Notiziario Meeting marzo 2015

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NOTIZIARIO RIVISTA DELLA FONDAZIONE MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI 1 ANNO XXXV MARZO 2015 DI CHE È MANCANZA QUESTA MANCANZA, CUORE, CHE A UN TRATTO NE SEI PIENO?

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La rivista trimestrale della Fondazione Meeting

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NOTIZIARIO

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ANNO XXXVMARZO

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DI CHE ÈMANCANZAQUESTAMANCANZA, CUORE, CHE A UN TRATTO NE SEI PIENO?

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EDITORIALE

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L'amicizia fra i popoli, un'esperienza possibile.

Non è facile. Non è affatto facile in un momento così complesso, drammatico e così disarmante, come quello che stiamo vivendo, parlare di amicizia fra i popoli. Come si può fare un Meeting dell’amicizia con negli occhi i fatti che ogni giorno leggiamo sui giornali, dopo gli eventi di Parigi, davanti alle decapitazioni, di fronte a ciò che sta accadendo al confine tra l’Ucraina e la Russia, di fronte alla violenza più inaudita dei guerriglieri dell’ISIS, nei diversi paesi del mondo, una violenza che non annienta solo l’uomo, ma non risparmia neanche la storia, distrugge con ferocia il patrimonio culturale, l’archeologia. Ma, anche più semplicemente, come possiamo parlare di amicizia davanti alla crisi economica, alla crisi dell’uomo, alla crisi globale che sembra avere come unica risposta possibile la solitudine cinica della “riuscita” personale ad ogni costo. “Sono convinto

che noi stiamo vivendo una terza guerra mondiale - ha detto più volte Papa Francesco - una guerra mondiale a pezzi, a capitoli, dappertutto e dietro questo ci sono inimicizie, problemi politici, problemi economici”. Sembrerebbe da pazzi, allora, lavorare per fare il Meeting e invece proprio in questi mesi ci accorgiamo di quanto un luogo come il Meeting possa essere prezioso. Prezioso perché al Meeting l’amicizia fra i popoli diventa, per grazia, un’ esperienza possibile. In questi mesi stiamo già incontrando molte persone, lavorando alle mostre, agli spettacoli e proprio in questo lavoro accade di imbattersi in amicizie che sembrerebbero

impossibili come, ad esempio, quella con Wael Farouq e i suoi ragazzi SWAP, cristiani e musulmani, che continuano a stupirci oppure con i ragazzi ucraini, russi, bielorussi e italiani che, insieme, stanno lavorando ad una mostra che sarà al prossimo Meeting (sul metropolita Antonji Blum) e questi incontri ci fanno vedere che l’amicizia è possibile, che la pace tra i popoli è un’esperienza reale. “Occorre dare sempre più valore ai rapporti umani personali”, ci ha detto nell’intervista che leggerete in queste pagine Costantin Sigov, Filosofo e Docente all’Università Nazionale di Kiev-Mohyla in Ucraina, uno dei curatori della mostra sulla figura del Metropolita Antonji e noi vogliamo partire proprio da questo, partire da questi rapporti perché, come dice il Papa: “al principio del dialogo c’è l ’incontro. Da esso si genera la prima conoscenza dell’altro. Se infatti, si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare pregiudizi e falsità e si può iniziare a comprendere l’altro secondo una prospettiva nuova”. Oggi, ancora di più, sentiamo viva la sfida che Papa Francesco ha lanciato durante l’udienza del 7 Marzo scorso con tutto il Movimento di Comunione e Liberazione “Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo”.

SE, INFATTI, SI PARTE DAL PRESUPPOSTO DELLA COMUNE APPARTENENZA ALLA NATURA UMANA, SI POSSONO SUPERARE PREGIUDIZI E FALSITÀ E SI PUÒ INIZIARE A COMPRENDERE L’ALTRO SECONDO UNA PROSPETTIVA NUOVA

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EDITORIALEL'amicizia fra i popoli, un'esperienza possibile

ATTUALITÀNous sommes swappers, nous sommes humains!di Monica Tawfilas

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ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015Il vero volto dell’uomodi Stefano Pichi Sermolli

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TESTIMONIANZEIncontrare la bellezza: in viaggio con le mostredi Roberto Neri

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ANTICIPAZIONI SPETTACOLI 2015L'improntadi Davide Rondoni

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SOMMARIOw w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g

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In copertina:il manifesto dell’edizione 2015.Progetto grafico: Stefania Garuffi Opera: Davide Frisoni, Riflesso (olio su tela)

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TESTIMONIANZEUn luogo per interpellare il cuore dell’uomo di Letizia Vaccari

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VERSO IL MEETING 2015TU, costruttore del Meeting 29

Anno XXXV - N.1 Marzo 2015Questo numero è stato chiuso in redazione il 18/03/2015

Proprietario/Editore:Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoliAutorizzazione del Tribunale di Riminin. 2008 del 2/11/82

DIRETTORE RESPONSABILE: Alver MetalliCOORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi SermolliREDAZIONE: Vanni Casadei, Piergiorgio Gattei, Walter Gatti, Rosanna Menghi, Daniela Schettini.HA COLLABORATO: Roberto Neri FOTO: Roberto Masi, Angelo TosiPROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia CrimiIMPAGINAZIONE: R&S&C - ModenaSTAMPA: Pazzini - Villa Verucchio - RiminiREDAZIONE E AMMINISTRAZIONE:Via Flaminia, 18-20 - C.P. 106 - 47923 RiminiTel 0541/78.31.00Telefax 0541/78.64.22email - [email protected]

PUBBLICITÀ: Evidentia Communication (società a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting)Tel 0541/18.32.501Fax 0541/78.64.22

«COSÌ, CENTRATI IN CRISTO E NEL VANGELO, VOI POTETE ESSERE BRACCIA, MANI, PIEDI, MENTE E CUORE DI UNA CHIESA “IN USCITA”»

[PAPA FRANCESCO]

ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015Per me vivere è Cristo. Il Metropolita Antonjidi Stefano Pichi Sermolli

ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015 Lo spazio dell’esperienzadi Giuseppe Frangi

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ATTUALITÀ

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Nous sommes swappers, nous sommes humains!A seguito dei recenti fatti di Parigi, abbiamo chiesto al gruppo SWAP, già presente al Meeting 2014 con la mostra “Quando i valori prendono vita”, di raccontarci come dentro a una amicizia reale si possa giudicare a partire dall’esperienza.

di Monica Tawfilas

"Io personalmente quando ho a che fare con un musulmano ho proprio un blocco, come faccio a superarlo,

ma soprattutto, perché dovrei?".Questa domanda ci è stata posta qualche giorno fa da una professoressa presso una delle scuole in cui abbiamo presentato la nostra esperienza come gruppo SWAP e esposto la mostra "Quando i valori pren-dono vita". E proprio questa domanda ci è sembrata un punto molto importante da considerare per poter comprendere quanto sta accadendo ultimamente.È chiaro che le ultime vicende di ter-rorismo internazionale, soprattutto per quanto concerne il cosiddetto Stato Isla-mico, abbiano generato un crescendo di paura e diffidenza in tutto il mondo nei confronti della comunità musulmana. Questo ha provocato e continua a pro-vocare ogni giorno forti tensioni, fomen-tando quella che può essere definita una sorta d’isteria collettiva. La paura di ciò che viene definito “diverso” e il pregiudi-zio sembrano diventare così una sorta di scudo con cui proteggersi, per chiudersi e lasciarsi coccolare nella sicurezza di ciò che è conosciuto ed esperito. Quello che dobbiamo ricordarci e che spesso prefe-

riamo dimenticare, è che oggi siamo in una condizione in cui non è possibile pretendere di poter vivere isolati da ciò che ci circonda, dal resto del mondo, pur-troppo … o per fortuna!Molti a questo proposito ci hanno chie-sto in che modo sia possibile aprirsi all'altro senza rischiare di perdere la pro-pria identità, in che modo noi riusciamo a fare questo ogni giorno. La nostra ri-sposta è molto semplice: nel momento in cui conosci una persona con cui instauri un'amicizia, senti un legame, qualcu-no che ti fa stare bene, perché dovresti allontanartene? Solo perché può sem-brare diverso per alcuni aspetti? Forse il problema nasce da un modo differen-te di guardare alle cose, da una diversa prospettiva. Se vivessimo chiusi in una scatola, non finiremmo prima o poi per soffocare? Non è forse vero che l’uomo ha bisogno di confrontarsi, perché a volte ha bisogno che qualcuno lo aiuti a vedere ciò che da solo non vede? Questo è ciò che accade nella vita di ogni uomo, ogni giorno, nell’incontro. Incontro che nasce da un desiderio naturale, se non addi-rittura da un bisogno personale. C'è da chiedersi, dunque, se la persona che ci ha

posto quella domanda fosse veramente intimorita da qualcosa che sentiva nel profondo o se fosse piuttosto il risulta-to di una paura indotta da degli stimoli esterni. L’incontro con “l’altro” ci spinge a indagare di più su noi stessi, per capire di fronte alle differenze cosa ci caratterizza, cosa ci rende NOI; solo nel momento in cui ci mettiamo in gioco davvero siamo in grado di comprendere quali siano i no-stri pregi ed i nostri difetti, i nostri punti di forza e i nostri limiti. Le differenze, dunque, non sono altro che un punto di partenza, uno stimolo personale, qualco-sa che in qualche modo ci completa ed

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ATTUALITÀ

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aiuta a completarci, non qualcosa di cui avere paura.Lasciare che quest’ultima prenda il sop-pravvento non è altro che stare al gioco di chi ricerca il male, ma noi abbiamo la possibilità di scegliere di accettarci per quello che siamo, di permettere a chiun-que ci incontri di sentirsi accettato a sua volta, di non sentirsi solo, di dimostrare che un’altra realtà è possibile; perché nel-le nostre azioni si riflette ciò che siamo, ciò in cui crediamo, ciò che consideriamo autentico e vero.Purtroppo si è giunti a un clima di egoi-smo tale, che ogni scusa è valida per

dar sfogo alla propria repressione e così niente diventa più semplice dell’arrivare ad uccidere in nome di Dio, di avere la presunzione di volerlo difendere. Perso-nalmente non crediamo che Dio abbia bisogno di essere difeso o che tantomeno si debba combattere in suo nome, sem-mai siamo noi ad aver bisogno della sua protezione.Di fronte quindi a questo totale svuo-tamento delle cose da qualsiasi valore, di fronte alla spettacolarizzazione del macabro e della perdita di sé - perché infliggere un dolore tale senza batter ciglio significa essere stati schiacciati

totalmente dall’indifferenza e dall’apa-tia - è importante incontrare qualcuno che ci faccia sentire accettati senza do-vere delle spiegazioni, che non ci spinga dunque a sentire il bisogno di prendere a riferimento qualcosa di così assoluto da risultare assolutamente vuoto, come può essere un’ideologia ottusa.In questo momento, in cui tutti sono portati a dover prendere una posizione, noi vorremmo quindi ricordare che pri-ma di tutto "nous sommes humains". Ed è nel coltivare la nostra umanità che risiede la speranza.

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A Varigotti dal 2 al 6 marzo, un gruppo di studenti russi, ucraini, bielorussi e italiani, hanno lavo-

rato, per preparare una mostra, che sarà esposta nella prossima edizione del Me-eting, sulla figura del Metropolita e sul paragone del suo pensiero con quello di Don Giussani.Guidati dal Prof. Alexandr Filonenko, insieme a molti altri intellettuali hanno analizzato e discusso, in maniera molto interessante e precisa l’eredità lasciata da Antonij Blum.Ho partecipato ai lavori e ho avuto occa-sione di dialogare con Costantin Sigov,

Filosofo e Docente all’Università Nazio-nale di Kiev-Mohyla in Ucraina, che ha conosciuto personalmente il Metropolita Blum e che sarà uno dei curatori dell’e-sposizione.

Professore, chi ha incontrato il Metro-polita Antonji Blum non ha sempli-cemente incrociato un pensatore, un grande teologo, ma una persona che prima di tutto si rivelava essere come un padre. Tu hai avuto l’opportunità di incontrarlo e conoscerlo in modo approfondito. Puoi raccontarci quale novità hai scoperto per la tua vita in

questo incontro?Io credo che nel caso specifico del Me-tropolita Antonji questi due aspetti stes-sero perfettamente insieme. Certo, era un grande pensatore, amava tantissimo Bernanos e Danielou, ma nel contesto storico e sociale del XX secolo il Metro-polita Antonji è riuscito a compiere un passo unico, di vitale importanza, ovvero la sintesi fra pensiero e “pratica”. Quan-do ebbi la fortuna di incontrarlo stavo compiendo il mio dottorato di ricerca in antropologia filosofica ed ero consapevo-le che il triste successo che il marxismo stava riscuotendo in tutta Europa poteva

Di Stefano Pichi Sermolli

Antonij Blum (1914-2003), metropolita e figura di spicco nell’ortodossia russa del XX secolo, diceva che “la Chiesa è il luogo attraverso cui anime vive s’incontrano con il Dio vivo e in misura non minore si incontrano fra loro”. Al Meeting una mostra ne racconterà la vita e l’importanza del suo pensiero.

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Per me vivere è Cristo.Il MetropolitaAntonji

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essere riassunto in una parola in voga al tempo: praxis. Tutti conoscevano e ripete-vano questa parola, addirittura gli ameri-cani pensavano fosse un termine tedesco per indicare la rivoluzione, ignari invece della sua origine gre-ca e del suo significato nella filosofia di Aristo-tele. L’Europa del ’68 si riscopriva stanca di questo divario fra teoria e pratica: i movimenti studenteschi criticavano aspramente chi a parole si comportava in un cer-to modo ma poi nei fatti compiva altro; in questa situazione la “praxis” del marxismo riuscì ad attecchire velocemente raggiungendo lo storico successo, proprio perché prometteva il supera-mento di questo divario. Come ha ricordato anche Alberto Savo-rana nella presentazione del libro Vita di Don Giussani, anche molti degli studenti che facevano parte del Movimento di Co-munione e Liberazione se ne andarono, proprio perché attratti dall’illusione che il marxismo potesse colmare questo gap. Ma noi in Unione Sovietica sapevamo che era un inganno: nel ’68 nessuno era interessa-to a Lev Trotsky, piuttosto eravamo sba-lorditi dal fatto che i carrarmati sovietici erano entrati a Praga! Questo lo scenario sul quale, a un certo punto, appare la figura del Metropolita AntonjiBlum: egli iniziò a sostenere che questa sintesi fra teoria e pratica non solo non era un’utopia, ma che era una realtà cristiana e non marxista, una reale alternativa. Per questo per noi tutti è stato così importante l’incontro con lui, perché conoscendolo abbiamo capito che in lui, come in Don Giussani, non si pote-va dividere il pensatore e il padre.

Il Metropolita ha vissuto la sua vita in Inghilterra, fuori dalla Russia. Questo fatto cosa ha favorito nellosviluppo del suo pensiero e, parallela-mente, come ha influito sulla Chiesa Ortodossa in Russia?Il mio padre spirituale a Kiev mi diceva

sempre “è un grande bene il fatto che lui sia libero, viva in una società libera e pos-sa predicare la verità del Vangelo in modo libero, senza dover pensare alla censura e al KGB”.

Tutti lo amavano per questo, per questa sua libertà in Cristo. Lo stesso Metropolita Vla-dimir di Kiev, il “capo” della Chiesa ortodossa in Ucraina, una delle più grandi chiese di tut-to il mondo, lo amava per questo. La presenza del Metropolita An-tonji in Inghilterra ha favorito la diffusione del suo pensiero, di que-sta sintesi fra teoria e pratica di cui parlavamo prima, in tutte le par-rocchie in Inghilterra e parallelamente in Ucrai-

na tramite il Metropolita Vladimir, che ca-piva profondamente il significato di questo “laboratorio di pensiero” iniziato a Londra. Grazie a questo, in Ucraina sono già cre-sciute tre generazioni ispirate dal pensiero e dagli insegnamenti del Metropolita An-tonji. Vorrei tornare indietro un attimo sul concetto di libertà. Per Antonji il concet-to di libertà era anche un’altra cosa: in lui, infatti, si era anche annullata l’artificiosa distanza dalla cultura occidentale tipica dei paesi sovietici. Un esempio concreto: quando il Metropolita Antonji ricorda la morte del padre, a quale autore fa riferi-mento? A Bernanos, autore chiave del XX secolo. Nessun altro vescovo ortodosso avrebbe potuto far riferimento a Georges Bernanos in quel momento storico. Da questo capiamo che questa distanza, questa ripugnanza verso il mondo occi-dentale, che esisteva prima di lui e che tut-tora esiste ascoltando la televisione o leg-gendo i giornali, in lui era vinta. Per questo l’esperienza del Metropolita Antonji è fondamentale: in lui l’ortodossia più pura è libera da questa malattia, ci da speranza che questa distanza possa essere prima o poi superata definitivamente.

Durante il lavoro di questi giorni più

volte è stato fatto un paragone tra Don Giussani e il Metropolita Antonji, puoi approfondire meglio cosa, per te, unisce queste due grandi personalità?Per sottolineare la loro vicinanza, prescin-dendo da ovvie differenze geografiche e culturali nelle quali ognuno di loro viveva, vorrei far riferimento a due momenti nei quali in qualche modo le loro vite sono coincise. Il primo è un momento storico molto concreto: siamo nel 1943, in piena guerra mondiale. Nella mia relazione di questa mattina ho citato una lettera che il Metropolita scrisse nel novembre di quell’anno, testo cruciale dal quale scaturì tutta la sua teologia sul tema della sofferen-za che si trasfigura nell’esperienza di Cristo.

Il Metropolita Antonji Blum

Aleksej Sigov

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Il Metropolita Antonji Blum

Alla fine della mia presentazione, Alberto Savorana, (autore di Vita di Don Giussani- ndr.), mi ha subito detto che nello stesso novembre del 1943 Giussani aveva scritto la stessa cosa. Da questo capiamo imme-diatamente che è prima di tutto lo Spirito a rendere congeniali Don Giussani e il Me-tropolita Antonji: nel momento di più pro-fonda sofferenza del continente europeo, in due luoghi diversi, due raggi si sono uniti convergendo in un unico punto, al centro. Pur non sapendo niente l’uno dell’altro, entrambi erano concentrati sull’essenziale. Dal momento storico passiamo quindi a quello spirituale: sia per Giussani sia per il Metropolita Antonji il momento essenzia-le è quello in cui la persona sta in silenzio

davanti a Dio, momento chiave che da’ una reale percezione della presenza di Dio, che da senso a tutto il resto, ai libri, alla cultura e alla vita sociale. Un momento mistico che si è incarnato nella storia, che non è rimasto fuori ma ha attraversato la storia.

Nonostante tutto quello che sta accaden-do in questo periodo al confine tra Russia e Ucraina e tutto quello che leggiamo nei giornali e vediamo in TV, l’esperienza di questo lavoro, tra i ragazzi ucraini, russi, bielorussi e italiani è sicuramente una te-stimonianza di amicizia impossibile che diventa possibile. Ti chiedo perciò due cose: Cosa ti colpi-

sce di più rispetto a questa esperienza di amicizia? E perché, in sintesi, vale la pena oggi proporre al popolo del Meeting la storia del Metropolita Antonji?Siamo in un momento storico in cui l’a-micizia vive una sfida profonda. Si dice “l’amico vero lo riconosci nel momento del bisogno” e a me pare proprio che la si-tuazione attuale richieda a tutti di riporre l’accento sul rapporto personale, il rappor-to fra persona e persona. La propaganda che i media russi stanno facendo va invece nell’esatta direzione opposta, provando a rompere i legami e i rapporti anche den-tro le famiglie, fra genitori e figli. Il risul-tato è che le persone non parlano più fra loro, hanno paura di parlare di ciò che gli sta a cuore per preservare i propri rapporti di amicizia o di famiglia. Per poter, infatti, essere liberi di parlare di se, occorre che il rapporto sia ad una profondità tale da poter vincere le paure e parlare del proprio cuo-re con qualsiasi persona. Allora davvero si può dire che la scelta di una mostra su un autore come il Metropolita Antonji e il pa-ragone della sua esperienza con quella di Don Giussani sia provvidenziale, perché la loro vita dimostra come si possa essere li-beri da limiti etnici, culturali e politici non solo a parole, ma nei fatti, dimostrando che la Chiesa può essere indipendente dal potere politico in maniera reale. Il Metro-polita Antonji, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, ripeteva sempre “rimanete nella libertà di Cristo”: questo è ancora oggi il messaggio chiave per tutto lo spazio post sovietico. In Ucraina, certo, la situazione era più semplice, perché in questi 25 anni nessuna chiesa ha potuto dichiararsi come chiesa “ufficiale” dello Stato: la distanza dal potere politico era quindi la norma, distan-za che oltretutto ha sicuramente favorito la diffusione della cristianità in maniera capillare, così come in Polonia e in Irlan-da. In Russia era molto più difficile perché l’unione fra clero e potere era sicuramen-te più acuta. C’è un film, Leviathan in cui questo triste legame è descritto molto bene. Per fortuna ci sono alcuni leader “dell’in-tellighenzia” russa come Olga Sedakova, o altri discepoli e figli spirituali del vescovo Antonji, che sono voci libere ed è proprio con loro che il popolo di Kiev vive una pro-fonda solidarietà.

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Il vero voltodell'uomoCon la chiamata di Abramo, nella storia avviene la “nascita dell’io”: da allora, l’io si concepisce in rapporto. Don Ignacio Carbajosa ci ha raccontato come è nato il progetto della mostra in programma per il prossimo Meeting.

di Stefano Pichi Sermolli

Papa Francesco nel suo Messaggio al Meeting 2014 ci ha scritto: “Il Signore non ci ha mai abban-

donati a noi stessi, nei tempi antichi ha scelto un uomo, Abramo, e lo ha messo in cammino verso la terra che gli aveva promesso”. Abramo, un semplice pasto-re, è quindi il segno della compagnia del Destino all’uomo?È certamente il primo segno, nel senso storico, di questa compagnia di Dio all’uo-mo, la prima mossa del Destino. Abramo è il primo luogo dove si verifica che l’uo-mo non è più lasciato a se stesso, cercando a tentoni il Mistero che fa tutte le cose tramite una creatività religiosa. Di fatto, nella Mesopotamia questa creatività era accompagnata da una ragione che, nono-stante la religiosità naturale che la spinge-va, era chiusa a se stessa nell’incapacità di immaginare un’iniziativa del Mistero, un dialogo reale. In Abramo (e ulteriormente nel popolo che genera), invece, si verifica un uso della ragione (a partire dalla chia-mata) che è eccezionale e che vogliamo illustrare nella Mostra.

Qual è la novità che viene introdotta nella storia con la chiamata di Abramo?Come direbbe don Giussani, con la chiamata di Abramo avviene “la nasci-ta dell’io”. In che senso? D’allora l’io si

Illustrazione da 1728 Figures de la Bible, Gerard Hoet (1648–1733) and others, published by P. de Hondt in The Hague in 1728

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concretamente per la storia religiosa, il tu della madre è stato rappresentato dalla chiamata di Abramo, primo affacciarsi del volto del Destino sul balcone della storia umana.

Il titolo del Meeting di quest’anno vuole

Abramo. Il sacrificio di Isacco, Caravaggio, Galleria degli Uffizi, 1594-1596

concepisce come io in rapporto, appun-to, come dialogo con un Tu che gli è ve-nuto incontro. Proprio per quello, tutto l’affannarsi della vita diventa vocazione, cioè compito, risposta nella propria vita all’iniziativa di un Altro che finalmente esprime una Sua volontà: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io t’indicherò”. Il tempo diventa storia, luogo della verifica e del compimento di una promessa. E tutto quanto all’interno del popolo che la stessa chiamata ha generato, un popolo che di-venta protagonista (anche se nelle appa-renze non lo sembra) della storia.

Perché oggi proporre al Meeting una mostra sulla figura di Abramo? Perché è ancora attuale?Oggi è più evidente che mai che siamo all’interno di una crisi dell’umano. Lui-gi Giussani commentava così, anni fa, le parole di papa Giovanni Paolo II sul pe-ricolo più grande per l’uomo, che non è la schiavitù fisica ma l’eliminazione della possibilità di comportarsi come un uomo: “Siamo in un’epoca in cui le catene non sono portate ai piedi, ma alla motilità del-le prime origini del nostro io e della nostra vita”. Una Mostra come questa vuole ri-prendere, appunto, i fattori essenziali che definiscono “il volto” dell’uomo. E poi, dal punto di vista della Chiesa, abbiamo la tentazione dello scoraggiamento davanti al crollo di un mondo che sembrava cri-stiano. Dobbiamo, dunque, prendere di nuovo coscienza di qual è, qual è stato sempre, il metodo di Dio per salvare l’uo-mo: la scelta di un uomo sconosciuto agli estremi confini degli imperi d’allora.

Cosa possiamo imparare dall’obbedien-za di Abramo?Dobbiamo riconoscere che “obbedienza” non è una parola di moda… Comunque

la sua etimologia ci mette sulla pista del valore che ha ancora per noi: dal latino ob-audire, significa “prestare ascolto a chi è davanti”. Il nostro io, com’è eviden-te nella psicologia evolutiva del bambino, viene fuori in un dialogo, nel confrontarsi con un tu. Per la storia dell’umanità, e più

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interpellare il cuore dell’uomo sull’espe-rienza di una mancanza. Vuole indaga-re sull’origine di questa mancanza. Mi sembra di poter dire che tutta la vita dell’uomo Abramo, sostiene questa in-dagine, questa domanda. È così?È una grande astrazione pensare che la

mancanza che ci costituisce è punto di partenza assoluto: c’è la mancanza, dob-biamo cercare la soluzione (come fosse una patologia a risolvere). La mancanza è mancanza di una compagnia ancora più radicale che ci costituisce, che ci da la vita. Per questo Mario Luzi è veramente leale

Abramo. Il sacrificio di Isacco, Caravaggio, Galleria degli Uffizi, 1594-1596

alla sua esperienza nel fare la domanda “di chi è mancanza questa mancanza…”. Abramo, dal momento della chiamata, concepisce la sua vita come tendere a. Sta-rei per dire che “capisce” di chi è nostalgia la sua nostalgia. Tutto il lungo e travaglia-to percorso che deve fare nella sua vita è sostenuto dalla promessa che ebbe all’ori-gine. È questa promessa che lo guida nel capire come mai sarà padre di una grande popolo quando la sua moglie è sterile o quando gli viene chiesto di sacrificare il proprio figlio.

Come sarà impostato il percorso della mostra? Ci puoi dare qualche anticipa-zione?Vogliamo affrontare, in primo luogo, il contesto storico in cui l’avvenimento Abramo irrompe nelle vicende umane: la Mesopotamia del secondo millennio avanti Cristo. Mostreremo, poi, la grande novità che, dal punto di vista della feno-menologia religiosa, accade con la chia-mata di Abramo. A partire del racconto biblico, illustreremo i fattori del volto dell’uomo così come viene fuori in Abra-mo. In questo ci lasceremmo prendere per mano da don Giussani che ha dipinto quel volto, proprio a partire da Abramo, in modo geniale. Sarà lo stesso percorso bi-blico che ci porterà, in una tappa ulteriore, a sorprendere nella storia il compimento della promessa fatta a Abramo nella per-sona di Cristo, l’io che ha vissuto la sua vi-cenda umana come appartenenza e come obbedienza al Padre. Noi siamo figli nel Figlio. Da Lui parte la grande educazio-ne di tutte le nazioni nella vera religiosità fino ad oggi. La Mostra si chiude sottoli-neando l’attualità del metodo di Dio, così come viene illustrato nella chiamata di Abramo, per affrontare le sfide del nostro mondo.

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Partiamo da un dato statistico: mai nella storia dell’uomo abbiamo avu-to tanta produzione artistica come

in questo nostro tempo. Mai ci sono stati altrettanti artisti, non solo come quantità assoluta (che sarebbe logico visto che sia-mo in sei miliardi sulla terra) ma anche come percentuale di persone che hanno scelto nell’arte la propria strada. Perché c’è tanta voglia e tanto bisogno di arte? E come mai proprio in una stagione come la nostra, in cui la logica utilitaristi-ca sembra sempre quella vincente? Sono domande per le quale vale la risposta che si diede Gio Ponti, raccontando un bel-lissimo aneddoto. Immaginava che Dio ricevesse alla fine dei tempi gli uomini ad uno ad uno, compiacendosi del proprio - suo di Dio - lavoro e di ciò che aveva creato. Quando dopo tutte le infinite pro-fessioni si presentò un artista, Dio restò interdetto. Perché che gli uomini potesse-ro essere artisti era cosa che neanche Lui aveva previsto. Ma invece che indispettirsi si compiacque ancor di più di quelle sue creature che avevano sorpreso il loro stes-so creatore, facendo qualcosa che neanche Lui aveva messo in preventivo. Cosa dice questo aneddoto? Che l’arte è l’attività che fa balzare l’uomo oltre se stesso, che è lo spazio dell’imprevisto, del non necessario, del gratuito. È il luogo in cui il desiderio che muove l’uomo in ogni istante della sua vita, tenta di oggettivarsi in una forma, in una parola. È la stessa cosa da sempre, dal tempo delle incisioni rupestri di Lascaux sino ad oggi. Così come non c’è un tempo senza arte,

di Giuseppe Frangi

Lo spazio dell'esperienza.Domanda, libertà ed esperienza. L’arte contemporanea incrocerà il popolo del Meeting grazie a un inedito progetto mostra. Abbiamo chiesto a Giuseppe Frangi, curatore della mostra, di raccontarci la nascita e il significato di questo importante incontro.

>Anish Kapoor, My Red Homeland, 2003, cera, colore a olio, braccio in acciaio e motore

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ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015

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non c’è neppure un codice che assicura sulla bontà dell’arte. L’unica cosa certa è che l’arte non può mai essere uguale a se stessa, deve accettare sempre il rischio del nuovo, del non detto prima. Anche a costo di rischiare di fallire, di deragliare clamo-rosamente rispetto alla sua natura.C’è un’altra caratteristica dell’arte: cono-sce solo un tempo, ed è il tempo presente. Questo vale per sempre, nel senso che an-che quando guardiamo una grande opera del passato, questa non è grande per statu-to, ma è grande perché fa vibrare le corde del nostro presente, secondo uno sguardo che non è quello di nessun altro tempo della storia. E il presente dell’arte non è solo ideale, interiore, soggettivo. È anche oggettivo: “Artist is present” si intitola-va una straordinaria performance che ha emozionato centinaia e centinaia visitato-ri al Moma di New York nel 2013. Marina Abramovic, questo il nome dell’artista, per tre mesi è rimasta seduta davanti ad un tavolo, relazionandosi, soltanto a sguardi, con i visitatori che ad uno ad uno si sede-vano di fronte a lei. Un’esperienza umana-mente ed emotivamente intensissima, in cui l’artista consegnandosi allo sguardo, in un certo senso “dandosi”, toccava qualcosa che aveva a che fare con il destino suo e di chi aveva di fronte. Come ha detto Da-mien Hirst, altro mito dell’arte contem-poranea, personaggio insieme da scandalo e da copertina: «L’arte è vera se capisci qualcosa dell’essere vivi che non avevi mai capito prima».Damien Hirst e Marina Abramovic sa-ranno due dei personaggi di cui si oc-cuperà una mostra che al Meeting vuole proporre uno sguardo diverso sull’arte contemporanea. Uno sguardo curioso e aperto per non restare ostaggi dei soliti luoghi comuni. L’arte di oggi è certamen-te un abnorme fatto di mercato (al pun-to che uno dei più grandi e seri artisti di oggi, Gerhard Richter, si è pubblicamente detto imbarazzato delle valutazioni che le sue opere hanno raggiunto); l’arte è anche spesso stata ridotta a un idiota esercizio di nichilismo. Ma in mezzo a questa fanghi-glia - come sempre nella storia dell’uomo - si possono scoprire dei fili d’oro che è un peccato non seguire, non guardare, non conoscere. Sono fili d’oro che raccontano un’impre-

vista, a volte spiazzante, commozione per l’umano. E che la raccontano in forme al-trettanto impreviste, a volte molto diverse da quelle a cui la tradizione ci ha abituati. Ma l’arte non è obbligata da nessuna for-ma, anzi sta nella sua natura di uscire dalle forme anche del passato recentissimo e di inoltrarsi su terreni nuovi, rispondendo

alle sollecitazioni di tutto ciò che di nuo-vo la vita degli uomini mette in campo. «Art is open gate to possibility», dice uno dei più importanti curatori di oggi, Ulrich Obrist. La mostra proposta al prossimo Meeting vuole proprio seguire alcuni di questi “fili d’oro”, attraverso non le opere, ma la

Anish Kapoor, Svayambh, 2007, cera, colore ad olio, binario meccanico, misure ambientali

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ANTICIPAZIONI MOSTRE 2015

narrazione, anche spettacolare, di queste opere. Non vuole essere una mostra che cerca consenso, ma che sollecita curiosi-tà. Ci si troverà di fronte a situazioni che contengono anche un’audacia, con cui è affascinante fare i conti. Un’audacia di lin-guaggi o di approcci che porta gli artisti a inoltrarsi nelle fibre della realtà molto più

di quanto a noi sia dato. A volte l’audacia è indotta dai mezzi che un artista si trova a disposizione: come è accaduto a David Hockney, grande artista inglese, che con l’arrivo dell’Ipad ha capito di doversi arri-schiare a dipingere sulla tavoletta, perché era una sollecitazione che gli avrebbe ri-servato sorprese. E infatti la bellezza delle

sue immagini “artificiali” prodotte con i pennelli elettronici racconta di uno sguar-do reso più acuto, più eccitato, più pene-trato nella realtà. È il modo con cui l’artista David Hockney (ma la cosa vale anche per tutti gli altri che vedrete in mostra) oggi tenta di conti-nuare a stupire Dio.

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ANTICIPAZIONI SPETTACOLI 2015

La serata che si proporrà al prossi-mo Meeting farà risuonare le voci di poeti diversi per periodo, pro-

venienza, e matrice culturale e religiosa. Perché ovunque sotto il cielo del mondo gli uomini avvertono la presenza di questa impronta nel cuore. Che fa patire e che slancia al tempo stesso a cercare chi, che cosa possa colmarla, possa corrispondere alla sua misura che è in realtà smisurata. Nessuna mano di amante, nessuna traccia di ricchezza, nessuna dolcezza di ami-co, nessun incanto della conoscenza può colmare pienamente quel vuoto, quella mancanza. Quella assenza, segno di una presenza sconosciuta che anima il vivente e quasi lo pretende come suo, come segna-to da lei. I versi saranno rotti, intessuti, a volte dol-cemente sbranati in uno spettacolo che introduce lo spettatore, colui che capiterà e viaggerà in mezzo a queste parole e a ciò che esse genereranno in corpi, suoni, visioni.La poesia, come tutte le arti, sono il segno bruciante di quella impronta. Invitano chiunque a guardare quella rossa o buia o luminosa ferita che brucia al centro del petto. E al centro di ogni amore, di ogni bacio, di ogni saluto e di ogni addio. Qual-cosa che sempre manca. Che grida, come sentiva il grande Clemente Rebora: "Non è per questo, non è per questo!" Nessuna cosa, nessuno basta alla fame della vita. Mentre stringi qualcosa, un viso amato, un successo, una meraviglia, dice Rebora, la voce di quella impronta insorge: non si vive solo per questo. La vita è fame.

di Davide Rondoni

L'impronta Uno "spettacolo" in poesia. Una sera di visioni e parole dominato da un’evidenza: il cuore dell'uomo ha un'impronta. Ha un vuoto, una cavità, una ferita. Che ha i contorni di un’impronta "misteriosa". Di questa impronta si occupa da sempre l'arte ("ardente singhiozzo" per dirla con Baudelaire) e a essa dà voce la poesia.

>Il poeta e scrittore Davide Rondoni

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ANTICIPAZIONI SPETTACOLI 2015

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Chiunque affermi il contrario è morto, avvisatelo. Tanto è vero che a quella fame persino Lui, il dolce e potentissimo Gesù Cristo, il Dio che si mischiò tra gli uomi-ni, non propose parole, idee, discorsi. La fame che veniva dal cuore degli uomi-ni, il vento che veniva da quella impronta e fessura, avrebbe fatto disperdere, avrebbe annullato e di fatto annulla tutte le paro-le, le idee, anche quelle più alte e sagge. Quella fame che come drago sorge da quella impronta, come tempesta, avrebbe divorato come niente parole idee filosofie. E infatti lui, il dolcissimo e divino Gesù, diede e continuamente da il suo corpo da mangiare.L'impronta sarà lo spettacolo delicato e potente di questa fame. Che l'uomo di oggi spesso vorrebbe di-

menticare e addomesticare, salvo poi ve-derla risorgere più potente e irrefrenabile che mai in forme a volte strane, involute, disperse e perverse dalla propria inevita-bilità. Lo spettacolo della impronta è il vero spettacolo umano. E al Meeting ne andrà in scena una specie di ventaglio di segni come un inseguirsi di parole, di versi, di movimenti. La voce umana la sua capacità di rein-ventarsi in un linguaggio non meramente logico, ovvero di inventare quella lingua che, come diceva Oscar Miloszc, autore di Miguel Manara, diviene "inseguimen-to appassionato del reale", è sempre stata usata per dare voce a quella impronta. In ogni civiltà e tempo, la voce si è alzata per dare testimonianza di quella oscura e

luminosa impronta. Sciamani, profeti, stregoni, salmisti, folli, poeti, hanno sempre alzato la loro voce in mezzo alla comunità umana per un solo motivo: non dimenticare quella impronta. Voce scomoda, voce che spesso i poten-ti del villaggio o dello stato o del sistema non gradiscono ascoltare, perché ricorda che il loro potere è in realtà così piccolo, così niente rispetto a ciò che desiderano i loro sudditi o persino schiavi. Voce che non cessa di alzarsi in ogni angolo della storia e del pianeta dove esiste un uomo vivo. Il Meeting è sempre stato appuntamento per uomini vivi. Lo spettacolo "L'impronta" è un appunta-mento per chi non ha paura di avere fame e di condividere la voce del cuore.

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TESTIMONIANZE

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Un luogo per interpellare il cuore dell’uomoVenerdì 6 e sabato 7 febbraio 2015 si è svolta a Città del Messico l’ottava edizione di EncuentroDF: due giorni di conferenze, mostre e dialoghi organizzati dalla comunità di Comunione e Liberazione in Messico. Riportiamo di seguito il racconto di chi ha organizzato e partecipato a un evento che, prima di tutto, è occasione per un incontro.

di Letizia Vaccari

Un tentativo di guardare e giudi-care la realtà quotidiana. Così il titolo del passato Meeting “Verso

le periferie dell ’esistenza. Il Destino non ha lasciato solo l ’uomo” ha scandito il tempo al nostro annuale Encuentro DF.Per noi che lo organizziamo da otto anni, l’esperienza di quest’anno ha significato il riaccadere della novità e potenza del carisma che ci mette in dialogo con gli uomini di qualsiasi età e di qualsiasi cor-rente di pensiero, a condizione di inter-pellare il cuore, di proporre le domande profonde e di tentare di guardare la re-altà con simpatia, uno sguardo che non è ancora del tutto nostro, ma che con la creazione di spazi come questi, comincia a essere sempre più familiare.

Su quali periferie abbiamo riflettuto?

Abbiamo voluto incominciare venerdì illustrando, attraverso la mostra prove-niente da Rimini, la ricerca sulle cau-se delle malattie genetiche di Jérôme Lejeune, ricerca cui lo scienziato ha de-dicato l’intera vita con semplicità e reali-smo, arrivando così a scoprire il nesso tra la trisomia 21 e la sindrome di Down. La scienza, dunque, a servizio della fragilità

fisica della persona, in qualunque condi-zione si trovi: questo è stato il contenuto della successiva conferenza guidata da Yordani Enriquez, dottore in bioetica e professore presso l'Università Sedes Sa-pientiae di Lima, che ha voluto mettere in luce la forte personalità di Lejeune, per la quale l'uomo di scienza e quello di fede sono sempre convissuti in pienezza e unità. La medicina deve curare o eli-minare? Questo il dibattito che fin dalla scoperta di Lejeune ha animato la scien-za, tuttora propendente per una strada che sentenzia l’eliminazione di ciò che non risponde a uno standard di perfe-zione; alla mentalità scientifica moderna Lejeune ha risposto con la fede: il malato è ontologicamente una persona e come tale ha diritto di essere trattato.La giornata di sabato si è sviluppata, in-vece, attorno a due nuclei che interessano le periferie della nostra umanità: il biso-gno di educazione e la grave situazione di violenza e confusione del nostro Messico.Abbiamo voluto affrontare il primo pro-blema, l’educazione, attraverso la testi-monianza di Alicia Lomello, insegnante argentina, che ha raccontato la passione e l’impegno nel compito dell’educatore: riconoscere negli alunni il loro vero biso-

gno. Con lei Josè Medina, sacerdote re-sponsabile del movimento di Comunio-ne e Liberazione in USA con una lunga esperienza nell’insegnamento alle spalle. Josè Medina ha raccontato al pubblico come attraverso la personale apertura a una proposta d’insegnamento ha potuto comunicare agli alunni la propria sco-perta della bellezza del conoscere e della

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TESTIMONIANZE

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Un luogo per interpellare il cuore dell’uomo

realtà, della necessità di una compagnia in questa avventura.La successiva tavola rotonda "Messico: è possibile un nuovo inizio?" ha avu-to come protagonisti alcuni importanti nomi della cultura messicana: Il professor Eduardo Gonzalez di Pierro, ricercatore in filosofia presso la Università Michoa-cana; Leonardo Curzio, famoso cronista

radio e opinionista politico per diversi media messicani; Jorge Trasloceros, pro-fessore e ricercatore di storia dell’Uni-versità Nazionale messicana, moderatore della tavola rotonda. Volevamo analizza-re i tratti salienti della nostra attualità nel tentativo di dare un giudizio reale: i fatti di Ayotzinapa che hanno fatto il giro del mondo, il narcotraffico, l'insicurezza en-

demica, la corruzione dello Stato a tutti i livelli e la sua incapacità a risolvere i gravi problemi. Il professor Gonzalez di Pierro ha quindi sottolineato come la crisi dello Stato sia la crisi di un popolo che sta per-dendo la sua identità, dimenticando quel-le radici cristiane cattoliche che erano e sono l'unico possibile fattore di unità in quanto sostengono il concetto di perso-na. Leonardo Curzio, attraverso un’ana-lisi quasi spietata della situazione attuale, ha denunciato una generale sfiducia della gente verso tutte le istituzioni: solo la fa-miglia resta il luogo di relazioni sicure, anche se chiuse e individualiste. È dalla base popolare, dall'apertura della gente a tutta la realtà del paese che può avvenire un cambiamento della società messicana. Qui sta la speranza per un nuovo inizio. Se la tavola rotonda raccontata ha co-stituito soprattutto una descrizione dei gravi problemi del paese e un'ipotesi per una via d'uscita, la seguente ha invece posto in risalto due iniziative già in atto che stanno incidendo positivamente e diversamente nel tessuto civile. Orlando Camacho della cooperativa S.O.S. Mexi-co ha descritto come la sua associazione sta lavorando in difesa e a protezione di cittadini ingiustamente colpiti, inter-venendo direttamente per migliorare la legislazione: il fiore all'occhiello delle loro iniziative è stato l'intervento per un codice più rispettoso e giusto, ora in vi-gore. Il professor Luis Soto, messicano di Sonora, ha invece raccontato la sua opera di collaborazione con l'26) Arcidiocesi di Denver (USA) per facilitare gli immigra-ti messicani in un'integrazione che non >

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TESTIMONIANZE

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comporti la perdita dell'identità.Ma la testimonianza più toccante è arri-vata da un'umile ragazza, Karina, rappre-sentante di un gruppo di popolane di un anonimo villaggio dello stato di Veracruz (ndr. Las Patronas). Ogni giorno da vent'anni queste donne a turno cucinano chili di riso, fagioli e tortillas per gli uomini che, costretti dal-la fame e dalla miseria, tentano di espa-triare verso l’America del nord salendo abusivamente sui treni in corsa: perché - ha dichiarato Karina - questa gente co-stretta all'espatrio, ha bisogno del cibo e

della speranza, di qualcuno che sia con loro in questa difficile avventura cui sono costretti dalla miseria.La lezione centrale, sintetica dell'incon-tro, è stata affidata a José Medina, che citando la risposta di Hannah Arendt in La Banalità del male, ha ragionevolmen-te concluso che di fronte all'assurdità del male non è sufficiente, in una società pluralista, la promulgazione di leggi che vanno bene per tutti, perché il problema è la debolezza delle nostre coscienze, l'inconsistenza dell'io che diventa sempre più vittima del potere.

La nostra incapacità di unità e di au-to-salvezza ha bisogno di qualcuno che venga da fuori, che risvegli la nostra ca-pacità di comprendere la realtà, di for-mulare un giudizio, di giocare la nostra libertà, di diventare un’affascinante pre-senza di vera umanità. Cristo è venuto per generare l'umano, a noi la sfida dei problemi da affrontare.

Un momento della visita guidata alla mostra su Jérôme Lejeune

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TESTIMONIANZE

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Incontrare la bellezza: in viaggio con le mostre Proporre una mostra del Meeting nei diversi ambienti della propria città può diventare una grande occasione d’incontri inaspettati, momenti di dialogo reale e nuovi inizi pieni di speranza.

Una grande occasione. Questo il giu-dizio prevalente di chi, nel corso dell’ultimo anno, ha scommesso sul-

lo stupore generato dalla visita a una delle tan-te mostre itineranti del Meeting, perché colpito da una spiegazione, da un pannello espositivo o semplicemente da un modo diverso ma più vero di comunicare e di approcciare cultura, arte, letteratura, storia, sport musica e scienza.Un’occasione che, educando, crea inaspettata-mente rapporti: tante sono, infatti, le testimo-nianze di chi, decidendo di portare una delle mostre itineranti del Meeting nella propria città, nella propria azienda, nel proprio circolo o nella propria parrocchia, ha scoperto nella semplicità di questo gesto un vero e proprio terreno di dialogo, di apertura e confronto, dal quale misteriosamente sono nati rapporti di-versamente impensabili.Charles Péguy. La scoperta di un’umanità sorprendenteGrande successo per “Storia di un’anima carnale. A cent’anni dalla morte di Charles Péguy”, la mo-stra dedicata al grande scrittore francese inau-gurata durante lo scorso Meeting di Rimini. Chi ha visitato la mostra racconta con sorpren-dente entusiasmo di aver scoperto un mondo nuovo: adulti e giovani, universitari e persone che non conoscevano Péguy o che da sempre ascoltano i brani scelti da Don Giussani per animare le stazioni della via Crucis, rivelano di aver scoperto grazie alla mostra un’umanità nuova, sorprendentemente inerente e collegata alla più recente attualità. Le testimonianzeLa recente tappa a Piacenza, dal 6 al 20 gen-naio 2015, che visto la presenza del curatore Pigi Colognesi in occasione dell’inaugurazio-

ne, è stata promossa dall’Associazione Cultu-rale Ingenua Baldanza in collaborazione con Ateneo studenti dell’Università Cattolica. Alla domanda “qual è la chiave di lettura dell’al-lestimento?”, Pigi Colognesi ha risposto: “Il lasciarsi guidare dall’avvenimento come mo-dalità di conoscenza. È un modo di conoscere la realtà diverso e contrapposto a quello in uso nella “mentalità moderna”, come la definisce Péguy, che, invece, tende a sovrapporre idee belle e fatte, preconcette, alle cose che accado-no. Anche il cristianesimo è un avvenimento. È qualcosa che è successo duemila anni fa e continua ad accadere nella storia oggi, non è un insieme di teorie”. Scenario simile anche a Teramo, dove la mostra è stata esposta dal 31 ottobre all’11 novembre 2014 a conclusione di un fitto calendario di eventi dedicati al cente-nario della scomparsa di Charles Péguy.Anche a Treviso il Centro Culturale Péguy ha dedicato nove giorni alla mostra, dal 10 al 19 ottobre 2014, inserendo nel programma un

inedito street reading itinerante, che ha tocca-to le principali piazze della città con letture di brani dalle opere di Péguy a cura di lavoratori e studenti degli istituti cittadini.Meeting MostreDal 2000 il Meeting offre il servizio “mostre itineranti” per promuovere e allestire le mostre che ne hanno fatto la storia. Ogni anno più di 200 mostre vengono affittate e portare in giro per l’Italia e per il Mondo, coinvolgendo istitu-zioni locali, scuole, associazioni, centri cultura-li, parrocchie e anche aziende, per mostrare a chiunque come l’esperienza cristiana in azione diventa un giudizio, favorendo tutta quanta la propensione e il desiderio umano di conoscen-za della realtà.Meeting Mostre mette a disposizione la sua esperienza non solo per il noleggio delle mo-stre, ma anche per l’allestimento, la grafica e la comunicazione, la formazione delle guide e l’organizzazione di eventi culturali collaterali che accompagnano l’esposizione.

di Roberto Neri

La mostra su Charles Péguy allestita al Meeting 2014

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VERSO IL MEETING 2015

Perché questo luogo possa continuare ad esserci

“Siamo in tempi non facili ma ci siamo assunti comunque la responsabilità di continuare a fare il Meeting, anzi proprio perché siamo in tempi non fa-cili forse c’è ancora più bisogno di una cosa come il Meeting” sono le parole che Emilia Guarnieri, presi-dente del Meeting, ha detto in una video intervista destinata a tutte le opere che lavorano in ambito sociale.Abbiamo lanciato per la prima volta al Meeting 2014 una campagna di fundraising, che non si esaurisce con la semplice raccolta di fondi e ne-anche con una richiesta estemporanea dettata da un’urgenza immediata, ma è innanzitutto la capaci-tà di far nascere relazioni di fiducia con quante più persone possibili. Affinchè questo luogo possa continuare ad esser-ci, chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore una iniziativa come il Meeting, che pensano che un pun-to di incontro, di amicizia, di positività nella società sia utile, di darci una mano, sostenendo la costru-zione di un luogo che, da oltre 30 anni, testimonia e racconta “una cultura dell’incontro, una cultura dell’amicizia”. Con una Donazione sarà possibile entrare a far parte della Community Meeting, un gruppo di persone affezionate al Meeting, una ‘comunità di sostenitori che cresce ogni giorno.Ma si può “fare di più” diventando Ambasciatore del Meeting.Poche azioni che possono aiutarci a divulgare la campagna: la diffusione del messaggio della raccolta fondi del Meeting ad amici, parenti, colleghi, la sensi-bilizzazione di tutti i conoscenti attraverso il racconto della propria esperienza al Meeting e cosa rappre-senta per noi questo luogo di amicizia e confronto, la documentazione del proprio impegno a sostegno del Meeting e l’invito alla gente a fare altrettanto.

LA VERITÀ FORZA DELLA PACE

LA BELLEZZASALVERÀIL MONDO

UN FESTIVAL CULTURALE DAI TRATTI INCONFONDIBILI

DIALOGO FRA UOMINI E POPOLI, UN’ISTANCABILE APERTURA AL MONDO

UNA GRATUITÀPOSSIBILE E SPERIMENTABILE

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VERSO IL MEETING 2015

Perché questo luogo possa continuare ad esserci

COSA PUOI FARE PER SOSTENERE IL MEETING:

- Donazione con paypal dal sito del Meeting- Versamento su conto corrente postale n. 11139474- Versamento su conto corrente bancario IBAN IT31 O033 5901 6001 0000 0071 814- Assegno bancario- Donazione continuativa con bonifico automatico (ADUE)_modulo dal sito del Meeting- Destinazione del 5x1000 in fase di dichiarazione dei redditi- Lasciti - Donazione a sostegno del progetto Volontari dal Mondo al Meeting di Rimini pubblicato sul portale di crowdfunding di Eticarim_dettagli sul sito

VOLONTARI DAL MONDO AL MEETING DI RIMINI: UN PROGETTO DI CROWDFUNDINGÈ on line sul portale Eticarim il progetto Volontari dal Mondo al Meeting di Rimini che ha come obiet-tivo il raggiungimento di 7.000€ come aiuto al so-stenimento dei costi per l’ospitalità di 60 volontari stranieri che verranno a Rimini al Meeting per fare un’esperienza di amicizia, incontro e gratuità totale.Per ogni edizione del Meeting arrivano a Rimini migliaia di volontari. Circa 2.000 volontari offrono il loro lavoro gratuitamente durante la settimana della manifestazione a cui vanno aggiunti i 600 che collaborano alla costruzione, partecipando in ma-niera determinante alla realizzazione dell’evento. Fra questi 2.000 volontari, circa 60 ragazzi proven-gono da svariati Paesi di tutto il mondo (Spagna, Ucraina, Canada, Portogallo, Gran Bretagna, Litua-nia, Francia, Kosovo, Messico, Polonia, Russia, Bel-gio, Camerun, Colombia, Stati Uniti e da altri paesi).

Ed è proprio per sostenere i costi dell’ospitalità nella città di Rimini dei 60 volontari stranieri che chiediamo un aiuto, e se anche tu credi che ogni giovane debba avere la possibilità di vivere un’e-

sperienza di vita e di crescita, se vuoi rendere Rimi-ni un luogo di incontro e dialogo per i volontari di tutto il mondo, collegati al portale Eticarim per fare la tua donazione!

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Un piccolo gesto per continuareuna grande storia

Partecipa anche tu alla costruzione di un luogo che,da oltre 30 anni, testimonia e racconta“una cultura dell’incontro, una cultura dell’amicizia”. www.meetingrimini.org/5x1000

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