Newsletter settembre 2011

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In questo numero si parla di: In questo numero si parla di: In questo numero si parla di: A L L A R M E C I N G H I A L I N E I C A M P I L A C A L D A E S T A T E A R A B A O G M P N E U M A T I C I F U O R I U S O

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Newsletter settembre 2011 - Liberambiente

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In questo numero si parla di:In questo numero si parla di:In questo numero si parla di:

ALLARME CINGHIALI NEI CAMPI

LA CALDA ESTATE ARABA

OGM

PNEUMATICI FUORI USO

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Newsletter n.10 Settembre 2011 SOMMARIOSOMMARIOSOMMARIO

Presidente Liberambiente Presidente Liberambiente

Roberto TortoliRoberto Tortoli

Direttore Responsabile Direttore Responsabile

Antonio GaspariAntonio Gaspari

Vice Direttore Responsabile Vice Direttore Responsabile

Giorgio StracquadanioGiorgio Stracquadanio

Marcello InghilesiMarcello Inghilesi

Direttore Editoriale Direttore Editoriale

Fernando FracassiFernando Fracassi

Segreteria di RedazioneSegreteria di Redazione

Stefania ZoppoStefania Zoppo

Hanno collaboratoHanno collaborato

Monica FaenziMonica Faenzi

EcopneusEcopneus

Piero MorandiniPiero Morandini

Roberto RussoRoberto Russo

Mario ApiceMario Apice

Fispmed OnlusFispmed Onlus

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ALLARME CINGHIALI NEI CAMPI di On. Monica Faenzi 3

LA BUONA NOTIZIA di Mario Apice 10

CURIOSITA’ E NEWS Notizie Ambientali da tutto il Mondo 12

www.liberambiente.com

Visitate anche il nostro sito web www.liberambiente.com

NEWS DAL MEDITERRANEO a cura di Fispmed Onlus 11

DOPO L A PRIMAVERA E LA TESA ESTATE ARABA COME SARA’ L’AUTUNNO? di Roberto Russo

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PARLIAMO DI OGM di Piero Morandini 6

PNEUMATICI FUORI USO di Ecopneus 5

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Pagina 3 Informazione, Ecologia, Libertà - Newsletter n. 10 — Settembre 2011

E’ E’ E’ ALLARMEALLARMEALLARME CINGHIALICINGHIALICINGHIALI NEINEINEI CAMPICAMPICAMPI La Commissione Agricoltura della Camera porta a conclusione un’indagi-ne sul fenomeno dei danni all’agricoltura causati dalla fauna selvatica

di Monica Faenzi - Commissione Agricoltura Camera dei Deputati

E ’ allarme cinghiali, storni e nutrie nei campi italiani e di fronte alla richiesta di aiuto lan-ciata dagli agricoltori, la XIII Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, ha

svolto e portato a termine una maxi indagine conosciti-va volta ad acquisire una completa informazione sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zo-otecniche, sulla tipolo-gia, sulla loca-lizzazione geografica e sulla quantifi-cazione eco-nomica dei danni denun-ciati, sulle colture dan-neggiate e sulle specie animali inte-ressate, non-ché sull'attivi-tà svolta dalle amministra-zioni compe-tenti e sull'in-sieme degli strumenti di cui si sono avvalse, con riferimento agli indennizzi richiesti ed erogati. Nel corso dell'indagine, durata diversi mesi, sono stati sentiti tutti i protagonisti del settore: associazioni am-bientaliste, associazioni venatorie, i rappresentanti del-le organizzazioni professionali agricole, nonché l'U-nione delle province d'Italia, l'associazione nazionale comuni d'Italia e i rappresentanti della Conferenza del-le regioni. Dalle audizioni svolte nel corso dell'indagine è emerso, innanzi tutto, un quadro generale di analisi che ha mes-so in evidenza la dimensione allarmante assunta dalla questione dei danni all'agricoltura da fauna selvatica e l'evidente impatto delle implicazioni della stessa sul-l'attività economica delle imprese agricole. Da più parti è stata sottolineata l'esigenza di una nuova e più efficace politica di gestione e controllo della fau-na selvatica da parte delle competenti istituzioni, cam-biando l'approccio sino ad oggi adottato: non si tratta più, infatti, solo di gestire la fauna ai fini prettamente faunistico-venatori, ma piuttosto di trovare un modo

per riequilibrarne la presenza in funzione di esigenze di carattere sociale ed economico. L'indagine viene dunque a costituire un importante luogo di confronto su agricoltura, caccia e tutela del-l'ambiente, attività che possono, tra loro, interagire positivamente per la gestione del territorio. Pur nella diversità delle posizioni espresse dai soggetti

sentiti, è ri-sultata evi-dente la co-mune volontà di rinnovare alcuni princi-pi della pia-nificazione faunistico-venatoria del territorio e della pro-grammazione dell'attività venatoria, adeguandoli ai recenti orientamenti di politica agricola co-munitaria, tenendo con-to dei nuovi

strumenti di tutela dell'ambiente previsti dall'Unione europea e valorizzando la multifunzionalità delle im-prese agricole. Da questa indagine la Commissione agricoltura, pre-sieduta dall’on. Paolo Russo, che ha mi ha visto come relatrice per questa specifica questione, ha avanzato una serie di proposte e suggerimenti illustrati nel corso della conferenza stampa del 26 luglio scorso. Sono stati raggiunti risultati importanti, anche grazie alla sensibilità per questa problematica dimostrata dal presidente della Commissione, on. Russo. Un proble-ma a caratura nazionale che danneggia irreparabilmen-te la produzione dei nostri agricoltori. Grazie alla collaborazione di tutte le associazioni e degli agricoltori stessi, si è cercato di dare delle rispo-ste certe al settore. Questa indagine costituirà, infatti, la base per una pro-posta normativa in materia. Riguardo ai danni provocati dagli ungulati, è emerso nel corso dell'indagine, che le cause che hanno favorito l'espansione sono, tra le altre, le immissioni a scopo

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venatorio, iniziate negli anni '50, condotte in maniera non programmata e senza tener conto dei principi basila-ri della pianificazione faunistica e della profilassi sanita-ria. Va quindi presa in considerazione l'opzione di intro-durre divieti di immissione sul territorio di ulteriori e-semplari di fauna per le specie di cui è stato accertato uno squilibrio delle popolazioni, in particolare il cin-ghiale, che determinano un danno grave alle produzioni agricole. La Commissione spiega nelle sue conclusioni che è necessario che venga adottata una strategia nazio-nale di gestione del cinghiale che, pur nel rispetto delle differenti finalità istitutive, risulti basata su un'opportuna armonizzazione e coordinamento degli interventi che si eseguono nelle aree protette, nelle aree contigue, negli ambiti pubblici e privati di caccia. Il tutto attraverso in-vestimenti strutturali e, in particolare, attraverso un'at-tenta verifica e analisi delle modalità di gestione di alcu-ne attività, come quella d'allevamento, che non può più svolgersi allo stato brado. Nelle situazioni più allarmanti va valutata anche la possibilità di azioni di contenimento e di cattura. Si sta pensando, da un lato, di prevedere un sistema di misure di prevenzione dei danni incentivando le imprese agricole con un adeguato regime di sostegno; dall'altro, di rivedere il sistema di accertamento e risarci-mento dei danni attraverso un completo reintegro della perdita di reddito per l'agricoltore. A tal proposito occor-re che anche le amministrazioni regionali e locali faccia-no uno sforzo per implementare adeguate misure di pre-venzione. Per far fronte ai risarcimenti, è allo studio un sistema per la copertura dei danni da fauna selvatica tra-mite l’istituzione di un’apposita sezione del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali. La Com-missione prenderà in esame le proposte di legge presen-tate in merito al fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica affrontando in maniera complessiva la questio-ne e trasponendo in legge alcune di quelle proposte.

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D al 7 settembre, chiunque acquisti un pneu-matico delle sei aziende socie di Ecopneus (Bridgestone, Continental, Goodyear Dun-lop, Marangoni, Michelin, Pirelli) troverà in

fattura o sulla scontrino fiscale in modo chiaro e traspa-rente, l’importo del contributo ambientale che copre i costi di gestione e recupero dei Pneumatici Fuori Uso (PFU). Fino ad oggi questo costo era compreso nel prez-zo complessivo del servizio di sostituzione del pneuma-tico senza nessun obbligo di segnalazione. Il Decreto Ministeriale n. 82 dell’11 aprile 2011, in vigore dal 9 giugno, prevede la trasparenza di questo valore, unita-mente all’obbligo per i produttori e importatori di pneu-matici di organizzare su tutto il territorio nazionale la raccolta, il trattamento e il recupero di questi materiali. Le principali aziende produttrici o importatrici di pneu-matici in Italia hanno da tempo costituito Ecopneus, so-cietà senza fini di lucro, che si occuperà della gestione dei pneumatici fuori uso, garantendone la raccolta, il trattamento e il recupero. Ecopneus costituisce il princi-pale interlocutore del sistema che dovrà garantire la ge-stione dei PFU su tutto il territorio nazionale. Di seguito riportiamo gli importi del contributo ambien-tale individuati dal Ministero dell’Ambiente per i pneu-matici delle sei aziende socie di Ecopneus, validi a parti-re dal 7 settembre:

Con la definizione di tali contributi, si entra nell’operati-vità della raccolta e recupero, e prende il via il ritiro dei PFU da parte di Ecopneus, attraverso la rete di operatori selezionati, presso oltre 30.000 tra gommisti, autoffici-ne, sedi di flotte di veicoli su tutto il territorio nazionale che si siano registrati sul sito www.ecopneus.it, e il suc-cessivo invio agli impianti per il trattamento. Il contributo ambientale, scorporato in fattura, controlla-bile e tracciabile in ogni suo passaggio, serve esclusiva-mente a coprire i costi di un sistema efficiente ed effica-ce di gestione dei PFU, garantendo alla collettività e al Paese una serie di vantaggi: 1) lotta alle speculazioni ed alle pratiche illegali; 2) lotta alle discariche abusive e incontrollate di PFU,

con la riduzione dei costi necessari per la bonifica delle zone contaminate, che ricadono sui cittadini;

3) riduzione dei rischi di incendi incontrollati dei depo-siti abusivi di pneumatici, difficilmente domabili e che causano la dispersione di sostanze nocive nell’a-ria e di percolati nel suolo;

4) creazione di un sistema industriale e promozione di un’economia del riciclo che porterà sviluppo econo-mico e nuova occupazione.

Per informare i consumatori sul contributo ambientale e sull’importanza della raccolta e del corretto trattamento dei Pneumatici Fuori Uso, Ecopneus ha realizzato inol-tre la campagna informativa “Vi siete mai chiesti che

fine fanno i Pneumatici Fuori Uso?” in collaborazione con Adiconsum, Assoutenti e Movimento Difesa del citta-dino. Sul sito www.contributopneumatici.it è possibile trovare informa-zioni chiare e complete, ag-giornamenti e approfondi-menti su ogni singolo aspetto.

 

PNEUMATICI FUORI USO: DA OGGI TRASPARENTI I PNEUMATICI FUORI USO: DA OGGI TRASPARENTI I PNEUMATICI FUORI USO: DA OGGI TRASPARENTI I CONTRIBUTI AMBIENTALI PER IL RECUPERO.CONTRIBUTI AMBIENTALI PER IL RECUPERO.CONTRIBUTI AMBIENTALI PER IL RECUPERO.

di Ecopneus

Categoria Veicoli Utilizzatori Pesi Min-Max (in Kg)

Contributi Amb. Euro/Pneumatico

A Ciclomotori e motoveicoli (ciclomotori, motocicli, moto-carri, ecc.)

A1 (2-8) 1,50

B Autoveicoli e relativi rimor-chi (autovetture, autovetture per il trasporto promiscuo, autocaravan, ecc.)

B1 (6-18) 3,00

C Autocarri, autobus (autotreni, auto snodati, auto articolati, filoveicoli, trattori stradali, ecc.)

C1 (20-40) C2 (41-70)

12,10 23,50

D Macchine agricole, macchine operatrici, macchine indu-striali (trattori, escavatori, ecc.)

D0 (<4) D1 (4-20) D2 (21-40) D3 (41-70) D4 (71-110) D5 (111-190) D6 (191-300) D7 (oltre 300)

0,90 4,00 9,80 18,80 29,00 55,00 120,00 326,00

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PARLIAMO PARLIAMO PARLIAMO DIDIDI OGMOGMOGM

di Piero Morandini

L ’acronimo OGM dice molto ma non abbastan-za. Come molti ormai sanno, OGM sta per “Organismi Geneticamente Modificati“ e si riferisce a quelle piante ed animali che vengo-

no modificati geneticamente utilizzando le biotecnologie moderne (quelle che usano le tecniche del DNA ricom-binante). In pratica gli OGM sono cre-ati inserendo uno o più geni provenien-ti da altri organismi e per questo sono detti anche “organismi transge-nici”. Messa così, la cosa incute un poco di timore, spe-cialmente a coloro che non conoscono cosa sia il DNA e la genetica. Questa definizione sugge-rirebbe, infatti, che tutti gli altri organismi, che vengono manipolati dall’uo-mo ultimamente, non sarebbero manipolati nel loro DNA e quindi non presenterebbero delle modifiche nei loro geni (il DNA è la molecola di cui sono fatti i geni). Questo è purtroppo falso e cercherò di spiegarne i moti-vi con alcuni esempi. Transgeni naturali Un primo esempio riguarda quelle piante o animali che hanno ricevuto nel corso della loro evoluzione del DNA da altri organismi e adesso lo mantengono nel proprio patrimonio genetico. Gli esempi più evidenti sono alcu-

ne specie di piante (ad esempio una simile al tabacco) che possiedono geni di batteri inseriti nella pianta. Il DNA di questi batteri è inserito nella linea germinale ed è ormai indistinguibile da quello della pianta (siamo solo noi con la nostra intelligenza che ne possiamo ricono-scere la provenienza) e viene quindi trasmesso di gene-razione in generazione. Esempi simili di trasferimento di geni si conoscono anche tra altre specie (es. insetti e bat-

teri). Molto più spesso capita di incontrare piante con escrescenze disorganizzate (che vengono definite tumo-ri, anche se condividono con i tumori umani solo poche caratteristiche). Questi tumori, come le piante di tabacco sopra menzio-nate, sono a tutti gli effetti dei transgenici anche se natu-

rali: hanno inserito nel loro DNA geni di batteri, cioè spe-cie distantissime. Già solo questa evidenza dovrebbe far riflettere tutti quelli che sostengo-no che gli OGM sono innaturali (ovviamente questo dibattito dovrebbe prima chiarire cosa sia naturale e quin-di arrischiare una definizione di natu-ra).

Creare nuove specie Ma siamo solo all’inizio! Prendiamo ora ad esempio il triticale, una specie creata incrociando il frumento (triticum) con la segale. L’incrocio risulta, ahimé sterile ed è stato eseguito per la prima volta nel 1874 (non è un errore: milleottocentosettantaquattro!) da un botanico scozzese. Quale motivo può spingere una persona a in-crociare due varietà che “naturalmente” non si incrocia-no? Tanti motivi diversi, ma quello più comune e più sensato è la creazione di nuove specie con caratteristiche migliori. Nel caso del triticale, la spinta fu probabilmen-te la considerazione che il frumento aveva un’ottima produttività, mentre la segale un’ottima resistenza alle malattie e al freddo (essa viene definita infatti una spe-cie rustica). Era possibile creare un ibrido che combinas-se una buona produttività con una buona resistenza al freddo e alle malattie? Per rispondere non rimaneva che fare l’esperimento! Il risultato, come spesso capita, all’i-nizio non è stato esaltante, perché le caratteristiche della specie non erano ottimali (rispetto a quelle dei due geni-tori) ed in più era sterile. Un caso analogo è il mulo (frutto dell’incrocio tra cavalla ed asino) che ha buone caratteristiche di resistenza, ma è sterile. I botanici e i genetisti agrari si sarebbero potuti fermare di fronte alla sterilità, ma utilizzando una serie di trucchetti ben noti agli specialisti, sono riusciti a raddoppiare totalmente il numero dei geni e a restituire la fertilità alla pianta. Nel 1936 sono state così create piante fertili di triticale che potevano essere propagate, incrociate e utilizzate in pro-

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Tumore (callo transgenico naturale) su una foglia di oleandro causato da un batterio.

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ve agronomiche per misurarne produttività e resistenza. Sono occorsi ancora quasi 40 anni di lavoro di incroci e selezione per ottenere piante che fossero agronomica-mente interessanti, vale a dire piante che potessero esse-re coltivate con profitto. Oggi il triticale è coltivato su diversi milioni di ettari a livello mondiale (la superficie coltivata italiana è circa 13 milioni di ettari) ed è usato principalmente per l’alimentazione animale.

Una prima considerazione da trarre è che senza la ricer-ca di quello che appare impossibile o innaturale oggi non avremmo un’infinità di prodotti utili e buoni (e cer-tamente anche molti inutili e moralmente riprovevoli, ma la moralità è nell’uso che l’uomo ne fa, non nel pro-dotto) a cominciare da vaccini, macchine, computer, aerei e telefoni. Una seconda considerazione è che il triticale ha avuto, dal punto di vista genetico, uno stra-volgimento enorme per quanto riguarda il suo DNA ed i geni in esso contenuti. Parlare di “modifica genetica” per una pianta transgenica di soia in cui è stato inserito un gene della pianta stessa per eliminare, ad esempio, un allergene potenzialmente mortale e considerare questa modificazione inaccettabilmente pericolosa e tale da impedirne la commercializzazione (e in un paese come l’Italia è impedita anche la coltivazione in campo a soli fini di ricerca) è pura follia quando, nello stesso momen-to, si passa sotto silenzio che creare una nuova specie come il triticale comporta modificazioni genetiche su vastissima scala che comportano, a loro volta, rischi non trascurabili più reali della soia sopra menzionata. Im-mettere sul mercato una nuova varietà di frumento o di patata non richiede una verifica sperimentale della sua pericolosità dal punto di vista ambientale e sanitario, nonostante si siano verificati in passato casi di danni accertati, ad es. con nuove varietà di patata o di sedano. Non sto invocando, sulle piante convenzionali, una nor-mativa restrittiva uguale a quella soffocante che grava su

quelle transgeniche, ma mi piacerebbe, almeno, che si riconoscesse che la transgenesi non è altro che l’ultimo modo (ed il più preciso!) per modificare i geni degli or-ganismi. La precisione della tecnica non implica auto-maticamente certezza di innocuità, ma neanche il suo contrario. Dato questo per assodato, è d’obbligo affron-tare l’argomento (e la normativa) con una buona dose di scetticismo viste le numerose favole che circolano sui mezzi di informazione. E’ ridicolo affermare che tre ita-liani su 4 sarebbero contrari agli OGM perchè la gran parte di quei tre quarti non sanno, esattamente, cosa sia un OGM, come non sanno che l’Italia importa 4 milioni di tonnellate all’anno di soia e derivati che sono transge-nici tra il 50 ed il 100% essendo importati dal SudAme-rica.

Spighe di triticale.

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O tto mesi sono già trascorsi dal 17 dicembre 2010 da quando Mohamed Bouazizi si diede fuoco in un gesto di disperata protesta contro le prevaricazioni della polizia, innescando la

più ampia e repentina rivolta popolare che avesse mai coinvolto la Tunisia negli ultimi 30 anni e costringendo, in poche settimane, il presidente Ben Ali a fuggire dal paese. Lo scenario, da allora, è ulterior-mente mutato ren-dendosi, se è possi-bile, ancora più complesso, conti-nuando a scuotere gli equilibri dell’in-tero Mondo Arabo. Si è passati dalla “primavera” ad una difficile e calda “estate” e possiamo prefigurarci un in-certo e nebuloso “autunno”. Come si ricomporranno gli equilibri mediorientali e dei paesi del Golfo, anch’essi coinvolti in questa transizione epocale, non è ora immaginabile e ancor meno definibile. La transizione sarà prevedibilmente lunga. L’11 febbraio è caduto il secondo capo di stato di un Paese Arabo, l’E-gitto di Mubarak, che aveva assunto negli anni un ruolo di dialogo propositivo nei confronti del mondo occiden-tale e di guida del processo costitutivo dell’Unione per il Mediterraneo, ma che aveva “dimenticato” di curare gli interessi del proprio popolo e il necessario processo di democratizzazione interna al paese. L’Unione per il Me-diterraneo, anche se pochi ci hanno creduto realmente, poteva diventare un’utile palestra di confronto paritario con i Paesi dell’Unione Europea ma anche uno strumen-to per sostenere e sollecitare le necessarie riforme inter-ne ai singoli paesi. Ci hanno pensato, prima dell’Unione, nel pretenderlo, in forme spontanee, le migliaia di giova-ni donne e uomini che in questi paesi hanno innescato un irreversibile processo, anche se fino ad ora purtroppo con risultati ancora parziali. E negli altri Paesi Arabi com’è stato gestito il tentativo di rivolta? Essenzialmen-te, prima ancora di un bisogno di partecipazione e intro-duzione del principio di legalità e tutela dei diritti uma-ni, è stata la drammatica situazione economica e sociale che ha alimentato la protesta (degrado ed emarginazione sociale, povertà, disoccupazione, un insopportabile diva-rio economico fra le ristrette èlite politiche e finanziarie e la massa della popolazione indigente), quindi i governi

di questi paesi avevano adottato una serie di provvedi-menti tampone: abbassamento dei prezzi dei generi di prima necessità e – in un secondo momento – revoca dello stato di emergenza (Algeria), nomina di un nuovo esecutivo Giordania), incentivi economici alle famiglie (Bahrein). Inoltre le monarchie di Marocco e Giordania hanno deciso di “orientare” un processo di riforma che

potrebbe, se non supportato nell’-ambito di istituzio-ni trasnazionali condivise, deter-minare solo cam-biamenti di faccia-ta. In particolare il re del Marocco Mohammed VI ha promulgato una nuova costituzio-ne, approvata da un referendum popolare il 1° lu-glio, che però con-

tinua ad attribuire al solo sovrano i principali poteri. A partire dalla seconda metà di marzo, la Siria è stata ed è tutt’ora interessata dalle proteste scoppiate nel sud del paese. La rivolta siriana ha, tra l’altro, attirato l’attenzio-ne regionale ed internazionale per la brutalità della rea-zione delle forze di sicurezza fedeli al regime. Occorre considerare, se pur brevemente, che la Siria è al centro degli equilibri regionali e dei conflitti che affliggono il Medio Oriente, dalla questione palestinese a quella ira-chena, all’eterna crisi libanese. La Siria è, per certi versi, l’ago della bilancia fra le tre potenze non arabe che do-minano la regione: Israele, Turchia e Iran. Se il regime dovesse crollare, o se il paese dovesse scivolare in una guerra civile, le ripercussioni a livello regionale potreb-bero essere imprevedibili, in primo luogo in Libano, ma anche in Palestina, in Iraq, e nella stessa Giordania. Invece la vecchia è sempre più “pachidermide” Europa e gli Stati Uniti, coinvolti in una crisi interna di vaste pro-porzioni, si sono limitati a guardare, forse “sconcertati”, l’evoluzione degli eventi e, dopo aver, in un primo mo-mento, illusoriamente confidato nella stabilità dei regimi (tunisino ed egiziano), accordando loro il proprio appog-gio ed esortando i manifestanti alla “moderazione”, si sono viste costrette a cambiar strategia affermando di voler “sostenere la democrazia” richiesta a gran voce da numerosi giovani attivisti arabi, esortando i loro ancor solidi vecchi regimi a favorire la transizione. A tutto ciò si aggiunge la guerra in Libia la cui conclu-

DOPO DOPO DOPO LALALA PRIMAVERA PRIMAVERA PRIMAVERA EEE LALALA TESATESATESA ESTATE ARABA ESTATE ARABA ESTATE ARABA COMECOMECOME SARÀSARÀSARÀ L’AUTUNNOL’AUTUNNOL’AUTUNNO??? Riflessioni sul Mediterraneo, un possibile ruolo per Venezia! 

di Roberto Russo - Fispmed Onlus

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sione con la caduta di Gheddafi non appare imminente. Il futuro della Libia rimane aperto a numerosi scenari, la gran parte dei quali sono poco allettanti per il popolo libico e per l’intera regione: una guerra civile di caratte-re tribale, un nuovo regime militare, la partizione del paese, o una lunga transizione che lo lascerebbe in un limbo prolungato. Sul fronte del Golfo, infine, la Monar-chia Saudita, dovendo affrontare “l’accerchiamento” dei suoi confini interessati dalla rivolta in Yemen, dalla fra-gile situazione nell’Oman, dalla sollevazione popolare in Bahrein, e dalle proteste in Giordania, ha deciso di mettere in atto un articolata azione politico-finanziaria: in patria ha stanziato decine di miliardi di dollari offren-do al “dissenso interno” una serie di incentivi economi-ci; nella regione, invece, ha promosso l’intervento mili-tare in Bahrein;ha favorito lo stanziamento di 20 miliar-di di dollari da parte del Consiglio dei Paesi del Golfo (GCC) a sostegno di Bahrein e Oman; ha assunto un ruolo guida negli sforzi di mediazione nello Yemen; ha stanziato 4 miliardi di dollari a favore dell’Egitto. Inol-tre I Sauditi hanno convinto i Paesi del GCC ad invitare all’adesione le Monarchie di Marocco e Giordania, sep-pur paesi che non si affacciano nel Golfo e con situazio-ni molto diverse dagli attuali membri del Consiglio. Questo per creare un club dei paesi a maggioranza Sun-nita slegato dai sommovimenti popolari degli altri Paesi Arabi. Date le premesse e lo scenario qui descritto serve una decisa azione internazionale che possa rilanciare concretamente l’unico luogo paritario e trasnazionale che ci si è “inventati” negli ultimi anni, quell’Unione per il Mediterraneo, nata ma non ancora “cresciuta”, rafforzandone l’impostazione federalista e coinvolgendo solo quei Paesi che, progressivamente, accetteranno di adottare alcune trasformazioni alla propria Governance interna con processi di coinvolgimento democratico dei propri cittadini. Anche perché le masse popolari, che hanno fatto la loro irruzione sulla scena politica dopo decenni di assenza, difficilmente abdicheranno alla vo-lontà di far sentire la propria voce o si asterranno dalla partecipazione politica nel prossimo futuro. Occorre, inoltre, parallelamente con questo processo ri-costitutivo dell’Unione per il Mediterraneo, sostenere un confronto tra le società civili, i governi della sponda nord e sud del Mediterraneo e del Mar Nero, le istituzioni Parlamentari internazionali quali: l’attuale Segretariato dell’Unione del Mediterraneo, l’Assemblea Parlamentare per l’Unio-ne per il Mediterraneo, il Parlamento del Mediterraneo, l’Assemblea Parlamentare del Mar Nero, scegliendo un tema che per sue specifiche intrinseche può favorire il dialogo essendo naturalmente trasnazionale, aconfessio-nale e fuori da confronti/scontri legati alle specifiche identità culturali. Gli intrecci tematici proposti dal con-

fronto tra le necessità di sviluppo economico sostenibile, tutela e valorizzazione ambientale e lotta alla povertà ci paiono essere l’argomento su cui concentrare questo comune lavoro di partenariato. La diffusa consapevolez-za che la terra è un bene di tutti potrebbe, infatti, favori-re proprio lo stare assieme, il sedersi attorno ad un tavo-lo per promuovere politiche condivise di tutela delle risorse naturali e di sviluppo economico. La città di Ve-nezia che incardina mirabilmente, nella sua storia ultra secolare, da u lato la capacità mai più espressa altrove (dopo la caduta della Repubblica Serenissima), di essere una porta, pragmatica, concreta ed efficace tra Oriente ed Occidente, dall’altro l’abilità delle sue istituzioni di Governo e delle sue maestranze nell’aver saputo gestire la mirabile sfida dell’equilibrio tra natura e uomini, con-tinuamente da riconquistare con una politica severa e lungimirante di conservazione degli equilibri naturali, può giocare un ruolo centrale e contribuire a rafforzare la pacificazione dell’area. Venezia può esprimere nuo-vamente, attualizzandola, questa sua capacità di protago-nismo tra Oriente e Occidente e, assieme alla Regione Veneto potrebbe dar vita ad un processo di rilancio del suo ruolo, sia nel campo dei diritti umani che in quello della pace e del partenariato economico costruito attorno ai saperi accumulati nel governo dell’Ambiente a van-taggio anche del sistema di piccole e medie imprese re-gionali. L’antica caserma della Repubblica Serenissima, la “Caserma da Mar” meglio conosciuta come Caserma Pepe, localizzata nell’”isola d’oro” del Lido di Venezia e abbandonata da tempo, potrebbe essere il sito ideale per poter ospitare alcune di queste attività, la “Porta tra Oriente e Occidente”. L’ex Caserma Pepe, quindi, po-trebbe essere la prima caserma al mondo a cambiare la sua destinazione originaria: da luogo destinato per scopi

militari a luogo di pace e dialo-go. Questo ampio stori-co edificio, una volta recuperato, potrebbe divenire la

sede ideale di un ufficio speciale dell’Unione per il Me-diterraneo, dedicato a rafforzare la società civile dei Pa-esi di quest’area. Potrebbe altresì ospitare: una sede del-l’Università dei Mestieri Tradizionali del Mediterraneo promossa dalle Nazioni Unite, il Centro dei Diritti Uma-ni promosso dall’Università di Padova e il master del-l’Università Internazionale del Principato di Monaco dedicato alla “pace sostenibile attraverso lo sport”.

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E ’ di pochi giorni fa la creazione in Italia di un network per la difesa delle tarta-rughe marine. La lodevole iniziativa è

giunta a conclusione dell’Accordo di program-ma, promosso dalla Regione Marche, per favo-rire azioni di salva-guardia delle tar-tarughe marine nei nostri mari, e soprattutto in A-driatico, dove questi rettili sono a rischio di estin-zione a causa del-l’elevato grado di inquinamento del-le acque, della progressiva distru-zione delle spiag-ge sulle quali an-nualmente depongono le loro uova e di eventi accidentali come la cattura involontaria nelle reti da pesca o il ferimento, e spesso la mutila-zione e la morte, per effetto delle eliche dei mezzi navali. L’Accordo, che prevede anche l’at-tivazione del Servizio “Emergenza tartarughe: 1515”, è stato firmato da numerose istituzioni pubbliche e organismi privati quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che proprio nelle Marche ha una delle sue Unità Operative (la Sezione dell’Istituto di Scienze Marine con sede ad Ancona), i Servizi “Ambiente e paesaggio”, “Agricoltura, forestazione e pesca” e “Salute” della Regione, le Aree Marine Protette “Parco naturale Monte San Paolo”, “Parco del Conero” e “Riserva naturale della Sentina”, la Fondazio-

ne Cetacea di Riccione, nata per la difesa dei mammiferi marini e lo studio del loro ambien-te, il Corpo forestale dello Stato, la Direzione marittima regionale e l’ARPAM (Agenzia Regio-nale per la Protezione Ambientale delle Mar-

che). Con l’atti-vazione del nu-mero telefonico 1515 chiunque avvisti un esem-plare di tartaru-ga in difficoltà può contare su una struttura estremamente competente ed efficiente dedi-cata alla cura di questi animali che rivestono

un’importanza fondamentale per l’intero ecosi-stema marino. Le tartarughe, infatti, dal punto di vista scientifico, rappresentano un eccellente indicatore biologico, perché la loro presenza, la quantità e la qualità delle loro popolazioni ri-specchiano lo stato di salute dei mari che esse frequentano. E’ davvero una buona notizia quella dell’articolata rete di tutela fortemente voluta dalla Regione Marche. La sua realizzazio-ne permette all’Italia di essere inserita nel con-sesso delle nazioni più civili e ad elevata sensi-bilità ambientale, rispondendo, inoltre, alla ne-cessità di attuare approfondite campagne di sensibilizzazione sull’unica specie di tartaruga marina presente nel Mare Adriatico: la Caretta Caretta.

di Mario Apice

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NEWS DAL MEDITERRANEO NEWS DAL MEDITERRANEO NEWS DAL MEDITERRANEO

Un Esecutivo più “verde ed ecosostenibile” per spro-nare il Paese ad adottare adeguati comportamenti ecologici. Questo l’obiettivo prefissato dal Ministero dell’Ambiente dello Stato d’Israele. Uno scopo che è divenuto già buona prassi negli ulti-mi anni e che risponde a un più ampio pacchetto di norme approvato nel 2009, denominato “Green Go-vernment” - efficienza ambientale dei ministeri del Governo. Il progetto prevede che il Governo serva da buon esempio alla cittadinanza in merito ad azioni

ecosostenibili, e pertanto si è autoimposto di ridurre il più possibile gli sprechi. Le prassi sono: usare con molta moderazione acqua, energia elettrica, carta e imballaggi e au-mentare l’uso di materiali da riciclaggio. Contemporaneamente, dal punto di vista legisla-tivo, i ministri si impegnano a promuovere leggi volte a destinare fondi pubblici per la salvaguardia dell’ambiente e la promozione di prodotti ecologici. Il Ministro dell’Ambiente israeliano, Gilad Erdan, fa sapere che "Per una volta il governo funge da esempio al pub-blico e si assume la responsabilità di attuare, nei suoi stessi uffici, le misure che chiede alla cittadinanza, adottando anche piccole ma significative modifiche nei comportamenti quotidiani, per dimostrare che è possibile risparmiare energia e denaro pubblico".

ISRAELE; ESEMPIO DI GOVERNO “VERDE”

ALGERIA: PROGETTO UE RIPRISTINA ANTICO SISTEMA IDRAULICO

Si chiama Montada il progetto UE impegnato a ripristi-nare il canale “Terja N'Bouchemjene”, nel palmeto della citta' algerina di Ghardaia. L'iniziativa del progetto ha l'obiettivo di conservare il sistema idraulico tradizionale nella Valle di M'zab. Secondo il sito web di Enpi (www.enpi-info.eu), i lavori hanno coinvolto architetti specializzati in monumenti storici, per il restauro del ca-nale e delle sue ramificazioni dopo i danni subiti dalle inondazioni nel 2008. Al di là della protezione del pal-

meto dalle inondazioni, lo scopo dell'iniziativa è sia quello di preservare l'ecosistema del-la zona e la rigenerazione delle vecchie piante, sia di far conoscere alla popolazione l'im-portanza del proprio patrimonio storico. Il progetto Montada viene finanziato dall'Ue nel-l'ambito del programma Euromed Heritage IV con un budget di 1,8 milioni di euro per un periodo di tre anni e viene realizzato in Algeria, Marocco e Tunisia.

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CURIOSITA’ E NEWS LIBERAMBIENTECURIOSITA’ E NEWS LIBERAMBIENTECURIOSITA’ E NEWS LIBERAMBIENTE

I pannelli foto-voltaici hanno due problemi

principali: un'effi-cienza ancora mol-to bassa, che rende l'energia prodotta poco conveniente, e la difficoltà a im-magazzinare l'elet-tricità. Un ingegne-re statunitense del-la Duke University, nel North Carolina, ha creato un siste-ma di pannelli sola-

ri che sono capaci di trasformare una miscela di acqua e me-tanolo in idrogeno, da utilizzare subito grazie a una cella a combustibile, o da immagazzinare in un serbatoio per poi rifornire la fuel cell quando è necessario, di notte o d'inverno, per esempio. Il professor Nico Hotz, che insegna ingegneria meccanica e scienza dei materiali alla Duke University, ma che ha cominciato questo studio durante il dottorato a Berke-ley, in California, ha presentato la sua invenzione al meeting annuale dedicato alle energie rinnovabili della Asme, la Ame-rican Association of Mechanical Engineering, dove è stata giudicata la più interessante. Il progetto di Hotz promette di produrre energia in modo del tutto ecologico e funziona così. Acqua e metanolo, che è un alcol molto semplice e a buon mercato, vengono mescolati con nanoparticelle di un cataliz-zatore in una serpentina di tubi di rame avvolti da sottili fogli di alluminio e ossido di alluminio e tenuti sottovuoto all'inter-no di un pannello che assomiglia molto a quelli del solare termico, cioè quello che serve per la produzione di acqua calda. In questo modo la miscela, sotto i raggi del sole, può arrivare a oltre 200 °C. Quando la temperatura è così eleva-ta, una seconda reazione catalitica è in grado facilmente di produrre idrogeno, elemento presente sia nell'acqua sia nel metanolo. L'efficienza calcolata da Hotz è da 5 a 10 volte superiore rispetto agli altri sistemi, come il fotovoltaico tradi-zionale, anche se è ovviamente molto più alta d'estate rispet-to all'inverno. E' presto per dire se il sistema possa essere davvero competitivo dal punto di vista economico, anche se appare in grado di risolvere parecchi problemi. Hotz ha sti-mato che l'installazione di un impianto costerebbe meno di 8.000 dollari e che a regime, durante l'estate, il suo sistema risulta già più conveniente di un generatore a diesel. Un pro-totipo definitivo è già in costruzione.

Un pannello solare che estrae idrogeno dall'acqua Il Sole 24ore - di Paolo Magliocco

ZeroEmission Rome 2011: nel fotovoltaico 31 mila posti di lavoro e 2 mld di investimenti Redazione Greeencity

T rentunomila posti di la-voro nell'in-

dustria dei pannelli solari in Italianei prossimi due o tre anni. Questa la stima di Alberto Giovanetti, segre-tario generale del C o m i t a t o I f i (Industrie fotovol-taiche italiane) che ha presentato la situazione del set-tore nel corso di un

convegno a ZeroEmission Rome 2011. Per la filiera industriale del settore serviranno quasi 2 miliardi di Euro di investimenti che possono portare a 6.200 posti di lavoro diretti ealtri 24.800 nell'indotto. Questo se i trend di crescita della richiesta di energia solare saranno confermati. Giovanetti ha illustrato lo scenario sottolineando che a fronte di un mercato europeo che ha assorbito una capacità produt-tiva di 14,3 GW, le industrie europee sono state in grado di produrre solo 2,6 GW, nonostante il potenziale produttivo sia di 7,5 GW. E questo perché il mercato europeo ha assorbito una gran parte della produzione cinese, stimata in una quota dell' 82%. Per Giovanetti si tratta di "un suicidio industriale e commer-ciale che non è dovuto né alla qualità né alla capacità degli imprenditori europei di gestire le loro aziende in modo effi-ciente, ma da una politica aggressiva di incentivazione all'e-xport da parte della Cina". Giovanetti ha quindi chiesto politiche rigorose di incentivazio-ne anche per la produzione italiana e europea: "Lo scorso agosto il decreto ha previsto un incentivo del 10% nel IV con-to energia per la produzione europea, ma le regole sono già state aggirate. E' necessario un controllo rigoroso per evitare che si aggiunga al danno anche la beffa di chi riesce a otte-nere la maggiore incentivazione attraverso certificazioni non codificate, favorendo di nuovo la concorrenza cinese". L'Italia è attualmente il terzo paese europeo per capacità produttiva con una quota del 12,9% dietro alla Germania che copre da sola il 43,4% e la Spagna con il 17,3%”.

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Che cos’è LIBERAMBIENTEChe cos’è LIBERAMBIENTEChe cos’è LIBERAMBIENTE

“LIBER’AMBIENTE” è un’associa-zione politico/culturale/ambientale che nasce per in-terpretare e dare voce a tutti quei moderati che sono interessati ad affermare, nel Paese, una nuova ecolo-gia umanista, una nuova cultura ambientale che guar-di all’Uomo con più ottimismo. Un Uomo che non è maledizione ma benedizione del pianeta, un Uomo che è ricchezza e non impoverimen-to del mondo. Un Uomo che ha l’esaltante missione di rendere compatibile lo sviluppo economico e il pro-gresso umano con l’ambiente, la natura, gli animali, la vita su questa terra. La globalizzazione dei processi economici, sociali, culturali, religiosi, etici e politici ci pone tutti di fronte a nuove sfide e difficoltà e, come ogni cambiamento, ci offre dei rischi ma anche delle opportunità. Nel settore ambientale si può razionalmente intrave-dere la possibilità di un concreto governo dell’am-biente che sappia dare risposte efficienti al degrado ecologico di importanti aree del nostro pianeta; rispo-ste efficienti a fenomeni come la desertificazione, l’ef-fetto serra, la scarsità delle risorse idriche che coin-volgono tutta l’umanità. Noi siamo pronti ad accettare questa sfida lottando contro le culture catastrofiste e nichiliste che sono alla base dell’ideologia ambienta-lista dominante che ha teso a privilegiare o gli aspetti contemplativi e conservativi dell’Uomo sull’ambiente o a ricercare un’egemonia politica dei problemi, indi-rizzando la questione ambientale in un solco di prote-sta prima anti-capitalista e poi semplicemente anti-sistema. In antitesi ad una cultura di sostanziale conservazio-ne, di negazione di ogni ragionamento attorno allo sviluppo dell’ambiente e del vero rapporto tra Uomo e Natura, noi di Liber’ambiente, siamo per una cultura di sviluppo dell’ambiente in un continuo confronto tra esigenze della Natura ed esigenze dell’Uomo. Siamo per porre i problemi ma anche per limitarli e risolver-

li. L’associazione Liber’ambiente ha come scopo prio-ritario quello di riunire tutte le realtà associative e tutti quelli che nella società civile, a diverso titolo, si sono impegnati e s’impegnano per una più avanzata cultura ambientale, avvalendoci della collaborazione di un importante Comitato Scientifico che sarà il vero valore dell’iniziativa che si adopererà per fronteggia-re la cultura ambientale dominante. Siamo contro i catastrofismi a buon mercato e la no-stra attenzione è rivolta a tutti gli studi dei fenomeni naturali e artificiali, prodotti dalle attività umane. Siamo per non trasformare le tendenze verificabili, in destini fatali. Siamo per non attribuire, ai pareri di tutti quelli che studiano o parlano di ecologia e am-biente, la patente di scientificità obiettiva, perché la scienza è studio e confronto continuo e non dogma a piacimento. Nel concreto vogliamo approfondire tutti i temi oggi posti dal rapporto Uomo-Ambiente per cer-care di trovare sempre la migliore soluzione per la vita di questa terra. Questa impostazione del rapporto Uomo-Ambiente sarà sempre più fattore di sviluppo delle nostre civil-tà: sarà fonte di nuove attività umane, tese alla ricer-ca del benessere dell’umanità intera, sarà strumento di comprensione dei limiti dello sviluppo e del suo controllo affinché esso sia sempre al servizio dell’Uo-mo e non viceversa. “LIBER’AMBIENTE” sarà un laboratorio di proposte e di dibattito tra le varie esperienze. Si occuperà di formazione sui temi ambientali più scottanti per uni-formare i comportamenti degli amministratori del cen-tro-destra sul territorio. Le sfide e gli interrogativi in campo ambientale richie-dono un ampio e approfondito dibattito al quale inten-diamo dare il nostro contributo con impegno e con la forza delle idee.