OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

68
Organo di Informazione Università Popolare di Camponogara Direttore Responsabile: Michele Gregolin oltre OLTRE - Rivista di Storie e Fotografia - Anno 2 N° 5 Aprile 2015

description

Rivista di Storie e Fotografia, Università Popolare di Camponogara (VE)

Transcript of OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

Page 1: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

Organo di Informazione Università Popolare di Camponogara

Direttore Responsabile: Michele Gregolin

oltre

OLTRE - Rivista di Storie e Fotografia - Anno 2 N° 5 Aprile 2015

Page 2: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015
Page 3: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltreeditoriale

Cari amici di Oltre, siamo nuovamente online con il nostro, vostro giornale; un fatto accaduto pochi giorni fa mi ha toccato profondamente, e in modo spontaneo mi sento di cominciare questo editoriale con una do-manda: fino a che punto l’imbecillità umana avrà il suo limite?Nella serata di un primaverile aprile, mani prive di ogni scrupolo hanno appiccato il fuoco ad un sim-bolo dell’archeologia industriale del nostro terri-torio, un mostro di legno e mattoni faccia a vista che dalla fine dell’ottocento riposava sulle rive di un fiume, il Sile, che silenzioso lo osservava e con-tinuava imperterrito verso la sua discesa al mare.Un colosso dell’industria, luogo di lavoro ma an-che luogo di ricordi per molti degli operai che in quella fabbrica, la Chiari e Forti di Silea, avevano lavorato, sofferto e gioito di quello che oggi è un miraggio per molti dei nostri giovani: il lavoro.A pochi giorni dalla messa all’asta dell’edificio, im-provvisamente quando il sole iniziava ad allungare le ombre :il fuoco!Un fuoco che divampa e cresce fra il legno di una struttura fragile, ma nello stesso tempo dimostra-zione di forza e potere.Per chi come me, in quel luogo è entrato diverse volte per scattare fotografie, rispettandolo quasi avendo paura di quella maestosità, per documen-tare, perdersi nei silenzi e negli scricchiolii di scale,

dei pavimenti instabili, quel fuoco ha rappresenta-to la fine di una ricerca all’interno di se stesso.Le fotografie che oggi raccontano quegli spazi, fo-tografie che in parte sono state pubblicate nel mio libro, oggi sono solo un ricordo; gli scivoli dove scendevano i cereali per la produzione dell’Olio Cuore, il cielo che in tante occasioni faceva da sof-fitto, oggi sono solo una piccola indimenticabile documentazione di un tempo.Le brecce sui muri, quasi ad identificarne le ferite del luogo oggi sono le ferite di tutti noi, abbiamo perso un pezzo di storia, da poter raccontare ai nostri figli, ai figli dei nostri figli, perché il passato deve rimanere fulcro portante per un futuro mi-gliore.Per quanto ancora gli interessi di pochi avranno il sopravvento? Dopo il Gran Teatro La Fenice a Ve-nezia, il Mulino Stucky alla Giudecca , il Petruzzelli di Bari, oggi la fabbrica Chiari Forti va ad aggiun-gersi ad una interminabile lista di ricordi. A tutti coloro che, qualche anno fa, hanno parlato, posato la prima pietra per un nuovo progetto di ri-nascita del luogo, ma sono rimasti poi a guardare, va tutta la mia rabbia.

Michele GregolinDirettore Responsabile

3

Page 4: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

XX

62

42

68

10

40

10

06

18

26

34

Page 5: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

sommario

#awakening, fotografia per il risveglio sociale

Testo e foto di Maria Angeles Salvador Merino

06

la magia del vetro (2)

10

Testo di Lucia FinotelloFotografie di Lucia Finotello, Luisella Golfetto, Riccardo Vincenzi

i trapezisti dell'anima Testo di Mirka Rallo

Fotografie di Lucia Finotello, Mirka Rallo26

18

l 'abbraccio sensuale della milonga

Testo di Martina Pandrin34

Fotografie di Massimo Bonutto, Giuseppe Marcato Baldan, Martina Pandrin, Paola Poletto

44

XX

la magia dei sali d'argentoIntervista di Mirka Rallo

56

camponogara fotografiatony gentile

Testo di: Paola Poletto

XXXX

XX

28

la storia in fumoTesto e foto di Michele Gregolin

erto, la via crucis Testo di Paola Poletto

Fotografie di Stefano Berto, Andrea Collodel, Cristiano Costanzo, Paola Poletto, Marta Toso.

una foto per un sorrisoIntervista di Marta Toso

60

64

44

56

64

Cliccare sull’icona per approfondire l’argomento trattato nell’articolo.

Page 6: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... la storia Testo e foto di Michele Gregolin

criminali

Nella serata del sette aprile, verso le ore 19, un devastan-te incendio di natura dolosa ha distrutto uno dei siti di archeologia industriale più interessante del nostro terri-torio, la Chiari e Forti di Silea. L’incendio è divampato nel corpo dell’ex molino Toso (chiamato anche “il piccolo Stucky”), uno degli edifici che, insieme al resto dell’area dell’ex fabbrica trevigiana, fra pochi giorni sarebbe anda-to all’asta. La struttura, inserita in un vasto progetto di riqualificazione dell’area proposto nel 2008, era stata edi-ficata alla fine dell’ 800 ed aveva operato fino agli anni 60, sfruttando l’energia idraulica di uno degli affluenti del Sile, il Melma. Dismesso in seguito, l’opificio era stato svuotato e rimasto in disuso.

la storia in fumo

6

Page 7: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

Per gentile concessione di Nicola Mattiuzzo - Fotofilm (Treviso)

criminali

7

!

Page 8: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... la storiaoltre... la storia

8

Page 9: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

99

Page 10: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

10

Testo e foto di M.Angeles Salvador Merinooltre... la notizia

10

Page 11: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

1111#awakening

Page 12: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... il lavorola notizia

12

#awakening, fotografia per il risveglio sociale

Mattina presto. Venezia si sveglia lentamente. Men-tre sui canali comincia a specchiarsi il sole. In Campo aspetta Marco Secchi, pronto per aprirci le porte del mondo #Awakening.Il movimento prende ispirazione da #Dysturb. Un pro-getto nato in Francia dall’idea di un collettivo di foto-reporter. Teorizza che l’affissione di maxifotografie di tema “tristi” come guerra, fame, epidemie, sui muri della città, può risvegliare le coscienze. Ma da un’i-dea, a volte, ne nascono altre, simili ma diverse. Così alcuni fotoreporter si staccano da #Dysturb per una divergenza sui soggetti della fotografia. Preferiscono puntare su tematiche più sociali e locali per aumen-tare il coinvolgimento, la consapevolezza dei cittadi-ni. Nel Regno Unito nasce così #Awakening. Fonda-tori del movimento Marco Secchi e Guillem López.Marco Secchi, veneziano di nascita ma da tanti anni residente in Inghilterra, è un importante fotografo di reportage ed editoriale, ha lavorato con Times, Inde-pendient, Guardian, ed ora con l’agenzia Getty Image.Guillem López, nato a Barcellona, residente in Gran Bretagna anche se la sua vera nazionali-tà si potrebbe dire che è il mondo, è un gran-de fotografo di “gente”, viaggiatore e cittadino globale, molto attratto dalle culture “diverse”.Uno dei primi fotoreporter coinvolti in Italia, Clau-dia Manzo, ci racconta cos’è per lei questo proget-to: “#Awakening rappresenta una sfida alla casta fotogiornalistica detentrice di un potere obsoleto e che fagocita ogni opportunità futura di svilup-po relativo ad un mestiere che non deve ripiegar-si su se stesso e continuare ad essere asservito a chidecide l’informazione da fornire in pasto alle masse. Una sfida da vincere. Una sfida non solo esterna ma interna. Perché è troppo e tanto sem-plice arrendersi. #Awakening rappresenta inoltre una opportunità da cogliere per chiunque deside-ri e sia in grado di comunicare attraverso le imma-gini. E se risveglio può essere... che risveglio sia”.L’obiettivo è risvegliare le persone, sensibilizzare l’opinione pubblica e farla partecipare attivamente.La città diventa un giornale, con grandi mani-festi tre metri per due, sparsi per la città. Af-fissioni che rispettano e non danneggiano gli spazi pubblici. Arte e informazione gratuita a dispo-sizione dei cittadini e i turisti che passano. L’ unico testo di questo “giornale urbano” è una parte de-dicata in ogni manifesto con la descrizione obietti-va di quello che è la foto e il nome del fotografo.

E come in un giornale,“l’ idea fondante” di #Awakening è pubblicare una grossa notizia in città diverse, parla-re delle problematiche di una zona anche in altre città.Possiamo dire che il collettivo è composto da tre gruppi: i fotografi, (soprattutto di news, ma non solo) che donano le loro foto, coloro che attaccano i manifesti, e i donatori.I fotografi coinvolti trattano i problemi locali, ma anche esteri, con una componente più giornalistica. Vogliono mo-strare la realtà com’è, senza manipolazione. Non c’è spazio per le preclusioni politiche, religiose, di razza né di sesso.Con 5-6 fotografie si fa parlare di più che con una sola foto. Le immagini dei manifesti attaccati nello stesso giorno, non necessariamente sono sullo stes-so argomento. ”Una volta che arriva la foto bisogna correre per stamparla, organizzarsi e attraccarla”Il progetto è finanziato dai fotografi che ne fanno par-te e dalle persone che volontariamente contribuiscono con un aiuto economico alla crescita del movimento.Le fotografie vengono donate gratuitamente, stampate in posti diversi per problemi di trasporto, e distribuite in-ternazionalmente. Il costo medio di una stampa è di circa 30 euro, 3x2m (6 m di carta). Ogni fotografo propone e re-gala una sua foto quante volte vuole, e paga la sua stampa.I risultati sono immediati: gente che guarda, com-menta, si interessa, e partecipa con foto o donazioni.Per un fotografo di news è molto difficile vedere la sua foto stampata in grandi dimensioni, con #Awakening ha l’op-portunità di averla. C’è la soddisfazione e il farsi pubblicità. Vedendo il progetto, altri fotografi offrono le loro foto, e crescono i donatori interessati a finanziare il movimento.Perché la scelta del bianco e nero nelle gigantografie? «E’ più facile da stampare e ad un costo inferiore e per-ché siamo bersagliati di cose a colori, quindi attira di più l’attenzione vedere il bianco e nero. Ultimamente si sta tornando al bianco e nero, anche nelle grandi agenzie.Per quanto riguarda la legalità, ci sono situazioni diver-se, spiega Marco Secchi: «A Venezia abbiamo attaccato le foto noi stessi, ma sempre rispettando i beni urba-ni, usando colla all’acqua negli spazi dove c’erano già altri manifesti, cantieri, ecc. A Milano abbiamo pagato la tassa al comune che poi li ha fatti attaccare. A Ge-nova, con l’accordo del comune e Belli Arti, abbiamo fatto una mostra al Palazzo Ducale, consegnando i manifesti senza farli pagare niente, era la prima volta, e loro li hanno attaccati all’ interno e all’esterno. Un altra soluzione è quando ci pagano per fare la mostra. Se ci sono problemi, al massimo c’è una multa per af-fissione abusiva. Non è stata mai inflitta una multa all’ autore della foto, ma una multa all’organizzazione si. Abbiamo legali a Milano e Londra, che sono volon-tari per la salvaguardia del giornalismo, e fanno una battaglia a nome dei fotografi. Regna il “principio che il fotografo non è responsabile” e siamo tutela-

Page 13: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

13

Page 14: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

14

ti da associazioni giornalistiche per la difesa dei fotografi e i giornalisti. Per pagare le multe i fo-tografi più nominati mettono a disposizioni dei soldi per salvaguardare i fotografi più piccoli».In Italia la prima città toccata da #Awakening è stata Venezia, seguita da Milano, Genova, Napo-li. L’idea iniziale era fare delle affissioni in occasio-ne della Biennale. Anticipo però con il tema delle grandi navi in laguna. Così, a febbraio, Venezia si è risvegliata con 6 manifesti in diversi punti della cit-tà. Sei grandi foto di Marco Secchi, Guillem López, Claudia Manzo, Luca Zanon, Veronica Badolin e Fe-derico Sutera. Qualche settimana dopo di nuovo 4 maxifoto sul tema del razzismo e l’ immigrazione.Sempre a Venezia tre spazi espositivi, hanno chie-sto di avere le loro foto e la loro storia durante il periodo della Biennale in cambio di un compen-so. “La scelta delle foto da esporre è un compro-messo tra l’ente e #Awakening, tra cosa vogliamo esporre e cosa vogliono loro”, spiega Marco - per le mostre si espongono da 6 a 10 foto 3x2m ma non solo. Per far vedere la gente che interagisce con la foto, ci sono altre piccole foto, mini filmati e slide del dopo affissione. Per la Biennale e Expo

sono previsti parecchi manifesti a Venezia e Milano.Sono appena uscite nuove gigantografie in colla-borazione con i ragazzi di S.a.L.E. Docks, colleti-vo indipendente per le arti contemporanee nato dall’occupazione dei Magazzini del Sale, per la piattaforma AB-STRIKE-Sciopero Astratto, che sta realizzando esperimenti di fotografia con l’inten-zione di “fermare” le persone usando i manife-sti, e poi documentare le loro reazioni, con 3 idee:1- Fotografare il flusso di gente che scende dal vaporetto a Rialto la mattina presto. Qualche giorno dopo alla stessa ora, appare un grande manifesto nel punto dove è stata fatta la foto.2- Una grande immagine di una delle porte del atelier attaccata su un muro del chiostro, la porta nel “posto sbagliato”, per appoggiare gli studen-ti dell’Accademia che non hanno a disposizione gli atelier per fare pratica per mancanza di soldi.3- Giocare con l’angolo della fotografia. Fissando una foto di una persona che fa i soliti gesti della gen-te che ci passa sopra. Rampa del ponte delle zattere, orizzontale a 30° come se la persona ci guardasse.

oltre... la notizia

Page 15: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

15

Page 16: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... la notizia

16

Page 18: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

18

oltre... il lavoro Testo di Lucia FinotelloFotografie di Lucia Finotello, Luisella Golfetto

Riccardo Vincenzi

18

Page 19: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

1919

Page 20: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... il lavoro

2020

la magia del vetroseconda parte

Il vetro, un materiale misterioso ed affascinante, de-finito da Aldo Bova “un liquido in mutamento che si è fermato allo stato solido”, è stato forgiato nel tempo non solamente per la realizzazione di oggetti funzionali, ma anche per creazioni artistiche che ne valorizzano la sua bellezza. La lavorazione del vetro rappresenta il trat-to distintivo dell’isola di Murano. Prosegue così il no-stro viaggio all’interno dell’isola, alla scoperta delle va-rie tecniche di lavorazione, un percorso già iniziato nel secondo numero di Oltre. In questo caso l’attenzione è rivolta alla lavorazione a lume e a quella delle murrine.La tecnica di lavorazione a lume è applicata a Venezia già nel Rinascimento, poi sviluppata nel XVIII secolo, e prevede l’utilizzo di una fiamma diretta. Il suo nome de-riva dall’impiego, in passato, di un vero e proprio lume ad olio, la cui fiamma era mantenuta viva da un mantice. Attualmente viene impiegato un cannello alimentato da bombole di metano o propano miscelato con ossigeno. Ciò consente una maggiore facilità e velocità di lavora-zione. La fiamma permette di fondere bacchette di ve-tro, preconfezionate nelle varie tonalità di colore, su un bastoncino di acciaio rivestito di materiale refrattario o rame, tenuto in costante movimento rotatorio. Durante il processo possono essere aggiunti anche altri componenti, quali oro, argento e altri materiali preziosi. Questo lavo-ro richiede molta precisione, grande fantasia e notevole manualità artigianale. Tale tecnica permette la realizza-

zione di oggetti generalmente di piccole dimensioni, in particolare perle, pendenti e piccole figure di varie forme. La tecnica di lavorazione del vetro “murrino” ha origini molto antiche. Il termine “murrino” è stato dato dall’abate Vincenzo Zanetti nel 1878, con riferimento a vasi e ciotole realizzate in vetro-mosaico in epoca romana. Il termine latino “murrha” descrive infatti il materiale utilizzato da vetrai alessandrini per realizzare vasi importati a Roma. I maestri vetrai veneziani imitarono i manufatti romani già nel XVI secolo e la tecnica, caduta in disuso, venne poi ripresa solamente nel 1871 dal tecnico vetraio Vincenzo Moretti presso la vetreria Salviati. La tecnica della murri-na si basa sulla creazione di una bacchetta di vetro o “can-na” composita, realizzata sovrapponendo su un asta di ferro vari strati colorati di piccole quantità di vetro. Que-sto cilindro viene stirato alle due estremità da due operai, “i tiracanna”, fino ad ottenere una bacchetta dal diametro programmato, la cui sezione presenta cerchi concentrici policromi o monocromi. Con l’ausilio di uno stampo si possono ottenere anche canne con disegni interni a for-ma di fiore, cuore o stella. Sezionando successivamente in tanti piccoli cilindri la canna ottenuta, si ottengono le famose murrine. Da qui si sviluppano due tipologie di tecnica: la “romana” e la “rinascimentale”. Nella prima la-vorazione questi cilindri vengono disposti a mosaico su delle forme di materiale ignifugo e poi saldati insieme con il calore del forno. La piastra così ottenuta viene levigata

Page 21: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

21

attraverso il processo di molatura e successivamente mo-dellata nella forma voluta, con un ulteriore passaggio in forno dentro opportuni stampi per ottenere ciotole, piat-ti, ecc. Nella lavorazione “rinascimentale” invece, il vetro fuso, colto con una canna, viene fatto rotolare sui singoli pezzi di murrina e il tutto viene poi lavorato con la tec-nica di soffiatura per ottenere ad esempio vasi, bicchieri. Per conoscere da vicino queste tecniche sono sta-te visitate alcune piccole aziende artigiane murane-si. Giunti nell’isola, in una fondamenta grigia e umi-da, oltrepassando un portone decorato con formelle di vetro, si entra in una vecchia fornace, apparente-mente abbandonata, ma in realtà suddivisa in tan-ti laboratori occupati da numerosi artisti del vetro. Vicino all’ingresso si trova l’atelier di Muriel Balen-si, una simpatica artista parigina, veneziana di ado-zione, specializzata nella lavorazione di perle, rea-lizzate con uno stile molto particolare, utilizzando la tecnica a lume nel pieno rispetto della tradizione.

Ogni singola perla è unica e richiama la tecnica pitto-rica delle opere di autori quali Pollock e Monet. Muriel afferma: “…è come se il vetro fosse il prolungamento naturale delle mie mani”. Con le perle crea composizio-ni artistiche multicolori, da semplici collane a sculture astratte indossabili di grande effetto. Le sue creazioni sono esposte in varie gallerie di Venezia, Milano e Parigi.Successivamente si entra nel laboratorio “Il crogiolo”

di Roberto Salso, specializzato nella lavorazione a lume di animali e insetti in miniatura. Il giovane titolare ha iniziato l’attività nel 2010 dopo aver acquisito una lun-ga esperienza in fornace. Ha scelto di lavorare indivi-dualmente per poter esprimere maggiormente la sua vena creativa, prefiggendosi come sfida per il futuro la realizzazione di soggetti artisticamente più complessi.Nicola Moretti è figlio di un maestro vetraio, dal quale ha ereditato la passione per il vetro. Dopo aver lavorato per di-versi anni in fornace come aiutante del maestro, ha matu-rato l’esperienza per poter operare individualmente. La sua attività consiste nella produzione di piccoli oggetti princi-palmente di bigiotteria, realizzati a lume, ed altri più com-plessi realizzati con la tecnica da fornace, sia di tipo mas-siccio, sia di vetro soffiato, utilizzando anche le murrine. Sandro Moretti, fratello di Nicola, è titolare della ditta MO.RI.. Come il fratello, anch’egli ha acquisito l’espe-rienza necessaria lavorando per molti anni in forna-ce, specializzandosi nella molatura. Produce oggetti di piccole dimensioni di varia tipologia, che spaziano dall’arredamento alla bigiotteria, realizzati sia con la la-vorazione a murrina, sia con la tecnica della vetrofusio-ne. Quest’ultima consiste nella lavorazione di vari strati sovrapposti fusi insieme a caldo, tecnica antichissima in cui rientra anche il vetro-mosaico. Si occupa di tutto il ciclo produttivo, dalla composizione alla molatura-lu-cidatura, avvalendosi di tecniche personalizzate inno-vative che gli permettono di velocizzare la produzione.Non lontano dalla vecchia fornace si trova il laboratorio di Frida e Carlo Pagan, affacciato sull’incantevole panora-ma della laguna nord. La piccola ditta artigiana, nata nel 1982, fondata dal padre, appassionato di vetro pur non essendo di origine muranese, ha continuato ad operare nel tempo, gestita con passione dalla famiglia. Nel più ri-goroso rispetto della tradizione, l’azienda produce piccoli oggetti di bigiotteria e di arredamento, realizzati con la tecnica di lavorazione a murrine “romana”. Accanto alla produzione di oggetti con colori e forme classici, è stata affiancata nel tempo una tipologia di prodotti con forme geometriche differenziate, utilizzando nel contempo can-ne di murrina con un disegno più moderno. Attualmen-te vengono prodotti anche articoli per l’illuminazione di tipo decorativo, mantenendo lo stesso stile di lavorazione. Le tecniche di lavorazione finora trattate sono rese af-fascinanti dall’apparente semplicità nel plasmare il ve-tro. In realtà dietro ad ogni passaggio si nasconde una vera e propria arte. C’è la libertà di lasciarsi trasportare per creare un’opera unica, che può essere soltanto co-piata ma non riprodotta ugualmente una seconda volta.

Page 22: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

22

oltre... il lavoro

22

Page 23: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

2323

Page 24: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

24

oltre... il lavoro

24

Page 25: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

2525

Page 26: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

26

oltre... sociale Testo di Mirka Rallo

26

Fotografie di Lucia Finotello, Mirka Rallo

Page 27: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

27

27

Page 28: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

28

….Ecco che cos’è un clown! Un incontro davvero speciale, uno specchio per vedersi diversi, una breccia da cui scorgere una vita nuova, una possibilità di miglioramento, un aprirsi alla fiducia, un piccolo barlume di luce sul mistero che ci circonda… Non basta mettersi un naso rosso per diven-tare un Dott Clown. Un bravo Dott Clown deve avere una certa presenza scenica e teatrale, una fervida immaginazio-ne, empatia e conoscenza della natura umana. E’ necessaria soprattutto la volontà di far divertire e donare qualcosa agli altri. Deve avere un carattere volto alla positività, un pizzico di follia che non guasta mai e deve trasmettere tutto que-sto attraverso svariati canali espressivi. Il clown è un per-sonaggio dalla profonda sensibilità che crea un rapporto di complicità con gli spettatori, in questo caso i pazienti, e li porta a viaggiare con la mente, mostrando sempre però una morale. La sua estraneità alle regole e alle convenzioni so-ciali gli permette di stabilire, con i bambini in particolare, un contatto profondo, essendo questi ultimi meno legati a rigidi schemi di pensiero. Capovolgendo situazioni serie e tragiche, il “Clown” diventa una valvola di sfogo, suscitan-

do il riso nei momenti di tensione. Egli, oltre a divertire, mostra le contraddizioni della natura umana, aiutando a riflettere in modo positivo su di essa. La sua è una vera e propria “chiamata” dal profondo del cuore, che lo porta ad intraprendere una strada tutt’altro che semplice e che va per-corsa sempre con grande umiltà e rispetto. E’ questo, il rac-conto che oggi ascoltiamo da Manuela Polacco “La Manu in arte Clown Spiridò” ed Alberto Barutti, fondatori nel 2002, assieme ad altre sette persone, dell’Associazione “Il Piccolo Principe”, alla cui Presidenza oggi c’è Attilio Niero. L’asso-ciazione all’attivo conta circa settanta volontari impegnati nella “clown-terapia” presso varie strutture nella provincia di Venezia, tra cui le principali sono l’ ospedale all’ Angelo di Mestre e l’ ospedale di Dolo in cui operano in diversi reparti. Manuela ed Alberto oggi sono due attori Clown professio-nisti che lavorano alla Cooperativa Barbamoccolo (da loro fondata nel 2006) occupandosi anche della formazione dei “dottor Clown”. Tutto nasce da una passione e da un desi-derio. Correva l’anno 2002. Manuela, sposata con tre figlie, analista contabile e responsabile del personale in un’azienda da parecchi anni, all’età di 40 anni sente una “vocazione”. Un giorno il marito rientrando dal lavoro, le consegna un volantino con la seguente richiesta “Cercasi Pagliacci in

i trapezisti dell'anima

Page 29: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

2929

Page 30: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre...oltre... sociale

30

Corsia” ; da lì la curiosità di recarsi all’ospedale San Bortolo di Vicenza per sentire di cosa si trattasse e poi l’innamora-mento, la passione e la voglia di “rischiare” un’avventura, assieme ad Alberto, allora studente ventenne (già esperto giocoliere e in arte Clown). Il sogno era quello di diventa-re dei “Dottor Clown”. Gradualmente Manuela lascia il suo lavoro di impiegata ed intraprende con Alberto un percor-so di certo non facile, che li vede protagonisti viaggiatori in giro per l’Italia in molti ospedali ad imparare. L’incontro a Milano con Bano Ferrari (storico Clown delle scene ita-liane, attore e regista comico, fondatore della Filarmonica Clown) con il quale iniziano un percorso di formazione e apprendimento sul clowning con la partecipazione finale ad uno spettacolo teatrale “una fetta di cielo”, li aiuta a capire in primis il valore del Clown. Il clowning è una delle mol-teplici possibili tecniche artistiche che aiutano a migliorare la comunicazione. Il naso rosso non ha alcun potere di per sé, perché non è un oggetto magico e indossarlo non pro-duce alcun beneficio se non c’è consapevolezza del processo artistico che porta l’attore ad impersonare il clown. Il clow-ning non si può definire proprio una terapia. Si tratta di un lavoro di “cura” in senso lato. Per entrare in contatto con la sofferenza, bisogna prima di tutto avere delle “buone spalle” cioè una preparazione personale adeguata per non lasciarsi contagiare dalla sofferenza altrui. Così Manuela ed Alberto lavorano per dare una preparazione appropriata ai “clown al servizio della persona” , cercando di far capire soprattut-to ai nuovi arrivati, che non basta il desiderio di indossare il naso rosso e andare per le vie del mondo o nei luoghi di sofferenza a “portare un sorriso”. Bisogna essere consapevoli di ciò che si fa. Il clown dev’essere colui il quale vede sempre la realtà come una “possibilità” per sè e per il mondo. L’as-sociazione Il Piccolo Principe ha l’obiettivo di contribuire, attraverso i propri volontari, al miglioramento della qualità della vita della persona. Il punto è partire dalla persona e guardare la realtà che si ha davanti, entrando in contatto con chi si ha di fronte adottando appunto la “clown-tera-pia” sperando di apportare dei benefici psicofisici alle per-sone bisognose. Tutto questo significa essere un volontario “dott Clown”, un clown che ha cambiato casa e non sta più sotto un tendone da circo o in una piazza di una cit-tà ma fa il trapezista dell’anima nelle corsie degli ospedali. “Chiedo permesso quando entro. Prima di tutto nelle vite. Le stanze vengono poi. Porto due mani. Un naso. Un co-lore che li riassuma un po’ tutti. Il resto ce lo mettono di solito gli altri. Il sorriso non è detto che lo trovi immedia-tamente lì, sulla soglia. Magari viene un po’ più in là. Verso il comodino. O che ne so. Lungo le sponde del letto. Non è detto nemmeno che possa nascondersi. Tra le lenzuo-la. O dietro il dolore. Passo. Due passi. Tre passi. Delicati, che noi voliamo, da grandi faremo gli angeli custodi.” Di Andrea Darsiè alias dottor Cirillo - Tratto dal libro “Dot-tor Clown, immagini e parole di clown terapia” PICCIN.

Page 31: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

3131

Page 32: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

sociale

32

oltre... sociale

Page 33: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

3333

Page 34: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

34

Testo di: Francesco Dori

34 343434

Testo di Martina PandrinFotografie di Massimo Bonutto, Giuseppe Marcato Baldan,

Martina Pandrin, Paola Poletto.oltre... il ballo

Page 35: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

3535

Page 36: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... il ballo

36

La serata invernale è fredda e impreziosita da un cielo punteggiato di stelle.Il maestoso castello di Roncade, nel centro storico del piccolo paese, è illuminato a festa e le sugge-stive mura medioevali, ornate di bellissimi mer-li, racchiudono la villa, le due barchesse ed uno splendido giardino.Nel buio della notte, scure figure avvolte in cap-potti e sciarpe per difendersi dal freddo, attra-versano il ponte levatoio che porta al giardino, facendo risuonare ad ogni passo i sassolini che calpestano e si muovono anonimi con fare fugace verso la barchessa.Sotto al colonnato, al di là del portone in cima alle scale, ci si addentra in un mondo nuovo. A destra e a sinistra dell’ingresso si aprono due grandi sale nelle quali tavoli e sedie sono disposte tutte intor-no ad uno spazio centrale vuoto. Il pavimento in legno scalda gli ambienti ancora deserti immersi in una atmosfera dominata dai cromatismi del rosso, il colore della passione e del desiderio.La musica di sottofondo accompagna l’arrivo di uomini e donne: chi da solo, chi in coppia o in gruppo, ma ognuno di loro ha nel cuore la stessa passione: il tango.Questa è la serata della milonga.La milonga è un luogo fisico, dove si balla il tango, e anche un luogo dell’anima, dove si gode l’emo-zione della musica e della danza.Il tango è passione, improvvisazione ed eleganza. E’ il ballo di coppia per eccellenza, in cui l’uomo abbraccia la donna cingendole la schiena con la mano destra e tenendole l’altra mano con la sini-stra. L’uomo guida e la donna si fa guidare ed è il ballerino, che con il linguaggio del proprio corpo, indica alla compagna gli spostamenti da fare, in una danza in cui due singolarità diventano un unico armonico movimento.La milonga è ammantata dai connotati tradiziona-li del corteggiamento e della seduzione: sono gli uomini ad invitare a ballare le donne, le quali, se-dute ai tavoli, con giochi di sguardi e con cenni di assenso ed interesse, catturano elegantemente l’attenzione dell’uomo. La musica del musicaliza-

dor alterna la tanda, sequenza di tanghi, con la cortina, pezzi non ballabili duranti i quali le balle-rine vengono riaccompagnate al proprio tavolo e che consentono all’uomo di fare l’invito per il ballo successivo.Intanto le sale si sono riempite di gente. Con gesti eleganti, le signore indossano le scarpe per danza-re e, tolti cappotti e sciarpe, svelano tutte le loro armi di seduzione: abiti prevalentemente neri, ele-ganti, seduttivi, gonne talvolta aderenti, talvolta svolazzanti, magnifiche calzature e complesse ac-conciature ad esaltare tutta la loro femminilità.Le donne, sedute ai tavoli, parlano fra loro guar-dandosi in giro, sorseggiano drink da eleganti bicchieri, si fanno aria con ventagli che ci parlano di rituali del passato. Gli uomini, in piedi o seduti, scrutano la sala per incrociare lo sguardo sensuale di quella donna che sarà l’inviata al prossimo ballo.Poi le luci si abbassano, la musica inizia e la pista si riempie di coppie che danzano strette seguendo le note, girando e girando ancora. E’ uno spettacolo di piedi che si muovono con eleganza impreziosita dalle luccichio delle calzature e dagli imprevedibili e sinuosi arabeschi delle ballerine, è un continuo frusciare di gonne che seguono il curvilineo anda-mento dei corpi, è un continuo giocare fra la so-lennità degli sguardi e l’eleganza delle mani che si stringono. Una musica e poi un’altra ancora, men-tre le coppie seguono l’emozionante vortice della ronda. Poi la cortina ed ecco che la pista si svuota e ricomincia il sensuale rituale della scelta e dell’in-vito per la prossima tanda.I gesti, i movimenti, l’eleganza del tango, riescono a trasfigurare uomini e donne in sensualissimi bal-lerini, a farli diventare perfetti interpreti di malin-conica passione.Il tango milonghero è avvolgente, l’abbraccio stretto e forte. E’ il gioco della seduzione a ren-dere speciale la serata, non c’è nulla di preparato, non è un’esibizione studiata, tutto è improvvisa-zione. E’ l’alchimia che si crea fra i danzatori e la magia irripetibile di un incontro a rendere speciale ed unica questa danza. Ed è questa la vera magia della milonga: uomini e donne che assaporano il puro piacere del ballo, in un luogo che amplifica le emozioni con la propria atmosfera seducente e che li trasforma, nel tempo di una tanda, da per-fetti sconosciuti in un corpo unico danzante, coor-dinato, armonioso e seduttivo.

l 'abbraccio sensuale della milonga

Page 37: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

3737

Page 38: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

3838

oltre... il ballo

Page 39: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

39

Ed è affascinante pensare al tango come ad un estremo esercizio di fiducia: la donna segue ad oc-chi chiusi i movimenti comandati dall’uomo, senza conoscerne la direzione, si fida completamente del ballerino sconosciuto che l’ha appena invita-ta a ballare. E’ un perdere il controllo, un cedere temporaneamente il destino a qualcun altro. E il cavaliere deve saper guidare la danza, creare giri perfetti, sostenere la compagna senza scontrarsi con gli altri, deve essere in grado, con la propria esperienza e capacità di interpretare la musica, di improvvisare una danza che valorizzi la sensualità della compagna.Per ogni tanda una nuova coppia ed ogni coppia è una storia unica, una combinazione non ripetibile data dall’unicità dei due individui che la compon-gono.E intanto la serata prosegue in un continuo avvi-cendarsi di coppie e di musica e poi mano a mano che l’ora si fa tarda, le sale cominciano a svuotarsi e le leggiadre e sensuali falene che hanno volato in pista fino a poco prima, tornano all’anonima normalità avvolte nel bozzolo dei loro cappotti e sciarpe e si dirigono verso casa.Un grazie di cuore a Nicoletta Pregnolato, a Giu-seppe Colabello e a tutti i ballerini di Tango Vivo, che ci hanno accolto nel magico mondo del tango.

Page 40: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... il ballo

40

Page 41: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

41

Page 42: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

4242

oltre... il ballo

42

Page 43: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

43

Page 44: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

44

oltre Testo di Poala PolettoFotografie di Stefano Berto, Andrea Collodel, Cristiano Costanzo,

Paola Poletto, Marta Toso.

44

Page 45: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

4545

Page 46: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

46

erto, la via crucis

Erto è un piccolissimo comune con poco più di 300 abitanti, stretto nelle valli prealpine, tra il Bellunese e il Friuli Occidentale, dove la natura aspra e selvaggia ha plagiato una comunità fiera di essere quella che oggi è. In questo frammento del Parco Naturale delle Dolomiti friulane, si trova il bacino del Vajont, un baci-no idroelettrico di 150 milioni di metri cubi, chiuso da una diga alta 260 metri costruita nella stretta e pro-fonda gola scavata dall’omonimo torrente. Attorno alla diga gira un piccolo mondo fatto di roccia, ghiaia, boschi, pascoli, stalle e animali, un mondo per lo più nascosto agli occhi del turista curioso che si spinge fin quassù attratto dal desiderio di vedere in prima persona il luogo dove avvenne una delle più grandi tragedie italiane. Chi giunge qui lo fa per toccare con mano le tracce materiali della famigerata frana del versante nord del monte Toc che, il 9 ottobre 1963, sollevò 50 milioni di metri cubi d’acqua e spazzò via quasi duemila vite umane e alcune frazioni del comu-ne di Erto e Casso, distruggendo completamente Longarone, Castellavazzo, Rivalta, Pirago, Villano-

va e Faè. Al posto del lago oggi c’è un paesaggio collinare abbellito da prospetti e spazi con i classi-ci profili montanari, dalle antiche e tradizionali case dei paesi di montagna, dove l’impatto dell’uomo è discreto e non esagerato. Le case di pietra affaccia-te su piccole e strette strade selciate di Erto, incor-niciate da vette e pascoli alpini, raccontano, a chi si avventura fino a qui, di vite povere e umili, legate ai boschi, in simbiosi con le aspre e sconnesse pendici. Strapiombi, temporali, fame, alluvioni, solitudine han-no scandito per secoli il ritmo quotidiano della co-munità abitatrice di questo semplice paese. A Erto la gente sa di essere “speciale”, di appartenere a un’identità che non è banalmente quella dei disastra-ti, ma quella di un luogo che scava le coscienze, co-struisce valori, arte, storie, narrazioni collettive e riti. L’orgoglio degli ertani di questa appartenenza spe-ciale traspare pienamente nella loro processione del Venerdì Santo, dove lo spirito di identificazio-ne della comunità stessa nel cammino di dolore e salvezza percorso dal figlio di Dio è forte. La mor-te e resurrezione di Cristo è il fatto più sconvol-gente e inquietante della storia cristiana: un uomo straziato dal dolore e morto con lo strumento più infame, la croce, che contro ogni logica umana risorge.

oltre... l' inserto

Page 47: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

4747

Page 48: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

48

È la raffigurazione ideale delle difficoltà e dei dolori affrontati e superati dagli abitanti di Erto, persone che non si sono piegate di fronte agli avvenimenti, ma che con grande forza di volontà hanno sapu-to rimettersi in piedi e continuare il loro cammino.Sono circa 120 i figuranti che ogni anno mettono in scena, su questo fazzoletto di terra, la Sacra Passio-ne, nata intorno alla metà del 1600 per sciogliere un voto della popolazione al fine di allontanare il divam-pare della peste e rimasta pressoché invariata sino agli inizi del ventesimo secolo. Avviata all’inizio con modestia, utilizzando costumi improvvisati ed ele-mentari, tamburi preparati con pelli di capra e bardati con nastri e frange, si trattava di una tradizione esclu-siva degli ertani. In seguito, quando la popolazione rispose con maggior slancio all’iniziativa, si scelsero i figuranti con maggior criterio fisiognomico preferen-do coloro che potessero meglio interpretare Cristo, Caifa, Giuda, Pilato, e cosi via, si rinnovarono i costu-mi cercando di rimanere più fedeli agli originali; con il tempo la rappresentazione cominciò ad attirare l’at-tenzione delle località limitrofe fino ad attrarre oggi pellegrini da tutto il Triveneto. Tuttavia, nel 1946, l’autorità ecclesiastica decise di escludere dalla Pro-cessione religiosa del Venerdì Santo la Sacra Rappre-sentazione degli abitanti del paese, perché divenuta uno spettacolo troppo laico e profano. Chi assiste oggi alla rappresentazione probabilmente la penserà allo stesso modo. A prima vista, la sacra rappresen-tazione realizzata a Erto, denominata “i Cagnudèi” potrebbe sembrare una sorta di opera teatrale. In re-altà si tratta di una rappresentazione nella quale un intero paese si immedesima e si racconta nella morte del Cristo, una miscela arcaica di sacro e sacrilego: è una visione profana del mondo e della propria vita. Raffigura una religiosità anticlericale tipica delle ter-re disfatte, dove il rapporto quasi personale con Dio emerge con forza piú dalla bestemmia che dalla do-manda di grazia, piú dalle scudisciate dei soldati sul colle di Val de Nere (il Golgota del Venerdí ertano) che dall’Ora pro nobis del prete. Perché la vita e la storia di Erto sembrano esse stesse una via Crucis. Nel 1946 viene istituito il Comitato pro Venerdì Santo con il compito di salvare la tradizionale manifestazio-ne che, abbandonata a sé stessa rischiava di andare perduta, e ridare al tempo stesso all’evento quella serenità e proprietà che caratterizzavano da sempre altre analoghe raffigurazioni sia in Italia che all’estero. E’ risaputo infatti che la rappresentazione della Pas-sione ha una grande tradizione in Europa e ancora oggi in molte località italiane ed europee viene messo in scena, con rigore e molta partecipazione da parte della popolazione, il dramma della Passione di Cristo, arricchito da molte rappresentazioni e processioni mi-

nori sul tema della passione durante tutta la settima-na santa. Circa una trentina di anni fa nacque l’idea di creare un’associazione che riunisse le singole località organizzatrici della Passione dell’Europa occidentale ed orientale, oggi conosciuta come Europassion. At-tualmente Erto fa parte dell’Associazione Euro Pas-sione per L’italia, ma si auspica di entrare a far parte della più grande famiglia europea prossimamente.Ogni Passione ha il proprio stile, la propria particola-rità, spesso vicina alla tradizione, il proprio contesto e il proprio fascino. Nella messa in scena di Erto, il dialogo, ricavato dalla liturgia, è ridotto alle battu-te essenziali, non è accompagnato né da canti né da brani musicali; l’effetto, privo di dettagli artistici, letterari e musicali, vuole essere semplicemente sce-nico e spettacolare. Attualmente, la Passione di Cri-sto viene preceduta nel pomeriggio dalla rappresen-tazione dell’Ultima Cena e dalla processione sacra, dove una persona scalza, incappucciata e vestita di bianco, sorregge il crocefisso (opera del Brustolon), accompagnata da altre due persone scalze. E’ quan-do tramonta il sole però che la vera rappresentazione dei Cagnudèi inizia in tutto il suo fascino, animando ogni angolo, strada, spazio del paese vecchio e le scene di cui si compone il dramma prendono vita. Ma l’esperienza di fede non significa fantasia, sogno, assenza di realtà storica; ecco quindi in scena gli av-venimenti e i dialoghi così come sono raccontati nei vangeli: Giuda di fronte ai sacerdoti, Gesù nell’orto degli ulivi, il rinnegamento di Pietro, Gesù davanti a Pilato, la flagellazione. La tensione drammatica au-menta durante la salita sul Calvario di Cristo, scortato da Caifa con i sacerdoti, da Pilato, dagli anziani e dai centurioni con le torce, dai due ladroni, dagli aposto-li, dalle pie donne; tutto il lungo corteo si inerpica sulle erte vie del paese tra due ali di folla ammassa-ta lungo i muri delle case in pietra. E in prossimità dell’abitato, in uno spiazzo sopra una collina avviene l’apice della Sacra Rappresentazione con Gesù Cri-sto innalzato sulla croce. Lo spettatore che assiste a tutto ciò viene completamente coinvolto e inglobato negli avvenimenti, chiuso in un abbraccio, tanto da entrarne a far parte, anche se per pochi istanti, e si ri-trova ad assistere all’evento nel più totale rapimento. Il segreto di questa efficacia sta proprio nell’oralità della cultura ertana e nell’epopea spietata e immagi-nifica che questa comunità ha vissuto in questi ultimi secoli.

Page 49: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

4949

Page 50: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

50

oltre... l' inserto

50

Page 51: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

5151

Page 52: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

52

oltre... l' inserto

52

Page 53: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

5353

Page 54: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

54

oltre... l' inserto

54

Page 55: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

5555

Page 56: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... il viaggio

56

Marta Toso intervista Paola Viola

Paola Viola è l’ideatrice e fondatrice insieme a Gigliola Barlese di “Una Mano per un Sorriso - For Children”, una ONLUS che si occupa di vari progetti umanitari in Africa e in Siria, specialmente rivolti ai bambini. Per Paola la sua passione per la fotografia è strettamen-te legata all’associazione, addirittura ne ha spinto la nascita, diventandone al contempo causa e scopo. Andiamo quindi a scoprire con lei come è nata l’idea di questa fondazione e in che modo la fotografia è legata a tutto ciò.Quando è iniziata la tua passione per la fotografia?“Tutto è partito da una vita sempre strettamente legata alla voglia di comunicare, di interagire con le persone, di esprimere le mie idee e le mie emo-zioni. Il percorso è stato lungo prima di arrivare alla fotografia nello specifico, quindi è iniziato da picco-la con la scrittura, con la poesia, poi con il teatro, con il cinema. Mi ero iscritta proprio ad un corso di cinema, ma quello che mi interessava era raccon-tare delle storie più che la tecnica, quindi anche se il corso durava sei mesi, dopo due mesi il mio ruo-lo era finito in questo gruppo, così il regista mi ha

dato in mano una macchina fotografica chiedendomi di raccontare quello che stavamo facendo. Ho ini-ziato a fotografare le serate, le prove ecc. e in quel momento ho scoperto un mondo, ho scoperto che attraverso le immagini potevo anche raccontare.”Da quel momento Paola si immerge appieno nel mondo della fotografia, acquista una macchina fotografica in occasione di un viaggio in Maroc-co e al rientro, su consiglio di un amico che ha vi-sto e trovato interessanti le sue foto, si iscrive a dei corsi di fotografia e di racconto fotografico. Come è nata l’idea di “Una mano per un sorriso - For Children”?“Da molti anni facevo volontariato, a livello persona-le. In quel periodo, in cui mi stavo dedicando ai miei studi in ambito fotografico, casualmente, come spes-so accade, una mattina andando al lavoro ho immagi-nato di creare qualcosa di mio, di creare un’associa-zione umanitaria che potesse sostenere dei progetti in Africa. Ho chiesto a Gigliola se voleva aiutarmi ad iniziare questo percorso e così abbiamo pensato di creare dei piccoli eventi di beneficienza per racco-

una foto per un sorriso

Page 57: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

57

gliere dei fondi. Ho quindi organizzato un pranzo tra amici, come spesso facevo, ma questa volta la mia in-tenzione era di chiedere il loro aiuto per questo pro-getto. Alla fine del pranzo quindi ho annunciato che li avevo invitati per questo motivo. La prima reazione è stato stupore assoluto e silenzio; poi uno alla volta, tutti, sono venuti a darmi la loro disponibilità. Ovvia-mente avevo invitato persone specifiche, che sapevo già che avrebbero potuto aiutarmi: l’attrice di teatro, il musicista, il giornalista, il fotografo, persone che sa-pevo che avevano delle doti, delle qualità speciali che potevano mettere al servizio di questa iniziativa. Fon-damentalmente Una Mano per un Sorriso è questo: un contenitore in cui tante persone che sanno fare qualcosa danno quello che sanno fare.Era novembre del 2010 e da quel momento ha inizio la raccolta fondi, e la prima iniziativa dell’associazio-ne sarà il sostegno della Loreto Nursery and Primary School, a Isiolo, Kenya. Paola si reca di persona nella comunità e vi lavora per circa un mese, vivendo con le suore e i bambini e fotografando tutto quello che la circonda. Non solo, ma al termine della scuola si reca anche nei villaggi e negli slum che si trovano nei din-torni, dove la situazione è ben diversa dall’ambiente “protetto” della scuola e regnano il degrado sociale, la povertà e l’analfabetismo.

Al suo rientro il materiale raccolto diventerà un libro, un racconto fotografico dal nome “Non dire nulla”, tramite il quale sarà possibile testimoniare come in Africa ancora troppi bambini vivano in situazioni drammatiche e divulgare le informazioni necessarie per i sostegni a distanza.E’ a questo punto che Paola realizza come la fotogra-fia sia importante per diffondere il suo messaggio e genera l’idea per il progetto successivo.Che cosa lega la fotografia e Una Mano per un Sor-riso?“Questo libro mi ha fatto capire come fosse possibile avvicinare le persone a questa realtà attraverso la fo-tografia, quindi andare oltre l’immagine del bambino povero da soccorrere. Il libro ha portato testimonian-

za di quello che si può fare e lì ho capito che il fat-to che queste due strade (volontariato e fotografia) da parallele si fossero unite, forse non era stata una casualità, bensì dovevo concentrarmi su questa cosa perché serviva.”Come è nato il progetto “La Ragazza delle Scarpe” e che cos’è?Dopo un pò che fotografavo i bambini, i loro volti, i loro sorrisi, mi sono accorta che quello che li distin-gueva in modo lampante erano le scarpe. La scuola fornisce a tutti i bambini una divisa, uguale per tut-ti con la sola distinzione tra maschi e femmine, ma non fornisce le scarpe. Ho iniziato a fotografare i loro piedi ed ecco che allora ho notato che le scarpe un bambino le aveva, uno no, chi le aveva più grandi, chi bucate, chi inchiodate, chi spaiate; da lì è maturata l’idea che ogni paio di scarpe raccontasse la storia di quel bambino, il suo passato, quanta strada ha fatto, la sua condizione familiare, economica, emotiva. Le scarpe sono un bene di lusso, il simbolo della digni-tà per queste persone. Così è nato il progetto “La Ragazza delle Scarpe” ovvero raccogliere fondi per comprare le scarpe ai bambini dell’Africa. Paola e Gigliola grazie ai fondi raccolti con il libro “Non dire nulla” e con l’aiuto di tutte le persone che supportano Una Mano per un Sorriso - For Children, hanno raccolto i fondi per comprare le scarpe ai 700 bambini della scuola di Isiolo. Paola parte quindi nuo-vamente per il Kenya nel 2013, questa volta con la sua amica e antropologa di Conegliano Marta Talpel-li, e insieme rendono concreto il progetto, misurando i piedi di tutti i bambini della scuola e acquistando loro le scarpe. Con le foto che Paola scatta in quell’ occasione viene creato un video, che il suo insegnate e fotografo Erico Bossan diffonde tramite la sua pagi-na youtube e i suoi social, unitamente alle coordinate bancarie per le donazioni, e il riscontro ottenuto va oltre ogni aspettativa. I fondi arrivati sono tanti che le ragazze acquistano le scarpe anche per tutti i bam-bini del villaggio, e quindi ancora foto, ancora video, ancora donazioni, e così acquistano le scarpe anche

Page 58: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... il viaggio

58

per una comunità di bambini malati di aids, e ancora foto, ancora video, ancora donazioni, ancora piccole scarpe…. E il progetto “La Ragazza delle Scarpe” ini-zia ad avere notorietà, fino ad arrivare ad un giornali-sta che manda a Paola una mail con una foto scattata in un campo profughi siriano e una sola frase: “anche i bambini della Siria non hanno le scarpe”. Le lancia quindi una sfida, che Paola raccoglie, informandosi, documentandosi su quella guerra di cui poco si parla in quel periodo ma che sta devastando un popolo, con conseguenze atroci soprattutto per i bambini. E così la raccolta fondi prosegue e nel dicembre del 2013 Paola parte per il campo profughi di Bab al Sa-lam in Siria a consegnare stivaletti di gomma per i bambini del campo. “Molti identificano La Ragazza delle Scarpe con me, ma io non lo sono; La Ragazza delle Scarpe non è nes-suno, è un’idea, è un progetto, è un diritto di poter percorrere una strada, di decidere che strada percor-rere, di immaginare di poter avere ancora un futuro. Non è una persona, è un ideale. Non è una ragazza e non è una razza, quindi abbiamo deciso di mettere il progetto al servizio di un’altra realtà, e questa realtà è stata la Siria”Come fa una fotografia a generare un progetto?“Quando scrivo un progetto ho un’immagine in men-te. In queste fotografie, che per me rappresentano il trasporto di un’idea, di un progetto, c’è sempre la co-municazione. Ho capito che se la foto esprime la re-lazione che c’è tra me e il soggetto, allora è possibile che crei relazione con altre persone che la guardano. La cosa fondamentale è il rapporto. Ad esempio una delle persone che ci sta dando un aiuto è un medico, e il suo contatto ci è arrivato da un’infermiera che era venuta ad una delle nostre presentazioni e che lo conosceva ed ha pensato a lui. Io avevo raccontato la mia storia e mostrato le mie immagini e questa per-sona è andata a casa con qualcosa, che ha poi voluto trasformare in qualcos’altro. Quindi la sua presenza quella sera potrà cambiare la vita di qualcuno.”Ancora una volta, questa volta in Siria, una foto scat-tata genera in Paola l’idea per una nuova iniziativa. Mentre scatta una foto in un villaggio vicino al campo profughi a due gemellini nati da pochi giorni, sotto-peso e in condizioni critiche, adagiati nel loro giaci-glio, mentre lì fuori imperversa la guerra, Paola ha subito l’intuizione: “Una Mano Per Una Vita”progetto che poi si attuerà in parte grazie al, il Kit del sorriso” ovvero un kit che contenga il fabbisogno per un mese

Fotografie gentilmente concesse da Paola Viola

di un neonato, suddiviso per mesi di età.Questi e altri sono i progetti che segue “Una Mano per un Sorriso - For Children” oggi, a distanza di 5 anni da quel pranzo tra amici che ha lasciato tutti sen-za parole. E molte sono anche le persone che ruotano intorno all’associazione e che danno una mano, ognu-no con quel che sa, come può e quando può. Persone che ci credono fermamente e che tengono il filo sem-pre teso, perché anche se non sarà possibile risolvere i problemi di tutti i bambini del mondo, l’intento di questa associazione può essere riassunto nelle parole di Paola “Poco ma Vero”.A che punto è oggi la tua fotografia?Non penso che tornerò più ad essere la persona che ero prima, perché queste esperienze ti cambiano la vita per sempre. In questi anni ho imparato a raccon-tare, a trovare uno stile. Il percorso sarà ancora lungo e forse a livello tecnico più avanti di così non arriverò mai, ma io so che oggi la mia fotografia ha vinto per-ché ha raggiunto uno scopo: quello di avvicinare le persone a queste realtà. La fotografia, la musica (sono molti i musicisti che ci sostengono artisticamente ed economicamente), l’amicizia e la vita reale, tutto si fonde quando il messaggio è vero e questa è la forza della nostra associazione. Il contatto tra le persone ri-mane la cosa più importante e la fotografia è il veicolo del nostro messaggio.

Page 59: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

5959

Page 60: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... la fotografia Mirka Rallo intervista Gianluca Melis

Sardo, 38 anni, ha vissuto nella sua Caglia-ri per 21 anni, fino a quando il lavoro non lo ha costretto a lasciare la splendida isola per gi-rare l’Italia. Attualmente vive in provincia di Venezia. Gianluca si è accostato alla fotogra-fia un po’ come tanti, ma con dei risvolti che, nel tempo, hanno preso una strada insolita… La sua formazione inizia da autodidatta nel 2010, con l’acquisto di una reflex digitale che dappri-ma usa in automatico. La sua innata curiosità e la crescente passione per la fotografia, lo portano a frequentare numerosi corsi e workshop e ad im-plementare la sua conoscenza e cultura fotografi-ca attraverso la lettura e la consultazione del web. Da allora non è passato un giorno in cui Gianluca non abbia fatto qualcosa legato alla fotografia. Nel 2013, in un periodo in cui non aveva più mol-

ti stimoli fotografici, si ritrova fra le mani una Mamiya RB67 SdPro, un’analogica di medio formato, e non avendo nessuno che po-tesse supportarlo nello sviluppo, inizia a farlo da solo, interessan-dosi e documentandosi sulla foto-grafia analogica, quella che tutt’og-gi è la sua più grande passione. Lo scorso febbraio, a Mestre la Bi-blioteca civica “VEZ” di Villa Erizzo ha ospitato una mostra fotografica “1944/ 15x10” dove sono state pro-poste al pubblico alcune preziose im-magini (ricavate dallo sviluppo di una pellicola scaduta da oltre 70 anni) re-alizzate da 11 fotografi. E’ stata una sfida che sottende da un lato l’utiliz-zo di una pellicola scaduta da oltre 70 anni, dall’altro la forza di dimostrare che la fotografia argentica non solo non è morta, ma vive e sopravvive alle continue e nuove tecnologie, proponendo delle immagini e delle sensazioni che hanno eluso il tem-po e sconfitto la fretta e il digitale. Per fortuna la pellicola non è ancora morta e domani possiamo sceglie-re ancora di utilizzarla e svilupparla assaporando tutte le sensazioni di-menticate o completamente nuo-ve. Per ogni fotografo e per la sua fotografia il ritorno al passato può essere un’esperienza illuminan-

te da riscoprire. Ci si può sorprendere di quan-to possa essere importante un singolo scatto e di come possiamo fare foto con l’impatto visi-vo, senza filtri digitali ma solo scegliendo la pel-licola giusta, abbinando l’esposizione corretta. Attualmente quali sono i tuoi interessi come fo-tografo e cosa cerchi di comunicare con la tua fotografia?Nel tempo libero, sviluppo e stampo a casa nega-tivi sino al medio formato. La pellicola é stata la base della fotografia. E’ stata quel mezzo che ci permette di congelare l’imma-gine. Oggi si sa, non é il solo sistema che ci con-sente di scattare una fotografia, anzi. Resta però ancora il sistema insuperato per definizione, riso-luzione e caratteristiche che la fotografia digitale non ha ancora eguagliato. Sono affascinato dalla

Gianluca Melisla magia dei sali d'argento

60

Page 61: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

fotografia tradizionale, dalla magia dell’impres-sione e del processo di sviluppo e poi l’emozione che si ha quando la prima volta in camera oscura si vede l’immagine comparire sulla carta da stampa é impareggiabile. Non ho comunque abbandona-to il digitale che trovo comodo, immediato, anche se meno romantico. Ricordiamoci che a distanza di quasi 80 anni una pellicola scaduta è stata impres-sionata, sviluppata e stampata; siamo sicuri che tra 80 anni i dispositivi moderni leggeranno il forma-to jpeg o raw con il quale fotografiamo oggi? Per quanto riguarda invece lo stile, prediligo quello fotografico descrittivo rispetto a quello interpre-tativo.Ci vuoi raccontare di questa magia della stampa in bianco e nero in camera oscura? Un buon negativo è caratterizzato da una ricchez-za di toni completa, che si estendono dalle ombre alle luci. In stampa, con creatività e divertimento, tipicità che più mi affascinano del trattamento del bianconero, cerco di tradurre sulla carta le infor-mazioni contenute sulla pellicola. Preparata la ca-mera oscura con la “luce rossa” posiziono sul ta-volo di lavoro l’ingranditore (è lo strumento che permette di proiettare e ingrandire l’immagine sul foglio di carta sensibile) le bacinelle con i rispettivi bagni di sviluppo; arresto e fissaggio che andrò a processare sono poco distanti dall’ingranditore. Una volta scelti i negativi da stampare, decido qua-le risultato ottenere e quindi la scelta del formato d’ingrandimento più adatto, se stampare l’intera superficie di un fotogramma o viceversa tagliare il soggetto. Stabilisco anche la gradazione del con-trasto, faccio un “provino a scalare” e scelgo poi se mascherare o bruciare una o più zone. Ad un primo approccio, tutto ciò potrà confonderci, ma tuttavia sarà sufficiente rendersi conto che l’insie-me di queste decisioni influirà sul risultato finale così come tutte le conoscenze tecniche di cui si di-spone; l’aiuto maggiore non potremo che darcelo da soli con una seria e costante sperimentazione.Se domani fosse un giorno qualsiasi di 20 anni fa. Cosa accadrebbe se decidessimo di andare a fare foto in giro per la nostra città? In una epoca in cui il digitale supponiamo non fosse ancora diffuso, quali azioni condizionerebbero il nostro modo di fotografare?Dovremmo prima di tutto andare a comprare un rullino e chiederci quale sensibilità ISO della pelli-cola scegliere. Dovremmo avere un’idea su cosa ci piacerebbe fotografare, capire se il colore o il bian-

61

Page 62: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... la fotografia

co e nero si adattano di più alla nostra idea della giornata. Dovremmo anche capire quale e quanta luce abbiamo a disposizione per la scelta della pel-licola giusta. Una volta caricato il nostro rullino in macchina, inizieremo a scattare. Ma avremo solo 24 o 36 scatti a disposizione. In pellicola ogni scat-to diventerà prezioso. Ponderato. Non avremo la possibilità di rivederlo e correggere il tiro. Nello stesso tempo probabilmente fotograferemo solo le 2-3 situazioni che veramente ci convincono o ci ispirano, valutando molto bene da un punto di vista tecnico e compositivo cosa stiamo riprendendo. Un rullino da 36 pose potrà durare anche un paio di mesi. Saremo condizionati dalla luce e quindi dalla sensibilità della pellicola che abbiamo carica-to, dalla nostra voglia di fotografare, dal fatto che sviluppare le foto costa soldi. Terminato finalmen-te il rullino, in un tempo che oggi neanche imma-giniamo possibile per soli 36 scatti, lo porteremo a sviluppare. Al ritiro delle foto, se non ce le saremo sviluppati da soli, vedremo il risultato dei nostri sforzi di immaginazione. A differenza del passato oggi con il digitale non abbandoniamo mai il nostro prodotto fotografico. Le centinaia di foto sul viso-re ci accompagnano per tutta le nostre vacanze, andando pian piano dimenticate proprio perché sostituite da altre centinaia scattate il giorno suc-cessivo. In pellicola questo non succede: ogni sin-golo scatto viene pensato, ponderato, composto e diventa unico ed irripetibile. Il fatto di pensare tutto questo prima di scattare invece spiega il mo-tivo per cui i grandi fotografi ricordano fotografia scattate 50 o 60 anni fa come se fossero state scat-tate il giorno prima. Ad ogni scatto viene associato un momento e una sensazione che diventa unica e la sua storia si incolla indelebilmente al negativo. Le foto stampate, inoltre, a differenza delle foto-grafie digitali che raramente vengono stampate ma viste solo su un monitor, saranno oggetti con-creti: stampate, possono passare fisicamente di mano in mano, le possiamo regalare attribuendole così un valore; il digitale permette di non sbaglia-re lavori, non avere l’ansia su quali effettivamente saranno i risultati, tutto è lì sul visore della nostra macchina. Possiamo consegnare le foto veloce-mente ed inviarle via posta elettronica dall’altra parte del mondo. Lo stesso vale per i fotografi per i quali la macchina fotografica è solo una passio-ne: si risparmia sui costi di pellicola e di sviluppo,

si impara immediatamente dai propri errori, c’è la possibilità di ripetere le foto sbagliate o scattare finché statisticamente non si ottiene la foto buona.Che attrezzatura fotografica usi?Per l’uso a pellicola principalmente utilizzo una Nikkormat EL con diversi obiettivi e una Mamiya RB67SdPro con magazzini 6x7 e 6x4,5 ma anche altre macchine fotografiche a pel-licola sia a 35 mm che a medio formato. Per il digitale invece utilizzo una Nikon D200 ed una D700 con il suo corredo di obiettivi. Hai in mente qualche progetto futuro?Ispirato da un lavoro di Irving Penn mi pia-cerebbe dedicarmi ad un progetto sul cam-po sulle persone che fanno diversi mestieri.Quali sono i fotografi che maggiormente ti hanno ispirato o ti ispirano?Gianni Berengo Gardin, Irving Penn ed, Eliott Erwitt.3 aggettivi per descriverti?Generoso, testardo e perfezionista.Un racconto che ci fa riflettere, quello di Gianluca Melis. E’ bello sentire che ci sono ancora persone appassionate che scattano in pellicola, sentendosi a torto o ragione speciali e differenti dalla grande massa di “fotografi”, perché non l’hanno mai ab-bandonata o perché l’hanno scoperta dopo l’av-vento del digitale. La sola decisione di scattare in analogico non renderà migliori delle foto banali, così come l’uso massiccio del fotoritocco digitale non renderà da solo una foto bella. In fotografia si può e si deve sempre mostrare che quello che vince non è il mezzo ma l’occhio, e che uno scatto sentito e ragionato può essere speciale, sia in digitale che in pellicola. Ma quest’ultima, di sicuro ha un vantag-gio: ci farà scoprire o riscoprire, la consapevolezza e la magia di quello che facciamo quando abbiamo una macchina fotografica tra le mani. Sarebbe bel-lo che rispolverassimo le nostre vecchie macchine analogiche di famiglia e provassimo a ripensare, per un giorno, la fotografia in maniera differente.

62

Page 63: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

6363

Page 64: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... l'evento Camponogara Fotografia: Tony GentileTesto di Paola Poletto

64

Tony Gentile ha iniziato come fotografo di news presso un quotidiano locale nel 1989 a Palermo, sua città natale, collaborando poi con l’agenzia fotografica Sintesi a Roma e la-vorando per molti altri quotidiani e periodici italiani ed esteri. Dal 1991 collabora con l’a-genzia di stampa internazionale Reuters come freelance e ne diventa fotografo di staff nel 2003. Ha seguito molte storie nazionali ed in-ternazionali, come la morte di Papa Giovanni Paolo II e l’elezione del nuovo Papa, e molti eventi sportivi internazionali, come le Olimpia-di di Atene e i campionati mondiali di calcio in Germania, e ancora oggi le sue immagini forti e significative ci costringono a riflettere sulla nostra storia recente e a non dimenticare.Il suo primo ricordo legato alla fotografia risa-le a quando aveva 8 anni mentre , con i lego si costruiva la macchina fotografica, dotata del classico flash da fotoreporter. Questo chiaro ricordo, a distanza di anni, gli ha fatto pensa-re a come il mondo della fotografia probabil-

mente era sempre stato qualcosa che lo attra-eva. A 14 anni acquista la sua prima macchina fotografica e inizia a sperimentare questo affascinante mondo da solo. Durante gli anni del liceo, periodo in cui la sua città è sconvol-ta dalla guerra di mafia, Tony è politicamente attivo, partecipa alle manifestazioni e segue la cronaca sui giornali palermitani, in partico-lare L’Ora, quotidiano politicamente schierato di orientamento progressista. E proprio sulle pagine di questo Tony nota e apprezza i ser-vizi di due fotografi, Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Saranno proprio loro due, inconsape-volmente, a dare a Tony la spinta per intra-prendere questa professione. “Io partecipavo alle manifestazioni e loro erano dall’altra parte dello striscione, li vedevo; ogni giorno c’erano dei morti a causa della guerra di mafia e ogni giorno uscivano le loro foto. Quando le vedi sui libri quelle foto sono straordinarie, ma se le vedevi ogni giorno sul giornale…qualcosa ti lasciavano! La fotografia in genere mi piace-va, ma l’attrazione per questo genere di foto nasce dalla spinta datami da questi due stra-ordinari fotografi”.

Non è pienamente d’accordo con chi roman-ticamente sostiene che la fotografia è in gra-do di esprimere con una sola immagine più di quanto possano fare le parole stesse; per lui questa affermazione è solo uno dei clas-sici luoghi comuni. E’ d’accordo sul fatto che alcune foto hanno e trasmettono una forza potente che va al di là delle parole scritte e

Page 65: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

65

che probabilmente esistono foto che riescono a racchiudere al loro interno determinate cose che forse, nella realtà, sono difficili da immagi-nare, ma lo fanno di rado. “Io mi sono sempre occupato di fotogiornalismo di cronaca, ossia di qualcosa che deve esser sintetizzato all’in-terno di un fotogramma, o al massimo di due. Nel mio lavoro lo scatto diventa spesso un esercizio per cui ti sforzi e cerchi di lavorare per raggiungere l’obiettivo e catturare l’im-magine che deve raccontare. Ma non sempre si riesce ad ottenere lo scatto e finisci per l’au-toconvincerti che la tua foto abbia tutto quel-lo che serve per raccontare la storia, anche se non è cosi e non è facile farlo. Qualche volta mi è capitato, ma è stata complice la fortuna”. Dietro i suoi scatti c’è una tecnica, un mestiere e tanta professionalità. Per fare il fotoreporter di cronaca ci si deve preparare, si deve cono-scere la storia che si sta andando a fotografare; lavorare in velocità e con organizzazione sono i requisiti base per un fotografo che intende seguire la notizia. Va inoltre considerato che la cronaca tratta notizie attuali, in tempo rea-le, trattasi di breaking news, e molto spesso non si è preparati a cosa ci si troverà davanti; sono notizie così veloci che non si ha ancora la percezione reale di cosa sia successo. “Sta-vamo andando a Capaci e non sapevamo as-solutamente nulla di cosa fosse veramente ac-caduto; sapevamo che c’era stato qualcosa di grosso, ma non esattamente cosa, né quanto grande. Allora non c’erano ancora i canali di comunicazione mediatici attuali (sui telefonini non viaggiavano queste informazioni ancora, non c’era twitter, non c’era niente) dalla radio in macchina sentivamo che avevano fatto un attentato ma nulla più. E per quanto tu ti pos-sa preparare, una volta arrivato lì scopri una cosa che non avresti mai potuto immaginare, come il dover camminare su cadaveri, su pezzi di uomini, sulla vita, sull’asfalto devastato… La cosa forse più complicata del fotogiornalismo è che, per quanto tu possa studiare la storia e informarti, una volta giunto sul luogo ti trovi davanti a situazioni inimmaginabili e di forte

impatto emotivo. E li, davanti alla concreta re-altà devi infine capire quale possa essere l’im-magine che più di ogni altra cosa racconta la situazione. Se durante il percorso ti sei fatto un’idea e hai pensato a che tipo di immagi-ne vorresti realizzare, non è detto che lì sul posto sia possibile concretizzarla, anche per una serie di fattori tecnici che non dipendono da te (divieti, luci, imposizioni, …)”. Le parole di Tony fanno chiaramente capire che quello del fotoreporter non è un mestiere semplice come sembra, non è sufficiente recarsi sul luo-go, scattare e consegnare la foto alla redazio-ne. Come non lo sono quell’organizzazione e quella programmazione, fondamentali per chi fa notizia, che stanno alle spalle poiché po-trebbero venire scombinate in qualsiasi mo-mento e da qualsiasi fattore. Ci sono però casi in cui si scatta una foto e la si mette nel proprio archivio in attesa accada l’evento giusto.A tal proposito, Tony ricorda la sua foto che ritrae Papa Benedetto XVI mentre cammina un po’ curvo appoggiandosi al bastone. Que-sta “semplice” foto scattata una sera mentre il Papa stava rientrando in Vaticano acquisterà significato solamente un paio di giorni dopo, nel momento in cui il Papa annuncerà le sue dimissioni. Ecco che la foto del pontefice che cammina appoggiandosi al bastone cambia concetto e assume tutt’altro significato e ci fa vedere per la prima volta un pontefice stanco e appesantito dai suoi doveri. Avrebbe potuto rimanere una foto come tante altre, ma con-testualizzata è diventata una “buona” foto. “Tuttavia se riesci ad ottenere la foto, quella foto che parla da sola e che non ha bisogno del testo da supporto, allora puoi ritenerti soddisfatto e puoi affermare di aver fatto un buon lavoro”.Nel 1992 Tony riceve un premio speciale per la famosa foto scattata il 27 marzo dello stes-so anno, dei giudici Falcone Borsellino sorri-denti, diventata il simbolo della rinascita della Sicilia contro la mafia.

Page 66: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... l'evento

66

L’essere ricordato per questa immagine è un’eredità che non gli pesa. Quello che lo fa arrabbiare di questa fotografia è piuttosto il suo scorretto utilizzo, contravvenendo a tutte le regole esistenti sul diritto d’autore.L’agenzia per la quale lavora si occupa di cro-naca internazionale e lui è sicuro che molti dei suoi capi e colleghi non hanno mai visto la foto in questione e non hanno neppure idea di chi siano, al di là del fatto che Falcone e Borsellino siano stati una storia molto seguita in quegli anni. Probabilmente non sarebbero neppure interessati di vederla perché questa foto è nostra, di noi italiani.

“Immagina un grande fotografo. Di questo ti ricordi una sua foto oppure te ne ricordi cen-to? E se ti ricordi di una sola foto in particola-re, io non credo sia un fatto negativo per l’au-tore. È comunque una cosa positiva perché ti ricordi di una cosa che quel fotografo ha fatto. Ed è già qualcosa. Perché volersi affrancare da qualcosa che si ha realizzato? Io svolgo il mio lavoro, seguo il mio percorso e continuo a far-lo e ciò mi porta a fare fotografie che vengono pubblicate nella stampa internazionale. Que-sta è la dimostrazione del mio lavoro e prova il fatto che non sono l’autore solo di quella foto in particolare. La gente normale che non se ne intende di fotografia, non è affascinata dai grandi fotografi nè dai contest importan-ti, è interessata invece a vedere un’immagine bella, che le piace, chiunque ne sia l’autore”.

Se chiedessimo a qualcuno chi sia stato il vin-citore del Word Press Photo nel 1992, non se lo ricorderebbe; ma se invece gli chiedessimo quale sia stata la foto icona di quell’anno lo saprebbe e ti risponderebbe quella di Falcone e Borsellino!. “Per quanto mi riguarda, sono felice di questo aspetto pop della fotografia, a discapito di quello cult. La fotografia giorna-listica è pop, i giornali escono quotidianamen-te e le persone guardano i giornali di oggi; domani già guardano altri giornali, altre imma-gini. Se non è pop questo?! Il nostro dev’esse-re un lavoro pop, per la gente, per le migliaia di persone che seguono le notizie. Non può essere un giornalismo d’élite”. Ma Tony non è solo l’autore del famoso scatto dei due giudici e ce lo dimostra con la pub-blicazione del libro Una Guerra. “Il mio libro è per dire che in quegli anni ho raccontato altre cose che messe insieme rappresenta-no una storia, un percorso. E quella singola foto viene contestualizzata e racchiusa in un preciso periodo storico”. Il libro nasce dalla volontà e caparbietà del curatore Giuseppe Prode che per due anni ha cercato nel disor-dinatissimo archivio del fotografo “dove ogni foto è la foto di una storia chiusa e messe assieme sono tanti centesimi di secondo che fanno poi la storia” selezionando circa 80 fo-tografie che raccontano 8 anni di storie pa-lermitane, storie quotidiane, storie semplici ma anche storie che hanno sconvolto l’Italia intera e non solo. “Sono stato fortunato a tro-varmi a vivere un grande pezzo di storia ita-liana, di grandi trasformazioni politiche, una guerra interna di mafia che diventa poi una guerra contro lo Stato. E quel periodo stori-co è stato effettivamente una guerra come il titolo stesso dice: morti ammazzati ogni gior-no, bombe, l’esercito che viene accolto con gesti vittoriosi. Come si vede nella foto con i militari che passano in strada mentre un uomo alza la mano e fa il segno di vittoria, scena che mai si sarebbe potuta immaginare accadesse proprio a Palermo. Scene cosi ti segnalano

Page 67: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

67

che stava cambiando effettivamente qualco-sa. Piano piano è uscito questo racconto per immagini”. Ha cercato di fare un’operazione di racconto, di emozione, a distanza di più di 20 anni da quei tragici fatti, una testimonianza concreta che mantenga viva la memoria negli italiani. Ma è anche una sorta di testamento per le nuove generazioni che spesso non san-no chi siano stati Falcone e Borsellino e cosa abbia rappresentato per l’Italia quel periodo storico. Le fotografie sono accompagnate da un racconto di Davide Enia (scritto in maniera indipendente dal libro e già pubblicato altro-ve da Davide) che parla di quegli anni visti dal punto di vista di un bambino.

Esattamente quello che raccontano le foto: lo scorrere di una città e dei suoi abitanti, del-la vita normale, della quotidianità della gente che conviveva una realtà di violenza, di stragi mafiose e di sconvolgimenti politici, ma anche della reazione di ribellione della società civile e dello Stato contro l’eccessiva violenza che si respirava in quegli anni. Attualmente Tony Gentile è impegnato nella promozione del suo libro. Non lasciatevi sfug-gire l’occasione di incontrarlo.

Fotografie gentilemnte concesse da Tony Gentile

Page 68: OLTRE - Anno 2, N°5 Aprile 2015

oltre... chi siamo

La rivista in pdf può essere scaricata gratuitamente collegandosi al sito :

http://www.unpocorsofoto.blogspot.it/

Org

ano di Inform

azione dell’U

niversità Popolare d

i Cam

ponog

ara

pagina facebook: OLTRE online

Michele GregolinDocente di fotografia Direttore Responsabile

Vicedirettore : Massimo Bonutto

Redazione: Omar Argentin, Massimo Bonutto, Andrea Collodel, Francesco Dori, Lucia Finotello, Luisella Golfetto, Enrico Gubbati, Alessandro Pagnin, Martina Pandrin, Paola Poletto, Mirka Rallo, Roberto Tacchetto, Marta Toso, Riccardo Vincenzi.

Collaboratori esterni: Stefano Berto, Cristiano Costanzo, Silvia Maniero, Giuseppe Marcato Baldan, M.Angeles Salvador Merino.

mail: [email protected]

Foto di copertina © Mirka Rallo

Impaginazione e grafica: Michele Gregolin, Massimo Bonutto

“OLTRE” progetto editoriale del Corso di Fotogra-fia dell’Università Popolare di Camponogara Laboratorio Fotografia & Comunicazione

http://www.unipopcamponogara.it

Cliccare sull’icona per approfondire l’argomento trattato nell’articolo.