramente un’ eccezionale violenza verbale. Si trattò piuttosto di

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impiegare delle parole in modo forte, tanto che attraverso il canzonare, il sarcasmo e il cinismo le sue parole sortivano un più grande impatto di quanto avrebbe potuto fare l’uso di parolacce. Nonostante l’assenza di vera violenza verbale, Mussolini fu arrestato e ricevé multe per la pubblicazione dei suoi articoli aggressivi e beffardi. Dopo sette mesi a Trento, ritornò in Italia laddove ricevette la richiesta di Battisti di scrivere un romanzo storico. Questo romanzo (l’unico romanzo scritto da Mussolini) - «Claudia Particella l’Amante del Cardinale»- fu pubblicato prima in episodi nel giornale «Il Popolo» e poi come libro, ma in inglese: «The Cardinal’s Mistress». La pubblicazione in inglese avvenne tuttavia senza il consenso di Mussolini. Il 9 gennaio 1910 uscì per la prima volta «La Lotta di Classe», una rivista del partito socialista di Forlì, della quale Mussolini fu fondatore-redattore. Lo scopo di questa rivista era di incitare i socialisti a non solo parlare ma ad agire, a fare la rivoluzione con azioni dirette. «La Lotta di Classe» diventò un grande successo nella regione e di conseguenza, Mussolini ricevé l’offerta per l’incarico di redattore di «Il Proletario» a New York, per cui scrisse talvolta articoli. Alla fine però non accettò la proposta. Nel 1912 Mussolini parlò durante il congresso dei socialisti a Reggio Emilia ed i giornalisti presenti dissero che il suo stile oratorio era molto crudo ma affascinante per gli abitanti della Romagna, e che vi era una sovrabbondanza di gesti e di mimica. Queste caratteristiche sono premonitorie ed indicative dei suoi discorsi durante il ventennio fascista. Anche nel 1912, prima del congresso dei socialisti, finì l’opera autobiografica «La mia vita». Nell’introduzione del libro scrisse che in quel momento (a 28 anni) si ritrovava «nel mezzo del cammin di nostra vita» come disse Dante. In effetti, Mussolini visse ancora ventitrè anni. Il primo dicembre del 1912 comminciò a lavorare come redattore del giornale socialista nazionale «Avanti!». Prima del suo arrivo, gli altri giornalisti del giornale pubblicavano articoli lunghi e pesanti. Questo stile finì con l’arrivo di Mussolini: da quel momento vennero pubblicati articoli brevi, con titoli aggressivi e umoristici, e il contenuto diventa più chiaro e forte. Insomma, il giornale diventò più compatto e pungente. Qualche anno più tardi, Mussolini fondò il suo proprio giornale «Il Popolo d’Italia» e ancora dopo una rivista, chiamata «Utopia». Il giornale si fece notare anche da osservatori stranieri, tra cui Freya Stark, che ha scritto «Traveller’s Prelude», che percepì lo stile sensazionale e il modo di scrivere di Mussolini. (Farrell, 2003:71) Si vede che già in questi anni, prima del ventennio fascista, Mussolini aveva uno stile particolare, aggressivo, lontano dall’essere neutro. Lo stile di Mussolini mostrava anche al sua adesione al pensiero futuristico. Il movimento futurista fu fondato nel febbraio 1909 a Parigi con il manifesto di Filippo Tommaso Marinetti che conteneva un’esaltazione dell’istinto, della violenza, del dinamismo, della velocità, delle macchine, del pericolo e della guerra. Inoltre, il futurismo era contro il senso comune, la cultura, il pacifismo e la neutrità. Durante la prima guerra mondiale, Mussolini combatté nell’esercito italiano – fu nominato caporale- e scrisse le sue impressioni della vita nelle trincee in un diario di guerra. I testi del diario sono stati raccolti in «Scritti e Discorsi». Caratteristico per questi testi è il fatto che sono pochi e tutti molto depressivi ma anche acuti e molto dettagliati. Anche in quest’opera studiò il fenomeno del gergo della trincea. Il fatto che gli uomini stessero combattando insieme nelle trincee, gli fece credere che solo gli uomini (e quindi non le donne) potessero capire il vero significato della guerra.

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Collegato a questo fatto nascerà in lui l’idea di un’élite rivoluzionaria: la trincerocrazia. Mussolini usò questa parola per la prima volta in un articolo del giornale «Il Popolo d’Italia» nel 15 dicembre 1917. (Farrell,2003:79-82) Si dice che nel 1919, dopo la guerra, Mussolini fosse molto prolifico e che scrisse i suoi migliori articoli in questo periodo; si dice inoltre che li scrivesse velocissimamente (in venti minuti) con lo scopo di essere esplosivo e dinamico. 2.1.2. Scritti e Discorsi durante il ventennio fascista A proposito dei suoi discorsi, già nel ventennio fascista, ci furono tanti italiani (e non solo fascisti) e anche stranieri a riconoscere la straordinaria capacità retorica del Duce. Per esempio il giornalista italiano Paolo Monelli dovette admettere che vi era una grande forza seduttrice nella sua eloquenza (Farrell,2003:185) e “Chips” Channon sentì parlare Mussolini e ne fu molto impressionato. (Farrell, 2003:259). Nella vita personale di Mussolini vi furono due avvenimenti che lo condussero a scrivere altrettanti piccoli libri. Si tratta della morte di suo fratello Arnaldo nel 1931 per cui scrisse una necrologia «Vita di Arnaldo», pubblicato nel 1933 e quindi della morte di suo figlio Bruno, dedicatario di un altro lavoro. «Parlo con Bruno» è una testimonianza della grande tristezza che colpì Mussolini. Insieme con Gentile Mussolini scrisse nel 1932 la «Dottrina del fascismo», che era una chiarissima spiegazione dell’ideologia fascista. Nel 1938 fu pubblicato un articolo nel «Giornale d’Italia», scritto da Mussolini, che attaccò gli ebrei perché si erano considerati una razza distinta e superiore. Quest’articolo fu il primo passo verso i primi leggi antisemite in Italia. Durante la seconda guerra mondiale il Duce scrisse ancora due altre opere: «Storia di un anno: il tempo del bastone e della carota» del 1944, scritto per uno scopo propagandistico e «Pensieri pontini e sardi» che compongono il diario della sua prigionia in agosto 1943. Sempre nel 1943 il Duce scrisse articoli per la rivista della gioventù fascista, chiamata «Libro e Moschetto» e fondò anche un’agenzia di stampa «Corrispondenza repubblicana» per la quale produsse articoli anonimi. Anche in quest’ultimo periodo della sua vita fu molto prolifico e pieno di passione per la sua professione di scrittore e giornalista. Da questo riassunto della sua esperienza di scrittore ed oratore emerge con chiarezza che Mussolini ebbe un straordinario talento e una grande passione per la lingua. Seppe impiegare la lingua per la divulgazione dell’ideologia fascista e del suo pensiero e idealismo socialista prima del ventennio. Ora saranno descritti alcuni tratti caratteristici del linguaggio del Duce. 2.2. Caratteristiche stilistiche Punto di partenza è l’articolo di Michele A. Cortelazzo «Lingua e retorica di Mussolini- Oratore Socialista». Come indicato dal titolo, si tratta di un’indagine svolta sui tratti caratterizzanti dell’oratoria mussoliniana all’epoca socialista. È interessante vedere per quanto questi tratti sono sopravvissuti nei discorsi del ventennio fascista. Cortelazzo parte dal discorso pronunciato al XIII Congresso del Partito Socialista Italiano a Reggio Emilia, dal 7 al 10 luglio 1912, per esaurirne i punti più importanti. Dai commenti nei giornali emerge che il discorso di Mussolini

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era «violento» e «a scatti» (citato in Cortelazzo, 1975:74). Secondo lo studioso, ciò si deve al fatto che la struttura dei periodi nel discorso era fortemente frammentata e che vi era soprattutto uso di frasi molto brevi. Questo ritmo staccato non era impiegato per caso ma era «il raggiungimento di nuovi effetti di seduzione oratoria» (Cortelazzo, 1975:74). La predilezione per ritmi specifici e una ricercata musicalità, a far parte della strategia manipolatrice dei discorsi mussoliniani, è anche presente nei discorsi del 1925. Inoltre, Cortelazzo mette in evidenza che le strutture binarie, ed in modo minore quelle ternarie, facevano anche parte del discorso dell’epoca socialista, contribuendo pure a quelle esigenze ritmico-musicali. Il tono del discorso risultava «perentoriamente assertorio» (Cortelazzo, 1975:74) e aveva quindi un carattere fortemente autoritario. La sintassi non è tanto elaborata, la struttura è abbastanza semplice con lo scopo di presentare tutte le affermazioni di Mussolini come indiscutibili. Le affermazioni rappresentavano la cosiddetta verità inconfutabile. Questa indiscutibilità si traduce nei discorsi in enunciati brevi - «clausole finali»- che prescrivevano il comportamento desiderato del popolo, in forti giudizi con carattere polemico, in risolute domande retoriche che avevano solo una risposta, la quale veniva anche data immediatamente dopo. Il carattere autoritario si evidenzia anche nell’apparizione di frasi che non lasciavano spazio a qualsiasi obiezione («...suscitando più vasto cerchio di consentimenti e di simpatie in mezzo al proletariato che – lo si voglia o no- detesta la guerra» (citato in Cortelazzo, 1975:75)) e nell’occorrenza frequente di enunciati imperativi con il verbo servile «dovere». Questi tratti finora discussi sono considerati fenomeni personali e nuovi dell’oratoria mussoliniana e non hanno un legame con i discorsi di altri socialisti. Nonostante ciò, si possono anche individuare caratteristiche aderenti alla retorica tipicamente socialista. Cortelazzo sottolinea l’uso di metafore mediche, cioè l’uso di un linguaggio medico in senso figurato, e l’apparizione di termini religiosi nei discorsi per dimostrare l’influenza e la dipendenza dalla tradizione socialista in Mussolini prima del ventennio fascista. Si tratta di esempi come «il cretinismo parlamentare- quella tal malattia così acutamente diagnosticata da Marx» e «è tempo di celebrare solennemente con un atto di sincerità [...]» (citati in Cortelazzo, 1975:76). L’impiegare di queste metafore e linguaggi speciali ritorna anche nei discorsi del ventennio fascista e più specifico, è pure presente nei discorsi del 1925. Erasmo Leso (2003:83-128) parla tra l’altro della grande abilità di Mussolini di adeguarsi a vari pubblici e varie situazioni, alternando i suoi discorsi a seconda del destinatario ad un certo momento. Anzi, Leso riferisce alla scoperta di Renzo De Felice a proposito di un discorso svolto a Roma il 7 agosto dell’anno 1924. De Felice ha riportato nel suo secondo volume della biografia di Mussolini3 il testo come fu pronunciato il 7 agosto e poi anche il testo del discorso che venne pubblicato nel «Popolo d’Italia» il giorno dopo. Nel testo giornalistico si nota la scomparsa di brani che non sono interamente in sintonia con l’ideologia e la politica fascista. Per esempio «Bisogna cloroformizzare, permettetemi questo termine medico, le opposizioni e anche il popolo italiano» e «Per la prima volta all’indomani mi prendo una giornata di riposo» (citati in Leso, 2003:97), sono state ommesse nella versione giornalistica.

3 Renzo De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere (1921-1925), Torino, Einaudi, 1966, pp.775-785.

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L’ultimo esempio avrebbe distrutto quell’immagine del Duce di uomo instancabile, esemplare dell’esaltata disciplina. Inoltre, emergono dei cambiamenti lessicali che hanno lo scopo di far risultare il discorso tranquillo e sicuro, di modo «che rinuncia ad ogni oltranza polemica, ad ogni trionfalismo, e semplicemente ripresenta i valori, la solidità, lo stile volontaristico del partito e del suo capo» (Leso, 2003:98). Anche qui si vede, nelle modificazioni, l’uso di una frase imperativa con il verbo servile «dovere», che era già notato da Cortelazzo nei discorsi mussoliniani dell’epoca socialista: «la rivoluzione oggi continua» viene alterato in «la rivoluzione oggi deve continuare» (citato in Leso, 2003:98). Un’altra scelta lessicale dimostra lo scambio di termini con una connotazione negativa per un termine che fa propriamente parte del lessico tematico e ideologico del fascismo. Si osservi: «Noi dobbiamo rispondere [...] facendo una lotta politica amministrativa» che diventa «Noi dobbiamo rispondere [...] facendo dell’azione amministrativa» (citato in Leso, 2003:98) perché «lotta politica» ci fa pensare alla vita politica prima del regime fascista mentre «azione» è veramente una parola chiave nel vocabolario fascista. Inoltre, la creatività lessicale di Mussolini si evidenzia anche tramite la sostituzione di parole troppo banali o usuali con espressioni che hanno una maggiore espressività e appaiono più raramente, di modo che «una assemblea [...] così utile» diventa «una assemblea [...] così feconda» e «evitare l’isolamento nel Paese» viene sostituito da «evitare lo scompaginamento nel Paese» (citato in Leso, 2003:100). Leso, nel suo articolo, riccorda anche, oltre a Cortelazzo, «il fenomeno dell’uso della lingua religiosa in funzione politica» e afferma che questa caratteristica acquistò una certa rilevanza in tutta l’opera mussoliniana, durante tutta la sua carriera (Leso, 2003:101). Altri tratti tipici dello stile mussoliniano secondo Leso sono le definizioni dei discorsi fornite da Mussolini stesso («I miei non sono discorsi nel senso tradizionale [...]: sono [...] prese di contatto tra la mia anima e la vostra, tra il mio cuore e i vostri cuori» (citato in Leso, 2003:103) ), il dialogo con la folla iniziato dalla ripetizione di una domanda o dall’uso molteplice di un vocativo come «o popolo palermitano» e la richiesta per un raccoglimento del popolo – e non tanto «attenzione»- come se Mussolini stesse a pronunciare una mistica, inattesa verità. Si può concludere che la lingua non ebbe una funzione informativa e non fu in grado di risolvere veri problemi, ma che piuttosto venne impiegato per fini emotivi. In un articolo del «Popolo d’Italia» del 13 giugno 1918 Mussolini stesso disse: «io non ho l’obbligo di presentare delle verità schematiche e sistematizzate. Mi basta suscitare degli stati d’animo» (citato in Leso, 2003:105). La manipolazione emotiva era quindi un’operazione consapevole da parte di Mussolini. Per quanto riguarda l’uso di linguaggi settoriali in senso metaforico, si è già accennato alla lingua religiosa, che pure faceva parte della tradizione socialista e del primo Mussolini; ma anche il linguaggio militare emerge come strategia stilistica cara al Duce. Nonostante ciò, tra l’adoperare di questi due linguaggi settoriali vi sono alcune differenze. La lingua religiosa venne usato in funzione politica e quindi in senso metaforico ma il linguaggio militare non può essere interpretato sempre come metafora poiché il regime fascista organizzò la vita, almeno in parte, in modo militaresco e talvolta questa lingua rispecchiò la realtà (Leso, 2003:108-109). Così Mussolini volle unire in sè sia un’autorità religiosa che una militare e questi due punti ideologici formarono la base dell’ideologia fascista. Leso afferma che ispirato alla religione e alla guerra, «[...] il fascismo viene proposto da Mussolini come una

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vicenda di dimensioni mondiali [...], una vicenda già bimillenaria che è destinata a svolgersi in termini di agonismo e di affermazione imperialistica in un futuro certo, ma imprecisabile e misterioso» (Leso, 2003:109). In questo contesto lo studioso fa richiamo all’uso dell’iperbole e l’insistenza sul mito di Roma, concetti che verranno discussi dopo (vedi infra § Parte III). Nel suo articolo, Leso sottolinea alcune volte come Mussolini volle creare l’impressione che la sua parola rappresentasse l’unica, indiscutibile verità. Per attingere a questa illusione, si evidenzia già un altro strumento nella forma della figura retorica della correctio ossia «la progressiva precisazione» (Leso, 2003:116). Mussolini impiegò termini che vennero precisati in modo progressivo finché l’espressione ebbe acquistato un’esattezza tecnica. Alcuni esempi: «Fu per me una rivelazione, una singolarissima rivelazione», «Esiste l’esodo delle opposizioni, la secessione delle opposizioni?», «Ora questa libertà io non la do, non la voglio dare» (citati in Leso, 2003:116-117). A proposito dei termini tecnici, Leso indica che Mussolini non esitò a impiegarli in un contesto alieno, fuori dall’ambiente normale in cui questi termini vennero usati, evocando in quel modo effetti fonici particolari perché in questo contesto i termini rivelano un’oscurità e incomprensibilità semantica. Si osservi l’occorrenza molteplice di espressioni letterarie, arcaiche e rare, le quali puntano sulla predilezione del Duce per uno stile letterario. Mussolini usò «niuna» al posto di «nessuna», «cominciamento» invece di «inizio», «eziandio» per «anche» (citato in Leso, 2003:120). A questo punto, Leso ci informa sull’ambiguità che emerge da questa predilezione. Si è già detto che il successo di Mussolini presso il popolo è dovuto, almeno in parte, alla semplicità e chiarezza dei suoi discorsi, ma quest’affermazione non corrisponde alla scelta lessicale di parole letterarie e arcaiche. Tuttavia, la semplicità e la chiarezza vengono fornite dalle strutture ritmiche e dalla sintassi fortemente semplificata mentre semanticamente vi è questa «sostanza comunicativa in definitiva alogica, tutta emozionale» (Leso, 2003:120). Anzi, nei discorsi mussoliniani emergono alcune strategie per ottenere la desiderata semplicità e chiarezza al livello strutturale e Leso ne prende tre in considerazione nel suo articolo. Si tratta della prolessi: «Un’altra cosa voglio aggiungere, questa: ho la volontà di risolverli e li risolverò» (citato in Leso, 2003:122), della ripresa apposizionale: «Mi sono considerato e mi considero come un soldato che ha la consegna: la consegna severa che egli deve osservare a qualunque costo» (citato in Leso, 2003:122) e dell’uso del polisindeto –spesso in modo antitetico- come per esempio in «La storia politica d’Europa, dal ’70 al 1914 voi la vedete tempestata di atti di violenza terribili e individuali e collettivi» (citato in Leso, 2003:122). Simonini fa accenno a qualche altra particolarità dello stile mussoliniano. Per prima, v’è il motivo dell’aculeo in, per esempio, «L’invasione di tre provincie del Veneto è un aculeo che dobbiamo tenere infisso nelle nostre carni e nelle nostre anime» (citato in Simonini, 1978:15). Intende con questo «motivo dell’aculeo» che i discorsi di Mussolini vollero essere stimolanti e ebbero l’intenzione di spingere l’ascoltatore, più che affascinarlo (Simonini, 1978:15). Secondariamente- e legato al concetto dell’aculeo per via della funzione conativa, bisogna considerare i vari slogans che apparvero dappertutto nella strada: sui muri, nei giornali, sulla radio, negli uffici e nelle caserme. La popolarità dello slogan fu enorme e la cosa particolare è che all’epoca fu di moda di plagiare gli slogans: quindi non vi fu nemmeno l’esigenza di essere originale nel creare queste frasi lapidarie. Le

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fonti per gli slogan riciclati erano spesso uomini con affinità politica come L.A Blanqui (per la frase: «chi ha del ferro ha del pane») e Napoleone Bonaparte (Simonini, 1978:57). Inoltre, anche dagli squadristi, dai futuristi e dagli arditi derivarono una moltitudine di slogans. L’efficacia degli slogans viene creata e elaborata a causa dei procedimenti al livello prosodico e quello musicale. In altre parole, anche qui prevale la sonorità sulla pregnanza semantica. Alcuni esempi: «Molti nemici, molto onore», «credere obbedire combattere», «noi tireremo diritto» (citato in Simonini, 1978:39). In terzo luogo, occorre osservare la sua retorica patriottica ove la forza affascinante delle belle parole mussoliniane viene avvalorata e rinforzata da una forte funzione emotiva. In questi momenti, per smuovere il popolo, il discorso era plasmato intorno alla cosiddetta «pietas dei giovani e dei morti» (Simonini, 1978:51). Cioè, Mussolini fece ricorso ai temi della giovinezza esaltata (vedi infra § Parte III: 1. Campi semantici rilevanti per l’analisi) e dei combattenti morti nella guerra. Queste persone morirono per la patria, il che significò un onore altissimo. Questa tendenza verso il lirismo esagerato con lo scopo di affascinare e smuovere la folla è sempre stata una caratteristica centrale nei discorsi mussoliniani. Infine, è anche interessante indagare in quale modo i testi del Duce sono stati accolti dai contemporanei. Eugenio Adami, nel 19394, ha scritto un’opera piuttosto propagandistica e questo fatto pone l’argomento ancora sotto un’altra luce. Adami afferma, a proposito dello stile oratorio di Mussolini, che egli non si adattò alle attese e alla psicologia della massa e che non impiegò una lingua fornita a misura di questa folla ma invece piegò il popolo ascoltatore alle sue necessità e fece discorsi «in altro modo e in altro tono, che sono quelli voluti dal proprio animo» (Adami, 1939:19). Quest’affermazione risulta un po’ ironica dopo la teoria di Erasmo Leso che punta contrariamente sulla capacità straordinaria di Mussolini di adeguarsi a vari pubblici. Si noti pure il riferimento a concetti tipici dell’epoca, tutto in linea con la tradizione dei scrittori fascisti: «volontà» e «animo». Comunque, anche Adami sottolinea la semplicità, la naturalezza e la chiarezza dei discorsi a causa di una sintassi fortemente semplificata. La descrizione della chiarezza della sintassi risulta molto significativa per capire la tendenza dell’opera di Adami: «[...] una sintassi così chiara e semplice, che tutto dà l’idea di certi blocchi perfettamente levigati dove non si può mettere più mano, perchè basterebbe una sola scalfitura a menomarne la bellezza. Provatevi a spostare una sola virgola, a modificare uno solo degli elementi che compongono l’insieme linguistico. Non avrete più una lingua cristallina e pura come quella che vi sta dinanzi nelle insostituibile fissità espressiva» (Adami, 1939:21). Inoltre, secondo Adami, non solo la struttura semplice del discorso ma anche le parole «puramente nude e secche» (Adami, 1939:27) che quindi non gettano un’ombra o un velo sul significato delle cose, attribuiscono alla chiarezza dei testi. Questa chiarezza è uno strumento logico per la rappresentazione della realtà, che secondo lo studioso fu un concetto tanto caro al Duce. Inoltre, legato alla volontà di rappresentare questa realtà e quindi la verità, si evidenzia l’uso di un linguaggio molto perentorio e autoritario (chiamato «definitivo» in Adami, 1939:25). Adami sottolinea anche l’originalità della lingua mussoliniana che, tuttavia, non impedisce che il discorso risulti chiaro: «Una lingua originalissima perchè ridotta alla ultima

4 Eugenio Adami, La lingua di Mussolini, Modena, Società Tipografica Modenese, 1939.

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semplicità, scarnita al punto da sembrare fatta di briciole, pure nulla sacrificando alla chiarezza, anzi presentando le cose con pieno rilievo» (Adami, 1939:36). Emerge quindi una larga discrepanza tra le affermazioni propagandistiche di Adami e gli studi di Cortelazzo, Leso e Simonini che sembrano tutti essere d’accordo sul contrario: cioè, che Mussolini, dal punto di vista lessicale, non impiegò una lingua chiara e univoca ma invece lasciò prevalere l’effetto sonoro-musicale sulla semantica, con lo scopo di evocare soprattutto emozioni e stati d’animo, più che di essere informativo. Per il resto, Adami non manca ad esaltare la magnificenza dell’oratoria mussoliniana e l’efficacia di questi grandi discorsi, e fa richiamo in questo contesto agli anni 1924 e 1925 dicendo che «in quel tempo la sua parola fu forse l’unica arma potente che sconvolse e travolse tutte le opposizioni» (Adami, 1939:45). A concludere questo capitolo, cito una parte della conclusione dell’opera adamiana, la quale è esemplare degli scritti fascisti e nella quale si possono scoprire alcune caratteristiche stilistiche e vari valori esaltati dal regime fascista: «Merito di Benito Mussolini oratore e scrittore è, dunque, di aver creato un linguaggio dove è tutta la sua persona viva e palpitante di fierezza e grandezza, di aver dato alla parola uno spirito nuovo che è quello delle nuove cose di cui oggi viviamo e che sentiamo divenire sempre più parte di noi stessi. Ecco perchè i suoi Scritti e Discorsi appassionano i lettori oggi e li appassionneranno ancor più domani, al di sopra di tutti i partiti e di tutte le dottrine, come ciò che per il suo intrinseco e universale valore s’impone alla incondizionata ammirazione di amici e di nemici, come ciò che ha per fondamento l’amore indiscusso e puro delle cose grandi e della Patria» (Adami, 1939:83).

2.3. Gustave Le Bon e la sua «Psicologia delle folle» Si è già accennato sull’influenza dell’opera di Le Bon su Mussolini e la sua ideologia. Se si legge la teoria di Le Bon, si capisce immediatamente il successo di Mussolini nei momenti oratori, poiché il Duce si era veramente basato sulle affermazioni a proposito della «psicologia» della massa. Inoltre, questa teoria dello studioso francese subentra nel quadro dell’ideologia del «superuomo» (concetto di Nietzsche), «dell’élite» e dell pensiero mitico-irrazionalistico dell’epoca intorno all’inizio del ventesimo secolo, quando la classe lavoratrice aveva acquistato nuove libertà e nuovi diritti in riferimento alla politica. Simonini riferisce in questo contesto anche allo studioso Sorel che sostiene che la massa nella piazza non si lascia manipolare con argomentazioni razionali e logiche. Per incantare la folla, per fare appello a questa folla ci vuole la grandezza e l’acceccare della mente critica con i miti (Simonini, 1978:128). Anche quest’aspetto ritorna nei discorsi di Mussolini, il quale spesso si servì di un’orazione iperbolica, presentando al popolo miti come quella di Roma antica e della predestinazione del popolo italiano. Ho riportato qui alcuni punti interessanti presentati in «Psicologia delle folle», uscito a Parigi già nell’anno 1895, basandomi sul riassunto che si trova nel libro di Simonini. (Simonini, 1978:128-130) Un gruppo di persone può assumere una «psicologia» che differisce largamente dell’atteggiamento degli individui che compongono questa massa e che forma

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qualcosa di diverso dalla somma dei vari atteggiamenti individuali. Si tratta di «un’anima collettiva, un agglomerato umano» (Simonini, 1978:128), perché nel gruppo l’individuo perde la propria identità e si dirige verso una coscienza collettiva. Tutti gli individui vivono gli stessi sentimenti e le stesse idee. Tuttavia, per acquistare questa coscienza collettiva, non occorre trovarsi nello stesso spazio che gli altri individui. Basta che queste persone, ad un dato momento, provino un impulso di emozioni, sicchè abbia inizio il processo di amalgamare le coscienze. Inoltre, la composizione della folla può essere omogenea ma anche eterogenea. Quando si tratta di una folla eterogenea, le differenze tra livello di educazione, strato sociale, professione, interessi culturali, età e sesso non impediscono la mescolanza delle personalità perché i vari individui sono comunque uniti da un’interesse comune. Quest’interesse si situa su un piano emotivo e irrazionale mentre l’intelligenza acquista un ruolo minore nel senso che la folla esprime mediocrità sul piano intellettivo. «Ne esprime anzi il livello medio, con tendenza al minimo comun denominatore» (Simonini, 1978:129). Siccome la ratio riveste un ruolo secondario di fronte alle emozioni e l’irrazionalismo, si vede che gli istinti primitivi ritornano nei comportamenti della folla. Concetti come gloria, onore e guerra diventano i valori esaltati senza che vi sia una base razionale per quella esaltazione. A ciò is collega il fatto che la folla tenda verso un’avversione per tutto ciò che è nuovo, innovativo e dimostri anzi una forte aderenza alle tradizioni e istituzioni. La folla quindi non si trova nello stato d’animo necessario per iniziare una rivoluzione. Come dice Simonini: «[...] l’inconscio collettivo non è che la sedimentazione di influssi secolari, la stabilizzazione di ciò che è divenuto migliaia di volte e che ormai si trasmette per ereditarietà» (Simonini, 1978:129). Di conseguenza, la massa reagisce soltanto quando i valori tradizionali sono stati minacciati. Altra conseguenza della volontà conservatrice della folla è il fatto che essa desideri un capo con un aspetto tirannico e quindi molto autoritario. Le Bon afferma che la folla non si lascia guidare dalla simpatia e dalla bontà perché esse indicano un tipo di debolezza. Il capo deve essere energico, risoluto e attivo. Siccome si lascia che il capo pensi per tutta la folla, il messaggio e il pensiero del capo non può essere troppo superiore o elitario. Si riccorda che la massa è definita dalla mediocrità intellettuale e per questo il discorso ad essa rivolto deve avere un’aria di familiarità. Tutte queste esigenze necessarie per ottenere successo come capo e oratore sono state soddisfatte da Mussolini. Il populismo e la demagogia (che corrispondono a questa esigenza di familiarità, autorità e irrazionalismo) sono infatti caratteristici dell’oratoria mussoliniana. Per esempio, si osserva l’uso sovrabbondante di immagini e concetti che evocano certe emozioni forti e tanti riferimenti al mito della romanità. La forza, la giovinezza, l’insistenza sui valori tradizionali come la famiglia, il lavoro e spiritualità emergono spesso nei discorsi del Duce. Inoltre, l’autorità necessaria per risultare un guida abile per la massa ascoltatrice è presente in questi discorsi. Mussolini stesso aveva detto che quando si lascia al popolo «ciò che gli è essenziale», quindi «il calore, la forza, il pittoresco [...]»5, gli si possono togliere alcune altre libertà, e il Duce non mancava a farlo. Anche uno dei discorsi analizzati in questa tesi dimostra in modo eccellente quest’autorità mussoliniana. Si tratta del discorso «Sindacalismo fascista» (alle pagine 149-150) in

5 Citato in Simonini, 1978:37, da un discorso «Al circolo “Sciesa” di Milano» del 4 ottobre 1922.

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cui si trovano alcune espressioni molto autoritarie: «i quali obbediscono in silenzio», «quegli italiani che voglio creare per amore o per forza», «prima i doveri e poi i diritti», «Avete inteso? Credo di sì perché il mio è un linguaggio molto chiaro».6 Infine, la folla fornisce idee o meglio sentimenti con un alone mitico e religioso. Mussolini sapeva far uso dei bisogni di religiosità e dei valori tradizionali che si trovano intorno alla religiosità. Si tratta dei «cosiddetti valori dello spirito: patria, nazione, coraggio, eroismo, sacrificio, ordine, famiglia, stato, giustizia, libertà» (Simonini, 1978:130). Quest’ultimo elenco sottolinea l’aderenza di Mussolini alla teoria di Le Bon perché tutti questi concetti sono elaboratamente trattati nei discorsi e testi dalla penna di Mussolini. Per quanto riguarda lo stile dei discorsi che risulterebbero più felici in termini di comprensibilità e amabilità presso il popolo, Le Bon sostiene che vi sono tre elementi di base: «semplicità di lessico e di sintassi», «affermazione» e «ripetizione» (Simonini 1978:34). La semplicità del lessico e della sintassi è anche presente nei discorsi di Mussolini , si pensi alle strutture binarie e ternarie e il suo moderatismo linguistico. (vedi infra) L’affermazione è un enunciato che deve essere conciso e categorico e per di più, deve corrispondere alle attese religiose ed irrazionali della folla. Un esempio di affermazione sono i testi sacri (Simonini, 1978:34). La ripetizione infine è necessaria perché l’affermazione sia accolta come verità o realtà. Più che si ripete una cosa, più che questa cosa si annida nella mente dell’ascoltatore. È chiaro ancora una volta che l’influenza di quest’opera francese sul pensiero mussoliniano, e più ampiamente – sul pensiero fascista, non è stata marginale. Talvolta, si osserva che il Duce ha seguito in modo quasi pedissequo le istruzioni fornite dallo studioso. III. L’ANALISI 1. Campi semantici rilevanti per l’analisi Basandosi sull’occorrenza ricorrente di certe parole, si possono individuare alcuni campi semantici che rispecchiano i vari valori esaltati dal regime fascista. Questi campi semantici determinano quindi l’ideologia, e Mussolini non mancava di sfruttare questo insieme di concetti e parole specifiche nei discorsi analizzati. Giovanni Lazzari ha condotto uno studio sul lessico fascista, determinando in questo modo quali sono i campi semantici centrali nell’ideologia fascista. Qui riportato si trovi solo un’elaborazione di quei campi semantici che risultano rilevanti per l’analisi svolta. Per questo, ho fatto un riassunto delle affermazioni di Lazzari (1975). 1.1. Il Vitalismo Il campo semantico del vitalismo è basato su una concezione filosofica. In questa filosofia vi sono cinque concetti centrali che per di più compongono suddivisioni del «vitalismo»: si tratta di giovinezza, volontà, genio, energia e anima. La giovinezza è una condizione importantissima nell’ideologia fascista. Il giovane è forte, abile e ha una certa freschezza e tutte queste caratteristiche entrano nel quadro della forza dell’uomo fascista – stimato estremamente importante nella lotta per il consolidarsi del regime. Parole e espressioni tipiche in questo contesto sono

6Benito Mussolini, Scritti e Discorsi, dal 1925 al 1926, volume V, Milano Ulrico Hoepli Editore, 1934.

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«gioventù», «giovinezza», «giovani arditi», «giovanile». Non si può dimenticare gli attributi della giovinezza e i concetti che hanno lo stesso valore connotativo di «giovinezza»: «fedele», «perenne», «italica», «imperiale», «trionfante», «vitalità», «freschezza», «bellezza». Legato alla giovinezza, si osservi anche l’esaltazione della «velocità». Si pensi in questo caso all’aderenza del fascismo al movimento culturale del futurismo: ci vogliono atti e pensieri veloci, fulminei. Di conseguenza, le parole «vecchio» e «sonno» sono state associate all’opposizione, poiché sono gli antonimi della «giovinezza» e della «velocità». La predilezione della «velocità» ci porta al secondo concetto centrale: l’energia. “Energia” deve essere interpretata come forza psichica-spirituale e non tanto fisica. Si può capire questo concetto dell’energia alla luce del fatto che riveste una connotazione di valore irrazionalistico. Gli istinti e la natura significavano per Mussolini e gli altri fascisti “la vita attiva”, la vita piena di«energia» mentre la vita razionale e pensierosa era considerata come “non-vita”. Per esempio nei scritti fascisti, si scoprono descrizioni del Duce come «insuperato campione d’energia» e «l’energia... brilla nei suoi occhi». Tenendo conto delle parole «attivo», «attività», «azione» e della frequenza del sintagma «energia creatrice», oltre all’uso di metafore che denotano la forza vitale degli istinti (si ricorda l’irrazionalità del concetto «energia»), come «fiamma», «fremito», «fervore» , è chiaro che l’ideologia fascista è un’ideologia vitalistica. La terza suddivisione è la «Volontà»: essa subentra in una visione del mondo e della vita nella quale non v’è spazio né possibilità per fornire interpretazioni o concezioni alternative. Si tratta di un tipo di anti-intelletualismo, perché il regime tentava di escludere tutto ciò che giudicasse criticamente il pensiero dogmatico del fascismo deviando da questo. La volontà significava un valore assoluto e conseguentemente è un cardine del campo semantico del vitalismo. Si tratta veramente di volere «senza una finalità secondo ragione» (Lazzari, 1975:28). Non bisogna pensare alle conseguenze siccome solo l’azione e la volontà in sé contano. Il misticismo del fascismo prevale sull’intelligenza e la ragione. Mussolini parlava di «volontà di volere». Altre attestazioni: «La gioventù italiana che si è volontariata nel sacrificio», «Un popolo solo... con una sola volontà», «La forza, la vita, la volontà del Fascismo». A proposito del quarto concetto, Anima, occorre sottolinearne la connotazione spiritualistica con «triplice sfaccettatura» (Lazzari, 1975:28): In primo luogo, si ha a che fare con un significato spirituale, mistico e tradizionale, i quali dispongono di una numerosa aggettivazione. L’anima può essere «possente», «vibrante», «accesa», «generosa», «ardente», «impulsiva». Poi si evidenzia questo senso misterioso-animistico di per esempio «l’anima della Nazione». Questa è già un’altra espressione che dimostra il radicale irrazionalismo del regime fascista. Infine, Lazzari parla di una sfumatura che forma un’amalgama insieme alle connotazioni di parole come giovinezza, vitalità e energia. Questa concezione di «anima» emerge in esempi come «fiamma animatrice» e «Animator d’illustri eccelsi eroi». L’ultima suddivisione del campo semantico vitalistico si forma intorno alla parola «Genio». Soprattutto si intende con «genio» l’ingegno dell’uomo, un concetto caratteristico del «superuomo». Questa interpretazione di «genio» veniva legato al Duce perché significa che egli dispone di un’intelligenza e superiorità straordinarie – cose che gli conferivano la sua potenza e quindi la giustificazione del regime. In un senso secondario, «genio», derivato dal latino «genius», riferisce anche ad una divinità pagana. Anzi, acquista anche un tratto irrazionalistico. Tuttavia, importa che il genio e il carattere dei fascisti e di Mussolini vengano glorificati: «il suo Individuo

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eccezionale», «eccelsi eroi». Quasi sempre in questi casi v’è l’uso sovrabbondante di iperboli – un tratto fondamentale dei discorsi analizzati per questa tesi. 1.2. Virilità e Forza fisica Nel campo lessicale della Virilità non è sorprendente che la parola «maschio» stia al centro. Altre parole significative sono «virilità», «vigore» e «muscoli». La forza della virilità non era vista come uno strumento politico ma doveva significare l’esaltazione della forza assoluta. Ciò rimanda di nuovo alla visione irrazionalistica del mondo. Di conseguenza, il regime attribuiva grande importanza alla concezione che valuta la virilità come pari alla potenza. Si osservino i seguenti esempi: «Il Fascismo era l’unica maschia e vitale eredità della guerra vittoriosa», «Uomo nel pieno e maschile splendore della forza terrestre», «maschio cameratismo», «la vigorosa fiamma italiana che si chiama Benito Mussolini», «un regime in cui i muscoli hanno dei nervi». Inoltre, si noti anche che la metafora della forza della natura indica infatti la forza maschia e la potenza. Così qualche animale, di cui risultano più importanti l’aquila, il lupo e il leone veniva impiegato per il sottolineare della forza come un valore positivo e importantissimo nell’ideologia fascista: «Mussolini è come l’aquila, guarda nel sole», «come leoni pieni d’ardimento». A completare l’elenco di elementi naturali, sottolineando la forza del regime, vi era l’uso di vari tipi di metalli nella forma di nomi e aggettivi che per di più riferiscono alla durezza del superuomo, completamente l’opposto della «debolezza» della democrazia. Esempi: «volontà di ferro», «tempra adamantina», «La grandezza d’Italia sotta la guida ferrea di un Uomo».

Siccome del termine «forza» vi sono numerose attestazioni, questa parola viene considerata perno del campo semantico. La sua connotazione specifica è stata divisa in due accezioni. La forza come qualità umana dell’individuo e la forza come «potenza della razza e della nazione» (Lazzari, 1975:34). «Generoso e forte al tempo stesso», «forza e dolcezza negli occhi»: questi sono esempi della accezione individualistica, mentre l’esempio «la forza e la salute ch’egli ha infuso all’Italia nazionale» è indicativo della accezione nazionalistica. Anche per la parola «potenza» vale questa divaricazione e sfumatura tra le due accezioni. Infine esiste una lista di aggettivi, avverbi e nomi che sia derivano dalla parola «forte» o che ne sono sinonimi. I concetti antitetici vengono considerato come valori negativi per il regime. 1.3. La Guerra Lazzari descrive il fascismo «come l’incarnazione di valori ed ideali propri di un paese in guerra»(Lazzari, 1975:40) e punta sul binomio paura-coraggio per chiarire l’importanza attribuita al coraggio nel regime. L’esaltazione del coraggio e la celebrazione della violenza sono di nuovo legate all’irrazionalità tipica dell’ideologia fascista. Questo coraggio fu una virtù altissima per tutti gli squadristi e altri fascisti, mentre la «paura» e la viltà, vennero attribuite agli avversari come loro caratteristiche tipiche. L’uso di concetti antitetici per indicare sia le virtù del regime che i vizi degli avversari ritorna più volte, anche nei discorsi mussoliniani analizzati. Inoltre, il coraggio è essenziale nella guerra e quindi nella lotta per la patria. Siccome il fascismo volle presentarsi come l’unico partito per la patria, tutti quelli aderenti

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all’opposizione vennero considerati dei disertori. Poiché ci fu una predilezione per un regime battagliero, si può anche individuare un linguaggio fortemente militaresco (anche in senso metaforico) che favorì l’uso di parole come «battaglia», «bandiera», «soldato», «nemico» e «arma». Altre parole con frequente occorrenza rievocano l’imperialismo romano e per questo risultano molto evocative. Così Mussolini puntò spesso sul «passato glorioso» e mitico: si pensi per esempio a «coorte», «certame», «falange», «legioni»(Lazzari, 1975:45). Infine, non si possono dimenticare neanche le espressioni più letterarie e più forti e ricche in senso connotativo come «mutilati», «invalidi» e «martiri». 1.4. Grandezza e difesa Gli esempi nel libro di Lazzari («Il popolo grida soccorso alla nuova gioventù italica per essere tratto a salvamento») dimostrano che all’epoca l’Italia venne spesso descritta come un’entità ammalata e che vi fu bisogno di un guaritore (si vede qui l’uso di un linguaggio medico in senso metaforico), quindi in un senso più ampio il popolo cercò una «guida», un «faro», una «diga» per la salvezza della patria. Per essere un’abile guida, ci vuole grandezza e Mussolini ne è l’esempio più eclatante ed è per questo che è il leader più appropriato del popolo: «Il Salvatore d’Italia»,«Faro luminoso di fede», «Italia, donna bella ma sofferente, guarita da Mussolini». Nonostante ciò, Lazzari afferma che questa esposizione di magnificenza, questo mito di grandezza insuperabile servì a nascondere l’ingiustizia e la miseria di ogni giorno (Lazzari, 1975:83). Tuttavia, esistono innumerevoli esempi di questa presunta grandezza e i cui sinonimi puntano sullo stesso concetto: «cuore pieno di grandezza», «Visione di grandezza e di bellezza», «formidabile», «immane», «insuperato», «magnifico», «supremo», «gigante», «primato». 1.5. Mitologia L’analisi linguistica, in cui si osserva la frequenza di attestazioni di certe parole, ha dimostrato che il fascismo conobbe alcuni miti che furono veramente radicati nella sua ideologia e che furono la fonte di varie immagini adoperate in modo sovrabbondante negli scritti fascisti. I miti presi in considerazione sono: la Patria, Roma, Il Passato e L’Avvenire. Il mito della Patria si riferisce ovviamente al culto nazionalistico del regime fascista. Locuzioni tipiche come «Italia grande, rispettata, temuta», «Patria più grande e più temuta» puntano sull’apparizione frequente delle parole «Italia», «Patria» e «nazione». Inoltre, vi era sempre un’aura di esaltazione delle tradizioni, del passato e dei valori molto stimati della «stirpe» o «razza» italiana intorno al mito della Patria. Il Passato, secondo mito, loda l’Impero romano e anche figure illustri del passato, come per esempio condottieri famosi. Si pensi in questo caso a Napoleone Bonaparte, il quale meritò grande attenzione dei fascisti: «Ci fa pensare a Napoleone il Grande, tanta è la forza con cui sa dominare e piegare gli avversari». Inoltre, si sa che il fascismo stimò se stesso alla pari di grandi avvenimenti storici svoltisi in Italia come la nascita del Cristianesimo e il Risorgimento. Allo stesso modo, anche Dante ha avuto grande rilievo nell’esaltazione del passato. Tutti i suoi testi dimostrano il suo amore per la patria e per la lingua, quindi per l’italianità. Di conseguenza, Dante fu un simbolo della cultura nazionalista fascista. Il mito dell’Avvenire è un ideale complementare a quello del Passato, infatti il fascismo non voleva che il futuro fosse pieno di innovazioni e valori nuovi. Il regime

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desiderava piuttosto una restaurazione dei valori e delle tradizioni antiche. Il concetto di «Avvenire» si spiega anzi nell’ottica dei valori tradizionali, anche se sembra un po’ paradossale. Infine, l’ultimo mito è quello di Roma: «Degni di Roma antica», «Roma l’eterna», «la sua voce romana». Si ha a che fare con l’esaltazione della Roma imperiale e quindi non è sorprendente che Mussolini venne comparato o almeno legato ai campioni e agli scrittori importanti dell’epoca dell’antica Roma. Si noti l’apparizione molteplice di «Cesare», «Cicerone», «Cincinnato» e «Scipione». 1.6. Misticismo A questo campo semantico, appartengono soprattutto i concetti de «La mistica fascista», de «Il Destino» e de «La Storia» che acquistano una certa importanza nell’ambito dell’analisi dei discorsi del 1925. La mistica fascista si evidenzia nell’uso di un linguaggio a sfondo cattolico e la religiosità che ne emerge deve anche essere interpretata in senso stretto. In questo modo, il regime volle realizzare la “mitizzazione” del fascismo, cioè volle presentare il fascismo come entità mitica, il cui simbolismo contenesse valori ed ideali tradizionali (Lazzari, 1975:61). Il perno di questa suddivisione semantica viene creato dalle parole «spirito» e «sacrificio», che appaiono spesso nella locuzione «spirito di sacrificio». Altri esempi:«La patria...è la nostra religione», «Il suo avvento al potere ha qualche cosa di mistico, di divino», «Santa dolcezza della parola Italia». Le parole centrali nel campo lessicale del Destino sono ovviamente «destino» e il sinonimo «fato». Se «destino» ha una maggiore occorrenza negli scritti fascisti e risulta più importante, «fato» appare meno, ma ugualmente considerato nella sua accezione letteraria. Il concetto di «destino» fu uno strumento dei fascisti per porre la storia ad un livello mistico-religioso. Lo scopo fu allora di creare l’impressione che tutti gli avvenimenti e le azioni del regime fascista avrebbero dovuto svolgersi necessariamente, perché avendo un carattere provvidenziale, sarebbero stati voluti da una forza soprannaturale. Mussolini si presentò come «l’Uomo del destino» e il suo governo sarebbe stato l’incarnazione del glorioso passato oltre al regime che intese presentarsi come «il segno di eventi grandiosi e trascendenti»(Lazzari, 1975:64). Per quanto riguarda la Storia, occorre ricordare che spesso la parola venne scritta con la maiuscola, in riferimento ad un aspetto religioso. La «Storia» fu considerata come qualcosa di sovrumano e grandioso, oltre al fatto che sarebbe stata indipendente dalla «volontà umana». Si osservi questo esempio: «Il suo nome ormai consacrato alla Storia immortale». Inoltre, il fascismo intese far parte di questa «Storia», presentandosi come un movimento che si sviluppò tramite lavori e realizzazioni onorevoli (che vennero chiamate «opre», con una connotazione di «glorificazione») verso fini altissimi. Un esempio: «L’opre di Mussolini e l’alte imprese son meraviglia dell’umane genti». Infine, vi furono alcune parole, in riferimento all’epoca mussoliniana, che hanno anche di una connotazione «magnifica» e «meravigliosa»: il «secolo», il «millennio», l’«eternità», «l’epopea di Mussolini». 2. I discorsi analizzati Prima di procedere all’analisi dei 16 tratti dello schema già introdotto sopra, occorre fornire un quadro contestuale. Vengono presentati in modo conciso i contenuti dei discorsi analizzati. Tutti i discorsi analizzati e quindi tutte le citazioni in questa parte sono tratti di Benito Mussolini, Scritti e Discorsi, dal 1925 al 1926, volume V, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1934. In allegato troverete alcuni brani dei testi analizzati.

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Discorso del 3 Gennaio 1925 Il famoso discorso all’inizio dell’anno 1925 che fu risponsabile per la fine della crisi fascista governamentale a causa dell’affare Matteotti. Mussolini, in questo discorso, indicò tutte le falsità e le atrocità commesse dagli avversari. Inoltre, dimostrò la forza del regime fascista e ebbe avvertito gli ascoltatori dei cambiamenti che furono in attesa di compimento. Il Duce volle sottolineare che il popolo ebbe bisogno di pace e tranquillità e che il regime glielo diede. Ritorno di De Vecchi (12 febbraio 1925) Nella sessione del Gran Consiglio del 12 febbraio 1925 Mussolini fece un riassunto delle vicende negli ultimi mesi. Definì la situazione del momento perché vi fu il ritorno in Italia del governatore della Somalia, Cesare Maria De Vecchi. Con questo riassunto Mussolini volle mettere il governatore al corrente dello stato di affari in Italia. Il ritorno di De Vecchi fu molto importante per Mussolini perché egli fu «uno dei quadrumviri della Marcia su Roma» (come lo dice Mussolini stesso nel testo a p.17), dunque un fascista di spicco. Nel sesto anniversario della fondazione dei fasci (23 marzo 1925)

Un discorso pronunciato dal Palazzo Chigi per lo scopo di dissipare alcune voci sulla salute di Mussolini. Mussolini fu malato per qualche tempo e l’opposizione ne approfittò per mettere in giro delle voci negative concernenti la situazione del Duce. Per gli impiegati statali (4 aprile 1925)

Questo discorso venne pronunciato nella Camera dei Deputati dopo il discorso del Ministro delle Finanze, Alberto de’ Stefani. Il Ministro spiegò i provvedimenti che presi con lo scopo di migliorare la situazione degli impiegati statali. Alla conferenza interparlamentare del commercio (17 aprile 1925) Mussolini pronuncia questa discorso il 17 aprile 1925 all’occasione dell’inaugurazione della conferenza interparlamentare del Commercio in cui si vuole realizzare l’unificazione delle leggi commerciali delle varie nazioni che partecipano. Tutto si svolge in Campidoglio a Roma. La donna e il voto (15 maggio 1925)

Mussolini fa qualche osservazioni concernente il disegno di legge per la concessione del voto alle donne. Questo discorse si svolge nella Camera dei Deputati il 15 maggio 1925. Alla fine, diventa chiaro che Mussolini pensa che le donne hanno una certa utilità sociale e per questo si può concedere loro il diritto di voto, ma non hanno certamente le stesse capacità degli uomini. Ma la concessione non viene veramente attuata dopo questo discorso. Come si dice nei Scritti e Discorsi:«[...] non ebbe attuazione pratica, ma conservò tutto il valore d’un riconoscimento, compiuto da Fascismo, dello spirito di Patria e del valore sociale della Donna italiana.»(p.65)

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La politica estera al senato ( 20 maggio 1925)

Mussolini sta parlando in sintesi della politica estera dei mesi precedenti, dopo una relazione dell’on. Rava nel Senato, concernente gli Affari Esteri. Dopo questa relazione c’è dunque il Duce a prendere in considerazione la politica europea in generale, gli avvenimenti nella Germania con l’elezione di Hindenburg, la questione dell’Anschluss in Austria, i rapporti con la Russia, quelli con la Jugoslavia e il caso di Fiume e il caso di Giarabub nella Libia.Parole chiave in questo testo sono «sacrificî di sangue», «battaglia», «vittoria», «politica», »forza», «militare», «ideale», «economica». Il Venticinquennio del regno di Vittorio Emanuele III (6 giugno 1925)

A proposito del venticinquennio del regno del Re, Mussolini fece un breve discorso pieno di esaltazioni del Re. Soprattutto in riferimento ai meriti guerreschi di Vittorio Emmanuele III, il Duce usò parole di lode. Infine, afferma anche che il Re è sempre stato una colonna di sostegno per il governo. Ai sindaci d’Italia (8 giugno 1925) Un breve discorso svolto a Palazzo Chigi il 8 giugno 1925 per i sindaci, venuti da tutta l’Italia. I sindaci erano venuti a Roma per onorare il Re e il venticinquennio del suo regno. (Questo discorso venne pronunciato 2 giorni dopo l’altro discorso di Mussolini in omaggio del 25° anniversario del regno di Vittorio Emanuele III.) È un discorso con un’aria molto positiva e per questo v’è la mancanza di antitesi, denegazione e risentimento. La cosa che salta agli occhi è il fatto che Mussolini enfatizza il concetto della trincerocrazia : «È veramente questa la nuova classe dirigente uscita dalle trincee e dal Fascismo»(p.107). Per la battaglia del grano (30 luglio 1925) Il 30 luglio del 1925 Mussolini pronunciava questo discorso in favore dei lavori fatti dal governo per «la battaglia del grano», dunque per aumentare e migliorare l’attività agricola. Afferma che il governo fascista, da tre anni, ha fatto diverse cose tese a migliorare la qualità di vita del popolo italiano e che, analogamente, bisogna che i sindacati agricoli collaborino col governo per avere risultati positivi. Ad un certo momento Mussolini parla delle «essenziali libertà che erano compromesse o perdute» e le quali il governo fascista ha ristabilite, ricuperate per il popolo. Diventa chiaro da questa lista di libertà, quali sono i valori più importanti per il Fascismo: «lavorare», «possedere», «onorare Dio», «esaltare la Vittoria», «il proprio destino», «un popolo forte». Discorsi agli ufficiali (fra il 12 agosto e il 12 settembre 1925) Si tratta qui di quattro piccoli discorsi che il Duce pronunciava per gli ufficiali di diverse armi in varie parti dell’Italia. Questi discorsi costituiscono un’unità nel contenuto: un’esaltazione degli ufficiali e del loro compito nella vita sociale. I discorsi si sono svolti nelle caserme del 81° fanteria, di San Francesco a Ripa, di Santa Croce e a Civitavecchia.

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Discorsi di Asti, Casale, Vercelli (28 settembre 1925) I discorsi sono stati pronunciati il 28 settembre 1925 davanti al popolo e dal balcone del Palazzo Municipale di Casale Monferato e Vercelli, Mussolini fa un’esaltazione della popolazione di questi paesi. Inoltre, si tratta soprattutto di indicare la grandezza del Fascismo e la falsità o negatività dell’opposizione. Sindacalismo fascista (23 ottobre 1925) Questo discorso si svolge in occasione dell’inaugurazione del Palazzo delle Corporazioni a Parma dove Mussolini viene accolto da Alcide Aimi – il capo del sindacalismo della provincia di Parma, il 23 ottobre 1925. Concetti importanti che vengono menzionati sono «la rivoluzione», «il Partito», «la Milizia» e «il Sindacalismo». Per il terzo anniversario della marcia su Roma (28 ottobre 1925) Mussolini fa due discorsi solenni a Milano il 28 ottobre 1925 in occasione del terzo anniversario della marcia su Roma. Parla della differenza tra la situazione contemporanea e quella di tre anni prima. Fa quindi un’esaltazione di tutte le parti dell’Esercito italiano e della vittoria. Inoltre, Mussolini ammette che non si tratta già di uno stato perfetto, ma questo è dovuto allo stato di affari come fu 3 anni prima e aggiunge che si fa tutto il possibile per attingere alla perfezione. Mussolini afferma che a questo scopo ci vuole una disciplina rigida. I compiti dei Fasci all’estero (31 ottobre 1925) Alla chiusura del primo congresso dei Fasci all’estero, il 31 ottobre 1925, nel palazzo dell’Esposizione, Mussolini pronunciò questo discorso in cui metteva in luce le regole principali di comportamento per i fasci italiani che si trovano all’estero. Invita gli ascoltatori a dichiarare gli aspetti positivi dell’Italia contemporanea. In questo discorso Mussolini mette enfasi sul mito di Roma antica: «portatori della civiltà latina, romana, italiana». De Pinedo (7 novembre 1925) Il discorso si svolse il 7 novembre 1925 in occasione del ritorno del comandante De Pinedo che aveva fatto un giro del mondo in un aereo, in compagnia del motorista Campanelli. I due andarono da Sesto Calende fino a Tokio e poi ritornarono a Roma attraverso, tra l’altro, Saigon e Bagdad. Nel testo v’è un distinto carattere eroico. Il caduco e l’essenziale (17 novembre 1925) Il brevissimo discorso fu pronunciato il 17 novembre 1925 al Senato. Mussolini vuole mettere in rilievo che l’attentato contro di lui, successo qualche settimana prima, non impedisce il lavoro del governo fascista. L’azione del governo fu ininterrotta.

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La Nuova Roma (31 dicembre 1925) In questo discorso, che fu pronunciato il 31 dicembre 1925, Mussolini esprime le sue idee sulla voluta grandezza di Roma e i compiti per accrescere questa grandezza, che dovranno essere compiuti dal primo governatore di Roma, il senatore Cremonesi. Qui diventano chiare le proporzioni del mito di Roma e del mondo antico, che fu un importantissimo aspetto dell’ideologia fascista. Così l’anno 1925 si chiude in un’atmosfera positivissima e volitiva mentre fu iniziato con questo discorso decisivo sul possibile successo del fascismo. 3. Analisi 3.1 Caratteristiche grammaticali 3.1.1 Aggettivazione Il primo tratto che consideriamo è l’aggettivazione: si tratta di aggettivi qualificativi che per la maggior parte descrivono stati d’animo, valutazioni morali, dimensioni e aspetti (come «solido», «robusto» ecc.). La sovrabbondanza di aggettivi, l’uso di sinonimi e la gradazione (il cosiddetto climax) sono elementi tipici dello stile fascista. Gli aggettivi non vengono usati per caso ma hanno una delineata funzione di coloritura del discorso, nel senso che la forma -in questo caso il suono e la musicalità- prevale sul contenuto. Come dice Lazzari: «Siamo cioè, intendo dire, sul piano del “fascino” mussoliniano, delle “masse ipnotizzate e attratte» ove la bella frase, l’esuberanza dell’aggettivazione, la richezza dei sinonimi, mistifica il significato nell’effetto della musica delle parole, e nasconde nella forma la nullità del contenuto» (Lazzari, 1975:46). Nei testi che ho analizzati, ho trovato un gran numero di esempi che confermano l’affermazione di sopra. Per ottenere una visione complessiva, gli esempi sono stati divisi in varie categorie. a. Aggettivi positivi Tenendo conto del periodo in cui sono stati pronunciati questi discorsi – un tempo pieno di speranza per il regime fascista- non è sorprendente che una grande parte degli aggettivi abbia una denotazione positiva. Emergono soprattutto parlando del fascismo e le sue attività e anche del popolo italiano, in quanto i membri della popolazione sono i seguaci dell’ideologia. Si vede che talvolta gli aggettivi sottolineano i valori importanti per il fascismo. Ecco un elenco esauriente di esempi tratti dai testi:

p.13 «una superba passione della migliore gioventù italiana» p.15 «la calma laboriosa» (enfatizza il valore del popolo lavorante) p.16 «amore sconfinato e possente per la Patria» p.17 «il mio saluto fraterno» (il valore della fraternità) p.17 «grande saggezza e non minore energia» p.149 «migliori fascisti italiani p.104 «servitore scrupoloso e leale» p.104 «il Re saggio, il Re vittorioso» p.105 «solenne celebrazione» p.80 «idealismi morali, rispettabili» (moralismo)

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p.79 «onorevoli Senatori» p.78 «propaganda attivissima» p.75 «grande ideale bolscevico» p.72 «città sacra», «rapporti cordiali e ottimi» p.124 «popolo forte», «vera libertà nazionale», «terra adorabile» p.171 «civiltà moderna», «automobili trionfatrici», «splendide memorie» p.60 «cavalleresco», «fieramente tradizionalista», «onorevole amico» p.61 «grandi creazioni spirituali» (spiritualità) p.63 «le donne italiane [...] discrete» p.243 «stile romano» e «solenne romanità» (mito di Roma) p.244 «ardente spirito», « vasta, ordinata, concreta» p.245 «Roma cristiana», «mare nostrum», «nuova coscienza» p.245 «Patria vittoriosa», «volontà tenace» p.51 «fedeli vecchî servitori» p.52 «laborioso, grande, buonissimo popolo italiano» p.53 «strenuissima disciplina» p.157 «unità infrangibile», «intrepida Aviazione» p.159 «grande e potente città», «disciplina rigida», «splendida Vittoria» p.123 «sicura fede» p.107 «forza visibile e tangibile», «giovani e combattenti» p.197 «l’eroico comandante», «serio, intrepido, tenace» p.198 «vitalità indistruttibile» p.135 «vibrante passione», «caldo entusiasmo», «disciplina nazionale» p.170 «spirito italiano», «virile Italia»

b. Aggettivi negativi Siccome gli aggettivi positivi vengono usati in referenza al Fascismo stesso, è logico che quelli negativi siano riferiti agli avversari. Mussolini dimostrò anzi di possedere un vocabolario creativissimo quanto al denominare gli avversari, gli oppositori del regime fascista. Egli scelse gli aggettivi in modo che indichino valori opposti a quelli esaltati del fascismo. Anche quando parlò del periodo prima del 1925, emergono aggettivi con un significato negativo, a causa della crisi e dell’insicurezza che regnavano in quel periodo.

p.198 «piccola vociferazione», «impotenza cronica» p.198 «decrepita sedentarietà», «stolto coraggio» (avversari) p.199 «triste episodio», «più ponderosi problemi» p.134 «facile e stupida demagogia» (contro la quale è Mussolini) p.136 «aspri compiti», «piccoli uomini e interessi meschini» p.136 «falsi pastori» (perché i veri pastori vi sono nel fascismo) p.136 «putrefatti oppositori» p.137 «vociferazione clandestina», «l’agguato codardo» p.137 «la calunnia informe», «la diffamazione subdola» p.170 «vociferazioni miserabili», «tristi rinnegati» p.59 «problemi ardui» p.62 «secolo arido, triste», «tempi duri» (parlando del passato) p.245 «costruzione parassitarie e profane» («profano» opposto alla religiosità) p.245 «stolta contaminazione tranviaria»

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È chiaro che gli avversari sono associati soprattutto con «la miserabilità», «il morboso», «la malattia», «il ridicolo», «il primitivo», «la profanità», «la falsità», «la tristezza» , «il piccolo» e «la vociferazione» (una parola che emerge più volte nei discorsi di Mussolini). Questi concetti sono chiaramente l’opposto dei valori tipici fascisti come «la grandezza», «la giovinezza», «la forza», «la religiosità», «la disciplina» e «l’intelligenza». c. Il piano del «fascino» mussoliniano Con questa categoria intendo quelli aggettivi in cui sono specialmente accentuati la funzione di coloritura, cioè in cui non importa tanto che cosa si dice ma importa l’accumulazione o la ripetizione e la sonorità di vari aggettivi. Ha dunque lo scopo di manipolare, di convincere l’ascoltatore tramite parole eufoniche. Si parla anche di un certo irrazionalismo in questo contesto. Vi è una perdita della semantica a favore del componente formale.

p.51 «le dolenti note» p.52 «pecore scabbiose» (gli avversari sono animali ammalati e non attivi) p.161 «miseria crescente» p.123 «vacue e rimbombanti parole», «irreparabile ruina» p.124 «falsa letteratura» (nella stampa degli oppositori) p.72 «politica incerta, contradittoria, incoerente» (parlando del passato) p.74 «crisi economica e morale acutissima», «tristi condizioni» p.18 «molti e formidabili problemi», «la grande crisi» p.18 «solitudini primitive», «tradimenti nerissimi» p.18 «ridicoli, sterili e oramai noiosissimi dissidentismi» p.19 «l’imbecile clamore cronachistico e pettegolo» p.104 «spodestati irriducibili» p.9 «le gesta [...] sono sempre state inintelligenti, incomposte e stupide» p.10 «morbosa follia», «il più tenue, il più ridicolo sfregio» p.11 «campagne immonda e miserabile» p.12 «le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne»

p.125 «spettacolo insuperabile, alto e sublime», «culto quotidiano inestinguibile» p.127 «tradizione gloriosa e plurisecolare» p.134 «veramente piemontesi, veramente fasciste» p.245 «sacrificio concorde e consapevole» p.52 «un mese [...] climaterico» p.53 «operazione chirurgica» p.124 «semplice satellite» p.72 «responso legale e spettacoloso» p.77 «opera di vigilanza assidua, continua e intelligente» p.10 «l’atmosfera carica, temporalesca» p.19 «ricorrenti sporadiche beghe», «la nostra fredda, tenace, indomabile

volontà» p.9 «la violenza [...] deve essere chirurgica, intelligente e cavalleresca» p.12 «questa assemblea riottosa, riluttante»

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d. Aggettivi che formano un polyptoto Mussolini impiegò spesso la figura retorica del polyptoto, come viene evidenziato nel secondo tratto analizzato, l’uso dei tempi verbali. Tuttavia, anche tra gli aggettivi vi sono esempi di polyptoti. La definizione di «polyptoto» secondo Lausberg è questa: «Il polyptoton […] consiste nel mutamento di flessione del corpo della parola […] che crea […] soltanto un mutamento della prospettiva sintattica.» Esempi: «libertà liberale»(p.123), «comunismo militante e militare»(p.76) e. Superlativi Un’altra cosa che salta nell’occhio analizzando i discorsi, è l’abbondanza di superlativi e quindi la tendenza all’iperbole. Le iperboli saranno discusse dopo (vedi infra § Figure Retoriche), come un altro tratto distintivo, ma sono non di meno collegate a questa inclinazione verso l’uso dei superlativi. Tutto questo entra nel quadro dell’esaltazione della grandezza. Mussolini volle creare, con questo tratto, l’impressione che il fascismo fosse un movimento formidabile e straordinario, come emerge dal fatto che proprio l’aggettivo «formidabile» appaia più volte nei discorsi. Siccome il concetto di «grandezza» fu centrale nell’ideologia fascista, non può mancare un elenco di superlativi ed iperboli che sottolineano l’affermazione.

p.107 «collaboratori diretti, immediati, preziosissimi» p.108 «Fascismo invitto e invincibile» p.56 «opera grandiosa», «formidabili problemi» p.197 «l’eroico comandante», «immense distanze» p.198 «poeta gigantesco», «nostro massimo Poeta», «formidabile prodigio» p.199 «più ponderosi problemi» p.127 «prezzo migliore», «straordinaria intrepidezza» p.169 «realtà confortantissima» p.60 «fierissime sorprese» p.62 «brillante eccezione» p.243 «l’onore supremo» p.49 «l’imponentissimo esercito» p.64 «eroismo femminile superbo» p.52 «magrissimo stipendio», «laborioso, grande, buonissimo popolo» p.53 «stoccata grandissima», «serratissima», «strenuissima disciplina» p.158 «supremi interessi», «eroico comandante» p.159 «splendida vittoria» p.74 «crisi economica e morale acutissima» p.77 «risultati più duraturi e fecondi» p.78 «propaganda attivissima» p.17 «densissimo di vicende» p.18 «molti e formidabili problemi», «tradimenti nerissimi» p.18 «ridicoli, sterili e oramai noiosissimi dissidentismi» p.149 «migliori fascisti italiani» p.104 «periodi più importanti e più tormentosi» p.11 «un giudizio regolare, anzi regolarissimo»

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f. Sinonimia L’uso di sinonimi o quasi-sinonimi ha anche un rilievo importante nell’analisi dei testi, in quanto corrispondono all’esigenza della sonorità e della musicalità, che fu così importante per i discorsi mussoliniani. Inoltre, contribuiscono alla formazione delle strutture binarie e ternarie, le quale formano un’altro importantissimo aspetto della retorica mussoliniana. In altre parole, si tratta di una ripetizione di concetti con lo stesso significato sotto il “mascheramento” di varie parole, con lo scopo di attribuire alla desiderata musicalità e l’aspetto ritmico.

g. Volontà, Esercito e Disciplina Data la molteplice occorrenza della combinazione di «volontà», «esercito» e «disciplina» con un aggettivo, e dato il fatto che queste tre parole occupano un posto importante nell’ideologia fascista, ho deciso di fare un riassunto di quali sono gli aggettivi accompagnanti queste parole.

Questo schema riafferma la tesi iniziale che gli aggettivi con denotazione positiva vengono combinati con sostantivi che fanno parte dei campi semantici rilevanti per il fascismo o che gli aggettivi stessi indicano valori esaltati dal regime fascista. L’unica eccezione è quando Mussolini parla dei nemici, «verace disciplina», che non conoscono una vera disciplina, e quindi cancellando la virtù della disciplina legata agli avversari. h. Anticipazione dell’aggettivo Questa caratteristica corrisponde anche all’esigenza musicale e ritmica della retorica mussoliniana. Lazzari dice a proposito di questa anticipazione: «Il fatto cioè che, non sempre, ma comunque nella maggioranza dei casi, l’aggettivo preceda il nome cui si riferisce anche quando sia diversa la codificazione fissata dal linguaggio comune» (Lazzari,1975:50). La posizione prima del sostantivo vi è dunque per esprimere uno stile ricercato.

p.107 «collaboratori diretti, immediati» p.125 «spettacolo insuperabile, alto e sublime» p.170 «sforzo assiduo e quotidiano» p.62 «secolo arido, triste» = «tempi duri» p.53 «accanita, aspra, serratissima» p.161 «concezione enorme, teatrale e grottesca» p.72 «rapporti cordiali e ottimi» p.77 «opera assidua, continua» p.11 «campagna immonda e miserabile»

Volontà Esercito Disciplina Buona Glorioso nazionale Umana gloriosissimo strenuissima Capricciosa Vittorioso rigida seriamente meditativa e provata imponentissimo verace fredda, tenace, indomabile Tenace Ferma

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i. Altri tratti Osservando gli aggettivi, possiamo già individuare altri tratti che vengono discussi qui sotto. Fino ad ora, gli aggettivi sono stati disposti ad un analisi al livello della parola stessa, ma se guardiamo ad una macrostruttura (quella della frase) o ad una microstruttura (quella dei fonemi), è possibile distinguere tra altre caratteristiche come la struttura binaria e ternaria (macrostruttura), l’assonanza e l’allitterazione (microstrutture). Così questo capitolo sugli aggettivi può anche essere visto come un’introduzione sugli altri tratti. Esempi: - Struttura binaria: «il più tenue, il più ridicolo sfregio» (p.10) - Struttura ternaria: «vantaggio fisico, militare e morale» (p.128) - Allitterazione: «probità pubblica e privata» (p.170) - Assonanza: ««la sua sincera adesione» (p.56) 3.1.2 Uso dei tempi verbali Anche se questo tratto fa parte della categoria grammaticale, ha anche una funzione sul piano fonico. Il tratto implica la ripetizione di forme verbali con alternanza tra i vari tempi. In questo modo Mussolini volle dare la sensazione di una realtà complessa ed esaustiva, quella del fascismo. Sia nel passato che nel presente e nel futuro, il fascismo è il fattore determinante. Tuttavia, questa ripetizione attribuisce, come già detto, all’enunciato una qualità ritmica e musicale che ricopre una funzione emotiva per l’uditore. Perché «con il belletto delle parole il Duce riesce a truccare la povertà e la follia del pensiero. Rifiuta, sì, la retorica polverosa della classe politica che vuole abbattere, però vi sostituisce la sua, certo più efficace ma infinitamente più demagogica e autoritaria.»(Golino, 1994:17) Si ricorda anche che la ripetizione di parole fu presentata come concetto centrale da Gustave Le Bon nel suo libro «Psicologia delle folle», che ebbe una grande influenza su Mussolini. Nei discorsi analizzati, emergono una ventina di esempi. Benché la quantità non sia enorme, in ogni testo v’è comunque almeno un esempio. Dunque, si può concludere che anche questo tratto occupa un posto fisso nei discorsi del 1925. Anche qui, ci vuole un’ulteriore distinzione tra veri polyptota («De onmiddellijke of bijna onmiddellijke herhaling van hetzelfde woord binnen een zelfde syntactische context, maar in een andere flexievorm»(Praet, 2001:156)) e alternanza tra i tempi verbali con l’aiuto di un verbo servile («dovere», «potere», «volere»). Questi verbi hanno una certa importanza, creando delle sfumature che contribuiscono all’illusione di totalità del fascismo.

p.55 «cordiale benvenuto» p.56 «una salda unità», «nobile figura», «civile progresso», «sincera adesione» p.197 «l’eroico comandante», «generoso, intrepido cuore» p.125 «vecchio conoscitore» p.134 «magnifico spettacolo», «solenne giornata» p.244 «ardente spirito» p.123 «sicura fede», «ferma volontà», «vera libertà» p.76 «seria preoccupazione» p.13 «una superba passione della migliore gioventù italiana»

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3.2 Figure del suono 3.2.1 Allitterazione e assonanza L’allitterazione e l’assonanza sono tutte e due figure retoriche che evocano un effetto fonico. Come già sottolineato più volte, questa sonorità, questa ricerca del suono e del ritmo fu una componente importantissima. Questo non vale solo per i discorsi mussoliniani ma per la poetica di tutti gli scrittori fascisti. Lazzari afferma che questa predilezione per la musicalità prescinde da e sostiene un certo misticismo e magia. Le parole e suoni, nelle sue particolari collocazioni e ripetizioni, evocano nell’ascoltatore un’emozione e «punta[no] alla sollecitazione dell’istinto»(Lazzari, 1975:52), più che trasmettere un messaggio con una certa pregnanza semantica. Solamente l’uso di certi suoni, certi fonemi, può già suscitare uno specifico stato d’animo, come nell’esempio di un’assonanza «dovunque contro chiunque»(p.33), ove

7 Si noti anche la ripetizione della parola «grande» in una costruzione di gradatio.

poliptoto p.108 «I nostri postulati stanno realizzandosi e si realizzeranno in pieno» p.57 «[...] e che già ha reso e rende notevolissimi servigî [...]» p.64 «una legge che non è ancora stata presentata a voi ma che lo sarà

prossimamente» p.65 «il Fascismo ha trovato la sua forza ieri e troverà la sua forza e la sua gloria

domani» p.159 «[...]perché passano da un anno all’altro, e passavano da un anno all’altro» p.123 «Ero, sono e sarò contrario» p.124 «[...] che non mai esisté sulla faccia della terra, né mai esisterà» p.11 «Voglio che ci sia la pace per il popolo italiano, e volevo stabilire la normalità

della vita politica» p.12 «[...] e dico: “Accettate le dimissioni” e le dimissioni sono accettate» p.15 «non c’è stata mai altra soluzione nella storia e non ci sarà mai» p.103 «[...] che ha ancora dei compiti da assolvere e li assolverà» p.104 «Certo vivrà nei secoli la bellezza e la santità della guerra vissuta dal

Sovrano»

Formazioni con verbo servile p.56 «[...] alla quale voi avete dato finora ed intendete di dare per l’avvenire il

contributo dei vostri studî [...]» p.198 «tutta la fede inesausta della Nazione italiana che oggi è grande, ma più

grande diventerà»7 p.137 «Questo discorso voleva essere una presa di contatto. Lo è stato.» p.60 «Non siamo e non vogliamo essere più un cenacolo di politici» p.243 «[...] un elogio per quanto avete fatto e in una precisa consegna per quanto

ancora vi resta da fare» p.49 «Doveva provvedere, ed ha provveduto» p.53 «[...] questo il fascismo vuole impedire, deve impedire, e impedirà» p.52 «perché gli impiegati sanno, lo devono sapere e io lo ripeto» p.76 «[...] che cosa fanno, che cosa pensano di fare»

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l’uso della plosiva velare sorda [k] rimanda alla durezza, alla certezza e volontà di combattere. Quest’interpretazione viene affermata quando si legge il testo originario del brano qui riportato: «Nel sesto anniversario della fondazione dei fasci» (23 marzo 1925). Il piccolo discorso fu pronunciato dal Palazzo Chigi per lo scopo di dissipare alcune voci sulla salute di Mussolini. Mussolini fu malato per qualche tempo e l’opposizione ne approfittò per mettere in giro delle voci negative concernenti la situazione del Duce. Questo piccolo testo dimostra una certa aggressività da parte del Duce e una grande volontà di combattere contro queste dicerie. Mussolini sferra un attacco all’opposizione, si dichiara abbastanza in grado di fare discorsi e incita il popolo ad agire con lui nell’azione fascista, che è dall’altro onnipresente secondo gli aggettivi «totale e integrale» e lo slogan «sempre e dovunque contro chiunque». Si tratta di un enunciato breve ma molto forte. Tuttavia, occorre ancora dare una definizione di queste figure retoriche prima di procedere all’elencazione di esempi. a. Assonanza L’assonanza è una figura metrica che consiste nella ripetizione di un certo suono in varie parole seguenti. La ripetizione del suono non deve trovarsi necessariamente nella stessa posizione all’interno delle parole, e il continuo uso dello stesso suono ha come conseguenza che questo suono predomini l’intera frase o enunciato. Questo può quindi evocare una certa emozione o sensazione, come già dimostrato sopra.

p.104 «delle nuove generazioni, delle passioni, dei bisogni, dei sentimenti» p.104 «il Re silenzioso e saggio, ma sensibile» p.8 «lungamente camminato insieme» p.11 «una insidiosa sedizione» p.149 «voglio parlare prima di tutto per esprimere la mia simpatia» p.17 «colonia lontana», «questa stessa sala» p.71 «per precisare il mio punto di vista cioè che non c’era che da prendere atto

del fatto compiuto, specialmente nei paesi dove esiste il regime democratico in pieno»

p.78 « Il vero è che lo stesso Governo tedesco [...]» (alternanza di /o/ e /e/) p.79 «assistere a certe campagne di stampa» p.124 «[...] significa liberare il popolo italiano dalla schiavitù del pane straniero. La

battaglia della palude significa liberare la salute di milioni di italiani» p.157 «Voi vedete che io sono abituato a mantere le mie promesse.» p.51 «quel famoso pianoforte fiscale» p.244 «[...] soluzione di continuità in questa opera» p.63 «Qualcuno crede che l’estensione del riconoscimento del voto alle donne

provocherà delle catastrofi.» p.137 «intransigenti e intolleranti» p.169 «I fascisti che sono all’estero devono essere ossequienti alle leggi del Paese

che li ospita.» p.199 «Accolgo con animo veramente commosso il caldo saluto che mi è stato

portato [...].»

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b. Allitterazione L’allitterazione è la ripetizione di un fonema o gruppo di fonemi (come un nesso consonantico) all’inizio di parole seguenti. Di nuovo l’effetto fonico che viene creato in questo processo aiuta a mascherare esteticamente e irrazionalisticamente il vuoto semantico e può essere visto come un incantesimo della folla sulla piazza.

Inoltre, ci sono vari esempi in cui si vede la combinazione di allitterazione e assonanza. Qualche esempio:

3.3 Figure retoriche 3.3.1 Metafora, Similitudine e Metonimia Lazzari sostiene nel suo libro che vi era un’abbondanza di metafore, similitudini e metonimie nei discorsi mussoliniani e negli altri scritti fascisti. L’analisi dei testi del 1925 indica che anche in quest’anno non manca l’uso di queste tre figure retoriche. L’attestazione di metonimie, invece, è minore, mentre emerge soprattutto l’impiego della metafora e la similitudine. La ragione per la quale queste figure retoriche furono tanto favorite, rimanda di nuovo al motivo di coloritura, la predominanza della forma e il mascheramento del vuoto semantico. Fu soprattutto una questione di abbellimento del discorso e ha anche a che fare con l’esaltazione della grandezza ossia

8 Si noti anche la presenza di consonanti doppie.

p.107 «spettacolo superbo» p.199 «più ponderosi problemi» p.135 «Non erano dei soldati soltanto [...].» p.64 «Non si tratta dunque di dare dei premî.» p.80 «la situazione economica presente e futura, farà fronte [...]» p.159 «Per quello che concerne questa grande e potente città [...].» p.73 «conseguenze felici per quello che concerne Fiume» p.72 «la presenza di Hindenburg può facilitare quella conciliazione che solo [...].» p.19 «spettacolo semplicemente superbo» p.149 «questi quattro contratti» p.15 «che il Fascismo fosse finito» p.11 «perché ripugnano al più profondo della coscienza» p.8 «una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni...» p.104 «Il Governo fascista che da tre anni è servitore scrupoloso [...].» p.62 «Non siete affatto atterriti»8

p.19 «clamore cronachistico» p.75 «la creazione di una classe numerosa di contadini piccoli propretarî, che si

chiamano in russo Culacchi e che sono anticomunisti» p.161 «rottame è la miseria crescente e la concentrazione del capitale, quando si

assiste a un processo precisamente contrario.» p.137 «che le fedi tramandate possano talvolta tralignare» p.127 «privilegio conquistato con tanto sangue» (tutte le sillabe ‘occlusiva

sorda+vocale+nasale’) p.199 «l’applauso con cui vi siete associati ad esso»

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«la megalomania» (Lazzari, 1975:86) del fascismo. Si vede nelle metafore e le altre due figure retoriche, la rappresentazione del mondo fascista come un mondo pieno di simboli che fanno richiamo al misticismo e l’irrazionalismo. Il fatto che questo approccio avesse successo nell’impadronirsi del popolo, si collega al cosiddetto «fideismo di matrice ecclesiastica» (Simonini, 1978:32). Simonini parla del fatto che la maggior parte del popolo italiano si trovò in un quadro fornito dalla «forma mentis della Controriforma» (Simonini, 1978:32). Intende con ciò che il popolo italiano si lasciò guidare dai capi del paese e della chiesa e non sviluppò un atteggiamento critico. Ciò che importava era la parola del capo, e quindi un fideismo nelle sue azioni. Mussolini sapeva che con l’impiego di determinati modi espressivi, era possibile ottenere il consenso del popolo e manipolare l’ascoltatore. Simonini afferma che «l’adeguarsi del linguaggio di Mussolini a questi modi espressivi fu uno degli elementi di mediazione che consentì alla maggioranza degli italiani di riconoscersi in lui senza avvertire le storture della sua impostazione e ancor meno il ridicolo di certo suo costume» (Simonini, 1978:32-33). Tra questi modi espressivi, «enunciati sentenziosi, asserzioni categoriche, ripetizioni di formule»(Simonini, 1978:32), si collocano di conseguenza la metafora, la similitudine e la metonimia. Si ritiene anche che le immagine evocate in queste figure retoriche siano collegate ai valori tipici dell’ideologia fascista. Per chiarire la differenza tra le tre figure, ho utilizzato le definizioni fornite nel libro «Stijlvol overtuigen, Geschiedenis en systeem van de antieke rhetorica» di Danny Praet (Didactica Classica Gandensia). La metafora viene definita come «korte vergelijking, een verkort simile, waarin de expliciete vergelijkingsterm (de connector “zoals”) weggelaten wordt of zelfs ook de eerste term in de vergelijking» (Praet, 2001:144). La similitudine è quindi un simile che ha conservato il connettore «come». La metonimia infine: «De term voor een bepaald concept wordt gebruikt als term voor een ander concept op basis van een reeks verbanden tussen de twee concepten» (Praet, 2001:146). Adesso occorre dare un’occhiata agli esempi trovati nei testi analizzati. a.Cliché Non tutte le metafore e similitudini utilizzate da Mussolini furono originali en usate per la prima volta da lui. I cliché sono gli esempi squisiti per affermare la tesi di Simonini per quanto riguarda l’uso di modi espressivi che sono stati adattati al popolo, con lo scopo di convincerlo, tenendo conto del tipico forma mentis della Controriforma. Questi cliché hanno anzi una maggiore intelligibilità e con queste espressioni il Duce poté essere sicuro che le immagini evocate fossero capite dalla folla. Un’antologia di sia metafore (M) che similitudini (S) che contengono un cliché:

p.107 «la verità che è ormai chiara come la luce del sole» (S) p.199 «tutto il resto è scoria che si perde lungo il cammino» (M) p.135 «C’era negli occhî dei soldati un lampo di gioia e di orgoglio.» (M) p.136 «nel suo pugno di ferro» (M) p.52 «E anche del contribuente e del popolo italiano, bisogna avere qualche

rispetto, quando si tratta di spremergli ancora del sangue, dato che ormai esso è esausto» (M)

p.161 «Poi c’è stata una esperienza: l’esperienza russa che è stata la pietra tombale messa sui rottami di questa dottrina.» (M)

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b.Immagini fasciste Altre metafore, similitudini e metonimie sono più o meno originali e rispecchiano vari valori e immagini esaltate dal regime fascista. Si tratta per esempio dell’ambito religioso, quello bellico e rimandi alla voluta grandezza della stirpe italiana. Anche qui, le ho riportate in alcune categorie:

p.75 «Occorreva togliere questa nube che ci impediva di vedere quel che accadeva al di là. Ora noi abbiamo visto che lo spettacolo è interessante.»(M)

p.33 «La mia presenza a questa balcone disperde d’un tratto un castello di carte a base di ridicoli “si dice”, di miserabili “corre voce”» (M)

p.8 «Voi intendete che dopo avere lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio ai quali andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell’avvenire.» (M)

p.9 «una Ceka che diceva di essere la rossa spada della rivoluzione» (M)

Forza p.13 «Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello...»

(Manganello è una parola tipica e indicativa della combattività) p.13 «Come per sentire la tempra di certi metalli bisogna batterli con un

martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini.» (connessione tra metallo e gli uomini)

p.19 «chi esce dal grande fiume, si isterilisce e si perde» (si vede inoltre nel testo una ripetizione di ‘fiume’ e ‘fiumana’, le quali riferiscono alla forza naturale)

p.124 «significa liberare il popolo italiano dalla schiavitù del pane straniero» (schiavitù è opposta alla liberta, la potenza, la forza)

p.159 «la guerra intesa come competizione di popolo» p.136 «nel suo pugno di ferro»

(il metallo come indicazione di forza) p.135 «[...] credono con le barricate delle loro fatue parole di fermare la forza della

nostra irrompente fiumana.» (come l’esempio alla pagina 19)

Guerra p.128 «[...] e colui che affronta il duello sapendo di scherma si trova senza dubbio

in condizioni vantaggiose sull’avversario che non ha mai impugnato la lama.»

p.52 «[...] perché siamo al di fuori dell’Amministrazione pur essendo capi dell’Amministrazione, così come il capitano che comanda la compagnia, ma è all’infuori dei soldati.»

p.157-158

«Voi sentite che ormai la nostra fiumana ha travolto tutte le dighe, rovesciati tutti i gli ostacoli perché voi legionarî, voi cittadini, siete veramente l’immagine augusta del popolo italiano [...].» (punta anche sulla grandezza del popolo italiano)

p.18 «io direi che abbiamo vinto una battaglia, una grande battaglia, ma non ancora la guerra»

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c. Dante Nei discorsi analizzati vi sono alcuni riferimenti al poeta Dante Alighieri, di cui si sa che fu lo scrittore preferito di Mussolini nel senso che venne considerato l’esempio squisito dell’italianità. Due dei riferimenti sono attestazioni di similitudini e per questo mi sembra opportuno dare una breve divagazione adesso sull’importanza di Dante nel pensiero fascista. Questo fornisce la ragione per la quale queste similitudini con riferimento all’opera dantesca abbiano ottenuto un rilievo speciale. Durante il regime fascista, Dante fu visto come il simbolo dell’unificazione culturale dell’Italia e di conseguenza ebbe un significato patriottico, che entra nel quadro del nazionalismo che caratterizzò il fascismo. Il suo posto nella storia italiana e il suo atteggiamento verso questioni di lingua, religione e politica lo rese uno strumento ottimo per la giustificazione e il sostegno del regime fascista. Si è detto in quel tempo, che Mussolini fu l’incarnazione e il compimento delle profezie di Dante, ma questo fu il risultato dell’interpretazione dell’ opera dantesca attraverso gli occhi di

9 Michele Cortelazzo, Mussolini e gli antecedenti della retorica fascista, in E. LESO, M. CORTELAZZO, I. PACAGNELLA, F. FORESTI, La lingua italiana e il fascismo, Bologna, Consorzio Provinciale Pubblica Lettura, 1977, p.69, citato a proposito di Marie-Anne Lorgé, Le metafore della marina nell’opera di Mussolini, Tesi di laurea (Promotor: Prof. dr. Franco Musarra), Katholieke Universiteit Leuven, 1985.

Religiosità p.124 «emigrati respinti dalla vita nel limbo dell’impotenza» p.170 «Quell’alone di simpatia che già circonda il nostro movimento aumenterà e

l’atmosfera nella quale vivrete diventerà più ossigenata.» (l’alone è un’aureola, la quale ha una connotazione religiosa)

p.171 « Dovete considerarvi [...] come dei pionieri, come dei missionarî, come dei portatori della civiltà latina, romana, italiana.»

Mito di Roma antica p.244 «Tra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti del mondo;

vasta, ordinata, potente, come fu ai tempi del primo impero di Augusto.» p.171 « Dovete considerarvi [...] come dei pionieri, come dei missionarî, come dei

portatori della civiltà latina, romana, italiana.»

Altre categorie p.53 «Ed allora ci fu un’operazione chirurgica, che naturalmente ha prodotto dolori,

strilli» (il linguaggio medico fu anche usato spesso da Mussolini, soprattutto rimandando all’Italia stessa e ai nemici)9

p.51 «[...] da altri piccoli ritocchi a quel famoso pianoforte fiscale di cui parlavo l’altro giorno in Senato.» (originale, anche per l’effetto fonico)

p.62 «Ogni secolo ha la sua poesia. C’è la poesia del Medio Evo che consisteva nella coabitazione coattiva e v’è la nuova poesia che mette la vita sopra un altro piano. Insomma, se c’è nello spirito, la poesia può dominare anche le cose, ma se non c’è nello spirito, non saranno le cose che creeranno la poesia!» (riferimento alla predilezione per uno stile letterario)

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critici che collaborarono col regime. I critici fascisti interpretarono i testi di Danti in un modo nazionalistico e imperialistico. Dante conquistò nell’era fascista una gloria eccezionale e lo status di eroe nazionale. Inoltre, non solo i suoi testi furono esaminati e esaltati in gran copia ma vi furono anche prospettive per l’edificazione di un Danteum a Roma. Questo santuario non fu purtroppo mai realizzato.10 Le esemplari similitudini con riferimento dantesco sono queste:

d. Metonimie Dalla materia raccolta a proposito della metonimia emerge che spesso il contenuto della metonimia è un po’ banale e non tanto interessante per l’analisi, come per esempio alla pagina 107: «la forza visibile e tangibile del numero». Comunque, vi sono alcuni che fanno anche richiamo ad alcune caratteristiche dell’ideologia fascista o che presentano non di meno un’immagine più o meno affascinante per l’uditore.

3.3.2 Antonomasia e Personificazione L’antonomasia«vervangt de eigennaam door een andere aanduiding, het weze een epitheton of een treffende omschrijving» (Praet, 2001:147) e insieme con la personificazione – la quale indica il processo in cui entità inanimate assumono caratteristiche umane- forma un’altra categoria di figure retoriche. In questo caso, l’uso delle figure punta su una sensazione religiosa. Siccome con l’antonomasia si sostituisce all’oggetto concreto il simbolo, si può dire che si tratta di un linguaggio rituale, evocando un mondo mistico e irrazionale. Per quanto riguarda la personificazione, l’attribuire di tratti umani a concetti come la Patria e il Regime effettua l’impressione che gli sforzi del fascismo hanno reso possibile un risveglio della nazione, una resurrezione del popolo italiano e la sua potenza (Lazzari, 1975:90). Viene evocato così la suggestione che la patria è viva. L’analisi dei discorsi del 1925 punta su una correttezza dell’affermazione di Lazzari, soprattutto nell’ambito della personificazione. Nei discorsi analizzati l’antonomasia non appare 10Stefano Albertini, Dante in camicia nera: uso e abuso del divino poeta nell’Italia fascista, in The Italianist, 16, Leeds, Maney Publishing, 1996, pp.117-142.

p.197 «Come l’Ulisse dantesco che aveva fatto dei remi “ali al folle volo”, così De Pinedo ha fatto ala del suo apparecchio al suo generoso, intrepido cuore.»

p.137 «come i dannati dell’inferno dantesco, tengono la testa rivolta all’indietro [...].»

p.104 «[...] sente che questo moto rispondeva a un bisogno incoercibile della nostra razza [...].»

p.15 «L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore se è possibile, o con la forza se sarà necessario.» («L’Italia» sta per il popolo italiano – questo metonimia è anche una personificazione)

p.11 «la secessione dell’Aventino» p.33 «l’infermità non mi ha tolto la parola» p.51 «I ferrovieri hanno avuto la bellezza di 265 millioni»

(si tratta di soldi, 265 millioni lire) p.136 «[...] abbia la difesa di una bandiera»

(la bandiera sta per la patria; il Duce vuole incitare il patriottismo)

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tanto e gran parte delle attestazioni sono perifrasi elaborate ma non indicativi di un linguaggio rituale o religioso. Inoltre, il numero di attestazioni di antonomasia e personificazione è minore e per questo può essere considerato come un tratto meno importante e interessante dell’analisi. Alcuni esempi:

3.3.3 Iperboli Il tema delle iperboli è già brevemente accennato nel paragrafo concernente gli aggettivi. Si riccorda che l’iperbole venne usato per creare un’aura di superiorità e antiquotidianità intorno al fascismo. Questa volontà prescinde dall’ideologia della grandezza e Mussolini non mancò di impiegare questa figura retorica per mettere enfasi sull’«intenzione autoglorificante di quel mito così radicato nella cultura fascista»(Lazzari, 1975:91). Di nuovo, l’iperbole servì ad accecare il popolo italiano con le belle parole e parole che evocano una certa emozione ingrandita grazie all’iperbole. Più che incitare il popolo ad agire, l’iperbole con la sua forza sbalordente, vuole meravigliare, indebolire ed estenuare l’uditore. Si può affermare che l’iperbole ha dunque anche una funzione emotiva. L’ascoltatore viene immerso in un sentimento di perplessità e ammirazione per la cosiddetta magnificenza del regime. Simonini sostiene che questo incantesimo della folla sulla piazza – ma anche del lettore di testi dalla mano di scrittori fascisti- tramite l’uso di miti e lusinghe fu solo possibile e comprensibile se si prende in considerazione il passato. Si pensa al concetto della forma mentis della Controriforma (Simonini, 1978:32) in quell’ottica, che fu risponsabile per «una politica scolastica e culturale sbagliata. Complici la chiesa, la stampa, gli intellettuali, la scuola, l’università [...] sedimentando nella piccola e media borghesia [...] [un] impasto eclettico dei detriti lasciati nella nazione da secoli di letteratura evasiva, di ipocrisia religiosa, di morale opportunistica, di servitù politica» (Simonini, 1978:50). In altre parole, l’atteggiamento delle autorità nel passato ebbero creato un popolo acritico e credente in ogni parola dei leader.

Personificazione p.57-58

«Ma nel 1917 l’Italia [...].Voi la vedete oggi tutta dedita al lavoro per riprendere con nuovo slancio il suo cammino sulla via del progresso economico [...].»

p.170 «la virile Italia» p.171 «il Paese [...] marcia gagliardamente verso l’avvenire» p.62 «C’è un determinato sistema di vita sociale che ha strappato le donne dal focolare domestico

e le ha cacciate a milioni nelle fabbriche, negli uffici, le ha immesse violentemente nella vita sociale.»

p.245 «La Patria e il mondo attendono l’avverarsi dell’auspicio, il compiersi della promessa.»

p.19 «il Fascismo, nel suo complesso, è in piedi, tutto intento a perfezionare i suoi quadri, a rendersi idoneo ai nuovi compiti»

p.150 «I vostri occhî mi dicono che voi siete molto intelligenti.»

Antonomasia p.104 «Il Sovrano», «Il Re saggio», «il Re vittorioso», «Lui», «il Re», «la

Monarchia» (per il Re Vittorio Emmanuele II) p.72 «[...] coi nostri vicini di oriente» (parlando di Giarabub e il popolo egiziano) p.198 «l’Uomo che ha fatto vedere la nostra forza, l’Uomo che ha attestato il suo

coraggio» (l’on. De Pinedo)

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Se si guarda all’analisi dei discorsi, si vede che non vi appaiono iperboli in tutti i discorsi ma solo in alcuni. Per esempio nell’importante discorso del 3 gennaio 1925 vi sono 3 attestazioni di iperboli. Mi sembra che in questo caso, Mussolini non solo volle dare l’impressione di grandezza dell’impresa fascista ma ebbe anche l’intenzione di dare un messaggio di speranza. Se si legge il contenuto delle iperboli, diventa chiaro che il Duce voleva indicare, tramite questa figura retorica, che lui era un abile capo del governo e vi fu un futuro glorioso per il regime fascista. Occorre dare un’occhiata agli esempi in questione:

Per quanto riguarda le altre attestazioni trovate, si nota una salda conferma dell’affermazione che le iperboli sottolineano l’ideologia della grandezza, che vogliono puntare sulla «magnificenza delle imprese»(Lazzari,1975:91) del fascismo e sull’estrema abilità e potenza dei collaboratori di Mussolini. Inoltre, talvolta si vede un’esaltazione della popolazione di certe città italiane dove Mussolini pronunciò un certo discorso. Anche in queste figure retoriche emergono vari valori esaltati dal fascismo come la forza, la guerra e l’esercito, la volontà e la Patria.

Discorso del 3 gennaio 1925 p.9 «[...] dopo il discorso più pacificatore che io abbia pronunciato durante il mio

governo» p.11 «Io ho liquidato in 12 ore una rivolta di guardie regie. In pochi giorni ho

liquidato una insidiosa sedizione, in 48 ore ho condotto una divisione di fanteria e mezza flotta a Corfù. Questi gesti di energia- e quest’ultimo stupiva persino uno dei più grandi generali di una Nazione amica- stanno a dimostrare che non è l’energia che fa difetto al mio spirito.»

p.15 «Se io la centesima parte dell’energia che ho messo a comprimerlo la mettessi a scatenarlo, oh vedreste allora...»

p.197 «Né la fragilità della carne, né gli ostacoli della natura, né le immense distanze, né le tempeste degli oceani hanno potuto fermare la sua meravigliosa alla tricolore!»

p.198 «Davanti a questo formidabile prodigio di tenacia e di volontà umana [...].» p.127 «I granatieri sono il fiore della nobile fanteria italiana e sono il privilegio e

l’orgoglio fisico della stirpe: privilegio conquistato con tanto sangue- ed il sangue è il prezzo migliore- durante guerre secolari e durante l’ultima guerra, quando i granatieri del Cengio, degli Altipiani, delle paludi di Monfalcone hanno compiuto eroismi degni di storia immortale.»

p.134-135

«[...] Vercelli, non solo per le pagine stupende che ha scritto in ogni tempo nel libro della storia italiana, non solo per la mole di eroismo offerto sui campi di guerra, non solo per le sedici mirabili Medaglie d’Oro di cui si onora la vostra città, ma anche perché, quando il Governo ha chiesto qualche rinuncia, Vercelli ha accetato senza discutere, con altissimo senso di disciplina nazione.»

p.245 «Esso è degno di vivere nella più grande Roma che sorgerà dalla nostra volontà tenace, dall’amore e dal sacrificio concorde e consapevole di tutte le genti d’Italia.»

p.59 «[...] problemi per i quali erano stampati dei volumi in tale numero da empire intere biblioteche.»

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3.3.4 Antitesi Secondo Lazzari e Simonini l’antitesi fu uno strumento di rilievo a proposito dell’intransigenza del fascismo. Si intende con intransigenza il fatto che, per il fascismo, vi era una forte intolleranza per tutto quello che si opponeva al regime fascista. Vi erano solo due possibilità: il fascismo, o l’opposizione. Questa divaricazione dogmatica si trasmetteva anche nell’uso quasi esclusivo dell’indicativo; non venivano usati quasi mai le forme indirette e modi che esprimono dubbi e possibilità. Così il fascismo volle dare alla folla l’impressione che il regime fosse depositario di una «verità inconfutabile» (Lazzari, 1975:92), che non esistesse un’altra scelta intelligente che quella per il fascismo. L’antitesi, con l’intenzione di sottolineare questa assenza di neutralità o di sfumature e possibilità elaborate, viene espressa nella forma di una costruzione aut aut, come nell’esempio alla pagina 80: «Certamente si può o precedere un eventuale invito o aspettare». In questo modo il Duce offriva chiarezza e sicurezza al popolo ascoltatore: se alla massa vengono presentate troppe possibilità, quella massa può sentirsi perso nel caos. La chiarezza della forma aut aut procura un certo sentimento e ha anche una funzione conativa: si può incitare il popolo ad agire con una forte antitesi. Tuttavia, l’antitesi non appare sempre nella forma di questa costruzione aut aut. In questo contesto, Simonini parla anche dello «spirito manicheo» (Simonini, 1978:59) e Lazzari afferma che l’antitesi indica con quel dualismo manicheo così «la lotta del Bene e del Male identificati per l’occasione nel fascismo e nei suoi oppositori» (Lazzari, 1975:93). Ho trovato esempi nei testi analizzati che confermano questa interpretazione dell’uso dell’antitesi. In questi esempi si vede chiaramente il dedicare di valori positivi al regime e quindi l’opposto ai nemici. Questo processo è stato già osservato parlando degli aggettivi positivi e negativi.

Comunque, vi sono anche un gran numero di attestazioni di antitesi che non risultano tanto indicativi dell’interpretazione manichea, ma che fanno parte dell’altra strategia mussoliniana (e più in generale fascista) di creare questa sensazione di totalità del regime. Inoltre, antitesi che esprimono la volontà di offrire al popolo un mondo fascista completo ed esaustivo appaiono nei testi analizzati più spesso che quelli signalati da Lazzari e Simonini. Si vede il collegare di concetti veramente opposti (come i vivi e i morti) in enunciati che hanno esattamente l’intenzione di puntare su questa totalità e l’onnipresenza del regime e le sue virtù.

p.50 «E stabilendo quest’aumento siamo partiti naturalmente da criterî fascisti, non da criterî democratici, e meno ancora demagogici.»

p.123 «della vera libertà, non di quella metafisica [...] non della libertà liberale» p.124 «un popolo forte» si oppone a «non già un semplice satellite della cupidigia» p.9 la violenza risolutiva del Fascismo è «chirurgica, intelligente e cavalleresca» e

questo si oppone a «le gesta» della Ceka che sono «inintelligenti, incomposte e stupide».

p.16 «che non è capriccio di persona, che non è libidine di governo, che non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la Patria.»

p.19 «A Roma e in Somalia. In Italia e fuori. Oggi come ieri. Domani come oggi.» (per dare l’impressione che De Vecchi conosce una disciplina onnipresente)

p.134 «a nome di tutti i morti e di tutti i vivi»

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Un’opposizione che appare più volte è quella tra «amore» e «forza». Mussolini voleva raggiungere un traguardo in ogni caso e intendeva impiegare tutti i mezzi possibili per farlo.

3.3.5 Domanda Retorica e Percontatio Siccome Lazzari nel suo libro illustra la presenza della domanda retorica nei scritti fascisti, ma non fornisce una spiegazione elaborata delle caratteristiche di questo fenomeno, è necessario darne qui una più esatta definizione. Prima, cioè, occorre stabilire il significato della domanda retorica e della percontatio. Danny Praet definisce la domanda retorica come «vraag waarop de redenaar geen antwoord verwacht omdat het evident is. De vraagvorm dient louter en alleen om de eigen stelling emotioneel te onderstrepen» (Praet, 2001:152). La percontatio, che è legata alla domanda retorica, viene definito: «Rhetorische vraag waarop de redenaar zelf een fictief antwoord geeft in de plaats van het publiek. Deze figuur combineert bovendien de emotionele nadruk met een levendige afwisseling» (Praet, 2001:152).

Delle definizioni di Praet possiamo concludere che l’uso di queste figure retoriche abbia a che fare con l’aspetto emotivo, tanto importante nei discorsi mussoliniani. Con queste domande, l’oratore tenta di evocare un emozione o un momento di riflessione nell’uditorio mentre esprime anche il proprio stato d’animo. O fa finta di esprimere le sue proprie emozioni. In questo modo, possiamo anche collegare l’uso della domanda retorica al famoso istrionismo di Mussolini. Per affascinare il popolo che stava ascoltando sulla piazza, Mussolini si trasformò in un’ottimo attore, sensibile alle volontà, necessità e emozioni della folla. Seppe pronunciare le parole adatte al momento in cui furono più appropriate. Così la domanda retorica e la percontatio formano una parte della strategia dell’istrionismo: spesso accompagnato di gesti di mano vivaci Mussolini pronunciò queste domande, non perché aspettasse una risposta (anche perché come si è già detto, questo non è lo scopo della domanda

p.170 «Difendere l’italianità nel passato e nel presente.» p.244 «romanità antica e moderna» p.245 «[...] governerete la città nello spirito e nella materia, nel passato e

nell’avvenire.»

p.137 «[...] che è necessario accettare per amore il fatto compiuto se non vogliono accettarlo per forza.»

p.149 «quegli italiani che voglio creare per amore o per forza» p.15 «gliela daremo con l’amore se è possibile, o con la forza se sarà necessario»

Domanda retorica p.62 «Viviamo forse nel Medio Evo quando chiusa nei castelli la donna aspettava

dal verone il ritorno del crociato?» p.10 «Che cosa dovevo fare?» (anche un communicatio: una domanda retorica che

include un dubbio finto e lascia apparentemente spazio per il pubblico a dare una risposta)

Percontatio p.61 «Signori, in che secolo viviamo? In questo.»

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retorica), ma perché voleva aggiungere una sensazione patetica al suo discorso. Adoperando il pathos seppe suscitare forti emozioni nell’ascoltatore, strategia ideale nella manipolazione di un popolo. L’uso di queste due figure retoriche si può anche collegare al fatto che Mussolini stabilì sempre il dialogo con la folla. Simonini nel suo libro punta su questo processo, in cui, sulla base di un contatto quasi mitico e religioso tra l’oratore, quindi il Duce, e la folla si instaura una certa coralità. Così la ripetizione di una certa percontatio può stimolare la folla a partecipare nella “magia”, gridando la risposta ripetuta. Si è anche detto11 che il gridare collettivamente di slogan, quando si tratta di una grande massa di gente, rafforza il senso di unità tra queste persone e questo fenomeno fu molto vantaggioso per quanto riguarda l’ideologia nazionalista del fascismo. Comunque, la domanda retorica e il percontatio non hanno a mio parere solo uno scopo emotivo. Sono anche inserito nel discorso come momenti in cui si rinnova l’attenzione dell’ascoltatore. Siccome l’intonazione di una domanda differisce da quella di un semplice enunciato informativo, l’uditorio viene avvertito del fatto che vi è una trasformazione e modulazione nel discorso e riacquista l’attenzione completa. Infine, dai testi analizzati emergono alcuni esempi di domande retoriche che sembrano avere un’ulteriore funzione. Si tratta di esempi in cui diventa chiaro che Mussolini in quel momento provoca gli avversari che hanno espresso maledizioni concernenti il regime fascista. Qualche esempio di questa provocazione:

3.3.6 Polisindeto, Anafora e Ossimoro Questi tre tratti tipici per l’arte della retorica vengono discussi insieme perché in «Stijlvol overtuigen, Geschiedenis en systeem van de antieke rhetorica» di Danny Praet (Didactica Classica Gandensia) sono raggruppati nella categoria di Figurae verborum, per adiectionem: il discorso viene elaborato grazie all’addizione di certe parole che spesso vengono ripetute. L’anafora è infatti la ripetizione di una parola o un gruppo di parole all’inizio di una sequenza di frasi o enunciati. Il polisindeto significa l’inserzione della parola «e» o altre congiunzioni e ha lo scopo di far risultare la frase come sbalorditivamente copiosa. Queste due figure retoriche possono essere inserite nella categoria di quelle elaborazioni del testo che contribuiscono alla sonorità e alla predominanza della forma sul contenuto. La ripetizione di questi gruppi di parole procura un effetto fonico e attira o rinnova l’attenzione dell’ascoltatore. Inoltre, l’anafora produce una

11

Clark McPhail, The Crowd and Collective Behavior: Bringing Symbolic Interaction Back In, in Symbolic Interaction, Berkeley, University of California Press, Volume 29, 4, 2006, pp.433-464.

p.198 «[...] che cosa è la piccola vociferazione di coloro che, legati alla loro impotenza cronica [...] hanno lo stolto coraggio di irridere a quelle che essi chiamano prodezze aeroplanistiche, mentre per noi sono invece l’attestazione della vitalità indistruttibile del popolo italiano?»

p.134 «Quando sento così intensa la vibrazione del popolo, mi domando: quali larve uscite dai cimiteri remoti della Penisola osarono parlare di un Governo che manca del consenso profondo, spontaneo, non ricercato delle moltitudini?»

p.136 «Chi osa ancora dire che il Fascismo rappresenta piccoli uomini e interessi meschini?»

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certa enfasi su quella parte della frase che segue la parte ripetuta siccome questa parte seguente presenta informazioni nuove. Ultimamente, si può vedere la ripetizione nella forma dell’anafora come un’altra realizzazione di “incantesimo” sul popolo. I testi analizzati dimostrano un’uso abbondante dell’anafora, confirmando in questo modo la predilezione di Mussolini per effetti fonici in varie realizzazioni e stabilendo l’anafora come tratto distintivo dei discorsi del 1925. Esempio:

Il polisindeto appare solo qualche volta e risulta di conseguenza meno importante. Comunque, il polisindeto aiuta a creare queste strutture binarie e ternarie che sono tanto note per quanto riguarda lo stile mussoliniano. Osserviamo qualche esempio:

Per quanto riguarda l’ossimoro, che viene definito come «De verbinding van twee contradictorische begrippen tot een (schijnbaar) contradictorisch geheel» (Praet, 2001:157), si presenta solo un’attestazione nei testi analizzati alla pagina 103: «[...] che avevano soltanto il coraggio della loro viltà verbale». Una sola attestazione non suffisce per denominare l’ossimoro caratteristico per i discorsi mussoliniani dell’anno 1925. 3.4 Altre caratteristiche stilistiche 3.4.1 Le strutture binarie e ternarie Lo schema binario è composto da due parti al livello strutturale mentre quello ternario avrà tre parti strutturali. Queste due strutture sono ovviamente non tanto complicate, come nota anche Simonini, che ne sottolinea la naturalezza. La struttura binaria rimanda ad altri concetti naturali con una bipartizione, come “inspirazione-espirazione”, “moto-stasi”, “giorno-notte” e “vita-morte”. Per quanto riguarda le strutture ternarie, quelle fanno richiamo a ritmi tripartiti come “inizio-metà-fine” e “aurora-meriggio-tramonto” (Simonini, 1978:65). Questi ritmi naturali erano coerenti con le attese del popolo che non era abituato a strutture letterarie, troppo elaborate e artificiose. Conseguentemente, l’occorrenza sovrabbondante di queste strutture binarie e ternarie nei discorsi mussoliniani non può giungere inaspettata. L’adoperare dello schema bipartito e tripartito deve essere capito nel contesto del suo carattere populistico e demagogico. Simonini lo riassume come segue: «È attraverso questa semplicità di strutture, come attraverso la facilità del lessico e la linearità della sintassi, che Mussolini si pone in sintonia col popolo, lo suggestiona senza alterarne il gusto, lo guida senza forzarne il passo» (Simonini, 1978:64). Si noti a proposito delle strutture semplici anche che Mussolini lascia prevalere la paratassi

p.124 «quella di lavorare, quella di possedere, quella di circolare, quella di onorare publicamente Dio, quella di esaltare [...], quella di avere la coscienza di se stesso e del proprio destino, quella di sentirsi un popolo forte [...].»

p.10 «Con il suo discorso [1] lirico e [2] pieno di vita e [3] forte di passione» p.77 «Quindi l’opera di vigilanza sarà [1] assidua e [2] continua e [3] intelligente.» p.72 « [...] non vi è dubbio che sia un quadrivio interessante,[1] e per le carovaniere

che dall’Egitto vanno in Cirenaica [2] e per la sicurezza generale della nostra frontiera.»

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sull’ipotassi: la coordinazione, cioè, appare più spesso che la subordinazione, allo scopo di evitare strutture troppo complicate (Simonini, 1978:60). Prima di procedere agli esempi tratti dai testi analizzati, occorre indicare che le strutture binarie e ternarie non costituiscono un blocco monolitico, ma che vi è una ricca variazione all’interno di queste due categorie. La prima possibilità è una semplice struttura binaria, come nel testo «La Nuova Roma»: «Le mie idee sono chiare, i miei ordini sono precisi.» Poi v’è la categoria nella quale si trovano geminazioni di strutture binarie: tutte e due parti della struttura binaria hanno un’altra struttura binaria al proprio interno. Lo si vede in «Noi siamo nettissimi nelle nostre affermazioni, nettissimi nelle nostre negazioni» (citato in Simonini, 1978:61).12 Per quanto riguarda lo schema ternario, la prima variante si evidenzia come un tipo di salmodia in cui l’alternanza ternaria ha dunque soprattutto una funzione ritmica e di musicalità. Inoltre, vi sono altri esempi in cui la struttura ternaria è basata su un gioco di ritmo, scansione e spaziatura. Un’altra variante fornisce la categoria di un gradatio o climax: si tratta di «un effetto incalzante sulla base di un’affermazione rinterzata» (Simonini, 1978:61). Poi si hanno quelle strutture tripartite che esibiscono una ripetizione con assonanze e omologie come nell’esempio: «un ministro infame, infamabile, da infamarsi»(citato in Simonini, 1978:61).13 Spesso la struttura ternaria è semplicemente una forma di arricchimento o accumulazione di informazioni. In questo caso la struttura svolge una funzione soprattutto semantica. Infine, vi sono quelle strutture ternarie in cui la funzione conativa risulta più importante: nel ripetere di un ordine o di un consiglio, anche pronunciato con parole diverse, si crea uno stimolo più forte ad agire, ad obbedire a quello che si è detto. (Simonini, 1978:62). Tuttavia, queste strutture non appaiono sempre separatamente perché spesso si nota l’intrecciarsi di strutture binarie e ternarie, con un risultato a prima vista un po’ caotico, in cui non è chiaro dove si ha a che fare con una bipartizione e dove con una tripartizione. Nonostante ciò, esaminando il brano da vicino, si possono individuare abbastanza facilmente tutte le strutture. Ora occorre applicare la teoria di Simonini alla realtà dei discorsi mussoliniani dell’anno 1925. Il numero di attestazioni nei testi analizzati supera di gran lunga la quantità degli altri tratti e ciò punta sul fatto che la struttura binaria e quella ternaria formano il perno dei discorsi mussoliniano e si estendono su tutte le altre caratteristiche. Il primo tratto concernente le strutture binarie e ternarie nei discorsi analizzati è che questa struttura non solo appare all’interno di una frase ma può anche manifestarsi in una cosiddetta macrostruttura che è composta di più frasi seguenti. Si osservi alcuni esempi:

• p.55- 56 : macrostruttura ternaria: 1) Unificare le leggi che regolano lo sviluppo economico dei popoli affinché

il commercio internazionale [...] ; 2) Determinare la cooperazione delle forze economiche dei diversi paesi,

per costituire una salda unità [...] ; 3) Provvedere , mediante accordi internazionali, alla formazione di un ordine economico fondato sul diritto e sulla solidarietà

(continuazione: «Questa è l’opera grandiosa alla quale voi avete dato finora [...]»)

12

Dal discorso «Al popolo di Perugia» del 5 ottobre 1926. 13 Dal «Discorso di Bologna» del 3 aprile 1921.

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• p.71-72: macrostruttura ternaria: 1) Hindenburg non andava a Berlino attraverso un putsch vittorioso, ma attraverso il responso legale e spettacoloso [...] 2) In secondo luogo presumevo che, come spesso accade, la presenza di Hindenburg può facilitare [...] 3) e in terzo luogo, sempre nel telegramma di cui parlo [...]

• p.149-150: macrostruttura ternaria

che le tre grandi attività del Fascismo siano queste: 1) Partito: quindi amministrazione dei Comuni, delle Provincie, propaganda politica; opera di cultura [...]. 2) Milizia e cioè difesa armata del regime 3) E finalmente Sindacalismo, ossia elevazione delle masse che lavorano; elevazione con il nostro metodo (a) della necessaria severità (b) e della disciplina che evita 1) la lusinga 2) e soprattutto la menzogna

Secondariamente, si noti che tutte e due le strutture spesso si sviluppano verso un climax, come ha anche detto Simonini nel suo libro. Alcuni esempi sono riportati qui:

• p.107: 1) Voi sapete 2) quello che io penso dei Comuni fascisti: li considero come collaboratori 1) diretti 2) immediati 3) preziosissimi dell’opera del Governo • p.198: in questo abbraccio c’è 1) tutta la vostra anima 2) tutta la vostra passione 3) tutta la fede inesausta della Nazione italiana che (a) oggi è grande (b) ma più grande diventerà In questo esempio si può anche individuare un tipo di salmodia nella prima parte con struttura ternaria, causato dal ritmo ripetuto nella costruzione «tutta la [...]». • p.125: lo spettacolo 1) insuperabile 2) alto 3) sublime • p.136: È 1) il benessere 2) il prestigio

3) la potenza della Nazione italiana • p.123: le prove (a) concrete e (b) quotidiane della sua ferma volontà

1) di affrontare 2) di risolvere i problemi fondamentali che assillano

1) da decennî 2) da secoli

Qui emerge anche la formazione delle strutture binarie e ternarie con sinonimi o concetti che indicano quasi lo stesso concetto, senza uno sviluppo verso un climax: «affrontare» e «risolvere». Per quanto riguarda l’uso di sinonimi senza climax, vi sono ancora altre attestazioni:

• p.126: E quando dopo la guerra si parlò 1) di ridurre

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e anche 2) di sopprimere • p.60: e dico che, se oggi, 1) dovessimo contare su certi ceti ristretti 2) e dovessimo chiedere a questi ceti il loro suffragio • p.161: e un rottame è la concezione (a) enorme (b) teatrale (c) grottesca di una umanità divisa in due classe irreconciliabili

Un ulteriore esempio dimostra l’uso del gradatio in senso negativo. In questo brano Mussolini indica in linea ascendente i valori negativi che lui sembra disprezzare ma si deve riccordare in questo caso la teoria della denegazione:

• p.50: struttura ternaria: siamo partiti naturalmente 1) da criterî fascisti 2) non da criterî democratici 3) e meno ancora demagogici Inoltre, vi sono attestazioni di quelle strutture che saltano all’occhio per le loro qualità musicali e ritmiche. In questa categoria si trovano strutture binarie o ternarie con assonanze, con particolarità ritmiche e con tendenze verso la salmodia.

• Assonanza: p.108: 1) Tornate ai vostri paesi 2) portate il mio saluto fraterno a tutti i vostri amministrati 3) gridate loro che il Fascismo [...] è (a) invitto (b) invincibile14 • Assonanza: p.127: una tradizione 1) gloriosa e 2) plurisecolare • Assonanza: p.134: spettacolo 1) di gentilezza 2) e di forza (a) veramente piemontesi (b) veramente fasciste15 • Salmodia: p.135: Mi sento 1) vostro 2) carne della vostra carne 3) spirito del vostro spirito • Omoioteleuton: p.60: non è questione 1) di democrazia 2) né di aristocrazia • Ritmo: p.245: Voi, ricco 1) di saggezza 2) e di esperienza governerete la città 1) (a) nello spirito (b) e nella materia 2) (a) nel passato (b) e nell’avvenire • Assonanza: p.245: Voi libererete anche dalle costruzioni 1) parassitarie 2) e profane i templi • Ritmo: p.19: doppia struttura binaria : 1) Tu sei andato 2) dove ti ho detto di andare 1) Ti sei preso 2) le responsabilità che ti ho affidato 1) Così si serve 2) il Fascismo 1) Così si serve 2) la Nazione

14 Formano anche una figura etymologica 15 Anche un’anafora

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Poi vengono considerate le strutture binarie e ternarie che hanno soprattutto una funzione informativa. Si tratta cioè di un’accumulazione di vari informazioni, anche spesso dando l’impressione di un regime fascista totale e esaustivo della realtà.

• p.56: Nelle riunioni che si susseguirono 1) a Parigi 2) a Roma 3) ed a Londra, 1) uomini di buona volontà, 2)uomini (a) di pensiero e (b) di azione [...] • p.127: i granatieri 1) del Cengio

2) degli Altipiani 3) delle paludi di Monfalcone

• p.135-136: non è mutato 1) lo spirito 2) il coraggio 3) (a)la fredda (b) metodica (c) sistematica ...volontà • p.71: «la fatica è stata tripla: ha dovuto occuparsi

1) del bilancio degli affari esteri 2) di quello del fondo per l’emigrazione 3) del bilancio dell’Aviazione

• p.74: [...] sui luoghi stessi delle battaglie 1) (a) a Monfalcone (b) che ha i cantieri in piena efficenza 2) (a) a Trieste (b) che ha veduto risolti nel 1923 e 1924 tutti i suoi problemi

Per continuare, voglio anche richiamare l’attenzione sull’occorrenza di alcuni casi in cui si evidenzia più o meno una funzione conativa, cioè con i quali si vuole incitare il popolo ad agire.

• p.105: 1 (a) Intendiamo oggi di onorarlo (b) con questa solenne celebrazione (c) in questa assemblea che diventa sempre più degna 2 1)(a) Intendiamo di servirlo 2)(a) con tutte le nostre forze (b) con tutte le nostre energie (c) con la vita e, se occorre, anche col sacrificio supremo • p.136: perché anche 1) con l’opera (a) di tutti i giorni (b) e di tutte le ore 2) con l’opera (a) quotidiana (b) minuta (c) oscura si fa grande la Patria • p.169-170: Devono 1) dare esempio quotidiano di questo ossequio alle leggi

2) e dare, se necessario, tale esempio agli stessi cittadini Come si è già visto, le strutture binarie e ternarie non mancano a mescolarsi, a intrecciarsi tra loro. Ho trovato un ulteriore esempio che dimostra benissimo quello che Simonini chiamava «un fogliame che celi in parte la sagoma dei rami» (Simonini, 1978:63):

• p.161: 1 e un rottame è la concezione (a) enorme (b) teatrale (c) grottesca di una umanità divisa in due classe irreconciliabili

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2 un rottame è (a) la miseria crescente (b) la concentrazione del capitale quando si assiste a un processo precisamente contrario

3 rottame, infine, è l’idea della palingenesi sociale 2) e dei vostri morti Per finire questo capitolo, si osservi una particolare struttura ternaria, che si può mettere nella categoria dei giochi di ritmo, suono, spaziatura e scansione. L’esempio è una perfetta scansione e assume la forma di uno slogan.

• p.105: il triplice grido di: 1) Viva 2) il 3) Re ! 3.4.2 Il condizionale come espressione correttiva A proposito dell’uso del condizionale Enzo Golino (Golino, 1994:27) indica che vi sono due approcci per l’interpretazione di questo fenomeno linguistico nei discorsi di Mussolini. Secondo la prima interpretazione, che è di Umberto Eco, l’uso del condizionale è una tecnica definibile come « prudenza linguistica»16. Si ha a che fare qui con il condizionale come espressione correttiva: impiegando forme verbali al condizionale e non all’indicativo Mussolini sa così mitigare espressioni che potrebbero essere percepite come troppo aggressive o eccessive. Golino fa riferimento alla cosiddetta «retorica degenerata», anche in questo caso un concetto sviluppato Eco17. La retorica degenerata fornisce un tipo di discorso che è «denso di sollecitazioni emotive ma privo di solide argomentazioni» (Golino, 1994:27). Erasmo Leso (citato in Golino, 1994:27) afferma che queste attestazioni dell’uso del condizionale devono essere interpretate piuttosto come modulazioni di discorso per attirare o rinnovare l’attenzione dell’ascoltatore. Dunque svolgono la stessa funzione della domanda retorica o di certi effetti fonici (si riccorda l’anafora in questo contesto) per quanto questi hanno lo scopo di vivificare il discorso. L’analisi dei testi presenta pochi esempi, solo 7 in totale di cui 4 si trovano in un stesso discorso, «Per gli impiegati statali». Leggendo questi esempi, mi sembra che l’interpretazione di Eco sia più appropriata e che quindi l’uso del condizionale possa essere ricondotto all’esigenza di temperare alcune espressioni e certi precetti. Comunque, la funzione di ravvivare il discorso vale anche, ma secondo me in misura minore, perché il contenuto degli esempi punta veramente su un necessario attenuamento delle affermazioni per non aggredire il pubblico. In quest’ottica l’uso del condizionale si può anche collegare al moderatismo politico di Mussolini, caratteristico soprattutto del periodo di iniziale consolidamento del regime. Osserviamo adesso gli esempi per chiarire la tesi.

16

citato inEnzo Golino, Parola di Duce, Il linguaggio totalitario del fascismo, Milano, Rizzoli, 1994, p.27. 17

ECO, Umberto, Il linguaggio politico, in AA.VV., I linguaggi settoriali in Italia, a cura di Gian Luigi Beccaria, Bompiani, Milano, 1973, citato a proposito di Enzo Golino, Parola di Duce, Il linguaggio totalitario del fascismo, Milano, Rizzoli, 1994, p.27.

p.244 «Ecco perché il Governo ha deciso che voi, dopo essere stato per tre anni regio commissario, foste, vorrei dire per naturale diritto di successione, il primo governatore di Roma.»

p.52 «Ci sono e senza ricorrere a quei provvedimenti che si potrebbero dire liberticidi [...].»

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3.4.3 Risentimento e Denegazione È ben noto che Mussolini amava mescolare barlumi di sarcasmo nei suoi discorsi. L’uso del sarcasmo forma insieme con l’offesa verbale e la maledicenza la morale e la strategia del risentimento. Il risentimento è un concetto che era già stato discusso e sviluppato dallo studioso filosofo tedesco Nietzsche, di cui si sa per altro che Mussolini era ammiratore, definendosi persino suo discepolo.18 Secondo Nietzsche «gli sconfitti, gli schiavi che non riescono a imporsi sugli altri esprimono inconsciamente [...] teorie che spostano le cose in altre sfere o direzioni» (Simonini, 1978:27) tentando così di nascondere il proprio stato di inferiorità e di emergere come quelli che sono autenticamente superiori. Questo processo si vede anche nelle tre forme di risentimento impiegate da Mussolini nei suoi discorsi. Lo scopo è, anche se inconsciamente, mascherare l’insicurezza, la debolezza e la paura, perché il fascismo talvolta sentì la minaccia dell’opposizione. Utilizzando espressioni denigratorie a proposito degli oppositori, Mussolini creava l’impressione di superiorità del regime e faceva risultare gli avversari come deboli, inferiori e magari indegni della lotta contro il fascismo. Anche se secondo Simonini Mussolini privilegiava il sarcasmo come espressione del risentimento, in quanto forma più indiretta rispetto alle altre due, nell’analisi dei discorsi del 1925 si vedono più attestazioni di offesa verbale (8) , poi 6 di maledicenza e solo 4 di sarcasmo. Occorre osservare qualche esempio:

18

Citato in Simonini,1978:28. «Nel 1932 nei Colloqui con E.Ludwig (Mondadori, Milano 1932, pp.172-173) riaffermava la sua adesione alle teorie del pensatore tedesco.»

p.52 «Signori, il mese di marzo è stato un mese che si potrebbe dire climaterico.»

p.53 «Poi sono venuti gli scioperi di iniziativa fascista: il che era contemplato, oserei dire, perché in un famoso Gran Consiglio del settembre, parlai di una certa latitudine [...].»

p.53 «altrimenti tempi di malessere, potrebbero attendere il popolo italiano.»

p.72 «I nostri rapporti con la Jugoslavia sono cordiali e vorrei dire ottimi»

(solo qui vi è forse la predominanza della funzione ravvivante)

p.18 «Se mi fosse lecito impiegare termini di guerra senza far rizzare le orecchie lunghe dei sedicenti normalizzatori, io direi che abbiamo vinto una battaglia, una grande battaglia, ma non ancora la guerra.»

p.103 «[...] quando 156 deputati, che avevano soltanto il coraggio della loro viltà verbale, uscirono dall’aula, credendo di ferire con la loro latitanza il prestigio della Dinastia.» (sarcasmo/offesa verbale)

p.12-13

«[...] e si grida: “ Il Fascismo è un’orda di barbari accampati nella Nazione ed un movimento di banditi e predoni”, e s’inscena, o signori, la questione morale! Noi conosciamo la triste istoria delle questioni morali in Italia.» (sarcasmo)

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A proposito della denegazione o Verneinung (un concetto di Sigmund Freud), si può dire che si tratta di una negazione forte e violenta che insiste sulla presenza di un’altra realtà, un’altra verità al di sotto della resistenza di cui si fa mostra. Il meccanismo funziona così: più uno tenta in modo veemente di negare una data affermazione o un certo fatto, più questo atteggiamento indica che la realtà sia opposta a quello che si vuole far credere. Per Mussolini e il regime fascista questa strategia fu uno strumento ideale per fornire alibi e per creare l’impressione che la via del fascismo fosse l’unica via giusta. Pronunciare affermazioni risolute era anche un modo per dare una certa sicurezza e chiarezza (anche se falsa) al popolo. Simonini dice ancora a proposito dell’uso della denegazione e del risentimento che «entrambe sono forme di mimetizzazione e contrabbando di stati d’animo caratterizzati da impotenza, paura e insicurezza». E quindi l’uso di «modi risoluti, categorici, definitivi [...] sembra dettato inconsciamente dalla fretta di rinchiudersi dietro una parete blindata per paura di essere smentiti» (Simonini, 1978:30). Per questo, non è sorprendente che queste due caratteristiche siano anche presenti nei discorsi del 1925, un’epoca ancora insicura in qualche modo.

Soprattutto il secondo esempio acquista un significato notevole, anche a causa dell’ironia dell’enunciato. L’uomo esemplare dello sfruttamento della demagogia, l’uomo che non fa altro che manipolare il popolo tramite espressioni tipiche e apprezzate dal ceto piccolo-borghese, in quel momento nega tutto questo con un esempio squisito di denegazione. Questa citazione è tratta da un discorso pronunciato davanti al popolo di Casale Monferrato, in un contesto ideale per un discorso estremamente demagogico. Dopo l’esaltazione del popolo di questo paese, Mussolini fa quest’affermazione risoluta nella forma di una denegazione, con lo scopo di accecare la folla con le belle parole – tutto questo prescindendo dalla paura di essere colto nella ragnatela di menzogne, mentre un ascoltatore critico dei nostri tempi avrebbe scoperto l’inganno immediatamente, nel caso più ottimistico... .

p.137 «non posso tollerare la vociferazione clandestina, l’agguato codardo, la calunnia informe, la diffamazione subdola» (maledicenza)

p.134 «quali larve uscite dai cimiteri remoti della Penisola» (maledicenza)

p.49 «Che i giornali, i quali amano spesso dipingere il mondo in rosa, abbiano fatto credere delle cose fantastiche, questo è affare che riguarda i giornali, coloro che li leggono e che ci credono.» (sarcasmo)

p.18-19

«La verace disciplina non conosce, anzi repelle, dagli esibizionismi di troppi Marcelli, coi loro ridicoli, sterili e oramai noiosissimi dissidentismi, che durano quanto dura l’imbecille clamore cronachistico e pettegolo della stampa nemica.» (offesa verbale)

Denegazione p.73 «Non bisogna credere certamente a quello che stampano i giornali di Sussak,

secondo i quali Fiume sarebbe in pieno rigoglio, ma non vi è dubbio che dopo l’annessione, Fiume sta riprendendo gradatamente le sue possibilità di sviluppo e di vita.»

p.134 «Perché se vi è un uomo che non desideri la popolarità e disdegni i successi ottenuti con la facile e stupida demagogia, quello sono io.»

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3.4.4 Funzione conativa La funzione conativa viene definita da Roman Jakobson 19 come l’uso di espressioni linguistiche che hanno lo scopo di spingere l’ascoltatore ad agire. Lo scopo è convincere, persuadere e incitare il pubblico a fare qualcosa, sia in senso mentale sia fisicamente. Simonini sostiene che nei discorsi mussoliniani tutte le funzioni testuali sono sottoposte alla funzione conativa, quindi la funzione conativa permea le altre funzioni. Così Simonini presenta il caso della proclamazione di guerra il 2 ottobre del 1935 in cui Mussolini dava informazioni sulla prima guerra mondiale per quanto riguarda i numeri di morti e feriti. Normalmente, in un enunciato informativo prevale la funzione referenziale, ma Mussolini non ha intenzione di dare massimo rilievo a tale funzione. Con queste informazioni, infatti, l’oratore non vuole solamente informare, ma tenta piuttosto di suscitare nel popolo certe emozioni che devono condurre ad un rinnovato amore per la patria e un’avversione per gli avversari. «In qualsiasi intervento di carattere oratorio tutte le funzioni del linguaggio si dispongono in via subalterna a quella conativa di animazione, commozione, persuasione» (Simonini, 1978:40). Così nei discorsi del 1925 vi sono attestazioni di questa funzione conativa in enunciati informativi (che hanno dunque anche una funzione referenziale) ed in enunciati diretti verso lo smuovere i sentimenti del popolo (i quali hanno quindi anche una funzione emotiva). Gli enunciati emotivi dispongo di una funzione conativa più forte che gli altri enunciati, perché le emozioni possono più spesso indurre qualcuno ad agire, sia per la gioia, sia per motivi di odio. Siccome tutti i discorsi sono pervasi dalla funzione conativa, gli esempi sono innumerevoli; per questo ho solo riportato qualche esempio qui sotto.

Il primo esempio mostra una mescolanza di funzione referenziale e emotiva: vengono presentati fatti veri ma sono stati “abbelliti” da dettagli macabri per evocare un’emozione più forte. Questi due funzioni testuali sono poi risponsabili per e sottoposti alla funzione conativa con la quale Mussolini, in questo brano, vuole incitare l’odio per gli avversari dell’ideologia fascista. Il secondo esempio, che abbiamo già incontrato nel capitolo sull’elenco, presenta una secca enumerazione di fatti e ha quindi una forte funzione referenziale e informativo ad un primo livello. Tuttavia, queste informazioni sulle quantità di soldi che ogni categoria di impiegati statali ha ricevuto, dispongono anche di una funzione conativa. La funzione conativa 19

Roman Jakobson, Closing statements: Linguistics and poetics, trad. italiana nel volume: Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966 [I ed.], pp. 181-218.

p.14 «Questa sedizione dell’Aventino ha avuto delle conseguenze perché in Italia oggi chi è fascista rischia ancora la vita! Nei soli mesi di novembre e dicembre undici fascisti sono caduti uccisi, dei quali uno ha avuto la testa schiacciata fino ad essere ridotta un’ostia sanguinosa ed un altro, un vecchio settantatreenne, è stato ucciso e gettato da un muraglione.»

p.50-51

«La 6° categoria ha avuto 4000 lire di aumento e gli impiegati sono 2997.[...] La 8° categoria, che ha avuto 2500 lire di aumento, ha 9188 impiegati. La 9° categoria, che ha avuto 2000 lire di aumento, ha 22.991 impiegati.»

p.128 «[...] sono ritornati alle loro occupazioni nella vita civile, paghi di aver compiuto nobilmente e fortemente il loro dovere verso la Patria.»

p.198 «Voglio ancora una volta abbraciarlo e in questo abbraccio c’è tutta la vostra anima, tutta la vostra passione, tutta la fede inesausta della Nazione italiana che oggi è grande, ma più grande diventerà!»

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si evidenzia nella volontà di far sentire a questi impiegati che il governo fascista ha fatto abbastanza per il loro caso e per dissuaderli dal fare sciopero, per esempio. I due altri esempi sono esempi con una forte funzione emotiva che ha inoltre lo scopo di evocare un rinvigorito senso di patriottismo, un amore per la patria e, nel caso dell’esempio alla pagina 128, una volontà di partecipare alla guerra in nome della patria se fosse stato necessario.

3.4.5 Elenco L’elenco è già un’altro tratto presentato da Lazzari come caratteristica dello stile degli scrittori fascisti e di Mussolini. Questo tratto combina l’esigenza dell’effetto fonico per motivi ritmici e la volontà di offrire all’ascoltatore la sensazione di «una comprensione cosmica, totale, della realtà» (Lazzari, 1975:56). Lo studioso sostiene anche che l’elenco è composto da concetti non legati da una coerenza logica e che prevale l’irrazionalismo e un gioco di parole, accenti e pause in accumulazione. Questa definizione dell’elenco vale soprattutto per le strutture ternarie che formano piccoli elenchi, in quanto non presentano un gradatio. Comunque, nei discorsi del 1925 ho anche trovato elenchi di più grandi dimensioni in cui non importa tanto la suggestione fonica per fini di un voluto irrazionalismo, ma che sembrano avere soprattutto una funzione emotiva e conativa. Inoltre, non vale l’affermazione che i concetti sono messi insieme in modo illogico, ma c’è una certa, comprensibile coerenza. Vi sono 4 testi in nei quali si trova un elenco del genere. Il primo esempio viene dal discorso del 3 gennaio e vi è un grande elenco che contiene tutti gli avvenimenti violenti contro i fascisti. Ne cito solo qualche parte. p.14-15: - «Un caposquadra della Milizia ferito gravemente dai sovversivi.Un conflitto fra carabinieri e sovversivi a Genzano. Un tentativo di assalto alla sede del fascio di Tarquinia. [....]» - « a Venezia il milite Pascai Mario aggredito e ferito; a Cavaso di Treviso un altro fascista ferito; a Crespano la caserma dei carabinieri invasa da una ventina di donne scalmanate, un capo manipolo aggredito e gettato in acqua; [...]» Da questo brano diventa chiaro che Mussolini mira a smuovere il suo pubblico e agisce fortemente sulle emozioni. Al tempo stesso vuole anche incitare l’ascoltatore a sviluppare un odio per l’opposizione e per i nemici del regime, mostrando tutte le atrocità commesse dagli avversari. Il secondo esempio è tratto dal testo «Per gli impiegati statali» alle pagine 50 e 51. L’elenco contiene le varie categorie di impiegati statali, quanti sono in ogni categoria e quanti soldi in aumento hanno ricevuto dallo Stato. Qui riportato solo una parte : «La 6° categoria ha avuto 4000 lire di aumento e gli impiegati sono 2997.[...] La 8° categoria, che ha avuto 2500 lire di aumento, ha 9188 impiegati. La 9° categoria, che ha avuto 2000 lire di aumento, ha 22.991 impiegati.» L’elenco è molto ripetitivo e ha anche una forte funzione informativa e conativa. Mussolini vuole indicare che il Governo ha fatto abbastanza per gli impiegati con l’indicare di quanto hanno ricevuto tutti gli impiegati, raggruppati in varie categorie. Anche il terzo e il quarto esempio sono modellati come quello secondo. Prevale la funzione conativa in combinazione con la funzione emotiva. L’elenco di tutte le misure prese dal regime per il miglioramento della situazione del popolo vuole sia smuovere il popolo che incitare lo stesso popolo ad agire e a sviluppare una forte adderenza all’ideologia fascista.

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Qui sotto i due altri elenchi:

3.4.6 Neologismi Simonini accenna nel suo libro l’uso di neologismi nei discorsi mussoliniani. Si tratta spesso di varianti grammaticali o lessicali come per esempio «combattitore» (combattente), «inoltrare» nel senso di «andare oltre» e «cifrare» invece di «contare» (Simonini, 1978:24). Anche Erasmo Leso ha svolto uno studio sull’apparizione di vari neologismi nel lessico mussoliniano.20 Leso mostra l’esistenza di un gran numero di neologismi con il prefisso «auto-» e con il prefisso «anti-», per esempio: «autodisciplina», «antiguerraiolo», «autosegregarsi» e «antitriplicista». Tutti questi esempi sono in gran misura rappresentativi della immensa creatività lessicale di Mussolini. Nonostante ciò, nei discorsi analizzati non ho trovato esempi del genere. Vi sono alcune attestazioni di varianti originali lessicali o combinazioni di parole inaspettate, ma che comunque non sono neologismi nel senso stretto, cioè termini la cui prima attestazione si trova nei discorsi di Mussolini.

3.5 Altri commenti sui discorsi analizzati Durante l’analisi si sono evidenziati altri tratti o altre curiosità, oltre alle caratteristiche già presentate e analizzate, che meritano nondimeno attenzione.

1. Il primo tratto che è presente in quasi tutti i testi è l’ekfonesis. Con questa figura retorica si indica l’uso di esclamazioni, interiezioni come «oh!»: «o signori», «o onorevoli colleghi», «o cittadini», «camicie nere!», «O milanesi», «o camerati!», ...

2. In secondo luogo si vede anche spesso la ripetizione di concetti uguali nella

forma di descrizioni differenti. Questo viene fatto per motivi fonici come già

20Erasmo Leso, Aspetti della lingua del fascismo. Prime linee di una ricerca, in S.L.I.- Storia linguistica dell’Italia nel Novecento, Bulzoni, Roma, 1973.

p.244 « I dati sintetici del vostro bilancio triennale eccoli: strade nuove, aumentati mezzi di comunicazione, miglioramento di tutti i servizî pubblici, scuole, parchi, giardini, assistenza sanitaria, organizzazione igienica in difesa della salute del popolo.»

p.73-74

«Al 15 dicembre 1924 c’erano in Fiume 2619 disoccupati, fra uomini e donne, fra italiani e stranieri; al 1° maggio 1925 i disoccupati, in totale erano 491. Gli operai impiegati nell’industria, che erano 2303, nel 1923, sono saliti nell’anno successivo a 4334 e, attualmente, a 4704.[...] Il traffico complessivo del porto che fu, nel 1913, di quintali 22 milioni e mezzo e che 10 anni dopo, nel 1923, fu di due milioni, nel 1924 è già salito a quattro; e le previsioni, a seconda dei risultati del primo quadrimestre dell’anno in corso, fanno salire questo traffico complessivo a sette milioni.[...] Il movimento ferroviario aumenta. Nel 1923 esso fu complessivamente di 147 mila tonnellate; nel 1924 era di 372 mila tonnellate.»

p.18 «dissidentismi» (per «dissidenza»)

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accennato nell’analisi. Alcuni esempi: «un periodo di sosta, una specie di tempo di arresto» (p.71), «finita l’epoca della guerra civile in Russia, e chiuso il periodo più accuto del terrore» (p.75), «l’opera di vigilanza sarà assidua e continua» (p.77), «ora io credo che il Senato italiano sarà d’accordo con me, che mi conforterà in questo punto di vista»(p.78), «sono molto commosso» è uguale a «sono toccato» (p.158), «la concezione enorme, teatrale, grottesca»(p.161), «ricco di [...]» e «pieno di [...]» (p.171), «l’opera di tutti i giorni e di tutte le ore» è «l’opera quotidiana» (p.136).

3. A proposito del discorso «Alla conferenza interparlamentare del commercio»

si può dire che non ha molti dei tipici tratti mussoliniani come metafora, antitesi e iperboli. Secondo me, Mussolini non li ha usati perché sono semplicemente non necessari: si tratta di un discorso in cui accoglie i delegati dai vari parlamenti e vuole solamente riuscire a creare un clima piacevole per la conferenza. Se si guarda agli aggettivi usati, hanno tutti un significato positivo e anche qualche parola chiave dimostrano questa stessa positività : «gioia», «benessere», «buona volontà», «edificio della pace», «competenza», «entusiasmo», «benemerenze», «utilità»,«progresso» e «felice successo». Si può dunque concludere che la funzione conativa ha qui il più importante ruolo del discorso: bisogna che i delegati sono lusingati, sicché la conferenza abbia anche un esito positivo per l’Italia.

4. Il discorso «Il problema dell’emigrazione» è un testo molto secco, non ci sono

tanti elementi tipici per un discorso mussoliniano.

5. Nei «Discorsi agli ufficiali» la struttura ciclica diventa chiara in una frase particolare che riappare in tre dei quattro discorsi in una forma più o meno uguale:

• «[...] e penso che come ieri anche domani sarà la fanteria che deciderà i destini di una guerra, la potenza o la decadenza di un popolo.»

• «Sono sicuro che domani, come oggi, i bersaglieri di Lamarmora e della IV Italia aggiungeranno nuove fronde a quelle che costituiscono il serto della loro incomparabile gloria.»

• «Sono sicuro che, come ieri, così domani in caso di bisogno i granatieri saranno sempre all’altezza della loro mirabile tradizione, per il Re e per la Patria.»

La giustapposizione di ieri-domani o ieri-oggi, ha anche lo scopo di dare una sensazione di totalità delle virtù degli ufficiali delle armi. È una caratteristica molto nota del Fascismo: l’idea di un ideologia complessiva. 6. I «Discorsi di Asti, Casale, Vercelli», dalla pagina 134 alla pagina 137,

dispongo di una sensazione religiosa che emerge: «la resurrezione dell’Italia», «vasta visione delle necessità nazionali», «mi nutro della vostra fede», «spirito del vostro spirito», «lo spirito è alto e sereno», «l’inferno dantesco», «uno stato di comunione».

7. Nel discorso «I compiti dei fasci all’estero» si può individuare l’uso di un

paraleipsis all’inizio del discorso, nel quale si dice che uno non farà o dirà una cosa che, nonostante ciò, immediatamente dopo fa non di meno: «Sono venuto non per pronunciare un discorso, anche perché mi mancherebbe il tempo per pronunciarlo. Un importante delicato lavoro mi attende in questo momento a

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Palazzo Chigi.» (p.169) E dopo questo annunciato, pronuncia un discorso la cui trascrizione occupa tre pagine.

8. Qualche osservazione stilistica particolare sul discorso «La Nuova Roma»: Si

tratta di un tipico discorso mussoliniano che mostra l’esaltazione del mito della «romanità» e nel complesso è molto solenne e borioso. Questo tono molto ampolloso si evidenzia anche nell’esempio alla pagina 245: «I monumenti millenarî della nostra storia debbono giganteggiare nella necessaria solitudine», impiegando un’eccellente scelta di parola con «giganteggiare» in questo contesto. Inoltre, si nota l’emergere della predilezione per termini letterari con «l’ansito», il quale è un termine letterario per «l’ansare».

9. Per quanto riguarda l’occorrenza di altre figure retoriche nel discorso «Per gli

impiegati statali», da osservare è anche questa frase : «L’epoca degli agitati, degli agitatori, delle agitazioni a rotazione permanente, è finita»(p.52). Questo è un tipo di figura etymologica: la combinazione di parole legate dal fatto che derivano dalla stessa base.

10. Alle pagine 149 e 150 si trova il discorso «Sindacalismo fascista» e qui si ha

l’impressione che Mussolini impieghi un linguaggio molto autoritario: • «i quali obbediscono in silenzio» • «quegli italiani che voglio creare per amore o per forza» • «necessaria severità» • «prima i doveri e poi i diritti» • «Avete inteso? Credo di sì perché il mio è un linguaggio molto chiaro.» • «manterle rigidamente fedeli alla causa del Fascismo e della Nazione»

11. Alla pagina 104, nel discorso «Venticinquennio del regno di Vittorio

Emmanuele III», v’è un’altra figura retorica: «fante tra i fanti», il che è un polyptoton.

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IV. CONCLUSIONE Il caso del fascismo, e di Mussolini in particolare, ci ha mostrato quanto si può realizzare attraverso un’abile, o forse astuta, elaborazione della lingua e già una moltitudine di studi si è svolto su questo fenomeno di manipolazione e di lotta per il potere. Il caso di Mussolini ci ha mostrato che la lingua non gioca un ruolo minore nel consolidarsi di un regime o di qualsiasi ideologia presso il popolo. Come sottolineato già da Adami (1939), negli anni 1924-1925 «[...] la sua parola» rappresentò «[...] forse l’unica arma potente che sconvolse e travolse tutte le opposizioni» (Adami, 1939:45). Si tratta del fatto che, una volta superata la crisi del delitto Matteotti, Mussolini prese veramente il potere attraverso l’imporre di nuovi legislazioni e non attraverso un vero coup d’état, come di solito con un regime totalitario. Era anche per questo motivo che mi sembrava opportuno indagare quali furono i tratti caratterizzanti dell’anno 1925 e perché fecero parte dell’oratoria mussoliniana in quel momento. Dall’analisi si è evidenziato che i 16 tratti dello schema, già scoperti e studiati da Simonini, Golino, Lazzari e Leso, sono tutti presenti nei discorsi del 1925 ma non sempre con lo stesso rilievo. I neologismi, la personificazione e l’antonomasia risultano di minore importanza mentre, per esempio, l’antitesi è molto presente, e questo per varie ragioni. L’antitesi, infatti, non solo presenta un dualismo manicheo in cui termini con connotazione positiva sono assegnati ai fascisti mentre quelli negativi indica gli avversari. L’antitesi, inoltre, può anche fornire l’impressione di un regime, un’ideologia onnipresente e esaustiva della realtà: si pensi all’esempio alla pagina 134: «a nome di tutti i morti e di tutti i vivi». Oltre a mostrare di essere onnipresente, il fascismo volle anche insistere sulla grandezza e la magnificenza dell’impresa, una cosa che si traduce, al livello lessicale, in un uso abbondante dell’iperbole. Il concetto della grandezza, ci porta ai diversi valori esaltati dal regime, i quali appaiono abbastanza spesso nei discorsi mussoliniani. Nei testi del 1925 si vede l’emergere di valori come soprattutto «volontà», «disciplina», «esercito», «Roma antica», «grandezza», «lavoro», «Patria», «destino». La molteplice occorrenza proprio di questi concetti, si può interpretare in riferimento al quadro storico. L’anno 1925 fu un anno pieno di speranza, dopo la vittoria sulla crisi a causa del delitto Matteotti, e Mussolini volle incitare, entusiasmare il popolo e il governo ad agire insieme con lui per il consolidarsi del regime fascista. Per incitare il popolo, il Duce ricordò il mito di Roma imperiale e indicò il potenziale e la forza del popolo italiano. Inoltre, fece alcune volte richiamo alla guerra e alla pietas dei morti combattenti. In questo modo, Mussolini seppe smuovere e convincere la folla. In altre parole, la funzione emotiva e conativa sono caratteristiche centrali e importantissime nei discorsi del 1925. Tuttavia, non solo questi riferimenti ai valori tipici fascisti dispongono di una funzione emotiva: osservando l’aggettivazione, l’allitterazione e l’assonanza, si evidenzia questa predilezione per effetti fonici e per una certa musicalità delle parole con lo scopo di nascondere il vuoto semantico. Mussolini spesso impiegò parole rare, archaiche o letterarie, che non hanno un determinato significato chiaro quando sono usate fuori dal contesto esatto. Questa strategia stilistica fu molto usata da Mussolini poiché un semplice suono può già evocare grandi emozioni e si è dimostrato che la folla si lascia incantare dalle belle parole. La sonorità spesso lasciò un’impressione schiacciante sull’ascoltatore. Quanto alla struttura dei discorsi, emerge il tratto che domina tutti gli altri tratti: le strutture binarie e ternarie. Come indicato da Gustave Le Bon, per impadronirsi della folla, bisogna capire come la sua psicologia collettiva funzioni e bisogna ritenere che,

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a livello intellettivo, la folla sia definita dalla mediocrità. Per questo, occorre utilizzare una sintassi semplice: in Mussolini fu tradotto questa esigenza nell’occorrenza di queste strutture binarie e ternarie. Sia Simonini (1978,64-65) che Perelman e Olbrechts-Tyteca (1959) sottolineano che il successo di queste strutture presso il popolo è dovuto alla naturalezza del fenomeno. Per la struttura binaria si pensi al binomio «notte-giorno» o «inspirazione-espirazione» e per quella ternaria si pensi alla tripartizione «inizio-metà-fine». Accanto a queste caratteristiche predominanti dei discorsi del 1925, si notino anche: l’occorrenza di tratti come l’uso dei tempi verbali (che attribuisce all’impressione di totalità del regime), l’anafora (che entra nella categoria di elaborazioni di sonorità e ritmicità per cui la forma predomina sul contenuto), la domanda retorica (che stabilisce il contatto con la folla e può anche essere un punto di avvertimento in cui si rinnova l’attenzione dell’ascoltatore), l’uso del condizionale come espressione correttiva, cioè, per mitigare certi messaggi tramite una frase come «vorrei dire» (Leso tuttavia sostiene che il condizionale in quei momenti svolge la funzione dei puntini di sospensione (Golino, 1994:27)), il risentimento e la denegazione (i quali hanno un’origine psicologico e sono derivati dal fatto che Mussolini si sentì non di meno minacciato dall’opposizione) e l’elenco (che combina la funzione conativa con lo sforzo di creare quest’impressione che il regime fascista occupi un posto completo ed esaustivo nella realtà). Per concludere ho riportato qui un brano del discorso del 31 ottobre 1925 che risulta molto significativo perché molti dei tratti finora discussi sono in esso riconoscibili. Il brano dimostra in modo eccellente l’atteggiamento psichico del momento: «Dovete considerarvi in ogni opera vostra e in ogni momento della vostra vita come dei pionieri, come dei missionarî, come dei portatori della civiltà latina, romana, italiana. Voi dovete reagire contro il luogo comune secondo il quale l’Italia sarebbe un Paese ricco di splendide memorie, pieno di musei venerabili, di monumenti eterni, ma in arretrato con quella che si chiama la civiltà moderna. Dovrete farmi il piacere di dire che accanto ai monumenti ci sono le officine e che accanto ai musei ci sono i cantieri, e nelle officine e nei cantieri lavorano milioni di operai che gettano sul mercato del mondo dei prodotti perfetti, dalla seta alle automobili trionfatrici. E dovrete dire [...] infine che il Paese è attrezzato a produrre e che il Paese, cioè la Nazione italiana, non affisa al passato, ma marcia gagliardamente verso l’avvenire. [...] Camerati! Siate disciplinati all’estero come io esigo ed impongo che gli italiani siano disciplinati all’interno. Siate fedeli non solo con le parole vane, ma con le opere concrete al sacrificio dei nostri e dei vostri morti» (Mussolini, 1925:170-171).

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