Se questo è un uomo (Primo Levi) e di La nuit (Elie...
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Superare l'ineffabilità: medesimi fatti, esperienze diverse.
Analisi di Se questo è un uomo (Primo Levi) e di La nuit (Elie Wiesel)
Masterproef voorgedragen tot het behalen van de graad
“Master in de Vergelijkende Moderne Letterkunde”.
Egon Buyck
Università di Gent
Facoltà di Lettere e Filosofia
Anno Accademico 2015 – 2016
Relatore: Prof. Dr. Mara Santi
Superare l'ineffabilità: medesimi fatti, esperienze diverse.
Analisi di Se questo è un uomo (Primo Levi) e di La nuit (Elie Wiesel)
Masterproef voorgedragen tot het behalen van de graad
“Master in de Vergelijkende Moderne Letterkunde”.
Egon Buyck
Università di Gent
Facoltà di Lettere e Filosofia
Anno Accademico 2015 – 2016
Relatore: Prof. Dr. Mara Santi
RINGRAZIAMENTI
Desidero innanzitutto esprimere la più sincera gratitudine al mio relatore, la professoressa
Mara Santi, per la dedizione con cui ha seguito attentamente questa tesi e per la cortesia e la
disponibilità dimostratemi. Un grazie speciale va alla professoressa Sabine Verhulst per il suo
supporto durante le prime fasi della stesura del presente lavoro, mai lesinando consigli e
suggerimenti utili. Inoltre, rivolgo i più sentiti ringraziamenti ad Antonella Grippi per aver
riletto con attenzione questo testo. Senza il loro sostegno, questa tesi non esisterebbe.
Vorrei infine ringraziare le persone a me più care: mia fidanzata Eveline, per il suo
instancabile supporto, e mia sorella Yanna, per aver risvegliato in me l’interesse per la
letteratura concentrazionaria. Infine, rivolgo un particolare ringraziamento ai miei genitori che
fin dall’inizio mi hanno sostenuto durante il percorso dei miei studi.
Il y a quelque chose de divinement beau dans l’apprendre, tout
comme il y a quelque chose d’humainement beau dans la tolérance.
Apprendre, c’est accepter que la vie ne commence pas avec
moi. D’autres ont vécu avant moi et je marche sur leurs traces. Les
livres que je lis ont été écrits par des générations de pères et de fils,
de mères et de filles, de maîtres et de disciples. Je suis la somme de
leurs expériences, de leurs quêtes.
– Elie Wiesel –
INDICE
INTRODUZIONE .................................................................................................................... 1
I. GENESI E PUBBLICAZIONE DELLE DUE OPERE .................................................... 4
I.1. Genesi e pubblicazione di Se questo è un uomo di Primo Levi ....................................... 4
I.2. Genesi e pubblicazione di La nuit di Elie Wiesel ............................................................ 7
II. IL GENERE E IL GRADO DI FINZIONALITÀ .......................................................... 10
II.1. Se questo è un uomo e La nuit alla luce della teoria di Lejeune ................................... 10
II.2. La nuit di Elie Wiesel: memoria o autofiction? ............................................................ 15
II.3. Se questo è un uomo di Primo Levi: memoria o autofiction? ....................................... 23
II.4. Conclusioni intermedie sulla questione del genere ...................................................... 27
III. LA LETTERATURA DOPO AUSCHWITZ ................................................................ 28
IV. IL PROCESSO DI STESURA DELLE DUE OPERE ................................................. 32
IV.1. Il processo di stesura di SQU in quanto indicatore della letterarietà .......................... 32
IV.2. Il processo di stesura di La nuit in quanto indicatore della letterarietà ....................... 36
V. L’USO DELLE FIGURE RETORICHE IN SQU E NE LN ......................................... 39
V.1. L’uso dell’ossimoro in Se questo è un uomo e ne La nuit ............................................ 39
V.2. L’uso delle figure di ripetizione in Se questo è un uomo e ne La nuit ......................... 40
V.3. L’uso delle metafore e delle similitudini in SQU e ne La nuit ..................................... 46
V.4. Conclusioni intermedie sul confronto stilistico ............................................................ 54
CONCLUSIONE .................................................................................................................... 55
BIBLIOGRAFIA
1
INTRODUZIONE
Negli anni successivi al fallito tentativo dei nazisti di distruggere – sia sul piano fisico che sul
piano mentale – “la razza parassita” emerge un nuovo corpus letterario, costituito
principalmente da memorie uscite dalla penna di superstiti che, logicamente, offrono al lettore
una prospettiva privilegiata sulla vita nel campo di concentramento di Auschwitz. Comune a
tutte queste prose è innanzitutto la consapevolezza della necessità di testimoniare ossia di
tramandare alle generazioni a venire questa esperienza che trascende la comprensione umana.
Simbolica a questo proposito la risposta di Primo Levi alla famosa affermazione del filosofo
tedesco Theodor Adorno sull’impossibilità della poesia, e quindi della letteratura, dopo
Auschwitz: “La mia esperienza è stata opposta. [...] In quegli anni, semmai, avrei riformulato
le parole di Adorno: dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz”1. In
altre parole, Levi sancisce il dovere di testimonianza del superstite, sottolineando che
“l’esperienza del singolo deve porsi al servizio della memoria collettiva, per fare luce sulla
cicatrice più significativa della società contemporanea”2. All’interno di questo vasto corpo
emerso nel secondo dopoguerra, sono comunque scarsi gli scritti che – oltre a essere di grande
qualità documentaria – si contraddistinguono anche per la loro eccezionale qualità letteraria.
Fra quelli che rientrano in tale categoria spiccano indubbiamente Se questo è un uomo di
Primo Levi e La nuit dell’autore rumeno Elie Wiesel, dei quali discuteremo in questa sede.
Il problema, sia per Levi che per Wiesel, è vincere l’indicibilità della propria esperienza e
renderla il più accessibile possibile. Per rendere immaginabile l’inimmaginabile e credibile
l’incredibile, l’autore innesta sul proprio resoconto fattuale una serie di tecniche narrative
tipiche della fiction, ossia trasforma l’elenco dei fatti in una storia coerente ed esteticamente
curata. L’aspetto stilistico ha quindi un peso considerevole nella trasmissione dell’esperienza
di Auschwitz. Se questo è un uomo e La nuit – essendo delle vere e proprie opere d’arte – si
collocano quindi nello spazio intermedio tra fiction e non-fiction, il che spesso genera delle
controversie a proposito dell’attribuzione del loro genere letterario: “se chi scrive cerca il
realismo, allora il suo racconto non è creduto in quanto è impensabile che si sia potuto
salvare, se invece indulge al romanzo, allora non è più credibile, in quanto inventa”3.
1 LEVI P., Conversazioni e interviste 1963-1987, a cura di Marco Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, p. 137.
2 INNOCENTI O., Poesia dell’indicibile: il Lager nella letteratura, in “Patria Indipendente”, nr.1, 2003, p. 6.
3 ARQUÉS R., Dante nell’inferno moderno: la letteratura dopo Auschwitz, in: “Rassegna europea di letteratura
italiana”, n.33, 2009, p. 90.
2
Prima di addentrarci nella questione del genere ci è sembrato necessario contestualizzare i
nostri oggetti di studio, in modo da consentire al lettore di formarsi già un’idea preliminare
delle analogie e delle differenze tra di essi, che, come si vedrà, esercitano un’influenza
rilevante sulla loro ricezione e sul loro stile. Questo discorso sarà oggetto del primo capitolo.
Ma qual è, però, il genere letterario al quale appartengono Se questo è un uomo e La nuit? Si
iscrivono in un genere letterario già esistente, o costituiscono piuttosto un genere a sé stante?
Sono queste le domande alle quali tenteremo di fornire una risposta nel secondo capitolo.
Occorre in primo luogo stabilire se entrambe le opere possono essere considerate delle
autobiografie vere e proprie. Per fare questo, le analizzeremo alla luce della teoria dello
studioso francese Philippe Lejeune, i cui studi per la prima volta nella storia della critica
conferiscono all’autobiografia uno statuto privilegiatamente letterario e ne formulano una
definizione scientifica4. Come vedremo, le opere di Levi e di Wiesel sono sì delle
autobiografie, ma con uno statuto molto particolare. La domanda che si pone allora è questa:
sono dei romanzi autobiografici o delle memorie vere e proprie? O nessuno dei due? Verrà
quindi determinato, sulla base di fattori interni ed esterni al testo, quale sia il grado di
finzionalità di entrambi.
Come osserva giustamente Cesare Segre nella postfazione a Se questo è un uomo “si ha
ritegno a giudicare con criteri estetici un libro che ha dietro tanta sofferenza personale, e
milioni di morti”5. Dopo aver stabilito, nel secondo capitolo, a quale genere letterario
appartengono l’opera di Primo Levi e quella di Elie Wiesel – o, in altre parole, dopo averle
giudicato con criteri prevalentemente contenutistici – passiamo alla seconda parte dell’analisi,
nella quale verrà affrontato in modo più approfondito l’aspetto letterario e stilistico. Per dirla
senza mezzi termini, Se questo è un uomo e La nuit sono delle rappresentazioni artistiche
della sofferenza di milioni di vittime. Perciò, negli anni successivi alla fine della guerra, inizia
un intenso dibattito sul carattere etico e sul valore della letteratura, dibattito nel quale si
inserisce tra l’altro l’affermazione di Levi precedentemente citata. Il terzo capitolo ambisce a
offrire una breve panoramica delle diverse posizioni e a spiegare in cosa consiste
concretamente il valore della rappresentazione letteraria della Shoah. Dopo questa breve
digressione, riprendiamo il discorso sulle opere di Primo Levi e di Elie Wiesel. Come si è
detto, l’autore deve in un certo senso estetizzare la propria testimonianza al fine di renderla
4 BECONCINI R., L’autobiografia nel Novecento. L’esempio di Mishima, 2007-2008, tesi di laurea presso
l’Università degli Studi di Pisa, p. VII. 5 LEVI P., Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2005, p. 193.
3
credibile e, innanzitutto, accessibile a un pubblico più ampio possibile. Lungo il quarto
capitolo, quindi, cercheremo di dimostrare che entrambi gli autori, rafforzando la coesione
narrativa della propria memoria e adoperando un linguaggio stilisticamente elevato, hanno
fatto un rilevante sforzo per renderla una vera e propria opera d’arte. Il frutto di questo lavoro
sono due opere fortemente letterarie, nelle quali si riscontra un ampio uso di figure retoriche.
Come viene generalmente ritenuto dalla critica, Se questo è un uomo si presenta come
un’opera meno soggettiva ed emotiva rispetto a La nuit. L’ultimo capitolo si propone di
analizzare se questo si rispecchi pure nello stile. Più in particolare, il quarto capitolo
sottopone ad analisi le figure retoriche chiave delle due opere al fine di vedere come vengono
esattamente utilizzate. Dal confronto tra l’uso dell’ossimoro, della ripetizione, della metafora
e della similitudine in entrambe le opere, come si vedrà, si possono trarre alcune conclusioni
interessanti.
4
I. GENESI E PUBBLICAZIONE DELLE DUE OPERE
I.1. Genesi e pubblicazione di Se questo è un uomo di Primo Levi
Ho scritto perché sentivo il bisogno di scrivere. [...] Io ho avuto l’impressione che l’atto di scrivere
equivalesse per me allo stendermi sul divano di Freud. Sentivo un bisogno così prepotente di
raccontare, che raccontavo a voce. [...] Io poi ho scelto lo scrivere come l’equivalente di raccontare. 6
Sono queste le parole con cui Primo Levi spiega a Ferdinando Camon la genesi del suo primo
libro: Se questo è un uomo. All’origine della memoria del giovane ebreo non praticante – che
costituisce una delle opere più importanti della letteratura concentrazionaria e della letteratura
del secondo dopoguerra tout court – vi è quindi un desiderio di liberazione interiore. Inoltre,
Levi dice di esser stato spinto dal “bisogno di fare gli altri partecipi”7. Mettendo nero su
bianco le esperienze vissute ad Auschwitz e ancora non note subito dopo la guerra, l’autore
vuole far sì che le generazioni future non si dimentichino questa pagina nera della storia.
Come si può rilevare dal cosiddetto sogno del reduce che viene descritto nel quinto capitolo,
intitolato Le nostre notti, già ad Auschwitz il prigioniero prova la necessità di raccontare:
Qui c’è mia sorella, e qualche mio amico non precisato, e molta altra gente. Tutti mi stanno ascoltando,
e io sto raccontando proprio questo: il fischio su tre note, il letto duro, il mio vicino che io vorrei
spostare, ma ho paura di svegliarlo perché è più forte di me. Racconto anche diffusamente della nostra
fame [...]. È un godimento intenso, fisico, inesprimibile, essere nella mia casa, fra persone amiche, e
avere tante cose da raccontare: ma non posso non accorgermi che i miei ascoltatori non mi seguono. 8
Più di una volta il prigioniero tenta di scrivere “quello che non saprebbe dire a nessuno”9.
Lavorando nel laboratorio, per esempio, inizia a prendere qualche appunto delle proprie
esperienze, anche se è ben cosciente del fatto che non avrebbe mai potuto conservarlo. Il
progetto di Se questo è un uomo si avvia quindi in quel laboratorio descritto nel capitolo Die
drei Leute vom Labor. Tornato a casa il 19 ottobre 1945 – dopo un lungo viaggio – Levi non
aspetta a lungo e inizia subito a scrivere la prima bozza di quello che sarà poi Se questo è un
uomo: un dattiloscritto di quattordici pagine intitolato Storia di dieci giorni datato febbraio
194610
. Dall’ultima frase del passo citato qui sopra emerge però che questa necessità di
raccontare si scontra con la consapevolezza che l’esperienza raccontata è difficilmente
6 CAMON F., Conversazione con Primo Levi, Milano, Garzanti, 1991, p. 49.
7 LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 9.
8 Ibidem, p. 53.
9 Ibidem, p. 126.
10 BELPOLITI M., Primo Levi di fronte e di profilo, Parma, Guanda, 2015, p. 23.
5
credibile per coloro che non l’hanno vissuta in prima persona. L’opera testimoniale di Levi –
esattamente come quella di Elie Wiesel – rappresenta quindi un tentativo di dire l’indicibile.
Come afferma Levi nell’Appendice “ho scritto il libro appena sono tornato, nel giro di pochi
mesi: tanto quei ricordi mi bruciavano dentro”11
. Vale a dire che alla fine del 1946, Se questo
è un uomo è terminato. Tuttavia, prima di venire pubblicato per la prima volta nell’ottobre del
1947 presso la piccola casa editrice torinese De Silva, il libro è stato rifiutato da alcuni grossi
editori tra cui Einaudi. Le ragioni di questo clamoroso rifiuto non sono mai state
completamente chiarite. Generalmente vengono avanzate due possibili ipotesi: le condizioni
storiche e la struttura narrativa del libro12
. In primo luogo, il clima dell’immediato dopoguerra
non è “favorevole al lutto ma alla rinascita”13
e la linea editoriale della Einaudi si orienta in
questa direzione, come dice a Levi l’amica ebrea Natalia Ginzburg, che fu tra le prime lettrici
del manoscritto. In un’intervista rilasciata a Carlo Paladini, l’autore ritorna sulla vicenda del
rifiuto dicendo appunnto che si deve capire in tal senso la scelta editoriale:
Bisogna pensare che allora Natalia usciva da un periodo tremendo, era la vedova di Leone Ginzburg e
quindi capisco abbastanza bene il suo rifiuto che esprimeva un rifiuto più ampio, collettivo. A quel
tempo la gente aveva altro da fare. Aveva da costruire le case, aveva da trovare un lavoro. C’era
ancora il razionamento; le città erano piene di rovine; c’erano ancora gli Alleati che occupavano
l’Italia. Le gente non aveva volgia di questo, aveva voglia di altro, di ballare per esempio, di fare feste,
di mettere al mondo dei figli. Un libro come questo mio, e come molti altri che sono nati dopo, era
quasi uno sgarbo, una festa guastata .14
In secondo luogo, Se questo è un uomo urta contro i dettami del romanzo neorealista o
simbolista che allora era maggiormente in voga15
. Vale a dire che la struttura frammentaria e
non cronologica del libro non poteva convincere gli editori della Einaudi. Inoltre, come
sostiene Marco Belpoliti nel suo recente Primo Levi di fronte e di profilo il libro si differenzia
dai libri di quel periodo non solo dal punto di vista strutturale, ma anche da quello linguistico.
Se questo è un uomo è scritto in una lingua “marmorea” contenente molti rinvii letterari che
allora non veniva apprezzata dagli editori, visto che cercavano dei libri scritti in una lingua
nuova e fresca16
.
11
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 157. 12
MATTIODA E., Levi, Roma, Salerno Editrice, 2011, p. 35. 13
Ibidem, p. 35. 14
PALADINI C., A colloquio con Primo Levi, in: SORCINELLI P., Lavoro, criminalità e alienazione mentale,
Ancona, Il Lavoro Editoriale, 1987, pp. 148-149. 15
MATTIODA E., op. cit., p. 35. 16
BELPOLITI M., op. cit., p. 118.
6
Dopo il rifiuto, Primo Levi si rivolge a Franco Antonicelli – il direttore della De Silva – che
accoglie il manoscritto con molto entusiasmo. Antonicelli apprezza non solo il contenuto, ma
anche l’alto valore letterario di Se questo è un uomo, di conseguenza, la princeps viene
pubblicata con una tiratura di duemilacinquecento copie. Tuttavia – probabilmente a causa del
fatto che De Silva è una piccola casa editrice – il libro non riceve molte recensioni e non
conosce una grande risonanza, ma nel 1958 Se questo è un uomo trova nuova vita presso la
medesima casa editrice che undici anni prima l’aveva rifiutato: la Einaudi. Il contratto di
pubblicazione era già stato firmato al luglio 1955, ma a causa di una crisi finanziaria la
pubblicazione viene rinviata al giugno 195817
. A partire da questo momento, Se questo è un
uomo entra nel canone letterario italiano. Va inoltre notato che l’edizione del 1958 differisce
leggermente da quella del 1947, ma su questo punto torneremo quando analizzeremo in modo
approfondito il processo di stesura dell’opera.
17
MATTIODA E., op. cit., p. 36.
7
I.2. Genesi e pubblicazione di La nuit di Elie Wiesel18
Primo Levi e Elie Wiesel vengono spesso menzionati insieme. Elie Wiesel è uno scrittore
rumeno che – esattamente come lo scrittore italiano – è stato deportato ad Auschwitz nel
1944. Dopo la liberazione del 27 gennaio 1945 da parte delle truppe russe anche Wiesel esce
dal campo tormentato dalla necessità di raccontare ciò che gli è successo. Al contrario di Levi,
Wiesel non si mette direttamente a scrivere ma decide di rimanere in silenzio.
Si pénible était ma peine que je fis un vœu : ne pas parler, ne pas toucher à l’essentiel pour au moins
dix ans. Assez longtemps pour voir clair. Assez longtemps pour apprendre à écouter les voix qui
pleuraient en moi. Assez longtemps pour regagner la possession de ma mémoire. Assez longtemps pour
unir le langage des hommes avec le silence des morts. 19
Il fatto che Wiesel non trovi le parole giuste per esprimersi costituisce infatti la ragione
maggiore per la quale Wiesel tiene la sua esperienza per sé per dieci lunghi anni. Come
sostiene nella prefazione alla nuova edizione di La nuit – quella del 2007 pubblicata da Les
Éditions de Minuit – l’autore si trova in una situazione molto difficile: è impossibile tacere ma
allo stesso è impossibile esprimersi20
. Nel 1954 Elie Wiesel decide comunque di fare il
tentativo di dire l’indicibile. Benché il giovane ebreo ortodosso abbia cominciato a scrivere la
sua testimonianza in ebraico, qualche mese dopo egli decide di continuare in yiddish.
Trovandosi durante un periodo assai lungo a bordo di una nave diretta verso il Brasile, Elie
Wiesel si dedica completamente alla stesura del suo primo libro:
Fiévreux et comme hors d'haleine, j'écris vite, sans me relire. J'écris pour témoigner, pour empêcher les
morts de mourir, j'écris pour justifier ma survie […] Mon vœu de silence arrivera bientôt à terme; l’an
prochain, ce sera le dixième anniversaire de ma libération. Il va falloir parler, ouvrir les portes de la
mémoire, briser le silence tout en le sauvegardant : y-parviendrai-je? Des pages et des pages
s'entassent sur mon lit. Je dors peu, je ne participe pas aux activités du bateau. 21
Il risultato di questo lavoro è un manoscritto di 862 pagine intitolato Un di Velt Hot
Geschvign22
. Il caso vuole che Wiesel incontri su questa nave l’editore Mark Turkov al quale
consegna il manoscritto ed è così che il libro viene pubblicato per la prima volta a Buenos
Aires. Occorre comunque menzionare che il numero di pagine di Un di Velt Hot Geschvign
era stato radicalmente ridotto da 862 a 245.
18
Questo paragrafo è basato su WIESEL E., Tous les fleuves vont à la mer, Paris, Éditions du Seuil, 1996. 19
WIESEL E., Un juif aujourd’hui, Paris, Seuil, 1977, p. 15. 20
WIESEL E., La nuit, Paris, Les Éditions de Minuit, 2007, p. 13. 21
WIESEL E., Tous les fleuves vont à la mer, cit., p. 333. 22
Un di Velt Hot Geschvign viene tradotto in italiano come E il mondo rimase in silenzio.
8
In un primo momento – esattamente come Se questo è un uomo – l’opera testimoniale di Elie
Wiesel suscita scarsa attenzione. Di conseguenza Wiesel decide di continuare a lavorare come
giornalista invece di diventare uno scrittore di professione. Nel maggio 1955 – tentando di
intervistare il primo ministro francese Pierre Mendès France – Wiesel fa conoscenza dello
scrittore e vincitore del premio Nobel per la letteratura François Mauriac. Ed è proprio questo
incontro la spinta di cui Elie Wiesel ha bisogno:
Le problème était que Mauriac aimait Jésus. C'était la personne la plus correcte que j'aie jamais
rencontrée en ce domaine - en tant qu'écrivain, écrivain catholique. Honnête, intègre, et amoureux de
Jésus, il ne parlait que de Jésus. Quoi que je demande - Jésus. Finalement, je lui dis : « Et Mendès-
France? » Il répondit que Mendès-France, comme Jésus, souffrait… Avec ce Jésus, c'en fut trop, et
pour la seule fois dans ma vie, je fus discourtois, ce que je regrette encore aujourd'hui. Je lui dis : « M.
Mauriac, on l'appelait maître, il y a de cela dix ans à peu près, j'ai vu des enfants, des centaines
d'enfants juifs, dont chacun a souffert mille fois plus, six millions de fois plus, que le Christ sur la croix.
Et on ne parle pas d’eux. » Je me sentis soudain gêné. Je fermai mon bloc-notes et me dirigeai vers
l'ascenseur. Il me rattrapa. Il me retint; il s'assit dans sa chaise, moi dans la mienne, et il se mit à
gémir. J'avais rarement vu un vieil homme pleurer de la sorte, et je me sentais si bête… Et puis, à la fin,
sans rien dire d'autre, il dit : « Vous savez, vous devriez peut-être en parler ». 23
Che questo incontro sia molto importante per Wiesel è confermato anche dal fatto che La nuit
contiene una prefazione proprio di François Mauriac. Subito dopo l’incontro Wiesel traduce
Un di Velt Hot Geschvign in lingua francese e gli manda il manoscritto intitolato Et le monde
se taisait. Si noti che non si tratta di una semplice traduzione ma di una rielaborazione del
testo yiddish. Questa era stata resa necessaria dalla differenza del pubblico francese rispetto a
quello ebreo desideroso di vendetta24
. La versione francese quindi viene tra l’altro spogliata
dai riferimenti o dagli incitamenti alla vendetta contro i tedeschi. Colpisce che ne La nuit il
desiderio di vendicarsi si manifesta soltanto una volta: “On bombarde Buna! cria quelqu’un.
Je pensai à mon père. Mais j’étais quand même heureux. Voir l’usine se consommer dans
l’incendie, quelle vengeance”25
e che l’assenza di tale desiderio viene persino sottolineato
verso dell’opera: “Mais de vengeance, pas de trace.”26
. Dopo aver letto il manoscritto, verso
la fine del 1956, François Mauriac lo manda all’editore Jérôme Lindon della casa editrice
francese Les Éditions de Minuit, con le seguenti parole: “Voici le livre de l’enfant juif. Je
23
Questa citazione è frutto della trascrizione di un’intervista fatta a Elie Wiesel dall’Academy of Achievement il
29 giugno 1996 a Sun Valley, Idaho (cfr. http://www.achievement.org/autodoc/page/wie0int-1). 24
SEIDMAN N., Elie Wiesel and the Scandal of Jewish Rage, in : “Jewish Social Studies”, vol.3, n.1, 1996, pp.
5-6. 25
WIESEL E., La nuit, cit., p. 118. 26
Ibidem, p. 199.
9
vous le recommande chaudement”27
. In una lettera a Elie Wiesel, Lindon esprime il proprio
entusiasmo in merito al manoscritto, tuttavia, l’editore francese ritiene necessario cancellare
qualche passaggio superfluo riducendo così il numero di pagine a centosettantotto. Inoltre,
Jérôme Lindon propone di sostituire il titolo Et le monde se taisait con Un an de mon enfance.
Questa proposta – non apprezzata da Wiesel e da Mauriac – è l’inizio di una lunga
discussione su un nuovo titolo. Infine, i tre raggiungono un accordo sul titolo La nuit.
L’apprezzamento di Wiesel per il lavoro di Jérôme Lindon è assai grande, come mostra la
seguente citazione: “Oui, ce livre vous exprime autant qu’il m’exprime, moi. La voix est la
mienne. Mais l’ingénieur du son, c’est vous”28
. La nuit viene pubblicato per la prima volta nel
giugno 1958, ossia il medesimo anno in cui Se questo è un uomo viene pubblicato in Italia
dalla Einaudi. Elie Wiesel decide anche di far tradurre La nuit in inglese da sua moglie
Marion Wiesel, per far sentire la sua voce a un pubblico ancora più vasto. Fu difficile trovare
un editore, come egli stesso afferma in un’intervista:
So we brought it to an American publisher. It went from publisher to publisher to publisher. All of them
refused it. They gave the same reasons, until a small publisher picked it up. From 1960 to 1963 it didn't
sell 1500 copies. Nobody wanted to read it. It doesn't matter. I am not here to sell, I'm here to write. 29
In un primo momento la versione inglese intitolata Night non conosce quindi un grande
successo. Tuttavia, col passare del tempo il libro di Wiesel diventa una delle opere
memorialistiche più importanti del mondo. Ne è testimonianza il fatto che La nuit è stato
tradotto in più di trenta lingue e che ha venduto parecchi milioni di copie.
In sintesi si può affermare che le opere concentrazionarie di Primo Levi e di Elie Wiesel
hanno quindi molti elementi in comune, tra i quali il fatto che siano scritte da giovani scrittori
ancora non professionisti e che non conoscano grande eco negli anni successivi alla
pubblicazione. A prima vista può sembrare che esse siano opere sostanzialmente simili scritte
in due lingue diverse, tuttavia, allo stesso tempo, vi sono alcuni fattori che le differenziano
l’una dall’altra. Le differenti modalità di percepire e vivere l’essere ebreo – cioè la differenza
tra l’essere praticante come Wiesel e l’essere agnostico come Levi – e il grande distacco tra le
date di pubblicazione, tanto per nominarne due, esercitano senza dubbio un’influenza
considerevole sullo stile – del quale discuteremo nell’ultimo capitolo – e di conseguenza sulla
ricezione di Se questo è un uomo e di La nuit.
27
Questa citazione è tratta dal sito di Les Éditions de Minuit su cui viene spiegata brevemente la storia del libro
(http://www.leseditionsdeminuit.fr/f/printLivre.php?livre_id=2518). 28
Ibidem. 29
Cfr. nota 18.
10
II. IL GENERE E IL GRADO DI FINZIONALITÀ
II.1. Se questo è un uomo e La nuit alla luce della teoria di Lejeune
Al fine di determinare se l’opera di Levi e quella di Wiesel possano essere considerate delle
autobiografie – come generalmente si ritiene – occorre esaminarle entrambe alla luce della
teoria di Philippe Lejeune, che costituisce il punto di riferimento per ogni riflessione
sull’autobiografia. Il saggista francese è autore di numerosi articoli incentrati su questo
genere, tra cui Le pacte autobiographique. In questo fondamentale saggio, pubblicato nel
1975, Lejeune definisce l’autobiografia “tradizionale” nel seguente modo:
Récit rétrospectif en prose qu’une personne réelle fait de sa propre existence, lorsqu’elle met l’accent
sur sa vie individuelle, en particulier sur l’histoire de sa personnalité. 30
Tale definizione implica che un testo per essere considerato un’autobiografia debba soddisfare
tre condizioni. In primo luogo il testo deve presentarsi come una narrazione in prosa.
Secondariamente la vita di una persona e l’evoluzione della sua personalità deve costituire
l’argomento principale di tale testo. L’ultima condizione è che l’autore reale del testo coincida
sia con il narratore che con il personaggio principale31
. Il cosiddetto patto autobiografico
implica quindi che l’autore si impegna a raccontare direttamente la propria vita – o una parte
di essa – senza mentire. Vale a dire che il lettore di un’autobiografia si aspetta che l’autore di
essa racconti soltanto la verità.
Occorre a questo punto analizzare se Se questo è un uomo e La nuit rientrino nel genere
dell’autobiografia così come è stato definito da Lejeune. A prima vista le due opere – essendo
delle opere scritte in prosa nelle quali gli autori guardano indietro a una pagina della loro vita
– sembrano soddisfare le tre condizioni. Si noti tuttavia che la seconda condizione non è
soddisfatta, nel senso che in entrambe le opere memorialistiche la vita individuale del
personaggio non costituisce tanto l’argomento principale, quanto piuttosto un modo per far
vedere al pubblico un quadro più ampio. Lo scopo primario di Primo Levi e di Elie Wiesel
non è quello di raccontare le proprie esperienze nel campo di concentramento di Auschwitz,
ma quello di rappresentare le sofferenze di tutti i sommersi. Come afferma nella prefazione a
La nuit, Wiesel non testimonia per proprio interesse, ma per evitare che il proprio passato
30
LEJEUNE P., Le pacte autobiographique, Paris, Éditions du Seuil, 1975, p.14. 31
Si noti che in Le pacte autobiographique vengono menzionate quattro condizioni. Tuttavia – al fine di rendere
il nostro discorso il più chiaro possibile – abbiamo unito la terza e la quarta in una sola condizione.
11
diventi il futuro delle generazioni a venire32
. In altre parole, lo scrittore rumeno,
rappresentando gli orrori dell’Olocausto, vuole evitare che il passato si ripeta:
Pour le survivant qui se veut témoin, le problème reste simple : son devoir est de déposer pour les morts
autant que pour les vivant, et surtout pour les générations futures. Nous n’avons pas le droit de les
priver d’un passé qui appartient à la mémoire commune. L’oubli signifierait danger et insulte. Oublier
les morts serait les tuer une deuxième fois. Et si, les tueurs et leur complices exceptés, nul n’est
responsable de leur première mort, nous le sommes de la seconde. 33
Il fatto che anche Se questo è un uomo venga definito da Primo Levi stesso come “uno studio
pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”34
indica che nemmeno Levi vuole enfatizzare la
propria individualità. Mentre nell’autobiografia tradizionale il narratore emerge come
ricercatore di sé stesso, il narratore di Se questo è un uomo si rivela essere interessato
all’intera umanità.
In Se questo è un uomo e La nuit l’individualità del personaggio principale – cioè quella
dell’autore – non viene quindi sufficientemente posta in primo piano per soddisfare la seconda
condizione di Lejeune. Questa mancanza di enfasi sull’individualità autoriale va di pari passo
con il tema centrale di entrambi i libri: agli occhi dei nazisti i perseguitati non erano degli
individui ma piuttosto delle bestie. Quasi subito dopo il loro arrivo ad Auschwitz, gli
individui venivano derubati dalla loro identità e ridotti a numeri: Primo Levi veniva chiamato
Häftlinge 174 517 ed Elie Wiesel era conosciuto nel campo come A-7713. Barbara Foley –
parlando della memorialistica dell’Olocausto – sostiene altresì che non vi si trova
l’individualità autoriale che il lettore si aspetta di trovare leggendo un’autobiografia:
The Holocaust memoir effects a similar disruption of traditional generic expectations, though in quite
different ways. For we ordinarily approach the narration of a past phase in a person’s life with the
expectation that the writer will explore the specificity of his/her fate […] and achieve some sense of felt
resolution […]. But while such a pattern may apply to the shaping of experience that we encounter in
Rousseau, John Stuart Mill, or Henry Adams, it has little relevance to the experience of the great
majority of Holocaust memoirists. To begin with, a sense of distinct individuality is signally lacking in
most of these narratives. Wiesel asks, “Have you read, re-read, attentively read, the survivors’
testimonies? They seem to have been written by one man, always the same, repeating a thousand times
what you, the reader, even if you are his contemporary, will never understand.” 35
32
WIESEL E., La nuit, cit., p. 23. 33
Ibidem, p. 22-23. 34
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 9. 35
FOLEY B., Fact, Fiction, Fascism, in : “Comparative Literature”, vol.34, n.4, 1982, p. 337.
12
Invece di rappresentare un’indagine interiore che porta a una migliore comprensione di sé, Se
questo è un uomo e La nuit si presentano come delle cronache di un processo di
spersonalizzazione progressivo. Vale a dire che al contrario del “traditional autobiography
[that] aims at the elaboration of a unique individuality”36
le opere memorialistiche di Primo
Levi e di Elie Wiesel trattano dell’annientamento del sé.
Va inoltre notato che nel caso di Se questo è un uomo e di La nuit pure la terza condizione –
vale a dire che l’autore debba coincidere sia con il narratore che con il personaggio principale
– si presta a qualche considerazione critica. Discuteremo in primo luogo dell’opera
testimoniale di Elie Wiesel. A prima vista La nuit sembra soddisfare la condizione:
l’esperienza raccontata dal narratore coincide con quella vissuta dall’autore reale. Sembra
quindi che vi sia un’identità assoluta. Al lettore attento non sfugge però che il nome del
narratore – Eliezer Wiesel – differisce leggermente dal nome dell’autore che viene riportato
sulla copertina. Generalmente ci si aspetta che il nome inventato sia quello del narratore, ma
in questo caso è diverso. Il nome inventato è infatti quello dell’autore, poiché il nome di
nascita dell’autore rumeno è Eliezer Wiesel. Ed è esattamente quello che afferma Colin
Davis: “it is the narrator not the author of La Nuit who bears the proper name of the historical
protagonist”37
. Con questa non coincidenza dei nomi l’autore sembra indicare una possibile
distinzione tra la vittima dei campi di concentramento – ossia Eliezer – e sé stesso. Tuttavia
questa distinzione non significa necessariamente che La nuit non costituisca un’opera
autobiografica. In altre parole, questo non significa necessariamente che il narratore
quindicenne e l’autore – il quasi trentenne Elie Wiesel – non siano la medesima persona. Si
potrebbe per esempio ipotizzare che l’autore – utilizzando due nomi leggermente diversi –
voglia prendere distanza dalle cose terribili che gli sono accadute ad Auschwitz. In
quest’ottica l’autore sembra appunto voler dissociarsi psicologicamente dal proprio passato al
fine di non riviverne il trauma in modo così intenso38
. Ruth Franklin riassume questa ipotesi
in modo particolarmente bello: “Eliezer is Elie Wiesel, but he is also not Elie Wiesel”39
. Ciò
nonostante, la non coincidenza dei nomi viene spesso considerata un indicatore del carattere
finzionale della testimonianza. Molto si è detto sul grado di finzionalità di La nuit, ma su
questo argomento torneremo più in dettaglio nel capitolo II.2. A questo punto possiamo
36
FOLEY B., op.cit., p. 338. 37
DAVIS C., Elie Wiesel’s Secretive Texts, Florida, University Press of Florida, 1994, p. 63. 38
CARUTH C, Trauma : Explorations in Memory, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1995, p. 168. 39
FRANKLIN R., A Thousand Darknesses: Lies and Truth in Holocaust Fiction, Oxford, Oxford University
Press, 2010, p. 82.
13
comunque già concludere che sorgono forti dubbi a proposito dell’identità tra il narratore e
l’autore reale di La nuit.
Nel caso di Se questo è un uomo l’identità tra il narratore e l’autore reale risulta molto meno
problematica. Al contrario di La nuit, il nome riportato sulla copertina coincide con il nome
del narratore e quindi anche con quello del personaggio principale. Inoltre, non vi è alcun
dubbio che Primo Levi descrive delle vicende che gli sono realmente accadute. Se questo è un
uomo sembra quindi soddisfare la terza condizione posta da Philippe Lejeune. Si noti
comunque la peculiare figura del narratore40
. L’io assume infatti un doppio ruolo in Se questo
è un uomo. Esso svolge contemporaneamente il ruolo di oggetto – ossia l’io narrato – e quello
di soggetto – ossia l’io narrante – della narrazione. In altre parole, la figura del narratore si
scinde in due: da un lato vi è il Levi che si trova nel Lager e dall’altro vi è il Levi che ne
scrive dopo la liberazione del 27 gennaio 1945 da parte delle truppe russe. Nel seguente
estratto di Se questo è un uomo in cui viene descritta la prima selezione subito dopo l’arrivo
ad Auschwitz sono ben visibili i due ruoli dell’io o – nel presente caso – del noi:
In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che accadde degli
altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li
inghiottì, puramente e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di
ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no lavorare per il Reich. 41
In questo brano vediamo che la prospettiva narrativa si sposta da quella dell’io narrato a
quella dell’io narrante. Mentre le prime due frasi sono state scritte dal punto di vista del Levi
prigioniero nel Lager, l’ultima frase è stata scritta da quello del Levi scrittore. Abbiamo scelto
appunto questo brano poiché lo spostamento della prospettiva narrativa viene chiaramente
sottolineato dalle parole oggi però. È anche interessante notare che questo spostamento si
rispecchia nell’uso dei tempi verbali. Mentre l’io narrato usa il più delle volte dei tempi del
passato – o il presente storico – l’io narrante affida la narrazione al presente42
. Nel suo
articolo Cosmicomiche Stefano Bartezzaghi accenna anche alla distinzione tra le due voci
dell’io dicendo che la maggior invenzione di Primo Levi è “l’invenzione di sé stesso come
40
BALDASSO F., Il cerchio di gesso: Primo Levi narratore e testimone, Bologna, Edizioni Pendragon, 2007, p.
20-21. 41
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 17. 42
Per un’analisi approfondita dell’uso dei tempi del passato e del presente in Se questo è un uomo cfr. TRONCI
L., Presente (e passato) in Se questo è un uomo. Note introduttive, in: BUFFAGNI C, GARZELLI B e
VILLARINI A. (ed.), Idee di tempo: studi tra lingua, letteratura e didattica, Perugia, Guerra Edizioni, 2011, pp.
145-156.
14
centauro, metà narratore, metà narrato”43
. Secondo Stefano Bartezzaghi “l’io-personaggio di
Se questo è un uomo [...] è di fatto un’invenzione letteraria”44
. La parola invenzione usata
dallo scrittore italiano è forse un po’ troppo marcata visto che dà l’impressione che Levi abbia
inventato quello che scrive, ma pure su questo torneremo più in dettaglio.
Alla luce di quanto detto finora potremmo quindi concludere che il genere della memoria
dell’Olocausto si discosta dalle norme dell’autobiografia tradizionale stabilite da Philippe
Lejeune. L’opera memorialistica costituisce piuttosto “un genre voisin”45
. In altre parole, Se
questo è un uomo e La nuit sono sì delle autobiografie, ma con uno statuto molto particolare.
43
BARTEZZAGHI S., Cosmicomiche, in : BELPOLITI M., Primo Levi, “Riga”, n.13, Milano, Marcos y
Marcos, 1997, p. 288. 44
Ibidem, p. 288. 45
LEJEUNE P., Le pacte autobiographique, cit., p. 14.
15
II.2. La nuit di Elie Wiesel: memoria o autofiction?
Nella sezione precedente abbiamo stabilito che La nuit appartiene al genere autobiografico,
anche se non costituisce un’autobiografia nel senso tradizionale del termine. Tuttavia, la
discussione a proposito del genere a cui appartiene il libro non si ferma qui. Occorre in questo
momento stabilire se La nuit costituisca un romanzo autobiografico o una memoria. In altre
parole, cercheremo di stabilire se venga considerata un’opera di autofiction o di non-fiction.
Nella prefazione a Day – la traduzione inglese di Le jour – Elie Wiesel scrive che “a novel
about Auschwitz is not a novel – or else it is not about Auschwitz”46
. Vale a dire che agli
occhi dello scrittore rumeno la letteratura sull’Olocausto è una contradictio in terminis.
Inoltre, in All rivers run to the sea egli definisce il libro come una deposizione, cioè una
testimonianza scritta da una persona che è sotto giuramento47
. Ciò nondimeno, sono numerosi
gli studiosi che sono dell’opinione che La nuit sia, appunto, a novel about Auschwitz. Berel
Lang per esempio categorizza il libro come un romanzo sotto mentite spoglie di un’opera di
non-fiction48
. Il critico letterario e accademico statunitense Irving Howe ha un’opinione più
moderata rispetto a quella di Berel Lang, nel senso che descrive l’opera di Elie Wiesel come
“a slightly fictionalized record”49
. Esistono quindi dei forti dubbi circa l’aderenza ai fatti del
libro di Elie Wiesel. Ne consegue naturalmente che sono numerose le categorizzazioni di La
nuit. Nel suo libro Fantasies of Witnessing Gary Weissman – professore di inglese e di
letteratura comparata presso l’Università di Cincinnati – descrive questa molteplicità di
categorizzazioni dell’opera di Elie Wiesel come segue:
For example, Night has been described as a “novel/autobiography”, an “autobiographical novel”, a
“non-fictional novel”, a “semi-fictional memoir”, a “fictional-autobiographical memoir”, a
“fictionalized autobiographical memoir” and a “memoir-novel”. 50
Ma su cosa si basano coloro che mettono in dubbio l’autenticità di La nuit? In primo luogo vi
è la non coincidenza dei nomi, alla quale abbiamo già accennato, che viene intesa da alcuni
studiosi come una forma di finzionalizzazione. Certo, Eliezer e Elie si riferiscono alla
medesima persona storica. Tuttavia, visto che l’autore è rimasto in silenzio per un decennio,
46
WIESEL E., Day, New York, Hill and Wang, 2006, p. X. 47
WIESEL E., All Rivers Run to the Sea, New York, Schocken Books, 1995, p. 79. 48
LANG B., Act and Idea in the Nazi Genocide, Syracuse (New York), Syracuse University Press, 2003, p. 134. 49
HOWE I., Writing and the Holocaust, in: LANG B. (ed.), Writing and the Holocaust, New York, Holmes &
Meier, 1988, p. 184. 50
WEISSMAN G., Fantasies of witnessing. Postwar efforts to experience the Holocaust, Ithaca (New York),
Cornell University Press, 2004, p. 65.
16
molti dubitano se sia ancora in grado di ricordarsi tutto quello che gli è accaduto ad
Auschwitz in modo così dettagliato. Agli occhi di costoro, Eliezer è piuttosto “a semifictional
construct for the purposes of the memoir”51
. In quest’ottica – anche se entrambi i nomi
denotano il medesimo individuo – Eliezer Wiesel non è Elie Wiesel. A giudicare dal seguente
brano tratto da Le pacte autobiographique pure Philippe Lejeune definirebbe La nuit come un
romanzo autobiografico:
Dans le cas du nom fictif (c’est-à-dire différent de celui de l’auteur) donné à un personnage qui raconte
sa vie, il arrive que le lecteur ait des raisons de penser que l’histoire vécue par le personnage est
exactement celle de l’auteur […] Aurait-on toutes les raisons du monde de penser que l’histoire est
exactement la même, il n’en reste pas moins que le texte ainsi produit n’est pas une autobiographie […]
Ces textes entreraient donc dans la catégorie du « roman autobiographique ». 52
Tuttavia – come abbiamo già menzionato sopra – la non coincidenza dei nomi non significa
necessariamente che La nuit sia a tutti gli effetti un romanzo. Può anche darsi che l’autore
voglia allontanarsi da sé stesso e dal proprio passato utilizzando due nomi leggermente
diversi. Questo processo di dissociazione potrebbe essere spiegato attraverso la seguente
citazione, tratta dalla prefazione alla nuova edizione francese di La nuit: “il est interdit de se
taire, alors qu’il est difficile sinon impossible de parler”53
. La citazione descrive in modo
molto chiaro la situazione paradossale in cui si trovano Elie Wiesel e – per estensione – gli
altri sopravvissuti all’Olocausto: da un lato è vietato tacere, ma dall’altro risulta impossibile
esprimersi. Si potrebbe quindi ipotizzare che in un certo senso l’autore tenta di aggirare
questo paradosso, creando una leggera distanza tra se stesso e il personaggio Eliezer Wiesel.
Che il libro faccia parte di una trilogia insieme ad altri due romanzi – L’aube e Le jour –
costituisce un altro possibile indicatore del suo carattere finzionale. Benché sia scritto nero su
bianco, sulla copertina della versione più recente della trilogia, che essa consiste di una
memoria e di due romanzi, molti studiosi rimangono incerti sul grado di realtà del libro54
.
Vale a dire che molto spesso la trilogia di Wiesel viene descritta non tanto come un insieme
composto di una memoria e di due romanzi, quanto piuttosto come un insieme di tre romanzi.
51
FRANKLIN R., op. cit., p. 82. 52
LEJEUNE P, Le pacte autobiographique, cit., p. 24-25. 53
WIESEL E., La nuit, cit., p. 13. 54
Sulla copertina della trilogia è scritta la seguente frase: “The Night-trilogy. Consisting of a memoir, translated
by Marion Wiesel, and two novels” cfr. WIESEL E, The Night Trilogy, New York, Hill & Wang, 2008.
17
Tra coloro che mettono in discussione la non-finzionalità di La nuit vengono anche spesso
citate le differenze tra le diverse versioni del libro. Grosso modo si possono distinguere
quattro versioni: quelle del 1958 e del 2007 scritte in francese e quelle del 1960 e del 2006
scritte in inglese. Dall’esame delle prime tre versioni si vede che quelle scritte in inglese non
costituiscono delle semplici traduzioni della versione originale del 1958, ma che presentano
delle piccole differenze rispetto a essa. È peraltro molto interessante notare che la versione più
recente del libro di Elie Wiesel – quella pubblicata nel 2007 – è stata fortemente influenzata
dai libri anglofoni del 1960 e del 2006. Si potrebbe in un certo senso sostenere che la versione
del 2007 costituisca una ritraduzione dall’inglese al francese. Mentre la versione
novecentesca di Night veniva considerata la traduzione del testo sorgente francese, ora si sono
invertiti i ruoli, vale a dire che a differenza della versione francese originale, quella del 2007
viene considerata il testo di arrivo delle precedenti. Nella sua tesi di dottorato la britannica
Zoë Clare Janine Jeffra-Adams descrive questo fenomeno come “a major shift in the source-
target text relationship”55
.
Ma quali sono allora le varianti tra le diverse versioni dell’opera autobiografica di Wiesel?
Per ragioni di chiarezza le abbiamo suddivise in due grandi categorie ben distinte, di cui la
prima è quella degli aggiustamenti che riguardano l’ortografia e la punteggiatura. È ovvio che
questa categoria non è di grande importanza per il discorso che stiamo facendo, visto che essa
contiene soprattutto adattamenti necessari per la correttezza del testo. Non si tratta quindi di
varianti contenutistiche. Nella tabella sottostante sono riportati alcuni esempi di varianti
linguistiche56
:
La nuit (1958) Night (1960) Night (2006) La nuit (2007)
nos père p. 106 our fathers p. 64 our fathers p. 67 nos pères p. 128
l’Eternel p. 106 Eternal p. 64 Almighty p. 68 l’Éternel p. 129
entr’acte p. 97 Interlude p. 58 intermission p. 61 entracte p. 119
grand’chose p. 115 Much p. 70 much p. 74 grand-chose p. 138
Fascistes p. 20 Fascists p. 7 Fascists p. 9 fascistes p. 40
les Nazis p. 148 the Nazis p. 91 the Germans p. 96 les nazis p. 171
Kommando p. 60 Unit p. 32 Kommando p. 35 kommando p. 80
juifs p. 122 Jews p. 74 Jews p. 78 Juifs p. 145
normale p. 24 Normal p. 9 “normal” p. 11 “normale” p. 44
bien vêtus p. 77 well-clad p. 45 “well dressed” p. 47 “bien vêtus” p. 98
55
JEFFRA-ADAMS Z.C.J., The translation of French Language Holocaust Writing: A Case Study of Elie
Wiesel’s La nuit, Exeter, University of Exeter, 2014, p. 251. 56
Per una panoramica più completa delle differenze tra le quattro versioni di La nuit cfr. JEFFRA-ADAMS
Z.C.J., op. cit., p. 237-251.
18
Le varianti più significative instauratesi nella versione del 2007 sono tuttavia quelle che
rientrano nella seconda categoria, cioè quella degli interventi contenutistici. A titolo di
esempio riportiamo qui sotto qualche caso:
La nuit (1958) Night (1960) Night (2006) La nuit (2007) une belle
journée de mai p. 67 a beautiful
April day p. 37 a beautiful day
in May p. 40 une belle
journée de mai p. 88
deux jours
après
l’évacuation
p. 128 two days after
the evacuation p. 78 two days after
the evacuation p. 82 neuf jours
après
l’évacuation
p. 151
les ouvriers
allemands p. 135 the German
workmen p. 95 The worker p. 100 les ouvriers
allemands p. 177
pas encore
quinze ans p. 52 I’m not quite
fifteen yet p. 28 fifteen p. 30 quinze ans p. 72
J’avais quinze
ans p. 155 I was fifteen
years old p. 96 I was sixteen p. 102 J’avais seize
ans p. 179
Come si può vedere dalla tabella soprastante le varianti contenutistiche hanno molto spesso a
che fare con l’indicazione del tempo. Il caso più eclatante è l’alterazione della durata del
periodo tra l’evacuazione del campo e il momento in cui gli ospedalizzati vengono liberati dei
russi: mentre nelle versioni del 1958, del 1960 e del 2006 questo periodo dura soltanto due
giorni, nella versione del 2007 il periodo viene prolungato di un’intera settimana. Colpisce
anche il fatto che l’età di Eliezer varia a seconda la versione del libro. Agli occhi di Jeffra-
Adams “making factual alterations during the translation process is an extreme strategy”57
.
Vale a dire che l’azione di modificare certi fatti suggerisce che le informazioni contenute nel
testo di partenza e – per estensione – nelle altre versioni precedenti siano considerate errate.
Di conseguenza il lettore mette in dubbio la credibilità del libro in quanto testimonianza,
anche se queste piccole differenze non influiscono né sul significato della testimonianza né
sulla gravità di ciò che Elie Wiesel ha vissuto ad Auschwitz58
.
Nel 1994 Elie Wiesel pubblica una lunga collezione di memorie intitolata All rivers run to the
sea – ossia Tous les fleuves vont à la mer – di cui il secondo e il terzo capitolo coprono
all’incirca il medesimo periodo che copre La nuit. All’interno del secondo capitolo Wiesel
afferma che: “my intent here is not to repeat what I recounted in Night but to review that
testimony as I see it now”59
. L’autore dice quindi esplicitamente che All rivers run to the sea
– pubblicato trentasei anni dopo la versione originale di La nuit – costituisce una sorta di
revisione di essa. Come vedremo dai tre esempi dei quali discuteremo brevemente qui sotto,
vi sono alcune discrepanze tra queste due opere dello scrittore rumeno che portano alcuni
57
JEFFRA-ADAMS Z.C.J., op. cit., p. 242. 58
Ibidem, p. 250-251. 59
WIESEL E., All Rivers Run to the Sea, cit., p. 79.
19
studiosi ad affermare che La nuit sia un romanzo invece che una memoria vera e propria. La
differenza più significativa riguarda la parte del corpo alla quale Eliezer aveva bisogno di un
intervento chirurgico. Mentre ne La nuit l’autore scrive che il piede destro era molto gonfio,
trentasei anni dopo – in All rivers run to the sea – afferma che si è fatto male al ginocchio:
Vers le milieu de janvier, mon pied droit se mit à enfler, à cause du froid. Je ne pouvais plus la poser à
terre. J’allai à la visite. Le médecin, un grand médecin juif, un détenu comme nous, fut catégorique : - il
faut l’opérer ! Si nous attendons, il faudra amputer les doigt du pied et peut-être la jambe. 60
January 1945. Every January carries me back to that one. I was sick. My knee was swollen, and the
pain turned my gait into a limp. […] It was hard to walk dragging a body dazed with pain, and
impossible to report to the commando given the fever that racked and deadened me. 61
L’autore suggerisce allora che quello che ha scritto a proposito della ferita ne La nuit sia
sbagliato? E in caso affermativo, che cosa ci garantisce che quello che afferma in All rivers
run to the sea sia la verità? Tuttavia questa discrepanza significativa tra le due opere di
Wiesel potrebbe anche essere spiegata dal cosiddetto processo di dissociazione. Si potrebbe
quindi ipotizzare che in un primo momento l’autore abbia voluto prendere distanza dal trauma
– dicendo che si era fatto male al piede invece che al ginocchio – e che trentasei anni dopo si
senta pronto a dire la verità. Il passaggio in cui viene descritta la morte di Schlomo costituisce
un altro esempio. Ne La nuit viene descritto come la morte del padre susciti nella mente
dell’autore un sentimento di libertà, anche se egli non vuole provare questo sentimento:
Je ne pleurais pas, et cela me faisait mal de ne pas pouvoir pleurer. Mais je n’avais plus de larmes. Et,
au fond de moi-même, si j’avais fouillé les profondeurs de ma conscience débile, j’aurais peut-être
trouvé quelque chose comme : enfin libre! 62
In All rivers run to the sea Elie Wiesel parla anche di una certa libertà. Tuttavia – come
afferma Colin Davis – il significato di questo sentimento di libertà è radicalmente diverso da
quello provato da Eliezer ne La nuit, nel senso che esso si rivela molto più pessimistico63
:
I was sixteen years old when my father died. My father was dead and the pain was gone. I no longer felt
anything. Someone had died inside me, and that someone was me. I couldn’t cry. My heart was broken
[…] With my father dead, I felt curiously free; free to go under, to let myself drift into death. 64
60
WIESEL E., La nuit, cit., p. 144. 61
WIESEL E., All Rivers Run to the Sea, cit., p. 89. 62
WIESEL E., La nuit, cit. p. 195. 63
DAVIS C., Reviewing Memory: Wiesel, Testimony and Self-reading, in PEITSCH H. e.a., European Memories
of the Second World War, New York, Berghahn Books, 2005, p. 127 64
WIESEL E., All Rivers Run to the Sea, cit., p. 94.
20
Dalla summenzionata citazione emerge che Eliezer si sente liberato grazie al fatto che suo
padre non dovrà mai vederlo morire. Sapendo che suo padre è già morto, l’idea di morire
diventa in un certo senso meno spaventosa per lui. Tutto ciò al contrario di La nuit, in cui la
morte di Shlomo significa infatti la liberazione di un peso che minacciava le possibilità di
sopravvivenza del giovane Eliezer. L’ultimo esempio che riportiamo è quello della durata
della degenza di Eliezer dopo la liberazione da parte delle truppe russe. Mentre ne La nuit
l’autore dichiara di aver trascorso due settimane in ospedale a causa di un avvelenamento, in
All rivers run to the sea egli riduce questo periodo ad alcuni giorni:
Je fus transféré à l’hôpital et passai deux semaines entre la vie et la mort. 65
I spent several days in the hospital (the former SS hospital) in a semiconscious state. 66
Agli occhi di coloro che non credono che le vicende raccontate ne La nuit siano realmente
accadute all’autore Elie Wiesel, tutte queste discrepanze costituiscono un motivo sufficiente
per classificare il libro come un’opera di finzione. Tuttavia sono anche molto numerosi gli
studiosi che avanzano delle contro-argomentazioni plausibili, ad esempio quella della
dissociazione. Anche Ruth Franklin ritiene che le discrepanze non costituiscano un motivo
sufficiente e afferma che “the only real challenge to the credibility of Night as a memoir – and
I am discounting the revisionists who have leaped like hyenas on each perceived discrepancy
– was brought by Alfred Kazin”67
. Ma in cosa consiste la critica di Kazin? In effetti essa si
inserisce nel dibattito in merito alla non coincidenza dei nomi. Nel suo saggio My debt to Elie
Wiesel and Primo Levi Kazin mette in dubbio l’autenticità della scena nella quale il
personaggio Eliezer reagisce con costernazione all’impiccagione di un giovane ebreo68
. In più
di un’intervista l’autore rumeno insiste sul fatto che la sua crisi di fede abbia avuto luogo non
durante, ma dopo il suo periodo ad Auschwitz. Questo porta Alfred Kazin a pensare che la
seguente reazione del prigioniero Eliezer sia in effetti quella dell’autore: “Où donc est Dieu?
[...] Où il est? Le voici – il est pendu ici”69
. Vale a dire che agli occhi di Kazin questa
reazione blasfema è provata dall’autore soltanto dopo la liberazione, e che l’ha quindi
sovrapposta a una scena basata su eventi reali. In All Rivers Run to the Sea Wiesel risponde a
65
WIESEL E., La nuit, cit., p. 199. 66
WIESEL E., All Rivers Run to the Sea, cit., p. 97. 67
FRANKLIN R., op. cit., p. 80. 68
KAZIN A., My debt to Elie Wiesel and Primo Levi, in: ROSENBERG D. (ed.), Testimony: Contemporary
Writers Make The Holocaust Personal, New York, Random House, 1989, pp. 115-128. 69
WIESEL E., La nuit, cit., p. 125.
21
questa critica in modo particolarmente risentito: “How dare he? [...] Of all the vile things this
bitter man who has aged so badly has written in his life, this is the most intolerable”70
.
Alla luce di quanto detto finora potremmo concludere che il dibattito sulla finzionalità del
libro è ancora irrisolto e che probabilmente resterà tale. Non possiamo quindi affermare con
assoluta certezza se La nuit costituisca un romanzo autobiografico oppure una memoria. Va
inoltre notato che alcuni studiosi hanno cercato di classificare il libro in modo diverso, vale a
dire evitando di fare delle dichiarazioni sull’autenticità di esso. Irving Abrahamson, ad
esempio, descrive La nuit come “an unprecedented book, the beginning of something new in
literature”71
. Questa opinione viene condivisa da alcuni altri studiosi, tra cui Ellen Fine. La
studiosa statunitense sostiene che “a thin, almost undistinguishable line exists between
testimony and fiction”72
e che è proprio questa tensione tra fiction e non-fiction che rende
l’opera dello scrittore rumeno eccezionale:
The work defies all categories. It has been describes as personal memoir, autobiographical narrative,
fictionalized autobiography, nonfictional novel, and human document. Essentially it is témoignage, a
first-hand account of the concentration camp experience, succinctly related by the fifteen-year-old
narrator, Eliezer. […] However, Night is more than a témoignage. 73
Siamo in gran parte d’accordo con quello che dicono Abrahamson e Fine, nel senso che anche
a nostro avviso è quasi impossibile stabilire se La nuit rappresenti la verità storica o la
modifichi. Per di più, riteniamo che ciò che importa non sia tanto la verità storica, quanto
piuttosto l’autenticità ossia la veridicità del discorso. A tal riguardo è interessante citare
Charlotte Delbo, una scrittrice francese che – esattamente come Primo Levi ed Elie Wiesel – è
sopravvissuta all’internamento nel campo di concentramento di Auschwitz. Prima ancora del
capitolo iniziale del suo libro Aucun de nous ne reviendra è inserita la seguente citazione:
“Aujourd’hui, je ne suis pas sûre que ce que j’ai écrit soit vrai. Je suis sûre que c’est
véridique”74
. Vale a dire che non ha senso voler stabilire se La nuit – o qualsiasi altra opera
testimoniale – è un’opera di fiction o di non-fiction visto che il nucleo del libro non è tanto la
verità storica, ma piuttosto il modo in cui essa viene percepita dall’individuo. Si tratta quindi
di una verità personale. Questo coincide in gran parte con quello che dice James Edward
70
WIESEL E., All Rivers Run to the Sea, cit., p. 336. 71
ABRAHAMSON I., Introductory essay, in: WIESEL E., Against silence, vol.1, New York, Holocaust Library,
1985, p. 46. 72
FINE E.S., The Surviving Voice, in: BRAHAM R.L. (ed.), Perspectives on the Holocaust, Dordrecht,
Springer-Science+Business Media, 2013, p. 106. 73
FINE E.S., Legacy of Night: The Literary Universe of Elie Wiesel, New York, State University of New York
Press, 1982, p. 10. 74
DELBO C., Aucun de nous ne reviendra, Paris, Les Éditions de Minuit, 1970, p. 7.
22
Young nel suo saggio intitolato Interpreting Literary Testimony: “Whatever fictions emerge
in the survivors’ account are not deviations from the truth, but are part of the truth in any
particular version”75
.
75
YOUNG J.E., Interpreting Literary Testimony: A Preface to Rereading Holocaust Diaries and Memoirs, in:
“New Literary History, vol.18, n.2, 1987, p. 408
23
II.3. Se questo è un uomo di Primo Levi: memoria o autofiction?
Nel caso di Se questo è un uomo vi è molta meno controversia. Al contrario del libro di Elie
Wiesel, quello di Levi fornisce pochi motivi per dubitare della sua autenticità nel racconto dei
fatti: esso non presenta delle discrepanze – né con altre versioni né con altri libri usciti dalla
penna di Primo Levi – e vi è coincidenza esatta dei nomi. Per di più, Primo Levi conclude la
prefazione del suo libro assicurando il lettore che “nessuno dei fatti è inventato”76
. Con queste
parole l’autore stabilisce un patto con il lettore: il cosiddetto pacte autobiographique che è
stato teorizzato da Philippe Lejeune. Vale a dire che – a causa di ciò che scrive l’autore nella
prefazione al libro – la maggior parte dei lettori crede ciecamente che in Se questo è un uomo
venga descritta “la verità e niente altro che la verità”. Ma è vero quello che dice l’autore nella
sua prefazione?
I sommersi e i salvati – l’ultimo libro di Primo Levi pubblicato nel 1986 ossia trentanove anni
dopo Se questo è un uomo – risulta particolarmente interessante per poter rispondere a questa
domanda. Anche se questo libro tratta del periodo nel Lager, esso si distingue da Se questo è
un uomo poiché vi predominano più le riflessioni sui racconti che i racconti stessi. Dal
capitolo iniziale intitolato La memoria dell’offesa emerge che Levi è ben cosciente del
rapporto problematico tra la memoria umana e la verità storica. Agli occhi di Levi “la
memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace” e “i ricordi che giacciono in noi
non sono incisi sulla pietra”77
. In questo capitolo Levi richiama quindi alla cautela,
argomentando che la memoria – innanzitutto quella di un evento traumatico – è soggetta non
solo all’usura del tempo ma anche a diversi meccanismi psicologici che la falsificano. La
memoria può, ad esempio, essere alterata dall’interferenza da parte di altri ricordi concorrenti.
La rimozione ossia la dissociazione – di cui abbiamo già parlato – costituisce un esempio di
possibile meccanismo psicologico. Leggiamo il seguente brano de I sommersi e i salvati:
È stato notato che, ad esempio, che molti reduci da guerre o da altre esperienze complesse e
traumatiche tendono a filtrare inconsapevolmente i loro ricordi: rievocandoli fra loro, o raccontandoli
a terzi, preferiscono soffermarsi sulle tregue, sui momenti di respiro, sugli intermezzi grotteschi o strani
o distesi, e sorvolare sugli episodi più dolorosi. Questi ultimi non vengono richiamati volentieri dal
serbatoio della memoria, e perciò tendono ad annebbiarsi con il tempo, a perdere i loro contorni. 78
76
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p 10. 77
LEVI P., I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 2007, p. 13. 78
Ibidem, p. 21.
24
La memoria si rivela quindi una fonte sospetta. A questo punto ci si potrebbe chiedere se
Primo Levi fosse già cosciente dell’inaffidabilità della memoria al momento della stesura di
Se questo è un uomo. La risposta sarebbe affermativa. Questo viene evidenziato dalla
seguente frase tratta dal decimo capitolo intitolato L’esame di chimica: “Oggi, questo vero
oggi in cui io sto seduto a un tavolo e scrivo, io stesso non sono convinto che queste cose
sono realmente accadute”79
. Per di più, nel sesto capitolo de I sommersi e i salvati Primo Levi
dichiara che Il canto di Ulisse costituisce uno dei pochi passaggi di cui ha potuto controllare
l’autenticità, visto che ha potuto parlarne con il suo interlocutore di allora anni dopo la
liberazione. Ciò implica che risulta quasi impossibile verificare l’autenticità della maggior
parte degli altri capitoli di Se questo è un uomo. Più di una volta – sia in Se questo è un uomo
che in I sommersi e i salvati – Levi sostiene esplicitamente che anche la sua memoria è stata
indubbiamente alterata. Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati e tutti i suoi altri libri sul
Lager sono quindi basati su questa fonte “sospetta”: la memoria personale. Secondo Marco
Belpoliti questo è “un esempio di onestà intellettuale davvero unico tra i memorialisti e gli
scrittori del passato”80
. Al contrario di Elie Wiesel – che caratterizza il proprio libro come una
deposizione – e di molti altri memorialisti, Primo Levi non afferma che le cose narrate nel suo
libro siano interamente conformi alla realtà storica. In altre parole, Levi non pretende che la
sua registrazione mnemonica dei fatti sia ineccepibile.
Torniamo allora alla domanda che ci siamo posti prima. È vero quello che dice Primo Levi
nella prefazione? È vero che non ha inventato nulla? Alla luce di quanto detto sopra siamo
inclini a dire che l’autore possa aver mentito. Tuttavia, nella prefazione dice soltanto che
“nessuno dei fatti è inventato”81
. Certo, non tutti i fatti narrati rappresentano la verità storica.
Ma l’autore li ha inventati? Sembra di no. Primo Levi ha semplicemente fatto del proprio
meglio per ricordarsi la verità storica, essendo ben cosciente del fatto che essa sia stata
indubbiamente alterata nella sua mente col passare del tempo. Potremmo quindi concludere
che nessuno dei fatti sembra inventato, ma che questo non vuole dire che essi siano autentici.
Ne consegue che il patto autobiografico con il lettore non viene rotto, nel senso che l’autore
rapporta la verità “telle qu’elle lui apparaît” con “les inévitables [...] déformations”82
.
79
LEVI P., Se questo è un uomo, p. 93. 80
BELPOLITI M., op. cit., p. 568. 81
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 10. 82
LEJEUNE P., op. cit., p. 36.
25
Come afferma Walter Barberis nella postfazione al libro di Primo Levi “il racconto del
testimone si risolve in una mezza verità”83
. Se questo è un uomo presenta quindi –
esattamente come La nuit e la maggior parte delle memorie – una verità personale. Perciò
viene anch’esso considerato una memoria piuttosto che un romanzo. Va comunque notato che
generalmente Se questo è un uomo viene considerato più affidabile di La nuit. A questo
proposito è molto interessante parlare di un saggio pubblicato in una raccolta intitolata
Testimony: Contemporary Writers Make the Holocaust Personal, nella quale alcuni studiosi
statunitensi scrivono dell’impatto dell’Olocausto sulle loro vite. Per Alfred Kazin – al quale
abbiamo già accennato – questo significa scrivere su Elie Wiesel e su Primo Levi poiché è
attraverso la testimonianza di questi due superstiti che egli è stato in grado di identificarsi con
le vittime dell’Olocausto. Nel suo saggio My debt to Elie Wiesel and Primo Levi Alfred Kazin
descrive come ha stretto amicizia con Elie Wiesel nel 1960 e come – dopo averlo ammirato
per qualche tempo – veniva sempre meno incantato da lui. In un primo momento Kazin
considerava Elie Wiesel come la personificazione della memoria dell’Olocausto, e perciò egli
definiva La nuit come un libro che spicca fra le altre opere memorialistiche. Tuttavia, col
passare del tempo, lo studioso statunitense cambia radicalmente idea:
If I once related to the Holocaust through Elie Wiesel, I have learned over the years that Primo Levi is
a far more trustworthy witness and indeed, as Italian literary opinion has come to admit, one of the two
greatest (with Italo Calvino) postwar writers Italy has produced. 84
Nel corso del tempo Kazin si è quindi allontanato dal suo amico Elie Wiesel. Ma perché? Lo
studioso statunitense sospettava sempre di più che il suo amico avesse finzionalizzato certi
aspetti della sua testimonianza. Mette quindi in dubbio alcune scene di La nuit, non ultima
quella con l’impiccagione del ragazzo tredicenne della quale abbiamo già discusso in
precedenza: “The more I learned about him, the more I pursued the vast literature about
Auschwitz, the less surprised I would have been to learn that the scene of the boy struggling
on the rope had never happened”85
. Con queste parole Kazin suggerisce che Elie Wiesel abbia
inventato questa scena. Da tutto questo consegue che, a partira da un determinato momento,
Elie Wiesel non viene più considerato da Alfred Kazin come il testimone per atonomasia
dell’Olocausto. Egli ha quindi dovuto sostituire lo scrittore rumeno con un altro superstite
dell’Olocausto. La scelta di Primo Levi non risulta molto sorprendente, visto che negli Stati
Uniti le testimonianze di Elie Wiesel e di Primo Levi venivano lette in misura molto maggiore
83
LEVI P., I sommersi e i salvati, cit. p. 179. 84
KAZIN A., op. cit., p. 123. 85
KAZIN A., op. cit., p. 123.
26
rispetto a tutte le altre opere memorialistiche. Agli occhi di Kazin lo scrittore di Se questo è
un uomo si rivela quindi più affidabile di Elie Wiesel. Primo Levi viene definito “an old-
fashioned rationalist” che possiede “an intelligence [...] of the kind that still stares life in the
face even in those moments of extreme emotion that crush the heart”86
. Come è già stato detto
questa opinione viene condivisa da molti altri studiosi, tra cui il teologo Richard L.
Rubenstein. Esattamente come Alfred Kazin egli si immedesima in un primo momento nel
personaggio principale di La nuit. Tuttavia pure Rubenstein “found himself drawn closer to
Primo Levi than to Elie Wiesel”87
visto che l’opera dello scrittore italiano non è stata
influenzata dalla sua fede. Per questo motivo Se questo è un uomo viene molto spesso
considerato come un’opera più oggettiva rispetto a quella di Elie Wiesel.
86
Ibidem, pp. 123, 126-127. 87
RUBENSTEIN R.L., Primo Levi and Elie Wiesel, in: PACY J.S. & WERTHEIMER A.P. (ed.), Perspectives
on the Holocaust: Essays in Honor of Raul Hilberg, Boulder, Westview Press, 1995, p. 151.
27
II.4. Conclusioni intermedie sulla questione del genere
Alla luce di quanto detto finora potremmo concludere che entrambe le opere memorialistiche
– sia quella di Levi che quella di Wiesel – contengono dei fatti non accertabili e degli
elementi finzionali. Si noti comunque che molti studiosi attribuiscono il fatto alla presa di
distanza degli autori nei confronti delle atrocità che sono accadute davanti ai loro occhi nel
campo di concentramento. Benché Se questo è un uomo e La nuit non rispecchino la verità
storica in modo perfetto e in modo completamente oggettivo, il patto autobiografico non viene
rotto. Vale a dire che entrambi gli autori raccontano la verità “telle qu’elle leur apparaît”88
. Il
valore di Se questo è un uomo e di La nuit non risiede tanto nell’accuratezza storica, ma
piuttosto nel rappresentare le atrocità attraverso gli occhi di una vittima:
What ultimately matters in all processes of witnessing… is not the information, the establishment of
facts, but the experience itself of living through testimony, of giving testimony. 89
La summenzionata citazione – tratta dal libro Testimony di Shoshana Felman e Dori Laub –
sintetizza in modo molto chiaro il discorso che abbiamo appena sviluppato. Anche se alcuni
dei fatti narrati in Se questo è un uomo e ne La nuit sono finzionali o non accertabili, entrambe
le opere memorialistiche dovrebbero essere lette come delle opere di non-fiction poiché
rappresentano delle verità personali. Va comunque notato che le testimonianze dei superstiti
dell’Olocausto costituiscono delle opere di non-fiction con uno statuto molto particolare. Di
conseguenza molti studiosi ritengono necessario considerarle come un genere a sé stante. Un
genere che si colloca nello spazio intermedio tra fiction e non-fiction con una forte tendenza
verso quest’ultima. Pure lo scrittore rumeno Elie Wiesel è dell’opinione che nel secondo
dopoguerra sia nato un nuovo genere letterario: “If the Greeks invented tragedy, the Romans
the epistle, and the Renaissance the sonnet, our generation invented a new literature, that of
testimony”90
. In quest’ottica, le testimonianze dell’Olocausto – tra cui Se questo è un uomo e
La nuit – potrebbero per esempio essere raggruppate sotto il titolo di letteratura testimoniale,
di letteratura dell’Olocausto o di letteratura concentrazionaria91
.
88
LEJEUNE P., op. cit., p. 36. 89
FELMAN S. & LAUB D., Testimony: Crises of Witnessing in Literature, Psychoanalysis, and History, New
York, Routledge, 1991, p. 85. 90
WIESEL E., The Holocaust as Literary Inspiration, in: WIESEL E & LEFKOVITZ E., Dimensions of the
Holocaust, Evanston, Northwestern University Press, 1990, p. 9. 91
SELLAM S., L’écriture concentrationnaire ou la poétique de la résistance, Paris, Éditions Pulibook, 2008, p.
71.
28
III. LA LETTERATURA DOPO AUSCHWITZ
Visto che risulta molto difficile classificare le testimonianze dei superstiti dell’Olocausto, ci è
sembrato utile considerarle come un genere a sé stante. Alla fine del paragrafo precedente
abbiamo fornito tre possibili denominazioni di questo genere: letteratura testimoniale,
letteratura dell’Olocausto e letteratura concentrazionaria. Non è un caso che in tutte e tre le
denominazioni figuri la parola “letteratura”. Oltre a essere dei libri di grande interesse
documentario, Se questo è un uomo e La nuit vengono considerati dalla grande maggioranza
degli studiosi come delle opere d’arte.
Tuttavia alcuni studiosi – seppur pochi – ritengono che la letteratura concentrazionaria sia una
contradictio in terminis. Ricordiamo a questo proposito le parole più o meno sorprendenti
dello stesso autore di La nuit: “a novel about Auschwitz is not a novel – or else it is not about
Auschwitz”92
. Questa affermazione di Wiesel fa pensare a ciò che sostiene il filosofo tedesco
Theodor Adorno nel suo libro Kulturkritik un Gesellschaft: “nach Auschwitz ein Gedicht zu
schreiben ist barbarisch”93
. Vale a dire che agli occhi di Theodor Adorno l’atto di scrivere una
poesia – e per estensione un intero libro – sull’esperienza dell’Olocausto è immorale. Questa
opinione viene tra l’altro condivisa da Reinhard Baumgart e Michael Wyschogrod.
Quest’ultimo parla dell’arte che rappresenta l’esperienza dell’Olocausto nel seguente modo:
I firmly believe that art is not appropriate to the Holocaust. Art takes the sting out of suffering… It is
therefore forbidden to make fiction of the Holocaust… Any attempt to transform the Holocaust into art
demeans the Holocaust and must result in poor art. 94
È un dato assodato che nessuna forma di rappresentazione sia adeguata per trasmettere le
atrocità e l’estremo dolore vissuti dai superstiti nei campi di concentramento. La domanda che
si pone allora è questa: è eticamente – o moralmente – corretto tentare di rappresentare
artisticamente questa pagina nera della storia europea? In altri termini, è davvero immorale
tentare di dire l’indicibile? La risposta di Adorno, di Baumgart e di Wyschogrod la
conosciamo già. Va comunque notato che Theodor Adorno – nel suo celebre libro
Ästhetischen Theorie – ha chiarito che la sua affermazione non era intesa come una condanno
per gli artisti che affrontano il tema dell’Olocausto. In altri termini, il filosofo tedesco sembra
quindi anche aver riconosciuto che la rappresentazione letteraria degli orrori dell’Olocausto
92
WIESEL E., Day, New York, Hill and Wang, 2006, p. X. 93
ADORNO T., Kulturkritik und Gesellschaft, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1977, p. 30. 94
WYSCHOGROD M., Some Theological Reflections on the Holocaust, in “Response”, vol.9, n.1, 1975, p. 68.
29
risulta molto importante per evitare che il passato si ripeta. In un certo senso l’Olocausto “also
demands the continued existence of the art it forbids”95
. In quest’ottica, la letteratura svolge il
ruolo di “geschichtliche Sprecher unterdrückter Natur”96
ossia di portavoce degli oppressi.
Rappresentando le atrocità facciamo sì che le generazioni future non si dimentichino
dell’Olocausto. E pure Elie Wiesel – dopo essere rimasto in silenzio per dieci lunghi anni – si
rende conto della neccessità di testimoniare: anche se non si potrebbe mai rappresentare in
modo corretto il dolore estremo vissuto dai superstiti, è vietato tacere97
. La risposta alla
domanda che ci siamo posti inizialmente sarebbe quindi la seguente: generalmente si ritiene
che non sia immorale tentare di dire l’indicibile, semplicemente perché dimenticare i morti
equivarrebbe a ucciderli una seconda volta. Nel suo libro A Double Dying il statunitense
Alvin Rosenfeld sintetizza questa situazione paradossale in modo molto conciso:
If it is a blasphemy, then, to attempt to write about the Holocaust, and an injustice against the victims,
how much greater the injustice and more terrible the blasphemy to remain silent. 98
Come è già stato menzionato, il genere della letteratura concentrazionaria si trova nello spazio
intermedio tra fiction e non-fiction con una forte tendenza verso quest’ultima. Questo significa
che le testimonianze dell’Olocausto contengono sempre un certo grado di finzionalità, seppur
basso. È molto importante notare che il carattere finzionale di Se questo è un uomo e di La
nuit non si manifesta soltanto sul piano del contenuto, ma si manifesta pure nel modo in cui i
fatti vengono rappresentati dall’autore. Ed è proprio per questo che le testimonianze di Primo
Levi e di Elie Wiesel vengono considerate delle opere d’arte. La studiosa statunitense Ruth
Franklin scrive nel suo libro A Thousand Darknesses che gli scrittori di memorie devono
servirsi di immaginazione letteraria e di figure retoriche al fine di raggiungere un pubblico più
vasto. Se le opere testimoniali come quelle di Primo Levi e di Elie Wiesel non fossero dotate
di una certa qualità retorica e letteraria, si presenterebbero come meri elenchi di fatti:
Wiesel recognizes the memoirist’s dual obligation – to the truth, certainly, but also to tell his story […]
in the most interesting, most memorable, most meaningful way possible. Like the translator who
occasionally veers from the phrasing of an individual line for the sake of the work as a whole, the
memoirist too must be at liberty to shape the raw materials into a work of art. 99
95
ADORNO T., Can One Live After Auschwitz? A Philosophical Reader, Stanford, Stanford University Press,
2003, p. 252. 96
ADORNO T., Ästhetische Theorie, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1973, p. 365. 97
WIESEL E., La nuit, cit., p. 13. 98
ROSENFELD A., A Double Dying, Bloomington, Indiana University Press, 1980, p. 14. 99
FRANKLIN R., op. cit., pp. 77-78.
30
Agli occhi di Franklin il memorialista – esattamente come il traduttore o l’interprete – deve
avere la libertà di trasformare l’insieme dei fatti in un’opera d’arte. Visto che “les faits ne
parlent pas d’eux-mêmes”100
gli scrittori devono lavorare sul testo e tentare di dargli una
dimensione letteraria ed estetica. Di conseguenza la studiosa statunitense ritiene che sia molto
ingenuo considerare un testo qualsiasi come una testimonianza pura, vale a dire priva di
influenze estetizzanti, di tecniche discorsive e di convenzioni narrative101
. Nel saggio
Historical Emplotment and the Problem of Truth di Hayden White troviamo un’affermazione
simile: “Narrative accounts do not consist only of factual statements […] they consist as well
of poetic and rhetorical elements by which what would otherwise be a list of facts is
transformed into a story”102
. È per questo che Marc Dambre utilizza la definizione
paradossale di “roman sans fiction” nel quale sono congiunti “les prestiges de l’imaginaire et
le poids de la véracité autobiographique”103
.
A questo punto potremmo chiederci che cosa ci offre in più la letteratura concentrazionaria
rispetto a una semplice enumerazione dei fatti storici? In altre parole, qual è il valore della
letteratura? La risposta è questa: in virtù della sua capacità di rendere delle cose difficili più
facili da comprendere, la letteratura aumenta l’empatia del lettore nei confronti delle vittime e
dei sopravvissuti dell’Olocausto. Al contrario di un semplice documento storico in cui
vengono elencati i fatti, la letteratura concentrazionaria offre al lettore una storia completa
grazie alla quale egli si può immedesimare nelle persone che sono state imprigionate nel
campo di concentramento di Auschwitz. La letteratura costituisce uno strumento che ci dà
accesso – anche se finzionale – al passato e che ci fornisce nuovi modi di capire ciò che è
accaduto durante la seconda guerra mondiale104
. Il grande merito della letteratura
concentrazionaria è quindi che essa rende immaginabile l’inimmaginabile e – seguendo questa
logica – credibile l’incredibile. A questo proposito è molto interessante riportare un brano
tratto dalla memoria L’Écriture ou la Vie dello scrittore spagnolo Jorge Semprún nel quale
difende la letterarietà – e quindi il carattere finzionale – delle opere memorialistiche e nel
quale si distanzia dagli scritti rigorosamente fattuali:
100
PEREC G., Robert Antelme ou la verité de la littérature, Paris, Éditions du Seuil, p. 93. 101
FRANKLIN R., op. cit., p. 11. 102
WHITE H., Historical Emplotment and the Problem of Truth, in FRIEDLANDER S., Probing the Limits of
Representation: Nazism and the Final Solution, Cambridge, Harvard University Press, 1992, p. 38. 103
DAMBRE M & GOSSELIN-NOAT M., L’éclatement des genres au XXe siècle, Paris, Presses Sorbonne
Nouvelle, 2001, p. 6. 104
FRANKLIN R., op. cit., p. 13.
31
– Raconter bien, ça veut dire : de façon à être entendu. On n’y parviendra pas sans un peu d’artifice.
Suffisamment d’artifice pour que ça devienne de l’art!
– […] La vérité que nous avons à dire […] n’est pas aisément crédible… Elle est même inimaginable…
– Comment raconter une vérité peu crédible […] si ce n’est en élaborant, en travaillant la réalité, en la
mettant en perspective? Avec un peu d’artifice, donc!
– […] J’imagine qu’il y aura quantité de témoignages… Ils vaudront ce que vaudra le regard du
témoin, son acuité, sa perspicacité… Et puis il y aura des documents… Plus tard, les historiens
recueilleront, rassembleront, analyseront les uns et les autres : ils en feront des ouvrages savants…
Tout y sera dit, consigné… Tout y sera vrai… sauf qu’il manquera l’essentielle vérité, à laquelle
aucune reconstruction historique ne pourra atteindre, pour parfaite […] qu’elle soit. 105
Agli occhi di Jorge Semprún gli scritti di non-fiction non contengono l’essentielle vérité. La
letteratura si presenta come l’unico modo per poter trasmettere questa verità essenziale, vale a
dire quella dell’esperienza. E per farla sentire a un pubblico più ampio possibile, il
memorialista deve elaborare ossia estetizzare il proprio racconto. Potremmo quindi
concludere che la letteratura concentrazionaria si contraddistingue dalla non-fiction pura per
la sua capacità di rappresentare l’inimmaginabile – per esempio attraverso l’uso delle
metafore e delle similitudini – e di suscitare una reazione emotiva nel lettore. In ciò che segue
analizzeremo perché Se questo è un uomo e La nuit vengono considerati delle opere d’arte.
105
SEMPRÚN J., L’Écriture ou la vie, Paris, Gallimard, 1994, pp. 135-138.
32
IV. IL PROCESSO DI STESURA DELLE DUE OPERE
Nel paragrafo precedente abbiamo stabilito che l’autore di una memoria deve elaborare ed
estetizzare il suo testo al fine di raggiungere un vasto pubblico. Prima di analizzare in cosa
consiste concretamente la letterarietà di Se questo è un uomo e di La nuit, dimostreremo che
Primo Levi ed Elie Wiesel hanno lavorato con particolare cura sulle loro testimonianze.
Entrambe le opere sono quindi il frutto di un intenso lavoro letterario.
IV.1. Il processo di stesura di SQU in quanto indicatore della letterarietà
Come afferma Levi stesso nell’Appendice a Se questo è un uomo “il libro avevo incominciato
a scriverlo là, in quel laboratorio tedesco”106
. Visto che nulla è rimasto dei suoi appunti scritti
nel laboratorio della Buna, la genesi materiale della memoria va collocata probabilmente tra la
fine del 1945 e l’inizio del 1946. Visto che poco tempo dopo la liberazione il desiderio di
testimoniare si fa sempre più pressante, Levi comincia a scrivere degli appunti senza
nemmeno accorgersi del fatto che sta già scrivendo le prime pagine del suo libro. Da questo
poi si può dedurre che probabilmente la prima stesura di quello che sarà Se questo è un uomo
è stata manoscritta, dopo di che è stata trasferita in dattiloscritto. Commenta in merito Marco
Belpoliti che “tra il dicembre e il gennaio 1946 a casa Levi [...] la macchina a scrivere deve
aver ticchettato instancabilmente”107
. Il risultato di questo lavoro sono due dattiloscritti. Il
primo è stato redatto con la collaborazione di Leonardo De Benedetti e s’intitola Rapporto
sull’organizzazione igienico-sanitaria del campo di concentramento per Ebrei di Monowitz. Il
secondo ha come titolo Storia di dieci giorni e conta quattordici pagine. Quest’ultimo
costituisce la prima bozza dell’ultimo capitolo di Se questo è un uomo. Vale a dire che
l’ultimo capitolo è quello con l’atto di nascita più vecchio. Al fine di dimostrare che Primo
Levi ha lavorato molto sul suo testo, risulta molto interessante mettere a confronto questo
dattiloscritto e l’ultimo capitolo dell’edizione pubblicata presso la casa editrice De Silva.
Lo studioso italiano Tommaso Pepe osserva che “nel passaggio dal dattiloscritto alla versione
a stampa Levi sarebbe intervenuto su quanto battuto inizialmente a macchina”108
. In altre
parole, tra le due versioni si instaurano diverse varianti. Il numero degli interventi si rivela
106
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 157. 107
BELPOLITI M., op. cit., p. 28. 108
PEPE T., Genesi di Se questo è un uomo e autoriscritture leviane del Lager, 1944-1958: per un quadro di
critica testuale, Florida, University Press of Florida, 2014, p. 10.
33
alquanto cospicuo: si contano più di duecento varianti apportate in solo ventinove pagine della
versione a stampa del 1947109
. Si noti comunque che la grande maggioranza di queste varianti
non è strutturale o contenutistica. Generalmente si tratta di riformulazioni di frasi, di
sostituzioni lessicali, di interventi sulla punteggiatura e via dicendo. Nella versione a stampa
sono quindi da notare innanzitutto delle micro-varianti. Nel suo articolo Genesi di Se Questo è
un uomo e autoriscritture leviane del Lager Tommaso Pepe fornisce alcuni esempi che
riportiamo nella tabella sottostante:
il dattiloscritto datato febbraio 1946 la versione a stampa del 1947
sulle cuccette superiori era difficile salire sulle cuccette superiori era disagevole salire
non valeva la pena di parlerne con nessuno non metteva conto di parlarne con nessuno
avevano gli occhi come le bestie impazzite avevano gli occhi come le bestie impaurite
lo ricordo con strana precisione lo ricordo con bizzarra precisione
Dagli esempi riportati qui sopra si vede che Primo Levi lavora sullo stile della propria prosa
sostituendo alcuni dei termini comuni con delle parole meno scontate e quindi più letterarie.
Inoltre, colpisce che nella versione pubblicata da De Silva il numero di forestierismi è molto
più elevato. Vale a dire che Primo Levi intensifica il ricorso a parole del cosiddetto
Lagerjargon mettendo in rilievo così il paesaggio linguistico variegato del campo110
:
il dattiloscritto datato febbraio 1946 la versione a stampa del 1947
Prigionieri Häftlinge
Infermeria Ka-Be
Campo Lager
Capibaracca Blockälteste
Finora abbiamo soltanto parlato delle differenze tra il dattiloscritto intitolato Storia di dieci
giorni e il capitolo omonimo della versione a stampa. Tuttavia, questo dattiloscritto non
costituisce l’unico avantesto di Se questo è un uomo. Nella primavera del 1947 – alcuni mesi
prima della pubblicazione presso la casa editrice De Silva – sono state stampate cinque
anticipazioni del libro sulla rivista vercellese L’Amico del Popolo111
. Dalla collazione tra
queste cinque anticipazioni e i passi corrispondenti della versione a stampa si desume che –
anche in questo caso – Primo Levi abbia rielaborato alcuni passaggi con la medesima strategia
variantistica sopra esposta. Oltre alle piccole varianti che riguardano il lessico o la
109
PEPE T., op. cit., p. 10. 110
Ibidem, p. 10. 111
Si tratti dei capitoli Il viaggio (29 marzo 1947), Sul fondo (5 aprile 1947), Häftling (17 maggio 1947), Le
nostre notti (24 maggio 1947) e Un incidente (31 maggio 1947). Si noti che – nella versione a stampa – Häftling
cosituisce un sottocapitolo del capitolo Sul fondo e che Un incidente fa parte del capitolo Ka-Be. Cfr.
BELPOLITI M., op. cit., p. 34.
34
punteggiatura, sono da notare comunque alcune modifiche contenutistiche, che sono sia di
tipo instaurativo sia casi di cassatura. Da un lato, alcuni passaggi vengono contestualizzati per
rendere l’insieme più coerente dal punto di vista narrativo. Vale a dire che Levi aggiunge qua
e là dei riferimenti agli altri capitoli di Se questo è un uomo. Dall’altro lato, però, viene tolto
qualche passaggio. Come osserva Marco Belpoliti “si tratta quasi sempre dell’esclusione dei
brani più riflessivi e meditativi [...] a vantaggio di una maggior compattezza della
narrazione”112
. Possiamo quindi giustamente affermare che Primo Levi – rafforzando la
coesione narrativa e adoperando un linguaggio stilisticamente più elevato – si sia adoperato
per rendere Se questo è un uomo più letterario.
Nel passaggio dalla versione del 1947 alla versione del 1958 – cioè quella ne varietur
pubblicata presso la casa editrice Einaudi – sono pure state fatte delle correzioni notevoli. Nel
suo articolo Su alcune aggiunte e varianti di Se questo è un uomo Giovanni Tesio analizza le
varianti che intercorrono tra queste due edizioni113
. Per mancanza di spazio non ci
addentreremo in questa sede nei particolari del suo lavoro, ma ripercorreremo in modo molto
breve le linee generali del processo di revisione. In primo luogo – come ci si potrebbe
aspettare – si notano dei sottili interventi stilistici e lessicali. Va comunque notato che essi
non sono incisivi come quelli del primo processo di revisione. Questo porta Tommaso Pepe
ad affermare che “la ristampa einaudiana di Se questo è un uomo non presenta al lettore un
libro diverso per stile e contenuto, né Levi è intervenuto per migliorare la resa letteraria della
sua opera”114
. Vale a dire che l’edizione del 1958 non presenta né stilisticamente né
narrativamente grandi differenze rispetto all’edizione del 1947, visto che quest’ultima –
grazie ai numerosi ritocchi da parte di Primo Levi – era già ampiamente rimaneggiata. In
secondo luogo colpisce che Primo Levi abbia arricchito Se questo è un uomo con una grande
quantità di piccole aggiunte contenutistiche. È interessante notare che la maggior parte degli
interventi rientra in quest’ultima categoria di modifiche. L’edizione pubblicata dalla Einaudi
si rivela quindi molto più particolareggiata e – di conseguenza – più nitida.
Si potrebbe affermare che Primo Levi ha creato una sorta di leggenda intorno a Se questo è un
uomo. Nei suoi scritti l’autore italiano dà molto spesso l’impressione di aver messo su carta la
sua storia nel giro di pochi mesi, senza l’intenzione di scrivere un libro. A titolo di esempio
riportiamo tre citazioni provenienti da fonti diverse: “ho scritto il libro appena sono
112
BELPOLITI M., op. cit., pp. 34-35. 113
Cfr. TESIO G., Su alcune aggiunte e varianti di Se questo è un uomo, in: “Studi Piemontesi”, vol.6, n.2,
1977, pp. 270-288. 114
PEPE T., op. cit., p. 30.
35
tornato”115
, “il libro mi cresceva tra le mani quasi spontaneamente”116
e “ho scritto quasi tutto
il capitolo Il canto di Ulisse nella mezz’ora da mezzogiorno e mezzo all’una”117
. In realtà, Se
questo è un uomo costituisce il risultato di un processo di maturazione graduale. Levi ha
quindi lavorato a lungo e metodicamente sul suo libro allo scopo di renderlo un’opera d’arte.
115
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 157. 116
LEVI P., Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 2005, p. 156. 117
CACCAMO DE LUCA R. & OLAGNERO M., Primo Levi, in: “Mondo Operaio”, n.3, pp. 154-158.
36
IV.2. Il processo di stesura di La nuit in quanto indicatore della letterarietà
The story of how Night came into existence reveals just how many factors come into play in the creation
of a memoir: the obligation to remember and to testify, certainly, but also the artistic and even moral
obligation to construct a true persona and to craft a beautiful work. 118
Come abbiamo già accennato, La nuit costituisce non tanto una traduzione ma piuttosto una
rielaborazione di Un di Velt Hot Geschvign. Ne testimonia il fatto che il numero di pagine è
stato ridotto radicalmente da duecentoquarantacinque a centosettantotto. Nel passaggio dal
testo yiddish al testo francese, Elie Wiesel ha quindi operato una lunga serie di tagli. È stato
soprattutto sotto la spinta di Jérôme Lindon – l’editore della casa editrice Les Éditions de
Minuit – che sono stati cancellati alcuni passaggi e dettagli superflui. Visto che Un di Velt Hot
Geschvign e La nuit sono stati scritti in due lingue diverse, risulta quasi impossibile
paragonarli in modo dettagliato da un punto di vista stilistico. Ciò nonostante, si possono
comunque fare alcune considerazioni generali riguardanti lo stile di entrambi i libri.
Un di Velt Hot Geschvign costituisce il centodiciasettesimo volume della collana Polish Jewry
edita da Mark Turkov. Fra le numerose opere memorialistiche che sono contenute in questa
collana spicca quella di Elie Wiesel. Dal momento che nella tradizione ebraica le memorie
mirano a commemorare il maggior numero possibile di persone – senza prestare troppa
attenzione allo stile – Un di Velt Hot Geschvign si presenta come “a highly selective and
isolating literary narrative”119
. Vale a dire che la memoria di Elie Wiesel si contraddistingue
per il fatto che non si presenta tanto come un elenco commemorativo dei defunti quanto
piuttosto come una narrazione coerente incentrata su un singolo soggetto focale e
stilisticamente curata. Benché la memoria di Elie Wiesel risulti stilisticamente e
narrativamente superiore a tutti gli altri volumi della collana, lo scopo primario di essa rimane
quello di rispecchiare la realtà il più fedelmente possibile. Ed è per questo che viene sempre
considerata dagli ebrei come una memoria tradizionale.
Visto che il yiddish è una lingua parlata soltanto dagli ebrei originari dell’Europa orientale,
Un di Velt Hot Geschvign non conosce una grande risonanza. È stato proprio il vincitore del
premio Nobel per la letteratura François Mauriac a convincere Elie Wiesel a tradurre la
memoria in lingua francese. A quel punto, nessuno avrebbe mai immaginato che una
traduzione radicalmente abbreviata di un libro di poco successo sarebbe diventata una delle
118
FRANKLIN R., op. cit., p. 73. 119
WISSE R., The Modern Jewish Canon: A Journey Through Language and Culture, Chicago, University of
Chicago Press, 2003, p. 212.
37
memorie dell'Olocausto più lette. Allo scopo di raggiungere un pubblico globale, l’autore
rumeno ha comunque dovuto rielaborare Un di Velt Hot Geschvign, spogliandolo per esempio
dai passaggi ridondanti e dal suo linguaggio aggressivo ed emotivo120
. Siccome il pubblico
destinatario della nuova versione differisce da quello iniziale, non viene più enfatizzata – e
quindi criticata – l’indifferenza del mondo di fronte alla sorte degli ebrei. Ne è una
testimonianza anche il fatto che il titolo yiddish non viene tradotto letteralmente: invece di E
il mondo rimase in silenzio la memoria francese s’intitola La nuit. Si può quindi affermare che
il messaggio delle due opere si rivela fondamentalmente diverso.
Nel saggio Elie Wiesel and the Scandal of Jewish Rage Naomi Seidman osserva che “the
effect of this editing was to position the memoir within a different literary genre”121
. Vale a
dire che il testo yiddish e il testo francese si iscrivono in due tradizioni letterarie differenti:
mentre il primo aspira soprattutto a raccontare i fatti nel modo più preciso possibile, il
secondo ha maggiori ambizioni letterarie. Come sostiene Naomi Seidman “Wiesel and his
French publishing house fashioned something closer to mythopoetic narrative”122
. Benché nel
caso di Se questo è un uomo risulti molto più facile vedere dove l’autore ha fatto dei ritocchi
stilistici – visto che gli avantesti sono composti nella medesima lingua – possiamo comunque
affermare che il livello stilistico di La nuit è molto più elevato rispetto a quello di Un di Velt
Hot Geschvign. Agli occhi di Ruth Wisse Elie Wiesel – affinando la qualità della sua
memoria – si sarebbe fatto influenzare dagli esistenzialisti francesi:
Having never studied literature before the war, Wiesel drew his literary models from the French
existentialists and writers of the “Catholic Renaissance” he read after the war, for whom individuality
and individual conscience constituted the essence of art. 123
Possiamo quindi giustamente sostenere che l’autore rumeno – esattamente come il suo amico
Levi – ha fatto uno sforzo per rendere la sua memoria più letteraria, rafforzando la coesione
narrativa e adoperando un linguaggio stilisticamente più elevato. Il rovescio della medaglia è
che tutto questo va a scapito della verità storica. Ed è per questo che molti considerano la
letterarietà di La nuit come un indicatore del carattere finzionale di essa. Tuttavia, ricordiamo
che nessuna memoria può essere allo stesso momento una rappresentazione infallibile della
realtà e una vera e propria opera d’arte. In altre parole, sarebbe molto ingenuo leggere la
120
MAGILOW D.H. & SILVERMAN L., Holocaust Representations in History: An Introduction, London,
Bloomsbury Publishing, 2015, p. 53. 121
SEIDMAN N., op. cit., p. 5. 122
Ibidem, p. 5. 123
WISSE R., op. cit., p. 213.
38
memoria di Wiesel – o di qualsiasi altro autore – come una rappresentazione fedele di ciò che
è accaduto nei campi di concentramento. Concludiamo questo paragrafo con le parole della
studiosa statunitense Ruth Franklin la quale afferma che:
We do writers such as Wiesel [ …] and Levi no credit by continuing to insist that their work is strictly,
purely factual. For to insist this is to underrate their extraordinary level of literary sophistication. 124
124
FRANKLIN R., op. cit., p. 75.
39
V. L’USO DELLE FIGURE RETORICHE IN SQU E NE LN
Il risultato di questo lavoro intensivo da parte di Primo Levi e di Elie Wiesel sono due prose
nelle quali si riscontra un uso frequente di figure retoriche. Come è già stato detto, si potrebbe
definirle come dei “romans sans fiction”125
, il che significa che uniscono, per così dire, il
meglio di due mondi: la veracità dell’autobiografia e le tecniche discorsive ed estetizzanti del
romanzo. In ciò che segue forniremo una campionatura delle figure retoriche chiave – cioè le
figure di ripetizione, l’ossimoro, la metafora e la similitudine – che si trovano in Se questo è
un uomo e in La nuit. Dal confronto tra l’uso di queste figure retoriche in entrambe le
memorie, come vedremo, si possono trarre alcune conclusioni interessanti.
V.1. L’uso dell’ossimoro in Se questo è un uomo e ne La nuit
L’ossimoro, ossia l’accostamento di due termini antitetici, costituisce “la figura retorica regia,
per frequenza e qualità, dell’opera di Levi”126
. Considerata la sua natura intrinsecamente
contraddittoria, l’ossimoro si presenta come un mezzo espressivo estremamente efficace per
rappresentare la natura contraddittoria dei campi di concentramento. Riportiamo alcuni casi:
L’avventura è finita, e mi sento pieno di una tristezza serena che è quasi gioia. (SQU, p. 27)
I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi. (SQU, p. 127)
Vedemmo con tranquillo spavento che all’angolo della baracca stava una SS armata (SQU, p. 139)
In questi passi, e in tanti altri simili, l’ossimoro riveste prevalentemente una funzione pratica,
nel senso che permette all’autore di esprimere in modo più preciso le proprie emozioni. È un
fatto notevole che, mentre in Se questo è un uomo abbondano gli ossimori e, per estensione, le
antitesi, ne La nuit essi vengano utilizzati soltanto sporadicamente. Si potrebbe, per esempio,
ipotizzare che la quasi totale assenza di queste figure retoriche particolarmente efficaci ed
esplicative sia dovuta al fatto che Elie Wiesel, al contrario di Primo Levi, non si sia posto
l’obiettivo di descrivere la realtà in modo esaustivo e minuzioso. I motivi che ci hanno spinto
a formulare questa ipotesi risulteranno più chiari dall’analisi dell’uso delle altre figure
retoriche chiave. Come vedremo, in Wiesel si può osservare una tendenza drammatizzante
che spinge in secondo piano quella pratica.
125
DAMBRE M & GOSSELIN-NOAT M., op. cit., p. 6. 126
MENGALDO P.V., Lingua e scrittura in Levi, in FERRERO E. (ed.), Primo Levi: un’antologia della critica,
Torino, Einaudi, 1997, p. 233.
40
V.2. L’uso delle figure di ripetizione in Se questo è un uomo e ne La nuit
Al fine di superare l’ineffabilità dell’esperienza vissuta nel campo di concentramento di
Auschwitz, Primo Levi ed Elie Wiesel optano per uno stile conciso e pressoché cronachistico
nel quale prevale la paratassi. Questo predominio della paratassi – volta innanzitutto alla
semplicità e alla nitidezza del discorso – va infatti di pari passo con un ampio uso delle figure
di ripetizione quali l’anafora, l’epifora, il polisindeto, l’anadiplosi, il climax e via dicendo.
Come afferma Pier Vincenzo Mengaldo nel suo fondamentale saggio Lingua e scrittura in
Levi “la ripetizione [...] permette a Levi di articolare e concatenare con chiarezza i successivi
segmenti di discorso”127
. In altre parole, la grande quantità di figure di ripetizione che si
trovano in Se questo è un uomo fungono spesso da legame logico tra due sintagmi. Oltre a
questa cosiddetta funzione esplicativa, esse possono pure avere una funzione intensificante128
.
In quest’ultimo caso la ripetizione viene impiegata per aumentare il pathos ossia la
drammaticità del discorso. Le figure di ripetizione si presentano quindi come ottimi strumenti
per raggiungere i due obiettivi della letteratura concentrazionaria: quello di rendere
immaginabile l’inimmaginabile e quello di suscitare una reazione emotiva nel lettore.
Riportiamo qui sotto alcuni esempi di ripetizione nell’opera testimoniale di Primo Levi,
cominciando con quelli che favoriscono la chiarezza di Se questo è un uomo.
Stasera [...] andrò in Ka-Be. Ka-Be è abbreviazione di Krankenbau, l'infermeria. (SQU, p. 40)
Lo Häflting, economizzata in qualche modo una razione di pane, la investe in Mahorca. [...] Lo Häftling
si mangia il margine di guadagno, e rimette in ciclo la razione che avanza. [...] Lo Häftling acquista
mediante Mahorca o pane, o magari ottiene in dono un [...] cencio di camicia. (SQU, p. 73)
L. aveva una linea: le mani e il visto sempre perfettamente puliti [...]. L. si era procurato in sostanza
tutto l’aspetto del prominente [...]. L. se l’era saputa guadagnare con incredibile tenacia [...]. L. le
attuò con rigida disciplina [...]. L. sapeva che fra l’essere stimato e il divenire [...]. (SQU, p. 85)
Nel primo esempio la funzione esplicativa della ripetizione risulta molto chiara. Visto che è la
prima volta che viene menzionato il cosiddetto Ka-Be, si richiede qualche ulteriore
informazione. Utilizzando l’anadiplosi – cioè “la ripetizione dell’ultima parte di un segmento
nella prima parte del segmento successivo”129
– Levi instaura un nesso logico molto forte con
la frase precedente. Nel secondo e nel terzo caso Primo Levi si serve di un’altra figura di
127
MENGALDO P.V., op. cit., p. 174. 128
FILIPPINI L., Testimoniare tramite la letteratura: analisi stilistica e confronto tra Se questo è un uomo di
Primo Levi e Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, Padova, Università di Padova, 2013-2014, p. 58. 129
GARAVELLI B.M., Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 2002, p. 191.
41
ripetizione, cioè l’anafora, il cui scopo primario rimane sempre quello di accompagnare o
introdurre una spiegazione. Colpisce innanzitutto quante volte il nome L. venga ripetuto nel
giro di pochissime righe: dopo aver fornito al lettore qualche parziale informazione su questo
personaggio appena introdotto, Primo Levi ritiene necessario contestualizzarlo nel modo più
chiaro possibile.
È molto gradevole discorrere con Henri, nei momenti di riposo [...] È anche utile: non c’è cosa del
campo che egli non conosca [...] Parlare con Henri è utile e gradevole. (SQU, p. 90)
Ma qui, in Lager, non vi sono criminali né pazzi: non criminali, perché non v'è legge morale a cui
contravvenire, non pazzi, perché [...] (SQU, p. 88)
Che Primo Levi voglia accentuare quanto più possibile la chiarezza di Se questo è un uomo
viene pure confermato dai due esempi soprastanti. Per mezzo della ripetizione – che, si noti,
nel primo caso è variata – l’autore mette in risalto il legame logico tra i diversi segmenti del
discorso: nel primo caso le due proposizioni vengono seguite da una ricapitolazione, mentre
nel secondo caso vengono concatenate una proposizione e la successiva giustificazione di
essa. Come abbiamo già accennato, Primo Levi si serve anche della ripetizione per
intensificare il suo discorso. Per quanto concerne il cosiddetto “utilizzo drammatizzante”130
delle figura di ripetizione riportiamo i seguenti brani del libro:
Oggi, ai nostri giorni, l'inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in
piedi, e c'è un rubinetto che gocciola e l'acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente
terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. (SQU, p. 19)
L’ufficiale ha preso nota su un libretto. [...] L'ufficiale, seguito da un medico, gira in silenzio e con
noncuranza fra le cuccette; [...] L'ufficiale passa oltre. [...] L'ufficiale gli strappa via le coperte, quello
trasalisce, l'ufficiale gli palpa il ventre, dice: – Gut, gut – poi passa oltre. (SQU, pp. 46-47)
Entrambi i passi hanno come fine non tanto quello di rendere il discorso più chiaro, quanto
piuttosto quello di suscitare una sensazione di tensione nel lettore. Negli esempi soprastanti
questo effetto viene raggiunto rispettivamente dal polisindeto – vale a dire la “coordinazione
mediante congiunzioni ricorrenti”131
– e dalla ripresa anaforica della parola l’ufficiale.
Servendosi della ripetizione Primo Levi descrive la scena come se essa si svolgesse davanti
agli occhi del lettore, che, a causa di ciò, entra più facilmente in sintonia con i personaggi
della storia.
130
Questa particolare denominazione è di Lucrezia Filippini, cfr. FILIPPINI L., op. cit., p. 58-59. 131
GARAVELLI B.M., op. cit., p. 200.
42
Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre
donne e i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato cento volte avanti e indietro alla fatica
muta [...]. Noi non ritorneremo. (SQU, p. 49)
I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l’hanno sepolta
[...] Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata [...] Grazie a Lorenzo mi è
accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo. (SQU, p. 109)
Negli ultimi due esempi tratti da Se questo è un uomo è molto evidente che la ripetizione
viene impiegata per aumentare la drammaticità del discorso. Nel primo brano colpisce che
l’anafora del noi rinvigorisca la climax ascendente delle proposizioni. In altre parole, Primo
Levi mira a rafforzare il crescendo che va dal viaggio verso Auschwitz all’espressione, ricca
di pathos, della disperazione totale dei prigionieri. Descrivendo in tal modo il destino
dell’enorme quantità di prigionieri, l’autore suscita nel lettore una forte sensazione di
compassione e forse pure una sensazione di avversione per i nazisti. Nel secondo brano ci
troviamo di fronte a un’epifora della parola uomo che costituisce una delle parole chiave – se
non l’unica – di Se questo è un uomo. L’epifora è infatti molto significativa poiché si colloca
alla fine del dodicesimo capitolo, intitolato I fatti dell’estate, nel quale viene fornita la
risposta alla domanda che l’autore si è posto nella poesia di apertura del libro: “Considerate se
questo è un uomo”132
. Data la pregnanza contenutistica del contesto in cui si trova l’epifora,
risulta chiaro che essa è tesa ad accentuare il concetto che i prigionieri non sono bestie ma
esseri umani. Tuttavia possiamo affermare che in Se questo è un uomo la ripetizione viene più
spesso utilizzata per strutturare il discorso. In altre parole, la funzione esplicativa delle figure
di ripetizione prende il sopravvento su quella drammatizzante.
Anche Wiesel fa frequentemente ricorso alle figure di ripetizione sia per chiarire il discorso
che per intensificarlo. Colpisce comunque che ne La nuit l’uso chiarificatore della ripetizione
si presenti in misura meno abbondante e di conseguenza meno esplicita che in Levi. Per
quanto riguarda questo uso della ripetizione nell’opera di Wiesel riportiamo i seguenti brani:
On l'appelait Moshé-Le-Bedeau, comme si de sa vie il n'avait eu un nom de famille. Il était le bon-à-
tout-faire d'une synagogue hassidique. [...] Il était très pauvre et vivait misérablement. [...] Il était passé
maître dans l'art de se faire insignifiant, de se rendre invisible. [...] il avait la gaucherie du clown. Il
éveillait le sourire, avec sa timidité d'orphelin. [...] Il parlait peu. Il chantait. (LN, p. 31)
132
LEVI P., Se questo è un uomo, op. cit., p. 7.
43
La cloche sonna, nous indiquant que la sélection était achevée dans tout le camp. [...] La cloche. il
fallait déjà nous séparer, aller se coucher. Tout était réglé sur une cloche. [...] Lorsqu'il m'arrivait de
rêver à un monde meilleur, j'imaginais seulement un univers sans cloche (LN, p. 136-137)
Vous vous trouvez dans un camp de concentration. À Auschwitz… [...] Vous êtes à Auschwitz. Et
Auschwitz n’est pas une maison de convalescence. C’est un camp de concentration. [...] Camarades,
vous vous trouvez au camp de concentration de Auschwitz. (LN, p. 85 e p.89)
La neige continuait à tomber drue. [...] Il ne cessait de neiger. [...] Il neigeait sans fin. [...] Là aussi, la
neige était épaisse. [...] La neige continuait de tomber en flocons épais sur les cadavres. [...] Sur la
route, il neigeait, il neigeait, il neigeait sans fin. [...] La neige tombait serrée. (LN, p. 152-172)
Nel primo esempio il lettore si imbatte per la prima volta nel personaggio di Moshé-le-Bedeau
e, a causa di ciò, Elie Wiesel tenta di introdurlo nel modo più nitido e coerente possibile:
inserendo un’anafora del pronome personale il egli marca il legame logico tra le numerose
proposizioni descrittive. La ripresa – sia in anafora che in epifora – della parola cloche
costituisce un’altra illustrazione del valore esplicativo della ripetizione. Vale a dire che dopo
aver accennato qualche volta alla campanella, Elie Wiesel la contestualizza ossia spiega la sua
funzione disciplinare. Il terzo e il quarto esempio costituiscono due dei pochi brani nei quali
la ripetizione si rivela palese, come nel caso di Se questo è un uomo. Colpisce innanzitutto
l’iterazione del sostantivo neige e delle forme coniugate del verbo neiger: nel giro delle
diciannove pagine di cui è composto il sesto capitolo, Elie Wiesel richiama ben diciotto volte
l’attenzione del lettore sul fatto che stesse nevicando durante la marcia della morte. Oltre a far
ricordare al lettore che faceva molto freddo in quel periodo – e quindi a rendere il discorso più
semplice e più coerente – la ripetizione in quest’ultimo esempio può anche essere vista come
uno strumento per aumentare la drammaticità del contenuto. In altre parole, i due usi non si
escludono a vicenda. Tuttavia – come è già stato detto – l’uso drammatizzante delle figure di
ripetizione prevale in La nuit. Esaminiamo a questo punto qualche esempio di ripetizione con
valore intensificante:
Pourquoi je priais ? Étrange question. Pourquoi vivais-je ? Pourquoi respirais-je ? (LN, p. 33)
Et il était lui-même si maigre, si desséché, si faible ... (LN, p. 94)
Notre premier geste d'hommes libres fut de nous jeter sur le ravitaillement. On ne pensait qu'à cela. Ni
à la vengeance, ni aux parents. Rien qu'au pain. Et même lorsqu'on n'eut plus faim, il n'y eut personne
pour penser à la vengeance. Le lendemain, quelques jeunes gens coururent à Weimar ramasser des
pommes de terres et des habits - et coucher avec des filles. Mais de vengeance, pas trace. (LN, p. 199)
44
Regardez ! Oh regardez ! Ce feu ! Un feu terrible ! Ayez pitié de moi, ce feu ! [...] Juifs, écoutez-moi : je
vois un feu ! Quelles flammes ! [...] Regardez ce feu, des flammes, des flammes partout... [...] Le feu !
L’incendie ! Regardez, là ! [...] Juifs, regardez ! Regardez le feu, les flammes, regardez ! (LN, p. 65-69)
Dall’esame di questi quattro brani emerge che Elie Wiesel mira a enfatizzare il discorso che
sta sviluppando mediante la ripetizione di parole dense di significato. Ripetendo l’avverbio
interrogativo pourquoi e l’avverbio si l’autore rumeno accentua rispettivamente la
disperazione totale dei prigionieri – che non riescono a capire il perché del modo inumano in
cui vengono trattati – e la loro deteriorata condizione fisica. In entrambi questi casi abbiamo a
che fare con un tricolon ossia un “isocolo trimembre”133
, il che rende il passaggio ancora più
drammatico. Nel terzo esempio la parola vengeance viene ripresa per insistere sul fatto che la
priorità dei superstiti dell’Olocausto è mangiare e recuperare fisicamente anziché vendicarsi.
Nell’ultimo esempio ci troviamo di fronte a varie figure di ripetizione – tra le quali
l’anadiplosi, l’anafora e l’epifora – che hanno come scopo quello di aumentare il grado di
pathos. Le esclamazioni proferite dall’anziana Madame Schächter durante il viaggio verso
Auschwitz sono profetiche, nel senso che i prigionieri non vedono le fiamme dei forni
crematori del campo di concentramento fino al momento in cui ci arrivano. Sia nei prigionieri
che nel lettore queste esclamazioni suscitano quindi una sensazione di angoscia, che viene
rafforzata fortemente dalla ripetizione espressiva delle parole regardez, feu e flammes. Ancora
più potente è l’effetto raggiunto dall’iterazione nei prossimi due esempi, il secondo dei quali è
di gran lunga il brano più citato di La nuit:
Mais je lui dis que je ne croyais pas qu’on brûlât des hommes de notre époque, que l’humanité ne
l’aurait jamais toléré… L’humanité ? L’humanité ne s’intéresse pas à nous. (LN, p. 76)
Jamais je n'oublierai cette nuit, la première nuit de camp qui a fait de ma vie une nuit longue et sept
fois verrouillée. Jamais je n'oublierai cette fumée. Jamais je n'oublierai les petits visages des enfants
dont j'avais vu les corps se transformer en volutes sous un azur muet. Jamais je n'oublierai ces flammes
qui consumèrent pour toujours ma foi. Jamais je n'oublierai ce silence nocturne qui m'a privé pour
l'éternité du désir de vivre. Jamais je n'oublierai ces instants qui assassinèrent mon Dieu et mon âme, et
mes rêves qui prirent le visage du désert. Jamais je n'oublierai cela, même si j’ étais condamné à vivre
aussi longtemps que Dieu lui-même. Jamais. (LN, p. 78-79)
Con l’anadiplosi della parola humanité – che fa pensare all’epifora della parola uomo in Se
questo è un uomo che abbiamo citato in precedenza – Elie Wiesel spinge il lettore a riflettere
sul significato concreto dell’umanità. Il lirismo dell’autore prorompe tuttavia completamente
nell’emblematico passo in cui viene ripetuto ben sette volte il sintagma jamais je n’oublierai,
133
GARAVELLI B.M., op. cit., p. 230.
45
sempre in posizione iniziale. Costituisce infatti un esempio di anafora ampiamente citato nei
manuali di retorica in lingua francese o inglese. Mediante questa iterazione estremamente
espressiva, Elie Wiesel enfatizza la grande impressione che gli lascia l’orribile esperienza che
ha vissuto. Inoltre, il sintagma jamais je n’oublierai – che tradotto in italiano sarebbe mai
dimenticherò – si inserisce chiaramente nell’obiettivo di Elie Wiesel, cioè quello di far sì che
le generazioni future non si dimentichino di questa pagina nera del passato.
Sia Primo Levi che Elie Wiesel si servono quindi abbondantemente di varie figure di
ripetizione. Come si è detto, in Se questo è un uomo esse rivestono soprattutto una funzione
chiarificatrice. A tal proposito, infatti, risulta molto interessante citare quanto scritto
nell’Appendice alla memoria: “pensavo che la mia parola sarebbe stata tanto più credibile ed
utile quanto più apparisse obiettiva e quanto meno suonasse appassionata”134
. È quindi per
ragioni di credibilità che Primo Levi descrive la propria esperienza “come se fosse sotto la
lente di un microscopio”135
e che vuole allontanarsi dall’emotività o dalla soggettività,
nonostante il fatto che a volte – come si è avuto modo di vedere in precedenza – è proprio
l’impiego dell’iterazione che amplifica il pathos. Ne La nuit, invece, si constata una chiara
volontà da parte dell’autore di favorire la drammaticità del discorso per mezzo della
ripetizione, mantenendo allo stesso tempo la semplicità e la chiarezza di esso.
134
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 158. 135
FILIPPINI L., op. cit., p. 49.
46
V.3. L’uso delle metafore e delle similitudini in SQU e ne La nuit
Altre due figure retoriche alle quali Primo Levi ed Elie Wiesel affidano l’espressività delle
loro memorie sono la metafora e la similitudine, che gli permettono di spiegare meglio la
disumanizzazione al quale il lettore non è stato sottoposto, ricorrendo a termini provenienti da
un altro campo semantico. Anche se è un dato assodato che nulla possa essere comparato
all’esperienza di Auschwitz, entrambi i mezzi espressivi si presentano come ottimi strumenti
per rendere immaginabile l’inimmaginabile e innanzitutto credibile l’incredibile.
Come osserva giustamente Pier Vincenzo Mengaldo “con l’esclusione di certe zone di SQU
[...] metafora e similitudine non hanno di regola in Levi funzione liricizzante, ma
concretizzante e conoscitiva”136
. Esattamente come le varie figure di ripetizione, esse
assumono quindi prevalentemente un valore esplicativo, ossia concretizzante per utilizzare il
termine usato da Mengaldo. Il campo semantico che domina le metafore e soprattutto le
similitudini leviane è senza dubbio quello del mondo degli animali, il che potrebbe essere
spiegato con il fatto che i prigionieri vengono trattati dai nazisti come delle bestie anziché
come degli esseri umani. Inoltre, Se questo è un uomo viene definito da Marco Belpoliti come
un libro di etologia, visto che l’autore esamina con l’occhio dell’etologo il comportamento
dell’uomo-animale nel Lager137
. A titolo di esempio riportiamo qualche esempio significativo:
[...] noi ultimi venuti ci raduniamo istintivamente negli angoli, contro i muri, come fanno le pecore per
sentirci le spalle materialmente coperte. (SQU, p. 33)
Non possiede la rudimentale astuzia dei cavalli da traino, che smettono di tirare un po’ prima
dell’esaurimento: ma tira o oprta o spinge finché le forze glielo permettono, poi cede di schianto, senza
una parola di avvertimento, senza sollevare dal suolo gli occhi tristi e opachi. Mi ricorda i cani da
slitta dei libri di London, che faticano fino all'ultimo respiro e muoiono sulla pista. (SQU, p. 38)
Noi siamo sempre contenti di aspettare, siamo capaci di aspettare per ore con la completa ottusa
inerzia dei ragni nelle vecchie tele. (SQU, p. 93)
Ecco noi, come sette goffi pulcini dietro la chioccia, seguire Alex su per la scaletta [...] (SQU, p. 93)
Quando è nudo, si distingue ogni muscolo lavorare sotto la pelle, potente e mobile come un animale a
sé stante; [...] Il naso, il mento, la fronte, gli zigomi sono duri e compatti, l’intero viso sembra una testa
d’ariete, uno strumento adatto a percuotere. Dalla sua persona emana un senso di vigore bestiale. [...]
Elias [...] si arrampica come una scimmia su per le impalcature [...]. (SQU, p. 86)
136
MENGALDO P.V., op. cit, p. 223. 137
BELPOLITI M., op. cit., p. 384-385.
47
Sono numerosi i passaggi in cui Primo Levi descrive il comportamento o le caratteristiche, sia
fisiche che mentali, di un personaggio in termini animaleschi. Secondo un’analisi
computazionale compiuta dalla studiosa Jane Nystedt, il cane è l’animale più presente
nell’intera opera di Levi con ben centoquarantasette ricorrenze138
. In effetti, come rileva
Daniela Amsallem, il cane è un simbolo polivalente nella letteratura della Shoah nel senso che
può identificarsi sia con gli oppressori, vale a dire i nazisti, che con gli oppressi139
. La
metafora dei cani da slitta – ispirato a The Call of the Wild scritto da Jack London –
costituisce un esempio di quest’ultimo caso, poiché viene utilizzata per descrivere il
comportamento indifferente e disperato del prigioniero Null Achtzehn, che – per dirlo con
un’altra similitudine adottata dal campo semantico del mondo animale – “dà l’impressione di
essere vuoto interiormente [...] come certe spoglie di insetti”140
. Tra gli esempi citati in
precedenza spicca soprattutto l’ultimo, cioè il brano nel quale viene descritta la figura di Elias
Lindzin, un nano fisicamente instancabile che sembra non tanto umano ma piuttosto animale.
Non è quindi un caso che questo passaggio sia molto ricco di metafore e di similitudini
animalesche, tra le quali quella dell’ariete e quella della scimmia.
Avendo una formazione da chimico, non colpisce che Levi faccia anche regolarmente ricorso
al campo semantico della scienza. Si può affermare, come ha fatto Mario Porro, che in Levi si
amalgamano due culture generalmente separate, quella umanistica e quella scientifica, allo
scopo di sistemare il caos nel quale viviamo141
. Eccone due esempi:
Alberto dice che la fame e il pane in tasca sono addendi di segno contrario, che si elidono
automaticamente a vicenda e non possono coesistere nello stesso individuo. (SQU, p. 67)
E finalmente, come una meteora celeste, sovrumana e impersonale come un segno divino, la sirena di
mezzogiorno esplode a esaudire le nostre stanchezze e le nostre fami anonime e concordi. (SQU, p. 62)
Nel primo esempio, Primo Levi mira a spiegare la coincidentia oppositorum ossia l’ironica
coincidenza di due opposti, che, in questo caso, sono il fatto di avere fame e il fatto di avere
pane in tasca, per mezzo di una metafora tratta dal mondo della matematica. L’esempio
successivo, invece, contiene una similitudine astronomica attraverso la quale l’autore illustra
al lettore quanto sia grande il sollievo quando suona la sirena di mezzogiorno.
138
BELPOLITI M., op. cit., p. 370-371. Si veda anche NYSTEDT J., Le opere di Primo Levi viste al computer.
Osservazioni stilolinguistiche, Stockholm, Almqvist & Wiksell International, 1993. 139
AMSALLEM D., Le symbolisme du chien: Primo Levi et la littérature juive après la Shoah, in “Chroniques
Italiennes”, n. 33-34, 1993, p. 43. 140
LEVI P., Se questo è un uomo, cit., p. 38. 141
PORRO M., Scienza, in: BELPOLITI M., Primo Levi, “Riga”, n. 13, Milano, Marcos y Marcos, 1997, pp.
434-475.
48
Naturalmente le metafore e le similitudini con un valore esplicativo non si limitano ai campi
semantici precedentemente menzionati. La metafora della notte – che, tuttavia, come il nome
fa intuire, è più presente ne La nuit – e quella dell’inferno, specie quello dantesco, che
sottende la descrizione del Lager sono emblematiche della letteratura concentrazionaria142
:
Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora
né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente. (SQU, p. 17)
Proprio così, punto per punto: vagoni merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini donne bambini, [...] in
viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo. (SQU, p. 14)
È un soldato tedesco, irto d’armi [...] Accende una pila tascabile, e invece di gridare “Guai a voi,
anime prave”, ci domanda cortesemente ad uno ad uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo
danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono più. Non è un comando, non è regolamento
questo: si vede bene che è una piccola iniziativa privata del nostro caronte. (SQU, p. 18)
Ora dopo ora, questa prima lunghissima giornata di antinferno volge al termine (SQU, p. 25)
Per quanto riguarda la metafora della notte possiamo dire brevemente che, visto che il buio è
già calato al momento della prima selezione, subito dopo l’arrivo dei deportati ad Auschwitz,
la parola notte si riferisce metaforicamente alla morte che divora coloro che dovranno andare
nelle camere gas. Più elaborata, invece, è la metafora dell’Inferno dantesco che è presente fin
dalle primissime pagine che narrano il viaggio verso Auschwitz che viene descritto come un
viaggio “verso il fondo”. Senza la Divina Commedia, il sintagma sul fondo – che compare a
varie riprese, innanzitutto nel capitolo eponimo – non avrebbe mai avuto la medesima
connotazione. Inoltre, la scena dell’ingresso nel campo di concentramento ricalca in modo
esplicito l’entrata che viene descritta nel canto terzo dell’Inferno, nel senso che Primo Levi
trasforma il demone dell’inferno cristiano, vale a dire Caronte, in un demone dell’inferno
moderno. Si noti, infine, che l’autore rende il riferimento a questo canto ancora più esplicito
citando letteralmente uno dei versi. Proporre in questa sede una lista esaustiva dei parallelismi
tra l’Inferno dantesco e Auschwitz, come viene descritto in Se questo è un uomo, risulta
impossibile per ragioni di spazio, ma la cosa più importante da ricordare è che Primo Levi si
serve dell’Inferno dantesco per dare al lettore una migliore comprensione della condizione
sempre più insopportabile dei prigionieri. Oltre alla loro funzione concretizzante, queste
metafore della notte e dell’inferno rivestono pure una funzione liricizzante, dal momento che
Levi “abbandona per un attimo la sua natura attenta e rigorosa di uomo di scienza per
142
Si veda il saggio pubblicato sulla rivista online Revue Silène, cfr. CHATTI M., Le symbole de l’enfer dans les
récits de déportation, in: http://www.revue-silene.com/iamages/30/extrait_148.pdf, ultima verifica 18-05-2016.
49
spingersi verso usi della similitudine [e della metafora] più puramente letterari”143
. Vale a dire
che in Se questo è un uomo non mancano esempi di similitudini liricizzanti:
L’alba ci colse come un tradimento; [...] (SQU, p. 14)
Il tempo di meditare, il tempo di stabilire erano conchiuse, e ogni moto di ragione si sciolse nel tumulto
senza vincoli, su cui, dolorosi come colpi di spada, emergevano in un lampo, così vicini ancora nel
tempo e nello spazio, i ricordi buoni delle nostre case. (SQU, p. 14)
Quando questa musica suona, noi sappiamo che i compagni, fuori nella nebbia, partono in marcia
come automi; le loro anime sono morte e la musica li sospinge, come il vento le foglie secche, e si
sostituisce alla loro volontà. (SQU, p. 45)
Ci troviamo davanti a tre similitudini più espressive rispetto a quelle tecniche, tratte dal
campo semantico del mondo animale o della scienza. Esse fungono sempre da concretizzatori
ma aggiungono anche un certo grado di drammaticità, allo scopo di coinvolgere
maggiormente il lettore nell’argomento trattato nel libro. Il terzo brano, per esempio, contiene
una similitudine chiaramente ispirata a una delle più note similitudini dantesche: “Come
d’autunno si levan le foglie / L’una appresso dell’altra” (Inf. III, 112-113)144
. Primo Levi
riprende infatti un topos letterario molto celebre, cioè quello del paragone tra la vita umana e
le foglie di un albero, che viene tra l’altro utilizzato da Virgilio, da Mimnermo, da Omero, ma
pure da poeti novecenteschi; si pensi ad esempio alla poesia Soldati di Ungaretti. Che Levi sia
intriso di buona cultura letteraria viene pure confermato dagli esempi successivi, nei quali fa
esplicitamente riferimento ad alcuni capolavori della letteratura classica ed europea:
La Torre del Carburo [...] siamo noi che l’abbiamo costruita. I suoi mattoni sono stati chiamati Ziegel,
briques, tegula, cegli, kamenny, bricks, téglak e l’odio li ha cementati; l’odio e la discordia, come la
Torre di Babele, e così non la chiamiamo: Babelturm, Bobelturm ; e odiamo in essa il sogno demente di
grandezza dei nostri padroni, il loro disprezzo di Dio e degli uomini, di noi uomini. (SQU, p. 65)
Eccoci di nuovo per le scale. Alex vola gli scalini: ha le scarpe di cuoio perché non è ebreo, è leggero
sui piedi come i diavoli di Malebolge. (SQU, p. 96)
Alex viene [...] relegato da parte, ed io mi sento come Edipo davanti alla Sfinge. (SQU, p. 94)
Poiché la doccia è obbligatoria, occorre ai Blockälteste un sistema di controllo che permetta di
applicare sanzioni a chi vi si sottrae: per lo più, un fiduciario del Block si installa sulla porta, e tasta
come Polifemo chi esce per sentire se è bagnato; (SQU, p. 131)
143
FILIPPINI L., op. cit., p. 75. 144
MATTIODA E., COLONNA M. & COSTA L., Il poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra. La
Divina Commedia, Torino, Loescher Editore, 2010, p. 66.
50
Mi ricorda i cani da slitta dei libri di London, che faticano fino all'ultimo respiro [...] (SQU, p. 38)
Negli esempi riportati qui sopra viene fatto riferimento rispettivamente alla Genesi, alla
Divina Commedia di Dante, a Edipo Re di Sofocle, all’Odissea di Omero e a The Call of the
Wild dello scrittore statunitense Jack London. Spiccano soprattutto le numerose ricorrenze –
seppur non sempre sotto la forma di metafora o di similitudine – di figure della mitologia
greca: Edipo, Ercole, Tantalo, Ulisse, Polifemo e via dicendo. Alla luce di quanto finora detto,
possiamo affermare che le metafore e le similitudini esercitano un peso significativo in Se
questo è un uomo – dal momento che consentono all’autore di comunicare in modo chiaro e
limpido la propria esperienza – ma che, oltre a quelle esplicative, alcune rivestono una
funzione non tanto pratica, quanto piuttosto letteraria ed estetica.
Non sorprende che pure ne La nuit si riscontri un ampio uso di metafore e di similitudini.
Colpisce in primo luogo che, esattamente come in Se questo è un uomo, molte di queste siano
dominate da figure tratte dal mondo degli animali, volte a precisare – ossia a rendere più
immaginabile – il processo di disumanizzazione al quale sono sottoposti i prigionieri. In altre
parole, il paragone tra uomo e animale viene ampiamente utilizzato nella letteratura
concentrazionaria per togliere umanità ai prigionieri e, quindi, per mettere in risalto le
condizioni inumane che essi devono sopportare quotidianamente ad Auschwitz:
Ils s’en allaient déchus, traînant leur sac, traînant leur vie, abandonnant leurs foyers et leurs années
d’enfance, comme des chiens battus. (LN, p. 53)
Les S.S. nous firent presser le pas. « Plus vite, canailles, chiens pouilleux! » (LN, p. 155)
Si quelqu’un manque, vous serez tous fusillés, comme des chiens…(LN, p. 63)
Un homme grand, la trentaine, le crime inscrit sur son front et dans ses pupilles. Il nous dévisageait
comme une bande de chiens lépreux s’accrochant à la vie. (LN, p. 85)
Il faut faire quelque chose. Il ne faut pas nous laisser tuer, ne pas aller comme le bétail à l’abattoir. Il
faut nous révolter. (LN, p. 73-74)
Dans le wagon où le pain était tombé, une véritable bataille avait éclaté. On se jetait les uns sur les
autres [...] se mordant. Des bêtes de proies déchaînées, la haine animale dans les yeux; (LN, p. 178)
Revenu à moi, j’essayai de ralentir un peu le pas. Mais il n’y avait pas moyen. Ces vagues d’hommes
déferlaient comme un raz-de-marée, et m’auraient écrasé comme une fourmi. (LN, p. 158)
En plein milieu de l’allée, deux chaudrons de soupe, sans personne pour les garder! [...] Deux agneaux
guettés par des centaines de loups. Deux agneaux sans berger, offerts. Mais qui l’oserait? (LN, p. 116)
51
Come si può vedere dai primi quattro esempi, il cane si presenta come il figurante animalesco
per eccellenza, il che spesso accade nell’ambito della letteratura concentrazionaria. Ciò
nonostante, sono pure numerose le figure retoriche che si riferiscono ad altri membri del
regno animale, come, ad esempio, la similitudine tra il giovane Eliezer e una formica che
rischia di venire calpestata dall’ondata di persone che la circondano, che è tesa a sottolineare
la fragilità del protagonista. A tal proposito è pure simbolico il brano nel quale Elie Wiesel
paragona, per via metaforica, i prigionieri a un branco di lupi allo scopo di rendere chiaro al
lettore quanto essi siano affamati. Si noti che Wiesel – come Levi – fa ricorso al campo
semantico animalesco per concretizzare il proprio discorso anziché per drammatizzarlo.
Riportiamo di seguito alcune metafore e similitudini tratte da altri campi semantici:
Le son d'un violon dans la baraque obscure où des morts s'entassaient sur les vivants. Quel était le fou
qui jouait du violon ici, au bord de sa propre tombe? (LN, p. 170)
Nous marchions lentement, comme après un corbillard, suivant notre enterrement. (LN, p. 77-78)
Je marchais dans un cimetière. Parmi des corps raidis, des bûches de bois. Pas un cri de détresse, pas
une plainte, rien qu'une agonie en masse, silencieuse. (LN, p. 161)
Le septième jour de Pâques, le rideau se leva: les Allemands arrêtèrent les chefs de la communauté
juive. [...] La course vers la mort avait commencé. (LN, p. 42)
L’entracte était terminé. Au bout d’une heure, on vit revenir les kommandos, au pas [...] (LN, p. 119)
Nel primo passo, abbiamo a che fare con una metafora molto forte: Elie Wiesel si domanda
perché il giovane prigioniero Idek stia suonando il violino nella propria tomba, cioè nella
caserma dove è consentito ai prigionieri riprendere fiato dopo una lunga ed estenuante
camminata in condizioni infernali. Il dominio sorgente, ossia il campo semantico dal quale è
tratta la metafora, nei due esempi successivi è pure quello della morte: nell’uno, una colonna
di prigionieri in marcia viene comparata a un corteo di persone in lutto che camminano
seguendo un carro funebre, e nell’altro, la fabbrica abbandonata, nella quale i prigionieri
devono passare la notte durante la cosiddetta marcia della morte, viene rappresentata come un
cimetero. Altro campo semantico utilizzato ne La nuit è quello del teatro. Nel quarto brano, ad
esempio, la metafora del sipario che si alza ha come scopo quello di sottolineare il fatto di
come, dall’arresto di uno dei capi della comunità ebraica di Sighet in poi, si scateni l’inferno.
E questo ci porta ad un altro gruppo di metafore e di similitudini: quello con figuranti tratti dal
campo semantico dell’Inferno dantesco, che – come abbiamo avuto modo di vedere – sono
pure fortemente presenti in Levi.
52
Mais d’autres disaient qu’il fallait jeûner, [...] parce que c’était un danger de le faire. Il fallait montrer
à Dieu que même ici, dans cet enfer clos, on était capable de chanter Ses louanges. (LN, p. 130)
C'est un paradis, aujourd'hui, comparé à ce que le camp était il y a deux ans. Buna était alors un vrai
enfer. Il n'y avait pas d'eau, pas de couvertures, moins de soupe et de pain. (LN, p. 132)
Dans un ultime moment de lucidité, il me sembla que nous étions des âmes maudites errant dans le
monde du néant, des âmes condamnées à errer à travers les espaces jusqu’à la fin des générations, à la
recherche de leur rédemption, en quête de l’oubli – sans espoir de le trouver. (LN, p. 82)
La studiosa Domnica Radulescu sostiene giustamente che “what Dante imagines in his
Inferno, Wiesel and the characters of his book experience in flesh and blood”145
. Lo scrittore
rumeno si ispira quindi a un inferno immaginario per descriverne uno reale, il che viene
testimoniato dal fatto che l’intera memoria di Elie Wiesel – esattamente come quella del suo
amico italiano – sia intessuta di immagini dantesche: abbondano non solo riferimenti espliciti
all’inferno, di cui sono un esempio i primi due passi citati, ma anche riferimenti più o meno
impliciti a suoni infernali, a fumo, a fiamme e via dicendo146
. Per quanto riguarda il terzo
esempio, risulta quasi impossibile non individuarne il nesso evidente con l’Inferno dantesco,
giacché i prigionieri vengono descritti come anime maledette costretti a errare per l’eternità,
senza nemmeno un briciolo di speranza.
Si noti che, nella presente analisi delle metafore e delle similitudini ne La nuit, il grado di
espressività degli esempi che forniamo sta diventando gradualmente più elevato. In generale,
rispetto a Levi, Wiesel si serve assai più spesso di concetti astratti e, di conseguenza, più
letterari per descrivere la raccapricciante realtà. In altre parole, mentre in Se questo è un uomo
l’uso drammatizzante – ossia liricizzante, per utilizzare il termine proposto da Pier Vincenzo
Mengaldo – si limita ad alcune specifiche zone ricche di pathos, esso è assai più diffuso ne La
nuit. In ciò che segue, discuteremo brevemente di alcune metafore puramente letterarie.
Nous ne recevions aucune nourriture. Nous vivions de neige : elle tenait lieu du pain. Les jours
ressemblaient aux nuits et les nuits laissaient dans notre âme la lie de leur obscurité. (LN, p.176)
Mediante la metafora sostenuta della notte – che, dato il titolo del libro, non a caso costituisce
il vero e proprio Leitmotiv di esso – Elie Wiesel enfatizza che considera il periodo ad
Auschwitz come il periodo più buio della propria vita ossia come una notta senza fine. Ciò
145
RADULESCU D., Elie Wiesel’s Night: The Death of Hope and Romania’s Problematic Moral Stand in
Relation to the Holocaust, in: TEODORESCU J. & GLAJAR V. (ed.), Local History, Transnational Memory in
Romanian Holocaust, Basingstoke, Pagrave Macmillan, 2011, p. 198. 146
Per un’analisi esauriente delle analogie e delle differenze tra la Divina Commedia di Dante e La nuit di Elie
Wiesel cfr. RADULESCU D., op. cit., pp. 197-202.
53
emerge tra l’altro dal passo citato qui sopra, nel quale egli afferma che ad Auschwitz i giorni
assomigliano alle notti. Come ci si potrebbe aspettare, l’immagine della notte – utilizzata a
simboleggiare un insieme di concetti come, tra l’altro, la morte, l’oscurità dell’anima e la
perdita della fede – si presenta assai frequentemente ne La nuit: si contano ben cinquantasette
riccorrenze della parola nuit. Altra metafora puramente letteraria e, quindi, volta innanzitutto
a suscitare una reazione nel lettore è quella del fuoco che divora l’anima del prigioniero:
La nuit avait complètement passé. [...] J’étais devenu un tout autre homme, moi aussi. L'étudiant
talmudiste, l'enfant que j'étais s'étaient consumés dans les flammes. il ne restait plus qu'une forme qui
me ressemblait. Une flamme noire s'était introduite dans mon âme et l'avait dévorée. (LN, p. 83)
Nous tentions d'expliquer, pour nous tranquilliser, pour reprendre notre propre souffle beaucoup plus
que pour la consoler: « Elle doit avoir si soif, la pauvre! C'est pour cela qu'elle parle du feu qui la
dévore ... » Mais tout était vain. (LN, 65-66)
Les étoiles n’étaient que les étincelles du grand feu qui nous dévorait. Que ce feu vienne à s’éteindre un
jour, il n’y aurait plus rien au ciel, il n’y aurait que des étoiles éteintes, des yeux morts. (LN, p. 58-59)
Nei passi citati, Elie Wiesel mette in risalto quanto sia distruttiva, sia sul piano fisico che su
quello mentale, l’internamento ad Auschwitz. Esattamente come in Se questo è un uomo, pure
ne La nuit ritroviamo il paragone tra l’uomo e le foglie di un albero, vale a dire uno dei topoi
letterari più emblematici, del quale abbiamo parlato in precedenza:
De jour en jour il s'affaiblissait, le regard voilé, le visage couleur de feuilles mortes. (LN, p. 188)
L’ultimo esempio che forniremo a proposito dell’uso liricizzante della metafora rimanda
all’episodio nel quale i prigionieri ebraici arrivano nel campo di concentramento.
Il ne faut pas perdre confiance, même si l’épée est suspendue au-dessus des têtes. Ainsi parlaient nos
Sages. Le vent de révolte s’apaisa. Nous continuâmes de marcher jusqu’à un carrefour. (LN, p. 74)
Dopo essere scesi dal treno, vedendo le fiamme salire dall’alto camino del crematorio, i
prigionieri capiscono quasi subitamente che Auschwitz non è un luogo dal quale si esce vivo.
Tuttavia, alcuni uomini più vecchi tentano di consolarli dicendo di non perdere mai la fiducia,
anche quando una spada ben affilata è sospesa al di sopra delle loro teste. Questa espressione
metaforica è una chiara allusione alla leggenda di Damocle – descritta per la prima volta dallo
storico Timeo di Tauromenio e tra l’altro ripresa da Cicerone, Orazio e Boezio – e viene
utilizzata dall’autore per indicare al lettore il grave pericolo imminente.
54
V.4. Conclusioni intermedie sul confronto stilistico
Al lettore attento non sarà sfuggito che l’analisi delle similitudini e delle metafore ne La nuit
si è concentrata su queste ultime e che, nel caso di Se questo è un uomo, abbiamo
prevalentemente fornito degli esempi di similitudini. Questo non è un caso perché, al
contrario della memoria di Elie Wiesel, quella di Primo Levi si caratterizza da una netta
prevalenza di similitudini. Come rileva Pier Vincenzo Mengaldo questa prevalenza è “in
armonia con la razionalità analitica e discorsiva che prevale in Levi”147
. In altre parole, la
metafora – essendo una figura retorica assai più espressiva rispetto alla similitudine – viene
meno utilizzata da Primo Levi, visto che nella sua scrittura l’aspetto stilistico è subalterno
all’impegno di testimoniare, ossia di trasmettere questa pagina nera della storia nel modo più
limpido ed esplicito possibile. Ne La nuit, invece, nonostante il fatto che le similitudini
concretizzanti non siano pochi, spicca soprattutto la forte presenza di metafore espressive.
Inoltre, colpisce che – mentre Primo Levi fa prevalentemente ricorso a un immaginario e a un
vocabolario riconoscibile148
– Elie Wiesel utilizza spesso dei domini sorgenti più astratti.
Dall’analisi delle metafore e delle similitudini risulta quindi chiaro che ne La nuit vi è una
chiara tendenza drammatizzante ossia liricizzante. Essa si riflette pure nell’uso delle figure di
ripetizione, delle quali la maggioranza – anche se il valore pratico non è mai completamente
assente – è volta innanzitutto ad aumentare il livello di pathos.
Alla luce di quanto detto, possiamo concludere che La nuit si rivela un’opera chiaramente più
soggettiva e di conseguenza più commovente rispetto a Se questo è un uomo. La trasmissione
fortemente emotiva di Elie Wiesel può essere attribuita tra l’altro alla sua età più giovane e al
fatto che egli, oltre a perdere la sua fede nell’umanità, perde pure la fede in Dio. La
conclusione alla quale siamo giunti è infatti molto simile a quanto affermato da Jonathan
Druker e da Michael Rothberg nel loro saggio intitolato Primo Levi’s Place in American
Holocaust Discourse: “Levi’s reputation for sobriety and secular reason has left him with less
of a popular base than Wiesel – who is by far the most well-known person in America
associated with the Holocaust – but it has solidified his reception among intellectuals”149
.
147
MENGALDO P.V., op. cit., p. 223. 148
TRAVERSI V.M.M., Per dire l’orrore: Primo Levi e Dante, in: “DANTE”, n.5, 2008, p. 109. 149 DRUKER J. & ROTHBERG M., A secular alternative: Primo Levi’s Place in American Holocaust
Discourse, in: “Shofar: An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies”, vol.28, n.1, 2009, p. 105.
55
CONCLUSIONE
Nella presente tesi abbiamo sottoposto ad analisi due delle opere più importanti della
letteratura concentrazionaria: Se questo è un uomo di Primo Levi e La nuit di Elie Wiesel.
L’obiettivo era duplice: stabilire il genere letterario al quale appartengono, e studiare
mediante un’analisi comparativa delle figure retoriche più importanti il modo in cui i due
autori rispondono ai problemi comunicativi che le loro esperienze gli pongono.
Dall’analisi svolta alla luce della teoria di Philippe Lejeune si è evinto che entrambe le opere
costituiscono delle autobiografie con uno statuto molto particolare, nel senso che si discostano
su alcuni punti minori dalle norme dell’autobiografia tradizionale stabilite ne Le pacte
autobiographique. Questo statuto particolare è dovuto principalmente alla mancanza di enfasi
sull’individualità autoriale: sia in Se questo è un uomo che ne La nuit la vita individuale
dell’autore non costituisce tanto l’argomento principale, quanto piuttosto un modo per
rappresentare le sofferenze di tutti i sommersi, ossia per far vedere al pubblico un quadro più
ampio. Una volta stabilito il carattere autobiografico di entrambe le opere, abbiamo cercato di
determinare se esse siano delle memorie vere e proprie – appartenenti quindi al genere della
non-fiction – o se possano essere classificate sotto l’etichetta di autofiction.
Soprattutto nel caso di La nuit sorgono forti dubbi a proposito della realtà dell’esperienza
raccontata. Il fatto che esistono varianti di tipo contenutistico – delle quali è stata fornita una
breve campionatura all’interno del secondo capitolo – tra le diverse edizioni di La nuit, per
esempio, solleva diversi interrogativi quanto all’aderenza della narrazione ai fatti. Queste
modifiche apportate dall’autore potrebbero essere viste come una prova di inautenticità, il
che, come sostiene Susan Suleiman nel suo articolo Problems of Memory and Factuality in
Recent Holocaust Memoirs, viene sentito dal lettore come una violazione che scuote la sua
fiducia nell’autore150
. Inoltre, si nota anche qualche discrepanza con All rivers run to the sea,
un’altra memoria di Elie Wiesel nella quale il secondo e il terzo capitolo coprono il medesimo
periodo che viene trattato ne La nuit. Anche in questo caso, la variazione di certi elementi
contenutistici, seppur minori, fa sì che il lettore metta in dubbio la credibilità del libro in
quanto testimonianza. Ma tutte queste discrepanze costituiscono un motivo sufficiente per
classificare il libro come un’opera di autofiction? A nostro parere no. È innegabile che ne La
nuit si trovino degli elementi finzionali – o almeno non pienamente accertabili – ma questo
150
SULEIMAN S., Problems of Memory and Factuality in Recent Holocaust Memoirs: Wilkomirski/Wiesel, in:
“Poetics Today”, vol.21, n.3, 2000, p. 546.
56
fatto può, ad esempio, essere attribuito all’inaffidabilità della memoria umana. Un’altra
possibile spiegazione è l’inconscia presa di distanza di Elie Wiesel nei confronti delle atrocità
che sono accadute davanti ai suoi occhi. Rispetto a La nuit, Se questo è un uomo fornisce assai
meno motivi per affermare che si tratti di un’opera di autofiction poiché non presenta delle
discrepanze, né con altre versioni né con altre testimonianze uscite dalla penna di Primo Levi.
La maggior parte dei lettori crede quindi ciecamente che quello che viene descritto nel libro
sia la verità storica. Tuttavia, e questo è davvero notevole, è l’autore stesso a richiamare alla
cautela, sostenendo a varie riprese – sia in Se questo è un uomo che in I sommersi e i salvati –
che la propria memoria è una fonte “sospetta” in quanto soggetta all’usura del tempo. In altre
parole, Primo Levi si è industriato per ricordarsi la verità storica, essendo ben cosciente del
fatto che essa sia stata indubbiamente alterata nella sua mente. Sembra quindi che né Primo
Levi né Elie Wiesel abbiano deliberatamente inventato alcuni aspetti della loro testimonianza.
Tuttavia, non lo potremo mai affermare con piena certezza. Per questo motivo ci è sembrato
opportuno considerare entrambe le testimonianze come appartenenti a un genere a sé stante,
un genere che si colloca nello spazio intermedio tra fiction e non-fiction con una forte
tendenza verso quest’ultima. All’interno di questo genere, ciò che importa non è tanto la
verità storica quanto piuttosto il modo in cui essa viene percepita dall’individuo, ossia la
verità personale. Tuttavia, colpisce che Se questo è un uomo si presenti come un’opera più
oggettiva rispetto a La nuit.
La seconda parte della presente tesi, come si è detto, si è proposta di studiare il modo in cui
gli autori in questione affrontano le difficoltà di comunicazione, che sono date dalla natura
stessa delle loro esperienze. Questi problemi comunicativi pongono ineluttabilmente dei
problemi di tipo stilistico per chi scrive, come Primo Levi ed Elie Wiesel, un’opera
testimoniale: da un lato il discorso deve essere dotato di semplicità e di limpidezza, ma
dall’altro occorre anche una certa espressività per coinvolgere emotivamente il lettore151
.
Dall’analisi delle figure retoriche possiamo concludere che Se questo è un uomo e La nuit si
differenziano l’uno dall’altro per il rapporto tra queste due componenti: Primo Levi pone
l’accento sul primo aspetto ed Elie Wiesel sul secondo. In altre parole, mentre in Levi le
figure retoriche assumo prevalentemente una funzione chiarificatrice ed esplicativa, in Wiesel
si verifica una forte tendenza liricizzante. Significante a tal proposito l’uso delle similitudini e
delle metafore: mentre in Se questo è un uomo le similitudini e le metafore sono soprattutto
tratte dal mondo animale e dal mondo scientifico al fine di fornire al lettore delle immagini
151
FILIPPINI L., op. cit., p. 116.
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precise e facilmente comprensibili, ne La nuit, invece, nonostante il fatto che l’uso
concretizzante non sia affatto assente, spiccano soprattutto le metafore espressive volte a
suscitare nel lettore una reazione emotiva. Che, nella scrittura leviana, la volontà di
coinvolgere il lettore sia subalterna all’impegno di trasmettere la sua esperienza in modo più
preciso possibile, viene pure confermato dall’uso delle figure di ripetizione: mentre ne La nuit
prevale l’uso intensificante ossia drammatizzante, in Se questo è un uomo esse rivestono
primariamente una funzione strutturante ed esplicativa. Questa è probabilmente una delle
ragioni per le quali Se questo è un uomo – come abbiamo visto nel secondo capitolo – viene
generalmente considerato un’opera meno soggettiva rispetto a quella di Elie Wiesel. Va
comunque notato che nell’opera testimoniale di Levi non manca un uso liricizzante delle
figure retoriche, ma esso non si manifesta in maniera così esplicita come ne La nuit. Che
l’opera di Elie Wiesel sia carica di emozione è ascrivibile, tra l’altro, alla sua età più giovane,
alla sua crisi di fede e al fatto che ha assistito alla morte del padre. Levi, invece, a causa della
sua maturità, sembra avere un modo migliore per far fronte a ciò che gli accade. La razionalità
che caratterizza Se questo è un uomo può anche essere spiegata con la formazione scientifica
di Levi e con il fatto che non è un ebreo praticante. Le esperienze narrate in queste due prose
sono quindi fondamentalmente diverse, il che si rispecchia nello stile.
Giacché in questo lavoro abbiamo soltanto analizzato le figure retoriche principali, crediamo
che sarebbe molto interessante estendere questa analisi comparativa ad altri aspetti stilistici –
quali la punteggiatura e l’uso degli aggettivi e degli avverbi – per studiare se e, in caso
affermativo, come essi varino a seconda dell’autore.
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