Dislocazione a sinistra e tema sospeso in un...

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Università di Gent Facoltà di Lettere e Filosofia Dipartimento di lingue romanze (altre dal francese) LINGUISTICA ITALIANA Dislocazione a sinistra e tema sospeso in un campione di italiano parlato Prof. Dr. Claudia Crocco Masterproef voorgedragen tot het behalen van de graad van Master in de Taal- en Letterkunde afstudeerrichting: Italiaans-Nederlands Cilia Nauwelaerts Anno Accademico 2007/2008

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Università di Gent

Facoltà di Lettere e Filosofia

Dipartimento di lingue romanze (altre dal francese)

LINGUISTICA ITALIANA

Dislocazione a sinistra e tema sospeso in un campione

di italiano parlato

Prof. Dr. Claudia Crocco Masterproef voorgedragen tot het behalen van

de graad van Master in de Taal- en Letterkunde

afstudeerrichting: Italiaans-Nederlands

Cilia Nauwelaerts

Anno Accademico 2007/2008

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RINGRAZIAMENTI

Vorrei esprimere la mia gratitudine verso alcune persone che mi hanno aiutato per la

realizzazione di questa tesi di laurea.

In particolare vorrei ringraziare la professoressa Claudia Crocco, per la sua continua e

professionale assistenza durante le ricerche e per la sua gentile disponibilità nel caso di

qualsiasi dubbio.

In secondo luogo vorrei ringraziare di cuore i miei genitori, grazie ai quali ho potuto

intraprendere questi studi all’università di Gent. Un sincero ringraziamento anche ai miei

fratelli e al resto della mia famiglia per il loro sostegno e incoraggiamento.

Per ultimo, ma certo non di importanza, ringrazio caldamente le mie fantastiche amiche e il

mio fidanzato che sono sempre riusciti a rallegrarmi nei momenti più cupi.

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Indice

§0. PREMESSA .................................................................................................................... 1

1. Introduzione ...................................................................................................................... 1

2. Quadro teorico .................................................................................................................. 2

§1. PARTE PRIMA .............................................................................................................. 4

Capitolo 1. Lo sfondo sull’italiano parlato ......................................................................... 4

1.1. La lingua italiana in movimento ............................................................................... ... 4

1.2. Studiare l’italiano parlato ............................................................................................. 8

1.2.1. I corpora di italiano parlato ........................................................................................ 10

1.3. Le caratteristiche del parlato: problemi di definizione e tratti pertinenti alla

distinzione parlato-scritto .................................................................................................. 15

1.3.1. Le costanti del parlato ................................................................................................. 21

Capitolo 2. Quadro generale della morfosintassi della dislocazione a sinistra e del tema

sospeso .................................................................................................................................. 31

2.1. Livello informativo ........................................................................................................ 31

2.2. Livello sintattico ............................................................................................................ 40

2.2.1. Casistica della dislocazione a sinistra .......................................................................... 40

Sintagma nominale .................................................................................................... 41

La dislocazione dell’oggetto diretto ........................................................................... 41

La dislocazione del soggetto ...................................................................................... 42

La dislocazione dell’oggetto indiretto ....................................................................... 43

La dislocazione del complemento circostanziale ....................................................... 43

Proposizione ............................................................................................................ 43

2.2.2. Casistica del tema sospeso ............................................................................................ 44

2.2.3. Dislocazione a sinistra e tema sospeso con verbi psicologici ....................................... 46

2.3. Livello prosodico ............................................................................................................ 47

§2. PARTE SECONDA ......................................................................................................... 49

Capitolo 3. Esame sintattico dei dialoghi ............................................................................ 49

3.1. Frequenza ....................................................................................................................... 49

3.2. Funzione sintattica dei singoli tipi ................................................................................ 53

3.3. Confronto con la letteratura ......................................................................................... 59

3.4. Interpretazione conversazionale ................................................................................... 63

CONCLUSIONE ................................................................................................................... 70

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................... 72

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0. PREMESSA

1. Introduzione

In questo lavoro mi occupo di due tipi particolari di costruzione sintattica marcata, la

dislocazione a sinistra e il tema sospeso, nei quali un elemento frasale è spostato alla sinistra

dell‟enunciato. Vari studi (Berretta 1993; Berruto 1983, 1985, 2006; Cortelazzo 2001;

D‟Achille 1990; Milano 2003) hanno segnalato che questi fenomeni conoscono una vasta

frequenza nell‟uso orale, per cui ho deciso di confrontare le osservazioni teoriche con un

campione di parlato dialogico italiano. La prima parte di questa tesi si articola in due capitoli.

Nel Capitolo 1 si presenta una descrizione generale dell‟italiano parlato, propedeutica al

confronto dei dati reali con la letteratura relativa alle sopraccitate costruzioni sintattiche. Nel

Capitolo 2 vengono esaminate in dettaglio le varie peculiarità della dislocazione a sinistra e

del tema sospeso. La seconda parte di questa tesi, composta dal Capitolo 3, contiene i risultati

di un‟analisi sintattica svolta su nove diversi dialoghi Map Task appartenenti al corpus

CLIPS1. Il materiale che ho scelto di prendere in considerazione consiste dei seguenti dialoghi

estratti dalla parte del corpus contenente „parlato raccolto sul campo‟: DGmtA01N,

DGmtA02N, DGmtB01N, DGmtA01R, DGmtA02R, DGmtB04R, DGmtA01F, DGmtA02F,

DGmtB04F2. Le località prescelte sono le città di Napoli (N), Roma (R) e Firenze (F). Questa

selezione ha lo scopo di presentare un‟immagine rappresentativa della realtà linguistica

italiana. L‟interpretazione dell‟esame sintattico dei dialoghi può essere riassunta

preliminarmente nelle seguenti conclusioni principali. Tra la gamma di ruoli sintattici attestati

nelle dislocazioni a sinistra (soggetto, oggetto diretto, oggetto indiretto, oggetto quantificato,

complemento circostanziale), spicca la predominanza di enunciati che presentano un elemento

dislocato che svolge la funzione sintattica di oggetto diretto. Questa tendenza è ben nota nella

letteratura in merito, dove la presenza massiccia di oggetti diretti va spiegata in riferimento

alla loro maggiore facilità di essere dislocati (Benincà et al. 1988; Berretta 19853; Berruto

1983; Milano 2003). Le occorrenze trovate per il tema sospeso, viceversa, sono relativamente

poche e non confermano le opinioni ricorrenti negli studi esistenti. Nella letteratura relativa al

parlato questa costruzione, che da un punto di vista pragmatico non diverge dalla dislocazione

a sinistra (Benincà et al. 1988: 145), è definita tipica per l‟uso orale (Benincà et al. 1988: 131;

1 Per la descrizione della tecnica del Map Task e la descrizione generale del corpus CLIPS si veda il § 1.1.2.1. 2 Le sigle usate sono le stesse utilizzate per indicare i dialoghi nel corpus CLIPS.

3 Berretta, Monica, 1985, “I pronomi clitici nell‟italiano parlato”, in Günter Holtus, Edgar Radtke (a cura di),

1985, Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen, Gunter Narr Verlag, pp. 185-224,

citato in Milano, Emma, 2003, p. 92.

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Lorenzetti 2002: 85; Milano 2003: 208). Un ultimo aspetto che emerge dall‟indagine

empirica, ma che merita ovviamente ulteriori approfondimenti, riguarda l‟ambito

conversazionale. Vorrei notare che gran parte dei costituenti dislocati a sinistra si presentano

all‟inizio di un enunciato interrogativo e che, inoltre, queste domande manifestano le

caratteristiche delle mosse conversazionali del tipo Check4. Ho concluso questo lavoro

avanzando l‟ipotesi che quando un parlante fa una deduzione e vuole chiederne conferma,

adopera preferibilmente una struttura con dislocazione a sinistra.

2. Il quadro teorico

Nei paragrafi seguenti mi servirò di categorie come Tema, Rema, verbo e argomento nella

discussione sull‟articolazione informativa e sulla struttura sintattica della frase. È utile notare

che questa rappresentazione pone già un‟ipotesi sulla lingua ed esprime quindi un certo punto

di vista sui fenomeni osservati. Il quadro teorico in cui rientra questo lavoro descrittivo è di

tipo funzionalista.

Il nome „funzionalismo‟ si riferisce a un insieme complesso e vario di approcci linguistici

teorici e descrittivi. Questi approcci hanno in comune la convinzione che la comunicazione

umana sia lo scopo principale della lingua e che essa condizioni altresì la forma del

linguaggio. Di conseguenza, e questo è il secondo punto di vista condiviso, si attribuisce una

grande importanza a fattori esterni, come quelli cognitivi, socioculturali e temporali, per

spiegare i fenomeni linguistici. Un orientamento funzionalista, inoltre, rinuncia all‟idea che la

sintassi sia analizzabile autonomamente dalla semantica e dalla pragmatica. Questo

atteggiamento è in contrasto con quello formalista, il quale afferma che la morfosintassi debba

essere descritta e giustificata indipendentemente dal significato (Butler 2006: 697-698, 703).

Visto che la lingua deve essere studiata in primo luogo come un mezzo di comunicazione,

conseguentemente non è possibile rinunciare alla sua piena complessità. Mentre l‟approccio

delle teorie chomskiane si limita alla descrizione della core grammar, gli studiosi

funzionalisti invece cercano di giustificare la gamma completa di fenomeni linguistici. Un

altro orientamento, che appare anche rilevante per questo lavoro, è l‟uso di materiale

linguistico autentico per le analisi. Negli studi funzionalisti appunto, vengono usati

ampiamente campioni di comunicazione attuale, presentati nel loro contesto d‟uso. Si tiene

conto inoltre della flessibilità del linguaggio in uso, poiché come si parla e ciò che si dice

cambia facilmente a seconda delle esigenze dell‟ambito comunicativo. Di solito la

4 Si veda il § 2.3.4.

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comunicazione non coinvolge soltanto delle semplici frasi isolate, ma soprattutto vasti pezzi

di conversazione multiproposizionale. Ne consegue che il centro d‟interesse per i funzionalisti

è la grammatica conversazionale insieme a quella frasale. Ulteriori aspetti comuni sono la

riflessione sulla variazione tipologica delle lingue e l‟approccio costruttivo di acquisizione

della lingua da parte del bambino (Butler 2006: 698-699, 703). Gli approcci funzionalisti non

vertono solo sulle singole lingue storiche, ma si interessano anche del linguaggio nella sua

totalità. Questo interesse si manifesta nel Functional-typological approach (Butler 2006:

699), il quale spiega in termini funzionalisti le somiglianze e le diversità fra i linguaggi. Per

quanto riguarda l‟acquisizione del linguaggio, le teorie funzionaliste sostengono una

descrizione construttivista. Secondo questa prospettiva, il bambino dispone di sufficiente

informazione linguistica attorno a sé, che lo rende capace di costruirsi una grammatica con

l‟aiuto di più generali fattori cognitivi e capacità di apprendimento. Nella prospettiva

funzionalista, quindi, si ritiene che siano innati un insieme di principi generali cognitivi e

predisposizioni all‟apprendimento, piuttosto che una certa serie reale di regole universali e

principi linguistici (Butler 2006: 698-699, 703).

Da questi principi di base si sono sviluppati diverse correnti teoriche, variabili in relazione

alla teoria funzionalista in questione. Nella gamma di approcci funzionalisti si distingue da un

lato quello europeo e dall‟altro il funzionalismo nordamericano. Teorie importanti

inizialmente elaborate in Europa comprendono la Functional Grammar (S. Dik) e la Systemic

Functional Grammar (M. Halliday, C. Matthiessen). Negli Stati Uniti esistono due tipi di

approccio piuttosto distinti. Il primo è la Role and Reference Grammar (R. Van Valin, R.

LaPolla), che appartiene a un sottogruppo formale di teorie funzionaliste. Dall‟altra parte, un

gruppo di teorie funzionaliste più radicali si è sviluppato dal funzionalismo della West Coast,

ad opera di studiosi come T. Givón, J. Haiman, J. Bybee, P. Hopper, S. Thompson, J. DuBois,

M. Noonan, A. Goldberg (Butler 2006: 697).

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§1. PARTE PRIMA

Capitolo 1. Lo sfondo sull’italiano parlato

“Per cui se volessimo

calcolare tutte le varianti dei volgari

italiani, le principali, le secondarie, le

minori, anche solo in questo piccolissimo

angolo di mondo finiremmo per contare

un migliaio di varietà linguistiche,

anzi, persino di più.”

Dante Alighieri, De vulgari eloquentia5

1.1. La lingua italiana in movimento

Dal punto di vista storico-linguistico, l‟italiano è contrassegnato da una situazione particolare.

Nel Medioevo non c‟era ancora un‟unica lingua standard usata in tutta la penisola, in quanto

vi erano soltanto i volgari, ossia i vari dialetti appartenenti alle diverse regioni, nati

dall‟evoluzione del latino. Come le sorelle neolatine, anche l‟italiano è il frutto di una

metamorfosi che durò molti secoli, fino al momento in cui il volgare di Firenze si affermò sul

resto delle varietà parlate e diventò la lingua nazionale. Il volgare fiorentino emerse tra il

Duecento e il Trecento, acquistando dignità di lingua letteraria per varie ragioni, fra cui il

fatto che Firenze era in quel periodo un notevole centro culturale ed economico, i cui

banchieri e commercianti frequentavano tutte le maggiori città e corti d‟Europa (Palazzo-

Ghilardi 2004: 154). Inoltre, la produzione letteraria dei grandi trecentisti, Dante, Petrarca e

Boccaccio, ha accresciuto il prestigio del fiorentino ed ha consolidato il primato della lingua

toscana (Roda 2005: 44). Il volgare di Firenze si affermò, quindi, come lingua della

letteratura, scritta e letta, ma non parlata6, di cui si servirono scrittori e pensatori,

indipendentemente dalla loro città d‟origine, per comporre le loro opere, mentre la

comunicazione quotidiana continuava a svolgersi in dialetto, unico mezzo di espressione

conosciuto dalla maggioranza del popolo. In questo conglomerato di stati regionali e

importanti centri politici, lo spazio d‟uso della lingua „nazionale‟ era limitato alle situazioni

più formali, al settore amministrativo e alle abitudini di scrittura e lettura degli eruditi. Per gli

usi parlati, invece, si era stabilito il monopolio dei dialetti, e questa tradizione durevole solo di

recente è mutata. Fino a metà dell‟Ottocento, pertanto, il nitido distacco tra lingua scritta e

5 Dante Alighieri, De Vulgari Eloquentia (I, x), cito dalla traduzione dal latino in Alighieri, Dante, 2005, p. 27.

6 Unica eccezione era la città di Roma, dove il fiorentino conosceva una larga diffusione, anche negli usi

quotidiani (De Mauro et al. 1993: 16).

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lingua parlata ha fatto sì che l‟italiano della norma restasse confinato all‟uso scritto e in

particolare a quello letterario (De Mauro et al. 1993: 15-19).

Nella seconda metà dello scorso secolo, dopo l‟unificazione del paese, avvenuta nel 1861 e

completata nel 1870, la situazione linguistica italiana ha conosciuto un cambiamento

profondo, nel senso che l‟italiano è andato sviluppandosi sempre più in direzione di una

lingua “largamente parlata dalla generalità degli abitanti del paese sia in ogni occasione della

vita pubblica sia nella vita quotidiana e nelle occasioni anche più intime o spicciole e trite”

(De Mauro et al. 1993: 15). Anche alcune importanti vicende storiche avvenute negli anni

Cinquanta dello scorso secolo hanno contribuito a questa modificazione linguistica (De

Mauro et al. 1993: 19). Un primo fattore rilevante è costituito dalle grandi migrazioni interne,

causate dalla precaria condizione di vita nelle zone agrarie del Mezzogiorno. Inoltre, una

quota massiccia di persone provenienti del Veneto o dalle regioni montane si è spostata verso

le grandi città del Nord-Ovest e altri centri industriali, dove l‟insieme eterogeneo di nativi e

non-nativi ha portato a una mescolanza linguistica di vari dialetti. Questa pluridialettalità ha

favorito la rinuncia all‟impiego esclusivo del dialetto d‟origine e ha spinto tanto gli immigrati

quanto i già residenti all‟uso di una varietà sopraregionale (De Mauro et al. 1993: 20-21). Un

secondo fattore determinante per l‟unificazione linguistica è stato l‟aumento del grado di

istruzione, processo avvenuto molto lentamente, ma con un‟evoluzione continua e

progressiva. È indubbio che la diffusione dell‟istruzione elementare obbligatoria abbia ridotto

sempre di più la quota della popolazione analfabeta. Ciò ha favorito un uso abbastanza sicuro

della lingua, anche perché è cresciuto il numero di persone adulte in possesso della licenza

media obbligatoria o di altri titoli superiori. Un passo decisivo in questa direzione è stata la

riforma della scuola postelementare, avvenuta all‟inizio degli anni Sessanta (De Mauro et al.

1993: 21-22).

Questi fattori appena accennati mostrano tuttavia gradi diversi di unificazione linguistica nelle

varie zone del paese, in quanto la forte tendenza di italianizzazione realizzata nei punti

d‟incontro tra italiani immigrati e locali era ancora in contrasto con la radicata dialettofonia

dei luoghi più isolati. Le stesse differenze valgono anche per il processo di scolarità, il quale

ha avuto un successo maggiore tanto nelle regioni urbanizzate, quanto nelle regioni centro-

settentrionali. Contrariamente, la scolarizzazione ha conosciuto risultati minori nelle zone

agricole e montuose, e ha perfino incontrato una certa ostilità nel Sud dell‟Italia. Soltanto un

terzo fattore efficace nel processo di italianizzazione è riuscito a raggiungere conformemente

tutti i livelli sociali di qualunque regione (De Mauro et al. 1993: 22-23). Nel 1954 sono state

diffuse le prime trasmissioni ufficiali televisive (Cortelazzo 1988: 208). L‟arrivo e il successo

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della televisione hanno permesso agli spettatori di familiarizzare con diverse forme

dell‟italiano parlato. È evidente che questo nuovo mezzo di comunicazione di massa ha

esaltato il processo di conoscenza e di acquisizione dell‟italiano (Cortelazzo 1988: 216). La

diffusione abbastanza rapida legata al basso costo, lo stretto rapporto tra codice iconico e

quello fonico e l‟immediata popolarità di alcune trasmissioni, hanno facilitato l‟ascolto

abituale se non quotidiano da parte della maggioranza del popolo, in gran parte ancora

dialettofono (De Mauro et al. 1993: 22). La televisione è caratterizzata da un certo

pluristilismo e quindi da un insieme di realizzazioni linguistiche diverse. Questo

plurilinguismo si colloca spesso dentro un solo programma: ascoltiamo, per esempio, durante

il telegiornale, sia produzioni linguistiche con un alto grado di standardizzazione e di

pianificazione, come le notizie lette in studio, sia un parlato abbastanza formale e

parzialmente redatto prima nei servizi giornalistici, sia delle varietà parlate dagli intervistati,

contrassegnate in diatopia e diastratia (Cortelazzo 1988: 212-213). In questo modo le

trasmissioni televisive hanno assunto la funzione di prima maestra della lingua comune.

Benché la televisione non abbia potuto portare alla competenza piena della lingua, ha fatto

nascere in molti dialettofoni il bisogno di conoscenza dell‟italiano (Cortelazzo 1988: 216).

Questi grandi sviluppi, avvenuti nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, hanno influito

sulla situazione linguistica, tanto che di anno in anno per un numero crescente di persone è

divenuto abituale usare l‟italiano nei diversi momenti della vita quotidiana, cioè per parlare

delle “mille cose umili d‟ogni giorno” (De Mauro et al. 1993: 159). L‟operare nel tempo dei

vari stimoli all‟italofonia ha fatto sì che in anni più recenti sia entrato in gioco un ulteriore

efficace stimolo: nella vita di relazione e in quella di famiglia, viene usato sempre di più un

parlato quotidiano rivolto all‟italiano standard (De Mauro et al. 1993: 19). Oggi l‟italiano ha

recuperato gli usi riservati per secoli ai dialetti e si può vedere di fatto che la lingua nazionale

viene largamente sia scritta che parlata da “chiunque viva, operi, pensi in Italia. [...] l‟italiano

non serve più solo per trattati filosofici o per cantare romanze, ma fascia e innerva

l‟esperienza quotidiana, volta a volta umile e alta, intima e privata, pubblica e collettiva,

scientifica e letteraria, di decine e decine di milioni di persone” (De Mauro et al. 1993: 160).

Altri studi, sondaggi e indagini di linguisti confermano, infatti, il regresso dei puri

dialettofoni. Per quanto riguarda i parlanti l‟italiano e i parlanti i dialetti, le osservazioni e i

dati riportati in Cortelazzo (2001: 418-421), presentano uno spostamento rettilineo. Come

mostra Tabella 1., dal 1974 al 1996, il numero di chi dichiara parlare sempre o più spesso in

dialetto fuori casa, è diminuito del 14,1%. Analogamente, si nota un aumento del 14% per il

numero di persone che parlano, sempre o più spesso, in italiano fuori casa. Di conseguenza,

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71,8% degli italiani si serve della lingua nazionale per le comunicazioni formali. Un altro

segno dell‟evidente prevalenza italofona del repertorio linguistico, sono le risposte al quesito:

„parlare dialetto in casa‟. Nel 1974, il numero di quelli che parlano con tutti i familiari in

dialetto, era il doppio del numero di quanti parlano solo in italiano con essi. Un decennio

dopo, nel 1996, i risultati sono circa uguali: rispettivamente 33,9% vs. 33,7%.

Tabella 1. Parlanti italiano e parlanti dialettofoni 7

Anche Voghera (1992) constata in base alla lettura di un‟inchiesta Doxa (cfr. Tabella 2.) e di

un‟indagine Istat8, la tendenza recente ad usare la lingua nazionale nella comunicazione

quotidiana a scapito del dialetto. La diffusione dell‟italiano va notata principalmente per i

7 I dati sono citati in Cortelazzo, Michele, 2001, pp. 418-419.

8 Le inchieste Doxa risalgono agli anni 1974, 1982 e 1988. L‟Indagine Multiscopo è stata condotta dall‟Istat tra

il dicembre 1987 e il maggio 1988 (Voghera 1992: 56, 58).

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centri urbani, ed è più radicata tra i giovani, le persone di istruzione media o medio-superiore

e tra le donne (Voghera 1992: 56-59).

Tabella 2. Diffusione dell’italiano e del dialetto registrata dalle indagini Doxa [1982; 1988] 9

“Non si pensa se non parlando.”

Giacomo Leopardi, Zibaldone10

1.2. Studiare l’italiano parlato

Le tendenze linguistiche in atto a partire dal secondo dopoguerra hanno fatto nascere

l‟interesse per lo studio dell‟italiano nella sua nuova forma di lingua viva e realmente parlata.

Tuttavia la forte contrapposizione storica tra lo scritto e il parlato influisce sull‟orientamento

dei linguisti, i quali hanno a lungo descritto le peculiarità del parlato italiano richiamando la

lingua scritta come modello di riferimento (Milano 2003: 36). Di conseguenza, per avere degli

studi teorici che riguardano il parlato nel suo complesso, si è dovuto attendere fino agli ultimi

decenni del Novecento. Prima di questo periodo, gli studi dedicati all‟attuale situazione

linguistica non sono riusciti a porre il problema dei caratteri specifici del parlato rispetto allo

scritto (Albano Leoni 2001: 1). Il cambio di prospettiva è avvenuto nel momento in cui i

linguisti hanno cercato dei principi costitutivi che cogliessero le peculiarità proprie dell‟uso

parlato della lingua. Il fatto che ormai si disponesse di concetti adatti per affrontare la

discussione sul parlato, insieme con i notevoli stimoli dell‟Accademia della Crusca, ha fatto

9 I dati sono citati in Voghera, Miriam, 1992, p. 58.

10 Giacomo Leopardi, Zibaldone [Zib. 2212], cito da Leopardi, Giacomo, 1997, p. 1448.

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nascere negli anni Ottanta i primi studi specifici sul parlato italiano11

. Le ricerche hanno

rivelato ben presto l‟evidente diversità della sintassi del parlato rispetto a quella dello scritto,

provocando un dibattito sull‟esistenza di un‟altra grammatica per l‟italiano parlato, che

sembra non condividere con lo scritto gli stessi principi grammaticali di base (Albano Leoni

2001: 1-4). Questo vale per esempio per il concetto tradizionale della frase come unità di

base, costruito appunto sul modello della scrittura, il quale entra in crisi di fronte a forme

segmentate tipiche del parlato (Milano 2003: 37). Sebbene durante i decenni seguenti

l‟interesse per l‟italiano parlato si sia diffuso parecchio, in confronto alle altre lingue europee

esso resta relativamente limitato ed è recente il materiale a disposizione. I primi e più

importanti studi descrittivi dell‟italiano parlato sono una serie di lavori di romanisti tedeschi,

che si sono occupati di grammatica comparata delle lingue romanze12

(Berretta 1993: 239).

Per quanto riguarda il primo filone di studi italiani sul parlato, mi servo della riflessione di

Voghera (1992) sullo stato di cose. La studiosa affronta la problematica assenza di una

descrizione coerente che riguardi tutte le particolarità del parlato italiano, e giudica la maggior

parte delle descrizioni troppo frammentaria (Voghera 1992: 10). Non solo perché mancano

osservazioni d‟interesse specificamente fonologico e lessicografico (ivi: 9), ma anche perché

gli studi sono in gran parte senza una base teorica (ivi: 10). Per spiegare questa condizione,

Voghera fa ricorso alla storia delle idee e degli studi linguistici sul parlato:

“Mi limito quindi a ricordare che il parlato è per lo più assente dalla maggior parte delle

trattazioni linguistiche. Un‟assenza non esplicita, visto che i rappresentanti più autorevoli

della linguistica moderna assegnano l‟assoluta priorità alla lingua parlata rispetto a quella

scritta. Ma al di là delle affermazioni di principio, le descrizioni linguistiche di cui

disponiamo sono di fatto per la maggior parte fondamentalmente descrizioni di lingue

scritte, anche se non sempre gli autori ne sembrano consapevoli. [...] prima d‟ora il parlato

non era mai venuto così prepotentemente fuori come possibile oggetto autonomo delle

indagini linguistiche.” (ivi: 10-11)

11

Bazzanella, Carla, 1994; Berretta, Monica, 1985, “I pronomi clitici nell‟italiano parlato”, in Günter Holtus,

Edgar Radtke (a cura di), 1985, Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen, Gunter Narr

Verlag, pp. 185-224; Sornicola, Rosanna, 1981; Voghera, Miriam, 1992, citato in Albano Leoni, Federico, 2001,

p. 4. 12

Spitzer, Leo, 1922, Italienische Umgangssprache, Bonn/Leipzig, Schroeder; Gossen, Carl T., 1954, Studien

zur syntaktischen und stilistischen Hervorhebung im modernen Italienisch, Berlin, Akademie Verlag;

Stammerjohann, Harro, 1970, Strukturen der Rede. Beobachtungen an der Umgangssprache von Florenz, in

Studi di Filologia Italiana, 28, pp. 295-397, citato in Berretta, Monica, 1993, p. 239.

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10

Secondo l‟autrice, il nodo della questione sta nel fatto che gli studiosi non avevano un

patrimonio comune di conoscenze teoriche e metodologiche, il quale ha anche influenzato le

riflessioni sul parlato (ivi: 10). Per lungo tempo ci sono state poche descrizioni linguistiche

del parlato in senso stretto, invece il parlato era stato studiato molto in un insieme eterogeneo

di campi di studio, fra i quali la retorica, la stilistica, la semiologia, l‟etnoantropologia, la

psicologia, la psicolinguistica (ivi: 11).

Un simile giudizio troviamo in Berretta (1993), che osserva per i primi studi qualche

sproporzione tra parte empirica e parti teoriche (Berretta 1993: 240). La studiosa richiama

alcuni lavori rilevanti che hanno elaborato delle riflessioni teoriche concernenti le peculiarità

della lingua parlata a confronto con quella scritta: tra questi, Sornicola (1981) che presenta dei

dati empirici insieme a una teoria generale, e De Mauro (1971) con un lavoro di stampo

teorico-filosofico (cfr. infra). Per quanto riguarda gli studi di carattere empirico-descrittivo,

che appartengono piuttosto al settore della dialettologia, Berretta constata l‟assenza di

un‟osservazione sistematica sul parlato (Berretta 1993: 240).

1.2.1. I corpora di italiano parlato

Negli anni successivi, grazie alla coscienza di questa mancanza di studi sistematici, gli

studiosi mostrano un atteggiamento diverso, cercando di allestire vari strumenti d‟analisi allo

scopo di mettere insieme tanto delle descrizioni generali quanto delle rappresentazioni

particolareggiate, anche sfruttando la proficua collaborazione con la sociolinguistica, la

pragmatica e l‟interazione del discorso Tutto ciò è confluito in un ricco filone di studi13

(Berretta 1993: 241), i quali sono, insieme con la creazione di corpora di parlato italiano (cfr.

infra), segno evidente dell‟aumentata attenzione scientifica specialistica per la lingua parlata

(Voghera 2001: 75). I corpora AVIP/API e CLIPS (utilizzato per questo lavoro, cfr. infra)

sono appunto il risultato di una acquisita consapevolezza della necessità di studiare il parlato.

Anche per quanto riguarda la fonologia e i suoi rapporti con la fonetica ci sono stati

avanzamenti: nel campo della pratica di laboratorio con la cosiddetta laboratory phonology14

,

13

Berruto, Gaetano, 1987, Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica;

Bianconi, Sandro, 1980, Lingua matrigna: italiano e dialetto nella Svizzera italiana, Bologna, Il Mulino;

Voghera, Miriam, 1992, citato in Berretta, Monica, 1993, p. 241. 14

Gli studiosi che lavorano nel quadro teorico contemporaneo della Laboratory Phonology osservano da un

punto di vista fonologico e fonetico le caratteristiche della voce umana. Le ricerche empiriche sulle

caratteristiche acustiche e articolatorie del fono sono finalizzate alla verifica sperimentale di ipotesi fonologiche

(Sorianello 2006: 15).

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11

inoltre si è voluto analizzare il parlato spontaneo e chiarire quali sono somiglianze e

differenze tra parlato spontaneo e parlato letto. La raccolta di corpora con finalità svariate,

riflette la diversità dei punti di vista dei ricercatori e si inserisce nell‟insieme degli studi

sull'italiano parlato che in questi ultimi anni sono diventati ricchi e innovativi (ivi: 75).

Tra le principali raccolte vi sono:

● il corpus LIP (Lessico di frequenza dell‟italiano parlato, 1993, coordinatore: De Mauro T.)

Questo è il primo corpus di parlato raccolto per obiettivi esplicitamente lessicografici. La sua

costruzione ha segnato una tappa indispensabile per successive ricerche linguistiche. Il corpus

contiene circa 60 ore di italiano parlato suddivise in un‟ampia tipologia di testi di diverse

varietà stilistiche (telefonate, parlato ufficiale o pubblico, parlato radiotelevisivo, diversi tipi

di conversazione faccia a faccia), regionali (materiale raccolto a Milano, Firenze, Roma e

Napoli), e sociali (testi provenienti da cinque macroclassi e numerose sottoclassi) (Albano

Leoni 2001: 4).

● il corpus AVIP/API (Archivio delle Varietà di Italiano Parlato (AVIP), 2000, coordinatore:

Bertinetto P. M., Archivio del Parlato Italiano (API), 2003, coordinatore: Albano Leoni F.)

Il corpus è stato raccolto da un gruppo di unità di ricerca15

negli anni 1997-2003, in primo

luogo per le analisi linguistiche generali, principalmente quelle fonetiche e fonologiche, di

parlato spontaneo naturale, ma risulta anche utile per le ricerche di psicolinguistica,

glottodidattica o per i metodi tecnologici di riconoscimento della voce. Per quanto riguarda la

stratificazione diatopica, i testi dialogici sono stati registrati in Toscana, Campania e Puglia.

Il corpus contiene circa 3,5 ore di dialoghi italiani Map Task (Crocco et al. 2003).

Il Map Task, così come il „test delle differenze‟, fa parte dei dialoghi collaborativi che sono

anche noti sotto il nome inglese di dialoghi Task-oriented. Il „test delle differenze‟ è un tipo di

dialogo-gioco ideato per lo studio del parlato semispontaneo. I due partecipanti coinvolti,

sprovvisti del contatto visivo, dispongono di due vignette di tipo enigmistico quasi identiche

(cfr. Figura 1.)16

. Attraverso lo scambio verbale i parlanti tendono a scoprire le differenze tra i

due disegni (Albano Leoni-Giordano 2003: xiv).

15

La Scuola Normale Superiore di Pisa, il Politecnico di Bari, l‟Istituto Universitario Orientale di Napoli,

l‟Università di Napoli Federico II, l‟Università di Vercelli, l‟Università del Piemonte Orientale Amedeo

Avogadro, l‟Università Cà Foscari di Venezia e l‟Università di Pisa (De Leo 2005: 48-50; Federico Albano

Leoni, Tre progetti per l‟italiano parlato: AVIP, API, CLIPS, consultabile sull‟indirizzo: http://www.uni-

duisburg.de/FB3/SILFI/SILFI2000/abstracts/papers/Albano_Leoni_co018.html). 16

Le figure sono tratte da De Leo, Simona, 2005, p. 77.

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12

Figura 1. Esempio di due vignette usate nel ‘test delle differenze’

La tecnica del secondo tipo di dialoghi Task-oriented, il Map Task, è stata ideata dai

ricercatori dell‟ Human Communication Research Centre (HCRC), legato all‟Università di

Edinburgo. Nei 128 dialoghi raccolti nel vasto HCRC Map Task Corpus17

, la conversazione si

svolge tra due parlanti che dispongono di una mappa semplice sulla quale sono presenti una

quindicina di punti di riferimento, come per esempio: white mountain, rope bridge, extinct

volcano (Carletta et al. 1996: 1-2; Isard-Carletta 1995: 1). Le mappe, però, non sono

completamente identiche e una barriera interposta impedisce il contatto visivo tra i parlanti.

La persona che ha ricevuto la mappa nella quale è indicato un percorso da seguire, è detta il

route giver e spiega al compagno, il route follower, come ricostruire la linea che va dalla

partenza all‟arrivo (Carletta et al. 1996: 1; Kowtko-Isard 1993: 2). Figura 2. presenta un

esempio di una mappa sulla quale è indicato il percorso.

17 I ricercatori dell‟Human Communication Research Centre (HCRC) hanno continuato l‟importante lavoro di

M. Coulthard e J.M. Sinclair (1975) sull‟interazione tra allievi e insegnante. In questo lavoro di analisi

conversazionale il dialogo è concepito per la prima volta come una struttura, composta delle unità più grandi che

comprendono quelle più piccole (Carletta et al. 1996: 2; Coulthard 1979: 93).

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13

Figura 2. Esempio di una mappa del route giver, usata nel Map Task dialogue 18

I partecipanti sono costretti a collaborare unicamente attraverso gli scambi verbali per

raggiungere questo scopo comune e durante la cooperazione “the participants form

18 La figura proviene da Carletta, Jean et al., 1996, p. 2.

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14

collaborative plans to reach a joint goal, transferring information back and forth to each

other both about how to perform the steps in the task and about the current state of the plan”

(Isard-Carletta 1995: 1). I vantaggi legati all‟uso di dialoghi Task-oriented per l‟analisi del

discorso sono i seguenti: “[f]irstly, turns are fairly short, as each party checks that the

communication has been understood and actions properly performed. Secondly, when

conversants are working to solve a problem, their motivations in conversing become clearer

to an outside observer” (Kowtko-Isard 1993: 2). L‟organizzazione conversazionale dei

dialoghi Map Task consiste in sottosegmenti facilmente analizzabili poiché i parlanti dividono

il compito in modo maneggevole e ordinato (Carletta et al. 1996: 1).

Per l‟italiano, esistono raccolte dei dialoghi Map Task nel corpus AVIP/API e nel corpus

CLIPS. Nei Map Task AVIP/API si usano le stesse condizioni sperimentali dell‟HCRC (senza

contatto visivo). Il corpus include parlanti maschili e femminili, di età compresa tra i 20 e i 30

anni (De Leo 2005: 49).

● il corpus CLIPS (Corpora e Lessici di Italiano Parlato e Scritto, 2006,

http://www.clips.unina.it)

Il progetto CLIPS (Corpora e Lessici di Italiano Parlato e Scritto) è stato ideato con

l‟intenzione di offrire strumenti per lo studio generale e per l‟analisi automatica dell‟italiano.

Il risultato finale presenta un‟indagine sulla lingua italiana tanto nella sua forma scritta,

quanto nella forma parlata. Per quanto riguarda la lingua parlata, il progetto è stato coordinato

dall'Università di Napoli Federico II. Anche altre strutture19

, diversi enti di ricerca e numerosi

studiosi hanno collaborato alla realizzazione del corpus. La predisposizione di corpora del

parlato è indispensabile, tanto per la conoscenza generale del funzionamento della lingua,

quanto per la produzione di applicazioni particolari (Albano Leoni 2001: 1). Nella

presentazione del progetto il coordinatore Federico Albano Leoni (2001: 1) afferma che “[i]l

progetto ha consentito di colmare una lacuna negli strumenti per lo studio dell‟italiano dal

punto di vista linguistico e da quello applicativo, in un momento in cui, da ambedue i punti di

vista, l‟interesse per la comunicazione parlata è in forte crescita”. Il corpus di Italiano Parlato

è reso integralmente pubblico sul sito ufficiale di CLIPS20

.

Il vasto corpus si suddivide in 5 sottocategorie diafasiche (parlato radiotelevisivo; parlato

raccolto sul campo; parlato letto; parlato telefonico; parlato ortofonico), per un totale di 100

19

Scuola Normale Superiore di Pisa, Fondazione Ugo Bordoni, Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle

Tecnologie, Università di Lecce (http://www.clips.unina.it). 20

Per approfondimento si veda il sito ufficiale: http://www.clips.unina.it.

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15

ore di lingua italiana parlata. Nella sezione di parlato dialogico „raccolto sul campo‟, il

materiale è stato raccolto secondo le modalità del Map Task e del „gioco delle differenze‟ (cfr.

supra). Per ciascuna delle località prescelte21

, hanno partecipato 12 coppie di parlatori,

prevalentemente studenti e studentesse universitari, dei quali l‟età varia tra i 20 e i 30 anni. Le

15 diverse varietà diatopiche, la stratificazione sociolinguistica e la presenza bilanciata di voci

femminili e maschili, forniscono un quadro rappresentativo della situazione linguistica attuale

dell‟italiano parlato (Albano Leoni 2001: 5-7).

● il corpus LIR (Lessico di frequenza dell‟italiano radiofonico, 1998, coordinatori: Maraschio

N., Stefanelli S.)

Il corpus è stato realizzato da un gruppo di vari specialisti presso il Centro di Studi di

Grammatica Italiana dell'Accademia della Crusca e include circa 50 ore di parlato

radiofonico. Il materiale disponibile, che proviene da otto emittenti a diffusione nazionale,

consente di analizzare le caratteristiche morfo-sintattiche, prosodiche e articolatori

dell‟italiano contemporaneo trasmesso (Voghera 2001: 75) (http://www.cirass.unina.it).

“La ricognizione delle regolarità

del parlato presenta una difficoltà di fondo,

quella di catturare un‟organizzazione che si

mostra, già a livello osservazionale, ‹‹altra››

da quella dello scritto, e cioè sottostante a

leggi e condizioni diverse.”

(Sornicola 1981: 13)

1.3. Le caratteristiche del parlato: problemi di definizione e tratti pertinenti alla

distinzione parlato-scritto

A questo punto mi pare utile individuare i confini dell‟oggetto del nostro interesse, in altre

parole, possiamo considerare cosa si intende con la nozione di „italiano parlato‟. Nella

letteratura in merito le accezioni divergono, ciò che rende il significato del termine molteplice

e oscillante. In questo paragrafo cercherò di delimitare le proprietà del parlato.

Come si è visto nei paragrafi precedenti, la distinzione parlato-scritto è un nodo centrale nello

sviluppo e nello studio della lingua italiana. La possibilità di distinguere a vari livelli d‟analisi

dei singoli tratti relativi all‟uso parlato, fa sì che “studiare il parlato [voglia] dire porsi di

21

Si tratta in particolare delle città di Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Catanzaro, Firenze, Genova, Lecce,

Milano, Napoli, Palermo, Parma, Perugia, Roma e Venezia (Albano Leoni 2001: 5).

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16

fronte ad un oggetto in qualche modo “altro” rispetto all‟oggetto tradizionale delle descrizioni

grammaticali: la lingua scritta” (Voghera 1992: 36). Per poter arrivare alla descrizione di

questa materia „altra‟, dobbiamo riprendere il filo del discorso sulla discussione teorica e sui

problemi di definizione di un testo parlato.

De Mauro (1971) cerca di individuare i diversi “rapporti tra segno e situazione [...] nel caso

della realizzazione scritta e parlata” (De Mauro 1971: 105) e quindi “le conseguenze del

diverso legame che realizzazione scritta e parlata istituiscono tra il segno e le situazioni

extralinguistiche” (ivi: 106). Per quanto riguarda il primo obiettivo, De Mauro (1971)

distingue per il parlato due principi di base che caratterizzano la produzione del segno parlato.

In primo luogo, il significato di un segno potrebbe anche dipendere da fattori come

l‟intonazione, la mimica e dei gesti che fanno riferimento agli interlocutori o ad altri elementi

situazionali, che sono detti il „contesto esplicito ausiliario‟. Nella realizzazione scritta di un

segno, invece, sono assenti queste proprietà22

. Un secondo fattore presente nella realizzazione

parlata di un segno, è il feedback. Il parlante può ricorrere continuamente a deviazioni, ritorni,

ripensamenti, correzioni, aggiustamenti secondo le esigenze del destinatario (ivi: 105). Questi

atti di feedback non sono totalmente assenti in una realizzazione scritta, solo che nella

redazione finale non sono più visibili. Per questo si nota che nello scritto è più ridotto il

legame tra segno e la concreta situazione comunicativa al quale appartengono produttore e

destinatario (ivi: 106).

Il fatto che scritto e parlato si realizzino in situazioni diverse e perciò instaurino vari rapporti

tra segno e situazione, ha come conseguenza una certa ridondanza a più livelli. Per l‟uso

scritto, De Mauro (1971) parla di una ridondanza di langue, vale a dire una ridondanza

sistemica che si realizza non solo per quanto riguarda il lessico, ma anche ad altri livelli (ivi:

106). L‟uso parlato, invece, conosce una ridondanza di parole, visto che sono più frequenti sia

i riferimenti alla situazione extralinguistica, sia gli interventi giustappositivi e correttivi.

Considerando da un punto di vista lessicale le scelte linguistiche di un testo scritto a confronto

di un testo parlato, salta all‟occhio la varietà e molteplicità dei termini, tale da individuare una

ridondanza lessicale propria dello scritto. Il parlato è relativamente più povero lessicalmente:

esso utilizza infatti un vocabolario ristretto di termini ad alta frequenza (ivi: 108).

22

Salvo nel caso di fumetti e simili (De Mauro 1971: 105).

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17

Un ulteriore argomento che viene discusso da De Mauro (1971) è la confusione tra

parlato/scritto e informale/formale. De Mauro definisce la distinzione delle nozioni di

formalità e informalità come tale:

“la produzione e la realizzazione di un segno linguistico sono formali quando esse mettono in

evidenza al massimo tutti i tratti pertinenti possibili per quel segno in quella data lingua; sono

invece informali quando l‟evidenza dei tratti pertinenti è minima; l‟insieme dei procedimenti

di produzione e realizzazione formale dei segni costituisce, per una data lingua, la norma

formale, distinta, attraverso gradazioni successive, dalla norma informale.” (ivi: 110)

Queste coppie di nozioni non appartengono a due ambiti separati da un netto confine. De

Mauro (1971) spiega che scritto e parlato sono indipendenti da formalità e informalità, anche

se molti altri studiosi notano delle associazioni tipiche: parlato/informalità, scritto/formalità.

In Berretta (1993) la distinzione scritto/parlato è associata con i tratti di uso formale e uso

informale. All‟uso parlato viene attribuito un registro informale della lingua, dovuto alla

dimensione diamesica e alle situazioni tipiche d‟uso. Sulla scala di formalità, il parlato si

colloca al lato radicalmente opposto rispetto allo scritto (Berretta 1993: 243). Gli usi parlati,

inclini ad essere identificati come varietà diafasiche o diastratiche basse, si servono di

elementi linguistici meno formali e appartengono al polo dell‟informalità (ivi: 244). Come

dice la studiosa, un uso scritto appare meno spontaneo perché pretende una maggiore

attenzione lessicale, ma anche sintattica e appartiene dunque al polo della formalità (ivi: 244).

Questa riflessione differisce sostanzialmente dall‟affermazione sostenuta da De Mauro

(1971), il quale ritiene che sia una grossolana ipergeneralizzazione equiparare in ogni caso

uso scritto con uso formale, uso parlato con uso informale (De Mauro 1971: 112). Lo studioso

parla di una tendenziale unione armoniosa secondo la quale “l‟uso scritto si amalgama

preferenzialmente con gli usi formali di una lingua e viceversa, mentre gli usi parlati si

amalgamano con gli usi informali e viceversa” (ivi: 112-113). Esistono realizzazioni scritte

con tratti caratteristici dell‟uso parlato, lo scrittore di una lettera privata, per esempio, userà

una lingua di minore ricchezza lessicale. Al caso opposto ci fa pensare, per esempio, una

conferenza scientifica, che pur essendo parlata, impiega un uso formale della lingua. Sia chi

parla, sia chi scrive, decide se scegliere un uso formale o un uso informale della lingua e

dunque sfrutta in maniera diversa le potenzialità del registro (ivi: 112).

La produzione e realizzazione di un segno linguistico (ivi: 110) (cfr. supra) secondo una

norma formale, oppure informale, emerge a due livelli: quello dell‟espressione e quello del

contenuto. Nel primo caso, un parlato formale, dal punto di vista fonico, sarà prodotto con

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18

un‟espressione iperarticolata, mentre un parlato informale sarà caratterizzato da

un‟articolazione trascurata (ivi: 110). Analogamente, una formalità grafica si ottiene

attraverso una scrittura chiara, mentre il contrario vale per l‟informalità. Per quanto riguarda

l‟(in)formalità del contenuto semantico, esso dipenderà dall‟uso maggiore o minore delle

risorse distintive che consentono un maggiore o minore distacco dal contesto situazionale (ivi:

111). Le espressioni utilizzate secondo una norma informale, sono piuttosto semplificate dal

punto di vista della sintassi, e lessicalmente ricorrono a vocaboli generici. Il loro significato si

basa sul riferimento alla situazione extralinguistica (ivi: 113), come per esempio

nell‟enunciato (1). Le espressioni utilizzate secondo una norma formale, come mostra

l‟esempio (2), ricorrono alle facoltà distintive del sistema linguistica stessa e stanno

scarsamente in rapporto con la situazione nel la quale sono impiegate (ivi: 113).

(1) Quel tipo lì.

(2) Uno studente spagnolo con i capelli ricci ha seguito un corso di linguistica italiana

all‟università di Perugia.

Pur non essendo delle equivalenze assolute, lo sviluppo storico ha stabilito una certa

congiunzione, da una parte tra uso formale e realizzazione scritta, dall‟altra tra uso informale

e realizzazione fonica. Infatti, le loro proprietà fisiche rendono i segni grafici meno legati al

contesto situazionale e dunque i testi scritti ci appaiono soprattutto in stampa formale. Lo

stesso vale per il parlato, il mezzo privilegiato per una comunicazione informale (ivi: 111).

Voghera (1992) individua i vari punti di vista secondo i quali il parlato è stato definito dagli

studiosi. In primo luogo, è ricorrente in letteratura l‟accezione del parlato quale pratica

comunicativa, perché funge da modalità semiotica di emissione. Secondo questa prospettiva,

il parlato appartiene parzialmente al complesso di pratiche comunicative di una determinata

società, cioè alla categoria di oralità (Voghera 1992: 14). In secondo luogo, dal punto di vista

variazionale la nozione di parlato indica una varietà linguistica. In terzo luogo, il parlato è

stato considerato da un punto di vista strettamente diamesico, come l‟insieme delle produzioni

che utilizzano il sistema fonico-uditivo. Nei lavori linguistici, le sopracitate nozioni di oralità,

varietà parlata e sistema fonico-uditivo vengono impiegate sia come proprietà intrinsecamente

presenti nel parlato, sia come sinonimi del parlato in sé (ivi: 15).

Il primo parametro23

, cioè la modalità orale, è una proprietà che non appartiene

esclusivamente al parlato, ma può anche essere applicata per definire ogni tipo di meccanismo

23

In Voghera, Miriam, 1992, pp. 22-26.

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linguistico avente determinate caratteristiche. Sono assegnabili all‟oralità le seguenti

caratteristiche:

● soggettività: nella comunicazione orale sia l‟emittente che i destinatari si comportano

emotivamente e sono attivamente coinvolti.

● dialogicità: la comunicazione orale24

procede attraverso lo scambio di enunciati tra gli

interlocutori, ogni battuta dei quali ridefinisce la forma del testo.

● dipendenza dalla performance: la comunicazione orale fa un massimo ricorso al contesto.

● pluralità dei modi di significare: la comunicazione orale è basata su un discorso

circostanziale, in cui si serve di segni extralinguistici come i gesti e della prosodia.

● massimo uso della ripetizione: nella comunicazione orale gli enunciati si organizzano a

seconda della ripetitività e della regolarità ritmica. Oltre ad avere una funzione mnemonica,

la ripetizione rende coerente il testo orale e mette in rilievo l‟informazione.

● andamento tematico epicicloidale: per la comunicazione orale, a differenza dei testi scritti,

non è presente un andamento informativo lineare, ma piuttosto una ripresa parziale

dell‟informazione espressa nei turni precedenti.

● ridondanza sintattica: la comunicazione orale mostra una certa ridondanza per quanto

riguarda la sintassi, in essa prevale un andamento addizionale il quale è maggiormente

ripetitivo. Usando delle frasi subordinate si limita la reiterazione, esse sono più diffuse in un

testo scritto, il quale rappresenta invece generalmente una ridondanza del lessico.

Il secondo punto di vista25

riguarda l‟uso del canale fonico-uditivo. Il continuum fonico che

costituisce un testo parlato contrasta con l‟isolabilità dei grafemi in un sistema grafico. L‟uso

del sistema fonico-uditivo è caratterizzato da:

● l‟organizzazione temporale delle fonie: il processo di produzione e ricezione dei suoni si

sviluppa nel tempo e non nello spazio.

● l‟unidimensionalità delle fonie: il continuum fonico è composto di elementi

unidimensionali26

, i segni grafici invece sono bidimensionali, talvolta tridimensionali.

● la non ripetibilità e non permanenza delle fonie: il continuum fonico consiste di elementi

evanescenti, che non lasciano delle tracce permanenti. A differenza di un testo scritto,

l‟emittente e il ricevente non possono tornare sulle parti precedenti del discorso. La

24

Inclusa la comunicazione orale fonologica (Voghera 1992: 21). 25

In Voghera, Miriam, 1992, pp. 30-36. 26

Si nota che questa affermazione di Voghera non rende giustizia alle fonologie non lineari e ai problemi teorici

da esse sollevate.

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comunicazione fonica-uditiva procede di pari passo senza che i partecipanti abbiano una

visione integrale dei loro scambi.

● la contemporaneità tra produzione e ricezione delle fonie: la fase di produzione articolatoria

e quella di ricezione uditiva coincidono durante lo scambio del messaggio fonico-uditivo. La

simultaneità di emissione e ricezione influenza il tipo di pianificazione e la velocità della

produzione del messaggio.

Su questo secondo punto di vista, che privilegia la scelta del sistema fonico-uditivo come

criterio principale, si basa la definizione di parlato adottata in Berretta (1993):

“[p]arleremo dunque di “parlato” per tutti i (tipi di) testi che vengono realizzati attraverso il

canale fonico-acustico, escludendone solo la lettura ad alta voce o la recitazione a memoria di

testi scritti. La situazione tipica d‟uso del parlato è quella che prevede compresenza di parlante e

ascoltatore /-i e possibilità di retroazione o feedback (scambio di ruoli fra parlante e ascoltatore;

verifica del passaggio dell‟informazione); tuttavia con la definizione or ora data abbiamo

ammesso anche situazioni senza compresenza (per esempio conversazioni telefoniche) e perfino

senza possibilità di feed-back (per esempio trasmissioni radiofoniche o televisive).” (Berretta

1993: 242-243)

La terza nozione27

è quella di parlato come varietà linguistica. Alcuni ricercatori che si

occupano della conversazione faccia a faccia28

, hanno avanzato l‟ipotesi secondo la quale

bisognerebbe considerare il parlato come una varietà pragmatica. Ciò significa che il parlato

si distinguerebbe sistematicamente per quanto riguarda le strategie comunicative in atto,

piuttosto che per la struttura dei testi e dunque cesserebbe di dover essere giudicato come una

varietà strutturale. Le caratteristiche che fanno vedere le differenze tra i due sistemi di

27

In Voghera, Miriam, 1992, pp. 36-49. 28

Voghera (1992 : 48) cita le ricerche seguenti: Schegloff, Emanuel A., 1972, “Notes on a Conversational

Practice: Formulating Place”, in Pier Paolo Gigliolo (a cura di), 1972, Language and Social Context, pp. 95-135;

Sacks, Harvey; Schegloff, Emanuel A.; Jefferson, Gail, 1974, A Simplest Systematics for the Organization of

Turn-Taking for Conversation, in Language, 50, 4, pp. 696-735; Chafe, Wallace L., 1980, “The Deployment of

Consciousness in the Production of a Narrative”, in Wallace L. Chafe (a cura di), 1980, The Pear Stories:

Cultural, Cognitive and Linguistic Aspects of Narrative Production, Norwood, Ablex, pp. 9-50; Chafe, Wallace

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trasmissione non stanno soltanto nel diverso funzionamento fisico della sostanza e del mezzo

di trasmissione e quindi è importante prendere in considerazione anche le pratiche

comunicative relative ad essi.

È chiaro che la disamina di Voghera (1992) non si limita semplicemente ad una descrizione

degli aspetti strutturali distintivi del parlato ed è invece basata sull‟esame di un insieme

eterogeneo di rapporti pragmatici, sociali e psicocognitivi tra i parlanti e i loro enunciati

(Voghera 1992: 49). Inoltre, la studiosa, parlando dell‟oralità, include tra i fattori pertinenti

per l‟analisi del parlato anche fattori semiotici. Le tre nozioni sopradescritte sono categorie di

riferimento che, pur non essendo esaustive, coprono diversi aspetti essenziali della natura del

parlato. Malgrado il fatto che esse siano nozioni a sé stanti, stanno in rapporto reciproco e

sono in parte reciprocamente dipendenti. Studiando il parlato, si scopre “il quadro di queste

interdipendenze” (ivi: 50), visto che “[l]e proprietà dei testi parlati dipenderanno piuttosto dal

modo in cui le singole caratteristiche entrano in relazione tra loro” (ivi: 50). Possiamo dunque

definire il parlato come un insieme stratificato, basato sui rapporti tra i singoli principi

costitutivi (ivi: 50).

1.3.1. Le costanti del parlato

Voghera si è occupata inoltre delle „costanti del parlato‟ (Voghera 2001: 76). Questi tratti

costanti sono validi in generale, anche se non rappresentano una caratterizzazione esauriente

perché non esiste un‟unica forma di parlato distinta dagli usi scritti, per cui gli usi parlati

hanno un aspetto multiforme. Le proprietà considerate appartengono al parlato prodotto

spontaneamente in un contesto naturale, e riguardano la maggior parte delle lingue. Le

differenze tra lingua scritta e parlata sono preliminarmente legate alla variazione diamesica, la

quale tuttavia attraversa le variazioni diafasiche, diastratiche, e talvolta diatopiche29

(Voghera

2001: 76).

Le costanti del parlato spontaneo si organizzano dalla più alla meno caratterizzante, e sono

presentate dunque in una scala di pertinenza:

● organizzazione dialogica: lo sviluppo più naturale della comunicazione parlata è

l‟organizzazione faccia a faccia. L‟alternanza dei ruoli tra i partecipanti allo scambio

dialogico permette il loro intervento alla progettazione e costruzione del testo, diversamente

29

Come nel caso italiano (Voghera 2001 : 76).

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da ciò che avviene nella comunicazione scritta. La comunicazione parlata procede in maniera

equilibrata tra processo di programmazione e produzione, e tra processo di ricezione ed

elaborazione. Grazie al sistema di turnazione, programmazione e produzione si realizzano

quasi contemporaneamente e lo stesso vale per ricezione ed elaborazione. Ne consegue che la

struttura dei testi parlati si presenta maggiormente efficace in funzione al carattere dialogico

della conversazione, per cui i turni sono normalmente piuttosto brevi (ivi: 76-77). È

interessante completare tale descrizione della strutturazione del testo con le riflessioni

espresse da Berretta (1993) e Berruto (2006b). Analogamente a Voghera (2001), Berretta

(1993) definisce l‟interazione faccia a faccia come la situazione tipica d‟uso del parlato e

sostiene che le caratteristiche legate a questa modalità di comunicazione spieghino la

frammentaria testualità del parlato. Una prima proprietà legata all‟uso dialogico è il ricorso

alla comunicazione non verbale, la quale accompagna in modo espressivo gli atti verbali

(Berretta 1993: 243). La seconda caratteristica presente secondo la studiosa è la funzione

sociale, nel senso che il parlato, più che lo scritto, permette di instaurare dei rapporti con gli

altri parlanti. Inoltre, la frammentarietà è il risultato evidente della limitata possibilità di

pianificazione o elaborazione degli enunciati. L‟effetto di questi fattori, i quali sono propri di

ogni lingua sotto forma parlata, si vede principalmente nella strutturazione del testo (ivi: 243).

Si tratta in particolare della predominanza della semantica sulla sintassi30

, dell‟uso di

particelle discorsive e della presenza di ellissi, brachilogie e riferimenti impliciti (ivi: 245).

Anche Berruto (2006b) ha ugualmente indicato che il carattere frammentario del discorso si fa

vedere al livello della sintassi, ma vale anche per quello della semantica. Sul piano strutturale,

le parti del discorso non sono veramente collegate tra loro perché il testo si produce attraverso

l‟accostarsi di piccoli blocchi semantico-sintattici (Berruto 2006b: 41-42) come mostra il

brano seguente.

(3)31

A: senti un‟altra cosa // il tuo tempo libero / come lo trascorri?

B: il mio tempo libero // moltissima lettura // moltissima musica //

mostre viaggi // quando è possibile // soldi permettendo // basta

sostanzialmente // poi le amicizie le coltivo molto // moltissimo

Oltre all‟alta frequenza di sintagmi nominali definiti da frasi relative e delle pause di

esitazione, il carattere di frammentarietà si fa anche vedere nel caso delle frasi incomplete o

dei brevi pezzi d‟inciso, visto che la loro presenza modifica la pianificazione semantico-

30

Lo studio della dislocazione a sinistra e del tema sospeso si inserisce in questo quadro; fanno vedere come il

parlato sfrutta le risorse sintattiche della lingua. Vedremo che nel tema sospeso prevale la pragmatica sulla buona

formazione sintattica, perché il tema sospeso non è legato sintatticamente alla frase. 31

Il brano citato proviene da Milano, Emma, 2003, p. 93.

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sintattica del testo. La micro-progettazione del discorso cambia attraverso l‟uso di parafrasi,

ripetizioni e aggiunte successive, i quali vengono impiegati dal parlante per riformulare e

precisare ciò che dice (Berruto 2006b: 42). Ne dà conto l‟esempio (4).

(4)32

A: ecco per esempio il problema degli extracomunitari ?

B: ah io lo sento moltissimo // moltissimo // ed è una cosa che mi

amareggia // mi amareggia // perché vedo queste persone molto disperate

// ecco e spesso mi chiedo // io che cosa // per quale motivo ho avuto

questa fortuna in più rispetto a loro // ecco ho il // penso di avere delle

colpe anch'io // mi trovo poi così incapace di intervenire // ecco // questo

/ sì // idealmente mi sento tollerante //dopo di che però per aiutare non lo

so // perché è un problema troppo grosso // che non può risolvere il privato //

● massimo uso di coesione della prosodia: l‟andamento melodico dell‟enunciato, la

segmentazione in unità prosodiche33

e la velocità di eloquio, vale a dire l‟insieme dei fatti

prosodici usati dal parlante, contribuiscono alla creazione del significato delle sue parole e

svolgono quindi una funzione linguistica (Voghera 2001: 77).

● massima ridondanza: la comunicazione fonica-uditiva si imbatte in possibili fattori di

disturbo (rumore) e ciò spiega la notevole ridondanza del discorso parlato. La prima

possibilità di rumore, si verifica durante il processo pressoché contemporaneo di produzione e

ricezione. Al ricevente spetta il compito di decodificare il messaggio ed esso deve dunque

partecipare attivamente alla comunicazione, insieme con il produttore. L‟interpretazione di un

testo scritto può far a meno della ridondanza, “perché il lettore del testo ha tempo per

ricostruire la rete di relazioni semantico-sintattiche intese dal produttore. Chi parla deve

invece guidare il ricevente nella ricostruzione dell‟insieme delle relazioni semantico-

sintattiche in tempo reale”34

. La ridondanza si manifesta prevalentemente sul piano tematico.

Il tema discorsivo viene elaborato recuperando parzialmente gli enunciati già espressi. Questa

ridondanza tematica non è per forza sinonimo di ripetizione, esistono invece altre scelte

strutturali, tra le quali è più frequente la parafrasi, una riformulazione che sviluppa con

maggiore ampiezza il tema discorsivo. Inoltre, il rumore si verifica anche frequentemente

durante lo scambio dei turni, nel caso in cui vengano realizzate delle sovrapposizioni

(Voghera 2001: 79-80).

32

Il brano citato proviene da Milano, Emma, p. 101. 33

Le unità prosodiche sono dei gruppi tonali, detti anche unità tonali, blocchi di parlato compresi tra due „pause

potenziali‟ (Voghera 2001: 78). 34

Brown, Gillian, 1995, Speakers, Listeners and Communication, Cambridge, Cambridge University Press,

parafrasato in Voghera, Miriam, 2001, p. 79.

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Secondo il modello dello scambio di turno elaborato da Sacks et al. (1974)35

, il cambiamento

di parlante avviene nel momento in cui il locutore ha completato la sua frase. A questo punto,

quando si verifica un possibile completamento dell‟enunciazione, il parlante successivo può

iniziare il suo turno (Coulthard 1979: 56-59). In generale sono limitati i casi nei quali

ricorrono sovrapposizioni e silenzi, perché i parlanti “do have the ability to place their entries

with great precision. Nevertheless, unintentional overlaps still occur, frequently caused by

self-selection” (Coulthard 1979: 56).

Nell‟ esempio seguente si vede una sovrapposizione involontaria, causata da

un‟interpretazione sbagliata. Il secondo parlante si rende poi conto che il turno era ancora in

atto e cede subito la parola. Le interruzioni di questo tipo sono piuttosto brevi (Andorno 2005:

160-161).

(5)36

A: perché non ti puoi fidare, hai visto=

B: =// sì è

A: hai visto anche tu

Nel caso opposto, accade un‟interruzione volontaria quando una seconda persona si

autoseleziona e comincia a parlare. Il parlante interrotto che non ha voluto cessare di parlare,

continua il turno attraverso un innalzamento di volume di voce e una diminuzione del ritmo

enunciativo (Andorno 2005: 161), come si vede nell‟esempio (6).

(6)37

A: ma sta // persona che L‟HA FATTO *DEVE ESSERE : :

B: se ho capito bene la persona

A: curata

● massimo uso della ripetizione: durante una conversazione accade spesso che un parlante

decida di ripetere degli elementi o delle strutture linguistiche, e le ragioni sono in parte da

riportare a quelle descritte per la ridondanza. Gli usi ripetitivi appartengono a due

raggruppamenti, a seconda della funzione che svolgono (Voghera 2001: 80);

- Il primo tipo di ripetizione consiste nella “ripetizione di enunciati altrui per dare coerenza e

coesione al discorso” (ivi: 80).

- Il secondo tipo contiene i casi di “autoripetizione di tipo automatico come meccanismo di

controllo della programmazione del discorso” (ivi: 80).

35

Sacks, Harvey; Schegloff, Emanuel A.; Jefferson, Gail, 1974, A Simplest Systematics for the Organization of

Turn-Taking for Conversation, in Language, 50, 4, pp. 696-735, citato in Coulthard, Malcolm, 1979, p. 57. 36

L‟esempio è tratto da Andorno, Cecilia, 2005, p. 161. 37

L‟esempio è tratto da Levinson, Stephen, 1983, Pragmatics, Cambridge, Cambridge University Press, citato in

Andorno, Cecilia, 2005, p. 161, dalla traduzione italiana: La pragmatica, 1993, Bologna, Il Mulino.

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Si nota inoltre che, attraverso l‟autoripetizione, il parlante allunga il tempo disponibile per

progettare ed elaborare il suo enunciato seguente (ivi: 81). Questo avviene soprattutto in caso

di turni di durata maggiore. Viceversa, ad un basso uso dell‟autoripetizone corrisponde un

veloce scambio di battute di breve durata (ivi: 80).

● massimo uso dei segnali discorsivi: i fatti prosodici (cfr. supra) e i segnali discorsivi sono

strumenti che facilitano non solo una corretta trasmissione, ma anche l‟elaborazione

preferenziale del messaggio comunicativo. Questo è perché i segnali discorsivi indicano le

varie porzioni del testo e le connessioni tra di esse (ivi: 81).

A prima vista, pare che i segnali discorsivi non abbiano una funzione precisa: non

contribuiscono al valore di verità dell‟enunciato e neanche al significato preposizionale

espresso dall‟enunciato. Comunque, l‟analisi di Bazzanella (1994) per il parlato monologico e

quello faccia a faccia ci induce a pensare che essi siano più che dei semplici „tic‟38

verbali, dal

momento che i “ ‹‹segnali discorsivi ›› [...] svolgono in realtà funzioni essenziali dal punto di

vista discorsivo ed interazionale. Ad esempio, pensiamo a: sai, ecco, praticamente, cioè, beh,

insomma, voglio dire, eh!, niente, esatto, ecc., che costellano il discorso quotidiano”

(Bazzanella 1994: 145-146). I segnali discorsivi hanno una serie di funzioni e una serie di

proprietà. Una prima caratteristica è l‟accumulazione lineare, perché frequentemente i segnali

discorsivi si presentono in gruppo, come si vede nell‟esempio seguente.

(7)39

Dal punto di vista storico cronologico quindi insomma diciamo è la

collocazione puramente storica e geografica.

Una seconda proprietà importante è il fatto che i segnali discorsivi non sono raggruppabili su

base grammaticale, dato che le parole utilizzate appartengono a categorie grammaticali

diverse. Oltre alle categorie grammaticali presenti in (7)40

, appaiono anche interiezioni,

sintagmi preposizionali, o espressioni frasali come per così dire (Bazzanella 1994: 150, 2005:

138). Per classificare i segnali discorsivi si deve considerare invece la funzione che essi

svolgono nella conversazione. Salta all‟occhio che le parole utilizzate perdono la loro

pienezza semantica, e dunque, un altro tratto del segnale discorsivo è la desemantizzazione. Il

sintagma verbale in (7) perde il significato primario del verbo „dire‟. Altri casi analoghi di

verbi desemantizzati sono: „senti‟, „vedi‟ „sai‟, i quali servono piuttosto ad esprimere una

certa partecipazione o solidarietà sociale da parte dell‟interlocutore (Bazzanella 1994: 147).

38

Bazzanella, Carla, 1994, p. 146. 39

L‟esempio è tratto dal corpus LIP, citato in Crocco, Claudia, 2006-2007. 40

quindi: avverbio o congiunzione; insomma: avverbio; diciamo: sintagma verbale(Crocco 2006-2007).

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Un‟altra caratteristica interessante è la polifunzionalità (ivi: 149), la quale si manifesta in due

modi. In primo luogo, visto che i segnali discorsivi non appartengono tutti ad una categoria

grammaticale, non sono associati in modo univoco ad una ed una sola funzione. Essi possono

svolgere più funzioni contemporaneamente. Nell‟esempio (7), il sintagma verbale „diciamo‟

ha nello stesso tempo una funzione fatica e una funzione riempitiva. In secondo luogo, un

segnale discorsivo può cambiare funzione a seconda del contesto, dell‟intonazione con cui

viene prodotto, o in base alla posizione in cui si trova nell‟enunciato (ivi: 148-149).

Bazzanella (1994) conclude che i segnali discorsivi “oltre al loro significato letterale,

veicolano altri valori dipendenti dal contesto, che sottolineano l‟interazione in corso e lo

sviluppo stesso della conversazione” (Bazzanella 1994: 150) e propone di definirli come

“quegli elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori

aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali,

interfrasali, extrafrasali ed a esplicitare la collocazione dell‟enunciato in una dimensione

interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione.” (ivi: 150)

Per quanto riguarda le diverse funzioni dei segnali discorsivi, essi non appartengono tutte allo

stesso livello. Oltre alla funzione metatestuale e cognitiva, quella interazionale è dal punto di

vista linguistico più importante (ivi: 148). In conclusione Bazzanella (1994) propone di

interpretare le funzioni interazionali da due punti di vista corrispondenti, dalla parte del

parlante e dalla parte dell‟interlocutore41

.

Ritornando all‟osservazione di Voghera (2001), i vari segnali discorsivi vengono impiegati

per fini pragmatici o testuali. Dal punto di vista pragmatico, qualunque parlante esercita un

controllo sullo scambio discorsivo e i suoi partecipanti. I segnali discorsivi servono a colmare

le pause, perché il parlante non perda il possesso della parola. Per quanto riguarda la struttura

testuale, essa può essere definita aperta, visto che le abitudini conversazionali comprendono

cambi di progetto, interruzioni, esitazioni, ripensamenti. L‟ascoltatore si orienta allora

attraverso i segnali discorsivi per ricostruire la coerenza testuale (Voghera 2001: 82). Come

ha affermato Berruto (2006b: 42), i vari tipi di particelle sono in qualche modo un

contrappeso alla frammentarietà dei vari pezzi informativi (cfr. supra).

● massimo uso della deissi: preferendo la brevitas del testo, tutti i discorsi parlati fanno

riferimento alla situazione comunicativa (cfr. supra: De Mauro 1971). Invece di formulare

41

Per la classificazione proposta riguardante le funzioni internazionali degli segnali discorsivi dalla parte del

parlante e dalla parte dell‟interlocutore, si veda Bazzanella, Carla, 1994, pp. 151-160.

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espressamente ogni elemento contestuale, è più efficiente fare ricorso ad elementi deittici.

Non solo i pronomi personali, i possessivi, le marche flessive di prima e seconda persona e i

dimostrativi, ma anche le indicazioni temporali, le ellissi di informazione già nota o presente e

i casi di riduzione e troncamento, possono realizzare un atto di riferimento deittico (Voghera

2001: 83-84).

● minima specificazione segmentale del segnale: alcune ricerche nell‟ambito della

fonologia hanno mostrato che il parlato spontaneo conosce una scala di possibili realizzazioni

foniche42

. Le sequenze segmentali vengono specificate fonicamente in parecchie maniere. Un

minimo grado di specificazione segmentale del segnale ha come conseguenze: sandhi43

derivante da coarticolazione, elisione di foni o di sillabe, mutamenti di timbro delle vocali,

indebolimento delle articolazioni consonantiche44

(ivi: 84-85).

● massimo uso di lessico e di strutture polisemiche: la frequenza nel parlato di strutture con

possibilità d‟uso in diversi ambiti è spiegabile tenendo conto del processo sincrono di

enunciazione e programmazione. Il parlante utilizza materiale linguistico detto polifunzionale

e pluriseme, visto che semplicemente esso non dispone del tempo necessario per affinare i

suoi enunciati. Il ricorso alla polisemia si mostra sia per il lessico, sia per i tempi verbali dove

prevale l‟indicativo (cfr. supra: esempi 1, 2) (ivi: 86-87).

● minima densità lessicale: la densità lessicale ovvero “il rapporto tra unità lessicali o parole

piene e parole grammaticali o parole vuote”45

, è piuttosto basso nell‟uso parlato. La presenza

di elementi polifunzionali o deittici (cfr. supra) significa che l‟interpretazione informativa si

basa frequentemente sull‟intonazione e sui segni extralinguistici (ivi: 87).

42

Albano Leoni, Federico; Maturi, Pietro, 1992, “Per una verifica pragmatica dei modelli fonologici”, in

Giovanni Gobber (a cura di), La linguistica pragmatica, Roma, Bulzoni, pp. 39-49; Albano Leoni, Federico,

1998, Manuale di fonetica, Roma, Carocci; Savy, Renata, 1999(a), Riduzioni foniche nel parlato spontaneo: il

ruolo della morfologia nell‟interpretazione del messaggio e nella comunicazione, tesi di dottorato non pubblicata,

Università degli Studi di Roma Tre; Savy, Renata, 1999(b), “Riduzioni foniche nella morfologia del sintagma

nominale nel parlato spontaneo: indagine quantitativa e aspetti strutturali”, in Paola Benincà, Alberto Mioni, Laura

Vanelli (a cura di), 1999, Fonologia e morfologia dell‟italiano e dei dialetti d‟Italia, Roma, Bulzoni, pp. 201-221,

citato in Voghera, Miriam, 2001, p. 84. 43

adattamento fonologico tra le finali e le iniziali di parole contigue o tra i morfemi costitutivi di una parola (De

Mauro 2002). 44

Brown, Gillian, 1977, Listening to Spoken English, London, Longman, parafrasato in Voghera, Miriam, 2001,

p. 85. 45

Halliday, Michael A. K., 1989, Spoken and Written Language, Oxford, Oxford University Press, parafrasato in

Voghera, Miriam, 2001, p. 87.

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Anche Berretta (1993) parla del ricorrente riferimento al contesto extralinguistico: com‟è già

noto, il forte legame del parlato conversazionale con la situazione in cui viene impiegato,

anche chiamato deitticità o indessicalità, fa sì che nel testo orale gran parte dell‟informazione

rimanga implicita. Di conseguenza, l‟informazione espressa parzialmente o perfino „non

detta‟ si riferisce per l‟interpretazione al contesto (extra)linguistico o alle conoscenze

condivise dai parlanti (cfr. supra) (Berretta 1993: 243). In questo caso la studiosa parla di

tendenziale implicitezza, evidenziando che “[q]uesta caratteristica tuttavia non riguarda tutti i

testi orali, ma solo quelli conversazionali” (ivi: 243). Analogamente, Berruto (2006b)

definisce il parlato caratterizzato da un maggiore riferimento indessicale e legato al

comportamento interazionale interindividuale. Secondo Berruto, la forte dipendenza del

contesto extralinguistico, e di quello linguistico, il cotesto, fa sì che i parlanti si esprimano

anche con i gesti non verbali. Inoltre, gli interlocutori stanno attenti agli scopi relativi

all‟interazione e attribuiscono una certa implicitezza ai loro enunciati (Berruto 2006b: 37-38).

● sintassi concatenativa e non gerarchizzata: il parlato è caratterizzato da una sintassi

progressivamente additiva, che presenta cioè il concatenarsi di proposizioni. Questo modo di

rappresentazione dell‟informazione resta in maggior misura fedele all‟esposizione

cronologica dei fatti presentati. A differenza di una sintassi gerarchica, la concatenazione

delle clausole favorisce l‟elaborazione dell‟informazione e aiuta la registrazione da parte

dell‟ascoltatore (Voghera 2001: 87-88).

Dalla discussione di queste proprietà risulta che la diversità del parlato rispetto allo scritto non

può essere motivata riferendosi semplicemente alla struttura sintattica o alle scelte lessicali.

Sono invece la dialogicità e il connesso sistema di turnazione a dare forma alle costanti del

parlato, le quali dipendono dunque principalmente dei processi di progettazione-produzione,

ricezione-elaborazione (Voghera 2001: 89). Osservando un testo spontaneamente parlato, è

fuori dubbio che questo si basi in primo luogo sul complesso di tali costanti, i quali sono per

così dire d‟obbligo. Ciò significa per Voghera (2001) che è improprio uguagliare la differenza

tra lingua parlata e lingua scritta alle altre dimensioni di variazione che possono definire un

testo, cioè alla variazione diastratica, diafasica, diatopica. Con queste varietà si intreccia

inscindibilmente il mezzo fisico in cui è realizzato l‟enunciato, tale che la scelta per il mezzo

di realizzazione peserà maggiormente sulla forma dell‟enunciato e il parlato sarebbe quindi

prima di tutto una varietà diamesica (Voghera 2001: 88).

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Una riflessione di tono simile appare in Berretta (1993) in riferimento alla dimensione di

variazione diamesica. Il mezzo di comunicazione, nel nostro caso quello orale, causa quella

forma tipica dei testi parlati e inoltre giustifica la diversità rispetto a testi scritti. Per il mezzo

orale va notata la linearità di produzione e ricezione, e ciò spinge i parlanti alle attività di

memorizzazione e di programmazione degli enunciati. Quella ripetuta e palese attività di

(ri)programmazione delle informazioni, ovvero pianificazione, è legata al carattere

irremovibile della parola detta. Questo spiega l‟andamento pragmatico dell‟uso parlato, come

l‟aspetto frammentario del testo che mette in rilievo piuttosto la semantica che la sintassi

(Berretta 1993: 242-243). Dello stesso parere è Berruto (2006b) quando dichiara che il parlato

è il regno della semantica, a scapito di una buona formazione sintattica. Questo modo di

strutturazione, a seconda delle esigenze semantiche, è stato chiamato da Givón (1979)46

il

„modo pragmatico‟ del testo parlato. In concordanza con gli studi di cui si è discusso prima

(Voghera 2001; Berretta 1993), viene assegnato maggiore rilevanza alla differenza in

diamesia, dato che il mezzo fisico che trasmette l‟enunciato condiziona e privilegia una certa

costituzione del messaggio (Berruto 2006b: 38). Alla luce di tali considerazioni fatte sul modo

pragmatico e sulle costanti del parlato, mi pare corretto sostenere che il parlato sia soprattutto

una varietà diamesica e pragmatica. In altre parole, le proprietà tipiche della lingua sotto

forma parlata sono il fatto che il parlato è un mezzo comunicativo che si realizza attraverso la

bocca e, inoltre, la presenza di strategie comunicative insieme con altre caratteristiche

generali per strutturare la conversazione.

I principali criteri definitori del parlato che sono stati proposti durante gli ultimi 40 anni, sono

a mio parere colti e compendiati da Berruto (2006b). Molto importante è l‟individuazione di

un continuum (Berruto 2006b: 37n.) con tutti i possibili usi linguistici, nel quale si trova un

primo polo con testi definibili solo parlato, il genere di parlato che veniva chiamato da

Nencioni (1976)47

„parlato-parlato‟. Nella fascia intermedia si collocano i testi

fondamentalmente parlati ma concepibili anche come scritti e i testi fondamentalmente scritti

ma concepibili anche come parlati. Al secondo polo, in opposizione al primo, appartengono i

testi definibili come solo scritto. Le dimensioni di diamesia, diafasia e il relativo tipo di testo

fanno differenza fra un uso parlato (tipico) e un uso scritto (tipico) (Berruto 2006b: 37n.).

46

Givón, Talmy, 1979, “From Discourse to Syntax: Grammar as a Processing Strategy”, in Talmy Givón (a cura

di), 1979, Discourse and Syntax, Academic Press, New York, pp. 81-112, citato in Berruto, Gaetano, 2006(b), p.

38. 47 Nencioni, Giovanni, 1976, Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato, in Strumenti critici, 10, pp. 1-56,

citato in Berruto, Gaetano, 2006(b), p. 37n.

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La considerazione finale, dopo questo sguardo alla letteratura, è che una descrizione affidabile

della distinzione parlato-scritto, si riferisce necessariamente a tre ambiti diversi: le proprietà

distinguibili soltanto nel parlato, le proprietà esclusive dello scritto e i tratti che tutti e due

hanno in comune. È chiaro che i tratti condivisi tra i due sistemi di realizzazione sono limitati.

Il parlato dispone di un ampio complesso di peculiarità proprie: turnazione, la prosodia, fattori

paralinguistici come il volume della voce, la gestualità o la rapidità di elocuzione. Dall‟altra

parte, anche lo scritto ha una serie di tratti tutti propri, legati alla natura del sistema grafico-

visivo: l‟interpunzione, l‟impaginazione, la presentazione del testo nel suo insieme, la

disposizione delle maiuscole o di sottolineature (Berruto 2006b: 39).

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31

Capitolo 2. Quadro generale della morfosintassi della dislocazione a sinistra e del tema

sospeso

“the speaker wants to

achieve some purpose by means

of saying something, and he wants the

addressee to recognize that intention

from what is said.”

(Levelt 1989)48

2.1. Livello informativo

Per quanto riguarda la sintassi della frase nell‟italiano standard, la struttura di un enunciato è

basata sull‟ordine Soggetto-Verbo-Oggetto, anche chiamato „ordine non marcato‟. Ciò vuol

dire che dal punto di vista della successione dei costituenti, si mette di solito in prima

posizione il soggetto della frase, poi il verbo, seguito dall‟oggetto e eventualmente

dall‟oggetto indiretto (Lorenzetti 2002: 83). Si hanno così enunciati come:

(8) Giorgio (Soggetto) ha scritto (Verbo) una lettera (Oggetto) [a sua madre(Oggetto indiretto)].

Però è chiaro che non tutti gli enunciati seguono questa norma, la quale è abbastanza flessibile

da adattarsi alla situazione comunicativa e da tollerare un certo numero di deviazioni. Ai

parlanti, puntati sul produrre e sul ricevere informazioni, resta la possibilità di modellare i

loro enunciati (Lorenzetti 2002: 83).

(9) (Cosa ha scritto Giorgio a sua madre?)

Una lettera, Giorgio ha scritto a sua madre.

(A chi ha scritto Giorgio una lettera?)

A sua madre, Giorgio ha scritto una lettera.

Le frequenti variazioni sull‟ordine SVO al livello sintattico, corrispondono dunque a un

cambiamento della struttura informativa/tematica degli enunciati49

. Un meccanismo diffuso di

messo in rilievo è l‟anteposizione, la quale consiste nel tematizzare un costituente che il

parlante ritiene necessario accentuare e che normalmente non si trova in posizione tematica

(Lorenzetti 2002: 83). In questo ambito operano la dislocazione a sinistra e il tema sospeso,

dei quali esaminerò in dettaglio le varie peculiarità in quello che segue. Comunque, è chiaro

48 Levelt, Willem J. M., 1989, Speaking. From Intention to Articulation, Cambridge, MIT Press, citato in

Andorno, Cecilia, 2006-2007. 49

Dal punto di vista del parlante, un enunciato può essere diviso in una parte tematica e in una parte rematica. Il

Tema è ciò di cui si parla e il Rema è ciò che si dice a proposito del Tema (Lombardi Vallari 2002: 74-75) (cfr.

infra).

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che un‟analisi sintattica di queste strutture non può far a meno di una corrispondente

descrizione del loro ruolo informativo, che verrà trattato in questo paragrafo.

Il primo approccio linguistico moderno al problema della strutturazione dei contenuti della

frase, fu lo studio di Weil (1844)50

, nel quale viene distinta la marche logique e la marche des

idées. Il primo concetto concerne i rapporti logici tra gli elementi appartenenti al piano

sintattico, cioè il legame tra soggetto e predicato. Il secondo concetto riguarda il modo di

organizzazione dei contenuti di una frase: una prima idea, „il punto di partenza‟ viene seguita

da una seconda, „il punto di arrivo‟ (Crocco 2006-2007). La netta corrispondenza tra i due

concetti fa sì che “the order of words ought to reproduce the order of ideas; these two orders

ought to be identical”51

.

Lo studio dell‟organizzazione informativa, o meglio tematica, della frase nasce quando

Mathesius (1939), uno dei principali esponenti del Circolo linguistico di Praga, propone di

analizzare la frase da un punto di vista linguistico. Mathesius cerca di studiare attraverso la

Prospettiva Funzionale della Frase (Functional Sentence Perspective) (Mathesius 1939)

l‟organizzazione attuale dell‟enunciato nel suo contesto, in base alla funzione comunicativa di

esso. Nell‟esaminare la frase in quanto inserita nel contesto, piuttosto che esclusivamente

come un insieme di relazioni logiche, i praghesi criticano l‟uso di denominazioni del tipo

„soggetto psicologico‟ e „predicato psicologico‟. Secondo il punto di vista della linguistica

praghese, il problema sta nel fatto che queste denominazioni sono delle categorie

psicologiche, estranee alla linguistica e prestate ad essa. Come afferma Mathesius (1939:

182), “la sfumatura psicologica di ambedue i termini [ha] molto contribuito a spingere tutto il

problema al di fuori del campo visivo della linguistica ufficiale”52

. I praghesi vogliono trattare

l‟analisi dell‟articolazione attuale della frase in termini linguistici, servendosi di categorie

linguistiche come Tema e Rema, per preservare l‟autonomia della linguistica rispetto ad altre

discipline, e in particolare rispetto alla psicologia (Crocco 2006-2007).

Gli studi di Mathesius (1939) sull‟articolazione tematica della frase si inseriscono nel quadro

generale della prospettiva funzionale-comunicativa. Per spiegare l‟atto linguistico, la Scuola

di Praga ritiene fondamentale il concetto di funzione, che si propone di definire cosa fa e a

50

Weil, Henri, 1844, De l‟ordre des mots dans les langues anciennes comparées aux langues modernes, Paris,

Imprimerie de Crappelet. 51

Weil, Henri, 1978, The order of Words in the Ancient Languages compared with that of the Modern

Languages, a cura di Charles W. Super, Amsterdam, John Benjamins Publishing Company, p. 21, citato in

Crocco, Claudia, 2006-2007. 52 Mathesius, Vilem, 1939, “O takzvaném aktuálním členĕní vĕtném”, in SaS, 5, pp. 171-174, citato in Crocco,

Claudia, 2006-2007, dalla traduzione italiana: Mathesius, Vilem, 1939, “Sulla cosiddetta articolazione attuale

della frase”, in Rosanna Sornicola, Aleš Svoboda (a cura di), 1991, Il campo di tensione. La sintassi della Scuola

di Praga, Napoli, Liguori, pp. 181-194.

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cosa serve la lingua. Tra l‟insieme delle funzioni linguistiche, quella comunicativa è

considerata la funzione principale: la lingua serve prevalentemente a comunicare ed a parlare

del mondo (Crocco 2006-2007). Lo scopo comunicativo della lingua influenza il modo in cui

essa è organizzata e il modo in cui i parlanti se ne servono. Ciò implica una linguistica non

autonoma, ma dotata invece da un valore pratico, visto che sono, appunto, i motivi

comunicativi a dare l‟aspetto attuale alle strutture linguistiche (Hajičová 2006: 63). Al di là

della funzione comunicativa, sono state riconosciute le funzioni linguistiche di

rappresentazione, di appello, di espressione (Bühler 1934)53

, reinterpretate e arricchite da

Jakobson (1960)54

che individua le funzioni referenziale, fatica, conativa, poetica,

metalinguistica ed espressiva, rispettivamente con riferimento particolare al contesto, al

contatto comunicativo, al destinatario, al messaggio, al codice e al mittente (Hajičová 2006:

63).

Il punto di vista funzionale non è tuttavia l‟unico possibile: si può infatti adottare anche altri

punti di vista, come quello formale adoperato nella linguistica chomskiana. Chomsky

distingue nel linguaggio due livelli diversi. In primo luogo, quello della performance

(esecuzione) appartenente al parlante-ascoltatore ideale, “il quale conosce perfettamente la

sua lingua e non è influenzato da condizioni grammaticalmente irrilevanti quali le limitazioni

di memoria, le distrazioni, i cambiamenti di attenzione e di interesse e gli errori (casuali o

caratteristici) nell‟applicazione della propria conoscenza della lingua nel corso

dell‟esecuzione effettiva”55

. In secondo luogo, la conoscenza linguistica di cui dispone il

parlante, interagendo con altri fattori, è detta competence (competenza). Come osserva bene

Sornicola (1981), “[è] subito evidente da questa formulazione come questo concetto di

competenza non abbia nulla a che vedere con la competenza del parlante reale, che è una

competenza individuale e, possibilmente, incompleta” (Sornicola 1981: 11).

Ritornando all‟analisi dell‟articolazione attuale della frase secondo il Functional Sentence

Perspective (Mathesius 1939), si distinguono un elemento tematico seguito da un elemento

rematico che predica qualcosa a proposito del Tema (cfr. infra: il livello dell‟organizzazione

dell‟informazione). Per evitare problemi di ambiguità, è indispensabile tener conto del fatto

che il livello d‟analisi funzionale è diverso dal livello d‟analisi formale, il quale divide la frase

in soggetto e predicato (Crocco 2006-2007). Mathesius (1975) mette l‟accento sul fatto che

53

Bühler, Karl, 1934, Sprachtheorie. Die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, Gustav Fischer. 54

Jakobson, Roman, 1960, “Closing statement: linguistics and poetics”, in Thomas Sebeok (a cura di), 1960,

Style in Language, Cambridge, MIT Press, pp. 350-377. 55

Chomsky, Noam, 1965, Aspects of the Theory of Syntax, Cambridge, MIT Press, citato in Sornicola, 1981, p.

11, dalla traduzione italiana: Chomsky, Noam, 1970, “Aspetti della teoria della sintassi”, in Noam Chomsky,

1970, Saggi linguistici, 2, Torino, Boringhieri, p. 44.

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“[l]‟analisi formale e quella funzionale della frase dovrebbero essere rigorosamente distinte

l‟una dall‟altra. In altre parole, Tema e Rema non sono identici a soggetto grammaticale e

predicato grammaticale. [...] Per quanto riguarda le lingue contemporanee, è incontrovertibile

che non vi sia corrispondenza tra la prospettiva funzionale della frase e la struttura formale

della frase”56

. Ad esempio, vedremo che nella dislocazione a sinistra, come nel tema sospeso,

il soggetto grammaticale della frase e il Tema dell‟enunciato non coincidono (salvo nel caso

del soggetto dislocato) (Crocco 2006-2007).

La grammatica funzionale stabilisce quindi tre diversi livelli d‟analisi degli enunciati,

sistematicamente distinti tra loro. Si tratta del livello della struttura grammaticale della frase,

il livello della struttura semantica della frase e il livello dell‟organizzazione dell‟enunciato

(Daneš 1964). Il livello grammaticale di una frase è una struttura autonoma, la quale non è

basata sul contenuto semantico, ma sulla forma sintattica (Daneš 1964). L‟organizzazione

grammaticale riguarda il modo in cui i costituenti grammaticali (le parole, i sintagmi, i

morfemi) stabiliscono dei rapporti formali tra loro (Andorno 2005: 72). Di conseguenza, il

modo in cui le categorie grammaticali (soggetto, oggetto, …) sono espresse variano da una

lingua all‟altra (Daneš 1964).

Il livello della struttura semantica riguarda il modo in cui sono strutturati i componenti

semantici. Si tratta dei cosiddetti „relazioni tematiche‟ (thematic relations) o „ruoli- θ‟ (θ-

roles). Queste funzioni semantiche possono essere attribuite agli argomenti della frase rispetto

al predicato. Le forme sintattiche impiegate per designare la relativa funzione semantica

dell‟elemento frasale possono variare in lingue diverse (Van Valin 1994: 683). Comunque il

ruolo semantico attribuito resta uguale, come mostra l‟esempio seguente:

(10) a. Giorgio misses his mother.

b. A Giorgio manca sua madre.

In inglese la persona che sente la mancanza di qualcuno o qualcosa, è in nominativo ed è il

soggetto logico-grammaticale, mentre in italiano, questa persona è rappresentata in dativo. Il

contenuto espresso dalle frasi rimane però lo stesso, in tutti e due i casi a Giorgio è assegnato

il ruolo semantico di Esperiente. Ciò significa che le categorie semantiche hanno un aspetto

universale. Altri ruoli semantici sono: Agente, Paziente, Strumentale, Tema, Beneficiario,

Destinazione, Origine, Locativo (Van Valin 1994: 685).

56

Mathesius, Vilem, 1975, A functional analysis of present day English on a general linguistic basis, Josef

Vachek (a cura di), The Hague-Paris: Mouton, Prague: Accademia, citato in Crocco, Claudia, 2006-2007, dalla

traduzione italiana in Rosanna Sornicola, Aleš Svoboda (a cura di), 1991, Il campo di tensione. La sintassi della

Scuola di Praga, Napoli, Liguori, p. 175.

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Il livello dell‟organizzazione dell‟informazione, inoltre, riguarda il dinamismo comunicativo57

(Daneš 1964) degli specifici elementi lessicali, i quali si accumulano gradualmente. Il

dinamismo di un enunciato parte dalle relazioni semantiche, ma anche grammaticali, che

esistono tra i vari pezzi frasali. I funzionalisti vedono infatti la successione degli elementi

frasali in rapporto con il grado di dinamismo comunicativo (Firbas 1962: 136)58

che essi

esprimono (Daneš 1964). Dallo studio della struttura informativa o tematica della frase risulta

che un enunciato è portatore di un determinato contenuto in una specifica situazione

comunicativa. Ne consegue che l‟ordine delle parole ha un valore informazionale, poiché

stabilisce come una locuzione „funziona‟ in un contesto (Crocco 2006-2007). Secondo questa

prospettiva una frase ha due parti informative, Tema e Rema (Daneš 1964). Ciò di cui si parla

viene detto Tema, il Rema è ciò che si dice del Tema (Lorenzetti 2002: 83). Di solito il Tema

occupa la prima parte della locuzione ed è seguito dal Rema. Per esempio:

(11) La lettera di Giorgio [Tema] non è mai arrivata [Rema].

Per parlare delle relazioni pragmatiche funzionali, sono utilizzati i termini di Topic e

Comment o anche Topic e Focus. Si tratta di termini di buona misura corrispondenti alla

coppia di nozioni Tema/Rema individuata da Mathesius (1939) (cfr. supra). Il Topic denota

un‟entità referenziale cognitivamente accessibile o presupposta. La parte non presupposta è il

Focus, in altre parole, è ciò che viene asserito nella frase, accompagnato dall‟accento e

dunque anche prominente dal punto di vista prosodico (Crocco 2006-2007).

Un ulteriore livello d‟analisi viene individuato dallo studioso britannico funzionalista

Halliday (1967), che introduce il termine „struttura informativa‟59

. Le nozioni di Dato (Given)

e Nuovo (New) sono le unità informative appartenenti a questa struttura, e si distinguono

dall‟articolazione propriamente tematica (Tema/Rema). Con la divisione della frase in una

parte data e una parta nuova, viene inserito un elemento cognitivo nell‟analisi

dell‟articolazione dell‟enunciato. Questa analisi è centrato sull‟ascoltatore, perché Halliday

distingue “[i]nformation that is recoverable (Given) or unrecoverable (New) to the

listener”60

.

57

“Degrees of emphasis, following the sequential progression, are indicated by the degree of Communicative

Dynamism carried by an element of a sentence, wich is normally perspectived towards its ends [...] and this is

valid for most [...] languages” (Newmark 2003: 239). 58 Firbas, Jan, 1962, Notes on the function of the sentence in the act of communication, in Sborník Prací

Filosofické Fakulty Brnnské Univerzity, 9, pp. 134-148, citato in Daneš, Frantisek, 1964. 59

Halliday, Michael A. K., 1967, Notes on Transitivity and Theme in English, in Journal of Linguistics, 3.2., pp.

199-244, citato in Crocco, Claudia, 2006-2007. 60 Halliday, Michael A. K., 1985, An introduction to Functional Grammar, London, Arnold, p. 277, citato in

Lombardi Vallauri, Edoardo, 2002, p. 48n.

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Quando si esamina lo sviluppo informativo di un enunciato, la dimensione psicologica

dell‟informazione deve in ogni caso essere tenuta distinta dal livello tematico (Lombardi

Vallauri 2002: 51-52), anche se di solito Tema e Dato coincidono. Nel caso più comune i

parlanti tendono a presentare l‟informazione psicologicamente nuova sotto forma di sintagmi

pieni, nella parte destra dell‟enunciato e con un rilievo intonativo. Le informazioni

psicologicamente date sono richiamate attraverso un proforma e stanno a sinistra, in assenza

di rilievo intonativo (ivi: 52). Queste tendenze, però, non sono delle regole fisse della lingua,

la quale è uno strumento d‟interazione verbale ed è soggetto alle esigenze di chi la usa. È

dunque indispensabile distinguere la coppia linguistica centrata sul parlante da quella

psicologica centrata sull‟ascoltatore. Per quanto riguarda i due livelli possibili, in questo

lavoro verrà preso in considerazione soltanto quello tematico.

Le nozioni che indicano le unità della struttura informativa prendono nomi diversi

(Tema/Rema, Dato/Nuovo, Background/Foreground, Topic/Comment) a seconda della teoria

alla quale appartengono. In quello che segue, mi servirei delle nozioni di Tema e Rema,

seguendo la definizione che ne ha dato Lombardi Vallauri (2002: 74-75), secondo la quale il

Rema denota la parte dell‟enunciato che esprime lo scopo informativo e trasmette la forza

illocutiva. L‟altra parte dell‟enunciato è il Tema, che esprime l‟informazione accessoria, con

lo scopo di favorire la comprensione del Rema. Dal punto di vista formale, negli enunciati

italiani l‟ordine delle parole e l‟intonazione mettono in evidenza questa organizzazione

binaria (Lombardi Vallauri 2002: 75). Comunemente il Tema precorre il Rema, ma esistono

contesti per i quali questo ordine si può anche invertire, come fanno vedere le frasi seguenti.

(12)61

a. (Cosa ha fatto Giorgio?)

TEMA REMA____

Giorgio ha telefonato alle due.

b. (Dove sono le chiavi?)

TEMA REMA___

Le chiavi le ha prese Giorgio.

REMA TEMA

Le ha prese Giorgio le chiavi.

Inoltre, è possibile incontrare enunciati in assenza di Tema, come mostrano i verbi

meteorologici in italiano (Benincà et al. 1988: 140).

(13) a. Piove.

b. Nevica.

61

Gli esempi sono stati basati su Andorno, Cecilia, 2005, pp. 86-87.

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Non è possibile invece incontrare enunciati privi di Rema, visto che qualsiasi enunciato che

abbia senso realizza uno scopo comunicativo (Lombardi Vallauri 2002: 80; Firbas 1987: 150-

15162

). Inoltre, “[w]e can say that prosodic stress marks the „point‟ of the sentence, where

there is the greatest concentration of information, that wich the hearer would be least likely to

infer without being told”63

. Nell‟uso orale, tutte le lingue si servono dell‟intonazione per

segnalare la parte frasale di maggior rilevanza per cui la parte rematica porta l‟accento

principale dell‟enunciato, anche detto quello nucleare (Lombardi Vallauri 2002: 80).

Prima di cominciare con la descrizione delle proprietà informative della dislocazione a

sinistra e del tema sospeso, occorre anche individuare quali sono i criteri che caratterizzano

una costruzione „marcata‟. Secondo la norma sintattica, in italiano l‟ordine non marcato dei

costituenti è la struttura SVO (cfr. supra). Questa organizzazione dei costituenti è la base sulla

quale si riconosce il ruolo sintattico e semantico del soggetto e dell‟oggetto (Andorno 2005:

90).

(14)64

a. Un cacciatore sta seguendo un leone.

b. Un leone sta seguendo un cacciatore.

La marcatezza grammaticale vale dunque, come dichiarano Benincà et al. (1988), per “quelle

frasi in qui i costituenti non occupano le loro posizioni „canoniche‟, previste dalla struttura

della lingua, ma sono stati spostati per esprimere un particolare significato, in aggiunta al

contenuto preposizionale della frase stessa” (Benincà et al. 1988: 115). Afferma Milano

(2003) che la natura sintatticamente marcata (o normale) di un‟unità linguistica, dipende

anche da un insieme di altri tratti:

“Al fine di individuare una serie di caratteristiche linguistiche rispetto a cui i nostri

enunciati possano essere considerati marcati, è necessario affiancare ad una

caratterizzazione di tipo sintattico lineare, una di tipo pragmatico, fonetico e prosodico,

considerata la concomitante incidenza, sui processi di linearizzazione, di fattori sintattici,

semantici, pragmatici e fonologici.” (Milano 2003: 70)

Sul piano pragmatico, come abbiamo visto, la parte dell‟enunciato con l‟informazione

tematica, anche detta accessoria, precede la parte rematica che contiene lo scopo informativo.

Ne consegue che nella fase dichiarativa, soggetto/Tema sono collocati all‟inizio della frase,

predicato/Rema alla fine (Benincà et al. 1988: 130). Quando l‟interpretazione di una frase

62 Firbas, Jan, 1987, “On the Delimitation of the Theme in Functional Sentence Perspective”, in René Dirven,

Vilém Fried (a cura di), 1987, Functionalism in Linguistics, Amsterdam-Philadelphia, Benjamins, citato in

Lombardi Vallauri, Edoardo, 2002, p. 80. 63 Bolinger, Dwight, 1954, English Prosodic Stress and Spanish Sentence Order, in Hispania, 37, pp. 152-156,

citato in Andorno, Cecilia, 2006-2007. 64

L‟esempio è stato basato su Andorno, Cecilia, 2005, p. 90.

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risulta limitata ad un determinato contesto linguistico, si può parlare di marcatezza pragmatica

(Benincà et al. 1988: 115). Per quanto riguarda l‟aspetto prosodico di una frase dichiarativa, è

stato notato da Lepschy-Lepschy (1994) che “l‟ordine non marcato è soggetto + verbo +

oggetto, e l‟intonazione non marcata consiste di un gruppo tonale con la tonica sull‟oggetto e

un movimento discendente” (Lepschy-Lepschy 1994: 146)65

. Nelle costruzioni non marcate si

sovrappongono dunque le caratteristiche sintattiche, semantiche, pragmatiche e intonative.

Altre costruzioni che presentano una diversa organizzazione sia sul piano funzionale, sia sul

piano formale, come il tema sospeso e la dislocazione a sinistra, rientrano nella categoria di

strutture marcate (Benincà et al. 1988: 130).

Nel caso del tema sospeso, viene tematizzato un costituente che non coincide con il soggetto

della frase (Benincà et al. 1988: 140). Analogamente, la dislocazione a sinistra anticipa in

posizione di Tema un costituente che solitamente non si trova alla sinistra dell‟enunciato, il

resto della locuzione a destra è il Rema (ivi: 130). In prospettiva pragmatica, quindi, tema

sospeso e dislocazione a sinistra hanno le stesse condizioni d‟uso (ivi: 131). Anche altri autori

(Berruto 1983, 1985; Berretta 1993) descrivono la funzione comunicativa di tali costruzioni in

quanto conforme alla volontà del parlante di mettere in posizione iniziale il referente centrale

del proprio enunciato66

. Per quanto riguarda l‟accessibilità cognitiva dell‟elemento dislocato a

sinistra, basta che esso sia identificabile in qualche modo dagli interlocutori. È comunque

possibile che l‟elemento tematizzato non sia ancora apparso concretamente nel discorso

precedente e che esso venga proposto per la prima volta (Benincà et al. 1988: 131). Un‟altra

possibilità è che l‟elemento dislocato sia stato attivato psicologicamente dal contesto

extralinguistico, detto il frame, per cui un parlante può anche iniziare la conversazione con

l‟uso della dislocazione a sinistra. In breve, bisogna che il costituente dislocato sia

comunemente accessibile, più che esso debba già essere menzionato (ivi: 131). La proprietà di

tematizzare informazione nuova non vale per la dislocazione a destra, un‟altra struttura

sintattica di forma speculare rispetto alla dislocazione a sinistra. Lo spostamento a destra non

può proporre un Tema, ma richiama soltanto ciò che al parlante è stato presentato

precedentemente come Tema (Andorno 2005: 92). Si vedano, come esempi, le frasi seguenti.

Nel primo caso, il referente non è cognitivamente accessibile per l‟ascoltatore e dunque non

65 Lepschy, Laura; Lepschy, Giulio, 1994, La lingua italiana, Milano, Bompiani, citato in Milano, Emma, 2003,

p. 71. 66 Berruto (1983) dice che “la funzione della dislocazione a sinistra sia quella di portare a tema (o a topic, nella

topic position) un costituente che non lo sarebbe nell‟ordine non marcato, basilare” (Berruto 1983: 63) e lo

stesso autore considera la dislocazione a sinistra “una Hervorhebung di elementi salienti per il parlante, al fine di

mettere in evidenza il tema” (Berruto 1985: 129). Analogamente, afferma Berretta (1993) che la dislocazione a

sinistra “risponde alla medesima esigenza [...] di collocare al primo posto ciò di cui si parla” (Berretta 1993:

255).

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sono possibili delle dislocazioni, mentre nel secondo caso, è solo possibile uno spostamento a

sinistra. I referenti sono identificabili nella realtà psicologica di chi ascolta, perché sono stati

attivati dal frame. La dislocazione a destra è più probabile nel terzo esempio, in cui abbiamo

già parlato di comprare il latte, e dove il referente era già apparso in posizione di Tema, per

cui si tratta della riattivazione di un Tema dato.

(15)67

● Referente specifico, non identificabile

Sei stato al supermercato?

a. Sì, ho incontrato un tizio vestito da Babbo Natale.

b. * Sì, un tizio vestito da Babbo Natale, l‟ho incontrato.

c. * Sì, l‟ho incontrato, un tizio vestito da Babbo Natale.

● Referente specifico, identificabile, attivo

Sei stato al supermercato? (convivente con cui si divide la spesa)

d. Sì, ho trovato il latte.

e. Sì, ho trovato il latte ma non ho trovato il pane.

f. Sì, il latte l‟ho trovato.

g. Sì, il latte l‟ho trovato, ma il pane non l‟ho trovato.

h. ?? Sì, l‟ho trovato il latte.

i. * Sì, l‟ho trovato il latte, ma non l‟ho trovato il pane.

● Referente specifico, identificabile, attivo e tematico.

Hai trovato? (convivente che ci ha mandati a comprare il latte al supermercato)

j. * Sì, ho trovato il latte.

k. ?? Sì, il latte l‟ho trovato.

l. Sì, l‟ho trovato il latte.

67

Esempi tratti da Andorno, Cecilia, 2006-2007.

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40

“in languages like Italian

and French there is evidence that

lefthand NPs enter into two quite distinct

constructions, one of wich is the result of a

copying operation, while the other consists

of a base-generated topic followed by the

pronominalization of the coreferential

NP to the right”

(Cinque 1977: 411)

2.2. Livello sintattico

2.2.1. Casistica della dislocazione a sinistra68

In questo paragrafo presenterò da un punto di vista sintattico le peculiarità della dislocazione

a sinistra insieme con i diversi tipi strutturali possibili. Come si è già accennato, questo tipo di

costruzione marcata concerne lo spostamento a sinistra di un elemento che di solito non

compare in posizione iniziale di enunciato. Tale caratterizzazione, però, include anche il caso

del tema sospeso. Per questo, la connessione sintattica dell‟elemento tematico con il resto

dell‟enunciato è un‟importante peculiarità distintiva in cui la dislocazione diverge da altri

fenomeni simili. Ci possono essere sia ripresa pronominale che preposizioni, si nota inoltre

che le preposizioni possono anche apparire a sinistra. Il verbo è marcato dall‟accordo con il

clitico, il quale precisa una o più qualità dell‟elemento dislocato (Benincà et al. 1988: 130).

Qualche esempio69

:

(16) DGmtA01F: p1G#93: l‟orologio non ce l‟ho

Si nota che il costituente dislocato l‟orologio è l‟oggetto della frase, l(o) è il pronome

clitico di ripresa.

(17) DGmtA01F: p2G#402: cioè a me non mi risulta un semicerchio le tue stelle

In questo caso il costituente dislocato a me è l‟oggetto indiretto, mi è il pronome clitico

di ripresa.

Un‟ altra caratteristica importante e distintiva della dislocazione a sinistra è la sua ricorsività.

Le dislocazioni, cioè, si possono ripetere indefinitamente, mentre l‟ordine degli elementi

dislocati resta indifferente (Benincà et al. 1988: 143-144).

68

La struttura di questo paragrafo si basa su Milano, Emma, 2003, pp. 89-103. 69

Se non indicato diversamente, gli esempi in questo paragrafo sono tratti dai dialoghi analizzati (cfr. § 0.1.).

Nel caso che non fosse possibile trovare dei casi esemplari nel materiale analizzato, mi sono servita di un

exemplum fictum o degli esempi dati da altri autori. Alla fine di rendere più leggibile la struttura sintattica degli

enunciati è stata semplificata la trascrizione rispetto a quella presentata nel testo originale del corpus. Dei

fenomeni prosodici vengono rappresentate soltanto le pause lunghe (<lp>) e quelle brevi (<sp>), perché giocano

un ruolo importante quando si incontrano dei casi dubbi (cfr. § 2.3.2.).

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41

(18) a. Ieri, a Giorgio, io, un cappuccino, gliel‟ho offerto.

b. Io, ieri, un cappuccino, a Giorgio, gliel‟ho offerto.

Per quanto riguarda la descrizione delle diverse categorie sintattiche che possono stare nella

posizione topicale, comincerei con i sintagmi nominali topicalizzati non contrastivamente, che

ho distinto dalle proposizioni dislocate.

Sintagma nominale

● La dislocazione dell‟oggetto diretto

Secondo varie indagini su corpora di lingua italiana, risulta che la topicalizzazione

dell‟oggetto diretto è il tipo di dislocazione a sinistra più frequente (Milano 2003: 91). Questo

fenomeno pare logico quando si considera che la lingua italiana è classificata come una lingua

PRODrop (Berruto 1983: 76), vale a dire che il soggetto in certe condizioni può restare

implicito. Anche nei testi privi di costruzioni marcate, l‟oggetto diretto mostra già una

frequenza abbastanza alta. Un‟altra spiegazione proposta da Berruto (1983: 75-76) è di

carattere pragmatico. L‟oggetto diretto è molto adatto a farsi il centro d‟interesse nella

conversazione. La ripresa con il pronome è in questo caso d‟obbligo, dato che verbo e oggetto

diretto stanno in stretto contatto.

Il clitico

Nel caso in cui il sintagma nominale topicalizzato venga ripreso con un clitico, la testa del

sintagma dislocato può essere sia pronominale sia nominale (Milano 2003: 93). Primo

vediamo alcuni esempi nei quali la testa del sintagma è un nome, mentre il pronome di ripresa

è un clitico:

(19) DGmtA01F: p1G#149: la macchina la passi a sinistra

(20) DGmtA02F: p1F#27: e il pettine non lo non lo tocco neanche?

(21) DGmtA02F: p1F#49: ma gli occhiali li ci+# li circondo?

Secondo la prospettiva del parlante, il sintagma nominale è di solito definito (la macchina, il

pettine, gli occhiali) per cui l‟articolo accompagna sempre il nominale. Attraverso l‟articolo si

capisce quali caratteristiche referenziali ( [+/-definito], [+/- animato] ) si attribuiscono al

nominale (Milano 2003: 93-94). Questo aspetto influisce sulla manifestazione delle riprese

con un clitico (la, lo, li) perché “DEFINITENESS is a very important feature for having a

coreferential clitic pronoun” (Duranti-Ochs 1979b: 387).

Negli esempi seguenti, la testa del sintagma collocata a sinistra è un pronome indefinito o un

dimostrativo, il pronome di ripresa è sempre un clitico:

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42

(22) DGmtA01R: p2G#176: le altre uno due tre quattro cinque le lasci a destra

Il pronome dislocato le altre è un pronome indefinito.

(23)70

questo poi non lo so

Il pronome dislocato questo è un pronome dimostrativo.

Il ne partitivo

Una seconda possibilità consiste nel riprendere con un ne partitivo il sintagma nominale

topicalizzato nella periferia dell‟enunciato. Quanto alla presenza della particella ne, essa

richiama un nominale [-definito], specificamente in assenza di un quantificatore, come i nomi

plurali e di massa (Milano 2003: 95). Anche qui si vede che la definitezza è un tratto

fondamentale nella dislocazione. L‟importante tuttavia è la rispettiva presenza o assenza

dell‟articolo determinativo, come si può notare confrontando questo caso con la sottocategoria

precedente (ivi: 94). I nominali non definiti richiedono necessariamente la presenza di ne e

sono eventualmente anticipati dalla preposizione di.

(24) a. Scuse, ne accampa sempre.

b. Di scuse, ne accampa sempre.

(25) a. Biscotti al cioccolato, ne ha mangiati poco.

b. Di biscotti al cioccolato, ne ha mangiati poco.

● La dislocazione del soggetto

Un po‟ meno frequente rispetto alla dislocazione dell‟oggetto diretto, è la dislocazione del

soggetto. Come si è già accennato, questa sua scarsa rappresentanza è evidentemente la

conseguenza del fatto che in italiano non è d‟obbligo esprimere il soggetto della frase

(Berruto 1983: 76). Mentre nelle lingue a soggetto obbligatorio, come il francese o l‟olandese,

s‟incontra più frequentemente un soggetto topicalizzato, in italiano non esistono pronomi

clitici soggetto (Benincà et al. 1988: 168). Ne consegue che un soggetto dislocato non

presenta segnali espliciti della dislocazione, ciò che rende difficile vedere se si tratta di una

struttura con dislocazione o invece di un soggetto esplicito. Il criterio per parlare di una

dislocazione del soggetto consiste nell‟esaminare se il soggetto è diviso dal verbo da altri

costituenti, i quali devono anche poter trovarsi nella prima posizione a sinistra (Benincà et al.

1988: 130-131).

(26) DGmtA01F: p2G#230: te con questa linea devi proseguire

(27) DGmtA02F: p1G#135: ma te dopo la dopo la torta cosa c'hai?

(28) DGmtA02F: p1F#317: e allora io dal mio punto nero dovevo andare verso il camion

70

Esempio tratto da Milano, Emma, 2003, p. 94.

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43

● La dislocazione dell‟oggetto indiretto

Una terza subclasse sono i costituenti dislocati con l‟etichetta sintattica di oggetto indiretto.

Nella casistica di Berruto (1983: 79) queste strutture sono suddivise in costituenti nominali,

costituenti pronominali e il pronome personale io71

. La distinzione è stata ripresa da D‟Achille

(1990: 131), il quale, studiando le dislocazioni in testi antichi, aggiunge un‟altra categoria che

concerne l‟anteposizione di frasi con funzione sintattica di oggetto indiretto. Entrambi gli

autori distinguono gli oggetti indiretti dislocati preceduti da a fra quelli senza preposizione

anteposta. Nel corpus di italiano parlato collezionato da Milano (2003) compaiono a sinistra

della frase dei nominali e dei pronomi personali, ma anche dimostrativi e pronomi indefiniti.

La funzione sintattica dei costituenti topicalizzati è specificata attraverso marcature

segnacaso: i costituenti concordano con le parole che stanno in rapporto con essi. Anche in

questo caso, la riproduzione pronominale compare nella parte rematica della frase (Milano

2003: 97-98).

(29) DGmtA01F: p2G#402: cioè a me non mi risulta un semicerchio le tue stelle

(30)72

all‟automobilista / al cittadino / bisogna dargli un‟alternativa //

● La dislocazione del complemento circostanziale

Anche nel caso in cui si voglia accentuare la circostanza in cui avviene l‟enunciato, il

complemento circostanziale si presta ad essere topicalizzato. In questo tipo di

topicalizzazione prevale la presenza dei locativi, che vengono ripresi, appunto, dalla particella

locativa ci. Generalmente, una preposizione come a, in, precorre i circostanziali dislocati

(Milano 2003: 98-99).

(31) DGmtA01F: p2F#148: di fianco ci sono andato

(32) DGmtA02F: p1G#227: alla torta ci giri intorno

Proposizione

La proposizione è una struttura sintattica comprendente un nodo centrale, il predicato,

generalmente composto da un verbo (De Mauro 2002). Gli argomenti del verbo possono

essere a loro volta proposizioni (ad esempio oggettive). Un complemento frasale può

manifestarsi nella periferia a sinistra della frase (Milano 2003: 99). Secondo la Grande

grammatica italiana di consultazione “[i] complementi frasali espliciti, introdotti da che, o

71

„io‟ può comparire dislocato a sinistra in funzione di oggetto indiretto in enunciati come il seguente: “io, mi è

rimasta quella del mio povero cugino” (Berruto 1983: 72). 72

Esempio tratto da Milano, Emma, 2003, p. 97.

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44

impliciti introdotti da di, possono venire dislocati a sinistra: se sono oggetti hanno

obbligatoriamente la ripresa pronominale invariabile lo” (Benincà et al. 1988: 189).

(33) Che arrivavate oggi, non me l‟aveva detto nessuno.

(34) Di venire oggi, me l‟avevi promesso.

Nella posizione tematica dell‟argomento sono possibili anche i soggetti, i quali non

presentano nessuna copia nella parte rematica dell‟enunciato.

(35) Che si parta tutti insieme, non è una bella soluzione.

(36)73

Di sbagliare sempre, non mi pare.

2.2.2. Casistica del tema sospeso

Il tema sospeso, altresì noto con la denominazione di anacoluto o nominativus pendens, pare

una costruzione molto somigliante alla dislocazione a sinistra, perché analogamente colloca

alla sinistra della frase un elemento che di regola non si trova in questo posto. Le due strutture

presentano però caratteristiche sintattiche diverse. Nel tema sospeso, la parte spostata non

presenta né una preposizione reggente né un clitico di ripresa (Benincà et al. 1988: 131);

inoltre, il tema dislocato è seguito da una frase chiusa nella quale si trovano tutte le parti

obbligatoriamente presenti (ivi: 132). In altre parole, il tema sospeso precede una costruzione

sintatticamente ben formata che presenta un soggetto grammaticale diverso dal Topic

(Sornicola 1981: 60). Il tema sospeso è proprio dell‟uso orale (Benincà et al. 1988: 131;

Lorenzetti 2002: 85; Milano 2003: 208), sebbene si disponga anche di esempi letterari.

(37)74

“Noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto”.

(Manzoni, Promessi Sposi, IX)

(38) DGmtA02R: p1G#23: e no la torta ce devi passare <sp> affianco

Come ha notato Benincà (1993), la presenza di temi sospesi in testi italiani sta in rapporto con

l‟organizzazione globale della lingua:

“Questa costruzione sarà da mettere in relazione con la particolare libertà che ha l‟italiano di

spostare costituenti, una libertà che è connessa con almeno due sue proprietà generali: da una

parte la flessione personale del verbo, che esprime di per sé, anche sintatticamente, il soggetto,

dall‟altra il suo ricco paradigma di pronomi clitici che sono in grado di costruire efficaci

connessioni fra gli elementi spostati e le posizioni della frase dove vengono assegnate le

funzioni grammaticali. La frase risulta, grazie a ciò, perfettamente connessa, anche quando

nessun argomento si trova al suo posto.” (Benincà 1993: 264)

73

Gli esempi 33-36 sono tratti da Benincà, Paola et al., 1988, p. 189. 74

Questo esempio è stato tratto da ivi, p. 132.

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45

Due parametri contraddistingono la struttura del tema sospeso rispetto a quella della

dislocazione a sinistra. In primo luogo, l‟elemento spostato è un‟entità isolata. Non è

affiancato da eventuali preposizioni, o meglio, appare senza alcuna marcatura del suo ruolo

sintattico. In secondo luogo, il tema sospeso viene obbligatoriamente ripreso, anche nei casi

dove la dislocazione a sinistra non richiede obbligatoriamente la ripresa pronominale

(Benincà et al. 1988: 131). La presenza di una ripresa clitica è la caratteristica distintiva della

dislocazione a sinistra (Berruto 1983: 75). Il tema sospeso sfrutta pure questa possibilità, ma

dispone oltre a ciò di tre altre opzioni; la ripresa può avvenire anche attraverso un pronome

libero, un dimostrativo, o un sintagma nominale di tipo anaforico (Benincà et al. 1988: 131).

Alcuni esempi:

(39) Il matrimonio di Monica e Riccardo, tutti ne parlano.

Ripresa con un pronome atono: ne.

(40) La cena preparata da Riccardo, tutti raccontano di questo gesto romantico.

Ripresa con un elemento anaforico: questo gesto romantico.

(41) La domanda di matrimonio di Riccardo, nessuno può dimenticare questo.

Ripresa con un dimostrativo: questo.

Un‟ altra differenza tra tema sospeso e dislocazione, riguarda la possibilità di interferenza con

altri fenomeni. Non è possibile avere nella stessa frase più di un tema sospeso. Inoltre sembra

difficile trovarlo in posizione interna di una frase complessa, per cui occupa piuttosto il posto

iniziale del periodo (Benincà et al. 1988: 132-133).

(42) Mi ricordo che, di Giorgio, tutti (ne) abbiano riso.

(43) Giorgio, mi ricordo che tutti abbiano riso di quel poveraccio.

(44) *Mi ricordo che Giorgio tutti abbiano riso di quel poveraccio.

(45) *Mi ricordo Giorgio, che tutti abbiano riso di quel poveraccio.

Tuttavia, quando si vuole realizzare una combinazione con la dislocazione a sinistra, il tema

sospeso può trovarsi soltanto nella prima posizione. Nell‟ esempio seguente, il tema sospeso è

un complemento indiretto, di seguito si ha una dislocazione a sinistra del complemento

oggetto (Benincà et al. 1988: 133).

(46) Giorgio, quella macchina, l‟ho data a lui.

(47)75

*Quella macchina, Giorgio, l‟ho data a lui.

75

Gli esempi 39-47 sono basati su Dardano, Maurizio, 2005, p. 200.

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46

2.2.3. Dislocazione a sinistra e tema sospeso con verbi psicologici

Nelle costruzioni con un ordine sintatticamente marcato possono apparire i cosiddetti verbi

psicologici (come piacere, sembrare, persuadere, convincere, soddisfare). Il soggetto

grammaticale di questi verbi corrisponde sul livello semantico al ruolo di entità inanimata,

mentre sotto forma di complemento indiretto o complemento oggetto equivalgono invece a un

esperiente animato. Se consideriamo le espressioni seguenti, vediamo che nella prima frase il

soggetto, il verbo e il complemento indiretto seguono l„ordine non marcato. Il secondo

esempio, invece, è una costruzione sintatticamente marcata, dove il complemento indiretto si

trova davanti al verbo e al soggetto (Benincà et al. 1988: 133).

(48) Le cozze piacciono a Giorgio.

(49) A Giorgio piacciono le cozze.

In entrambi i casi il livello grammaticale (soggetto) e il livello logico-informativo (Tema),

sono in divergenza sistematica. Al contrario c‟è una convergenza tra il livello semantico

(esperiente animato) e il livello informativo. Le frasi del tipo (49), che introducono

l‟esperiente attraverso una dislocazione a sinistra, sono più frequenti (Benincà et al. 1988:

133). Per le frasi di questo tipo spicca il fatto che la ripresa clitica emerge più spesso rispetto a

quanto avviene nelle dislocazioni a sinistra comuni (ivi: 134). La predisposizione ad usare

maggiormente la ripresa pronominale si nota anzitutto per l‟italiano parlato colloquiale

(Aureli et al. 2005: 121; Benincà et al. 1988: 134), benché valga altresì a livelli più alti

(Benincà et al. 1988: 134), anche se si considera poco accettabile sia nella lingua parlata che,

soprattutto, in quella scritta (Sabatini 1985: 162).

(50) A Giorgio gli piacciono le cozze.

Nel caso in cui l‟esperiente indicato sia una prima o una seconda persona singolare o plurale,

insieme al pronome personale deittico si nota ancora frequentemente la presenza della ripresa

pronominale (Benincà et al. 1988: 134).

(51) A te ti sembra un uomo onesto?

Oltre a ciò, quando l‟esperiente topicalizzato ha il ruolo sintattico di complemento oggetto, è

normale di trovare la preposizione a anteposto.

(52) A noi, questa supplica non ci ha convinta.

Ancora per i verbi psicologici, è molto abituale che i parlanti si servano della costruzione del

tema sospeso (Benincà et al. 1988: 134).

(53)76

Ercole, gli sembrava che niente fosse impossibile.

76

Gli esempi 48-53 sono basati su Benincà, Paola et al., 1988, pp. 133-135.

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47

“We can say that prosodic stress

marks the „point‟ of the sentence, where

there is the greatest concentration of information,

that wich the hearer would be least likely to

infer without being told”

(Bolinger 1954) 77

2.3. Livello prosodico

Le caratteristiche intonative di una frase con tema sospeso possono essere equivalenti a quelle

della frase non marcata. Per indicare la parte spostata il parlante pronuncia con un‟intonazione

ascendente e sospesa l‟elemento anteposto, o lo fa seguire da una pausa per separarlo dalla

parte frasale seguente. Questa osservazione vale anche per le frasi con dislocazione a sinistra,

le quali possono analogamente avere l‟andamento intonativo di una frase sintatticamente non

marcata (Benincà et al. 1988: 131). Anche in questo caso è opzionale una breve pausa dopo la

parte tematica dell‟enunciato (Sabatini 1985: 162). La presenza non necessaria delle pause è

affermata da Duranti-Ochs (1979b): “we did not find, in the majority of cases, any remarkable

intonational break between the left-dislocated (or right-dislocated) constituent and the rest of

the utterance” (Duranti-Ochs 1979b: 389). Ciò induce loro a sostenere che l‟aspetto delle

costruzioni dislocate non è tanto marcato, perché “the language has a way of handling them

without relying on suprasegmental features like contrastive stress or pauses –by marking the

verb by means of a coreferential pro-form (i.e., the clitic pronoun)” (Duranti-Ochs 1979b:

389-390).

Cinque (1977) sostiene invece che una frase con un tema sospeso richiede un‟intonazione

particolare e propria: “a much longer break intervenes between the lefthand NP and the rest of

the sentence” (Cinque 1977: 406) e il costituente anticipato “has a contour somewhat similar

to that of questioned NPs” (ivi: 406). Nel caso in cui una frase come „Giorgio, sapevo che lui

voleva andare a stare in campagna‟, venga espressa con l‟intonazione che caratterizza le

strutture con dislocazione a sinistra, Cinque (1977) parla di violazione delle condizioni di

buona formazione. La differenza tra le due costruzioni sta, secondo l‟autore, nel fatto che il

tema sospeso introduce un nuovo costituente come Topic. In una dislocazione a sinistra

invece, come „Giorgio, sapevo che voleva andare a stare in campagna‟, il costituente dislocato

ha già lo statuto di Topic (Cinque 1977: 406-407).

Il lavoro di Avesani-Vayra (2000), che si occupa principalmente di dichiarative fiorentine, ha

evidenziato che le dislocazioni a sinistra si realizzano ristrutturando solamente la dimensione

77 Bolinger, Dwight, 1954, English Prosodic Stress and Spanish Sentence Order, in Hispania, 37, pp. 152-156,

citato in Andorno, Cecilia, 2006-2007.

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48

del phrasing intonativo, cioè il fraseggio prosodico definito dai confini interni all‟enunciato.

Di conseguenza, la loro struttura accentuale resta simile a quella delle costruzioni non

marcate. Ciò significa che l‟accento principale della frase cade in ambedue le strutture

sull‟ultima voce lessicale del costituente prosodico finale (Avesani-Vayra 2000: 2).

Se si confronta la struttura intonativa e ritmica di una frase con dislocazione a sinistra (Figura

3.) con quella di una frase con struttura non marcata (Figura 4.), risulta chiaro che la struttura

accentuale in ambedue i casi non è divergente e che la prominenza maggiore (il focus

prosodico) si trova sempre a destra dell‟enunciato (ivi: 2).

Figura 3. Struttura intonativa e ritmica di una frase con dislocazione a sinistra 78

Figura 4. Struttura intonativa e ritmica di una frase senza dislocazione

Si nota inoltre che la frase con dislocazione si organizza sul piano intonativo a partire da due

sintagmi intermedi (ip) che formano un sintagma intonativo (IP). I sintagmi intermedi

abbracciano rispettivamente la parte dislocata e la parte che segue, inoltre entrambi portano

un accento nucleare (tono asteriscato seguito da un tono di confine: T*, T-) (ivi: 3).

78

Le figure sono tratte da Avesani, Cinzia; Vayra, Mario, 2000, p. 2.

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49

§ 2. PARTE SECONDA

Capitolo 3. Esame sintattico dei dialoghi

In questo capitolo vengono presentati i risultati dell‟esame sintattico svolto sui nove dialoghi

del corpus79

. In primo luogo è stato esaminato il numero di attestazioni di enunciati con

dislocazione a sinistra e con tema sospeso in rapporto ad alcune loro caratteristiche generali (§

3.1.), in secondo luogo è stato individuato lo statuto sintattico dei singoli tipi spostati nella

periferia dell‟enunciato (§ 3.2.) e in terzo luogo sono stati confrontati i modi in cui i dati

confermano la letteratura (§ 3.3.). Il capitolo si chiude con un‟interpretazione conversazionale

delle dislocazioni a sinistra nelle mosse interrogative del tipo Check (§ 3.4.).

L‟analisi sintattica presentata in queste pagine riguarda enunciati (Voghera 1992: 121), cioè

porzioni di parlato considerate a prescindere dalla loro struttura ed estensione. Il termine

frase, invece, è usato in linguistica come un concetto teorico, tale unità ideale non ha quindi

niente a che vedere con i fatti empiricamente osservabili (Bertuccelli Papi 1993: 142). È

importante notare, infine, che gli enunciati qui riportati sono stati semplificati rispetto alla

trascrizione originale del corpus. Questa scelta ha lo scopo di fornire una chiara presentazione

del materiale analizzato, per cui sono stati indicati, dov‟era rilevante, solamente la presenza

delle pause, le eventuali sovrapposizioni e alcuni fenomeni generali80

.

“È qui, nella conversazione, che

troveremo la chiave per capire meglio ciò

che la lingua è realmente e come funziona”

(Firth 1935: 57)81

3.1. Frequenza

Il campione dei dialoghi Map Task82

che ho osservato presenta due ore di parlato

semispontaneo: l‟insieme dei dialoghi fiorentini equivale a circa un‟ora di discorso, la durata

totale dei dialoghi romani, come quella dei dialoghi napoletani, è leggermente superiore a

mezz‟ora. L‟analisi di questi testi di parlato elicitato83

ha rivelato 93 casi di dislocazione a

79

Si veda il § 0.1. 80

Le pause sono indicate con <sp> o <lp> (short pause e long pause), mentre attraverso il simbolo # è segnalato

dove inizia e finisce una sovrapposizione di turni. Una falsa partenza è indicata con /, <inspiration> fa

riferimento a un fenomeno vocale non verbale (Delmonte et al. 2005: 262-263). 81

Firth, John R., 1935, The technique of semantics, in Transactions of the Philological Society, 36, p. 57,

tradotto in Bertuccelli Papi, Marcella, 1993, p. 266. 82

Per la descrizione della tecnica del Map Task e la descrizione generale del corpus CLIPS si veda il § 1.1.2.1. 83

Per una spiegazione di questo termine si veda Albano Leoni, Federico; Giordano, Rosa (a cura di), 2005, xiv e

De Leo, Simona, 2005, p. 43.

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50

sinistra e 3 casi di tema sospeso. Per quanto riguarda l‟assegnazione delle frequenze a tale o

tale altra costruzione marcata, occorre tener conto di due scelte preliminari. In primo luogo,

ho deciso di considerare il seguente fenomeno particolare, nel quale si combinano un tema

sospeso e una dislocazione del soggetto, principalmente come tema sospeso, in combinazione

con un altro costituente dislocato.

DGmtB04F: p1G#107: che te il gatto „un ci sei passata

Tale considerazione è stata fatta al fine di non rendere troppo complicato il calcolo e di

evitare una doppia categorizzazione di questo caso. In secondo luogo, sono lasciati fuori dal

conteggio alcuni fenomeni che presentano una certa difficoltà di categorizzazione e che

verranno discussi dopo (cfr. § 2.3.2.).

Nella Tabella 3. sono riassunti i dati relativi alla divisione in dislocazione a sinistra e tema

sospeso.

Tabella 3. Frequenza della dislocazione a sinistra e del tema sospeso

Totale

Firenze

Napoli

Roma

DAS

TS

93

3

65

1

3

0

25

2

Totale 96 66 3 27

Da ora in poi, DAS: Dislocazione a sinistra; TS: Tema sospeso.

I dialoghi con la frequenza più alta di costituenti dislocati a sinistra sono quelli fiorentini, nei

quali sono state trovate 65 occorrenze, dovute forse anche alla maggiore lunghezza dei

dialoghi. Nei dialoghi fiorentini, inoltre, ricorre un turno con tema sospeso. I dialoghi raccolti

a Napoli sono poverissimi delle costruzioni cercate, si notano, infatti, soltanto 3 costituenti

dislocati a sinistra. Questo valore molto basso non è da riportare alla variazione diatopica: si

tratta probabilmente di una casualità legata alle abitudini conversazionali dei parlanti in

questione. I dialoghi romani presentano 25 dislocazioni a sinistra e due temi sospesi.

Come mostra Tabella 4., la maggioranza delle costruzioni analizzate è retta dal predicato

averci (40 occ.).

DGmtA02F: p1G#135: ma te dopo la torta cosa c‟hai?

DGmtB04F: p1G#79: il gatto ce l‟ho

Si nota che ci in averci non ha alcuna significazione grammaticale o lessicale propria. Esso

forma un tutto unico con il verbo, tale da essere incorporato nella morfologia verbale (Aureli

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et al. 2005: 123). In origine la particella ci aveva funzione locativa. Ora, perso questo

significato originale, funge da rafforzamento semantico e lessicale al verbo che la precede

(Sabatini 1985: 160-161). Questa forma è molto comune nel parlato informale e viene usata in

alternativa ad avere (1 occ.).

DGmtB04F: p2G#168 te non so se hai il cuore

Tabella 4. Occorrenze dei verbi nelle costruzioni con DAS e TS

Averci

Passare

Lasciare

Andare

Arrivare

Lasciare fuori

Mettere

Stare

Avere

Circondare

39

6

4

3

2

2

2

2

1

1

Dire

Escludere

Essere

Filarsi di pezza

Girare

Proseguire

Risultare

Superare

Toccare

Trovare

1

1

1

1

1

1

1

1

1

1

Totale enunciati: 72

Gli altri predicati che reggono frequentemente gli enunciati con dislocazione a sinistra e tema

sospeso, sono forme tipiche per il compito del Map Task, come i verbi lasciare, passare.

DGmtA04R: p1G#85: mentre al limone, al gatto, alla freccia, al cuore gli passa intorno

DGmtA01F: p1G#149: la macchina la passi a sinistra

DGmtA01R: p2G#169: le le prime tre le lascio fuori?

DGmtA01F: p1F#67: ma il dado lo lascio esterno?

Ricorre anche una bella espressione verbale in dialetto romano, che significa „non prestare

attenzione a qualcuno o qualcosa‟.

DGmtA02R: p1F#181: la bicicletta non sa filamo de pezza insomma

Dal punto di vista del tipo di enunciato, nella Tabella 5. va osservato che una quantità di

costituenti dislocati a sinistra pari al 33% si presenta all‟inizio di un enunciato interrogativo

(cfr. § 2.3.4.). Anche questa frequenza è legata al fatto che il corpus consiste di dialoghi-

gioco84

. Per gli interlocutori è essenziale che lo scambio informativo si svolga in maniera

inequivocabile in modo che la persona che segue le indicazioni riesca a portare a termine lo

scopo comune della riproduzione del percorso sulla mappa. Di conseguenza, sia il route

84

Si veda il § 1.1.2.1.

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follower, sia il route giver fanno frequentemente appello al compagno per avere informazioni

su una particolarità della mappa,

DGmtB04F: p2F#80: quindi il gatto ce l‟hai giù nella sinistra del foglio?

o per ottenere informazioni non deducibili dal contesto dialogico.

DGmtB04F: p1G#97: ecco, te ora con le/ con i‟ tratteggio a che punto sei?

Tabella 5. Frequenza di DAS in enunciati interrogativi

Totale delle

interrogative con DAS

Route giver

Route follower

21 7 14

Totale enunciati: 69

Un altro fenomeno che merita l‟attenzione, è la presenza di „copie simmetriche‟. Si è notato in

quattro casi che i parlanti tendono a riprendere la struttura dislocata espressa dall‟altra

persona. Si considerino gli esempi seguenti, nei quali si presentano in un primo turno una

dislocazione a sinistra di uno o più costituenti, i quali appaiono analogamente nel turno

seguente. Colpisce l‟ultima coppia, dove i sintagmi dislocati nel secondo turno hanno

cambiato posto.

DGmtA02F: p1F#49: ma gli occhiali li circondo?

DGmtA02F: p1G#50: no, gli occhiali li lasci dentro al percorso

DGmtA04F: p1G#79: il gatto ce l‟ho

DGmtA04F: p1F#80: quindi il gatto ce l‟hai giù nella sinistra del foglio?

DGmtA02R: p1F#251: quindi il pettine te pure non ce l‟hai

DGmtA02R: p1F#252: no perché io il pettine ce l‟ho in basso

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“le lingue non sono

interamente soggette a regole [..]. Di conseguenza

il sistema è solo parzialmente codificato. In un tale

sistema non sorprende affatto che il limite tra regole

e tendenza, tra ciò che è tendenza e ciò che non lo è,

sia esso stesso poco determinato.”

(Matthews 1982: 34-35)85

3.2. Funzione sintattica dei singoli tipi

In questo paragrafo presento le occorrenze trovate in base alle categorie sintattiche

individuate in §§ 2.2.1. e 2.2.2. Dopo una descrizione dei vari tipi strutturali che si presentano

dislocati a sinistra, discuterei i 4 casi del tema sospeso. Conduco a termine le osservazioni con

una riflessione su alcuni casi di forma ambigua.

Come si può vedere in Tabella 6., i dati analizzati presentano 51 casi di oggetto diretto

dislocato a sinistra, in 26 casi il costituente anteposto svolge la funzione sintattica di soggetto

e in 7 casi si tratta di un oggetto indiretto. In 6 casi l‟elemento dislocato funge da

complemento circostanziale, in altri 3 casi incontriamo un oggetto quantificato.

Tabella 6. Funzioni sintattiche dei costituenti dislocati a sinistra

Oggetto

diretto

Soggetto Oggetto

indiretto

Complemento

Circostanziale

Oggetto

quantificato

Totale

Firenze

Napoli

Roma

36

2

13

18

1

7

3

0

4

6

0

0

2

0

1

65

3

25

Totale 51 26 7 6 3 93

Nel corpus non sono presenti delle dislocazioni a sinistra di una proposizione (cfr. § 2.2.1.),

probabilmente ciò è legato al fatto che questa costruzione è troppo complessa per venire usata

nel parlato elicitato di natura semispontanea (Aureli et al. 2005: 119). Nel corpus di italiano

parlato spontaneo investigato da Emma Milano, per esempio, ricorrono tredici casi in cui una

proposizione occupa la posizione di Tema (Milano 2003: 99).

La presenza massiccia di oggetti diretti emarginati verso la parte sinistra dell‟enunciato non è

sorprendente ed è in linea con le opinioni ricorrenti in letteratura (cfr. Benincà et al. 1988;

85 Matthews, Peter, 1981, Syntax, Cambridge, Cambridge University Press, citato in Milano, Emma, 2003, p. 89,

dalla traduzione italiana: Matthews, Peter, 1982, Sintassi, Bologna, Il Mulino.

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Berretta 198586

; Berruto 1983; Milano 2003), dal momento che costituenti con tale funzione

sintattica si prestano più facilmente ad essere dislocati. È frequente sia il semplice

spostamento a sinistra dell‟oggetto diretto (33 occ.),

DGmtA01F: p1G#149: la macchina la passi a sinistra

sia la combinazione con un soggetto dislocato (18 occ.) (cfr. infra).

DGmtA02F: p1F#41: ma te il pettine dove ce l‟hai?

Tutti gli oggetti dislocati sono accompagnati da un pronome clitico di ripresa e dimostrano la

sua presenza obbligatoria accanto al verbo (Benincà et al. 1988: 153). Nel paragrafo 2.2.1. si

è vista un‟altra possibilità di ripresa del sintagma dislocato, quella attraverso il ne partitivo,

comunque questo caso non è attestato nel nostro corpus.

Per quanto riguarda il soggetto dislocato, l‟assenza di segnali espliciti dello spostamento a

sinistra (cfr. § 2.2.1) fa sì che il criterio di individuazione si basi sulla presenza di altri

costituenti interposti tra verbo e soggetto.

DGmtB04F: p1G#97: ecco, te ora con le/ con i‟ tratteggio a che punto sei?

DGmtB04F: p2#168: te non so se hai il cuore87

Tranne questi due casi, tutti i soggetti dislocati si presentano in combinazione con un altro

sintagma nominale topicalizzato, dimostrato in Tabella 7. Tali costrutti ricorrono soprattutto

insieme a un oggetto diretto spostato nella periferia dell‟enunciato (18 occ.).

DGmtA02N: p1G#43: io gli sci non ce l‟ho

Tabella 7. Soggetti dislocati in combinazione con altri costituenti dislocati

DAS dell‟

oggetto diretto

DAS del

complemento

circostanziale

DAS dell‟

oggetto indiretto

Senza

combinazione

Totale

soggetti

dislocati

DAS del

soggetto

Firenze

Napoli

Roma

18

11

1

6

5

5

0

0

1

0

0

1

2

2

0

0

26

18

1

7

In 5 casi i soggetti dislocati ricorrono insieme a un complemento circostanziale.

DGmtA02F: p1G#135: ma te dopo la torta cosa c‟hai?

86 Berretta, Monica, 1985, “I pronomi clitici nell‟italiano parlato”, in Günter Holtus, Edgar Radtke (a cura di),

1985, Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen, Gunter Narr Verlag, pp. 185-224,

citato in Milano, Emma, 2003, p. 92. 87

Cfr. infra.

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Si verifica un‟unica occorrenza nella quale sono stati dislocati il soggetto e l‟oggetto indiretto

dell‟enunciato.

DGmtB04R: p2F#106: io al punto ci so‟ arrivata

È molto interessante, inoltre, il modo in cui questi sintagmi dislocati si dispongono in ordine.

Spicca un caso singolare che presenta l‟oggetto diretto dislocato seguito da un costituente

topicalizzato con funzione sintattica di soggetto, il quale a sua volta è separato dal verbo da un

altro costituente. Nelle altre combinazioni il soggetto dislocato a sinistra si trova sempre

prima del complemento circostanziale o dell‟oggetto (in)diretto emarginato.

Per quanto concerne le dislocazioni dell‟oggetto indiretto, 6 casi (su 7 occ.) non si presentano

in combinazione con altri costituenti. Le occorrenze attestate sono precedute dalla

preposizione a, salvo un enunciato che presenta la preposizione in. I clitici di ripresa che

appaiono nella parte rematica della frase sono gli, mi, ci e sono in due casi assenti. Un‟altra

peculiarità notevole è il fatto che sei dislocazioni sono state pronunciate dai route follower.

Questo ci induce a pensare che i parlanti abbiano usato questa costruzione non soltanto per

mettere in rilievo un certo costituente, ma anche per far capire all‟interlocutore che sulla

propria mappa le cose sono organizzate in maniera diversa. Si consideri la seguente sequenza,

proveniente dal dialogo DGmtB04R.

p1G#73: #<p2F#72> sì# <sp> sì intorno , la<aa> rimane / sì sì <sp> questa linea rimane / lascia sotto la

freccia e <sp> <inspiration> e piano piano si si ricurv+ e riprende a essere un po‟ dritto e poi si ricurva un

altro po‟ <sp> a destra <inspiration> e sulla destra di queste linee c‟è un cuore rosso

<lp>

p2F#74: boh!<sp> a me il cuore sta proprio lontano

Il route giver spiega al follower come proseguire il percorso e alla fine del suo enunciato

introduce un nuovo Tema, il cuore rosso. L‟altra persona non ha il cuore nel posto indicato

dall‟interlocutore, ma lo vede indicato più lontano. Questo contrasto viene espresso dalla

interiezione boh e attraverso la collocazione del pronome personale in posizione saliente.

Analogamente, nei casi seguenti i parlanti hanno sfruttato la messa a Tema del pronome per

sottolineare un diverso stato di cose. Il primo esempio mostra il contrasto tra la ruota

posteriore e la ruota anteriore apparsa nel discorso precedente. Nel secondo enunciato il

parlante mette in evidenza che il suo gruppo di stelle ha una forma diversa da quanto descritto

dal giver.

DGmtA02R: p1F#301: a me adesso stava sulla ruota de dietro

DGmtA01F: p2G#402: cioè a me non mi risulta un semicerchio le tue stelle

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Piuttosto uniforme è la presenza del complemento circostanziale dislocato, per il quale sono

attestate 6 occorrenze. Un primo gruppo distinguibile è rappresentato dai 5 complementi

circostanziali che si presentano in combinazione con il soggetto topicalizzato (cfr. supra). È

importante notare che i cinque costituenti dislocati sono privi di un elemento di ripresa.

DGmtA01F: p2G#230: te con questa linea devi proseguire

Il rimanente caso singolare è formato da un‟unica dislocazione del complemento

circostanziale:

DGmtA01F: p2F#148: di fianco ci sono andato

Un ultimo gruppo di casi che merita l‟attenzione è costituito dai tre casi di dislocazione a

sinistra di un sintagma nominale oggetto quantificato. Si noti che il loro comportamento non

diverge sostanzialmente da quello dei costituenti con funzione oggetto diretto (Benincà et al.

1988: 157), visto che vengono ripresi analogamente dal clitico l‟, le. I sintagmi nominali

dislocati riprendono temi discorsivi che sono stati introdotti alcuni enunciati prima.

DGmtA01F: p2G#352: una a sinistra e una a destra ce l‟ho io

DGmtA02F: p2G#238: cinque le lasci da una parte e tre dall‟altra

Passiamo ora all‟analisi dell‟altra costruzione marcata attestata nel corpus, la quale secondo

una prospettiva pragmatica condivide le stesse condizioni d‟uso con la dislocazione a sinistra

(Benincà et al. 1988: 145). La differenza tra le due strutture sta sul piano sintattico: il tema

sospeso appare senza marca segnacaso (Milano 2003: 103) e viene obbligatoriamente ripreso,

non soltanto da un pronome clitico. Le riprese più tipiche per il tema sospeso sono quelle fatte

attraverso dimostrativi, pronomi liberi, sintagmi nominali pieni (Benincà et al. 1988: 131).

Nella parte rematica dell‟enunciato si trovano tutti i costituenti necessariamente presenti

(Benincà et al. 1988: 132) (cfr. § 2.2.2.). Come vediamo nella Tabella 8., la ricorrenza del

tema sospeso appare piuttosto marginale in confronto alle 93 occorrenze trovate per la

dislocazione a sinistra, inoltre, la bassa frequenza di questa costruzione nel parlato è anche un

fatto sorprendente in riferimento a quanto affermato negli studi esistenti (Benincà et al. 1988:

131; Lorenzetti 2002: 85; Milano 2003: 208).

Tabella 8. Frequenza del tema sospeso

Totale

Firenze

Napoli

Roma

TS

3

1

0

2

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Consideriamo più in dettaglio i tre casi presenti.

Per il primo caso si osservino chiari indici che consentono di parlare di un tema sospeso: il

costituente dislocato ricorre in assenza di marche funzionali e viene ripreso con una particella

locativa. Il parlante si riferisce ad un disegno sulla mappa, la torta, introdotto nel discorso due

enunciati prima, si tratta dunque di un Tema-dato.

DGmtA02R: p1G#23: la torta ce devi passare affianco

Anche nel secondo caso sono soddisfatti tutti i criteri per individuare un tema sospeso. Il

costituente anteposto, la bicicletta verde, non stabilisce un legame sintattico con il resto della

frase, nella quale il verbo reggente è passare sotto a qualcosa. In una struttura con

dislocazione a sinistra, invece, il costituente anteposto sarebbe stato accompagnato da una

preposizione (alla bicicletta verde).

DGmtA02R: p2G#180: ecco „a bicicletta verde praticamente gli devi passare sotto

Molto interessante è il terzo caso, nel quale appare un fenomeno piuttosto raro che riguarda la

dislocazione del soggetto te, separato dal verbo da un tema sospeso, il gatto. Il referente del

tema sospeso, il gatto, è stato nominato poco prima.

DGmtB04F: p1G#107: che te il gatto „un ci sei passata

Nel corpus sono stati trovati alcuni casi dubbi, per i quali non è sempre possibile dire con

precisione se rientrino nella casistica della dislocazione o del tema sospeso. Una prima

difficoltà di individuazione si incontra di fronte a una forma del pronome potenzialmente

ambigua, come mostra l‟enunciato riportato.

DGmtB04F: p2G#168: te non so se hai il cuore

In italiano centrale-settentrionale te, che è la forma italiana comune del pronome oggetto,

viene utilizzata anche per indicare il soggetto (tu in italiano comune). Il pronome te in questo

caso è chiaramente un soggetto (il verbo è concordato, dal quale il pronome è stato separato

da altri costituenti indipendenti), ma la sua forma è potenzialmente ambigua.

L‟enunciato seguente presenta un caso ai margini tra tema sospeso e dislocazione a sinistra. È

chiaro che si tratta di un‟emarginazione di un costituente con funzione sintattica di soggetto,

separato dal sintagma verbale e quindi messo in posizione prevalente (in opposizione alla

struttura sintattica non marcata: “sai dov‟è l‟arrivo da me?”). La difficoltà di classificazione

sta proprio nel fatto che non ricorre alcuna marca segnacaso; la diagnostica fallisce nel

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decidere su base puramente sintattica se ci troviamo di fronte a un tema sospeso o a una

dislocazione del soggetto, il quale non è accompagnato da preposizioni e un clitico (cfr. §

2.2.2.).

DGmtA01F: p2G#368: allora l‟arrivo, sai dov‟è da me?

I rimanenti tre casi dubbi si collocano all‟interno dello stesso dialogo, DGmtA02R. Si tratta di

enunciati con una struttura sintattica ambigua, per cui è incerto se considerarli come due frasi

separate o come veri e propri temi sospesi e per tale incertezza sono stati lasciati fuori dal

conteggio. Questi problemi di ambiguità al livello sintattico, possono essere a volte risolti a

livello prosodico, attraverso l‟ascolto del tipo di intonazione e la disposizione delle pause

(Sorianello 2006: 54-55). Comunque, resta sempre difficile individuare un confine netto che

indichi dove finisce un certo fenomeno e dove inizia un altro. L‟ascolto dell‟enunciato

seguente ci rivela che il costituente nella periferia della frase è pronunciato con

un‟intonazione ascendente, molto simile a quella di una domanda. Si nota una breve pausa

(<sp>), prima che il parlante porti avanti il proprio discorso.

DGmtA02R: p1G1#1: allora Andrè' guarda <eeh> punto di partenza <sp> ce metti „na bella -Ics-

Confrontiamo questa osservazione con la sopraccitata definizione di Cinque (1977: 406)88

.

L‟autore descrive l‟intonazione tipica del tema sospeso come caratterizzata da un‟interruzione

cospicua e da un contorno prosodico simile a quello di costituenti nominali interrogativi. Nel

caso qui in esame, quindi, i criteri per individuare un tema sospeso sono stati soddisfatti.

Anche nel seguente caso si può parlare di una costruzione con tema sospeso, dovuta al fatto

che il parlante ha pronunciato la prima parte della frase, qualunque attrezzo sia, con un

contorno sospensivo.

DGmtA02R: p1G1#57: qualunque attrezzo sia glie giri intorno alla stessa maniera

In conformità a tale norma, il seguente caso dubbio è troppo deviante per essere considerato

appartenente alla categoria del tema sospeso, dal momento che la lunga pausa separa

l‟insieme in due parti piuttosto distinte.

DGmtA02R: p1G1#41: quella uguale <lp> glie passi intorno però

88

Si veda il § 2.2.3.

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“Come ebbe a dire il sacerdote missionario

Stevenson [...] e come sa in effetti chiunque

che si occupi attivamente di ricerca scientifica:

‹‹Qualcosa di vero c‟è sempre››.”

(De Mauro 1993: 152)

3.3. Confronto con la letteratura

Il confronto dei dati qui analizzati con la letteratura sull‟argomento, ai fini dell‟individuazione

di eventuali discrepanze, risulta proficuo anche per ulteriori indagini. Un campione di due ore

di parlato è troppo esiguo per formulare conclusioni definitive, ma possiamo concludere

l‟analisi dei dati con qualche osservazione riguardante il livello sintattico, il livello

informativo e il livello interazionale.

In generale, possiamo dire che le caratteristiche sintattiche delle costruzioni analizzate

confermano quanto affermato negli esistenti studi descrittivi (D‟Achille 1990; Benincà et al.

1988; Milano 2003). Va notato, inoltre, che la maggioranza dei singoli tipi sintattici

individuati per la dislocazione a sinistra si presenta nei dialoghi Map Task, segno dell‟attuale

presenza di questa costruzione nel parlato italiano. Data la brevità delle battute tipica di

questo tipo di dialoghi, nel corpus non sono attestate certe categorie presentate nella casistica

di Benincà et al. (1988), la cui natura è troppo complessa. Ci soffermiamo su alcune

osservazioni nelle quali i dati contrastano con la teoria generalmente ammessa. Nella Grande

grammatica italiana di consultazione Benincà et al. (1988) affermano che: “il tema sospeso

può combinarsi con la dislocazione a sinistra, ma deve comparire sempre in prima posizione”

(Benincà et al. 1988: 133). Questa definizione contrasta con gli enunciati realmente espressi

dai parlanti, come dimostra il controesempio trovato nel corpus, dove la dislocazione del

soggetto precorre il tema sospeso:

DGmtB04F p1G#107 che te il gatto 'un ci sei passata

Un altro criterio definito nel sopraccitato lavoro di Benincà et al. è quello che “[l]a

dislocazione a sinistra di nome numerabile sing. senza articolo non è possibile” (Benincà et

al. 1988: 171). Ciò viene altresì confermato da Milano (2003), “il nominale nel corpus è

sempre preceduto dall‟articolo determinativo” (Milano 2003: 93), e trova riscontro in questo

corpus. In alcuni casi appaiono un nome senza articolo o nomi preceduti da un articolo

indeterminativo.

DGmtA02F: p2F#340: televisore e gli sci non ce li hai, hai detto

DGmtA02F: p1G#201: questo televisore io ce l‟ho dopo la torta

DGmtB04R: p1G#61: come un cuore non ce l‟hai

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60

Infine, una chiara differenza si vede confrontando i casi della dislocazione del soggetto nei

dialoghi Map Task con il corpus di parlato spontaneo indagato da Milano (2003). Spicca il

fatto che nell‟indagine di Milano (2003) “si tratta in tutti i casi di strutture locativo-

esistenziali” (Milano 2003: 96). Nel nostro caso, invece, il soggetto dislocato riguarda sempre

una persona e dunque non ci sono delle riprese.

Oltre a ciò, il basso numero di attestazioni del tema sospeso diverge dalle affermazioni

teoriche (cfr. Benincà et al. 1988: 131; Lorenzetti 2002: 85; Milano 2003: 208), secondo le

quali questo fenomeno è tipico dell‟oralità: “[s]tilisticamente l‟uso del tema sospeso è però

ristretto all‟uso orale, anche se non necessariamente colloquiale” (Milano 2003: 208).

Per quanto riguarda la funzione informativa di tali costruzioni, le opinioni nella letteratura

appaiono essere piuttosto contraddittorie. Da un lato il tema sospeso viene visto in quanto

operante in contesti contrastivi, mentre alla dislocazione a sinistra è assegnata la funzione di

riprendere un referente già apparso nel discorso. Dall‟altro lato, invece, la dislocazione a

sinistra è considerata un meccanismo ideale per introdurre un nuovo Topic discorsivo.

Cinque (1977) definisce il tema sospeso “a construction that mainly serves to promote an NP

to topic status at a point in the discourse when it was not a topic” (Cinque 1977: 406). Con

l‟uso della dislocazione a sinistra un parlante mette in posizione di Tema un certo costituente,

ma questo costituente “is already a topic (hence old information for the following sentence)”

(ivi: 407). Questa opinione contrasta chiaramente con le osservazioni fatte da Duranti-Ochs

(1979a). Secondo gli studiosi “esse [le dislocazioni a sinistra] non ripetono mai un referente

che sia già topic” (Duranti-Ochs 1979a: 292), per cui sono il mezzo privilegiato per sollecitare

un cambiamento di Topic (ivi: 292). I dati da loro analizzati fanno vedere che i referenti “dei

nominali dislocati a sinistra tendono a non essere stati menzionati nel discorso

immediatamente precedente (una o due frasi prima), ma piuttosto tendono ad apparire nel

discorso susseguente” (ivi: 288).

Uno sguardo ai nostri dati sembra dare ragione ad entrambe le opinioni. Ricorrono alcuni casi

nei quali il referente dislocato a sinistra non è ancora apparso nel discorso precedente e si

tratta dunque di un nuovo elemento discorsivo.

DGmtA02F: p1F#27: e il pettine non lo tocco neanche?

DGmtA02F: p2F#206: te gli sci non ce li hai?

Pur essendo non ancora nominati, gli elementi discorsivi appaiono presenti al parlante: li vede

sulla sua mappa, o sono in qualche modo già attivati nella sua mente. Si nota nel seguente

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esempio che il referente la Ics viene appena introdotto, ma è identificabile perché gli

interlocutori stanno discutendo su dove mettere il loro punto d‟arrivo sul disegno.

DGmtA02F: p1F#305: scusa te la Ics dove ce l‟hai?

Nella maggioranza dei casi, invece, i costituenti dislocati sono già stati menzionati. O si tratta

di temi discorsivi delle frasi precedenti, o si tratta di elementi già nominati parecchio tempo

prima. In questo caso, il parlante mette contrastivamente il Tema nella posizione saliente a

sinistra. Gli enunciati del corpus con tema sospeso riprendono referenti che hanno già

raggiunto lo status di tema, tranne il caso attestato nel primo enunciato del dialogo

DGmtA02R.

Da un punto di vista pragmatico, la posizione iniziale dell‟enunciato, cioè la S della

successione Soggetto-Verbo-Oggetto, è frequentemente considerata un luogo per collocare

un‟informazione che, nella prospettiva del parlante, è saliente o già nota o ambedue. Duranti-

Ochs (1979b: 402) sostengono che la dislocazione a sinistra sposti i costituenti che non hanno

lo status sintattico di soggetto nella posizione iniziale, detto il punto di partenza, per farli

diventare Topic della costruzione alla quale partecipano. Come si è già accennato, gli

enunciati possono essere considerati come unità informative (cfr. § 2.2.1.). Ma oltre a tale uso

deve essere studiata anche l‟altra funzione della lingua, vale a dire la sua capacità di essere

impiegata come strumento di potere e controllo in un contesto sociale. Duranti-Ochs (1979b)

sottolineano l‟importanza della situazione del discorso e le sue potenziali restrizioni

sull‟ordine delle parole, dato che nel parlato gli enunciati costituiscono o fanno sempre parte

di completi turni conversazionali. Gli studiosi pongono l‟accento sul fatto che la natura e

l‟organizzazione dell‟interazione sociale in mosse convenzionali influiscono sulla successione

delle parole. In questa prospettiva il margine di una frase è un potenziale o un attuale punto di

partenza di un turno conversazionale (Duranti-Ochs 1979b: 402-403).

Una funzione conversazionale fondamentale che differenzia la dislocazione a sinistra dalle

costruzioni non marcate con soggetto esplicito (Soggetto-Verbo) è la cosiddetta conquista del

banco (Duranti-Ochs 1979a: 295). È chiaro che durante l‟interazione conversazionale i ruoli

del parlante e dell‟ascoltatore cambiano. La persona che sta parlando è l‟interlocutore che

tiene banco: da lui dipende la scelta del contenuto del discorso e anche il modo in cui gli altri

interlocutori interagiscono. Il suo comportamento è legato inoltre a scopi sociali, come il

guadagno di maggiore stima nel gruppo o il rafforzamento di certi rapporti sociali (il parlante

si comporta per esempio in modo solidale e usa uno stile comunicativo particolare).

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Analogamente, attraverso la conquista del banco e la continuazione del discorso, il parlante si

sforza di avere il predominio sociale nella conversazione (ivi: 294-295). Un‟ulteriore funzione

interessante attribuita alla dislocazione a sinistra è la seguente: “left-dislocation may be used

not only to gain access to the speaking floor but also to block or to reduce the access of others

participating in the social interaction. That is, left-dislocation may sometimes be a

competitive move” (Duranti-Ochs 1979b: 405).

I dati analizzati da Duranti-Ochs (1979a, 1979b) mostrano che le dislocazioni a sinistra

ricorrono frequentemente all‟inizio di un turno conversazionale, segno che sono state

impiegate dal parlante per ottenere il banco. Sono attestate delle percentuali molto elevate per

i casi in cui le dislocazioni all‟inizio del turno seguono direttamente o si sovrappongono al

turno precedente. La loro frequenza è doppia rispetto alle costruzioni con soggetti di nomi e

pronomi (Duranti-Ochs 1979a: 295-296). Anche nel nostro corpus si verifica chiaramente tale

tendenza, presentata nella Tabella 9. Si tratta di 6 casi trovati nei testi di Roma e 21 nei

dialoghi fiorentini. Una situazione presenta una sovrapposizione di un enunciato con tema

sospeso, mentre il resto dei casi è costituito da dislocazioni a sinistra. L‟esempio seguente89

mostra come il route follower attraverso l‟uso della dislocazione di due costituenti interrompa

il turno del compagno.

p1G#441: la fai scendere# <F#442> giù <inspiration> fai la cu+

p2F#442: #<G#441> te l‟orologio non ce l‟hai# #<G#443< vero?#

p1G#443: #<F#442> no#

Tabella 9. Frequenza delle sovrapposizioni

Totale enunciati Sovrapposizioni

70 27

La ragione che spiega il motivo per cui le dislocazioni a sinistra vengono impiegate con

successo nella competizione per il banco ci riporta al livello informazionale. Le dislocazioni a

sinistra sono funzionali per cambiare il centro d‟interesse del discorso attuale: mettono in

posizione di Topic un altro costituente, il quale non risulta completamente fuori contesto

perché richiama elementi discorsivi già nominati. Si tratta quindi di referenti nuovi che

intrattengono una correlazione semantica con il discorso precedente (Duranti-Ochs 1979a:

298-299).

89

I dati provengono dal dialogo DGmtA02F.

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“La conversazione, quindi, diviene

il frutto di una collaborazione, di un lavoro

tale da poter essere metaforicamente inteso

come un tessuto in cui i contributi, forniti da

parlante ed interlocutore, s‟intrecciano tanto

da formare un unico prodotto.”

(De Leo 2005: 6 )

3.4. Interpretazione conversazionale

In questo ultimo paragrafo viene ripreso sotto un punto di vista interazionale e

conversazionale un fenomeno già discusso nel § 2.3.1., si tratta in particolare del fatto che un

numero considerevolmente alto di dislocazioni a sinistra si colloca all‟inizio di un enunciato

interrogativo.

L‟analisi conversazionale, convenzionalmente descritta in opposizione all‟analisi del discorso

(De Leo 2005: 31), è lo studio delle procedure su cui i parlanti si orientano durante i loro

scambi comunicativi, la quale si propone dunque di descrivere „la grammatica

dell‟interazione‟, ovvero le competenze comunicative dei partecipanti alla conversazione

(Andorno 2005: 158; Mazeland 2006: 153). Inizialmente sviluppatasi nell‟ambito della

etnometodologia (De Leo 2005: 31), l‟analisi della conversazione si basa sui principi proposti

da Emanuel Schegloff, Harvey Sacks e Gail Jefferson (Sacks 1992; Sacks- Schegloff-

Jefferson 1974; Schegloff 1968; Schegloff-Sacks 1973)90

, i quali hanno sostenuto che

l‟elaborazione teorica dei dati prima della loro analisi sia prematura e che “le categorie

utilizzate nell‟analisi dovrebbero essere quelle che i partecipanti stessi usano in un‟interazione

strutturata razionalmente” (De Leo 2005: 31). Di conseguenza, il metodo induttivo adottato

dall‟analisi conversazionale parte da dati empirici per arrivare al riconoscimento di teorie e

categorie interpretative (Andorno 2005: 158; De Leo 2005: 6). Queste categorie servono

quindi a definire la strutturazione interna dell‟interazione (Bertuccelli Papi 1993: 265) e non

sono inerenti a una teoria prestabilita, ma dovrebbero essere inerenti agli scambi comunicativi

realmente pronunciati dai parlanti (Andorno 2005: 158; De Leo 2005: 6). Per quanto riguarda

l‟organizzazione del discorso, gli studi sulla conversazione si occupano principalmente

dell‟avvicendamento dei turni, ovvero dell‟alternanza di parlanti che prendono la parola

90

Sacks, Harvey, 1992, Lectures on conversation, Oxford-Cambridge, Blackwell; Sacks, Harvey; Schegloff,

Emanuel A.; Jefferson, Gail, 1974, A simplest systematics for the organization of turn-taking for conversation, in

Language, 50, 4, pp. 696-735; Schegloff, Emanuel A., 1968, Sequencing in Conversational Openings, in American

Anthropologist, 70, pp. 1075-1095; Schegloff, Emanuel A.; Sacks, Harvey, 1973, Opening up Closings, in Semiotica,

8-4, pp. 289-327, citato in Andorno, Cecilia, 2005, p. 158 e Mazeland, Harrie, 2006 p. 153.

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(Bertuccelli Papi 1993: 266; De Leo 2005: 6, 33)91

. Inoltre, è stato messo in luce il fatto che

l‟interazione comunicativa può essere considerata costituita da unità interazionali, definite

alternativamente mosse, turni, scambi o atti linguistici (Bertuccelli Papi 1993: 266). La

descrizione strutturale della conversazione ha dunque messo in evidenza la presenza di

un‟architettura ordinata negli scambi dialogici, i quali venivano considerati, ancora negli anni

‟60 dello scorso secolo, troppo disomogenei per uno studio indipendente (Coulthard 1979: 1).

A questo riguardo, il lavoro di Coulthard-Sinclair (1975) rappresenta indubbiamente uno

studio decisivo perché presenta per la prima volta un‟interazione svolta tra allievi e insegnante

come un‟unità strutturata (Carletta et al. 1996: 2; Coulthard 1979: 93). Il metodo che gli

studiosi hanno usato per descrivere strutturalmente le porzioni della conversazione in classe, è

il cosiddetto Transactional analysis approach (Coulthard-Sinclair 1975) che riconosce delle

unità più grandi che abbracciano delle altre unità più piccole (Wiegand 2002: 143-144). In

particolare, secondo la gerarchia stabilita una transizione è strutturata da elementi di scambio,

i quali consistono di mosse, a loro volta composte da azioni92

(Coulthard 1979: 101-102;

Wiegand 2002: 144-145). Il modello di Coulthard-Sinclair (1975) è stato successivamente

applicato da un gruppo di studiosi britannici, legati al Human Communication Research

Center, ai dialoghi-gioco che fanno parte dell‟ HCRC Map Task Corpus (cfr. § 1.1.2.1.) (De

Leo 2005: 54). Le peculiarità di questi dialoghi, definiti Task-oriented poiché i partecipanti

collaborano a uno scopo comune, sono molto simili alla struttura ordinata del discorso

didattico e perciò analizzabili secondo i componenti stabiliti nel Transactional analysis

approach di Coulthard-Sinclair (1975) (Carletta et al. 1996: 1; Wiegand 2002: 144). Infatti,

l‟organizzazione conversazionale dei dialoghi Map Task consiste in sottosegmenti dal

momento che i parlanti dividono il compito in modo maneggevole e ordinato (Carletta et al.

1996: 1). Al fine di rappresentare tale struttura, insieme con le dinamiche e le funzioni

comunicative dei quali i dialoghi-gioco sono dotati, è stato proposto un sistema di codifica del

materiale raccolto nell‟ HCRC Map Task Corpus, descritto nell‟HCRC Dialogue Structure

Coding Manual da Carletta et al. (1996) (De Leo 2005: 54).

Lo schema di annotazione etichetta le diverse parti della conversazione, le quali sono

gerarchicamente organizzate in tre livelli: il dialogo si divide in transactions (transazioni) che

si suddividono in games (giochi), i quali sono a loro volta formati da moves (mosse) (Carletta

et al. 1996: 1; De Leo 2005: 54-55). Le unità che si trovano sul livello più elementare, ovvero

le enunciazioni minime prodotte dai parlanti, sono le conversational moves (mosse

91

Per la descrizione del sistema di turnazione, si veda il § 1.1.3.1. 92

Secondo la denominazione originale: transaction, exchange, move e act (Coulthard 1979: 102).

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conversazionali), le quali si dividono in varie categorie a seconda dello scopo specifico che

svolgono nella cooperazione. Le mosse trasmettono dunque una determinata intenzione

comunicativa che può riguardare un enunciato completo o parziale, ma può anche

comprendere più enunciati (Carletta et al. 1996: 2; De Leo 2005: 55-57). Come mostra la

Figura 5., lo schema di codificazione prevede i seguenti tipi di mosse: mosse di Inizio

(Initiation), mosse di Risposta (Response) e mosse di tipo Ready.

Figura 5. Categorie delle mosse conversazionali93

In quello che segue mi limito a una descrizione delle mosse conversazionali Check in

confronto alle altre mosse della categoria Question (cfr. Figura 5.), perché costituiscono lo

spunto della riflessione sul rapporto tra dislocazione a sinistra e gli enunciati interrogativi94

.

93

Questa figura è tratta da Carletta, Jean et al., 1996, p. 4. 94

Per una descrizione completa delle transazioni, i giochi conversazionali e delle altre categorie di mosse

conversazionali, si veda Carletta, Jean et al., 1996.

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Le mosse Query-YN e le mosse Query-W sono queries che chiedono un‟informazione

necessaria per lo svolgimento del compito. Il primo tipo attende una risposta affermativa o

negativa e nella maggioranza dei casi viene usato dal parlante per informarsi su come sono

disposti i punti di riferimento sulla mappa dell‟altra persona (Carletta et al. 1996: 7; De Leo

2005: 58-59).

(54) G: Do you have a stone circle at the bottom?

La mossa Query-W include le domande precedute da un pronome interrogativo (cosa, chi,

come, quando, che cosa), per cui vengono anche dette „domande k‟ (wh-questions) (Carletta

et al. 1996: 7-8; De Leo 2005: 59).

(55) G: Towards the chapel and then you‟ve

F: Towards what?

Quando il parlante vuole essere sicuro che il trasferimento di informazione abbia avuto

successo, chiede attraverso una mossa Align il conferma o l‟attenzione del compagno e la sua

prontezza per continuare la mossa seguente. Come mostra l‟esempio (56), nel caso in cui

l‟interlocutore ritiene che le informazioni sono arrivate in modo corretto, può bastare un

semplice “ok?” o “mi segui?” (Carletta et al. 1996: 4, 6; De Leo 2005: 58).

(56) G: You should be skipping the edge of the page by about half an inch, OK?

Contrariamente, quando il parlante non è tanto convinto che il trasferimento delle

informazioni sia avvenuto con successo, può chiedere conferma di qualcosa più specifico,

come un referente particolare (Carletta et al. 1996: 6).

(57) G: Then move that point up half an inch so you‟ve got a kind of diagonal line again.

F: Right.

G: This is the left-hand edge of the page, yeah?

F: Yeah, okay.

In opposizione alle mosse Query-YN e alle mosse Query-W, i Check move hanno la funzione

di arrivare a una conferma o a un controllo delle informazioni che il parlante possiede già, ma

delle quali non è completamente sicuri. Generalmente, si tratta di un‟informazione che è già

stata comunicata dal compagno in modo esplicito, ma è possibile anche che la persona che

chiede conferma abbia dedotto questa informazione dal contesto conversazionale precedente

(Carletta et al. 1996: 5-6; De Leo 2005: 57-59).

(58)95

G: ... you go up to the top left-hand corner of the stile, but you‟re only, say about a centimetre from

the edge, so that‟s your line.

F: OK, up to the top of the stile?

95

Gli esempi 54-58 sono tratti da Carletta, Jean et al., 1996, p. 6-7.

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Se confrontiamo questa classificazione delle mosse interrogative con le attestazioni trovate

nel corpus qui investigato, risulta chiaro che molto spesso le domande che dislocano un

costituente a sinistra presentano con evidenza le caratteristiche delle mosse conversazionali

Check. Alla luce di tale osservazione, possiamo avanzare l‟ipotesi che la dislocazione a

sinistra sia un mezzo ideale, e dunque frequentemente impiegato, per chiedere conferma di

una deduzione di cui non si interamente è sicuri. Ne danno conto gli esempi seguenti, nei

quali i parlanti chiedono conferma di una deduzione fatta in base a informazioni

precedentemente ricevute. Si nota, inoltre, la presenza di domande-coda del tipo vero?;

giusto?.

DGmtA02F: p2F#538: l‟orologio non ce l‟hai, vero?

DGmtA02F: p2F#398: e poi te la farfalla non ce l‟hai giusto?

DGmtA02R: p1F#165: ma gli occhiali li devo passare comunque?

Visto che i testi del corpus CLIPS non presentano l‟indicazione delle mosse conversazionali,

si è scelto di verificare la validità dell‟ipotesi proposta osservando un dialogo Map Task che è

stato codificato con lo schema annotativo dell‟HCRC Corpus. Si tratta in particolare della

conversazione denominata D02_p che si svolge tra due parlanti pisani, appartenente al corpus

AVIP/API96

. In questo dialogo, di 12 minuti di durata, ricorrono nove mosse Check che

presentano all‟interno una dislocazione a sinistra, dei quali tre casi sono enunciati

interrogativi. Inoltre, è stata trovata una dislocazione a sinistra che esprime una domanda del

tipo Query-YN, e un‟altra che veicola una domanda Query-W.

Come mostrano le parti del discorso riportate sotto97

, la dislocazione a sinistra è un

meccanismo favorevole per chiedere al compagno di confermare una certa deduzione sullo

stato di cose, perché questa costruzione mette in rilievo una determinata parte dell‟enunciato.

Anche se la predominanza delle dislocazioni a sinistra nelle mosse Check merita ulteriori

approfondimenti e verifiche, il numero di attestazioni trovate in questo dialogo pare indicare

una chiara correlazione tra le due.

96

Per una descrizione generale del corpus AVIP/API si veda il § 1.1.2.1. 97

Le dislocazioni a sinistra sono state sottolineate.

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GAME 24 follower query-n

(QUERY-YN): i mobili Elena ce l‟hai ?

G049(EXPLAIN): no, il bar Dodò è più avanti

(REPLY-Y): sì

GAME 27 follower check

F054(CHECK): i babbuini non ce l‟hai ?

G055(EPLY-N): no

GAME 35 follower check

F072* (CHECK): diciamooo ehm diciamo che io ho fatto così,

(ALIGN): no ?

(CHECK): dall‟aiaaa sono andata verso sinistra verso il ponte

d‟alluminio poi ho girato verso destra per

GAME 36 follower align

(ALIGN): m+ mettendo che la *lur+ / la roulotte sia a destra, no ?

G073(REPLY-Y): sì c+

*F074(CHECK): se la roulotte è a destraaa io ho detto va be‟ee se poi

ehm siccome m‟hai detto del bar che io non hooo , però hai detto che

dopo questo bar ci sono i mobili Elena aa

G073(REPLY-Y): sì

*F076(CHECK): allora io i mobili di Elena se l‟ho / ce l‟ho sulla

sinistra rispetto alla roulotte

GAME 38 giver query-w

G077(QUERY-W): quando sei sulla strada, te mobili Elena dove lo

trovi ?

F078(EXPLAIN): ma io non ho *stessuta strada Roberta, la devo fare

io !

G079(ACKNOWLEDGE): sì

F080(*READY): e allora ?

GAME 47 follower check

F108(CHECK): io eeh ascolta, i mobili Elena io prima faccio una

curva a sinistra poi ancora una curva a des+

G109(REPLY-Y): sì, fai / breve, ah

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GAME 58 follower check

*F146(CHECK): aspetta un attimo fermati allora io all‟aia vado un

pezzettino avanti e m‟incontro questo banano sulla destra

G147(REPLY-Y): vai un po‟ avanti sì

GAME 69 follower check

(CHECK): poi al ponte d‟alluminio io giro verso est, no ? la linea va

verso est ?

(ALIGN): Roberta ?

GAME 84 follower check

F224(CHECK): quindi io praticamente, no ? faccio una curva a destra

per arrivare al ponte d'alluminio ?

G225(REPLY-Y): est sì

F226(ACKNOWLEDGE): oh ci sono ! eccoci

G227( ): verso est

F228(ACKNOWLEDGE): eee e poi, ho capito,

(CHECK): allora a quel punto lì se vado a diritto incontrooo eeh

la roulotte, la roulotte ce l'ho sulla destra diciamo volendo volendo

propriooo arrivarci qui sulla destra perché qui se‟ondo me dovrei

superare il viale dei lillà sì ora fin qui ci sono, aspetta allora

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70

CONCLUSIONE

L‟italiano parlato, contrassegnato da una storia linguistica particolare (§ 1.1.1.) è stato per

lungo tempo sottovalutato e trascurato come possibile oggetto di studio. La dicotomia storica

tra lingua scritta e lingua parlata ha fatto sì che l‟orientamento dei linguisti fosse rivolto

maggiormente verso lo scritto (Milano 2003: 36, 81). A partire dagli anni Sessanta dello

scorso secolo (ivi: 6), nasce l‟interesse per la lingua italiana sotto forma parlata, anche perché

tra gli anni Cinquanta e Novanta (ivi: 6) si è verificato, dal punto di visto linguistico, una

modificazione importante: la rinuncia all‟impiego esclusivo del dialetto. Questo segna un

primo fattore fondamentale per il lungo processo di standardizzazione, insieme con

l‟affermazione della lingua nazionale negli usi parlati (De Mauro et al. 1993: 159), la quale

“veniva usat[a] fino ad abbracciare le mille cose umili d‟ogni giorno anche fuori di Firenze (e

di Roma)” (ivi: 159). Mentre il primo filone di studi si occupò principalmente di descrivere le

caratteristiche del parlato in opposizione a quelle della lingua scritta (Milano 2003: 36),

l‟attenzione degli studiosi è andata sviluppandosi sempre più in direzione di indagini

linguistiche di carattere maggiormente scientifico-specialistico (§ 1.1.2.). Segno di questo

cambiamento di prospettiva è l‟allestimento di vari strumenti d‟analisi, fra i quali è importante

notare la raccolta di corpora con finalità svariate (Albano Leoni 2001, Voghera 2001: 75).

Oltre ad essere un oggetto di studio molto interessante, il parlato non è facilmente definibile:

molti studi hanno cercato di cogliere sotto vari punti di vista i principi costitutivi del parlato

italiano (§ 1.1.3.) ed è proprio sul piano della sintassi che troviamo un importante criterio di

distinzione tra scritto e parlato (Milano 2003: 60).

In questo lavoro sono state affrontate due costruzioni sintattiche marcate che sono state

definite in diverse ricerche „tipico dell‟uso orale‟ (Berretta 1993; Berruto 1983, 1985, 2006;

Cortelazzo 2001; D‟Achille 1990; Milano 2003). Per poter confrontare le affermazioni

teoriche con un campione di italiano parlato reale, la dislocazione a sinistra e il tema sospeso

sono stati descritti da una prospettiva informativa (§ 1.2.1.), sintattica (§ 1.2.2.) e prosodica (§

1.2.3.). L‟indagine empirica su nove dialoghi Map Task tratte dal corpus CLIPS ha rivelato le

seguenti tendenze: la presenza prominente della dislocazione a sinistra contrasta chiaramente

con le poche occorrenze trovate nel corpus per il tema sospeso (§ 2.3.1.), il quale viene

tuttavia circoscritto come “ristretto all‟uso orale, anche se non necessariamente colloquiale”

(Milano 2003: 208). Inoltre, è stata notata un‟ampia gamma di funzioni sintattiche che i

costituenti dislocati possono svolgere (§ 2.3.2.), con una predominanza dell‟oggetto diretto sul

soggetto, l‟oggetto indiretto, l‟oggetto quantificato e il complemento circostanziale. Abbiamo

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anche visto che i casi dubbi e i casi ai margini tra tema sospeso e dislocazione a sinistra

possono essere risolti in base all‟ascolto dei tratti prosodici che accompagnano l‟enunciato. In

generale, l‟interpretazione dei dati del corpus conferma le opinioni incontrate nella letteratura

in merito (§ 2.3.3.) e anche se ricorrono alcuni tipi non previsti, il numero di affermazioni

teoriche contraddette rimane molto ridotto.

Possiamo concludere questo lavoro con l‟osservazione che la dislocazione a sinistra è una

costruzione sintattica frequentemente impiegata nel parlato italiano, talvolta a scapito del

tema sospeso che condivide comunque le stesse condizioni pragmatiche d‟uso (Benincà et al.

1988: 145). Le ragioni di questa predilezione per la dislocazione a sinistra sono state cercate,

e trovate, non soltanto in riferimento alla sua funzione sintattica, ma anche al livello

informativo e nell‟ambito conversazionale (§ 2.3.4., le mosse conversazionali del tipo Check),

per cui “[i]l termine ‹‹dislocazione›› implica purtroppo l‟idea di qualcosa che si trova in un

posto che non le appartiene. In realtà, [...] la distribuzione delle DS è invece piuttosto regolare

e operante secondo principi che vanno cercati al di là del livello della frase e perfino al di là

del contesto strettamente linguistico” (Duranti-Ochs 1979a: 272).

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BIBLIOGRAFIA

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http://www.clips.unina.it (consultato il 5 marzo 2008).

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dialogo, Napoli, Liguori.

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