Onstage Magazine novembre 2012

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/BS FLORENCE + THE MACHINE | BLOC PARTY | MIDGE URE | LED ZEPPELIN | QUEEN Neri di rabbia Dischi bollenti Dreams come true SKUNK ANANSIE Skin&co. hanno sfornato un disco rabbioso. In attesa dei live italiani, ci spiegano perchè AEROSMITH Music From Another Dimension! è come una cena con vecchi compagni di sbronze CESARE CREMONINI “Il tour che ho sempre sognato per le mie canzoni” è oggi realtà. Cesare ci racconta come ha fatto MUSE la migliore live band della storia (parola di nme, BIBBIA DEL ROCK INGLESE) arriva in italia per confermare la supremazia. uno spettacolo potente «CON ALIENI DANZANTI E ALTRE TROVATE DEL GENERE» Celebration Cover story JIMI HENDRIX A 70 anni dalla sua nascita, esce la biografia di “Buster” scritta dal fratello minore Leon Hendrix. Un ritratto intimo e inedito della vita di Jimi www.onstageweb.com Anno VI, n.57 - 2 novembre 2012

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/BS

FLORENCE + THE MACHINE | BLOC PARTY | MIDGE URE | LED ZEPPELIN | QUEEN

Neri di rabbia

Dischi bollenti

Dreams come true

SKUNK ANANSIESkin&co. hanno sfornato un disco rabbioso. In attesa dei live italiani, ci spiegano perchè

AEROSMITHMusic From Another Dimension! è come una cena con vecchi compagni di sbronze

CESARE CREMONINI“Il tour che ho sempre sognato per le mie canzoni” è oggi realtà. Cesare ci racconta come ha fatto

MUSEla migliore live band della storia (parola di nme,

BIBBIA DEL ROCK INGLESE) arriva in italia per confermare la supremazia. uno spettacolo potente «CON ALIENI

DANZANTI E ALTRE TROVATE DEL GENERE»

Celebration

Cover story

JIMI HENDRIXA 70 anni dalla sua nascita, esce la biografia di “Buster”

scritta dal fratello minore Leon Hendrix. Un ritratto intimo

e inedito della vita di Jimi

www.onstageweb.comAnno VI, n.57 - 2 novembre 2012

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ONSTAGE 04 NOVEMBRE

EDITORIALE

ConcertiMUSE: 16/11 Unipol Arena, Bologna; SKUNK ANANSIE: 19/11 Mediolanum Forum, Assago (MI); 20/11 Palalottomatica, Roma; CESARE CREMONINI: 16-17/11 Paladozza, Bologna;MARRACASH: 20/11 Alcatraz, Milano;FLORENCE + THE MACHINE: 20/11 Mediolanum Forum, Assago (MI);

MILANOBar Magenta, Banghrabar, Biblioteca Sormani, Blender, Bond, Cafè Milano, Cargo Colonial Cafè, Cuore, Deseo, Exploit, Felice-San Sushi, Frank Cafè, Fresco Art, Grey Cat Pub, Huggy Bar, Ied, Item, Jamaica, Julien Cafè, Kapuziner, La Bodeguita del Medio, La Caffetteria, La Voglia Di, Le Coquetel, Le Scimmie, Lelephant, Magazzini Generali, Maxi Bar, Mom Cafè, Morgan’s, Pacino Cafè, Pharmacy Store, Refeel, Roialto Cafè, Salezucchero, Sergent Peppers, Skip Intro, Stardust, Sushi, The Good Fellas, Trattoria Toscana, Twelve, Union, Volo, Yguana ROMAAvalon Pub, Birreria Marconi, Cartolibreria Freak Out, Casina dei Pini, Circolo degli Artisti, Crazy Bull, Deja’Vu, Distillerie Clandestine, Express, Fata Morgana, Freni e Fri-zioni, Friend’s Art Cafè, L’Infernotto, Latte Più, Le Sorelle, Lettere, Cafè, Living Room Cafè, Locanda Atlantide, Micca Club, Mom Art, On The Rox, Open Music Cafè, Pride Pub, Rock Castle Cafè, Shanti, Simposio, Sotto Casa Di Andrea, Sotto Sotto, Tam Tam, Zen.O PADOVABaessato Wine Bar

Registrazione al Tribunale di Milano n. 362 del 01/06/2007

ONSTAgE MAgAzINE ON TOUR NOVEMBRE 2012

a

a Locali

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Hanno collaboratoAntonio Bracco, Blueglue, Jacopo Casati, Francesco Chini, Claudia Falzone, Luca Garrò, Massimo Longoni, Emanuele Mancini, Claudio Morsenchio, Marco Rigamonti, Giovanni Spreafico, Raffaella Turati, Cristina Valentini.

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l cinema sembra essere la nuova frontiera dell’in-dustria musicale. Tra ottobre e novembre, sono moltissimi gli eventi programmati sul grande schermo. Dai Led Zeppelin a Vasco, dai Coldplay

ai Beatles, passando per i Guns N’ Roses. Ci sarebbero anche i Rolling Stones, ma non qui da noi (per il mo-mento). Si tratta di proiezioni speciali, spesso con data unica e unico circuito di sale. Ma l’esclusività non sem-bra essere un problema, anzi. Funziona benissimo, lo di-mostrano i dati di affluenza: Celebration Day, il film che documenta il concerto-reunion del 2007 dei Led Zeppe-lin a Londra, in Italia ha incassato 560 mila euro in una sola notte, registrando 48.000 spettatori - è stata natural-mente la pellicola più vista del 17 ottobre. Oltre agli Zep, è andato molto bene anche Ligabue l’anno scorso, così come il film sui vent’anni dei Pearl Jam, girato da Ca-meron Crowe, uscito a settembre 2011 (tanto che ci sarà una nuova proiezione dello stesso documentario con 20 minuti di scene extra). Bene era andato, qualche anno fa, anche U23D, docu-film tridimensionale sullo straor-dinario ultimo tour di Bono e compagni. Insomma, sono molti gli esempi di successo. Chiaramente si tratta di artisti che hanno un seguito enorme, per cui è più facile riempire le sale. Ma il segnale importante è un altro.

Bisognerebbe chiedere a un discografico quale sia l’impatto reale di queste operazioni sul music business e quindi le ripercussioni sulla musica stessa. Un po’ di ossigeno per far ripartire entusiasmo, idee, investi-menti? Oppure solo qualche rapida schiarita in un cielo gonfio di nubi nere? Faremo la domanda a chi può ri-sponderci. Ma c’è un aspetto che vale la pena compren-dere a prescindere dal resto: perchè il pubblico reagisce con entusiasmo all’esperimento. Il “canale cinema” ha

il merito di dimostrare che una proposta unica perché qualitativamente alta è sempre di successo, anche se ha un prezzo e anche in un momento come questo, in cui è più facile stare a casa che uscire. La tecnologia audio e video che supporta le proiezioni rende la fruizione mu-sicale al cinema un’esperienza irripetibile, stimolando emotivamente gli spettatori fino a tirargli fuori quella passione che normalmente corre senza briglie solo du-rante i concerti.

Tecnologia più qualità più passione. Uguale innova-zione, sinonimo di successo. È questa la formula che tutto muove. Questo vogliamo e questo dobbiamo dare, a seconda della posizione da cui si parte. È un discorso che chiama in causa i musicisti, tutto il mondo che gli ruota attorno, promoter e discografici in primis. Chiama in causa politici, imprenditori, dirigenti e professioni-sti, giornalisti, direttori, impiegati. Tutti quelli che sono nella posizione di innovare hanno il dovere di provarci. Anche noi.

Ci stiamo preparando al 2013, che si preannuncia du-rissimo come e più del 2012, consapevoli che l’immobi-lismo non porta da nessuna parte, tantomeno in un pe-riodo come questo. Vogliamo innovare fino al punto di stravolgere quanto abbiamo fatto fino ad oggi. Onstage sarà nuovo, diverso e altro. Nuovo perché cambieremo formato e stile. Diverso perché il nostro raggio d’azione, in termini di contenuti, sarà molto più ampio: ci prende-remo più responsabilità. Altro perché vareremo un’edi-zione digitale che non sarà semplicemente il formato pdf della rivista cartacea che stamperemo ogni mese, ma sfrutterà tutte le possibilità che offre oggi il web. Tecno-logia, qualità e passione. È il nostro mantra. Ancora un paio di numeri e cambiamo le regole del gioco.

I

Daniele SalomoneTwitter: @DanieleSalomone

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INDICE

rubriche

08 Celebration Jimi Hendrix. Il più grande chitarrista che il Rock abbia avuto la fortu-na di ammira-re, nasceva il 27 settembre di 70 anni fa a Seattle. La sua vita oggi rivive nel libro del fratello Leon, di cui pubblichiamo la prefazione a cura di Enzo Gentile.

11 Jukebox Florence + The Machine a Mi-lano, i Gaslight Anthem, il Festival del Ci-nema di Roma, il Celebration Day dei Led Zeppelin, il C2C, il live dei Queen a Budapest e... La possibilità di vincere i vinili di Bob Dylan, Band Of Horses e The Vaccines.

16 Face to face Abbiamo incontrato Gor-don Moakes, bassista dei Bloc Party, pri-ma dell’unica data italiana prevista a Milano l’8 novembre, e Midge Ure, noto ai più per la hit mondiale Breathe, che torna in Italia con i suoi Ultravox.

39 What’s New Gli Aerosmith tornano con un album dal par-to travagliato e ricco di ballato-ne che faranno emozionare le fan di mezzo mondo. E anco-ra: Soundgarden, Kiss, Neil Young, No Doubt, Battiato. Per finire gli immancabili film e games.

46 Coming Soon Dopo il sold out registrato all’ul-timo concerto milanese del 30 gennaio 2012, i Black Keys tornano in Italia per un’unica data a Torino.

ONSTAGE 06 NOVEMBRE

Onstageweb.cominterviste foto live contest

One DirectionNiccolò FabiSoundgardenUltravoxThe Gaslight Anthem

Cesare CremoniniGossipMuse Skunk AnansieMikaThe Rasmus

Bob DylanThe VaccinesCalexicoBand Of Horses

facebook/ONSTAGE MAGAZINEtwitter/ONSTAGEMAGAZINE

34 MarracashChi altro potrebbe essere il King del Rap se non colui che è riuscito ad entrare con un elefante in Barona? Marra non si risparmia mai e per questo ha deciso di tornare dal vivo (nei club) questo autunno. Prima di tornare in studio, anche nelle vesti di produttore. E chissà, forse anche dedicarsi alla letteratura. Ci ha spiegato tutto lui.

20 MuseDue soli appuntamenti a disposizione dei fan italiani per ammirare quella che per molti è la miglior live band del mondo. Matt Bellamy e compagni portano sul palco lo strepitoso ultimo lavoro The 2nd Law incorniciato in una scenografia futuristica. Che, parola loro, «è piena di alieni e altre trovate particolari»

26 Skunk AnansieAmatissimi dal pubblico italiano, gli inglesi arrivano nel nostro paese a novembre per tre attesissimi concerti: Milano, Roma e Jesolo. Oltre alle storiche hit, suoneranno dal vivo il nuovo Black Traffic, un disco ar-rabbiato figlio di un nuovo processo creativo e produttivo. Ne abbiamo parlato con Skin, Ace e Mark.

30 Cesare Cremonini Il suo ultimo lavoro, La teoria dei colori, sembra aver regalato la de-finitiva consacrazione al cantautore bolognese che ora - finalmente - può godersi il frutto di anni spesi macinando ottimi dischi e live trascinanti. Si è raccontato al nostro direttore prima di salire sul palco del Forum di Assago.

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è un viaggio a tratti scuro, impegnativo, scomo-do quello cui ci introduce Leon, dove siamo traghettati senza il bisogno o il desiderio di attenuanti e ammortizzatori, con esclusione di

perifrasi, giochi di parole, simulazioni. E quando si inter-rompe la permanenza di Jimi su questa Terra, il racconto di Leon prosegue con i particolari anche aspri, una volta di più impietosi, sulla gestione della eredità, sui giochi meschini per accaparrarsi i frutti di una carriera fulmi-nante quanto pregiata, sontuosa in ogni sua sfumatura.Peraltro nelle pagine di un libro dove per la prima volta Leon dedica tanto spazio e attenzione al suo rapporto con Jimi, si affronta poco o nulla dei dischi o della carriera in senso stretto del più grande chitarrista di tutti i tempi. Per quello ci sono e ci saranno fior di biografi, storici, ese-geti, in grado di immortalare i gesti, le collaborazioni, la fase creativa di Jimi, di cui la dimensione professionale, in oltre quarant’anni, è stata passata al setaccio - o al micro-scopio -, con la dedizione di studiosi-entomologi: i quali tuttavia non sono riusciti a spiegare, a decifrare del tutto quello che, parafrasando Winston Churchill, potremmo catalogare come “un enigma nel segreto, circondato dal mistero”.

Su tanti episodi mandati a memoria grazie a pubbli-cazioni e documentari, Leon sorvola serenamente, per privilegiare il profilo umano, gli aspetti più intimi di una relazione in cui Jimi gli faceva da fratello e amico, tuto-re e padre aggiunto: i passatempi da bambini di strada, le scuole e gli studi a singhiozzo, l’ospitalità e l’affetto di parenti lontani o dei vicini di casa, e poi i lavoretti, le ma-rachelle, i primi amori, sono le tappe condivise, cui segui-ranno strade separate per un contatto però sempre saldo e impermeabile a qualsiasi avversità o distanza. Il tono che si sprigiona dalle parole, dalle cronache di Leon non indulge al sentimentalismo, né alla facile commozione: ci si imbatte invece in una serie di istantanee animate e pal-pitanti, con la musica di Jimi ad agitarsi sullo sfondo. Ca-larsi in questo diario, in frammenti di vita vissuta mai tan-to sinceri e scoperti, aiuta per un’ulteriore full immersion nelle composizioni e nelle performance di Hendrix: che in quelle poche stagioni folgoranti insegnò a guardare, ad

ascoltare il mondo in un altro modo, le antenne fuori dai santuari classici del pop-rock. Con un pugno di canzoni e l’indefesso attivismo dal palcoscenico Jimi mascherò un genere che grazie al suo avvento fu rivoltato come un guanto, rendendo ancora più palese e incongrua la routi-ne del genere leggero e dell’intrattenimento benpensante dei suoi tempi.

Quasi fosse spiovuto da un altro pianeta nella swingin’ London del 1966, l’ingresso di Hendrix nel mercato della musica avrebbe avuto conseguenze telluriche, con l’op-portunità di mettere a ferro e fuoco, grazie alla tempera-tura lavica della sua chitarra, una società dello spettaco-lo e della cultura di massa già in fase di metamorfosi. In quella età accompagnata da una gioventù floreale, acida, variopinta, a lato della strada maestra di Hendrix reste-ranno molte carcasse, le macerie di una musica di consu-mo; e risulta miracolosa, ora che abbiamo girato l’angolo di un nuovo millennio, la tenuta, la presenza, la viscerale modernità del linguaggio scaturito da quella passione autodidatta, selvaggia, educata – come rammenta Leon – solo dall’ascolto di una vecchia radio, unico stimolo tra le mura di una misera abitazione.

Oltre ai suoi genitori biologici, Jimi, o Buster come lo sentiamo nominare spesso nel libro, aveva una mamma e un papà ben precisi da cui partire e a cui rivolgersi: una chitarra rudimentale e il blues o, per allargare la visua-le, quella black music che sarà per sempre il carburante più valido per la sua musica. Suonare, per Jimi, era una missione, “the unforgettable fire”: in connessione totale e perpetua con l’universo. Le sue sembianze/invasioni barbariche, sottolineate con una malcelata vena razzista anche dalla stampa italiana in occasione dell’unico tour nel nostro paese - maggio 1968, una stagione non casua-le -, furono una sorta di cura, di argine alle degenerazio-ni più commerciali. E che i frutti dolci della musica di Hendrix, burrascosa di clangori e distorsioni, eppure di grandezza smisurata, in grado di produrre una gioia di fruizione esaltante, volassero in cima allo spirito di una generazione e alle classifiche internazionali di vendita va considerata la sintesi migliore di un taumaturgo-stregone esemplare.

HAPPY BIRTHDAY, BROTHER JIMI

Testo di Enzo Gentile

Il 27 novembre 1942, a Seattle, nasceva James Marshall Hendrix. 25 anni dopo, quel bimbo si sarebbe imposto come uno dei più visionari e talentuosi musicisti di tutti i tempi - status che conserva ancora oggi. Ma il suo inconfon-dibile stile chitarristico, le canzoni e l’attitudine alla sperimentazione sono solo una parte della storia. Quella che

conosciamo meglio, ma non l’unica. A settant’anni dalla sua nascita, Leon Hendrix, fratello minore del leggendario musicista, ha messo nero su bianco un ritratto intimo di “Buster”, di cui racconta la vita più che le gesta artistiche.

Pubblichiamo un estratto della prefazione di Jimi Hendrix - Mio fratello.

CELEBRATION

ONSTAGE 08 NOVEMBRE

Jimi Hendrix. Mio fratello (Skira)Esce il 21 novembre, a 70 anni dalla nascita dell’icona del rock, il libro scritto da Leon Hen-drix con Adam Mitchell. 292 pagine (prezzo di copertina 18,50 Euro) in cui il fratello minore di Jimi racconta il profilo umano di “Buster”, privilegiando - per una volta - la sua vita per-

sonale a quella artistica. Dall’infanzia a Seattle, segnata da povertà e rapporti difficili con i genitori, ai giorni del successo e degli eccessi, fino alla morte di Hendrix e ai burrascosi anni che ne seguono, segnati da scontri famigliari sulla gestione della sua eredità.

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CELEBRATION

ONSTAGE 09 NOVEMBRE

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un pieno di cervello

e fantasiaALLACCIA LE CINTURE E PARTI SUBITO CON LA TUA CREATIVITÀ.

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JUKEBOX

U n incrocio tra Botticelli, il punk e Marvin Gaye. Vi ho incuriosito? Lei è la nuova rossa del rock alternativo, e presto potrete final-mente vederla dal vivo anche qui in Italia.

Approda a Milano, il 20 novembre al Mediolanum Fo-rum, Florence + The Machine, band britannica dall’asce-sa prorompente guidata appunto da Florence Welch, tutta pallore e chioma infuocata. Arriva-no dopo una breve pausa e dopo aver girato Usa (due volte), Australia, Germania, Francia, Brasile e i maggiori festival europei estivi. Una sfacchi-nata, insomma, che alla ventiseienne cantante è quasi costata le corde vocali: a luglio ha dovuto fermarsi e saltare due date, per non rischiare di restare senza voce. Un anno intenso, dalla pubblicazione del secondo album Ceremonials (ottobre 2011) in poi.

Sul palco, accanto alla Welch ci sono i fedeli collabora-tori Isabella Summers (tastiere), nel gruppo fin dall’ini-zio e coautrice di alcuni brani, Rob Ackroyd (chitarra), Chris Hayden (batteria), e Tom Monger (arpa). E, per chi volesse un assaggio della potenza live di Florence + The Machine, può già pregustarsi il concerto in arrivo con il recentissimo dvd Mtv Unplugged, da cui emerge tutta la delicatezza raffinata e mai banale di quest’artista così

singolare. La Welch, solo a vederla, dà l’impressione di essere

uscita da un quadro preraffaellita, magari in versione un po’ più dark: un’immagine volutamente retrò e sofisti-cata, che si accosta a una voce decisamente potente e a tratti struggente. La musica è indefinibile: il primo disco,

Lungs (ovvero “polmoni”), già strano fin dalla copertina, era un mix di canzoni diversissime, alcune composte a 14 anni, che spaziavano da atmosfere eteree a indierock, pop un po’ elettrico e suoni d’arpa come se piovessero. Neanche a dirlo, semplicemente stupendo. Troppo elet-tronico a mio parere, e molto più uniformato nel suono, il secondo album che comunque offre spunti buoni, come Shake It Out e No Light, No Light: sarà interessante senti-re come verranno riproposti sul palco gli ultimi pezzi, meno diretti e intuitivi e più elaborati in studio.

Ottime prove dal vivo le hanno già date e non solo ai loro concerti, vedi il colpo messo a segno con l’esibizio-ne alla cerimonia degli Oscar 2011, insieme al musicista indiano A. R. Rahman (che ha vinto la celebre statuetta per la colonna sonora di The Millionaire) con If I Rise. Per non parlare del tributo ad Aretha Franklin ai Grammy

Awards 2011, al fianco di voci molto più black della sua come Christina Aguilera, Jennifer Hud-son, Martina McBride e Yolanda Adams: eppure Florence con la sua interpretazione di Think li ha stesi tutti! La ragazza ha talento da vendere, si spera solo che la voce non passi troppo in secon-do piano visti i tentativi del mondo della moda di fare di lei una icona fashion a tutti i costi: a

partire dal solito Karl Lagerfeld, capoccia di Chanel, che non si è accontentato di farla cantare dal vivo a chiusura della sua sfilata parigina a settembre 2011. Con lo stili-sta è nata una collaborazione che è sfociata in tre singoli su vinile in edizione limitata (Shake It Out, No Light, No Light e Never Let Me Go) con altrettante cover patinate a marchio Chanel. Che tentazione la moda, per Florence, amante degli abiti vintage e con un diploma in sospeso in design e illustrazione al Camberwell College of Arts di Londra: la musica prima di tutto, non te lo scordare.

La Welch, solo a vederla, dà l’impressione di essere uscita da un quadro preraffaellita,

magari in versione un po’ più dark: un’immagine volutamente retrò e sofisticata, che si accosta a una

voce decisamente potente e a tratti struggente

LA MUSICA PRIMA DI TUTTOFlorence Welch è una diva. Ha il portamento da grande donna dello show biz e non è un caso che la moda abbia allungato gli occhi su di lei. Che tuttavia resta soprattutto una talentuosa artista, cantante e autrice delle musiche dei Florence + The Machine. La aspettiamo in Italia, a novembre, per la prima volta in un palazzetto tutto per lei: il co-ronamento di un triennio straordinario.

di Raffaella Turati

Musica, moda, cultura, spettacolo, cinema

Conterra-nei di Bru-

ce Springsteen, i Gaslight Anthem tornano in Italia per presentare il loro ultimo lavoro Han-dwritten.

12esima edi-zione del Club

To Club, festival or-mai noto per chi ama elettronica e dintorni. Abbiamo parlato con uno dei fondatori per saperne di più.

Il 20 novembre nelle sale del

circuito Microcine-ma sarà proiettato Hungarian Rhapso-dy: Queen Live In Budapest. Un evento imperdibile.

Volete aggiu-dicarvi un

vinile di Bob Dylan, Band Of Horses e Vaccines? Questo è il momento!

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ONSTAGE 11 NOVEMBRE

Musica

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I FIGLIASTRI DI SPRINGSTEEN CRESCONO

I l 2012 si sta confermando l’anno come l’anno della de-finitiva consacrazione per i

Gaslight Anthem. Gli americani hanno firmato con la Mercury Records, passando finalmente a una major, ma hanno anche pubblicato il nuovo album Han-dwritten, che ha mantenuto inte-gro il proprio stile e confermato i ragazzi del New Jersey come realtà tra le più solide del punk rock. Alex Rosamilia, chitarrista della formazione, sta vivendo questo momento con entusia-smo.

Quest’anno avete suonato già due volte in Italia, come supporter di Soundgarden e Foo Fighters. Qual è stata la risposta del pubblico italiano?Grandiosa! L’adrenalina e l’emo-zione erano alle stelle e grazie al cielo è andato tutto benissimo. I fan italiani sono molto calorosi e abbiamo sentito tutta la loro energia. È stata un’esperienza incredibile!

Talmente bella che ben presto replicate. A breve tornere-te nel nostro Paese, a Milano il 6 novembre. Stavolta, da headliner. Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro show?Ciò che abbiamo sempre fatto, ossia divertirci e far diver-tire i fan con la nostra musica. È questo l’aspetto centrale di tutto, l’unica cosa che conta. I live sono la nostra linfa

vitale, ci trasmettono la carica e la spinta giusta per conti-nuare in questa direzione. Non vediamo l’ora.

Tre concerti in Italia quest’anno li ha fatti anche Springsteen...Bruce per noi ha fatto molto. Da quando nel 2009 è salito con noi sul palco a suonare The ’59 Sound ad Hyde Park la nostra vita è cambiata. È un personaggio incredibile, noi possiamo solo essergli grati. Non penso dica in giro che siamo una delle sue band preferite in assoluto per farci un piacere ma perché lo sente davvero.

Parlando del nuovo album, come ci si sente a lavorare con una major?È senza dubbio una grandissi-ma possibilità e non possiamo che esserne onorati, è una sorta di riconoscimento del lavoro che abbiamo svolto dagli inizi a oggi. Dal punto di vista me-ramente musicale, però, non è cambiato nulla. Scriviamo can-zoni perché ci piace e il nostro sound è immediato come lo era agli inizi. Scriviamo perché ci viene naturale, punto. Non è mai stata una nostra prero-gativa metterci a tavolino per studiare cosa andasse per la in radio.

Per questo disco avete col-laborato con Brendan O’Brien, produttore che ha lavorato con nomi di spicco quali Pearl Jam

e lo stesso Springsteen. Cosa vi ha lasciato quest’espe-rienza?Siamo davvero soddisfatti del risultato, in questo album volevamo avere la migliore resa musicale possibile e la-vorare con Brendan è stato importante per raggiungere l’obiettivo che ci eravamo posti inizialmente. Inoltre, non possiamo nascondere che avere a che fare con un profes-sionista di questo calibro è stato come trasformare un so-gno in realtà.

Anno di grandi soddisfazioni per i Gaslight Anthem. Conterranei del Boss, che li spinge e li aiuta appena può, gli americani arrivano in Italia il 6 novembre per un live tutto loro, dopo i due concerti come opening act della scorsa estate.

JUKEBOX

ONSTAGE 12 NOVEMBRE

Dopo esser nato 7 anni fa, per volere dell’allora Sindaco Walter Veltroni, in un nugolo di interro-gativi sulla sua effettiva necessità, il Festival del

Film di Roma è riuscito a sopravvivere in mezzo a pole-miche altalenanti. Non essendo mai stato concepito come manifestazione cinematografica di contorno, il suo prepo-tente insediamento ha fatto scaturire attriti con le direzioni degli altri festival italiani molto, troppo vicini sul calenda-rio, come Torino e Venezia. Senza contare che quest’ultimo si svolge in simultanea con un altro importante appunta-mento per il cinema mondiale, il Festival di Toronto. In-somma, un altro competitor significava andare a pestarsi i piedi in casa propria. In ogni caso, questo mese debutta la settima edizione, diretta proprio da colui che l’anno scorso ha concluso alla Mostra di Venezia il suo secondo manda-to quadriennale. Marco Müller, chiamato in fretta e furia a coprire buchi e ridare lustro, calmierare lotte politiche e, naturalmente, occuparsi della direzione artistica del nuo-vo Festival Internazionale del Film di Roma.

Con un budget di 12 milioni di euro, e solo 4 mesi per decidere come servirsene, il neodirettore spiega che «que-sta edizione non presenta novità di rilievo sul piano strutturale. Modifiche e riformulazioni in questo ambito, se verranno, do-vranno scaturire da un lavoro di ulteriore ridefinizione». Mül-ler chiede dunque di non giudicare il suo lavoro, avendo

avuto così poco tempo, e lascia inten-dere che ci vorrà un’altra edizione, se non di più, perché la sua semina produca frutti.

Venendo al sodo, la Selezione Uffi-ciale è formata da un Concorso Inter-nazionale, un Fuori Concorso, la linea di concorso Cinema XXI dedicata alle nuove correnti del cinema mondiale senza distinzione di genere e durata, e Prospettive Italia che intende fare il punto sulle nuove tendenze del cinema italiano. Sezione autonoma e parallela è Alice nella Città che orga-nizza una rassegna di film per ragaz-zi. Sì, ma quali sono i film in proiezio-ne? Il punto cruciale è sempre stato questo, perché i migliori sono spesso selezionati dagli altri festival o lì de-stinati per volere dei produttori perché migliori vetrine, riconosciute internazionalmente. È vero, però, che alcuni lungometraggi transitati e premiati nelle passate edizioni sono stati successivamente ricompensati anche alla ceri-monia degli Oscar, come Juno di Jason Reitman e In un mondo migliore di Susanne Bier. Tutto chiaro. Ma i film in

proiezione? A parte i titoli di rilievo come Bul-

let ToThe Head di Walter Hill (riceve-rà il premio alla carriera dalle mani del protagonista Sylvester Stallone) o il nuovo film d’animazione della DreamWorks Le 5 leggende, accom-pagnato soltanto da regista e pro-duttori, o un’eventuale (ancora non confermata alla chiusura del maga-zine) porzione di Django Unchained presentata da Quentin Tarantino, il resto è un cinema che sarà pure in anteprima mondiale ma è di difficile appeal sull’altro parametro di suc-cesso del Festival: il pubblico.

Tra gli italiani, in gara e non, i film di Claudio Giovannesi, Paolo Fran-chi, Pappi Corsicato, Michele Pla-

cido (quest’ultimo alla regia del film francese Il cecchino) e l’esordio dietro la macchina da presa di Carlo Lucarelli con L’isola dell’angelo caduto, tratto dal suo omonimo ro-manzo. La cerimonie di apertura e chiusura saranno pre-sentate dall’attrice Claudia Pandolfi, mentre il programma è consultabile all’indirizzo romacinemafest.it. (A.B.)

MA I FILM?Dal 9 al 17 novembre, all’Auditorium Parco della Musica di Roma avrà luogo la VII edizione del Festival Internazionale del cinema. Un evento controverso, al centro di polemiche. Da quest’anno, alla guida c’è Marco Müller, che ha concluso il suo mandato aVenezia. Direzione illustre, che tuttavia non cancella la mancanza di pellicole di prestigio.

Musica

di Claudia Falzone

Cinema

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S ei proprio un sòla Lilli. Te ne vai così, senza preavviso come le tue battute efficaci, mentre

io mi guardo il nuovo di James Bond, Skyfall, in Central London. Dopo venti minuti di lezione di cinema (grande Sam Mendes), stavo immaginando il tuo commento sul pezzo di Adele: «Aoh, un capolavoro! La senti questa? Mica strilla come queste da noi, come Mina. A Mina, ma che te strilli!» Dopo-tutto, tu prima di tutti avevi capito che Bond non è un film ma cultura esteti-ca, che infatti ha formato gente come i miei compagni di merenda sicula, But-tafoco e l’Alessandrino. Come te del resto. Ripensando alle tue celebri frasi, riportate da Marcellino Murru a qual-che musicante di turno («Ma che tifi, ‘a Roma o ‘a Lazio?». «’A Lazio». «Vabbe’ lassamo perde, va»), penso che ti diver-tiresti a vedere il nuovo Bond: dopo anni di correttezza politica, torna a spaccare con delle sventole pazze-sche. E ti salterebbe pure in mente di far incidere un disco a Javier Bardem. «Io i cantanti mica li giudico da come cantano, ma da come camminano!».

Senza Lilli Greco, Paolo Conte avrebbe continuato a fare l’avvocato ad Asti, Francesco De Gregori il libraio. Italo “Lilli“ Greco fa parte di un mon-do ormai fottuto. Un mondo in cui gli uomini erano uomini, e chi aveva orec-chio aveva orecchio! L’ho incontrato solo una volta, al volo, mentre tenta-va di farci finire in qualche tristissima trattoria Romana. Stavamo cercando di sistemare il suo tormento preferito, tal Marcellino Murru di cui sopra. «A Cha’, er talento corpisce a caso... Guarda Marcellino!». Si sarebbe probabilmen-te chiesto molte cose se mi avesse in-crociato sul tavolo di un talent show, e chissà che casini avrebbe combinato se ci fosse andato lui.

Insomma mi giro e mi rigiro sull’ot-timo James Bond, sulle note di Adele (che artista, «mica strilla»), ma un altro pezzo di discografia, quella bbona, se ne va. Ciao maestro! La discografia moderna: roba da Democrazia, roba da Repubblica!

London caLLing

di Charlie Rapino - Produttore discografico

JUKEBOX

ONSTAGE 13 NOVEMBRE

Tra i tanti web magazine dedicati alla musica elettronica, Resident Advisor (fondato nel 2001) ha fatto presto a con-quistare lo scettro, mostrando credibilità e competenza.

Ebbene, in cima alla sua Top 10 degli eventi mondiali di novem-bre svetta con orgoglio il nostro Club To Club. E non è nemmeno la prima volta; ce lo conferma Giorgio Valletta, che insieme a Ser-gio Ricciardone e Roberto Spallacci ha ideato il festival dieci anni fa. «Ci sono vari motivi che spie-gano la crescita di C2C. Anzitutto abbiamo fatto un passo che potrebbe sembrare in contraddizione rispet-to alla nostra ragione sociale, ovvero abbiamo varcato i confini della dimensione stretta del club. In questa edizione per esempio alcuni artisti si esibiranno al te-atro Carignano, all’Auditorium Rai Arturo Toscanini e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Operare sui luoghi rende più fattibile una sorta di crossover culturale. Poi il festival ha beneficiato di una mossa che portiamo avanti dal 2006, ovvero l’istituzione di dimensioni parallele in città estere; siamo passati da Berlino, Barcellona e Istanbul, mentre quest’anno la preview è andata in scena a Londra».

Restando in tema di confini, non deve stupire nemmeno la pre-senza di vere e proprie band al fianco dei classici dj set e showca-se: «L’identità musicale di C2C è sempre più di frontiera, quindi è natu-rale che il punto di partenza (l’elettronica) si mescoli con forme musicali più popolari; per esempio il rock, anche se interpretato con un certo senso del groove. è una direzione stilistica che ha intrapreso anche il Sonar Festival (da sempre uno dei nostri modelli): se l’avanguardia e la qualità vengono a contatto con espressioni pop va benissimo. In questo senso i

Liars (che si sono esibiti ai Magazzini Generali di Milano in occasione dell’anteprima 2012) sono stati una scelta perfetta».

Qualità, dunque; questo il criterio con il quale ogni anno i diret-tori artistici selezionano gli artisti da ospitare. «Quello che facevamo con Xplosiva (associazione fondata dai tre dj/organizzatori a inizio millennio, ndr) si è riflesso spontaneamente in C2C: ci piace esplorare

nuove scene, portare in Italia artisti che qui non si sono mai esibiti. Abbiamo per indole una visione proiettata verso il futuro, e questo spiega perchè ultimamente ab-biamo dato molto spazio alla scena britannica: se cer-chi suoni ispirati ti conviene guardare Oltremanica. Guest come SBTRKT, Disclosure, Scuba e Rustie sono una fedele rappresentazione del nostro gusto attuale; poi chiaramente non potevano mancare capisaldi come Jeff Mills e Kode 9, che garantiscono l’eccellenza sono-ra. Siamo anche molto orgogliosi di aver messo a segno il colpo di Flying Lotus, che presenterà il suo ultimo disco nell’unica serata italiana dell’11 novembre al Hi-roshima Mon Amour di Torino».

Mostri sacri e nuove proposte; ma come la mettiamo con il made in Italy? «Qualche tempo fa

James Holden dopo avere ascoltato dal vivo Vaghe Stelle (artista torine-se) scrisse su Twitter: “Ho appena assistito all’Italian New Wave”. Ab-biamo ripreso questo claim, che secondo noi ben rappresenta l’attitudine di tanti dj che vogliono emergere. Vogliamo offrirgli un’opportunità con Piemonte Groove, un progetto di valorizzazione dei giovani della nostra regione: 23 dj sotto i 28 anni - selezionati da autorevoli addetti ai lavori - si esibiranno nelle varie tappe del festival, condividendo palchi e console con artisti già affermati».

ORIZZONTI ELETTRONICIDall’8 all’11 di novembre torna a Torino Club To Club, festival di musica elettronica giunto alla 12esima edizione. Un evento che punta a espandere sempre più i confini, in nome di contaminazione e sperimentazione. Ce ne parla uno dei fondatori. Ciao

Lilli

Londra, 10 dicembre 2007. Dopo voci, smentite e rinvii di ogni genere, finalmente ci siamo. Solo per una sera, solo per due emozionanti ore di granitico rock, i Led Zeppelin

tornano insieme nella formazione originale, eccenzion fatta ov-viamente per il compianto John Bonam alla batteria, sostituito in modo eccelso dal figlio Jason. Il luogo scelto è la O2 Arena di Londra, che con i suoi 18.000 spettatori è gremi-ta in ogni ordine di posti ma esaudisce solo in piccolissima parte le oltre 29 milioni di richie-ste di biglietto pervenute da tutto il mondo! Un evento unico, concesso fino ad oggi solo ai po-chissimi eletti di quella fredda sera londinese. Ma per deliziare il planetario sciame di fan, il 20 novembre, “il giorno della celebrazione” esce in tutti i formati possibili (doppio cd, triplo vinile, dvd, blu ray), sottoforma di film-concerto.

Diretto da Dick Currethers, Celebration Day documenta il concerto londinese degli Zep dall’inizio alla fine, consentendo a tutti di rivi-vere la loro magia come ai vecchi tempi. In realtà lo show era stato organizzato per commemorare di Ahmet Ertegun, storico fondatore dell’Atlantic Records, (loro etichetta discografica di sempre) e amico della band scompar-so nel 2006. Ed è proprio per questo che Page e Plant radunano a corte anche Bonham e John Paul Jones, per rendere maggior-mente veritiero il sentito tributo. Ne viene fuori una serata as-solutamente memorabile, dove la musica ed il mito della band rivivono gioiosamente, senza troppi rancori o sentimentalismi,

in un’atmosfera emozionante e festaiola. La forma dei quattro è strepitosa. Plant, rodato da mille progetti musicali, ha un fisico asciutto e una forma vocale invidiabile (anche se certi acuti di allora sono comprensibilmente fuori portata). Page sembra un damerino del rock, elegantissimo, sorridente e con una voglia pazza di dare suono e vita alle sue Gibson. Ma è molto gradito

anche il ritorno di John Paul Jones, vera mente strategica delle melodie sghembe ed accattivan-ti, che da vero menestrello passa con disinvoltu-ra da un basso a dieci corde ad una demoniaca tastiera. Il più felice è Jason che picchia duro sulla sua potente Ludwig, non facendo rimpian-gere il tanto amato papà.

La scaletta del concerto è devastante: Black Dog, In My Time Of Dying, Since I’ve Been Loving You, Kashmir (che è il singolo scelto per lanciare in radio l’uscita) vengono eseguite con intatta mestria, coinvolgenti e assordanti. Non manca-no ovviamente anche le hit maggiormente cono-sciute come Starway To Heaven, Whole Lotta Love e ovviamente Rock And Roll che chiude lo spet-

tacolare show. Celebration Day è un film straordinario, che docu-menta un momento irripetibile della band forse più importante e amata nella storia dell’hard rock. Dopo averlo visto al cinema a ottobre, c’è un misto di gratitudine e disperazione: probabilmen-te “un’altra volta” non ci sarà. Anche perché Plant ha rifiutato cifre da capogiro e assegni in bianco da chi gli chiedeva un tour dei Led Zeppelin. Ostinato, ha tutta la nostra stima. (C.M.)

L’ULTIMA VOLTA NON SI SCORDA MAI

di Marco Rigamonti

Esce il 20 novembre Celebration Day, testimonianza audio e video del giorno della tanto attesa reunion dei Led Zeppelin a Londra, il 10 dicembre 2007. Un film straordinario che incornicia un momento unico di una band unica. Che mai più rivedremo sul palco.

Musica

Musica

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RAPSODIA UNGHERESE

Potere della contraddizione: una delle cose più belle quando si parla dei Queen

è l’entusiasmo fanciullesco che si scatena in chiunque sia coinvolto nella conversazione, indipenden-temente dalla posizione adottata su ciascun argomento specifico. E che il gruppo non metta sem-pre d’accordo tutti è una cosa più facile da riscontrare di quel che si pensi. Per esempio, anche dopo la sua morte, Freddie Mercury fu criticato per il riserbo che aveva tenuto nei confronti della pro-pria malattia. Oppure, non pochi considerano tuttora un’occasione perduta l’atteggiamento apparen-temente distaccato della band nei confronti delle cose del mondo. Ci sono tanti che, ancora, si divido-no sulle effettivamente discutibili scelte di Brian e Roger dagli anni Zero in poi, e quelli che ascoltano le loro canzoni al contrario alla ricerca di messaggi satanici perché “sarà una bufala, però...”. E infine c’è chi ancora cerca di imparare dalla loro magnifica lezione di stile e fantasia e chi con pazienza cer-tosina si spulcia il loro repertorio fino all’ultimo bootleg, cercando di cogliere ogni minimo particolare.

Se vi riconoscete in una qualsiasi di queste posizioni, fatevi trova-re pronti: evento unico distribuito da Microcinema (tutte le info su www.microcinema.eu), nella giornata di martedì 20 novembre sarà proiettato nelle sale di tutta la Penisola Hungarian Rhapsody: Queen Live In Budapest, fedele resoconto della celebre tappa ungherese del Magic Tour del 1986. Rimasterizzato e riproposto in una versione ricca di contenuti extra, questo storico documento ha qualcosa in più da offrire a chi lo guarda rispetto a tante altre simili release. Anzitutto perché definirlo “storico” non è una scelta casuale. Chi all’epoca aveva più di quindici anni non potrà non ricordare l’ecce-zionalità dell’evento: l’arrivo di una band occidentale - per giunta “eccessiva” come i Queen - in un Paese di confine della Cortina di Ferro, tre anni prima della caduta del Muro e dall’apertura delle

frontiere da parte del partito riformista ungherese di Miklós Né-meth. Poi per la ricca porzione di riprese riguardanti non solo il live ma anche la vita della band, partendo dall’epico Live Aid dell’anno precedente. Infine per la musica: il live in questione è da più parti indicato come quello definitivo dei Queen, una sintesi di tutto quel-lo che i quattro hanno saputo dare, la fotografia dell’apice.

Ebbene, ancora una volta sarà bellissimo lasciare a quelle im-magini il compito di ricordarci che le cose stavano in modo ancora diverso. Semplicemente perché, sebbene i Queen di quel periodo si fossero già lasciati alle spalle gli anni della loro esplorazione stili-stica più curiosa, quel palco vi mostrerà quattro musicisti che, al di là delle proprie contraddizioni, vivevano come se il loro più grande show fosse ancora da venire. E soprattutto, vi mostreranno che non è un caso se avete perso il conto delle Lady Gaga di turno che avreb-bero voluto essere al loro posto. Quella libertà creativa così assoluta, quell’eclettismo, l’epica potenza espressiva: non ne riavremo tanti altri così. Una somma di motivi più che sufficienti a considerarlo un evento decisamente da non perdere.

Martedì 20 novembre, nelle sale del circuito Microcinema, sarà proiettato Hungarian Rhapsody: Queen Live In Budapest, il film che documenta lo storico concerto di Budapest del 1986. Il Muro non era ancora caduto e i Queen erano una delle prime band occidentali a oltrepassare la Cortina di Ferro.

di Francesco Chini

JUKEBOX

ONSTAGE 14 NOVEMBRE

Il tanto bistrattato vinile che negli Anni Novanta è stato scalzato dagli scaffali dal compact disc - e a cui ha dato il colpo di grazia l’avvento del forma-

to digitale - si sta prendendo la sua rivincita. Il merca-to dei vinili ha ripreso quota, inizialmente solo come fonte di cimeli di cui andare a caccia, poi sempre più come formato interessante di per sè. Ed è così che, con un moto popolare proveniente dal basso, da quegli ac-quirenti che affollano i mercatini della domenica e i negozi di dischi (quelli veri), il mondo della musica si è di nuovo ricordato della sua esistenza e gli artisti hanno cominciato a dare alle stampe le versioni deluxe dei loro album o i loro dischi live com-mercializzandoli anche in vinile. La favola ha quindi un happy end nell’happy end, perché i 33 giri non solo sono tornati alla ribalta,

ma sono stati addirittura elevati a supporto destinato alle uscite speciali. E anche noi di Onstage, che finora abbiamo messo in palio per i nostri lettori biglietti dei concerti e CD, abbiamo deciso di seguiamo il trend, mettendo in palio sul nostro sito proprio dei vinili in collaborazione con Sony Music Italy. I titoli che potete vincere sono importanti: Mirage Rock dei Band Of Hor-ses e Come Of Age dei Vaccines. E se invece preferite un buon vecchio big, potete provare ad aggiudicarvi

una copia di The Tempest, l’ultimo di Bob Dylan. Partecipare è sem-plicissimo, basta mandare una mail rispondendo alla domanda che trovate pubblicata all’interno del contest, nella sezione Concorsi di www.onstageweb.com. E poi incrociare le dita e sperare che la scelta della dea bendata ricada su di voi. (F.V.)

RITORNO DI FIAMMAOnstage e Sony Music Italy mettono in palio i vinili di Band Of Horses, Vaccines e Bob Dylan.

AgENDALIVE

Gli appuntamenti imperdibili di novembre selezionati per

voi da Onstage.

IL TEATRO DEGLI ORRORI

16/11 Trieste, 17/11 Firenze, 23/11 Torino,

24/11 Perugia, 30/11 Bologna

BIAGIO ANTONACCI24/11 Forlì, 27/11 Torino,

28/11 Varese, 30/11 Livorno

GOSSIP27/11 Milano

THE RASMUS16/11 Roncade (TV),

17/11 Roma

IL CILE16/11 Nonantola (MO), 17/11

Cortemaggiore (PC), 18/11 Bassano Del G.

Cinema

Musica

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ONSTAGE 16 NOVEMBRE

ome sta andando il disco fino ad ora? Che im-pressioni avete?È difficile rendersi conto di come stiano an-dando le cose quando ci sei dentro, una volta

saliti a bordo e partiti. Mi sembra che le reazioni generali ascoltando il nostro nuovo album siano state «Wow, que-sto è classico lavoro alla Bloc Party», ma allo stesso tempo molte persone lo hanno trovato differente dai precedenti. Ed è ciò che volevamo, creare qualcosa di distintivo, rico-noscibile e riuscire a sorprendere.

E dal vivo? Com’è stata la risposta del pubblico ai vo-stri primi concerti?Molto buona, incoraggiante. Anche se non conoscevano ancora i nuovi brani ci hanno sempre sostenuto e questo non può che essere di conforto.

La più canonica delle domande: Four è il titolo del vostro album, il quarto. Nessun’altra spiegazione, o c’è qualcosa di più?No, l’hai detto: si chiama così perché è il nostro quarto album. Ma penso che aldilà di questo l’idea di questo disco riguardi proprio l’essere noi quattro, noi quattro in un gruppo. Condizione neces-saria era che fossimo noi quattro perché potesse nascere, è il riflesso dei nostri diversi talenti messi insieme. Era un modo per stringerci gli uni gli altri, ne avevamo bisogno, visto che non facevamo uscire un disco da quattro anni.

Capisco. Invece io avevo immaginato una connessione plausibile che partiva dal titolo del disco, passava per la canzone Day Four, che credevo fosse dedicata al mer-coledì (giorno del dio Mercurio) e si ricollegava al brano Mercury presente nel disco precedente. Pensavo fosse una mossa astrologico-propiziatoria. (ride, nda) No, Day Four parla dell’idea di crollare, rilas-sarsi, arrivare al punto più basso e cominciare a costruire di nuovo. Al quarto giorno, rimettere insieme le forze,

ritrovare la tua personalità dopo averla persa.Ti riferisci a un episodio in particolare? C’erano parec-

chie voci di corridoio che parlavano di una vostra immi-nente separazione.No, erano solo chiacchiere. Lo dimostra il fatto che siamo qui.

Siete arrivati qui passando per molti cambiamenti: cambio, di etichetta, cambio di produttore e anche un de-ciso cambio di stile, che è più un ritorno alle origini.Sì, esattamente. Penso che sia stato fondamentale per noi essere stati lontani dalla band per un bel po’ di tempo, aver portato avanti progetti paralleli. Ci ha fatto capire che quando saremmo tornati ai Bloc Party non ci sarebbe dovuto essere nient’altro che noi, con le nostre abilità e i

nostri strumenti. Ci siamo resi conto che il modo attra-verso il quale riusciamo meglio a esprimerci è farlo da musicisti: Kele e il suo modo di cantare, il modo in cui io suono il basso, come facevamo agli inizi. Era molto importante in questo disco metterci alla prova, testare la nostra forza, e credo si senta: nel disco puoi sentirci dare ognuno il meglio di quello che ha. Per noi questo è un po’ l’anno zero.

Mi è sembrata evidente la necessità di tracciare una li-nea e dire “ripartiamo da quello sappiamo fare meglio”.È ciò di cui avevamo bisogno. Entrare nella sala con delle idee e vedere quale disco ne sarebbe venuto fuori.

Mi sembra che Alex (Newport, il produttore, nda) ab-bia influenzato decisamente il vostro sound: siete più “pesanti” e muscolari che mai. Se in A Weekend In The

City come riferimenti citavate Philip Glass, per questo album potreste citare i Pantera o i Kyuss e i Van Halen.I gruppi che hai citato fanno parte del mio background di ascoltatore e suono in un’altra band (gli Young Legion-naire) con la quale faccio cose molto più pesanti, grazie alla quale ho imparato a capire come ottenere i migliori risultati dai distorsori e da altre accordature che abbas-sano la tonalità delle canzoni. Ne abbiamo fatte un paio con queste diverse accordature, l’esperimento era quello di provare a far raggiungere alla band delle aree sonore alle quali non era mai arrivata. Ci abbiamo provato. Da bassista non posso che amare questa tendenza, si tratta proprio della mia zona di competenza. Alex è stato il produttore perfetto. Mentre sperimentavamo e facevamo

casino, lui è riuscito a catturare le canzoni di questo album senza imporci minima-mente la sua visione.

In alcuni episodi non sembrate neanche voi. Sembra di ascoltare la vostra versio-ne arrabbiata.Chiamala come vuoi: rabbia, paranoia, ma

in realtà è tutta energia frenetica, la tensione dell’esserci ritrovati in studio, ritrovare la stessa passione e la stessa energia, quando scriviamo così come quando suoniamo.

Un’ultima domanda, per salutarci cambiando comple-tamente argomento: ci puoi suggerire una band da tenere d’occhio? Qualcosa di eccitante che non è ancora arri-vato al grande pubblico, ma che presto potrebbe essere annoverato fra le band rivelazione? Magari è il gruppo di alcuni tuoi amici.(ride, nda) Ok, fammi pensare... Non si tratta di un esor-diente. Parliamo di Frank Turner, lui è molto famoso qui in Inghilterra. Aveva una band chiamata Million Dead e adesso ha un nuovo progetto che si chiama Möngöl Hör-de, un progetto punk-hardcore. Hanno fatto uscire da poco una nuova canzone e l’ho davvero gradita!

«Penso che sia stato fondamentale essere stati lontani dalla band per un bel po’ di tempo, aver portato avanti progetti paralleli. Ci ha fatto capire che quando saremmo tornati ai

Bloc Party non ci sarebbe dovuto essere nient’altro che noi»

FACE2FACE

I Bloc Party arrivano in Italia per un unico concerto a Milano, a pochi mesi di distanza dall’uscita del nuovo disco Four. Il bassista Gordon Moakes ci ha raccontato com’è nato, cos’è cambiato dai tempi degli esordi e ci ha rassicurato riguardo alle voci di su un imminente scioglimento della band.

BLOC PARTYdi Emanuele Mancini

C

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ONSTAGE 18 NOVEMBRE

li Ultravox si sono separati nel 1996 e si sono riuniti nel 2009. Qual è stata la motivazione che vi ha spinto a tornare insieme?Ci siamo riavvicinati gradualmente e abbia-

mo capito che se mai ci fosse stata una possibilità di tor-nare a lavorare insieme, quello era il momento più adatto per farlo. Era appena uscita la versione ri-masterizzata di Vienna e abbiamo deciso di organizzare un tour che celebrasse la nostra vecchia musica. Non aveva-mo la minima intenzione di registrare un nuovo album. Be’, a dire il vero avevamo anche affer-mato che non ci saremmo più riuniti, e invece l’abbiamo fatto! (ride, ndr)

Se non volevate registrare un altro album, cosa vi ha spinto a cambiare idea?Inizialmente era fuori discussione l’idea di registrare un altro album. La reunion era solo un’occasione per suona-re dal vivo le nostre canzoni per l’ultima volta. Durante il tour, la Universal ci ha contattati per offrirci un contratto e scrivere un nuovo disco. E abbiamo detto di no, perché ognuno di noi vive lontano dagli altri e sarebbe stato trop-po complicato. Dopo questo primo contatto, l’idea di suo-nare di nuovo insieme si è insinuata nelle nostre menti, e ci siamo fatti alcune domande: «Come potrebbe suonare un nuovo disco? Come potremmo realizzarlo? E soprattutto siamo ancora in grado?». Quindi abbiamo cominciato a mettere giù qualche idea e a lavorarci su concretamente.

Come sono andate le session in studio? Erano tanti anni che non lavoravate assieme...Ci sono delle enormi differenze nella fase di lavorazione

rispetto al passato. Negli anni ‘80 ci si ritrovava con le strumentazioni dell’occorrenza, drum machines, tastiere e sintetizzatori, in un’unica stanza e ci volevano mesi e mesi perché i nostri spunti prendessero corpo. Stavolta, invece, è stato diverso. Viviamo lontani l’uno dall’altro quindi in un primo momento abbiamo parlato a lungo di come volevamo che fosse Brilliant e, successivamente, abbiamo dato forma al tutto nello studio di registrazione

della mia casa a Montreal, senza bisogno di ingegneri del suono o tecnici. La cosa che più ci ha stupiti è che la gran parte del materiale prodotto in quell’occasione è stato inserito su disco. Ci son stati pochissimi aggiustamenti in fase di mixaggio, tanto eravamo soddisfatti del sound ottenuto.

Perché avete scelto proprio questo titolo?Ad essere onesti, inizialmente il titolo doveva essere Bril-liant?, col punto interrogativo: «Credi di essere brillante? Pensi di aver ottenuto dei risultati?». Non è un’afferma-zione, bensì una domanda da porsi in qualsiasi ambito della propria vita. Ad esempio, quando sei giovane vuoi cambiare il mondo e pensi «io farei questo, io farei quello». Crescendo ti rendi conto che il mondo non si può cam-biare poi molto.

La scelta del primo singolo è ricaduta sulla titletrack perché rappresenta la canzone manifesto dell’album? Sì, o meglio questo può essere uno dei motivi. Ricordo che durante un’intervista, rispondendo a una domanda che riguardava una sua canzone, Noel Gallagher ha detto «se ci vedi questo significato per me va bene, ma non spiegherò mai cosa di cosa parla». Quando si scrive una canzone lo si fa per delle motivazioni particolari, ma ciò non toglie che

ognuno possa ritrovare il messaggio che vuole in quel brano. Comunque, le canzoni che più mi di questo disco sono Contact e Change, a mio av-viso sono molto particolari e interessanti.

Stai scrivendo del materiale per la tua carrie-ra parallela da solista?Me la prendo comoda, adesso sto pensan-

do esclusivamente al tour promozionale di Brilliant. Quando si sarà concluso allora potrò pensarci. Ma in tut-ta onestà trascorro tantissimo tempo in studio quindi sì, ho cominciato a buttare giù qualcosa per il mio progetto solista.

Il 5 novembre 2012 il vostro tour sbarca a Milano. Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro concerto?Le canzoni tratte da Brilliant ma anche dai vecchi album. Oltre ai sintetizzatori e alle drum machines, scoprire-te che gli Ultravox sono anche un gruppo rock con una grande energia, soprattutto nelle parti di chitarra. Non vediamo l’ora di suonare in Italia, i fans sono deliziosi e ci spiace fare solo una data. Ricordo con affetto il concerto del 2010, l’atmosfera era a dir poco elettrica! Spero che, se il tour andrà bene, potremo replicare quanto prima.

«Non avevamo la minima intenzione di registrare un nuovo album come Ultravox. Be’, a dire il vero

avevamo anche affermato che non ci saremmo più riuniti, e invece l’abbiamo fatto!»

FACE2FACE

I poco più che ventenni associano il suo nome a Breathe, che nel ’98 divenne una hit planetaria grazie alla campagna pubblicitaria di una famosa marca di orologi. La genera-zione precedente lo conosceva come voce solista degli Ultravox, importantissima band della British New Wave. Stiamo parlando di Midge Ure, che il 5 novembre torna in Italia (concerto a Milano) con il resto del gruppo, in occasione del tour promozionale del loro nuovo album Brilliant. Ci abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

MIDGE UREdi Claudia Falzone

G

Page 19: Onstage Magazine novembre 2012

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18 dicembre 2012 ore 21

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Page 20: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 20 NOVEMBRE

LIVESTYLE

I biglietti del tour dei Muse sono in vendita presso i negozi Fnac!

live 16/11 Bologna, 17/11 Pesaro

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ONSTAGE 21 NOVEMBRE

LIVESTYLE

MUSE

SUPREMAZIATOTALE

The 2nd Law ha sorpreso critica e pubblico con un suono che sembra venire dal futuro. Come sempre Bellamy e compagni non si sono seduti sul successo del lavo-ro precedente ma, al contrario, hanno virato su sonorità talmente innovative che non tutti le hanno comprese appieno. Adesso è il momento di portare questa rivolu-zione dal vivo. Con una miscela di suite, dubstep, sinfonie e rock, i Muse arrivano in Italia per dimostrare di essere la miglior live band del mondo.

’è stato un momento in cui ho spe-rato che andassero avanti a suonare per tutta la notte. Le nuvole promet-tevano pioggia, ma non m’importava

granché. Faceva molto caldo. Era il 7 luglio 2012 e sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival c’erano i Cure di Robert Smith. Ho sempre sognato di vederli dal vivo, ma non ci avevo mai sperato troppo. E in-vece eccoli lì. È da parec-chio tempo che non si esi-biscono su un palco, ma nessuno sembra accorger-sene: la potenza scenica che emanano sulle note di Pictures Of You, Lulluby, Lovesong e Just Like Hea-ven, rapisce. La sensazione è che pochi artisti della

nuova generazione possano competere con loro. Tranne una band, quella che ha deciso di aprire il suo nuovo disco con un pezzo eloquente intitolato Supremacy: i Muse.

JUST LIKE CUREMentre i fratelli Galla-gher si prendono a calci con Damon Albarn dan-do vita alla sfida Oasis vs Blur, in una scuola di Devon due band si incon-trano facendo la loro (e la nostra) fortuna. I Gothic Plague della coppia Do-minic Howarde-Matthew

Bellamy, e i Fixed Penalty di Chris Wolstenholme. Bellamy convince Chris ad entrare nel suo gruppo e,

SONO PASSATI DUE ANNI DAL CONCERTO DI SAN SIRO

MA DENTRO LO STADIO SE NE SENTE ANCORA L’ECO. C’È CHI

SOSTIENE, COME NME, CHE I MUSE SIANO LA MIGLIORE LIVE

BAND DELLA STORIA.

Cdi Marcello Marabotti

Page 22: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 22 NOVEMBRE

LIVESTYLEMuse

con il nuovo nome di Rocket Baby Dolls, i tre salgono sul palco del Teignmouth Broadmeadow Sports Centre di Teignmouth per la clas-sica battaglia tra band scolastiche. In scaletta hanno una manciata di pezzi inediti - Small Minded, Yellow Regret, A Turn To Stone, Weakening Walls e Pointless Loss - e per lasciare il segno Matthew ha un’idea bril-lante: i Rocket Baby Dolls saliran-no sul palco truccati come i Cure e suoneranno anche la cover di Tourette’s dei Nirvana, estratta da In Utero, uscito l’anno precedente. Oltre, naturalmente, a distruggere gli strumenti sul palco. È il 1994 e la band vince il contest. Grazie alla presenza scenica e all’energia espressa sul palco, il trio viene notato - dopo alcuni concerti a Londra e Manchester - da due per-sonaggi che si riveleranno molto importanti. Prima Dennis Smith, un disc jokey giamaicano che ha uno studio di registrazione nel sud dell’Inghilterra, con cui registrarono i primi Ep. Poi John Leckie (già al lavoro per The Bends, secondo album dei Radiohead) grazie al quale il gruppo, che nel frattempo ha deciso di farsi chiamare Muse, compie il salto di qualità: arriva Showbiz, disco che rivela una maturità musicale straordinaria per una band all’esordio. Vende 300.000 copie in Gran Breta-gna e circa 700.000 nel resto del mondo.

MANIFESTO ARTISTICOIl tour di Showbiz è un momento decisivo per la carriera dei Muse. Durante gli spostamenti da un palco all’altro i tre decidono di cambiare il suono che li aveva portati al successo dell’esordio. Rin-novamento. Cominciano ad imparare il significato di que-sta parola rendendola il loro manifesto artistico. Origin Of Symmetry è il risultato di una ricerca portata avanti grazie alla sperimentazione, altro elemento chiave della produ-zione di Bellamy e compagni. Ecco quindi che gli inglesi

ricorrono all’organo, al balafon, mellotron e un drumset espanso. Inoltre, Matt inserisce alcune linee di pianoforte ispirate ai pianisti del Romanticismo, oltre a spingere riff e assoli di chitarra in stile Jimi Hendrix. Ma questo non basta per far ricredere quanti, tra gli addetti ai lavori, con-tinuano a sostenere che la voce di Bellamy sia poco orec-

chiabile e le sonorità troppo scure, nonostante la crescente fama della band tra gli appassionati di mezzo mondo. È solo questione di tempo. Con Absolution, nel 2003, i Muse raggiungono la consacrazione. Un album maturo nel qua-le spiccano singoli come Hysteria, un lavoro di spessore

che li porta al primo tour internazionale negli stadi, con tappe anche in Australia, Stati Uniti, Canada, Francia e l’esibizione a Glastonbury. Quello inglese è un concerto memorabile, definito dallo stesso Bellamy, in un’intervista rilasciata alla rivista inglese NME, come «il migliore della nostra vita, il massimo livello di affermazione mai raggiunta».

Da quel momento lo status della band cambia. Ormai nessuno può esimersi dal riconoscere i Muse come una delle migliori live band degli anni Zero. Una delle poche, con i Coldplay e Radiohead, a rappresentare una certezza per le generazioni a venire.

Il successivo Black Holes And Revelations man-tiene intatto lo stile dei Muse, che sperimentano

e aggiungono nuovi elementi al sound. In più c’è una hit come Starlight che permette alla band di diventare rilevan-te anche in quei Paesi, come l’Italia, in cui non si può pre-scindere dai singoli per fare il botto. E infatti, anche da noi, i palazzetti vanno sold out per i concerti dei Muse.

«LA SCENOGRAFIA DEL TOUR È PARTICOLARE. AL CENTRO C’È UNA PIRAMIDE FATTA DI SCHERMI LED SUI QUALI PROIETTIAMO VISUAL E FILMATI. I PANNELLI SI SPOSTANO E LA STRUTTURA PUò

PRENDERE DIVERSE FORME» Dominique Howard

le foto del toUR

dei MUSe SU

onStageweb.CoM

The 2nd Law: UnsustainableSupremacyInterludeHysteriaSupermassive Black HoleResistancePanic StationAnimalsExplorersFalling DownHostTime Is Running OutLiquid StateMadnessFollow MeUndisclosed DesiresPlug In BabyNew BornThe 2nd Law: Isolated SystemUprisingSurvivalStarlightKnights Of Cydonia

Il tour dei Muse è cominciato da Montpellier il 16 ottobre. Ecco la scaletta del concerto.

LA SCALETTADEGLI ALIENI

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tezenis.com

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LIVESTYLEMuse

ONSTAGE 24 NOVEMBRE

DALLA PORTA PRINCIPALEChissà se Matt Bellamy ha letto I promessi sposi durante le registra-zioni di The Resistance, eseguite in uno studio vicino a «quel ramo del lago di Como». Certo è che ha consumato 1984 di Orwell e i dischi dei Queen e Chopin. Perché l’album è caratterizzato da sonorità orchestrali e riferimenti classici, il tutto miscelato dagli strumenti e dalle intuizioni elettroniche dei Muse. The Resistan-ce regala la sensazione di una band venuta dal futuro: la stessa impressione che ha regalato il concerto di Milano dell’8 giugno 2010. In una calda sera d’estate Bellamy e compagni atterrano sul-lo stadio San Siro sparando suoni e colori avveniristici sui 62mila presenti, accolti da una porta trapezoi-dale grigio metallica, simile all’ingresso di un tempio futuristico. Alle sue spalle, dodici enormi palloni bianchi attraver-sati da luci psichedeliche. Un’invasione iniziata sulle note di Uprising, singolo di lancio di The Resistance. «Grazie, gra-zie mille», dice “Matt l’alieno” prima di mettersi al piano. Il primo eco di Cho-pin sfocia in New Born mentre alle sue spalle girano formule matematiche e curve concentriche, per un revival di psichedelia che arriva a far tremare San Siro. Un disco volante plana sulla folla mentre lo stadio viene riempito dalle note di Symphony, Part 1: Overture. 24 pezzi per due ore di set con cui i Muse si sono presi anche Milano e l’Italia.

Sono passati due anni da quella sera d’estate e ancora a San Siro se ne sente l’eco, come del resto in ogni altro posto in cui Bellamy e compagni sono passati. Tanto per dirne una: la bibbia della musica Uk, il New Musical Express, ha pubblicato una clas-sifica in cui si stabilisce il concerto più emozionante della storia.

Indovinate chi c’è alla posizione numero uno? Poi, fuori dal po-dio, Springsteen. Neanche in classifica i Cure.

SUPREMACYVederli dal vivo è un’occasione da non perdere. All’Unipol Arena di Bologna il 16 novembre e la sera successiva all’Adriatica Arena di Pesaro, i Muse atterreranno per presentare il nuovo lavoro The 2nd Law, un album capace di ribadire la forza musicale di «quelli che sono in tre ma sembra che suonino in otto» (come ha scritto Mar-co Rigamonti recensendo il disco per Onstage). Più lo ascoltiamo e più cresce l’attesa per due date. «Abbiamo progettato la sceno-

grafia del tour. È molto particolare, con al centro questa grande piramide che sale e scende durante lo show, fatta di schermi led sui quali proiettiamo visual, filmati e altri effetti molto coinvolgenti. Inoltre, i pannel-li si spostano e questa struttura può pren-dere diverse forme, diventando più grande o più piccola a seconda delle occasioni. Ci sono anche alieni danzanti e altre situazioni molto divertenti». Nelle dichiarazioni del

batterista Dom Howard alla BBC, s’intuisce quanto lo show sia ancora una volta pensato in termini futuristici - e i video delle prime date del tour postati dai fan su YouTube confermano le sue parole. Quanto alla scaletta, ci sono 23 canzoni divise in tre blocchi, con grande spazio per The 2nd Law, ma non mancano le hit del più recente passato, come Undisclosed Desire e Uprising, e quelle più datate, come Time Is Running Out. Per chi ha in mano il biglietto di uno dei due concerti italiani, si preannunciano serate indimenticabili: bisogna solo prepararsi al fatto che, prima o poi, anche un concerto dei Muse finisce.

Il viaggio dei Muse in Italia dalla prima volta, nel 2000, a oggi.

LIVE IN ITALY

PER LASCIARE IL SEGNO, MATT HA UN’IDEA BRILLANTE: SALIRANNO

SUL PALCO TRUCCATI COME I CURE E SUONERANNO UNA COVER DEI

NIRVANA. OLTRE, NATURALMENTE, A DISTRUGGERE GLI STRUMENTI

SUL PALCO.

200016 giugno: sul palco dell’HJF sale una band inglese con alle spalle un solo disco. Senza timore, affianca gruppi come Rage Against The Machine e Oasis. Due mesi dopo (3 settembre) ancora Italia: Independent Day a Bo-logna: Matt distrugge il basso.

2001Tra Showbiz e Origin Of Simmetry, 7 date in Italia. Aprile: 26 all’Alcatraz di Milano, 27 al Palladium di Roma e 28 al Velvet di Rimini. Luglio: il 4 al Chico Bum Festival di Torino, il 5 al Neapolis. Settembre: Independet, il 2. Gran fina-le il 19 ottobre a Milano (Palavobis).

2002Il ritorno all’HJF (15 giugno) vede i Muse arricchire una line-up che pre-vede anche RHCP e Chemical Bro-thers. Questa nuova data, senza un di-sco fresco da proporre, dimostra che il pubblico italiano è già innamorato di Bellamy e soci.

2003I Muse macinano chilometri italiani in supporto ad Absolution con 4 con-certi in ottobre: il 27 al Mazda Palace di Milano, il 28 al Sashall di Firenze, il 30 ottobre alla Sporthall di Bologna, il 31 alla Sporthall di Pordenone. Sono i palazzetti ad ospitare gli inglesi.

2004Triplo appuntamento in Italia per i Muse, che aprono la loro tournée tricolore a Torino il 25 marzo (Pala-stampa). Poi doppietta estiva: Tennis Stadium di Roma il 12 giugno e il giorno seguente al Flippaut Festival di Bologna.

2006Black Holes And Revelations è stato re-gistrato anche a Milano, e proprio qui (7 giugno) i Muse tengono l’unico live estivo in Italia. Tornano a dicembre: Roma (l’1 al Palalottomatica) e Bolo-gna (il 2 al Pala Malaguti), poi gran finale a Milano (il 4 al DatchForum).

2007Due appuntamenti per i Muse che si regalano uno strepitoso concerto il 30 maggio nell’esclusiva cornice di Piaz-zale Michelangelo a Firenze e torna-no neanche due mesi dopo all’Arena di Verona. È il 16 luglio, e l’anfiteatro scaligero è naturalmente sold out.

2009A settembre esce The Resistance, quinto disco dei Muse. Poche settima-ne dopo, gli inglesi sono già in tour, anche in Italia: il 21 novembre e il 4 dicembre, con due concerti sold out al Futurshow di Bologna e al Palaolim-pico di Torino. Tripudio.

2010Quello dell’8 giugno allo Stadio di San Siro è un concerto rimasto nella memoria di molti e nella storia della musica live. Gli “alieni” atterrano a Mi-lano per regalare all’Italia l’ennesima lezione di rock. Il Meazza è sold out (65.000 spettatori) e i Muse sono in forma strepitosa.

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ONSTAGE 26 NOVEMBRE

LIVESTYLE

I biglietti del tour dei Skunk Anansiesono in vendita presso i negozi Fnac!

Il quartetto guidato dalla bellissima Skin, a novembre in Italia per tre date, è giunto al secon-do album post reunion. Black Traffic è un disco arrabbiato da cui emergono tematiche molto attuali e suoni potenti. Ne abbiamo parlato in maniera approfondita con la cantante oltre che con Mark Richardson e Ace.

di Stefano Gilardino - foto Stuart Weston

vete inciso il vostro disco in session diver-se, tra cui una a Los Angeles a casa di un amico. Ho la sensazione che abbiate lavo-rato con calma e tranquillità.

Skin: Era l’idea iniziale, scrivere e suonare senza fretta, con l’obiettivo di comporre materiale che ci soddisfaces-se in ogni senso. A Los Angeles ci siamo fatti ospitare da un amico a Topanga Canyon ed è stato bello andarsene per un po’ da casa e non stare sempre rinchiusi a suonare nello studio di Cass. La mia compagna, inoltre, abita da quelle parti, per cui era per me uno stimolo ulteriore.Mark Richardson: In più, ci siamo anche dati una regola ben precisa, quella di scrive-re un pezzo al giorno, non di più, in modo da essere maggiormente focalizzati sulla qualità.S.: In passato, tendevamo a strafare, a volte ci mettevamo in testa di scrivere due o tre canzoni per volta. Rallentan-do il ritmo abbiamo capito come sfruttare al meglio le no-stre capacità. In tutto, il procedimento è durato circa un anno. Diciamo che ce la siamo presa comoda.

È un disco molto più politicizzato e duro del preceden-te, siete d’accordo?S.: In un certo senso credo tu abbia ragione, specialmen-te se ripenso a Wonderlustre, che era un album molto più personale, che parlava delle nostre vite private, piuttosto che gettare uno sguardo al mondo esterno. Lavorare in molti paesi differenti, visitarli, ci ha dato una maggiore consapevolezza di ciò che succede nel mondo e questo ha influito alla direzione che ha preso Black Traffic a livello

lirico. Tra di noi, ci siamo spesso ritrovati a discutere di argomenti come il movi-mento Occupy, lo scandalo della Barclays, il cambio di governo nel nostro paese, la crisi finanziaria mondiale. Insomma, era impossibile che tutte queste cose non in-

fluenzassero il disco, soprattutto perché ci riguardavano da vicino, sono avvenimenti che ci toccano e ci preoccu-pano. Non ci siamo seduti a un tavolo decidendo i temi di cui parlare o la direzione da prendere, ma è successo in modo molto naturale: se attorno a te vedi gente che prote-sta, come nei recenti scontri a Londra, come fai a non re-

A

live 19/11 Milano, 20/11 Roma,21/11 Jesolo

«ABBIAMO SPESSO DISCUSSO DI ARGOMENTI COME OCCUPY,

LO SCANDALO DELLA BARCLAYS, LA CRISI FINANzIARIA. ERA IMPOSSIBILE CHE TUTTO QUESTO NON FINISSE NEL DISCO, CI RIGUARDA DA VICINO» Skin

SKUNK ANANSIE

NEL NERODIPINTO DI NERO

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ONSTAGE 27 NOVEMBRE

LIVESTYLE

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ONSTAGE 28 NOVEMBRE

starne colpito e turbato? Possiamo dire che Black Traffic è la nostra versione dei fatti, è ciò che pensiamo di quello che sta accadendo, ma senza dimenticare altri temi più perso-nali e legati alla sfera affettiva o sessuale o semplicemente di vita quotidiana.

Credete quindi che l’album rifletta i tempi che corrono?S.: Lo spero, è quello che dovrebbe fare l’arte, in ogni sua declinazione. Si dice spesso che Berlino era una città stra-ordinariamente vitale prima della caduta del muro, pro-prio perché i ragazzi e gli artisti avevano qualcosa contro cui ribellarsi. Certo, sarebbe bello se le cose nel mondo andassero meglio, non mi auguro di certo delle catastrofi solo per giustificare bella musica.

Negli Stati Uniti dicono spesso che a un pessimo presi-dente corrisponde dell’ottima musica...A.: È vero, hanno ragione e penso che anche da noi in In-ghilterra sia più o meno lo stesso. Immagina tutta la mu-sica fantastica uscita dal punk in avanti, il lungo periodo con la Thatcher, persino il periodo con Tony Blair.S.: Bisogna andarci cauti però, non credo si debba pensare solamente alla recessione come stimolo per il proprio la-voro artistico.

Il titolo di Black Traffic fa pensare a cose illegali, al mercato nero.S.: È proprio così, intendevamo sottolinearlo, magari con un po’ di varianti ma di fondo l’idea era puntare i riflettori su come il mondo si muove soprattutto grazie a traffici ille-citi e poco chiari. Dietro alle nostre spalle, ma troppo spes-so anche davanti ai nostri occhi, senza vergogna. Ormai l’umanità ha preso una deriva davvero terribile, è difficile persino individuare una cura per certi comportamenti e quando vedi, come nei nostri paesi, che l’informazione è in mano a pochissime persone, aumenta la preoccupazio-ne. In Inghilterra, abbiamo un magnate miliardario che possiede buona parte dei quotidiani.

Beh, non siamo certo da meno qui in Italia...S.: Certo. È interessante questo parallelismo!

In questo senso i pezzi maggiormente espliciti del disco sono I Believed In You e This Is Not A Game. S.: Hai ragione. Soprattutto, I Believed In You, è una mia riflessione personale sul fallimento della politica in Gran Bretagna. Abbiamo candidati che farebbero e direbbero qualsiasi cosa pur di venire eletti e l’hanno dimostrato le recenti coalizioni di governo, composte da personaggi davvero terribili. Non ho votato, non mi sentivo minima-mente rappresentata, ma avevo dato il mio supporto a Tony Blair, anni fa, ed è stata una cocente delusione. Parlo per me, non a livello di band, ma credevo davvero che i laburisti avrebbero dato una svolta positiva a questo pa-ese e invece si sono comportati esattamente come i loro predecessori, i conservatori. Ecco, io credevo in loro, ma è stato un grande errore, mi sono sbagliata e non penso proprio si ripeterà.

Hai citato Occupy. Qual è la tua opinione a riguardo?S.: Lo trovo un movimento eccitante e fresco, spontaneo, che viene dal basso e dalla gente comune, senza apparte-nenze politiche. E c’insegna che è necessario informarsi di più sulle dinamiche economiche che fanno girare il mon-do, capire i meccanismi diabolici che regolano le nostre vite. Pensa alla recente bancarotta della Lehman Brothers: nessuno sa realmente spiegare cosa sia successo, è tutto talmente intricato che conosciamo solo in minima parte ciò che ci dicono i giornali. Occupy ha cercato di sempli-ficare il messaggio e renderlo più comprensibile per la gente comune, ha avviato discussioni su ciò che sta succe-dendo attorno a noi e l’ha fatto partendo dal basso e senza secondi fini. Però non sono d’accordo con il loro tentativo di dividere il mondo in due categorie, quella del 99% di gente semplice e l’uno per cento che decide e dispone del-la maggior parte delle ricchezze. Visto il mio stile di vita agiato, io appartengo alla minoranza che non ha problemi economici, ma mi sento dalla parte del popolo e certamen-te non da quella di banchieri, politici e criminali! Non è

tutto così semplice e netto, ci sono troppe sfumature per poterle ignorare.

Torniamo a parlare di musica. È stato difficile realizzare Black Traffic o è filato tutto liscio?M.R.: Come dicevamo pri-ma, ce la siamo presa co-moda, in dodici mesi abbiamo avuto tempo di comporre, registrare, provare cose differenti. Alla fine avevamo circa una cinquantina di idee da terminare e a cui dare una for-ma definitiva, poi sono diventate venti e infine quindici, quelle su cui abbiamo lavorato. In studio, abbiamo spes-so registrato assieme, in modo da poter dare degli input immediati ai pezzi e credo si senta che ci siamo divertiti molto di più che in passato.

Ci sono parecchie parti elettroniche nel disco. Avete usato dei campioni?S.: In verità poca roba, non ci piaceva l’idea di usare sam-

ple di altri musicisti e quin-di di usare materiale esterno alla band. Non ne sentivamo l’esigenza e quindi abbiamo preferito campionare noi stessi, registrare delle parti di chitarra, basso e batteria, riprocessarle in maniera dif-ferente e poi vedere il risul-

tato finale. Quanto spazio concedete alla sperimentazione durante

il processo creativo?S.: Diciamo che ci piace testare i nostri limiti, sappiamo perfettamente dove sono i paletti che delimitano l’espe-rienza degli Skunk Anansie e ogni volta cerchiamo di spo-starne qualcuno in modo da rendere più interessante la creazione di un album. Non è detto che si debba cambiare suono o genere, bastano anche solo piccoli accorgimenti per avviare un processo di cambiamento e maturazione. E non è nemmeno detto che ogni volta che sperimen-

«L’UMANITà HA PRESO UNA DERIVA TERRIBILE, È DIFFICILE PERSINO

INDIVIDUARE UNA CURA PER CERTI COMPORTAMENTI. E QUANDO VEDI CHE L’INFORMAzIONE È IN MANO

A POCHE PERSONE, AUMENTA LA PREOCCUPAzIONE» Skin

Skunk AnansieLIVESTYLE

le foto del toUR degli

SkUnk ananSie SU

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ONSTAGE 29 NOVEMBRE

CINQUINA!Paranoid & Sunburnt (1995)

Il disco di debutto, inciso con il batte-rista Robbie France (poi sostituito da Mark Richardson), impone gli Skunk Anansie come nuova

realtà rock, posizionandosi al numero 8 della chart inglese. È un album rabbioso, con tante canzoni di protesta.

STOOSH (1996)È il secondo e ultimo album con la One Little Indian Records e il maggior succes-so commerciale del-la band. Merito della superhit Hedonism

(Just Because You Feel Good), che catapulta il gruppo in una dimensione mondiale, Italia compresa.

POST ORGASMIC CHILL (1999)Gli Skunk Anansie confermano il pro-prio talento per la composizione di hit: Charlie Big Potato, Lately e soprattutto Secretly regalano un

enorme popolarità al gruppo, che tuttavia finisce schiacciato dal successo: la band si scioglie poco dopo.

WONDERLUSTRE (2010)A 10 anni dalla se-parazione, gli Skunk Anansie tornano a incidere un album. Il disco dimostra la ritrovata compattez-za del gruppo dopo

la reunion dell’anno successivo (e la pubbli-cazione del greatest hits “di riscaldamento” Smashes And Trashes).

BLACK TRAFFIC (2012)Profondamente influenzati dai loro viaggi e dagli avve-nimenti che hanno scosso il mondo ne-gli ultimi anni, Skin e soci pubblicano

un album arrabbiato come non accadeva dai tempi dell’esordio. Il primo, emblematico singolo è I Believed in You. (D.S.)

Dal 1995 a oggi sono usciti cinque album degli Skunk Anansie. Eccoli, uno per uno.

ti qualcosa d’inedito sia necessariamente buono: in questo caso, avevamo composto due brani che erano davvero troppo pop, in un senso che non ci soddisfaceva per nulla e quindi abbiamo lasciato perdere. Quella è una direzione che non ci rappresenta, ma lo puoi capire solamente sbattendoci contro e provando nuove soluzioni sonore. L’unica vera regola, quan-do componiamo un disco, è che deve suonare come un lavoro degli Skunk Anansie e non come qualcosa di alieno e irricono-scibile. Che senso avrebbe?

Però pop non è una definizione così brutta. In fondo voi sie-te abituati a stare in classifica, a essere “popolari”.S.: Capisco cosa intendi e, in un certo senso, è proprio così, siamo una band popolare, che vende molti dischi, passa nel-le radio, anche quelle commerciali, suona davanti a migliaia di persone. Però è piuttosto chiara la differenza tra gli Skunk Anansie e i Backstreet Boys, giusto? Noi siamo famosi, ma lo siamo alle nostre condizioni, e ci riteniamo una heavy band con un’attitudine pop. Non facciamo nessuna fatica a scrive-re dei bei ritornelli, anche se la concezione odierna di “pezzo commerciale e radiofonico” non è certo quella che ci guida.

Prima parlavate della necessità di maturare e crescere in ogni disco, spostando in avanti i paletti. Sapete esattamente dove andare a cercarli?S.: Non sempre, diciamo che però inevitabilmente finiamo per sbatterci contro e accorgerci che certe cose vanno cambiate. In questo disco è successo parecchie volte, per esempio un pezzo come Drowning non l’avremmo mai potuto comporre in pre-cedenza, è abbastanza alieno rispetto alla nostra produzione, ma in qualche modo ne fa parte in maniera organica. Oppure Sticky Fingers, il brano più duro che abbiamo mai composto nella nostra carrierra.

Black Traffic, tra le altre cose, esce per la vostra nuova eti-chetta personale, Boogooyamma. Credo siate soddisfatti...A.: Moltissimo, è un sogno che si realizza, siamo padroni al 100% di ciò che produciamo, possiamo controllare ogni aspet-to della produzione e decidere a chi dare il disco in distribu-zione, chi si occuperà del tour e del merchandise, chi dei rap-porti con la stampa . Certo, possiamo permettercelo in quanto band di successo, ma proprio per questo motivo ci sembrava giusto farlo.

Skunk AnansieLIVESTYLE

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ONSTAGE 30 NOVEMBRE

LIVESTYLE

I biglietti del tour di Cremonini sono in vendita presso i negozi Fnac!

live13/11 Roma, 15/11 Napoli,17/11 BolognaIl calendario completo del tour di Cremonini su onstageweb.com

Page 31: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 31 NOVEMBRE

LIVESTYLE

Per la prima volta, Cesare Cremonini sta girando i palazzetti italiani con il suo tour. A dir la verità, era già successo con i Lunapòp molti anni fa. Per questo, dopo tantissimi concerti e la gavetta nei club, oggi per il bolognese sembra chiudersi un cerchio. La seconda data della tournèe è stata al Forum di Assago, Milano: il più importante concerto della sua carriera (per il momento). In quell’occasione ha raccontato a Onstage i segreti del tour che aveva sempre sognato e che oggi è realtà.

di Daniele Salomone - foto: Francesco Prandoni

tutto in bilico tra ragione e sentimento. Il pen-siero di Cesare Cremonini, a poche ore dal concerto più importante della sua vita, viag-gia tra estremi opposti. «La prima volta che sono

venuto qui avevo 16 anni e sono scappato di casa per vedere gli Oasis. Noel Gallagher lanciò il plettro a fine concerto e saltam-mo in tanti per prenderlo. Ma il plettro finì nella mia mano. Ce l’ho ancora a casa e visto che per me tutto ha sempre un signi-ficato, forse oggi ho capito perché quel plettro lo presi io». Poco prima di lasciarsi andare ai ricordi, c’è stato da incontrare il sarto per gli ultimi ritocchi ai vestiti di scena, i giornali-sti per le interviste, ha fatto gli ultimi ritocchi alla scalet-ta, il soundcheck. «C’è una grande gioia che non è solo mia. è anche dei tecnici, dalle luci, alla regia, di chi lavora al backline e chi monta e smonta il palco. Siamo una squadra molto po-tente e affiatata. È fondamentale perché il concerto non lo faccio da solo, ci sono anche i musicisti e abbiamo bisogno del supporto di tutte le persone che lavorano con noi». Poco dopo Walter Mame-li, produttore artistico di Cre-monini e suo pigmalione, mi confiderà che «Cesare è talmen-te emotivo che rischia di essere in balia delle sue emozioni una volta sul palco. Ma credo che alla fine sia questo l’aspetto che più arriva alla gente». Dopo aver visto il concerto, ho ancora la stessa sensazione del po-meriggio: un perfetto equilibrio tra testa e cuore. Qualche ora prima, nelle viscere del Forum di Assago (Milano), dove i grandissimi della musica italiana e internazionale sono di casa, Cesare mi ha raccontato come il tour che ha sempre sognato si sia trasformato in realtà. Parlandomi, naturalmente, con ragione e sentimento.

Allora Cesare, come si riempie il Forum?

Nel mio caso, partendo da molto lontano. Archiviata la bellissima parentesi dei Lunapòp, mi sono concentrato sulla mia crescita, prendendomi dei rischi, perché mol-te delle scelte che ho fatto nella mia carriera sono state giudicate pericolose. Ma ho pensato solo a migliorare insieme alle mie canzoni e a scrivere dischi che fossero migliori dei precedenti, nelle musiche, nei testi, negli arrangiamento, nella produzione. E credo sia innegabile che da Bagus a La teoria dei colori, la qualità sia cresciuta. È così che sono arrivato al tour che sognavo per le mie canzoni.

Affrontare dei rischi e uscirne indenni è uno dei miglio-ri modi che conosco per raggiungere la libertà. Nel tuo caso artistica.Io faccio musica pop e per me la parola “pop” significa

libertà. Il mio genere musicale si chiama libertà (ride, ndr). Voglio che la mia proposta sia varia, voglio poter fare quello che mi passa per la testa, così mi diverto. Se non mi divertis-si, non lo farei. Da questo pun-to di vista credo di essere ben messo. Ma come ti ho detto l’ultima volta che ci siamo vi-

sti, tutto voglio tranne che sentirmi arrivato o consacrato. Quello che faccio è istintivo, non ho mai la sensazione di sapere prima quello che devo fare. Sono pur sempre un bolognese, pigro e con una gran voglia di tranquillità.

In ambito live, come si traduce tutto questo?Allo stesso modo. Voglio dimostrare che in questo genere tanto chiacchierato che si chiama pop c’è la grande op-portunità di fare tutto quello che si vuole. L’opportunità che voglio cogliere io è mettere in scena un concerto ka-raoke che nello stesso tempo non sia solo uno spettacolo

è

«NON MI È MAI STATO REGALATO NIENTE. ESCLUDENDO I LUNAPòP, MI SONO DOVUTO CONQUISTARE

TUTTO CON GRANDE PAzIENzA. LA PAzIENzA DI ASPETTARE CHE IL

PUBBLICO CONOSCESSE LE MIE CANZONI»

CESARE CREMONINI

Il tour dei miei sogni

Page 32: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 32 NOVEMBRE

LIVESTYLECesare Cremonini

Il comico (La teoria dei colori, 2012)

Stupido a chi? (La teoria dei colori, 2012)

Dicono di me (Il primo bacio sulla luna, 2008)

Amami (quando è il momento) (Maggese, 2005)

Le tue parole fanno male (La teoria dei colori, 2012)

PadreMadre (Bagus, 2002)

Latin lover (Bagus, 2002)

L’uomo che viaggia fra le stelle (La teoria dei colori, 2012)

Non ti amo più (La teoria dei colori, 2012)

Figlio di un re (Il primo bacio sulla luna, 2008)

Due stelle in cielo (Bagus, 2002)

Vieni a vedere perchè (Bagus, 2002)

Vorrei (Squérez, 1999)

Niente di più (Squérez, 1999)

Mondo (1999-2010 The Greatest Hits, 2010)

Una come te (La teoria dei colori, 2012)

La nuova stella di Broadway (La teoria dei colori, 2012)

50 Special (Squérez, 1999)

Il sole (La teoria dei colori, 2012)

Marmellata #25 (Squérez, 1999)

Il pagliaccio (La teoria dei colori, 2012)

Le sei e ventisei (La teoria dei colori, 2012)

I love you (La teoria dei colori, 2012)

Hello! (1999-2010 The Greatest Hits, 2010)

Un giorno migliore (Squérez, 1999)

divertente e allegro. Da una parte mi piace che la gente canti a squarciagola i ritornelli, che magari gli apparten-gono perché fanno parte di un frammento della propria vita, dall’altra mi piace che ascolti, usando orecchie e cer-vello.

Specialmente di questi tempi, band e artisti partono in tour a ridosso dell’uscita del disco. Tu invece hai deciso di far passare quasi sei mesi. Perché?Perchè il mio è un progetto musicale a cui non viene mai regalato niente, da sempre. Escludendo i Lunapòp, mi sono dovuto conquistare tutto con molta pazienza. La pazienza mi è servita per far conoscere al pubblico le mie canzoni, e così vale anche per questo momento della mia carriera. Volevo che l’album facesse un suo percorso pri-ma di presentarmi sul palco. Cre-do che la storia di un’artista vada pensata nel lungo periodo, per questo cerco sempre di guardare il viaggio e non la singola tappa. Non voglio tutto e subito, anzi sono piuttosto spaventato dal successo facile. Ho provato sulla mia pelle cosa si-gnifica.

Quindi il segreto del successo di questo tour è che il pubblico ha avuto modo di capire quante belle canzoni ci sono dentro La teoria dei colori.Direi di sì, ma c’è dell’altro. A Bologna ho tre date sold out. È una sorta di record. Ma non dipende dal fatto che lì le mie canzoni piacciono più che altrove. Il punto è che Bologna ha avuto modo di conoscermi a fondo e io na-turalmente conosco la città in cui sono nato e cresciuto meglio delle altre. È da questo scambio che nasce la fidu-

cia che porta una persona al mio concerto. Le mie canzo-ni sono un modo per farmi conoscere, oltre che piccoli/grandi regali che io spero possano servire alla gente. C’è dentro la mia vita, anche se è vestita da sera. Quando canto Marmellata #25, che è un pezzo leggero ma fatto di immagini, ho in testa davvero la mia stanza, casa mia. Io vivo quello che canto.

Questo concerto parla di una fetta grossa e importante della tua vita. Perché ci sono i brani di quasi quindici anni di carriera.Assolutamente. Le scalette non sono fraintendibili. Una che si concentra sul passato dice una cosa, una sul pre-sente ne dice un’altra, con degli inediti dice un’altra cosa ancora. La mia dice chi sono io e chi sono stato in questi

anni, parla dell’emotività che metto nelle canzoni. Nei brani di Cesare Cremonini c’è tantissimo cuore, tantissi-ma passione, tantissimo amore e voglio che il concerto esprima tutto questo in maniera inequivocabile. Per que-sto l’intensità emotiva è alta fin dall’inizio e non scende mai. Forse si abbassa un po’ solo quando scherzo con il pubblico e mi lascio andare, ma è fisiologico in oltre due ore di spettacolo.

Due ore in cui proponi 25 brani. È un concerto lungo.Fosse per me starei sul palco di più, mi diverto da matti. Ma lo spettacolo è cosi lungo anche per altri motivi. Pur inserendo quasi tutto il repertorio conosciuto, non ho vo-

luto rinunciare ai brani di La teoria dei colori. Mi piacciono e m’impegnano molto, e io adoro fare cose difficili. An-che se questi concerti sono quelli di cui si è parlato di più, ne ho fatti una valanga in passato. E mi sono serviti per imparare a stare sul palco, per capire i meccanismi di un tour. Ho maturato una predilezione per le cose difficili, che m’impegnano. I brani vecchi sono piuttosto semplici per me da proporre, mentre quelli nuovi sono in dive-nire, ogni volta che li suoniamo migliorano, crescono, e anche per me sono una scoperta. Non posso rinunciare a una cosa del genere. Comunque la scaletta è lunga ma vola... perché è una bella scaletta!

Mi sembra uno spettacolo scenograficamente più asciutto rispetto a quanto ci sta abituando il pop. È una

scelta forte, il pubblico è costretto a concentrarsi sulla musica.Sinceramente quando canto Una come te sotto un temporale mi piace-rebbe che venisse a piovere e mi

volasse via un ombrello dalle mani come fossimo dentro un film anni 40. Ma noi stiamo coi piedi per terra e fac-ciamo bene perché i risultati ci premiano. Siamo cresciuti tantissimo come produzione, abbiamo i migliori tecnici d’Italia e questa è la cosa più importante. Perché i mi-gliori sanno fare grandissime cose anche con una produ-zione che non costa milioni di Euro. E comunque, sin-ceramente mi sentirei in imbarazzo ad esagerare con gli effetti speciali. In fondo è il mio primo tour nei palazzetti. Le cose vadano fatte con calma, una alla volta. Aspiro a molto di più, però è giusto che ogni cosa abbia il suo tempo.

Nella scaletta del tour di Cremonini trovano spazio 25 brani, scelti tra l’ultimo La teoria dei colori, i successi della sua carriera solista e un paio di brani dei Lùnapop.

Dream Tour Setlist

«LE CANzONI SONO UN MODO PER FARMI CONOSCERE, OLTRE CHE REGALI CHE IO SPERO POSSANO SERVIRE ALLA GENTE. C’È DENTRO LA MIA VITA,

ANCHE SE VESTITA DA SERA. VIVO QUELLO CHE CANTO»

le foto del ConCeRto

di CReMonini SU

onStageweb.CoM

Page 33: Onstage Magazine novembre 2012

NOI WORLDTOUR2013

MARZO9 TORINO / Palaolimpico12 MILANO / Mediolanum Forum14 MILANO / Mediolanum Forum21 CASERTA / Palamaggiò24 FIRENZE / Mandela Forum

APRILE2 PESARO / Adriatic Arena3 BOLOGNA / Unipol Arena5 MUNCHEN / Olympiahalle8 PRAGUE / O2 Arena10 WIEN / Stadhalle14 HALLE WEST / Gerry Weber16 BRUXELLES / Forest National16 BRUXELLES / Forest National18 BRUXELLES / Forest National20 AMSTERDAM / Ziggo Dome22 OBERHAUSEN / Kopi Arena23 KOLN / Lanxess Arena25 NURINBERG/ Arena Nurnberger28 AMNEVILLE / Galaxie30 PARIS / Bercy30 PARIS / Bercy

MAGGIO2 GENEVE / Arena4 FRANKFURT / Festhalle5 STUTTGART / Schleyerhalle8 BUDAPEST / Sport Arena9 BRATISLAVA / Slovnaft Arena12 ZURICH / Hallenstadion16 BERLIN / O2 Arena16 BERLIN / O2 Arena19 AALBORG / Gigantium24 MOSCOW / Crocus City Hall27 ST. PETERSBURG / The New Arena29 HELSINKI / Hartwall Arena31 COPENAGHEN / Forum

SETTEMBRE11 VERONA / Arena19 BARCELONA / Palau St. Jordi21 MADRID / Palacio de Deportes

IL NUOVO ALBUMNOI’

DAL 13 NOVEMBRENEI NEGOZI E STORE DIGITALI

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ONSTAGE 34 NOVEMBRE

LIVESTYLE

I biglietti del tour di Marracashsono in vendita presso i negozi Fnac!

Non bastasse l’enorme successo del suo ultimo album, King del rap, e del tour che ne è seguito, ecco di nuovo Marracash alle prese con una manciata di date in tutta Italia. Giusto un giro tour, come l’ha voluto chiamare, per evidenziare la brevità di questo appuntamento. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Marra alla vigilia dei primi appuntamenti.

di Stefano Gilardino - Foto: Alessandra Tisato

eccato non vedersi di persona come accaduto in passato, ma Fabio Rizzo, in arte Marracash, è in tour e quindi tocca accontentarsi del tele-fono. Mi pare in ottima forma e col morale al-

tissimo, merito anche di un’accoglienza calorosa da parte del suo pubblico, del successo che pare accompagnarlo un po’ ovunque (doppia data sold out a Roma e a Mila-no) e della consapevolezza di avere i mezzi - tecnici ma anche d’immagine - per poter sfondare definitivamente, come solo Fabri Fibra e Club Dogo prima di lui. Non per nulla, due nomi con cui spesso Marra collabora, quelli che possiamo defi-nire senza ombra di dub-bio le scommesse vinte del rap italiano. La scena nazionale sta vivendo un momento di grande vi-talità e fermento - fomentato anche da fenomeni come Emis Killa o Fedez, che stanno raccogliendo consensi soprattutto fra i giovanissimi - e sarà interessante capi-re se si tratta solamente di una bolla speculativa oppure dell’inizio di una storia credibile. Nel frattempo, tanto per non smentire una tradizione ereditata dagli States, c’è stato un piccolo scontro, in Rete, fra tradizionalisti e nuove leve, uno spunto per iniziare la nostra chiacchie-rata telefonica.

Prima di parlare del tour vero e proprio, ci tocca al-meno spendere due parole sulla recente polemica che ha coinvolto il mondo hip hop italiano. La serata del Forum di Assago - sold out e di grande successo - ha dato adito a critiche e pettegolezzi, tra chi si è schierato a favore

della vecchia scuola e chi invece supporta i nuovi artisti e riconosce come questo sia un momento d’oro e quasi inedito della scena italiana. Senza voler entrare troppo nel merito, che idea ti sei fatto della faccenda?Mah, alla fin fine penso che sia stata una polemica un po’ inutile, dettata più da invidie personali che da una rea-le voglia di confronto. Insomma, è bello che ci sia gente che critica e motiva gli artisti a migliorare e ad andare avanti, ma qui il livello era proprio basso e, come spesso succede, molti si sono buttati a capofitto solo per il gusto

di poter criticare un rap-per piuttosto che un altro. Mi piacerebbe molto che tutto questo attaccamento all’hip hop ci fosse anche quando si tratta di dimo-strare e di manifestare in senso positivo e non solo

quando si litiga. La partecipazione deve esserci in ogni caso, è quella che rende la scena unita e che la fa cresce-re. Ma se un’occasione per discutere si trasforma in una bagarre sterile, allora credo che ci sia poco da imparare e da andarne fieri. In ogni caso, come spesso capita, la faccenda si è sgonfiata nel giro di qualche settimana e ognuno è tornato a occuparsi dei fatti suoi, il che non è poi un male. Meglio concentrarsi su altro.

Tipo sul Giusto un giro tour, che ti sta di nuovo facen-do viaggiare per tutta Italia con grande successo. Ecco, parliamo di questo che mi dà grandi soddisfazioni (ride, ndr). Pubblico caldissimo, date sold out, abbiamo raddoppiato sia a Roma che a Milano. Mi piace stare in giro, è l’essenza stessa della mia professione e i concerti

P

«MI PIACEREBBE MOLTO CHE L’ATTACCAMENTO ALL’HIP HOP CI

FOSSE ANCHE QUANDO SI TRATTA DI DIMOSTRARE E DI MANIFESTARE IN SENSO POSITIVO E NON SOLO QUANDO SI LITIGA»

MARRACASH

IL RE è DI NUOVO

IN GIRO

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ONSTAGE 35 NOVEMBRE

LIVESTYLE

live 16/11 Novara, 20/11 Milano

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ONSTAGE 36 NOVEMBRE

LIVESTYLEMarracash

live mi danno una grande energia. Più che all’hip hop, m’ispiro a certi spettacoli rock, in cui ci si sbatte un sacco, ci si cambia i vestiti, si immagina una bella scenografia complicata. L’ultima cosa davvero fantastica che ho visto, io che non sono un grande frequentatore di concerti al-trui, è lo show di Kanye West e Jay-z. Sarebbe bello avere i soldi per permettersi una cosa del genere, ma restiamo coi piedi per terra.

È cambiato qualcosa rispetto al tour di supporto a King del rap?Sì, abbastanza, mi pareva inutile riproporre la stessa identica cosa. A partire dallo spettacolo in sé - questo è molto incentrato sulla musica e basta - e continuando con la scaletta. Ora sono libero da impegni promozionali, per cui posso permettermi di selezionare una specie di best dei miei tre dischi e divertirmi senza limiti. Sono due ore in totale, con molto intrattenimento, e penso proprio che si noti quanto ci piace stare sul palco. Oltre ai miei pezzi classici, c’è anche spazio per improvvisazioni, uso basi di pezzi famo-se per rapparci sopra e dimostrare come sia possibile fare di tutto con l’hip hop: da Kiss di Prince a All That She Wants dei Roxette, tanto per dire.

Hai con te la stessa squadra?Praticamente sì, ormai siamo una cosa unica. Dj TayO-ne è una garanzia, così come Deleterio, con cui collaboro da tempo. A questo giro abbiamo aggiunto un ragazzo giovane, Attila, salentino, che apre lo spettacolo e poi si aggiunge a noi per un po’ di jam e featuring. È bravissi-mo, ha un’energia pazzesca e mi piacerebbe molto lavo-rare con lui, anzi ci sto già pensando. M’interessa molto la parte produttiva di un disco e credo che sarà una delle cose su cui punterò per il mio futuro.

Quando c’eravamo visti qualche mese fa, dopo l’usci-

ta dell’album, avevamo parlato proprio di un featuring, quello con l’allora poco conosciuto Salmo, che è diven-tato un piccolo campione in pochissimi mesi. Sei bravo a intuire il potenziale degli altri, bisogna ammetterlo.Lo so (ride, ndr). Per questo mi piace l’idea di produrre, credo di essere in grado di intuire il talento puro. In più, spesso si creano sinergie molto particolari, ci si trova a confrontarsi con chi è più giovane, ma anche più affa-mato e questo regala una grande energia. Uno dei buoni motivi per cui i featuring nei dischi hip hop sono spesso così interessanti e importanti.

Parlando di dischi, ridendo e scherzando il tuo è uscito nell’ottobre dello scorso anno. Con la velocità del mon-do discografico attuale, specialmente quello rap, è quasi una vita fa. Hai ragione, infatti appena finito questo tour mi mette-rò d’impegno per comporre e registrare l’album nuovo,

ma senza per questo mettermi troppa pressione addosso. L’idea sarebbe quella di farlo uscire nella primavera del prossimo anno, ma staremo a vedere cosa succederà. Ho parecchia carne al fuoco, rime da selezionare, basi su cui lavorare, sono in quella fase in cui tutto appare caotico, ma estremamente affascinante.

Se King del rap era una specie di summa dei tuoi due primi lavori, uno più immediato e l’altro più ricercato, cosa pensi che verrà fuori dal quarto disco?Bella domanda, ma davvero non saprei cosa rispondere, spero che venga fuori il mio lavoro migliore, qualunque

sia la direzione. Nonostante i tuoi mille impegni, hai trovato anche

il tempo di diventare conduttore televisivo per Spit, un programma di MTV che è andato molto bene. Sì, stiamo parlando di fare anche una seconda edizione proprio perché è piaciuto e ha avuto successo. Era una bella scommessa, il pubblico italiano è ancora poco av-vezzo a questo genere di cose, le battaglie verbali tra rap-per - anche con insulti talvolta - non rientrano certo nella nostra cultura di base, ma l’esperimento è stato visto con curiosità e partecipazione. E spesso la gente si divertiva proprio quando volavano parole grosse! Abbiamo anche ospitato personaggi diversi fra loro, da Materazzi a Filip-po Timi, e questo ha creato interesse anche al di là della solita cerchia di ammiratori, una delle mete che c’erava-mo prefissati. A parte tutto, io mi sono divertito molto anche se devo ammettere che non è stato poi così diver-

so, almeno per quanto mi riguarda, da ciò che faccio sul palco. Sono un MC, un maestro di cerimonie, e a Spit interpretavo quel ruolo.

Potrebbe essere un buon viatico per fare al-tre cose in televisione?Se ti aspetti di vedermi diventare il prossimo Mike Bongiorno, puoi scordartelo. Niente quiz

per me! (risate, ndr)Prima parlavi di una carriera parallela come produtto-

re, attività che rientra nel campo dei tuoi interessi attua-li. C’è qualche altra strada che vorresti intraprendere?Mi sa che ne avevano parlato un po’ anche l’altra vol-ta, ricordi? Scrivere è quello che mi viene meglio, mi dà grandi soddisfazioni e, perché no, mi piacerebbe svilup-pare con costanza questa mia attitudine. La letteratura è una delle mie passioni e sono certo che porterà a qualco-sa d’interessante in futuro. Ancora non so bene quando, ma sono certo sarà così.

«M’INTERESSA MOLTO LA PRODUzIONE E CREDO CHE SARà UNA DELLE COSE SU CUI PUNTERò PER IL MIO

FUTURO. MA ADESSO PENSO AL MIO PROSSIMO ALBUM, CHE SPERO SIA IL MIGLIORE»

In faccia

Quando sarò morto

Se la scelta fosse mia

Fantasma opera + L’ultimo giorno che ho

Semtex

I ragazzi dello zoo del Berlin

Sì sì con la testa

In down

Stupido

Badabum Cha Cha

Prova a prendermi

Tayone vs Marracash

Special Tay

Marrageddon

Fino a qui tutto bene

Come la Cina

Rapper/Criminale

Popolare

Bastavano le briciole

Di di no

Noi siamo il club

Senicar

Sabbie mobili

King del Rap

Giusto un giro

La scaletta del Giusto un giro tour 2012 di Marra.KINGLIST

le foto del toUR

di MaRRaCaSH SU

onStageweb.CoM

Page 37: Onstage Magazine novembre 2012

MIKA

Mika incontra i fane presenta il suo nuovoalbum The Origin Of Love.

Eventi

Scopri il programma completo degli Eventi su fnac.it

Libri, cd, dvd, blu-ray, videogiochi, nuove tecnologie, biglietteria, eventiFirenze | Genova | Milano | Napoli | Roma | Torino | Verona

FNAC MILANO | giovedì 29 novembre ore 18.00

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Page 39: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 39 NOVEMBRE

Ci sono stati molti momenti complicati. A dire la verità c’è stato più di un periodo in cui ho pen-sato che la fine della band fosse davvero molto

vicina. Tuttavia in fondo all’anima sapevo che questo non sa-rebbe mai successo e anche per il futuro non ho alcun dubbio a riguardo. Abbiamo sempre avuto momenti difficili nel corso della carriera, in cui nessuno di noi aveva voglia di passare del tempo insieme agli altri, ma alla fine siamo sempre tornati uno dall’altro, come attratti da qualcosa di impossibile da evitare”. Con queste parole, sofferte ma allo stesso tempo foriere di buoni propositi per il futuro, un sorriden-te Steven Tyler ha presentato Music From Another Dimension! alla stampa mondiale ra-dunatasi in quel di Los Angeles in un caldo pomeriggio californiano.

I motivi per cui gli Aerosmith abbiano impiegato undi-ci lunghissimi anni per ripresentarsi al proprio pubblico con un disco di inediti sono più o meno noti, ma in ogni caso di difficile comprensione: quando Just Push Play ri-empì i negozi di dischi, l’epoca del download illegale era agli albori e il gruppo di Steven Tyler e Joe Perry era in grado di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse, an-che un album minore come quello. Pochi anni dopo, il

ritorno alle origini blues di Honkin’ On Bobo era sembrato il primo passo verso un come back in studio di un certo livello, ma anche in quel caso, una volta uscito l’album, tutto subì una brusca frenata. Ora, l’album che rischiava di diventare il loro personale Chinese Democracy vede fi-nalmente la luce e, in qualche maniera, prova a risarcire un pubblico paziente ma quasi esasperato.

Diciamo subito che chi si aspettava una ricomparsa delle sonorità anni Settanta della band rimarrà parzial-mente deluso: in effetti, le sperimentazioni di inizio mil-lennio sono scomparse e anche la produzione si è fatta meno patinata, tuttavia l’album si muove maggiormente su coordinate vicine ai prodotti degli anni Novanta e ciò di per sé non è per forza di cose un male, anzi. Jack Dou-glas ha svolto ancora una volta un lavoro egregio, dimo-strando di essere il produttore in grado di far lavorare la band al top, tirando fuori il meglio da ogni membro: non

è un caso che dopo decenni ogni componente del gruppo abbia partecipato alla fase compositiva del disco.

Una cosa è certa, la band è in forma smagliante e ci tiene a metterlo bene in mostra: brani come Street Jesus, Oh Yeah e la splendida Out Go The Lights sembrano ef-fettivamente usciti dagli archivi, mentre il primo singolo Legendary Child vede le sue origini nelle session del for-

tunatissimo Get A Grip, datato ormai 1991. Come era logico aspettarsi, non mancano nemmeno le classiche ballad che da sem-pre ricoprono un ruolo di prim’ordine nel canzoniere dei Toxic Twins, ma che questa volta non sembrano rappresentare il per-no dell’album. Su tutte, a svettare sono We

All Fall Down (la canzone del lotto a cui il cantante pare essere più legato) e la conclusiva Another Last Goodbye, in pratica cantata a cappella dal solo Tyler - davvero da brividi lungo la schiena. Insomma, aspettative rispettate in pieno? Se vi avvicinate per la prima volta alla band di Boston, dopo un solo ascolto correrete a comprarne la di-scografia completa. Se invece fate parte da anni dell’Aero Force One, be’, vi divertirete come a una cena in com-pagnia di vecchi amici di sbronze, quelli da cui sapete perfettamente cosa aspettarvi in ogni occasione.

Musica, cinema, videogames, libri

WHAT’SNEW

COME UNA SBRONZA CON GLI AMICIArriva 11 anni dopo Just Push Play il nuovo album degli Aerosmith, Music From Another Dimension!. Un disco vicino alla produzione anni Novanta della band di Boston, in particolare al fortunatissimo Get A Grip. Tra ballate e pezzi veloci, ascoltare il nuovo lavoro dei Toxin Twin è come ritrovarsi con qualche amico di vecchia data davanti a una bottiglia di vino.

di Luca Garrò

Atteso ritorno dei Soundgar-

den di Chris Cornell con King Animal, album che non tradi-sce le attese. Sempre in questo numero i nuovi lavori di No Doubt, Kiss, Neil Young e Franco Battiato.

Azione in salsa poliziesca

con End Of Watch: Tolleranza zero, pelli-cola curata da David Ayer. Spazio poi ad altre interessantipelli-cole cinematografiche come Skyfall, Argo, Venuto al mondo e The Twilight Saga: Brea-king Dawn - parte 2.

Mese di grandi titoli in chiave

games: fanno il loro ritorno Doom 3: BFG Edition, Resident Evil con il sesto capitolo della saga, Dishono-red e Xcom: Enemy Unknown.

40

42

44Aerosmith Music From Another Dimension! (Sony Music) H H H H H

Ascoltando il nuovo album degli Aerosmith vi divertirete come a una cena in compagnia di vecchi

amici di sbronze, quelli da cui sapete perfettamente cosa aspettarvi.

«

Page 40: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 40 NOVEMBRE

WHAT’S NEWMusica

RITORNO AL FUTUROChris Cornell e compagni tornano con un album di inediti a distanza di sedici anni (1996) dal loro ultimo disco in studio Down On The Upside. E lo fanno alla grande con King Animal, produzione che soddisferà vecchi e nuovi fan del quartettp statunitense.

di Marco Rigamonti

S ulla riva del Lago Washington, in quel di Seattle, c’è un’installazione dell’artista Douglas Hollis, composta da una serie di strutture d’acciaio.

Quando soffia il vento gli organi a canne montati sulle torri riproducono strani suoni; se poi la giornata do-vesse essere nuvolosa o grigia, l’effetto è inquietante. È proprio da quest’opera (A Sound Garden) che nel 1984 Chris Cornell, Kim Thayil e Hiro Yamamoto traggono ispirazione per la ragione sociale della loro band. Nati con i primi vagiti del grunge, cambiano presto forma-zione (alla batteria subentra Matt Cameron, al basso Ben Sheperd), raggiungono il mainstream dieci anni più tardi con Superunknown e infine ognuno va per la pro-pria strada dopo Down On The Upside del 1996. Adesso, con il tweet di Cornell - che annunciava “la pausa è fini-ta, è ora di ricominciare” - e spinti dai (buoni) concerti di quest’anno, è finalmente tempo di un nuovo album. Prima doverosa e importantissima specifica: le recen-ti escursioni pop di Cornell (inutile dirlo, mal digerite dai fan) non hanno lasciato il benché minimo segno. La chitarra che disegna il riff del singolo (esplicitamente intitolato Been Away Too Long) spazza via ogni tipo di dubbio, accendendosi e spegnendosi per lasciare spa-zio a cassa e rullante come da tradizione rock. Per par condicio è anche giusto puntualizzare che non si tratta di uno di quei pezzi che verranno ricordati nei secoli; ma perché cercare il pelo nell’uovo quando si è di fron-

te a una dimostrazione di grinta così genuina? Forse perché la successiva Non-State Actor va oltre, e ci ripor-ta indietro nel tempo con rediviva freschezza. Per tutti quelli che sentivano la mancanza dei tempi dispari (e soprattutto della proverbiale capacità dei Soundgarden di farli sembrare poco ostici compensando con melodie e arrangiamenti calzanti), ecco By Crooked Steps, Black Saturday e Worse Dreams. Non potevano poi mancare i brani lenti e trascinati, che nel contesto di King Animal subentrano solo dopo un quarto d’ora abbondante di

sfuriate e si identificano nel trittico composto da Blood On The Valley Floor, Bones Of Birds, Taree e nei lamenti della fulgida Eyelid’s Mouth. L’accessibilità dell’affabile ballad Halfway There rimarca la bravura del quartetto di Seattle, capace di convincere anche quando vengono messi da parte urla e sferragliamenti eccessivi. Quindi quando Chris Cornell predicava energia e ispirazione non stava mentendo: i Soundgarden non sono tornati solo di nome, ma anche di fatto. Poteva forse andarci meglio?

KissMonster (Universal)

H H H di Claudio Morsenchio

“No Filler, No Ballads, Just Full Throttle Rock ‘n’ Roll”. È la scrit-ta che compare sullo stickers rosso

appiccicato sulla copertina del nuovo album dei quattro cavalieri mascherati. Come a ribadire, qualora ce ne fos-se ancora bisogno, che il marchio di fabbrica dei Kiss non bada ai fronzoli, ma va dritto al cuore della musica che in tanti anni di storia ha conquistato il mondo: il rock. Ascol-tando con attenzione il loro ventesimo lavoro in studio, è tutto vero: il ritorno del gruppo americano è denso di chitarre potenti e ritmiche sostenute, senza pause, tenten-namenti smielati e senza sopratutto le noiosissime ballato-ne strappalacrime. Tutto gira intorno agli ingredienti base della loro fortunata carriera: essenzialità, divertimento, liriche scontate e hard rock: semplice ma efficace. In gran spolvero i superstiti membri fondatori: la “stella” Paul Stanley che produce anche il disco, ed il vampiresco Gene Simmons, potente e graffiante sia nei cori che nei pezzi da lui interpretati come voce solista. Duro ed incalzante il riff iniziale di Hell Or Halleluyah, primo singolo estratto, sen-sibile l’influenza anni ’80 nella conturbante Eat Your He-art Out. Intendiamoci: la fase compositiva e creativa della band è ovviamente in sensibile calo di originalità, ma se pensiamo che tra poco festeggeranno i quarant’anni di carriera, i ragazzacci di New York sono in ottima forma e sfoderano ancora quella sfrenata voglia di trasgredire, di-sobbedire e di far festa, che dovrebbe essere la benzina per i giovani ribelli di tutto il pianeta. “I wanna rock and roll all night, and party every day”. Loro ci credono ancora.

BiancoStoria del futuro (INRI)

H H H di Cristina Valentini

Secondo lavoro per Bianco, al secolo Alberto Bianco, artista torinese sot-to le ali dell’etichetta INRI Records,

che aveva già prodotto il suo disco d’esordio Nostalgina nell’aprile del 2011 con la produzione artistica di AntiAnti (celebre al grande pubblico per aver lavorato con con Sa-muel dei Subsonica, Fabri Fibra e Caparezza, tra gli altri). Bianco fa parte della nuova leva cantautorale degli anni Zero, schietta e diretta. Storia del futuro è il frutto della collaborazione con sedici artisti, tra cui Gionata Mirai (Il Teatro degli Orrori), Mr. T-Bone (Africa Unite, Bluebea-ters), Peter Truffa (Bluebeaters) e Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione che troviamo nel brano La solitudine perché c’è?. Undici canzoni che parlano d’amore, del nostro futu-ro, della nostra vita. L’onestà è qui una parola che sboccia spontaneamente, perché insita nelle persone, ma che pur-troppo guardando solo fuori dalla finestra scompare in un soffio. Bianco e il suo collettivo sono fra coloro che co-struiranno la Storia del futuro, perché credono in quello che fanno, superando gli ostacoli, ma soprattutto perché affrontano ogni cosa con quella lealtà che ci viene inse-gnata dai genitori e dai nonni come valore fondamentale alla base di qualsiasi rapporto umano. «Decido di cambiare, inizio col pagare spesso l’autobus», canta Bianco. Noi tutti dovremmo iniziare a cambiare, oltre che ad ascoltare que-sto disco. Si parla tanto di stallo del music buisness, forse, per una volta, ci vorrebbe l’umiltà di mettere da parte i preconcetti ed abbandonarsi alla Storia del futuro. So-prattutto se scritta da un cantautore come Bianco.

Neil Young & Crazy HorsePsychedelic Pill (Warner)

H H H H di Stefano Gilardino

Manco il tempo di riprenderci e assi-milare per bene Americana, un album di cover piuttosto particolare, ed ecco

il nuovo doppio CD di Neil Young, accompagnato dai pro-di Crazy Horse. Registrato come il suo predecessore negli studi Audio Casablanca, Psychedelic Pill è un ritorno al verbo classico del cantautore canadese, quello fatto di lun-ghissime jam chitarristiche e di assoli che accompagnano fughe in macchina attraverso l’America e struggenti storie d’amore. E niente potrebbe rendere meglio l’idea dell’ini-ziale Driftin’ Back, oltre 27 minuti (sì, avete letto bene) che scorrono tra un’intro acustica e una serie quasi infinita - e pure un po’ estenuante, diciamocelo - di assoli, per una can-zone che setta il tono di un disco monumentale, è proprio il caso di dirlo. Un episodio non di certo isolato visto che sia Ramada Inn che la conclusiva Walk Like A Giant si spin-gono oltre il quarto d’ora, con la seconda traccia che pare una versione riveduta e corretta - pur con meno pathos - di Like A Hurricane, uno dei classici targati Neil Young. E se il fulcro di Psychedelic Pill risiede proprio in quei tre brani, il resto conclude un’opera che siamo certi riscuote-rà buon successo tra i fan del chitarrista: impossibile non menzionare la bella Twisted Road, omaggio a Bob Dylan, più volte citato come influenza dal musicista, il rock’n’roll tirato della title track e She’s Always Dancing, altra prova che si snoda ben oltre il classico formato canzone. Un disco nato dalle continue jam in sede live e che proprio sul palco, sono certo, acquisterà ulteriore fascino. Chissà se il vecchio Neil passerà anche dalle nostre parti.

Soundgarden King Animal(Universal) H H H H

Page 41: Onstage Magazine novembre 2012

ONSTAGE 41 NOVEMBRE

WHAT’S NEWMusica

No Doubt Push And Shove (Interscope Records)

H H di Claudio Morsenchio

C’era una volta una frizzante band ameri-cana che nei gloriosi anni Novanta, pieni di straripante contaminazione, si era procurata

uno spazio di tutto rispetto nel mondo nel rock, fra ammiccanti ritornelli, accelerazioni scorbutiche e maliziose ritmiche in levare. Con lo zampino di una splendida biondina tutto pepe, che tra-duceva in armonie vocali il grande lavoro compositivo di tutto il gruppo. A completare l’opera, qualche singolo particolarmente riuscito che spopolava nelle emittenti radiotelevisive degli States, e poi di tutto il mondo, conquistando abilmente grandi e piccini. A distanza di quasi vent’anni dagli esordi, quel che resta della band di allora è poco più che un ricordo. Push And Shove è un disco di pop sbiadito con pochi sussulti emotivi e pochissimi degli ingredienti che fecero grandi i No Doubt due decenni fa. Forse la prestigiosa carriera solista di Gwen Stefani ha in qual-che modo condizionato la verve del gruppo, riducendo la par-tecipazione dei compagni di viaggio della talentuosa vocalist a rapide comparsate. Il disco vanta un’imponente produzione e un dirompente look moderno, ma mancano completamente anima ed ispirazione. Qualche piccolo sussulto lo regala il singolo Seattle Down, supportato da un coloratissimo video. Ma il disco, nell’in-sieme, è piuttosto scontato e monotono. Un vero peccato, perché i protagonisti hanno indubbie qualità che però restano nascoste dietro chissà quale armadio. Push And Shove è uno dei tanti dischi anonimi da classifica, il tipico prodotto di chi non se la sente di metterla sul coraggio, preferendo l’anonimato al rischio.

Irene Grandi & Stefano BollaniIrene Grandi & Stefano Bollani (Carosello)

H H H H di Cristina Valentini

Dall’amicizia fra due artisti possono na-scere esperienze eccezionali. Irene Grandi, una delle più belle voci pop del panorama

italiano, e Stefano Bollani, eclettico pianista jazz noto al grande pubblico anche per le sue recenti apparizioni televisive (Sostiene Bollani), hanno deciso di celebrare la loro amicizia, che dura da oltre 20 anni, dando sfogo a tutta la loro creatività. Così hanno interpretato cover ricercate che spaziano dai classici del passato a brani più moderni, come la canzone scritta da Cristina Donà o il primo singolo Costruire, reinterpretazione del brano di Niccolò Fabi. «Amo questa canzone, fa riflettere sul presente, su come viverlo, facendo. Le aspettative e i ricordi sono belle immagini, ma costruire nella propria vita è un atto coraggioso e importante e in questa canzone ne prendiamo coscienza...». Queste sono le parole che Irene ha pub-blicato sulla sua pagina Facebook per ringraziare Niccolò. Per chi non lo sapesse, questa non è la prima collaborazione fra i due artisti, che avevano già suonato insieme (nei primi anni ’90) nel gruppo toscano La Forma e successivamente nel 2008 nella raccol-ta natalizia di Irene, dove interpretarono Oh Happy Day. Questo progetto funziona perchè i due grandi artisti hanno trovato il giu-sto calibro tra la calda e graffiante voce di Irene e le straordinarie doti musicali di Stefano. Un lavoro che sottolinea tutto il talento, la classe ma anche l’ironia del duo, che passa da Viva la pappa con il pomodoro di Rita Pavone a No Surprises dei Radiohead, due brani che non c’entrano nulla l’uno con l’altro ma che qui, interpretati alla loro maniera, si incastrano perfettamente. Ognuna delle can-zoni presenti in Irene Grandi & Stefano Bollani scorre attraver-sando l’oceano, sorvolando l’Europa e camminando per le strade del nostro passato e presente. Questo è il grande viaggio di Irene Grandi e Stefano Bollani.

La playlist dei brani più ascol-tati a ottobre dalla redazione di Onstage (in ordine rigorosamen-te casuale).

donald fagen i’M not tHe SaMe wHitoUt YoUSuken Condos (2012)

HotliSt

die antowooRdenteR tHe ninJa$0$ (2009)

floRenCe + tHe MaCHine Rabbit HeaRt RaiSe UpLungs (2009)

elton JoHn tinY danCeRMadman Across The Water (1971)

gReen daY kill tHe dJ!Uno! (2012)

MUMfoRd & SonS babelBabel (2012)

bianCo feat. tommi tommaso Cerasuolo la SolitUdine peRCHé C’èStoria del futuro (2012)

elViS pReSleY (YoU’Re So SQUaRe) babY i don’t CaReJailhouse Rock (1957)

MUSe big fReezeThe 2nd Law (2012)

tUne-YaRdS eS-SoWho Kill (2011)

Franco BattiatoApriti sesamo (Universal)

H H H di Marcello Marabotti

«Apriti sesamo è uno dei dischi migliori della mia carriera». Con queste parole Battiato aveva battezzato il suo nuovo lavoro durante la

presentazione alla stampa. Il ventottesimo album della sua carrie-ra. Il Maestro ha percorso il viaggio della sua maturazione artistica tenendo ferma la rotta sulla qualità, la sperimentazione e la ricerca sia sonora che testuale del proprio lavoro. Una costanza che l’ha sempre premiato rendendolo uno dei pochi, pochissimi artisti in grado di meritarsi il plauso della critica e del pubblico, da sempre affezionato a Battiato. Anche in Apriti sesamo si sente il lavoro del Maestro, la dedizione di un artista che leviga il proprio disco come un ciabattino modella le proprie scarpe. Con lui alla chitarra Si-mon Tong, quello che accompagnava Richard Ashcroft nei Verve e all’organo Hammond Carlo Boccadoro, uno dei migliori pianisti che la nostra terra possa vantare. Con degli artigiani di questo li-vello, nella bottega Battiato è facile rimodellare il Passacaglia della vita del musicista cinquecentesco Stefano Landi, Orfeo e Euridi-ce del compositore viennese Christoph Willibald Gluck nella can-zone Caliti juncu o ancora Sherazade di Rimski-Korsakov nella title track Apriti sesamo. E i testi? Dietro alle sonorità (nelle quali non può mancare una spruzzata di elettronica e le sue ardite scompo-sizioni ritmiche) ci sono le parole di Manlio Sgalambro, filosofo, scrittore, poeta e cantautore, nonché amico e storico collaboratore di Battiato dal lontano ‘94. «Manlio mi manda i suoi testi e io, da musicista, li taglio e cucisco a seconda delle esigenze», ha dichiarato a proposito il cantautore. Anche quando «Alì Babà si fece coraggio... e si avvicinò alla grande grotta, impaurito e tremante ripetè la formula magica: Sesamo apriti. La roccia girò su se stessa e come porta si spalan-cò. A quel punto, sorto il giorno, Sherazade si interruppe e la fiaba finì». E la grandezza di Battiato continuò la sua magia.

Kylie MinogueThe Abbey Road Sessions (Emi)

H H H di Cristina Valentini

Kylie Minogue è un’artista a 360 gradi. Can-tante, attrice, produttrice e addirittura stili-sta, è considerata una delle maggiori artiste

pop a livello mondiale. Quale celebrazione migliore per festeggia-re i venticinque anni di carriera se non regalare ai propri fan un album all’altezza della sua propria fama? La cantante ha deciso di riarrangiare sedici dei suoi più grandi successi in versione orche-strale, registrandoli nei famosi Abbey Road Studios di Londra che furono già teatro della leggenda dei Fab Four. Un luogo diventato il sogno e la mecca per qualsiasi musicista, oggi fulcro vitale della musica rock, pop e classica. Ad anticipare l’album ci ha pensato il nuovo singolo Flower, traccia inedita che Kylie aveva già stato presentato durante il suo “X Tour” del 2008, ma che non aveva mai trovato spazio in un disco: una canzone delicata che parla di un bambino mai nato, uno dei temi da sempre cari all’artista au-straliana, Che per questo disco si è avvalsa della collaborazione del signor Nick Cave. I due sono grandi amici e per questo King Ink ha deciso di incidere nuovamente Where The Wild Roses Grow, la meravigliosa ballata che li ha visti duettare nel ’95; diciamocelo, questa nuova versione è da pelle d’oca e vale l’acquisto dell’intero disco. The Abbey Road Sessions è forse il modo migliore di Kylie per ringraziare i milioni di fan, regalando i brani a lei più cari e i suoi cavalli di battaglia in una nuova veste. La sua voce non è mai stata così intensa e sensuale, andando là dove l’arrangiamento abbrac-cia il suo canto. Con i suoi quarantaquattro anni Kylie ci dimostra che anche pescando nel passato si possono trovare nuove perle.

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ONSTAGE 42 NOVEMBRE

Dopo il totale fallimento di un’opera-zione ad Istanbul, James Bond risulta disperso e viene ritenuto morto. Nel frattempo, in seguito ad una fuga di no-tizie, le identità di tutti gli agenti opera-tivi dell’MI6 vengono rese pubbliche su internet. Il governo britannico chiama M a rapporto e, proprio quando sono gli stessi servizi segreti ad essere attac-cati, Bond ricompare. M lo incarica di rintracciare Raoul Silva, un pericoloso criminale con il quale ha una questio-ne personale aperta. Seguendo una traccia che lo aveva portato da Londra al Mar Cinese Meridionale, Bond vede la sua lealtà messa a dura prova dai se-greti che M nasconde sul suo passato. Il 23° film su 007 è diretto dal regista premio Oscar per American Beauty.

Durante la rivoluzione iraniana del 1979, che trasformò la monarchia per-siana in una repubblica islamica, un gruppo di militanti fece irruzione nell’ambasciata americana prendendo in ostaggio 52 persone. Nel caos, sei americani riuscirono ad allontanarsi ri-fugiandosi presso la residenza dell’am-basciatore canadese. Un nascondiglio decisamente sicuro, ma non per molto tempo. L’agente della CIA Tony Men-dez mise in atto un rischioso piano per farli uscire dal Paese, tentò di farli pas-sare per una troupe cinematografica.

Una vicenda realmente accaduta che Ben Affleck ha scelto di adattare per il cinema. L’attore finisce così dietro la macchina da presa per la terza volta, affidando a se stesso il ruolo di Tony Mendez. Tra i produttori c’è anche Ge-orge Clooney.

L’intenso amore tra Diego e Gemma non sono abbastanza per colmare l’impossi-bilità di lei di concepire figli. Nella Sara-jevo distrutta dalla guerra, i due trovano una soluzione in un’altra donna. Gemma spinge Diego tra le braccia di quest’ulti-ma per poi essere sopraffatta dal senso di colpa. Sotto il fuoco dei bombardamenti, Gemma riesce a fuggire dalla città con il figlio Pietro ancora in fasce, mentre Die-go non ce la fa a partire con loro.

Diciannove anni più tardi, Gemma e Pietro tornano a Sarajevo per assistere a una mostra in memoria delle vittime e intraprendono un viaggio attraver-so i ricordi della donna. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, moglie di Castellitto.

Dopo tre giorni di agonia, Bella si rende conto dei cambiamenti subiti dal suo corpo. La trasformazione appare com-pleta: ora anche lei è un vampiro. La famiglia Cullen la avverte dell’impre-vedibile reazione che il sangue umano le creerà. Ciononostante Bella riesce a dimostrare autocontrollo e manifesta il desiderio di poter vedere la figlia Re-nesmée avuta con Edward ma, dal mo-mento che la bambina è in parte umana, questo desiderio non le viene concesso.

Intanto i Cullen sono consapevoli della nuova minaccia incombente e si affrettano a radunare i vampiri alleati per difendere la loro famiglia, e in parti-colare la bambina, dai malefici Volturi.

SkyfallUK/USA, 2012, 140 min. Cast: Daniel Craig, Judi Dench, Ralph Fiennes, Javier Bardem, Naomie Harris, Rhys Ifans, Béré-nice Marlohe, Albert Finney, Ben Whishaw, Tonia Sotiropoulou

di Sam Mendes

critica H H H pubblico H H H H

ArgoUSA, 2012, 120 min. Cast: Ben Affleck, John Goodman, Alan Arkin, Bryan Cranston, Kyle Chandler, Rory Cochrane

di Ben Affleck

critica H H H Hpubblico H H H

Venuto al mondoSpagna/Italia/Croazia, 2012, 127 min. Cast: Penélope Cruz, Emile Hirsch, Adnan Hasković, Pietro Castellitto, Saadet Aksoy, Luca De Filippo, Jane Birkin, Sergio Castellitto di Sergio Castellitto

critica H H H pubblico H H H

The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2USA, 2012, 116 min. Cast: Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Dakota Fanning, Maggie Grace, Peter Facinelli, Ashley Greene, Michael Sheen, Kellan Lutz... di Bill Condon

critica H H pubblico H H H H

WHAT’S NEWCinema

End of Watch - Tolleranza zeroUSA, 2012, 109 min.

Cast: Jake Gyllenhaal, Michael Peña, Anna Kendrick, Cody Horn, America Ferrera

di David Ayer

critica H H H HHpubblico H H H HH

South Central, Los Angeles. Un quartiere il cui nome è stato associato per anni a degrado urbano e criminalità di strada, tanto da convincere la muni-

cipalità a rinominarlo South L.A. nel 2003. David Ayer ha trascorso in questa area l’adolescenza, il periodo che più di ogni altro ha influenzato il futuro lavoro di sceneggia-tore e regista. Suo è lo script di Training Day, thriller che valse l’Oscar a Denzel Washington. Questo ultimo poli-ziesco che ha anche diretto è ambientato proprio a South

Central ed è la storia di due agenti di polizia con un solo obiettivo comune: rientrare ogni giorno a casa sani e salvi alla fine del turno di servizio, sempreché il destino non si metta di traverso.

Tra situazioni critiche da gestire e spettacolari scene d’azione, trascorrono gran parte della giornata in una macchina della polizia aspettando la prossima chiamata dalla centrale. Tra i due nasce una forte intesa che gli per-mette di agire come se fossero un’unica forza. L’azione del

film si sviluppa con la tecnica della macchina a mano, vol-ta a far sentire il pubblico in mezzo agli attori. I punti di vi-sta si alternano continuamente tra poliziotti, membri delle gang, videocamere di sorveglianza e cittadini intrappolati nelle linee di tiro. La dinamicità e il realismo diventano il valore aggiunto di questo ritratto di vita urbana, in cui la violenza è costantemente innescata e pronta ad esplodere ad ogni angolo. L’altra virtù del film è la presenza di Jake Gyllenhaal, rasato a zero per vestire la divisa.

A cura di Antonio Bracco

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ONSTAGE 44 NOVEMBRE

WHAT’S NEWVideogames

Un anno fa fui letteralmen-te rapito dagli screenshot di Dishonored, che trasmet-tevano un effetto simile a quello suscitato dalla sini-stra distopia steampunk di Bioshock. Le mie aspettative sono cresciute a dismisura; e ora posso affermare che non ho sperato invano. In-vischiato in un intrigo sur-reale dai contorni politici e arcani, Corvo Attano - aiu-tato da una frangia di ribelli lealisti - dovrà vendicare

l’assassinio dell’Imperatrice e liberare la sua legittima erede. La pressoché totale libertà di azione è garantita da vari gadget e poteri speciali, ma il più delle volte sarà meglio ingegnarsi e farsi notare il meno possibile piuttosto che aprirsi la strada con armi da fuoco attirando l’attenzione. Nonostante l’immensa va-rietà di soluzioni a disposizione (dalla possessione degli animali alle alterazioni temporali), il gameplay rimane intuitivo e ve-loce, dispensando sensazioni di appagamento continue. Inoltre una menzione d’obbligo va alla caratterizzazione degli scorci di Dunwall e dei suoi abitanti: semplicemente abbagliante. Forse - impatto grafico a parte - Dishonored ha ben poco da spartire con Bioshock; ma di sicuro raccoglie ufficiosamente l’eredità del glorioso Thief del 1998, diventando lo stealth-game più ispirato di questa generazione.

Chi pensava che la vena action di Capcom si sareb-be esaurita con il recente spin-off Raccoon City dovrà ricredersi: anche il nuovo capitolo di Resident Evil punta deciso nella dire-zione dei proiettili, trascu-rando (con poche riserve) esplorazione e risoluzione di enigmi. Questo sesto epi-sodio è composto da quat-tro distinte campagne, due delle quali (Leon e Ada) accarezzano i canoni della

vecchia scuola, mentre le altre (con protagonisti Jake e Chris) si distinguono per sperimentazione e frenesia; in tutti i casi, i momenti in cui si trattiene il respiro attendendo un agguato da un momento all’altro sono un lontano ricordo. I conservatori potrebbero rimanerci male, ma è bene considerare che il gioco - oltre a divertire tantissimo - tiene fede alla sua forte personalità nonostante la componente “adventure” sia relegata ai margini; il comparto tecnico è molto curato (un intero dvd è riservato esclusivamente al doppiaggio delle voci in varie lingue, italiano compreso), e il valore aggiunto della coop unito all’intrico delle trame aumenta il replay value. Cari nostalgici, i tempi del revi-val puro verranno: ora il consiglio è di concentrarvi senza pre-giudizi sul capitolo più moderno ed eclettico della saga survival horror per eccellenza.

Vedete la scritta qui sopra che recita “Genere: First Person Shooter”? Ecco, in questo caso sarebbe giusto fare un’eccezione e mettere un bell’articolo davanti a First Person Shooter. Per-ché è fuori discussione che senza Doom i livelli di ec-cellenza raggiunti oggi dai moderni sparatutto non sa-rebbero tali. In questo pac-chetto confezionato dalla mitica Id Software troviamo le versioni originali del pri-

mo e del secondo episodio e un restyling accurato (con tanto di espansione Resurrection of Evil) dell’ultima puntata della trilogia - in attesa di Doom 4, annunciato da parecchi anni e ancora av-volto nel mistero. Siccome già ai tempi della sua release ufficiale (2004) il titolo era avanti anni luce per impatto grafico e presta-zioni tecniche, la casa produttrice texana ha scelto di ritoccare senza stravolgere. Il mutamento più evidente ha invece a che fare con una rettifica sul sistema di controllo, che ora ci consente di impugnare sia la torcia che le armi allo stesso momento; que-sto rende alcune circostanze di gioco in origine folli molto meno problematiche, soprattutto a livello Nightmare. L’aggiunta di livelli inediti (The Lost Mission) impreziosisce un pacchetto che profuma di leggenda e disegna l’evoluzione degli sparatutto moderni in tre passi: essenziale.

Rinverdire i fasti di un tito-lo di culto è un’operazione sempre difficile e rischio-sa. Ma per fortuna che c’è Sid Meier. Perché anche se Enemy Unknown è il primo titolo Firaxis a non incor-porare il nome del genio canadese (per i profani stia-mo parlando della mente dietro a Civilization) il buon Sid ha agito nell’ombra, e la sua direzione artistica è come sempre una garanzia. Nel ruolo del comandante

a capo del progetto XCOM, il nostro compito è di orchestrare le operazioni di difesa della terra da un’improvvisa invasione aliena; per ognuna delle missioni sparse per il globo ci confron-teremo con altri ufficiali per disegnare la miglior strategia da seguire. Il tutto si svolge attraverso il classico sistema basato sui turni, quindi è necessario valutare attentamente le proprie mosse considerando diversi particolari: dalle abilità specifiche dei soldati alla posizione che stanno occupando, dal tipo di attacco sferrato dai nemici al raggio di azione raggiungibile. Dopo ogni battaglia il livello delle truppe utilizzate cresce: con l’esperienza aumentano le abilità e si ottengono nuove specia-lizzazioni. Il fascino del capolavoro Microprose è intatto - e questa è già una notizia; gli aggiornamenti 2012 funzionano che è una meraviglia.

Dishonored (Arkane)

Disponibile per: PS3, Xbox 360 Genere: Action/Adventure

H H H H

Resident Evil 6 (Capcom)

Disponibile per: PS3, Xbox 360 Genere: Action/Adventure

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Doom 3: BFG Edition (Id Software)

Disponibile per: PS3, Xbox 360 Genere: First Person Shooter

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XCOM: Enemy Unknown (Firaxis Games)

Disponibile per: PS3, Xbox 360 Genere: Strategy

H H H H

L a fantomatica virtù dei forti oc-cupa da sempre un posto d’ono-re quando si parla di videogiochi;

ma il termine “pazienza” comprende di-verse sfaccettature, ognuna misurabile attraverso determinate azioni e rea-zioni del giocatore. La concentrazione e la diligenza solitamente influiscono sul numero di tentativi necessari a su-perare un ostacolo. La perseveranza è direttamente proporzionale al tempo che si passa davanti allo schermo: c’è chi non molla fino a quando raggiunge l’obiettivo e chi dopo pochi tentativi si dà al giardinaggio. La calma (o auto-controllo) è l’aspetto più interessante, perché tira in ballo l’etologia: ci sono giocatori che sanno prendere una sconfitta con filosofia, ce ne sono altri che sfogano la frustrazione in modi esilaranti o preoccupanti (urla, pugni al muro, distruzione sconclusionata di qualsiasi oggetto capiti a tiro – la prima vittima solitamente è il joypad, nei casi più gravi la tv).

Il genere che enfatizza il ruolo della pazienza più di ogni altro è quello dei cosiddetti Stealth Games, che ricom-pensano il calcolatore e penalizzano l’impaziente. I primi esempi risalgono a 30 anni fa: titoli come Castle Wolfenstein (1981) e Metal Gear (1987) invogliava-no (o in certi casi obbligavano) a farsi notare il meno possibile per uscire dai quadri tutti d’un pezzo. Dati i limitati mezzi a disposizione dei tempi, essere furtivi significava in sostanza aspettare al riparo il momento giusto per agire, per poi passare velocemente alle spal-le di un nemico. Ma la nascita dello Stealth Game moderno va attribuita senza dubbio a Thief: The Dark Project (1998).Nella produzione firmata Loo-king Glass Studios ci si muoveva in pri-ma persona nei panni di un ladro, che per farla franca doveva considerare meccaniche mai prese in considerazio-ne prima: la luce (nascondersi nell’om-bra rendeva il personaggio invisibile alle guardie) e il suono (camminare su superfici morbide non produceva ru-mori, mentre i pavimenti in ceramica facevano riecheggiare i passi del bri-gante).

Da quel momento in poi le dinami-che della furtività vengono applicate in ogni dove: ad esempio nei giochi di guerra/spionaggio (Splinter Cell, Hit-man), nei survival horror (Siren) e negli sparatutto (Crysis). Tra i titoli più recen-ti impossibile non citare perle come Assassin’s Creed (che con la possibilità di mimetizzarsi in mezzo alla gente ag-giunge un ulteriore elemento stealth), Deus-Ex (che rende quasi indispensabi-le l’azione clandestina) e il nuovissimo Dishonored, probabilmente il miglior gioco moderno in questo genere. Ab-biate pazienza: ne vale la pena.

chip TaLk

Be Stealthy!(Fai piano, che ti beccano!)

di Blueglue

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Live is betteronstageweb.com

facebook.com/onstageweb @ONSTAGEmagazine onstagemagazine.tumblr.com

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ONSTAGE 46 NOVEMBRE

COMINGSOONdicembre

The Black KeysD an Auerbach e Patrick Carney sono nati sotto il

segno della D, ovvero del Delta del Mississip-pi. Esattamente lì, in quelle sacre acque dove è

nato il blues. Basta ascoltare una loro canzone per capire che a questi due ragazzi la musica del diavolo scorre nel sangue, fin da quando lavoravano insieme. Il duo mesco-la la passione di Pat per i Devo, il noise rock e l’hip-hop con l’esperienza blues-elettrica di Dan, tramandatagli dal padre. Il primo segno arriva nel 2001, quando Auerbach prenota la sala di registrazione casalinga (nel seminter-rato) di Patrick per registrare con la sua band di allora, i Barnburners. Il gruppo però non si presenta, così Pat e Dan, improvvisando, buttano fuori la prima canzone dei Black Keys. È la scintilla che li porta, nel 2002, all’esordio

con l’album The Big Come Up, a cui hanno fatto seguito poi Thickfreakness (2003) e Rubber Factory (2004). Nel 2006 pubblicano il quarto album Magic Potion e nel 2008 Attack & Release. Sono cinque dischi di grande livello, ma Dan e Patrick esplodono con Brothers pubblicato il 18 maggio 2010. Un album che contiene pezzi come Everlasting Light, Next Girl, Tighten Up e Howlin’ For You, ma l’elenco potreb-be andare avanti comprendendo l’intera tracklist. Il disco consente alla band americana di aggiudicarsi un Gram-my per il “miglior disco di rock alternativo”. Con la for-mula perfetta che unisce la magia del blues a riff sporchi e grezzi, conquistano il mondo. Grazie al loro talento e al loro genio donano nuovo vigore alla musica rock, quella polverosa, rumorosa, sofferta e con qualche chitarra scor-

data, in un periodo storico in cui la dance sembra domi-nare il pop. Il duo dell’Ohio trova la consacrazione main-stream con El Camino, uscito a fine 2011, di cui Patrick ha detto: «In ogni disco facciamo in modo di trovare il mood e poi ci atteniamo a quello. Ai tempi di Brothers ascoltavamo un sac-co di hip-hop e vecchio r&b e abbiamo attinto da lì. Questo è il primo disco che facciamo puramente rock & roll». Nonostante le chiare influenze - il classic rock anni 70, dai Led zeppe-lin ai Black Sabbath - il sound del gruppo di Akron resta unico e assolutamente originale. L’abbiamo capito anche noi italiani. Per questo, dopo la data sold out di febbraio a Milano, i Black Keys tornano a suonare nel nostro paese e in una location grande come il Palaolimpico di Torino. Ci vediamo lì. (Cristina Valentini)

» ADAM CARPET12/12 Milano13/12 Roma14/12 Conegliano (TV)

» BIAGIO ANTONACCI08/12 Taranto 10/12 Acireale (CT)12/12 Napoli13/12 Pescara15/12 Roma18/12 Milano19/12 Milano

» CAT POWER03/12 Milano04/12 Bologna

» CLAUDIO BAGLIONI26/12 Roma27/12 Roma28/12 Roma29/12 Roma30/12 Roma

» IL CILE01/12 Pinarella di Cervia 07/12 Lecce08/12 Messina

» CLUB DOGO01/12 Roncade (TV)06/12 Milano07/12 Bologna08/12 Roma

09/12 Milano14/12 Firenze15/12 Taneto (RE)

» CONVERGE19/12 Milano20/12 Roma

» PINO DANIELE28/12 Napoli29/12 Napoli30/12 Napoli

» JENNIFER GENTLE Feat. VERDENA14/12 Dueville (VI)15/12 Ancona

20/12 Bologna21/12 Roma 22/12 Conegliano (TV)

» ROB ZOMBIE withMarilyn Manson12/12 Bologna

» VINICIO CAPOSSELA01/12 Rimini 06/12 Pordenone 07/12 Verona 08/12 Cortemaggiore (PC)

» THE VACCINES12/12 Treviso13/12 Milano

» IAN ANDERSON (JETHRO TULL) 02/12 Lucca03/12 Roma04/12 Modena06/12 Pesaro

» IL TEATRO DEGLI ORRORI01/12 Roma08/12 Marghera (VE)14/12 Verona 15/12 Milano

» MALIKA AYANE03/12 Milano04/12 Milano

» NINA ZILLI10/12 Bergamo16/12 Milano

» THE XX02/12 Milano

» THE VACCINES12/12 Treviso13/12 Milano

» MESHUGGAH05/12 Bergamo

» THE HIVES04/12 Milano

live 01/12 Torino

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tezenis.com