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OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA
CAMPANA
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Università Statale Gent
Facoltà di Lettere e Filosofia
Schaubroeck Stijn
Master francese-italiano
OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA
CAMPANA
Direttrice di tesi: Prof.ssa Dr. C. Crocco
2008
3
Ringraziamenti
Sinceri ringraziamenti alla Prof.ssa Dr. C. Crocco per la sua direzione, le sue correzioni e in
particolare per la sua pazienza.
4
Indice
Ringraziamenti p. 3
Indice p. 4
Premessa p. 7
PARTE PRIMA p. 9
0. Introduzione p. 9
1. I sostrati p. 11
1.1 Il sostrato preindeuropeo p. 11
1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica p. 12
2 Toponimi di origine latina p. 15
2.1 Latinizzazione della penisola p. 15
2.2 I registri dei toponimi latini p. 16
2.3 I suffissi latini p. 16
2.4 Gli arcaismi p. 18
3 I superstati p. 20
3.1 Le invasioni barbariche p. 20
3.2 I toponimi postlatini p. 21
4 Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi p. 23
5 Toponomastica medievale p. 26
5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica p. 26
5.2 Toponomastica urbana e stradale p. 30
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PARTE SECONDA p. 32
1. Panoramica storica della Campania p. 33
2. Toponomastica campana p. 38
2.1 Le tante origini della toponomastica campana p. 38
2.2 Toponomastica antica p. 39
2.2.1 L‟osco p. 39
2.2.1.1 I Sanniti p. 40
2.2.1.2 La lingua osca p. 41
2.2.2 Naturalis Historia p. 44
2.2.3 Altri autori p. 57
2.2.4 Conclusione p. 58
3. Lessico campano p. 60
4. Il dialetto campano p. 62
4.1 Tratti tipici dei dialetti campani p. 62
4.1.1 Metafonesi napoletana: dittongazione e chiusura p. 63
4.1.2 Rafforzamento sintattico p. 64
4.1.3 Variazione consonantica p. 65
4.1.4 Il rafforzamento sintattico: marca del femminile plurale p. 66
4.1.5 La conservazione del genere neutro p. 66
5. Alcune particolarità della toponomastica Campana p. 68
5.1 Tratti panitaliani p. 69
5.1.1 Sintassi e formazione delle parole p. 69
a. L‟obliquo privo di preposizione: Monteleone e Pontelandolfo p. 69
b. Il suffisso -one: Castiglione p. 70
5.1.2 Morfologia p. 71
a. Ablativo o accusativo: Pozzuoli, Pompei e Capri p. 71
b. Resti del locativo: Amalfi p. 71
c. Modificazioni fonetiche dell‟uscita del tema: Baselice p. 72
5.1.3 Fonetica p. 73
6
5.1.3.1 Vocalismo p. 73
a. Io ed ea protonici: Napoli p. 73
b. Caduta della vocale mediana nei proparossitoni: Ischia p. 73
c. Le vocali e ed i atone di sillaba finale in Italia centrale: Napoli, Amalfi e Pozzuoli p.
74
5.1.3.2 Consonantismo p. 75
a. Consonante più u in iato: Sessa Aurunca, Sessa Cilento p. 75
b. Metatesi di r: Capri e San Francato p. 75
c. Discrezione e concrezione dell‟articolo: Acerra, Atripalda e Afragola p. 76
5.2 Caratteristiche specifiche dell‟area campana p. 77
5.2.1 Morfologia p. 77
a. Il tipo le corpora: Pratola Serra p. 77
5.2.2 Fonetica p. 78
5.2.2.1 Vocalismo p. 78
a. Dittongazione condizionata di ę nell‟Italia meridionale: Surriento „Sorrento‟ e
Salierno „Salerno‟ p. 78
b. Casi particolari dello sviluppo di o in Italia meridionale: Pezzulo „Pozzuoli‟ p. 78
5.2.2.2 Consonantismo p. 79
a. b iniziale: Santo Vendetto, San Venditto, Barano d’Ischia e Benevento p. 79
b. j iniziale: Gioi p. 80
c. -d- intervocalica: Pròceta „Procida‟ p. 81
d. -f- intervocalica: Alife, Carife, Sorifa, Tifata e Ufita p. 81
e. Il nesso cl e tl in posizione interna: Forchia ed Ischia p. 82
f. Il gruppo br: Venafro, Solofra, Solofrone, Rofrano p. 83
g. Il nesso rb e lb: Alfano (Rohlfs 1966, § 262) p. 83
h. Il gruppo sl: Ischia p. 84
i. I nessi bi e vi: Caggiano, Vico Triggio, Largo Triggio e Faibano p. 84
j. I nessi ssi, psi, rsi: Cassano p. 85
k. Il nesso ti fuori della Toscana: Pozzuoli p. 86
6. Conclusione p. 87
ALLEGATI p. 89
Bibliografia p. 92
7
Premessa
Nel contesto degli studi linguistici, soprattutto diacronici, la toponomastica occupa una
posizione particolare: a lungo, infatti, non ne è stata riconosciuto adeguatamente l‟utilità.
Nel corso del XIX secolo i linguisti comparativi si resero conto del fatto che c‟erano delle
forti somiglianze tra le diverse lingue europee ed asiatiche. Essi supposero, pertanto,
l‟esistenza di un‟unica lingua alla base di tutte quelle che erano oggetto di studio. Tale lingua
archetipa fu denominata indeuropeo. Tuttavia, mancando tracce dirette di questa lingua, la
linguistica comparativa dovette servirsi principalmente di forme ricostruite e non attestate,
soprattutto a livello dello studio della fonetica.
Per quanto riguarda il lessico, i linguisti fecero ricorso alla comparazione di alcuni tra gli
elementi linguisticamente più stabili, cioè nomi di piante e di animali, i nomi che si
riferiscono alla geografia, e soprattutto i toponimi e gli antroponimi.
Così, attraverso gli studi di indeuropeistica, gli studi toponomastici hanno assunto per la
prima volta un notevole rilievo.
Nella prima parte di questa tesi, parlerò della toponomastica italiana in generale. Va osservato
che la toponomastica, pur facendo parte degli studi linguistici diacronici, intrattiene
indispensabilmente rapporti con gli studi storico-culturali. Perciò una parte considerevole del
lavoro consisterà di una rassegna generale della storia del mondo romano ed in particolare
della Campania.
Dopo aver presentato una panoramica delle varie invasioni, migrazioni e colonizzazioni in
Europa e nella penisola italica, tratterò nei primi capitoli la compagine degli strati che
precedono il latino (i sostrati), di quelli che sono coesistiti con il latino (gli adstrati) e quelli
che si sono sovrapposti al latino (i superstrati). Per ovvie ragioni mi soffermerò più a lungo
sullo strato latino. Per quanto riguarda la toponomastica latina, un intero capitolo è stato
dedicato ai vari registri, agli arcaismi e alla suffissazione.
Sempre nella prima parte prenderò in esame i vari componenti della toponomastica italiana: la
geotoponomastica (che tratta i limnonimi o i nomi dei laghi, gli idronimi o i nomi dei corsi
d‟acqua e gli oronimi o i nomi delle montagne), l‟agiotoponomastica o toponomastica sacra,
la toponomastica stradale (ed urbana), ecc.
Nella seconda parte seguirò lo stesso procedimento (migrazioni > sostrati > toponimi),
applicandolo però specificamente alla toponomastica dell‟area campana.
8
Tratterò poi in maggiore dettaglio la toponomastica antica, cercando di spiegare alcuni tratti
toponomastici meno trasparenti (i.e. che non provengono dello strato latino) esemplificandoli
con i toponimi campani presenti nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Metterò poi a
confronto le particolarità di derivazione dialettale dell‟area campana con alcune irregolarità
(dal punto di vista dell‟evoluzione latino > italiano) presenti nella toponomastica campana.
Vorrei ancora sottolineare che, sulla toponomastica del Mezzogiorno d‟Italia e sulla
toponomastica campana in particolare, le fonti sono piuttosto scarse. Al contrario abbondano
gli studi sulla toponomastica dell‟Italia settentrionale.
In conseguenza ho dovuto servirmi di opere che trattano la toponomastica in modo generale.
Cionondimeno ho cercato di distillare il maggior numero di elementi applicabile anche alla
toponomastica campana. Così, nelle esemplificazioni, ho sempre avvantaggiato i toponimi
campani e, nei casi in cui il testo non proponeva un toponimo campano, ho citato nei limiti del
possibile un toponimo di un‟area geograficamente vicina.
Vorrei sottolineare, infine, che lo scopo di questo lavoro non era di descrivere in modo
esauriente la toponomastica campana, quanto piuttosto di presentare un‟analisi-campione
sufficiente a definire con una certa precisione l‟insieme dei toponimi dell‟area campana.
9
PARTE PRIMA
0. Introduzione1
«Toponomàstica [comp. di top(o)- e onomastica: 1884] s.f. 1 Settore dell‟onomastica che
studia i nomi propri dei luoghi. 2 Insieme dei nomi di luogo di una regione, di uno Stato,
di una lingua».
Come ci informa lo Zingarelli, la toponomastica italiana è una disciplina relativamente
giovane: non si parla di „toponomastica‟ prima del 1884. Ma come sempre l‟oggetto è più
vecchio che il suo nome. Della toponomastica possiamo fissare la data di nascita nel 1873,
l‟anno in cui Giovanni Flechia pubblicò la sua opera Di alcune forme di nomi locali dell’Italia
superiore. L‟obiettivo di Flechia era di ricostruire i significati originali di alcuni nomi locali
dell‟Italia settentrionale. Dobbiamo però notare che la toponomastica non è nata come una
disciplina autonoma, ma come disciplina tributaria della linguistica. All‟inizio la
toponomastica e la linguistica hanno percorsi paralleli: poco prima del Flechia, Graziadio
Isaia Ascoli aveva pubblicato i suoi Saggi Ladini, trattando anche dei dialetti dell‟Italia
settentrionale.
Prima del 1873, quando non si poteva ancora parlare di una vera disciplina toponomastica, le
ricerche sui toponimi erano condotte da storici e geografi, ma i loro metodi erano individuali e
non si poteva parlare di un vero metodo scientifico. I loro risultati erano dubbi e spesso basati
su congetture. È innegabile tuttavia il valore delle ricerche di geografi come Olinto Marinelli
per quanto riguarda i termini geografici e i geonimi.
La toponomastica come disciplina autonoma, cioè indipendente dalla geografia e dalla storia e
con una metodologia linguistica, si divide in due rami. Un primo ramo si occupa dello studio
di toponimi particolari provenienti dall‟intero territorio nazionale. Altri studi tentano di
spiegare tutti i toponimi di una particolare regione o di una determinata area. Ad esempio, per
quanto riguarda la toponomastica regionale, contributi validi sono stati elaborati da Silvio
Pieri che ha proposto un modello di studio che metteva in risalto la necessità di una vasta
documentazione e una ricerca archivistica. Così Pieri (1898, 1919, 1969) ha illustrato molto
bene i toponimi della Toscana sottolineando l‟influsso del sostrato etrusco. Sulla scorta dei
1 Per l‟introduzione mi sono basato su: G.B. Pellegrini, Toponomastica, «I. Sviluppo delle ricerche
toponomastiche», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen,
Niemeyer Verlag, 1988, pp. 431-433.
10
lavori del Pieri, sin dall‟inizio del „900, numerosi studiosi si sono occupati della studio dei
toponimi delle varie regioni in particolare.
In generale, tuttavia, la toponomastica italiana non ha mai potuto raggiungere lo stesso livello
di sviluppo delle altre discipline linguistiche sul piano dell‟accuratezza e della completezza.
Solo pochissimi studiosi sono riusciti a trattare la toponomastica italiana in modo esaustivo:
inoltre i risultati delle ricerche toponimiche di uno studioso concordano di rado con quelli di
un altro e sono spesso incerti.
11
1. I sostrati2
1.1 Il sostrato preindeuropeo
Gran parte dei toponimi italiani derivano da nomi abbastanza antichi. Si tratta di toponimi che
traggono le proprie origini dai sostrati prelatini. Tuttavia, una concezione molto diffusa negli
studi toponimici francesi e italiani suppone l‟esistenza di un sostrato preindeuropeo, o
„mediterraneo‟ per V. Bertoldi3. Questa tesi poggia sul fatto che tra il 1500 e il 500 a.C. delle
tribù preindeuropee (se possiamo credere gli autori classici si tratterebbe degli antichi Liguri)
avrebbero occupato l‟area mediterranea. Secondo Bertoldi ed altri la loro lingua sarebbe
all‟origine di parecchi idronimi e termini fitonimici o geonomastici. Queste spiegazioni
semantiche rimangono però ipotetiche perché poggiano troppo su ricostruzioni fonetiche. Così
Pellegrini ci ammonisce che «alle interpretazioni „mediterranee‟ si può – e vero – muovere
assai spesso l‟appunto che esse si fondano, in molti casi, su equazioni soltanto apparenti o su
formanti ritenuti eccessivamente indicativi, con la concessione di alternanze vocaliche o
consonantiche non sempre controllabili, e spesso semplicistiche o erronee, di comodità
strategica. Assai più valido è il metodo che si propone di individuare l‟identità di intere parole
alle quali è più verosimile di attribuire un significato concreto, piuttosto che appoggiarsi
unicamente a temi o radici»4. Con più certezza possiamo fissare le origini prelatine dei
idronimi e dei nomi di città antiche che sono attestati nei testi di autori greci e latini (ad
esempio Plinio il vecchio per la Campania) o che ritroviamo nei graffiti o nelle iscrizioni
antiche.
2 Per la storia della lingua mi sono basato su: E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco,
2005. 3 Il sostrato mediterraneo di Bertoldi corrisponde al sostrato „iafetico‟ del linguista russo N. Marr. Secondo
quest‟ultimo l‟area del sostrato si espande dai Pirenei alla Caucasia. Secondo W. Von Wartburg un popolo di
origine nordafricano (i dati linguistici puntano nella direzione degli Iberi) avrebbe rotto quest‟unità linguistica
mediterranea. 4 G.B. Pellegrini, «Toponimi ed etnici nelle lingue dell‟Italia antica», in: A.L. Prosdocimi (a cura di), Lingue e
dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p. 82.
12
1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica5
A partire del X secolo a.C. entrano in Italia varie popolazioni che non mancano di esercitare
un‟influenza sulla lingua e le cui tracce sono ancore oggi manifeste nella toponomastica
italiana.
Prima del X secolo a.C. alcune zone d‟Italia erano occupate da due popoli di cui oggi non
sapiamo molto: i Liguri e gli Iberi. I primi, probabilmente di origine preindeuropea
occupavavano l‟area costiera tra Massilia (Marsiglia) e La Spezia (più o meno l‟area della
Liguria odierna). Gli altri, di origine nordafricana, occupavano la Sicilia e la Sardegna. Dalla
forma ligure-leponzia *GWHORM („caldo‟) derivano i toponimi Bormio (Lombardia), Aquae
Bormidae e Bormida (Liguria). Dal sostrato iberico deriva il suffisso –essos in toponimi come
Herbessos (Sicilia) (cfr. in Spagna, Tartessos)6.
Intorno al X secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le Alpi in due ondate. Prima del X
secolo a.C., i Protolatini si spinsero in Italia fino alla Calabria odierna occupando anche la
Sicilia alla quale diedero il loro nome (furono infatti i Siculi a conquistare la Sicilia). Furono
inoltre i Protolatini a dare alla penisola il suo nome Italia. Tale nome che designava all‟inizio
solo la parte centro-meridionale della penisola, deriva da Italus, il dio toro dei Protolatini e
significa „terra piena di bestiame‟.
Nel X secolo a.C., il secondo gruppo, gli Osco-Umbri, attraversarono le Alpi e si stabilirono
intorno a Bologna da dove si espansero verso il Sud, dividendo così il territorio protolatino in
due parte: la Sicilia e il Lazio. L‟osco, il dialetto dei Sanniti, era parlato da Roma alla
Campania. Cionondimeno è una lingua attualmente quasi sconosciuta. In Campania sono
scoperte delle iscrizioni, tra l‟altro un trattato fra due città e la legge municipale della città di
Bantia (che comprende 400 parole in osco) che risalgono ad un periodo compreso tra il III e il
I secolo a.C. come confermano alcuni graffiti trovati a Pompei. L‟osco fu la lingua ufficiale in
varie città dell‟Italia centro-meridionale (come Capua in Campania), fino al II secolo a.C.,
quando perse il suo prestigio e sparì, non senza però lasciare delle tracce. Il toponimo Nuceria
Alfaterna (Campania) ad esempio, si richiama all‟aggettivo umbro *NOUKRIA, *NOKRIA („la
nuova‟). Pompei (Campania) < Pompeji riprende il numerale osco pompe, „cinque‟ alludendo
alle cinque borghi di cui l‟antica città di Pompei era composta7.
5 Cfr. Carta I.
6 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «II. Gli Studi sul sostrato», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 433. 7 Ivi, p. 434.
13
Un secolo dopo, gli Etruschi, un popolo di origine incerta, fondarono un regno a nord del
Lazio fermando così l‟espansione osca. Tra il 800 e il 400 a.C. il loro regno si estese da
Bologna alla Campania. Vari nomi di città dell‟Italia centrale risalgono a questo sostrato
etrusco, come quello della capitale, per cui i toponomasti propongono due spiegazioni: Roma
< Rumon, altro nome per il Tevere; romanus dovrebbe essere stato l‟equivalente di „fluviale‟.
Oppure, Roma < ruma, „mammella‟, (cioè „colle‟), con riferimento allora al Palatino8.
Nello stesso secolo i Greci si stabilirono nelle zone costiere della Sicilia, della Calabria e della
Campania fino a Napoli. Popolo marinaro, i Greci occupavano le coste e senza penetrare mai
l‟entroterra. Dal VII al III secolo a.C. il greco servi come lingua di cultura nell‟Italia
meridionale. Il nome del capitale della regione di Campania deriva dal sostrato greco: Napoli
(Campania) < Νεάπολις (cioè „città nuova‟)9.
Prima dei Greci i Fenici avevano qualche colonia in Sicilia, ma questo popolo potè far sentire
la propria influenza solo sporadicamente: Tharros (Sardegna) < Tiro (nome fenicio), cfr. ebr.
zar „roccia‟, „scoglio‟10
.
Dopo il 1000 a.C. due popoli di origine illirica attraversarono il mare Adriatico. I primi, i
Veneti, occupano le coste dell‟odierno golfo di Venezia. Una traccia del sostrato veneto
sarebbe riscontrabile nel suffisso –este, presente in toponimi come Trieste (in Friuli-Venezia
Giulia). I secondi, i Messapi, occuparono Puglia. Al sostrato veneto appartiene tra l‟altro
Vicetia, „Vicenza‟ (Veneto) cfr. lat. VICUS, gr. οἶ κος, ‟insediamento‟11; a quello dei Messapi
appartengono i toponimi pugliesi Brindisi e Taranto.
A partire del 400 a.C. i Celti, un popolo proveniente dalla Germania meridionale, attraversò le
Alpi cacciando via gli Etruschi dalla pianura padana. Al sostrato gallico risale il nome Milano
< Mediolanum („la pianura di mezzo‟) < gall. *LANUM („pianura‟)12
. Nel 387 a.C. i Celti
assediarono Roma ma, incapaci di prendere il Campidoglio, si ritirano nella pianura padana
occidentale, da dove cacciarono via una parte della popolazione etrusca nelle Alpi, i Reti.
Ecco perché certi toponimi nelle Alpi svizzere portano il suffisso etrusco -enna (Clavenna,
Parsena). Inoltre, i nomi di alcuni comuni altoatesini come Vipiteno hanno un‟origine etrusca:
Vipitenum < personale etr. Vipiθenes13
.
Viste le tante migrazioni nell‟Italia prelatina e la costellazione di sostrati che ne risulta, non
meraviglia la grande varietà diatopica dell‟italiano attuale. È nella toponomastica – i nomi di
8 Ivi, p. 433.
9 Ivi, p. 434.
10 Ibidem.
11 Ivi, p. 433.
12 Ibidem.
13 Ibidem.
14
luoghi sono degli elementi più stabili di una lingua - che questa frammentazione linguistica,
dovuta ai sostrati, ha persistito meglio.
2. Toponimi di origine latina
15
2.1 Latinizzazione della penisola14
Benché i sostrati abbiano fatto sentire il proprio influsso, è il latino a marcare di più la
toponomastica italiana. La storia del latino comincia verso 800 a.C.. In quest‟epoca il latino
era un dialetto parlato a Roma, come lo erano anche l‟osco-umbro e l‟etrusco. Tra il 700 e 500
a.C. gli Etruschi erano il gruppo etnico dominante a Roma. Nel 509 a.C., quando i romani
spodestarono l‟ultimo re etrusco, Tarquinio il superbo, finì l‟egemonia etrusca. Tutto questo
però non sarebbe mai stato possibile senza l‟invasione dei Celti che, a partire dal 400 a.C.
misero gli etruschi sotto pressione. Un altro fattore importante fu la guerra civile tra Mario e
Silla nel 82 a.C. in cui la nobiltà etrusca sotto la guida di Mario dovè soccombere per mano
dei romani di Silla. Non è il merito di Silla aver messo fine al potere etrusco anche se fu lui a
dare agli Etruschi il colpo di grazia. Lo stesso successe con gli Osco-Umbri qualche anni
prima, con la guerra sociale dal 91 al 88 a.C..
Seguirono poi le guerre dei romani contro i Sanniti (alla fine del IV secolo a.C.).
L‟espansione nel meridione continuò nel 275 a.C., quando il re Pirro perse la guerra con i
Greci della Magna Graecia contro i romani. Tuttavia i romani, per avendo vinto sul piano
militare, non furono mai in grado di cancellare completamente il greco e la cultura greca
nell‟Italia meridionale.
Nel 241 a.C. fu annessa la Sicilia, tre anni dopo la Sardegna. Nel 191 a.C. venne inglobata la
Gallia Cisalpina e con l‟annessione della Liguria nel 154 a.C. i romani giunsero a controllare
il territorio dell‟Italia attuale.
Si potrebbe dire che, in Italia, si continuò a parlare latino fino all‟800, quando colla
rinascenza carolingia nacque la coscienza che il latino si era ormai differenziato in varie
lingue diverse. Non meraviglia dunque che durante questi sedici secoli il latino abbia marcato
in modo irreversibile la toponomastica italiana.
2.2 I registri dei toponimi latini
14
B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 6-10.
16
I toponomi di origine latina sono facilmente riconoscibili perché sono quasi tutti composti da
un lessico di base. Inoltre, è possibile collocare i toponimi latini in alcune categorie principali.
In primo luogo, ci sono i toponimi che si riferiscono alla vita pubblica, con molti derivati di
FORUM, „piazza pubblica‟, come San Giovanni di Porfiamma (Foligno) che deriva da FORUM
FLAMINII15.
Nella stessa categoria possiamo collocare i toponimi che alludono alla vita religiosa, ad
esempio i derivati di FANUM, „luogo sacro‟, „tempio‟, come i numerosi comuni italiani col
nome Fano, soprattutto in Toscana16
.
Poi ci sono i toponimi che derivano dalla numerazione delle pietre miliari. Così si incontrano
in Italia nomi come Terzo < AD TERTIUM LAPIDEM, Quarto, Cinto e così via17
, ad es. Terzo di
Mezzo (Campania, nella provincia di Salerno), quatro chilometri a est di Eboli; Quarto
(Campania), sei chilometri a ovest di Napoli ecc. Meno frequenti sono i casi che superano
dieci, ad es. Quintodecimo (Benevento), ma non si è sicuro che si tratti di un toponimo tratto
da una pietra miliare18
.
Ci sono inoltre toponimi che alludono all‟agrimensura. Si tratta di toponimi che derivano tra
l‟altro da CENTURIA, „una misura di cento iugeri‟, come Centòja, Centòje in Toscana o
Centòra, Centòre altrove, e che derivano da CANNABULA, „un fosso di scolo per prosciugare i
fondi‟, come Canabbia (Toscana)19
.
2.3 I suffissi latini
L‟ultima tra le categorie principali è composta da quei toponimi che esprimono una proprietà
fondiaria. Si tratta principalmente di questi nomi che comprendono il suffisso –ano, preceduto
da un nome proprio. In latino il suffisso –anum si combinava spesso con un „nomen gentile‟ o
un „cognomen‟ per esprimere un‟appartenenza, ad es. fundus Vettianus - uno dei composti
nome + anum nella Tabula Alimentaria di Veleia trovata a Piacenza, Emilia-Romagna - cioè
15
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435. 16
Ibidem. 17
Ibidem. 18
G.B. Pellegrini, «Osservazioni di toponomastica stradale», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia,
struttura, società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 218-219, 225. I toponimi che derivano da pietre miliari sono da
collocare nella toponomastica stradale (cfr. infra). 19
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435.
17
„la tenuta della stirpe Vettia‟. Carmignano (Padova, Veneto) < CARMINIUS e Caverzano
(Belluno, Veneto) < CARMINIUS, testimoniano ancore di questa formazione20
.
Salta agli occhi che questo suffisso -anum > -ano si incontra in tutta Italia, salvo che
nell‟estremo Sud della Calabria, nella Sicilia e nella Sardegna. Nell‟Italia meridionale, cioè
l‟area che corrisponde più o meno alla Magna Graecia, dove si è fatto sentire l‟influsso greco,
il suffisso –anum > -ano ha fatto posto per quello greco -óς-anò come in Cagnanò
(Sicilia) < CANIUS, Gallieianò (Calabria) < GALLICIUS21
.
Si osserva che anche i toponimi che risalgono ai sostrati prelatini esprimono spesso
un‟appartenenza e che ognuno di questi sostrati è all‟origine di un suffisso che può essere
preceduto dal nome del possessore. Così, nell‟Italia settentrionale si incontrano toponimi che
finiscono con i suffissi -ago < -acus, ad es. Giussago (Pavia) < JUSTIACUS, JUSTIUS; -ach < -
acus, ad es. Cugnàch (Sedico, Belluno), colla vocale finale caduta < COVINIUS; -acco < -
acus, ad es. Adegliacco (Friuli Venezia Giulia) < *ALLIACU, ALLIUS22. Probabilmente i
suffissi derivanti da -acus, -acum sono di origine celtica, analoghi a quelli che si osservano
nella Francia centro-meridionale: cfr. Cognac, Armagnac, Bergerac ecc., corrispondenti nella
Francia settentrionale ai suffissi -y, -ay < -iacum, ad es. Orly < AURELIACUM (cfr. Aurillac
nella Francia centrale)23
.
Suffissi collo stesso senso sono -ate, molto frequente in Lombardia, ad es. Lambrate e -en(n)a
e -inus probabilmente di origine etrusca, ad es. Bibbiena (Toscana)24
.
Il suffisso -asco < -ascus, ad es. in bergamasco (di Bergamo), comasco (di Como) ecc.,
merita particolare attenzione. Come i suffissi -anus e -acus, anche -asco si aggiunge a nomi di
persone e esprime un‟appartenenza. Ma per quanto riguarda la sua origine non esiste una
unanimità tra i toponomasti. Vista l‟alta frequenza del suffisso nel nordovest dell‟Italia, alcuni
come Giovanni Flechia (1873), suppongono una provenienza ligure. Il fatto però che il
suffisso –asco si trovi anche nel territorio ladino, ha spinto alcuni linguisti a propendere per
un‟origine celtica o indoeuropea. D‟altro canto, la prima attestazione del suffisso in
un‟iscrizione genovese del 117 a.C., elenca i fiumi Neviasca, Vinelasca, Veraglasca e
Tudelasca e sembra rinforzare l‟idea di una provenienza ligure. Inoltre anche in Corsica,
20
Ibidem. 21
Ibidem. 22
Ibidem. 23
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 38. 24
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 436.
18
antico territorio ligure, si incontrano nomi geografici quali Aragnasco, Grillasca, Giuvellasca,
Palasca e Venzolasca25
.
Secondo la tesi proposta dai sostenitori di un‟origine ligure il suffisso -asco sarebbe stato
preso in prestito dai Celti e poi dai Romani, che avevano già assunto suffisso celtico -acum. I
Romani accordavano ad -asco una funziona analoga a quella di -ano e -ago, come si verifica
nei doppioni Arnasco / Arnano, Arnago < ARNIUS; Calvignasco / Calvignano < CALVINIUS;
Maiasco / Maiano < MAIUS ecc26
.
2.4 Gli arcaismi
Varie voci che esistevano nel latino volgare non si sono mantenute nelle lingue romanze.
Spesso queste parole venivano sostituite da termini innovativi o da parole con una
connotazione diversa. Tra queste parole possiamo collocare ad esempio la parole per
„cavallo‟, EQUUS („destriero‟), che nel latino volgare viene soppiantata dalla parola
spregiativa CABALLUS („ronzino‟) che risulta in it. cavallo, fr. cheval, prov. cat. cavall, sp.
caballo, port. cavalo, rum. cal. Altre termini vengono sostituiti da due o più forme, ad es.
l‟aggettivo PULCHER che nelle zone periferiche cede il posto a FORMOSUS: sp. hermoso, port.
formoso, rum. frumos mentre nelle aree centrali è l‟aggettivo BELLUS che s‟impone: it. bello,
fr. bel / beau27
.
Si osserva anche una differenza tra zone periferiche, che sono generalmente più conservatrive,
e zone centrali, che tendono a essere più innovative. Così si può incontrare in lingue
periferiche parole che non esistono più nelle lingue centrali, ad es. MAGNUS („grande‟) e
DOMUS („casa‟) che nel Sardo risultano in mannu e domu, parole che non continuano nelle
altre lingue romanze28
.
È dunque nel linguaggio conservativo che persiste un lessico arcaico. Ecco perché anche la
toponomastica – come si è detto, i nomi di luoghi sono tra gli elementi linguisticamente più
stabili – può servirci come una fonte per la conoscenza del lessico arcaico. Inoltre la
toponomastica ci permette anche di ricostruire meglio i confini dei sostrati e dei superstrati.
Ciò fa di essa una vera disciplina linguistica e non esclusivamente una disciplina storico-
25
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 39. 26
Ivi, p. 39-40. 27
G.B. Pellegrini, «Toponomastica e lessico arcaico», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia, struttura,
società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 286-287. 28
Ivi, p. 287.
19
geografica29
. Alcuni esempi di parole latine che non sopravvivono nelle lingue romanze ma di
cui possiamo ancora distinguere le tracce in parecchi toponimi sono ACERNUS (aggettivo
significante „di acero‟) > Acèrno (Campania), AGELLUS („campicello‟) > Aiello del Sabato
(Campania), ARX, ARCE („rocca‟, „altura‟) > Arce (Campania, presso Caserta), BASILICA
(„chiesa‟) > Baselice (Campania), CENTURIA („misura di cento iugeri, poi di duecento‟) >
Centora (Campania, presso Aversa), MAIOR, -ORE („maggiore‟) > Frattamaggiore
(Campania), SUBSICIVUM („particella di terreno che rimane esclusa della misurazione di una
centuria‟) > Succivo (Campania), THERMAE („bagni caldi‟) > Telese Terme (Campania),
VETUS, -ERIS („vecchio‟) > Castelvetere sul Calore (Campania)30
.
29
Ivi, pp. 297-298. 30
Ivi, pp. 288-297.
20
3 I superstati
3.1 Le invasioni barbariche
All‟inizio del X secolo l‟impero romano è ormai sfaldato dalle tante tensioni e le popolazioni
slave e germaniche coglono l‟occasione per espandersi nei suoi confini.
Nel 406 i Vandali lasciarono l‟Ungheria per la penisola iberica, ma nel 410 furono cacciati via
dai Visigoti, dagli Svevi e dagli Alani e furono costretti ad attraversare il Mediterraneo verso
l‟Africa, da dove occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Baleari. Nel 406,
cominciò anche l‟espansione dei Burgundi, un popolo proveniente della Germania
settentrionale, che, respinti dai Romani, si stabilirono nella Savoia e nella parte confinante
della Svizzera. Nello stesso periodo gli Alamani occuparono la Svizzera settentrionale, dove
alcuni anni dopo si stabilirono anche i Bavari, costringendo la popolazione romana di ritirarsi
nelle Alpi. Infine, nel 411, l‟esercito romano in Britannia si vide sconfitto dalla popolazione
anglosassone e poco dopo i Celti furono respinti verso l‟est.
All‟inizio del V secolo l‟impero romano era ormai ridotto alla sola penisola italica; la caduta
avvenne nel 476, quando Odoacre, il re degli Eruli, una piccola tribù germanica, depose
l‟imperatore d‟Occidente Romolo Augustolo. Il suo regno fu però di breve durata perché già
nel 493 Odoacre fu sconfitto dagli Ostrogoti di Teodorico a Ravenna. Il dominio di
quest‟ultimo resistè fino a 526, quando l‟imperatore dell‟oriente Giustiniano cominciò dalla
Sicilia la riconquista della penisola italica che finì nel 555. Nel frattempo si veniva
consolidando il regno dei Franchi sotto la guida di Clodoveo.
Nel 568 i Longobardi, respinti dalle popolazioni Slave dall‟area dove si trova oggi l‟Ungheria,
trovarono la pianura padana indifesa. Durante i due secoli seguenti occuparono quasi tutta la
penisola. Pavia diventò la capitale del regno longobardo. I Longobardi però, non riuscirono
mai a conquistare il sud. Il loro regno si estese fino a Benevento (Campania), ma il resto del
territorio meridionale (fino a Napoli) e le due isole rimasero bizantini. Carlo Magno sconfisse
definitivamente i Longobardi nel 773-774.
Nel IX secolo, la Sicilia, sempre dominata dai Bizantini, venne invasa dagli Arabi che
riuscirono a sottomettere i Bizantini in una guerra che durò quasi un secolo. Nello stesso
tempo attaccarono le coste dell‟Italia meridionale, senza riuscire ad imporre un proprio regno
durevole (salvo a Malta). Nella seconda metà del XI secolo gli Arabi furono cacciati via dai
Normanni invocati dai Bizantini. I Normanni fondarono in Sicilia un regno durevole che si
21
estendeva anche sulla penisola. Per quanto possa sembrare strano i Normanni furono in grado
di vivere in Sicilia in perfetta armonia con gli Arabi fino al XIII secolo.
Nell‟Italia meridionale troviamo anche alcuni stanziamenti albanesi. Nel XV secolo, gli
albanesi, in fuga dall‟espansione turca, sbarcavano a ondate in Calabria. Coinvolti come
mercenari del re di Napoli, ottennero terre e alcuni privilegi.
3.2 I toponimi postlatini
Numerosi sono i toponimi che si richiamano ai popoli che hanno invaso la penisola italica nel
periodo postlatino. Ad es. Alagna (Lombardia) < ALANI, Soave (Piemonte, Veneto) < SVEVI,
SVAVI, Sassinoro (Emilia-Romagna e Campania, presso Benevento) < SASSONI, Burgondi
(Pavia) < BURGUNDI ecc31
.
Ancora più numerosi sono i toponimi che si riferiscono alla presenza dei Goti, ad es. Castello
di Gòdego (Treviso), Gòdeghe (Vicenza), Goito (Mantova) ecc., e per quanto riguarda l‟Italia
meridionale Sant’Agata dei Goti (Campania, presso Benevento). Onnipresenti nella
toponomastica italiana sono inoltre i derivati longobardi ad es. FARA „insediamento di una
comunità di viaggio longobardo‟ (soprattutto nell‟Italia settentrionale) > Farra d’Isonzo
(Friuli Venezia Giulia), Farra d’Alpago (Belluno) e così via; BERG „monte‟ > Perga, Berga,
Valperga; GAHAGI „luogo chiuso da siepe‟, „bosco‟ > Caggiano (Campania); SALA „corte‟,
„casa padronale‟ > Sala Consilina (Campania, presso Salerno)32
.
L‟influsso bizantino sulla toponomastica dell‟Italia meridionale è abbastanza considerevole,
soprattutto per quanto riguarda le due isole e la Calabria. Osserviamo tra l‟altro Cefalù
(Sicilia) che esiste nel greco classico e che tramite il bizantino ha formato il toponimi attuale,
Kefaloύd(i)ojCefalà Diana Calatafimi qal
cat fïmi „la rocca di Eufemio‟ o qasr > Càssaro (Palermo).
Particolare interesse meritano i casi di paronomasia come Caltanissetta. L‟antico nome di
questa città era Nis(s)a (abitata dai Nisseni) che viene interpretato dagli Arabi come nisā, il
plurale arabo per „donne‟. La parola araba per designare la loro cittadella era allora qalcat an-
31
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «V. Toponimi di origine postlatina», in: G. Holtus, Lexicon der
Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 437. 32
Ibidem. 33
Ivi, pp. 437-438.
22
nisā > Caltanissetta, cioè „castello delle donne‟. Lo stesso è successo per quanto riguarda
Ἕννα, Henna (Castrum Ennae) che veniva interpretata dagli Arabi come Yannah, Yanni cioè
Ioanni, Giovanni. Così troviamo attestato nel 1091 un Castrum Ioannis, nel 1142 kάstrou
iwάnnou, nell‟arabo qasr yānah, che diventa più tardo Castrogiovanni34
.
Potremmo elencare i tanti esempi di toponimi siciliani che hanno subito l‟influsso arabo, ma
lo scopo qui è semplicemente quello di evidenziare l‟impatto enorme – ma non sorprendente,
dato che gli Arabi hanno vissuto durante cinque secoli nella regione - della civiltà araba sulla
Sicilia. Il fatto che gli Arabi siano stati in grado di modificare ancora nel Medioevo la
toponomastica siciliana, mette in risalto la loro importanza linguistica e culturale per l‟Italia
meridionale.
Per quanto riguarda la presenza albanese nell‟Italia meridionale, tracce chiare di tali
insediamenti si possono trovare nella toponomastica di questa zona: cfr. S. Cosmo Albanese
(Calabria), Falconara Albanese (Calabria)35
.
34
Ivi, p. 438. 35
E. Finamore, I nomi locali italiani, Rimini, Edizioni Nuovo Frontespizio, 1980, p. 8.
23
4. Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi
Come ho già fatto notare sopra, certi termini geonomastici risalgono a tempi abbastanza
antichi. Si tratta di nomi di corsi d‟acqua detti „idronimi‟, di nomi laghi o „limnonimi‟ e di
nomi monti o „oronimi‟. Nell‟ottica di una datazione di questi termini geonomastici dobbiamo
inanzittutto fare una distinzione tra gli idronimi da un lato e i limnonimi e gli oronimi
dall‟altro. Generalmente gli idronimi sono più vecchi degli oronimi visto che i corsi d‟acqua
erano in tempi remoti quasi le uniche vie di communicazione e di circolazione. Dunque
spesso i nomi dei corsi d‟acqua derivano da strati molto antichi, non di rado indeuropei, cioè
prelatini. ad es. Serio (Lombardia) < Sarius < la radice iendeuropea *SER-/*SOR- „scorrere‟
(cfr. Sarca (Lago di Garda)); Àbano (fonte termale di) < APONUS < la radice indeuropea *ap-
„acqua‟, „fiume‟; Arno < la radica indeuropea *er-/*or- „mettere in movimento‟, „agitare‟ (cfr.
l‟Arne, un‟affluente della Suippe in Francia, nel dipartimento della Marna). Però questi
idronimi non si sa da quale sostrato derivino precisamente. Si può solamente dire da quali
strati provengano le modificazioni che hanno subito. Di altri idronimi italiani, spesso
settentrionali, i toponomasti hanno potuto precisare l‟origine. Ad es. Reno (Emilia-Romagna),
probabilmente di origine celtica *REINOS36.
H. Krahe37
, ha fatto uno studio sugli idronimi dell‟Europa centro-settentrionale e ha potuto
distinguere alcuni suffissi ricorrenti in parecchi idronimi di origine indeuropea. Tuttavia gran
parte dei toponomasti italiani e francesi non condividono le sue tesi. Krahe individua tra
l‟altro il suffisso -nt(ia) come in Aventia > Avenza (Carrara) (cfr. Avena (Calabria)) in cui si
riconosce la radice *av-/*au- „fonte‟, „corso di fiume‟38
.
Uno studio molto interessante sull‟idronomia è stato fatto dal linguista tedesco Gerhard
Rohlfs (1972). Egli individua differenti categorie di provenienza dei nomi di fiumi. Così
parecchi fiumi e torrenti prendono il nome di animali, ad es. Drago (Sicilia), Dragone
(Toscana), Serpente (Sicilia), Grue (Lombardia), Cervo (Piemonte), Corvo (Campania),
Cicogna (Veneto) ecc. Lo stesso vale per gli oronimi, ad es. Aquila (Calabria), Monte Corvo
(Sicilia), Monte Porco (Campania), Monteleone (Umbria, Campania) ecc39
.
36
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 438. 37
H. Krahe, Unsere ältesten Flussnamen, Wiesbaden, Harrassowitz, 1964, (citato in G.B. Pellegrini,
Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano,
Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439.) 38
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439. 39
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 46.
24
Anche i nomi di divinità possono apparire in oronimi o idronimi, come avviene nei
numerosissimi monti con il nome Monte Giove (Piemonte, Lombardia, Toscana, Abruzzo,
Calabria) e nei tanti oronimi nell‟Italia settentrionale che si richiamano alla dea romana
Minerva: Minerbe (Verona), Minerbio (Bologna), Manerbio (Brescia) < Minervium „tempio
di Minerva‟ e in Calabria c‟è un fiume dal nome Mércure. In vari nomi di paesi nell‟Italia
meridionale si riconosce il nome di Ercole. Sono le tracce di un antico culto erculeo in questi
regioni, Ercole (Campania), Erchie (Campania, presso Salerno), un paese omonimo si trova in
Salento40
.
Molto particolare appare anche l‟idronimia degli affluenti, di cui i nomi sono spesso composti
dal nome del fiume in cui escono e un suffisso diminutivo che ci si aggiunge. Ad es.
l‟affluente del Tàmmaro (Campania, Benevento) si chiama la Tammarecchia, quello del
Tevere si chiama il Teverone e i due fiumiciattoli che si uniscono nel Crati (Calabria) si
chiamano il Cratone e il Craticchio41
.
Secondo lo stesso Rohlfs, alcuni limnonimi prendono origine da credenze popolari. Si tratta
soprattutto di laghi che si trovano in aree disabitate e inospitali. In Sardegna esiste un Riu de
Giana „fiume della strega‟ (Giana < sard. jana „strega‟ < Diana), cfr. il nome del torrente
Janare (Campania, presso Benevento); in Calabria c‟è un fiume che si chiama Satanasso; in
Sicilia troviamo il fiume Madredonna < Mater domina < Mater matrona, che si riferisce
probabilmente all‟antico culto della dea Cibele42
(cfr. la Via Matromania (Capri): < la grotta
di Matromania, luogo di venerazione della dea Cibele)43
.
Non si deve poi dimenticare che, non di rado, la presenza di un fiume, di un monte o un lago
può anche riflettersi nei toponimi delle località limitrofe. Si osservano i toponimi come
Fiume, Flúmene (Sardegna), Lago, Poggio, Rocca, che in certi casi sono specificati da un
aggettivo che segue come in Fiumefreddo, Flúminimaggiore (Sardegna), Lagonegro,
Poggioreale, Roccaforte, o come avviene di norma nella toponomastica francese centro-
settentrionale, precede il nome: cfr. Altomonte, Belmonte. Spesso i toponimi di questo tipo
comprendono un suffisso diminutivo per esprimere la dimensione Roccella (Calabria),
Rocchetta (Liguria), Monticello (Piemonte), Fiumone, Petrone ecc44
.
40
Ivi, p. 47. 41
Ibidem. 42
Ivi, pp. 47-48. 43
G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia,
Firenze, Sansoni, 1972, p. 101. 44
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 32.
25
Elementi ricorrenti nella toponomastica delle aree montagnose sono Motta „monte con cima a
cupola‟, Serra „catena dentellata‟ (cfr. Serre in Campania), Morra „massa rocciosa‟ (cfr.
Morra de Sanctis in Campania) e Penna „cima‟, cioè elementi che alludono all‟aspetto delle
formazioni montagnose. Frequentissimi nell‟area appenninico meridionale (Campania,
Abruzzo) sono le forme peschio, pesco, cioè „roccia‟, e i loro derivati, ad es. Pesco
Lombardo, Pescopagano ecc. Altre forme costante sono péntima „rocca grande‟ (cfr. Péntima
in Abruzzo), ed altri toponimi che alludono alla forma delle montagne Montepertuso „monte
perforato‟ (Campania), Pettinascura „pettine oscuro‟ (Calabria). La vicinanza di un palude o
un avvallamento risulta in toponimi composti dalla forma pugliese lama, cioè „avvalamento
umido e paludoso‟, ad es. Lama dei Peligni (Abruzzo), Lamalunga (Puglie), Lamatorta
(Puglie) e così via45
.
Viene anche frequentamente incorporata nei toponimi la nozione di „cavo‟ (grotta), ad es.
Grotte (Sicilia), Sperlonga (Campania), Sperlinga in Sicilia (dove una parte della popolazione
vive ancora in abitazioni scolpite nelle grotte), Spílinga (Calabria) < lat. spelunca < gr. ant.
spή lugga‟cavità‟46.
Anche la vicinanza di un fiume,di un lago, di un sorgente minerale o un bagno può essere
determinante per certi toponimi, ad es. Piedilago (Campania), Bagnoli (Campania), Pozzuoli
(Campania) < lat. puteoli47
.
45
Ivi, p. 33. 46
Ibidem. 47
Ivi, p. 36.
26
5. Toponomastica medievale
5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica
Di particolare interesse per lo studio della storia culturale appare la toponomastica sacra, cioè
i nomi dei luoghi, spesso di piccole località, in cui figura un nome di un santo o di una santa.
Si osserva questo tipo di toponimi non prima dal VI secolo, cioè quando la fede cristiana si
era abbastanza diffusa. All‟inizio questi toponimi erano accompagnati dalle forme sanctus (o
sancta) e domnus (o domna). Quest‟ultima forma figura ancora nella toponomastica francese
agglutinata al nome del santo in toponimi del tipo Domrémy, Dompierre, Domgermain,
Dampierre, Dammartin, Donnemarie, Dannemarie ecc. Toponimi di tale formazione non
occorono in Italia. Però nella toponomastica dell‟Italia meridionale (Dompetrizzi, Don
Gennaro, Don Giovanni...) e di Sardegna (Don Antiogu, Don Efisi) è molto frequente l‟uso
dell‟appelativo „don‟ (cfr. la toponomastica spagnola), ma non si è sicuro che esso si riferisca
a un santo. Ciononostante si sa con maggiore certezza che appartengono alla toponomastica
sacra i nomi introdotti dalla forma femminile domina, come ad es. nella chiesa di
Donnaromita a Napoli48
.
Nell‟Italia meridionale, presso gli insediamenti greci, parecchi nomi di località comprendono
le particelle ajo e as che risalgono al greco ἅ giojla forma equivalente del latino sanctus.
Però i toponimi di questo tipo si limitano alla Calabria meridionale, ad es. Ajom Betro „San
Pietro‟, Ajo Nicola, Ajo Laurendi ecc. e alle Puglie, ad es. As Antoni o nell‟accusativo An
Antoni, An Jako, An Aloi. Ogni tanto, tali particelle sono difficilmente riconoscibili, come in
Accisári „San Cesario‟ (Calabria) e Addunao „San Donato‟ (Calabria)49
.
Appartengono alla stessa categoria i toponimi nell‟Italia meridionale che sono composti da
una forma derivata del greco ύrioj ‟domnus‟ (nel senso di „sanctus‟), come il monastero di
Cersosimo < Cyr Zosimo < ύrioj Zώsimoj (Lucania) o i toponimi calabresi Cernostasi (<
Anastasius), Cerantoni (< Antonius), Ceramarta (< Martha)50
.
Non di rado, visto l‟uso frequente in Italia di forme vezzeggiative per i nomi propri, è difficile
determinare i nomi santi da cui certi toponimi derivano, ad es. San Mommé (Toscana) < San
Tommaso. Si considera anche le numerose forme aferetiche (caratterizzate dalla caduta di una
sillaba all‟inizio di una parola) o apocopate (con caduta di una sillaba alla fine della parola)
48
G. Rohlfs, «Nomi di santi nella toponomastica italiana (Hagiotoponomastica)», in: id., Studi e ricerche su
lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 75-76. 49
Ivi, p. 76. 50
Ibidem.
27
come San Boldo (Friuli) < Uboldo < Ubaldus, Sant’Aponal (nome di una chiesa veneziana) <
Sant‟Apollinare, Santa Stasia (Campania) < Sant‟Anastasia ecc51
. In vari altri casi, si osserva
una connotazione simile nelle costruzioni con suffissi vezzeggiativi affettuosi (sovente
diminutivi) come in San Giovanniello (Campania), Sant’Angiolillo (Campania)52
.
Come si è detto qui sopra, vari agiotoponimi subiscono tali modificazioni fonetiche (cfr.
infra) che, per chi non si intenda della materia, può risultare quasi impossibile riconoscere un
qualsiasi nome di santo. Si osservano ad esempio San Chiaffredo (Piemonte) < Santo
Theotfredus, San Forzorio (Sardegna) e San Rossore (presso Pisa) che sono tutti e due
riconducibili al santo Luxorius, e in Campania Sant’Elmo che si richiama al santo Erasmus53
.
Non di rado, anche l‟appelativo romanzo San(to) / Santa o quello greco hágios, si dissolve nel
nome del santo o della santa, ad es. Selino (Bergamo) „San Lino‟, Santhià (Piemonte)
„sant‟Agata‟, Marcellino (Lombardia) era anticamente San Marcellino e così via; del greco
hágios rimane una traccia (As-) in Aspalmo (Calabria), Asparmu (Calabria), che si è perso
completamente in Jacurso (Calabria) < santo gr. Akurios e Jòppolo (Calabria) < lat. Opulus <
santo gr. Euplos54
.
Anche il caso contrario, però, non è eccezionale. Può accadere cioé, che un qualsiasi
toponimo assuma ingiustamente l‟accezione „San(to)‟. Ciò è successo col nome del comune
campano di San Támmaro. Di questo preteso San Támmaro, considerato santo patrono anche
a Vico Pantano nel vescovato di Aversa, le fonti storiche non ci dicono niente. Secondo una
leggenda si tratterebbe di un santo che avrebbe vissuto prima in Africa e poi in Campania
(dopo l‟invasione africana dei Vandali). Durante il suo soggiorno campano sarebbe stato
vescovo di Benevento, dove avrebbe prestato il suo nome al fiume Támmaro (un affluente del
Calore). Più probabilmente però, un santo di nome Támmaro non è mai esistito ed è il fiume
che ha dato il suo nome a questo santo fittizio55
.
Spesso toponimi che iniziano per „san‟, vengono scorrettamente considerati come
agiotoponimi. In Campania, nella provincia di Benevento, c‟è una località che si chiama San
Genito. Benché un santo di nome Genitus sia attestato, San Genito è più probabilmente
ricalcato sul nome dato in varie regioni italiane al corniolo, sanguine, che dappertutto in Italia
risulta in toponimi dal tipo Sanguineto, Sangineto ecc56
.
51
Ibidem. 52
Ivi, pp. 83-84. 53
Ivi, p. 77. 54
Ivi, p. 79. 55
Ivi, p. 80. 56
Ivi, p. 81.
28
In altri casi esiste una confusione tra il maschile santo e il femminile santa, ad es. Santa Saba
(Calabria) dal santo Sabas, Santa Mama (Calabria) dal santo Mamas, Santa Jona (Abbruzzo)
dal santo Jonas, San Fosco (Campania, presso Benevento) da Santa Fosca57
.
Molte volte gli appelativi San(to) e Santa indicano un santo o una santa non attestato, ad es.
San Cisano (Campania, nella provincia di Avellino), San Puoto (Campania, nella provincia di
Caserta), Santa Commara (Campania), Santa Marena (Campania), oppure accompagnano
altri nomi come in Sansepolcro (Toscana), Santa Spina (Calabria), Santa Trinità
(Campania)58
.
Ho già accennato al fatto che l‟agiotoponomastica può fornire dati rilevanti per la ricerca
dialettologica. Così lo l‟evoluzione di un nome come Pancratius verso i toponimi San
Brancato (più volte nell‟Italia meridionale) o San Francato (Campania, nella provincia di
Salerno) illustra la sonorizzazione di certe consonanti sorde dopo un nasale nel dialetto
napoletano (cfr. infra per la metatesi di r). Ad esempio San Venditto e Santo Vendetto (tutti e
due in Campania) si richiamano di sicuro al santo Benedetto, visto che nel dialetto napoletano
una b in posizione iniziale evolve verso una v (cfr. infra)59
.
Ogni tanto tali evoluzioni foneticche risultano nella venerazione di un altro santo. Il comune
Sant’Oreste (nei Monti Sabini) ha ricevuto il suo nome nel Medioevo dal santo Eristus o
Aristus < (H)edistus. Però, dal momento in cui si è scoperto che, accanto al santo Eristus,
esisteva anche un sant‟Oreste, ambedue sono stati considerati come patroni del comune60
.
Occasionalmente due toponimi quasi omofoni (cioè con una minima differenza fonetica)
venivano considerati falsamente come riferiti a due santi diversi, come ad es. è avvenuto per i
toponimi San Nicandro (Campania) e San Licandro (Campania) in cui si tratta senz‟altro
dello stesso santo. Lo stesso vale per il doppione San Mango (Campania, Calabria) e San
Magno (Calabria)61
.
Un caso ancora più complesso e oscuro è quello del toponimo campano (anche a Lucania,
Salerno) San Chirico, che di solito viene ricondotto a Cyriacus < Kuriakό j volg.
Kurikό jTale derivazione suppone ipoteticamente che nell‟Italia meridionale la kgreca si sia
mantenuta davanti a una vocale palatale. Più probabile è la tesi di Gerhard Rohlfs (1972) che
fa risalire il nome Chirico a quello del santo greco Clericus che nell‟Italia meridionale si
57
Ivi, p. 82. 58
Ivi, pp. 82-83. 59
Ivi, pp. 78-79. 60
Ivi, p. 77. 61
Ivi, p. 78.
29
sarebbe dovuto assimilare a Cyriacus. L‟altra ipotesi di Rohlfs parte dal nome Quiriacus, che
per confusione da luogo alla forma Quiricus, che avrebbe risultato in Chirico62
.
Di particolare importanza socio-culturale è apparsa la ricerca della frequenza dell‟occorrenza
degli agionimi nei toponimi e la loro ripartizione sul territorio italiano. Nella toponomastica
italiana il nome Maria è il più frequente, appare 618 volte (44 volte nella toponomastica
francese), seguito da Martino (455 volte v. 238 volte in Francia), Giovanni (367 volte v. 162
volte in Francia) e Michele (274 volte v. 65 volte in Francia)63
.
Spesso vari agiotoponimi che alludono a uno stesso agionimo si limitano ad aree determinate
e sovente è possibile determinarne il centro di culto. Inoltre certi agiotoponimi occorrono
unicamente in una regione. In questo caso si tratta di aree abbastanza isolate come la Sicilia
(Sant’Alfano, Sant’Alfio, San Ciro, San Fratello) e la Sardegna (Sant’Alenixedda,
Sant’Angius, Sant’Antioco, Sant’Arvara, Sant’Arzolo, ecc. (la lista comprende 29 nomi))64
.
Il raffronto degli agiotoponimi permette anche di stabilire certi legami tra i regioni. Saltano
agli occhi le corrispondenze tra la Sardegna, la Corsica e Toscana. Vari agiotoponimi
occorrono in queste tre regioni mentre sono assenti nel resto dell‟Italia: Santa Reparata
(anche in Abruzzo), Santo Gavino, San Lussorio. La prima santa ha il suo centro di
venerazione in Toscana (Pisa, Firenze, Lucca), mentre gli ultimi due hanno il centro di culto
nella Sardegna. Nell‟alto Medioevo la Corsica ha dunque subito a turno l‟influsso toscano e
sardo65
.
Ho già messo in evidenza il contributo greco alla toponomastica dell‟Italia meridionale. Un
altro apporto è stato dato dai Normanni e dai Francesi. Parecchi agiotoponimi nell‟Italia
meridionale sono ricalcati su agiotoponimi francesi: si confrontino Sant’Etiena (Campania,
nella provincia di Salerno) v. Saint-Etienne, Sant’Aloia (Basilicata, nella provincia di
Lucania) v. Saint-Eloi (Eligius), Santo Mardo e Santo Metaro (Puglie, nella provincia di
Taranto) v. Saint-Mard e Saint-Médard (ant.) (Medardus) e così via66
.
5.2 Toponomastica urbana e stradale
62
Ibidem. 63
Ivi, p. 84. 64
Ivi, pp. 86-87. 65
Ivi, p. 88. 66
Ivi, p. 89.
30
Un altro tipo di toponomastica che prende origine nel Medioevo è la toponomastica stradale.
Da un lato, parecchi toponimi urbani risalgono all‟antichità. Dall‟altro, moltissimi sono stati
sostituiti da nuove forme nel corso del tempo. Spesso tali toponimi sono più trasparenti
rispetto a quelli antichi. Si tratta tra l‟altro di toponimi - spesso di minore rilevanza linguistica
- che tendono a immortalare persone illustri. Per quanto riguarda i toponimi antichi sono
frequentissimi i nomi che alludono all‟antica suddivisione delle città in terzieri o in quartieri
(per le piccole città), in sestieri, a partire dal XIII secolo e così via. Si pensi ad esempio alla
divisione in dodicesimi (per horae)67
.
Certi quartieri prendono nome dalla popolazione che ci vive. Così appare molto interessante
l‟etimo della parola ghetto. Il Ghetto era il quatriere veneziano destinato nel 1516 agli Ebrei.
All‟origine questo quartiere era un‟isoletta dove si fondevano („ghettavano‟) le bombarde68
nelle tante fornaci che vi si trovavano. Nella stessa categoria vanno inseriti gli Schiavoni,
cioè, i quartieri destinati agli Slavi69
. Per la Campania abbiamo ad es. Rua Francesca (Napoli)
„via dei francesi‟ dall‟antico gallico ruga, cioè „via‟70
.
Numerosi sono anche i nomi stradali che ci informano sulla presenza di acqua, cioè fontane,
ponti, spiagge, porti, paludi, canali, ecc. Per gli esempi mi limito alle città campane71
: Via
Chiaia (Napoli): napol. chiaja „spiaggia‟; Via del Lavinaio (Napoli): calabr. sicil. lavinaru
„canale d‟acqua, torrente‟; Mandracchio (Napoli, nome popolare del Porto Piccolo) „parte
interna e piccola di un porto‟; Fontana della Maruzza (Napoli): napol. maruzza „chiocciola‟;
Via Chiatamone (Napoli) e Via Platamone (Atrani, nella provincia di Salerno) < gr.
‟terreno piano di lido‟.
Molto tipici sono i nomi di strade in prossimità di incroci, ad es. Vico Triggio (Benevento),
Largo Triggio (Avellino) dal antico italiano trebbio „trivio‟.
Altre strade hanno ricevuto il nome dalla vicinanza di un edificio: Via dell’Anticaglia
(Napoli) „ruderi antichi‟, i.e. avanzi di antiche costruzioni che in forma di due archi passano al
di sopra della strada; Via Arce (Salerno, Sorrento): lat. arx „castello‟ (cfr. Arce, comune in
Campania); Via Foría (Napoli): ha preso il nome dagli antichi casali fuori mura chiamati tὰ
τwrίa (cfr. Forío in Ischia ed a Cilento); Galitta (Napoli) dall‟antica galitta „garitta‟, cioè un
67
G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, pp. 439-440. 68
La bombarda è un « rudimentale tipo di bocca da fuoco dei secc. XIII e XIV» (Zingarelli) 69
G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 440. 70
G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia,
Firenze, Sansoni, 1972, p. 98. 71
Gli esempi sono tratti da: G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su
lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 91-108.
31
casotto di soldati presso l‟ufficio delle Poste. Un caso particolare è quello della Via del
Parlascio (Capua), un nome stradale frequentissimo dappertutto in Italia ma di cui non si
conosce con certezza l‟etimo esatto. Alcuni prediligono un‟origine greca perielάsion, il
diminutivo dell‟antico periέ lasij, cioè „luogo dove si può girare attorno‟, che si sarebbe
trasmesso dalla Campania al resto d‟Italia, ancora prima della parola amphitheatrum. Però, ci
ne sono altri che suppongono che parlascio sarebbe derivato dal germanico bero-laz, cioè
„luogo di custodia per orsi‟. La vera origine del termine rimane un mistero.
La maggioranza degli altri nomi stradali non si inserisce in queste categorie, ciò nonostante
sono abbastanza marcati diatopicamente (cfr. infra) e diastraticamente, soprattutto per quanto
riguarda nomi dei vicoli napoletani ad es. Vico Barrettari (Napoli): dal napoletano barretta
cioè „berretta‟; Vicolo Calascione (Napoli): dal napoletano calascione cioè „colascione‟,
strumento musicale tipicamente napoletano; Le Chianche (Napoli): dal napoletano chianca
cioè „macelleria‟; Vicolo della Corsea (Napoli): dal napoletano corsea cioè „corsia, corridoio‟;
Vico dei Lammatari (Napoli): dal napoletano lammataro cioè „artigiano che lavora le lame
delle armi bianche‟; Vico della Tofa (Napoli): dal napoletano tofa cioè „conchiglia marina da
buccina‟72
; Vico delle Zite (Napoli): it. mer. zita cioè „sposa novella‟ ecc.
72
La buccina era un tipo di strumento a fiato.
32
PARTE SECONDA
«Omnium non modo Italiae, sed toto orbe terrarum pulcherrima
Campaniae plaga est. Nihil mollius caelo: denique bis floribus vernat.
Nihil uberius solo: ideo Liberi Cererisque certamen dicitur. Nihil
hospitalius mari: hic illi nobiles portus Caieta, Misenus, tepentes
fontibus Baiae, Lucrinus et Avernus, quaedam maris otia. Hic amicti
vitibus montes Gaurus, Falernus, Massicus et pulcherrimus omnium
Vesuvius, Aetnaei ignis imitator. Urbes ad mare Formiae, Cumae,
Puteoli, Neapolis, Herculaneum, Pompei, et ipsa caput urbium,
Capua, quondam inter tres maximas (Romam Carthaginemque)
numerata. »
Publio Annio Floro, (Epitoma, 11)
33
1. Panoramica storica della Campania1
L‟area della Campania odierna è sempre stata una regione densamente popolata, già nell‟età
preistorica. Oggi l‟incontestato centro gravità della regione è Napoli, ma non è sempre stato
così. Prima della seconda metà del „200 – cioè quando Carlo d‟Angiò ha stabilito la capitale a
Napoli – erano le altre città che si imponevano.
Nel IX secolo a.C., Capua, città etrusca, (ora Santa Maria Capua Vetere) dominava la regione.
In quel periodo la popolazione etrusca si estendeva fino al sud della regione. A partire del VII
secolo a.C. Capua perse d‟importanza, il che tornò a vantaggio di Cuma, una città fondata dai
Greci, che si erano già insediati nell‟isola di Ischia, cui diedero il nome Pithecusa, „isola della
scimmia‟. Lo stanziamento greco a Cuma si estese poco a poco verso il sud, fino a
Dicearchia (l‟odierna Pozzuoli) e Partenope, un insediamento collinare (sul monte Echia)
presso il mare. I Greci tendevano inoltre a non espandere il loro territorio, che si limitava a
qualche insediamento sugli altopiani vicini al mare da cui erano in grado di dominare il
terreno sottostante.
Il Cilento, l‟area meridionale della Campania attuale, faceva invece parte del territorio lucano:
la zona montuosa, che circonda le valli del Calore e del Volturno (che delimitano la provincia
di Avellino e quella di Benevento) era occupata dai Sanniti e dagli Oschi.
Nel 524 a.C. i Greci sbaragliarono gli Etruschi a Cuma, lasciando così la pianura aperta ai
Sanniti che occupavano il territorio etrusco fino alla stessa Cuma. Allo stesso tempo Napoli
diventò un centro economico di primo piano, visti i tanti rapporti commerciali con altri porti.
Come ho già sottolineato, queste migrazioni di popolazioni non sono prive d‟importanza per
quanta riguarda la composizione della regione attuale e i suoi dialetti. Così, il dialetto di
Cilento condivide molte caratteristiche con il dialetto lucano. Nel 326 a.C. i Romani
sconfissero i Sanniti e fondarono dappertutto nella regione delle città fortificate, favorendo lo
sviluppo delle località circostanti. Ancora per più d‟un secolo le diverse popolazioni
continuarono a parlare la propria lingua, fino a 180 a.C., quando i Greci dovettero riconoscere
il prestigio del latino, facendone la lingua ufficiale a Cuma.
È grazie ai Romani che la città di Napoli ha potuto evolversi come il centro della regione, tra
l‟altro tramite la costruzione di una rete viaria che serviva le regioni limitrofe: la via Pompilia
che collegava Capua, Nola, Nocera, Salerno fino alla Lucania; e la via Appia che passando
per Capua, Benevento e Avellino collegava la capitale alle Puglie.
1 Per la parte della storia campana mi riferisco al primo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi,
Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 3-14.
34
Verso il II secolo d.C. l‟impero romano cominciò a sgretolarsi, provocando lo spopolamento
della regione, la riduzione della produzione agricola e dell‟attività economica. Nel 493, la
penisola era divisa in due: il nord era occupato dai Bizantini che cercavano di conquistare il
sud che era in possesso dei Goti.
Nel VI secolo, arrivarono nella Campania i Longobardi. L‟entroterra campano fu occupato dai
Longobardi, mentre i Bizantini si erano stabiliti nel Cilento e nella zona costiera, dove
occupavano Gaeta, Napoli, Amalfi. Quest‟ultima serebbe diventata più tardi una vera gran
potenza marinara.
Le tracce della suddivisione della regione sono ancora oggi presenti nel dialetto campano. Nel
napoletano sono sopravvissute parecchie parole di origine greca, mentre nelle zone interne
vari toponimi indicano una presenza longobarda anteriore.
Teniamo anche presente che proprio nell‟area longobarda, cioè a Montecassino, si è
sviluppata una prima forma di volgare italiano (un volgare campano), attestata nei cosiddetti
Placiti Cassinesi, quattro giuramenti pronunciati tra il 960 e il 963 a Capua, a Sessa ed a
Teano, riguardanti la proprietà di alcune terre nel ducato di Benevento.
Nel XI secolo entrarono in Campania i Normanni, che si stabilirono soprattutto nelle città
(Aversa, Capua, Salerno, Napoli), mentre Benevento entrò a far parte dei possedimenti papali.
Spetta ai Normanni il merito di aver unificato la regione e di averne fissato i confini che
sarebbero rimasti quelli del Regno di Napoli. Durante il regno di Enrico VI (1191-1197) la
popolazione di Napoli era pari a 40.000 persone. Successivamente, Napoli fu in parte messa
in ombra da Palermo, che diventò la capitale sotto Federico II, figlio di Enrico VI.
Ciononostante, fu Federico II ad accordare a Napoli un certo potere politico e culturale ed a
fondare a Napoli uno Studio Universitario. In questo periodo alcuni gruppi venuti dall‟Italia
settentrionale si stabilirono in Campania. Ecco perché alcuni toponimi campani si richiamano
alla presenza di Lombardi, ad es. Torella dei Lombardi, Guardia dei Lombardi, Sant’Angelo
dei Lombardi.
Quando morì l‟imperatore Federico II, furono gli Angiò a reggere il timone del regno. Il
Regno di Napoli era stato infatti assegnato dal Papa a Carlo d‟Angiò. Questo incontrò la
resistenza di Manfredi, figlio ed erede legittimo dell‟imperatore Federico, che fu però
sconfitto nel 1266. Sotto Carlo d‟Angiò la capitale si spostò di nuovo a Napoli. Questa però
non fu una buona decisione: l‟incremento demografico e l‟aggravio fiscale successivo creò un
profondo divario tra la capitale e il resto della regione, disturbando il sistema feudale fondato
dai Normanni, che aveva persistito fino a quel momento. Nello stesso tempo Napoli subì
l‟influsso di Francia, come testimoniano i numerosi francesismi nel dialetto napoletano.
35
Nel 1442 gli Angioni dovettero fare posto al re catalano Alfonso d‟Aragona, detto il
Magnanimo. È per opera di Alfonso d‟Aragona, che invitò alla corte gli umanisti più celebrati
del „400 (Pontano, il Panormita, Lorenzo Valla), che Napoli prese parte al dibattito
umanistico nel XV secolo. In questo periodo tuttavia la cancelleria si servì del latino e del
catalano, non dell‟italiano. La vita culturale si intensificò ancora sotto il regno di Ferdinando I
con la letteratura popolaresca e dialettale, e dunque italiana, di alcuni gentiluomini napoletani.
Abbastanza popolare furono anche i gliòmmeri (le frottole2), e le farse
3. Alla fine de XV
secolo, comunque, con l‟Arcadia di Iacopo Sannazzaro (1504), la norma toscana raggiunge
anche Napoli4.
Contemporaneamente Napoli avanzava sempre più come gran potenza commerciale. Napoli
esercitava una forte attrazione su commercianti di ogni sorta. Questi si stabilirono nella zona
portuale della città, dove oggi si trovano ancora tracce di queste presenze nei nomi delle
strade: rua Catalana, Loggia di Genova, Loggia dei Pisani, piazza Francese, via Giudecca.
Nel 1503 entrarono nell‟Italia meridionale gli Spagnoli. In questo periodo continuò a crescere
il numero degli abitanti a Napoli, che non perse la sua forza d‟attrazione, necessitando anzi di
un certo ampliamento urbanistico, soprattutto per poter alloggiare l‟esercito spagnolo. Perciò,
per ordine del viceré Pedro di Toledo, furono costruiti i Quartieri spagnoli. Però.
Nel secolo successivo l‟Italia attravversò un periodo di fame e povertà. Nel 1607 il sistema
economico spagnolo rischiò la bancarotta. Gli Spagnoli continuavano ad aumentare le tasse
per sostenere la casse dello stato. Visto lo sfruttamento continuo dell‟Italia meridionale da
parte degli Spagnoli, una rivolta era inevitabile. In campagna i contadini si diedero al
brigantaggio e, nel 1647, quando la crisi aveva raggiunto il suo punto culminante, il popolo
napoletano, sotto la guida di Masaniello, insorse contro la tirannia spagnola. Questa
ribellione, però, venne presto respessa dagli Spagnoli. Oggi, vari strorici considerano lo
sfruttamento spagnolo dell‟Italia meridionale nel Seicento come il germe della Questione
Meridionale5.
Dopo il breve regno austriaco (fino al 1734), Napoli si sottomise al dominio di Carlo III di
Borbone, un re illuminista, che riportò la città di Napoli al suo antico splendore. Carlo III
impiegò molti capitali spagnoli per la modernizzazione e il rinnovamento culturale della città:
2 Frottola: «Composizione poetica italiana di origine popolare e giullaresca in voga nel XIV e XV sec., di vario
metro, spesso di senso oscuro per la presenza d'indovinelli o proverbi». (Zingarelli) 3 Farsa: «Genere teatrale, risalente al XV sec. ma vivo ancor oggi, di carattere comico e grossolano». (Zingarelli)
4 Per la letteratura napoletana quattrocentesca: B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960,
pp. 277-280. 5 Con questo termine si intende il divario economico tra l‟Italia settentrionale che dopo il Risorgimento (1860)
ha potuto industrializzarsi come il resto dell‟Europa, e l‟Italia meridionale che è rimasta, in larga misura, una
società contadina.
36
per ordine suo vennero costruiti monumenti e nuove strade: la reggia di Caserta, il Teatro San
Carlo a Napoli e anche un dormitorio pubblico, il cosiddetto Albergo dei Poveri. Carlo III
progettò anche di rendere l‟istruzione accessibile per tutti; questo progetto però non fu messo
in pratica.
Durante il regno di Carlo III di Borbone Napoli si aprì anche alle idee rivoluzionarie francesi.
A seguito di un moto rivoluzionario, nel 1799 fu proclamata la Repubblica partenopea. La
rivoluzione partenopea fu però stroncata sul nascere perché le idee rivoluzionarie degli
intelletuali non ottennero un grosso consenso presso la plebe, che rimase fedele alla
monarchia.
Dal 1806 fu Napoleone Bonaparte a tenere le sorti del Regno di Napoli, fino al Congresso di
Vienna nel 1815 che lo consegnò di nuovo ai re Borbone.
Nel primo Ottocento, mentre dappertutto in Italia germogliavano le idee di unificazione
politica (anche a Napoli dove all‟Università sorgevano nuovi circoli intellettuali), la centralità
di Napoli giocò un ruolo determinante sul piano linguistico. Furono l‟amministrazione e la
Chiesa napoletane a diffondere tramite i documenti scritti la lingua italiana nel resto della
regione.
Nel 1861 il Regno di Napoli smise di essere un‟entità autonoma ed entrò a far parte del Regno
d‟Italia. Cambiò così anche il nome di una parte del Regno di Napoli: fu ripristinato l‟antico
nome di Campania, il nome che utilizzavano anche i Romani. Con l‟unificazione dell‟Italia,
Napoli, che non era più il capitale del Regno di Napoli ma il capoluogo di una regione
italiana, perse gran parte della sua forza d‟attrazione così come gran parte del suo prestigio
culturale e del suo influsso politico. Diminuì anche l‟attività commerciale. Allo stesso tempo
il brigantaggio diventò sempre più sistematico e si organizzò nella camorra. Lo squilibrio
attuale tra nord e sud è, secondo vari storici, la conseguenza diretta della crisi seicentesca, che
colpì soprattutto l‟Italia meridionale, e del peggioramento dei problemi del Mezzogiorno
avvenuto durante e dopo il Risorgimento.
In seguito ai problemi sociali molti giovani lasciarono l‟Italia meridionale per il Nord
America. Inoltre la crisi sociale provocò anche lo spopolamento delle campagne, trasmettendo
la crisi anche all‟agricoltura campana. Tutti questi sconvolgimenti hanno avuto il loro influsso
sulla situazione linguistica in questa regione. La migrazione dalla campagna alle città non
favorì la sopravvivenza dei dialetti campani, visto che nelle città la lingua quotidiana che si
andava imponendo era l‟italiano. Si sono perdute così molte parole che si riferivano
all‟agricoltura, alla viticoltura e al artigianato.
37
Anche l‟insegnamento scolastico ha giocato un ruolo di primo piano per quanto riguarda la
perdita progressiva dei dialetti. Il suo scopo principale era di insegnare l‟italiano e di
sopprimere il più possibile l‟uso dei dialetti ovvero di cancellarli completamente.
38
2. Toponomastica campana6
2.1 Le tante origini della toponomastica campana
La seguente rassegna dei toponimi campani rende conto di tutti questi movimenti migratori in
Campania durante la sua storia. I toponimi, che non sono sensibili alla variazione diacronica
quanto altri elementi della lingua, testimoniano fedelmente dei contributi linguistici dei
differenti invasori campani.
Cominciamo col nome della regione: Campania, sarebbe di origine etrusca e si riferirebbe
agli abitanti della città di Capua, che dagli Etruschi venivano chiamati Cappani e poi
Campani. Di conseguenza, va da se che all‟inizio la Campania comprendeva solo l‟area
intorno a Capua, il cosiddetto Terra di Lavoro. Il toponimo Capua deriva dall‟etrusco Capys,
cioè „uccello rapace‟. Anche il nome del fiume Volturno, che in tempi assai remoti è stato
anche il nome di Capua, sarebbe di origine etrusca. Volturno si richiama a velthur „uccello‟.
Di origine osca sono: Avella < ant. Abella e Avellino < ant. Abellinum, che derivano dalla
radice indeuropea *ABEL, cioè „mela‟.
Di origine greca sono Cuma e Agropoli (presso Paestum), Procida < gr. prochutòs „sparso‟,
Forìo < gr. Χὸ ριον „villaggio‟ e Lacco Ameno (nell‟isola di Ischia) < laccòs „fossa‟. Anche il
nome del capoluogo campano è di origine greca: Napoli < gr. Νεὰ Pὸ λις, cioè „città nuova‟
per distinguerlo dal nome antica Palὲ poli, cioè „città antica‟.
In Campania sono frequentissimi i toponimi di origine romana che alludono alle proprietà
fondiarie, che sono composti da un nome proprio e dal suffisso di appartenenza latina -anum,
ad es. Gragnano < Granius, Secondigliano < Secondilius, Marano < Marus, Calvizzano <
Calvitius, Savignano < Sabinius, Sicignano < Sicinius, Giugliano < Iulius.
Numerosissimi nella campagna campana sono i toponimi che si richiamano a nomi di piante,
ad es. Corleto < coryletum „nocciolo‟, Faicchio < Fagetulum e Faìto (monte) < fagetum si
riferiscono tutti e due al faggio, Laurito < Lauretum „bosco di lauri‟.
All‟occupazione longobarda di Napoli risalgono i toponimi Sala Consilina < long. sala „la
corte o l‟edificio dei signori‟, San Bartolomeo e Gallo Matese < long. wald „bosco‟. Il fatto
che in processo di tempo la popolazione indigena non si rendesse più conto del significato
esatto di tali prestiti longobardi è provato dal toponimo Bosco del Gaudio, la cui traduzione
6 Tutti gli esempi sono tratti dal §7 del primo capitolo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi,
Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 14-19.
39
letterale è „bosco del bosco‟. Ancora altri toponimi derivano da nomi di persone germanici, ad
es. Pontelandolfo < Landulfo, Atripalda < Tripaldo.
Si richiamano rispettivamente ai Bulgari e ai Sassoni i toponimi Celle in Bulgheria e
Sassinoro, ai Slavi il toponimo Schiavi, che nel 1862 viene sostiuto da Liberi, perché si
pensava erratamente che il vecchio nome si riferisse ad una condizione di schiavitù.
2.2 Toponomastica antica7
In questo paragrafo presenterò alcuni toponimi campani confrontandoli con le loro forme
antiche, cioè con il nome che fu loro attribuito dalle popolazioni che nell‟epoca classica si
erano stabilite nell‟Italia centro-meridionale.
Durante il periodo augusteo, la penisola italica era divisa in undici Regioni. Questa
reorganizzazione amministrativa fu instaurata dall‟imperatore Augusto nel 7 d.C..
Ovviamente le frontiere delle Regioni dell‟Italia augustea non corrispondevano a quelle
attuali, ma rispettavano le aree abitate dalle popolazioni indigene. Per quanto riguardava
Campania, il suo territorio corrispondeva più o meno alla parte meridionale della I Regione
(Latium et Campania). Le due altre parti della I Regione costituiscono oggi la regione di
Lazio. Quest‟area era prima abitata dagli Aurunci, gli Alfaterni, i Picenti, i Pentri (un popolo
sannitico) e i Sidicini, che parlavano tutti la lingua osca. L‟area della Campania al sud del
Sele faceva parte della III Regione (Lucania et Bruttii) è fu abitata dai Lucani, un popolo del
tipo osco. Una zona che ricopre in grande parte la provincia di Avellino, e in parte minore
quella di Benevento, era abitata dagli Irpini, anche loro una popolazione osca (sannitica).
2.2.1 L’osco
Come vedremo anche nell‟analisi di alcuni toponimi particolari che figurano nella Naturalis
Historia di Plinio il Vecchio, di tutti i sostrati prelatini sembra quello osco di aver marcato il
più la toponomastica campana. È dunque il sostrato osco che merita ancora una volta la nostra
attenzione particolare.
7 Per il paragrafo introduttivo mi riferisco a: D. Detlefsen, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und
Geographie, ed. W. Sieglin, Leipzig, Verlag von Eduard Avenarius, 1901.
40
2.2.1.1 I Sanniti8
Attorno al V secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le montagne sannitiche e raggiunsero
la pianura campana. Gli Etruschi di Capua, impreparati all‟arrivo dei nuovi nemici perché
coinvolti in una lotta con la popolazione indigena, furono le prime vittime della marcia
sannitica.
In Campania i Sanniti accolsero elementi etruschi - e dunque in maniera indiretta anche
elementi della popolazione opica indigena - e certi elementi provenienti della cultura greca.
Tutti questi i componenti concorsero quindi a costituire l‟identità campana - già abbastanza
diversa da quella originale sannitica.
La popolazione sannitica in Campania non potè mai organizzarsi e rimase sparsa durante tutto
il IV secolo. I Sanniti si disposero in piccoli stati: il territorio dei Sidicini, la lega campana, la
federazione di Nola, quella di Abella e quella di Nocera.
Nel 341 a.C. la lega campana, di cui il potere fu centralizzato a Capua, invocò il soccorso dei
Romani contro i Sanniti del Sannio, che cercarono di assaltare i Sidicini. Così, dal tempo della
prima guerra sannitica, la storia romana rimase inestricabilmente legata a quella sannitica.
Con l‟approvazione dell‟aristocrazia sannitica (ad es. nei casi di matrimoni misti), varie
famiglie romani si stabilirono in Campania. Quando il partito aristocratico e proromano
dovette infine cedere il passo a quello democratico ed antiromano, la città di Capua insorse
contro Roma, ma fu rapidamente sconfitta nel 338 a.C. Cionondimeno la città di Capua
conservò una certa autodeterminazione: Roma, infatti, non le tolse il diritto di battere moneta.
Sono tra l‟altro propriamente i conii sulle monete osche che ci hanno procurato dei dati che,
dal punto di vista linguistico, e soprattutto al livello degli studi toponomastici, non sono meno
interessante di quelli che ci presentano i graffiti o le iscrizioni. Sulle monete osche troviamo
coniati ad esempio i toponimi9: allibanon, alliba, alifha, allifanwne alifa (Allifae, l‟attuale
Alife nella provincia di Caserta), akudunniad (Aquilonia, l‟odierna Lacedonia nella provincia
di Avellino), aderl (Atella, l‟odierna Castellone di Sant‟Arpino), benuentod-proprom e
8 Per la parte storica sui Sanniti mi riferisco a: A.L. Prosdocimi, «L‟osco», in: id., Lingue e Dialetti dell’Italia
antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, pp. 845-846. 9 Per la moneta osca mi riferisco a: V. Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1953, pp. 102-106.
41
L(Benevento, nella provincia omonima), kaiatinum (Caiatia, l‟odierna Caiazzo nella
provincia di Caserta), le forme kampanom, kampano e kappano(Campani, nomi con cui qui
si intende la popolazione e non la regione), kapv (Capua, l‟attuale Santa Maria Capua Vetere
nella provincia di Caserta), nuvkrinum alafaternum – egvinum num, nuvkirinum
alaf[ate]rnum e nuvirkum alavfum (Nuceria Alfaterna, l‟attuale Nocera Superiore nella
provincia di Salerno), tíanud – sidikinud, tianud – sidikinud, tiia ud – [s]idikinud e tiano
(Teanum Sidicinum, l‟odierna Teano nella provincia di Caserta), tedis (Telesia, attualmente
situato presso San Salvatore Telesino nella provincia di Benevento). Nei capitoli che seguono
cercheremmo di spiegare l‟elemento osco nei toponimi sopraelencati.
Fino al 216 a.C. i capuani si piegarono al dominio romano. Con lo sgretolarsi del partito
aristocratico però, il partito democratico-popolare assunse pieni poteri ed incitò i capuani
all‟insurrezione contro Roma. La loro intenzione non era di semplicemente scuotere il giogo
romano, ma anche di imporre la propria autorità sull‟antico dominatore. Perciò, loro fu
prestato soccorso da Annibale. Ciononostante la rivolta sannitica fu sedata quasi sull‟istante.
Nel 211 a.C. Capua si arres
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