Newsletter Liberambiente Aprile 2011

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Numero 6 Numero 6 Numero 6 Aprile 2011 Aprile 2011 Aprile 2011 NEWS DAL MEDITERRANEO NEWS DAL MEDITERRANEO NEWS DAL MEDITERRANEO CURIOSITA’ e NEWS LIBERAMBIENTE CURIOSITA’ e NEWS LIBERAMBIENTE CURIOSITA’ e NEWS LIBERAMBIENTE LA BUONA NOTIZIA LA BUONA NOTIZIA LA BUONA NOTIZIA

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Newsletter di Liberambiente Aprile 2011

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Numero 6Numero 6Numero 6 Aprile 2011 Aprile 2011 Aprile 2011

NEWS DAL MEDITERRANEONEWS DAL MEDITERRANEONEWS DAL MEDITERRANEO CURIOSITA’ e NEWS LIBERAMBIENTECURIOSITA’ e NEWS LIBERAMBIENTECURIOSITA’ e NEWS LIBERAMBIENTE

LA BUONA NOTIZIALA BUONA NOTIZIALA BUONA NOTIZIA

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FUKUSHIMA: I MEDIA SCONFIGGONO IL NUCLEARE di Giovanni Calabresi

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Newsletter n.6 Aprile 2011 SOMMARIOSOMMARIOSOMMARIO

Presidente Liberambiente Presidente Liberambiente

Roberto TortoliRoberto Tortoli

Direttore Responsabile Direttore Responsabile

Antonio GaspariAntonio Gaspari

Vice Direttore Responsabile Vice Direttore Responsabile

Giorgio StracquadanioGiorgio Stracquadanio

Marcello InghilesiMarcello Inghilesi

Direttore Editoriale Direttore Editoriale

Fernando FracassiFernando Fracassi

Segreteria di RedazioneSegreteria di Redazione

Stefania ZoppoStefania Zoppo

Hanno collaboratoHanno collaborato

Giorgio ArientiGiorgio Arienti

Danilo BonatoDanilo Bonato

Davide GiancaleoneDavide Giancaleone

Giovanni CalabresiGiovanni Calabresi

Giorgio PrinziGiorgio Prinzi

Mario ApiceMario Apice

Fispmed OnlusFispmed Onlus

I RAEE: UNA SFIDA DA VINCERE FACENDO SISTEMA di Giorgio Arienti

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Pagina 2 Informazione, Ecologia, Libertà - Newsletter n. 6 — Aprile 2011

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TELEFONI CELLULARI: IL PROBLEMA DEL FINE VITA di Danilo Bonato

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LA BUONA NOTIZIA di Mario Apice 11

CURIOSITA’ E NEWS Notizie Ambientali da tutto il Mondo 13

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NEWS DAL MEDITERRANEO a cura di Fispmed Onlus 12

L’ACQUA AI PRIVATI E’ L’UNICA VIA PER MIGLIORARE GLI ACQUEDOTTI di Davide Giancaleone

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NUCLEARE: L’ALTERNATIVA DEL TORIO di Giorgio Prinzi

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Pagina 3 Informazione, Ecologia, Libertà - Newsletter n. 6 — Aprile 2011

I I I RAEERAEERAEE: : : UNAUNAUNA SFIDASFIDASFIDA DADADA VINCEREVINCEREVINCERE FACENDOFACENDOFACENDO SISTEMASISTEMASISTEMA di Giorgio Arienti - ECODOM

A nche se i RAEE, Rifiuti da Apparecchiatu-re Elettriche ed Elettroniche, rappresentano solo il 3% dei rifiuti prodotti dai cittadini ita-liani, la loro corretta gestione costituisce un

importante banco di prova per il nostro futuro; e non solo perché questa tipologia di rifiuti ha il più alto tasso di crescita (conseguenza del vertiginoso au-mento del nostro consumo di tecno-logia), ma anche perché i RAEE sono allo stesso tempo un rischio (derivante dalla presenza di nume-rose sostanze in-quinanti) e un’op-portunità (grazie alle materie prime che essi contengo-no). La corretta gestione dei RAE-E è dunque una sfida alla coscien-za e responsabili-tà ambientale di aziende e consumatori. In questo scenario, la legge europea e italiana coinvolge in primo luogo i Produttori di Apparecchiature Elet-triche ed Elettroniche, attribuendo loro la responsabili-tà di organizzare e finanziare sistemi di gestione di que-sti rifiuti. L’onere spettante a ciascun produttore è pro-porzionale alla sua quota di mercato in ciascuno dei Raggruppamenti definiti dalla normativa (sono 5, dal “freddo” ai grandi bianchi, dalle TV ai piccoli elettrodo-mestici, fino alle sorgenti luminose). I produttori non sono però i soli attori di questa filiera, che vede la presenza di altri soggetti con precise respon-sabilità: • lo Stato, che deve assicurare il raggiungimento de-

gli obiettivi annui di raccolta stabiliti dalla Comuni-tà Europea (il primo dei quali – 4 kg per abitante – è stato superato dall’Italia solo nel 2010);

• gli enti locali e le società di igiene urbana, che devono effettuare, attraverso le isole ecologiche, la raccolta differenziata dei RAEE;

• la distribuzione, che collabora alla raccolta attra-verso il cosiddetto sistema del ritiro gratuito “uno

contro uno” (un RAEE per ogni acquisto di un pro-dotto equivalente);

• gli impianti di trattamento, che devono garantire il raggiungimento degli obiettivi di riciclo, il recupero dei materiali e il rispetto degli standard ambientali.

All’interno di un sistema che si basa su una re-sponsabilità con-divisa è presente anche una sana competizione tra i produttori, che si organizzano in Sistemi Collettivi (o consorzi) che, all’interno di re-gole comuni, o-perano libera-mente, differen-ziandosi per for-ma giuridica, ef-ficienza, modello operativo, tipolo-gia di RAEE ge-stiti, dimensioni ecc. Ecodom in questo quadro è il consorzio di di-

mensioni maggiori: formato dai principali produttori di grandi bianchi, rappresenta nei raggruppamenti R1 (frigoriferi, climatizzatori e scalda-acqua) e R2 (lavatrici, forni, cappe ecc.) una quota di mercato supe-riore al 65%; nel 2010 ha trattato 89.100 tonnellate di RAEE, pari a oltre il 36% del totale gestito sull’intero territorio nazionale da tutti i Sistemi Collettivi. Dagli elettrodomestici a fine vita trattati, Ecodom ha ricavato e riciclato: • 58.340 tonnellate di ferro, quantità con cui si po-

trebbero realizzare cerchioni per oltre un milione di automobili;

• 1.655 tonnellate di rame, equivalenti al materiale necessario per rivestire circa 60 Statue della Libertà come quella di New York;

• 2.876 tonnellate di alluminio, che consentirebbero la realizzazione di oltre 215 milioni di lattine;

• 7.500 tonnellate di plastica, peso corrispondente a quello di circa 150 milioni di bottiglie da 1,5 litri.

Grazie al processo di trattamento realizzato dagli im-pianti selezionati da Ecodom, si è evitata l’immissione in atmosfera di circa 1 milione e 800 mila tonnellate di

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anidride carbonica (CO2), una quantità equivalente a quella che verrebbe assorbita in un anno da un bosco grande quanto l’intera provincia di Ancona. Inoltre, uti-lizzare le materie prime (ferro, alluminio, rame e plasti-ca) ottenute dal riciclo di 89.100 tonnellate di RAEE comporta un risparmio energetico di circa 181 milioni di kWh rispetto a quanto occorrerebbe per ottenere le stesse quantità di materie prime “vergini”. Che cosa manca al sistema RAEE per crescere ancora ed arrivare ai livelli dei Paesi più virtuosi (che invece di 4 kg /abitante raccolgono ogni anno più di 15 kg)? Per prima cosa, è necessaria una maggiore consapevo-lezza da parte di ciascuno di noi; da una ricerca commis-sionata da Ecodom all’Istituto di ricerca Ipsos emerge infatti che: • il 21% dei cittadini italiani non sa cosa siano le iso-

le ecologiche e il 24% non ne ha mai utilizzata una; • i cittadini italiani non sanno cosa sono i RAEE: solo

il 14% li definisce in modo preciso, il 15% ne ha una conoscenza “discreta”, mentre il 71% non ne sa nulla;

• anche per quanto riguarda l’obbligo del ritiro gratui-to “uno contro uno” del RAEE, da parte del riven-ditore al momento dell’acquisto di una nuova appa-recchiatura equivalente, il livello di conoscenza è molto basso: solo il 17% degli italiani, infatti, sa che esiste questo obbligo, il 53% ne ignora l’esi-stenza, mentre il 30% ne sa qualcosa, senza però conoscerne i dettagli;

• il 58% dei grandi elettrodomestici dismessi dai con-sumatori non viene attualmente ritirato dai rivendi-tori;

• la percentuale di RAEE non ritirati dai rivenditori sale all’88% nel caso dei piccoli elettrodomestici: di questi, almeno il 17% viene buttato tra i rifiuti in-differenziati (con un alto rischio di smaltimento no-civo per l’ambiente), mentre il 51% resta nelle case dei consumatori (con probabili rischi ambientali fu-turi e spreco di materie riciclabili);

• anche per quanto riguarda le apparecchiature infor-matiche ed elettroniche, ben l’86% non viene ritira-to dai negozianti: il 67% di questi rifiuti rimane in casa inutilizzato, mentre il 9% viene gettato tra i rifiuti indifferenziati.

In secondo luogo, la raccolta dei RAEE potrà “decollare” solo se: • verrà attuata una effettiva semplificazione delle

norme, in particolare per quanto riguarda il ritiro “uno contro uno”; il decreto che lo istituisce co-stringe infatti i negozianti a numerosi adempimenti, limitando la possibilità di ritiro e sottoponendo an-

che il consumatore a procedure burocratiche in gra-do di scoraggiare anche i più virtuosi;

• verrà avviato il sistema dei controlli e data piena funzionalità al Registro dei Produttori e al Comitato di Vigilanza e Controllo; il relativo decreto, che ne deve disciplinare modalità e costi (a carico dei Pro-duttori di AEE) è atteso da ormai più di 5 (cinque !) anni;

• verrà completata la rete delle isole ecologiche, per rendere possibile e facile, e al contempo tracciato e controllato, il conferimento dei RAEE da parte dei cittadini.

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TELEFONI TELEFONI TELEFONI CELLULARICELLULARICELLULARI: : : ILILIL PROBLEMAPROBLEMAPROBLEMA DELDELDEL FINEFINEFINE VITAVITAVITA EEE DELLADELLADELLA GESTIONEGESTIONEGESTIONE DELDELDEL RIFIUTORIFIUTORIFIUTO di Danilo Bonato - Centro di Coordinamento RAEE

I n Italia si stima la disponibilità di un parco in-stallato di almeno 137 milioni di apparecchi tele-fonici tra cellulari e cordless. Le vendite annuali ammontano a circa 28 milioni di pezzi e possia-

mo ipotizzare che un numero di apparecchi pari al 50% di questi nuovi acquisti venga “dismesso” annualmente dal consumatore. Si tratta di 14 milioni di pezzi, per un peso complessivo di oltre 2.800 tonnellate, che potrebbero essere avviati al reimpiego e al recupero, come disposto dall’-art.1 del D.Lgs. 151/05. In realtà, sulla base di alcune analisi effettuate, il tasso di rac-colta separata per le suddette finalità non supera complessiva-mente il 13%. Su 14 milioni di apparecchi solo poco più di 1,8 milioni vengono dunque avviati al reimpiego o ad una qualche forma di trattamento. La quanti-tà intercettata dai Sistemi Col-lettivi dei produttori è ancora più ridotta, attestandosi intorno al 3%. Da un punto di vista economico si tratta di un danno notevole, considerando che il 90% delle materie di cui sono costi-tuiti i telefoni cellulari è di fatto recuperabile. In una tonnellata di prodotti a fine vita si possono ricavare 130 chili di rame, 3 chili di argento, 350 grammi d’oro e 140 grammi di palladio. Il D.Lgs. 151/05 ed il riciclo dei telefonini La normativa sui rifiuti elettronici stabilisce misure e procedure finalizzate, tra l’altro, a promuovere il reim-piego, il riciclaggio e le forme di recupero dei RAEE (tra cui i telefoni mobili a fine vita). Il sistema di gestio-ne dei RAEE Domestici, operativo dallo scorso 1 Gen-naio 2008, si basa su una rete di raccolta dei RAEE co-stituita dalle piazzole ecologiche realizzate dai Comuni. I Sistemi Collettivi finanziati dai Produttori, in modo proporzionale alla propria quota di “immesso sul merca-to”, hanno il compito di servire tali Centri di Raccolta, ritirando i RAEE conferiti dal consumatore per poi tra-sportarli ad impianti di trattamento autorizzati. Le evi-denze operative dimostrano come tale sistema sia per sua natura scarsamente efficace per quanto concerne la raccolta di piccoli dispositivi elettronici, in particolare telefoni cellulari e cordless. I cittadini trovano decisa-mente poco pratico recarsi in un’isola ecologica per con-

segnare, introducendolo in un grosso contenitore utiliz-zato per i piccoli elettrodomestici e l’elettronica di con-sumo, il proprio cellulare. I Sistemi di raccolta “privati” L’alternativa al “sistema ufficiale” di gestione degli ap-parecchi a fine vita è la raccolta effettuata da aziende,

associazioni ed operatori com-merciali presso i propri punti di vendita o presso altre luoghi di traffico (municipi, uffici postali, ecc.). Si tratta di mo-dalità operative già in vigore da anni, sviluppatesi in assen-za di una normativa nazionale sui RAEE e caratterizzate da una forte disomogeneità. Ad iniziative istituzionali ispirate a programmi di corporate so-cial responsibility si affianca-no operazioni commerciali di “rottamazione” finalizzate ad incrementare le vendite. La copertura di questi sistemi di raccolta è molto ridotta (ciascuno di essi è operativo in un numero limitato di punti di consegna) e l’effettiva destina-

zione dei prodotti fine vita non sempre caratterizzata da trasparenza e certezza del trattamento. Le iniziative, al-cune delle quali apprezzabili, di associazioni e privati costituiscono quindi una risposta parziale agli obiettivi della Direttiva Europea 96/02. La situazione odierna è dunque caratterizzata dalla coe-sistenza di un “sistema ufficiale” per la gestione dei tele-fonini a fine vita scarsamente efficace (quello istituito dal D.Lgs. 151/05) e di diversi “sistemi privati” parziali e di natura prevalentemente commerciale. Tale situazio-ne non favorisce l’incremento della raccolta separata di questa tipologia di prodotti. Il ritiro “uno contro uno” L’obbligo di ritiro gratuito con modalità “uno contro uno” a carico dei negozianti, in vigore dal 18 Giugno 2010, avrebbe dovuto favorire l’incremento delle quanti-tà di telefoni cellulari e cordless raccolti ma così non è stato. La causa di ciò è da ricercare nella eccessiva buro-crazia e dai vincoli organizzativi introdotti dal DM 65-/10. Una vera ed efficace semplificazione, così come avviene per altro negli altri paesi europei, consentirebbe di incrementare la raccolta registrata dai sistemi colletti-vi dall’attuale 3% ad almeno il 15%.

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L’ACQUA L’ACQUA L’ACQUA AIAIAI PRIVATIPRIVATIPRIVATI E’E’E’ L’UNICAL’UNICAL’UNICA VIAVIAVIA PERPERPER MIGLIORA-MIGLIORA-MIGLIORA-RERERE GLIGLIGLI ACQUEDOTTIACQUEDOTTIACQUEDOTTI di Davide Giancaleone – da quotidiano Libero

N on so quale sia la mente (perversa) che in-venta le giornate mondiali di questo o di quello, so che alloggia all’Onu e ha troppo tempo libero. Proclamando la giornata mon-

diale dell’acqua non ha spostato il problema di un solo bicchiere, ma ha rammentato a noi italiani che se ne pre-parano di cattive: ci co-stano troppo, le spre-chiamo e si rischia di non cambiare nulla, gra-zie all’imbroglio di due referendum. Il colpaccio è già riuscito, perché i mezzi di comunicazione continuano a parlare di referendum contro la “privatizzazione dell’ac-qua”, che, però, non c’è mai stata e non è previ-sta. L’acqua è un bene vitale e collettivo. Dire che appartiene a tutti significa non conoscere né la storia né il codice civile, oltre a non avere mai vis-suto in campagna. Di sicuro, comunque, è un bene pre-zioso e comune, oltre che non illimitato. Tutte buone ragioni per non sprecarlo. Oggi lo si spreca, e i referen-dum che sono stati promossi servono a conservare lo spreco tale e quale, senza cambiare niente. Ripeto il con-cetto, affinché non ci siano equivoci: i referendum non servono per cambiare, ma per conservare la situazione attuale che, in media, disperde la metà dell’acqua nel percorso dalla fonte al rubinetto. Un colabrodo costoso ed ecologicamente criminale. E’ vero che le tariffe at-tuali sono basse, al punto da divenire un incentivo allo spreco, o, quanto meno, all’uso irrazionale dell’acqua, ma è anche vero che i cittadini pagano le società pubbli-che sia con le tariffe, quindi con la bolletta, sia con la fiscalità generale, quindi pagando le tasse. A conti fatti ciascuno di noi paga l’acqua assai più di quel che sem-bra, ma i nostri soldi non servono a rifare gli acquedotti. Ecco, questa è la bella roba che s’intende difendere. Pre-occupa la viltà politica, perfettamente trasversale. I refe-rendum sono stati promossi sia contro una legge appro-vata nel 2006, da una maggioranza di centro sinistra, laddove prevede che il capitale investito debba essere remunerato (il che dovrebbe essere ovvio), sia contro la più recente legge che recepisce una direttiva europea e perfeziona il quadro della gestione privatistica. Gestio-ne, non proprietà, quindi senza alcuna privatizzazione. Inoltre è bene sottolineare che il contenuto di quella (giusta) direttiva si trovava anche in un disegno di legge

proposto, nella scorsa legislatura, da Linda Lanzillotta, già ministro nei governi di sinistra. Ci sono le condizio-ni, pertanto, affinché sia da destra che da sinistra si levi-no voci di ragionevole e forte dissenso, contro l’avven-tura referendaria. Invece quasi tutto tace, come se difen-dere le cose giuste e ragionevoli sia considerato un az-

zardo impopolare. Ser-vono investimenti rile-vanti (nell’ordine dei 60 miliardi) per rendere decenti i nostri acque-dotti, e chiamare i priva-ti alla gestione dei servi-zi pubblici, pur mante-nendo pubblica la pro-prietà dei beni (in questo caso dell’acqua), è una condotta virtuosa e pro-mettente, che andrebbe notevolmente allargata. Invece viene avversata da chi vede nel mercato e nel profitto dei nemici

dell’umanità, senza che nessuno chieda loro se la buro-crazia pubblica e i denari dei cittadini gestiti da consigli d’amministrazione colmi di personale politico, spesso elettoralmente trombato, siano da considerarsi benefatto-ri. E’ proprio la logica del profitto a portare salvezza. Si teme, però, l’aumento delle tariffe. Ma quelle resteranno amministrate, e, del resto, sono oggi assai basse (salvo compensarle, come prima ricordato, con spesa pubblica d’altra natura). Quindi è bene che aumentino, ma in mo-do che la loro struttura non penalizzi l’uso necessario e pesi più che proporzionalmente su quello dissennato, modello: doccia aperta dieci minuti prima di entrarci o macchina lavata sotto le Non è difficile: fino ad un certo numero di litri tariffa bassa, che cresce al consumo con progressività più che lineare cascate del Niagara. Avvie-ne già con l’energia elettrica. Invece di combattere con-tro il modello dell’affidamento ai privati, si deve stare bene attenti a due punti determinanti: a) la natura, la composizione e i poteri del regolatore pubblico; b) gli obblighi, e i controlli, cui sarà sottoposto il gestore. Per-ché il vero punto è tutto lì: è normale e giusto che inve-stitori privati cerchino il proprio profitto, ma solo in cambio di un ancor più consistente profitto collettivo, che si sostanzia in investimenti nelle infrastrutture, sia di trasporto che di depurazione, quindi in una migliore qualità del servizio. In modo da passare dalla politica della spartizione alla cultura dello sviluppo. Un Paese che scappa dal nucleare che non ha e si sottrae al merca-to dei beni limitati è un Paese in fuga dalla razionalità.

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FUKUSHIMA: I FUKUSHIMA: I FUKUSHIMA: I MEDIAMEDIAMEDIA SCONFIGGONOSCONFIGGONOSCONFIGGONO ILILIL NUCLEARENUCLEARENUCLEARE di Giovanni Calabresi

L o sviluppo delle reti di comunicazione, con la forte affermazione della telefonia mobile e di internet, della tecnologia satellitare al servizio dell’utente privato, della globalizzazione dei

commerci e della libera circolazione delle persone fanno parlare, a buon diritto di era post-moderna, caratterizzata dal “qui e ora” sotto il profilo spazio-temporale. In prati-ca, sta rapidamente cambiando il concetto di distanza, non più riassumibile in termini spaziali o temporali, ma defini-bile come differenza nel livello quantitati-vo e qualitativo delle conoscenze e del pos-sesso di informazioni da parte dei diversi individui e gruppi. E’ consequenziale quan-to sia importante la qualità dell’informa-zione, sotto il profilo dell’oggettività. Tutto questo possiede indubbi vantaggi, ma nasconde un ri-schio che, per amor del vero, era già stato avvertito da Platone, il quale si era posto un quesito: la rappresenta-zione, così come la trasmissione della realtà, sono esse stesse realtà oggettive? In poche parole, così come il filosofo aveva intuito, la rappresentazione e la riproduzione della realtà possono portare alla relativizzazione della medesima e alla sua semplificazione e banalizzazione, o semplicemente alla distorsione. Come conseguenza si hanno le generalizza-zioni e la formazione - come si direbbe in termini di co-municazione e di teoria legate alla programmazione neu-rolinguistica - di “equivalenze complesse”, distorcenti la verità oggettiva, laddove, con questa espressione, si in-tende il dato tecnico/scientifico verificato empiricamen-te e, quindi, come tale, potenzialmente ripetibile. E’ il caso della comunicazione mediatica di questi tempi, re-lativa all’incidente nucleare di Fukushima che ha propa-gato panico a livello internazionale. Il terremoto giappo-nese e lo tsunami hanno creato un danno difficilmente arginabile alle centrali giapponesi e subito è sorta, o me-glio, si è rafforzata in modo decisivo, l’equazione “complessa” per la quale nucleare uguale catastrofe. Complice di questo fenomeno, la comunicazione, da parte delle Istituzioni giapponesi, inizialmente scarsa e ambigua. Poco importa ai fini dell’effetto sortito sul pubblico che si tratti di centrali costruite quarant’anni fa e progettate ancora prima; poco importa che, nonostante la catastrofe ambientale, della quale ancora non si cono-

sce la reale portata, le strutture abbiano sostanzialmente retto; poco importa, infine che il nuovo nucleare – quel-lo di terza generazione avanzata (III +) - sia lontano anni luce da quello giapponese di prima e seconda gene-razione, protagonista degli incidenti di questi giorni . Il nucleare va fermato a livello internazionale e la “post-modernità mediatica” ha vinto sul progresso tecnologico generale. Il terrore ha corso su internet, in tempo reale in

Tv, alla radio, via I-phone e la comuni-cazione ha affermato le sue verità e le sue distorsioni. Perciò, la scarsa capacità di indirizzo della poli-tica internazionale ed una tendenza to-talmente adattativa da parte dei policy maker hanno lascia-to alla comunicazio-ne generalista ed alle tecnologie a suo

supporto, mano libera contro la verità scientifica. Un vero paradosso, per il quale il progresso diviene stru-mento di annientamento di sé stesso. La comunicazione vince sul nucleare di terza generazione avanzata; il cel-lulare e l’iphone sconfiggono la necessità di ottenere energia pulita e a basso costo e di sostituire progressiva-mente le fonti energetiche tradizionali, ormai in via di esaurimento. Si può parlare della nostra, come di un’era scientifica e tecnologica, dal momento che il terrore me-diatico riesce a bloccare il progresso? Il risultato italiano degli eventi catastrofici di Fukushima è riassumibile nel blocco della strategia energetica na-zionale - almeno per un anno - e lo stesso dicasi per la Germania di Angela Merkel, in cui la tragedia mediati-ca – e non si sa quanto effettiva – ha fatto raddoppiare i consensi per il partito dei Gruene, i Verdi tedeschi, con-trari a prescindere al nucleare, anche prima degli accadi-menti giapponesi. Questo detto, nessuno vuol negare la necessità della prudenza sul cammino della produzione di energia da fonte nucleare, alla luce di quanto accadu-to, ma non vi è stata una sola voce che abbia neppure tentato di spiegare adeguatamente ed in modo mediati-camente incisivo, la differenza tra le diverse tipologie di impianti, di prima, seconda e terza generazione e abbia-mo assistito al triste spettacolo nel quale alla distruzione e alla disperazione si è aggiunta l’ambiguità, la demago-gia e la strumentalizzazione politica a detrimento, come al solito, della realtà scientifica e della necessaria visio-ne strategica richiesta per governare il futuro .

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NUCLEARE: L’ALTERNATIVA DEL TORIONUCLEARE: L’ALTERNATIVA DEL TORIONUCLEARE: L’ALTERNATIVA DEL TORIO Giorgio Prinzi intervistato da Marina Bartella

F inalmente una buona notizia: sembra che l’Italia sia ricca di Torio. Il Torio?! Si, il Torio: non si tratta di un farmaco enfatizza-tore della potenza sessuale, ma un elemento

che potrebbe rappresentare un’occasione per essere finalmente all’avanguardia, giacché sembra che possa sostituire, addrittura assicurando consistenti vantaggi, l’uranio ed il plutonio nelle tecnologie nucleari. Per saperne di più abbia-mo intervistato Gior-gio Prinzi, uno dei massimi esperti italia-ni di nucleare. Dott. Prinzi è vero che in Italia dovrebbero giacere notevoli di-sponibilità di torio? È una convinzione diffusa, avallata da studi che non valutano la consistenza effettiva delle riverse, ma espri-mono giudizi qualita-tivi di primo approc-cio. Uno studio più approfondito esiste in relazione al sito di Piona sul Lago di Como, dove si trova della monazite particolarmente interessante per il suo contenuto in torio. Lo studio, pubblicato nel 1978 su “American Mineralogist”, volume 63, a firma di Carlo Maria Gramaccioli dell’Università di Milano e di Tom Victor Segalstad dell’Università di Oslo, è sta-to condotto dal punto di vista della mineralogia, senza finalità alcuna in relazione a possibili utilizzi del filone di materiale per produrre combustibile nucleare, quindi senza una valutazione delle potenzialità delle riserva a tali scopi. Nonostante questa lacuna di fondo, la convinzione ge-nerale è che in Italia si abbia una notevole disponibilità di torio, in particolare in siti vulcanici quali l’Etna le Isole Eolie ed altri siti vulcanici, che caratterizzano la Penisola. In particolare le attese si accentrano sulle zone vulcaniche dell’Alto Lazio, sulle cui potenzialità convergono molti autori. Queste valutazioni prelimina-ri in genere fanno riferimento alla radioattività di fon-do, da cui si deduce la consistenza della presenza di torio nel suolo. Mancano, o almeno non sono a nostra conoscenza, elementi quantitativi finalizzati all’utiliz-zo per fini energetici. Un dato che riportiamo, senza particolare significato, è quello di una valutazione a livello planetario che prendeva in considerazione aree in cui la concentrazione di torio si riteneva superiore ai

13 milligrammi al chilo. Tra queste, in riferimento al-l’Italia, le “province alcaline” dell’Alto Lazio, la Sici-lia, le Eolie ed altri siti vulcanici. Si può quindi utilizzare il torio come combustibile nu-cleare? Certo, abbiamo notizie certe sulla tecnologia di utiliz-zo del torio che è stata a lungo oggetto di sperimenta-zioni in relazione a diverse tipologie di filiere e con

diversa composizione del combustibile, com-prese miscele di pluto-nio e torio nella pro-spettiva di trovare una soluzione allo smalti-mento delle crescenti quantità di plutonio accumulatesi a seguito dei periodici riconfe-zionamenti delle testate nucleare, necessari per evitare il rischio di de-tonazione nucleare spontanea dovuta alla trasmigrazione del plu-tonio dall’isotopo 239, a bassa attività, all’iso-

topo 241, ad elevata attività, la cui presenza, oltre un certo limite percentuale, innesca appunto una detona-zione nucleare spontanea. Un vantaggio non da poco perché la transizione dalla tecnologia ad uranio a quel-la al torio potrebbe avvenire per compenetrazione e senza gradini tecnologici, con tecnologie provate in pieno possesso della nostra industria, ad esempio An-saldo, e dei nostri tecnici, ad esempio Sogin, che conti-nuano a lavorare nel settore, sia pure per committenti esteri. In Italia, proprio per la non quantificata, ma ge-neralizzata, convinzione di grandi disponibilità indige-ne di torio, vi è stato in passato un interesse di studio e di ricerca applicata. A partire dal 1960 il Laboratorio di Trisaia in provincia di Matera, le cui specifiche atti-vità nel settore sono state definitivamente sospese nel 1978, dopo la scelta politica di più esecutivi nazionali di abbandonare l’utilizzo della fonte energetica nuclea-re. Forse è giunto il momento di ripensare alle decisio-ni prese sull’ondata emotiva del disastro di Chernobyl, che condizionarono l’esito di un referendum che venne politicamente inteso come orientamento dell’opinione pubblica contrario a quella tecnologia. In nessuna altra parte al mondo venne sospeso il completamento delle già esistenti centrali e, tantomeno, vennero chiusi gli impianti in esercizio. Questo è avvenuto solo in Italia. L’impennata del prezzo degli idrocarburi (petrolio e

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Il Torio può sostituire uranio e plutonio come combustibile nucleare

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gas) e la probabile conseguente lievitazione di prezzo dei combustibili alternativi più diffusamente utilizzati (carbone ed uranio) ha rilanciato l’interesse per la tec-nologia del torio che, grazie alla sua diffusione in natu- ra e la relativa facilità di chiudere il ciclo di fertilizza-zione e riprocessamento, può venire considerata una fonte di energia “inesauribile” dal punto di vista della dimensione temporale umana. L’India, che ha consi-stenti riserve accertate di torio, è all’avanguardia in questa tecnologia. Grande interesse, anche con autore-voli interventi sulla stam-pa d’opinione, in Austra-lia, che ha le riserve di torio valutate come le più consistenti al mondo, superiori a quelle della stessa India. Ancora una volta per l’Italia, per la ricerca di base ed appli-cata italiana, per l’indu-stria nazionale si tratta di non sprecare l’ennesima occasione per essere all’-avanguardia. Diviene pertanto impel-lente valutare al più pre-sto, con una finalizzata campagna di introspezio-ne mineraria, la consi-stenza reale delle riserve nazionali di torio impie-gabili a fine di elettroge-nerazione, di conserva rimettere in funzione l’impianto pilota di Tri-saia ed, eventualmente, avviare un reattore commerciale alimentato con com-bustibile ottenuto con il ciclo del torio. Si potrebbe pensare di riavviare con queste finalità gli impianti dismessi di Caorso e di Trino Vercellese, che potreb-bero venire ottimizzati per fungere da impianti com-merciali sperimentali, su cui eventualmente sviluppare una filiera nazionale od una filiera sviluppata insieme ad altre nazioni interessate, espressamente progettata sul ciclo del torio. Dunque il torio può sostituire l’uranio? Assolutamente si. L’uranio, benché oggi sia il combu-stibile nucleare più diffuso, addiittura quasi esclusivo nelle applicazioni civili industriali, non è l’unica via per ottenere energia dall’atomo. La fissione nucleare (rottura, spaccatura) dell’atomo di un qualunque ele-mento fissile (che può essere spaccato in due o più

pezzi) che occupi nella tavola degli elementi una casel-la superiore a quella del ferro avviene con liberazione di energia; al contrario, nel caso di fusione nucleare di atomi, si libera energia se l’elemento occupa nella ta-vola degli elementi una casella al di sotto di quello del ferro. Il fenomeno, sia in caso di fissione che in caso di fusione, si amplifica con la lontananza dall’elemento ferro, che funge da separazione tra le due classi. L’im-portante per realizzare una macchina efficiente (reattore nucleare) è il potere disporre di un elemento

fissile, quale l’uranio, collocato il più possi-bile nella parte alta della tavola degli elementi, sia esso esistente in natura che, come invece il plutonio, creato dal-l’uomo. Molteplici sono state le cause che hanno spinto in maniera quasi esclu-siva a privilegiare la tecnologia dell’ura-nio e, non da ultime, le implicazioni mili-tari di tale tecnologia. Il plutonio, un ele-mento che non esiste in natura (sarebbe più esatto dire non esiste più, in quanto scom-parso perché trasmu-tato per decadimento radioattivo nel corso delle ere geologiche)

ma usato come “esplosivo” nucleare per eccellenza, viene prodotto per irraggiamento dell’isotopo “238” dell’uranio, che non è fissile (non si spacca sotto bom-bardamento neutronico) ma fertile (ingloba una parti-cella, porta il suo numero atomico da “238” a “239”, diviene un altro elemento, il plutonio). Ora qualcosa si sta muovendo e l’interesse comincia finalmente a spo-starsi verso, il torio, la cui disponibilità in natura è su-periore di un fattore tra “tre” e “quattro” alle disponibi-lità di uranio. Il torio non è un elemento fissile (bombardato non si spacca) ma è un elemento fertile (bombardato trasmuta in uranio “233”, che è fissile e può quindi venire usato come combustile nucleare). Come avviene il passaggio da torio ad uranio? Il passaggio da torio “232” ad uranio “233” non è di-retto, ma i brevi tempi di decadenza dei prodotti inter-

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Il torio fu scoperto nel 1828 da Jöns Jacob Berzelius, un chimico svedese, in un campione di un minerale datogli ad esaminare dal reverendo Morten Thrane Esmark, che sospettava contenesse una sostanza sco-nosciuta. Il minerale di Esmark è ora classificato come torite (ThSiO4). Il suo nome deriva da Thor, il dio scandinavo della guerra. Il torio, è un elemento che si trova in natura con un’abbondanza relativa simile a quella del piombo. Si trova, sia pure in piccole quan-tità, nella maggior parte delle rocce e dei terreni. Il granito contiene fino a 80 ppm (parti per milione) di torio. L’ossido di torio è altamente insolubile e questo ha come conseguenza che non si disperde nell’am-biente. Il torio è presente in natura in minerali quali la torite, l’uranotorite, la torianite; è uno dei componenti principati della monazite, minerale che si trova in Ita-lia nell’arco subabalpino, ed è presente in quantità significative nei minerali zircone, titanite, gadolinite e betafite. La produzione mondiale di torio supera le 30.000 tonnellate all’anno

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medi rendono insignificante la questione. Il ciclo del combustibile torio-uranio è apparentemente più com-plesso di quello commerciale attuale che impiega l’iso-topo 235. Come accennavamo sopra, l’utilizzo di tale isotopo come combustibile nucleare, utilizzando ura-nio naturale, richiede la produzione di acqua pesante (acqua la cui molecola è composta da un atomo di os-sigeno e da due di deuterio, isotopo pesante dell’idro-geno che compone l’acqua normale), che è un processo costoso in quanto basato su processi di distillazione frazionata di prodotti idrogenati, ad esempio l’acqua naturale demineralizzata in cui la molecola “pesante” (D2O in luogo di H2O) è presente nel rap-porto medio di uno su settemila, con variazioni del rapporto, a seconda dei luoghi di prelievo, sino al 30%. Se si usa come combustibile uranio arricchito, la rea-zione di fissione può avvenire utilizzando come mode-ratore (rallentatore dei neutroni che devono collidere con l’atomo bersaglio, fissionandolo) la meno costosa acqua naturale. Tuttavia bisogna aumentare il contenu-to di isotopo fissile nell’uranio naturale. Il processo, che si chiama di arricchimento, avviene in fase gassosa (dopo avere trasformato l’uranio in un composto gas-soso) sfruttando la diversa velocità di diffusione in una cascata di setti porosi o la diversità di massa atomica in centrifughe ultraveloci. Per la confezione degli ele-menti di combustibile si ritorna alla fase solida, in ge-nere ad ossidi di uranio. Si tratta comunque di processi tecnologicamente avanzati, che hanno un costo rispetto al quale il processo di produzione dell’U233 a partire dal torio potrebbe rilevarsi competitivo, in particolare di fronte ad un prevedibile innalzamento del prezzo di mercato dell’uranio naturale a causa dell’incremento di domanda che si avrebbe in caso del rilancio di tale fon-te nel campo dell’elettrogenerazione. Lo svantaggio del ciclo del combustibile torio-uranio è che si deve operare a distanza su materiale emettitore gamma; il vantaggio è che la loro separazione, trattandosi di ele-menti diversi e non di isotopi dello stesso elemento, può avvenire per via chimica, più semplice e meno costosa di quella fisica, quale la diffusione o la centri-fugazione. Quindi una sfida ed una opportunità per la Ricerca e per l’Industria italiane, sperando che la Politica ed gli Enti preposti non sottovalutino questa importante nuo-va tecnica... Certamente. Nella speranza che un’opinione pubblica matura non si faccia influenzare, come ai tempi del referendum sul nucleare, da luoghi comuni disseminati ad arte da chi ha interessi contrari e tenta di far leva su facili emotività. L’uomo della strada dovrebbe ricorda-re che un nucleare pulito, sicuro e alimentato da un

combustibile che non deve essere comprato all’estero significherebbe non solo energia a basso costo, ma soprattutto ambiente più sano e cessazione della dipen-denza dai paesi orientali produttori di petrolio. Probabilmente il mezzo più efficace per far cessare il terrorismo.

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D opo la recente catastrofe generata in Giap-pone dall'azione congiunta di terremoto e tsunami che, oltre a causare la morte di più di ventimila persone, ha provocato il

gravissimo disastro nucleare di Fukushima, in tutto il mondo ci si interroga sulla opportunità di proseguire nello sviluppo delle centrali nucleari, come, ad esem-pio, in Italia, dove il Governo ha optato per una pausa di riflessione di almeno un anno, o come in Germania, dove il Cancelliere Ange-la Merkel ha addirittura imposto un deciso stop al nucleare. E mentre in Europa serpeggia un diffuso timore per gli effetti delle polveri ra-dioattive provenienti dal Giappone, ci troviamo, è inutile nascondercelo, di fronte ad un generale disorientamento che induce l'uomo comune a sperare che si arrivi quanto prima a scoprire nuove fonti energetiche eco-compatibili, e, nel contempo, spinge scienziati e Governi ad intensificare gli studi e gli sforzi economici per sperimentare nuove fonti di "energia pulita". La buona notizia di cui ci occupiamo oggi va ad inse-rirsi coerentemente in questo scenario, anche se si riferisce a risultati scientifici nel settore energetico che, pur nella loro eccellenza, rappresentano tuttavia un contributo oggettivamente modesto rispetto al rea-le fabbisogno di energia che ha il nostro Paese. Si trat-ta di studi ed esperimenti portati a termine con suc-cesso dall'Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom) del CNR di Catania su alcune piantagioni di cardo, vegetale che si è rivelato in grado di essere impiegato fruttuosamente per la produzione di elettricità, calore e biocarburanti: in buona sostan-za, una potenziale, importante fonte di ricchezza ener-

getica ed economica per l’Italia meridionale. Il cardo (cynara cardunculus L.) è una pianta origina-ria del bacino del Mediterraneo della cui coltivazione come ortaggio si hanno notizie già al tempo dei Ro-mani. Da circa vent’anni questa specie è stata rivaluta-ta come coltura da destinare alla produzione di bio-massa per energia, così come è già avvenuto per il cardo selvatico, suo progenitore. L’impiego del cardo si adatta particolarmente alle peculiari caratteristiche

dell’ambiente mediter-raneo contraddistinto da apporti idrici limi-tati e distribuiti irrego-larmente durante tut-to l’arco dell’anno. Questa specie, infatti, grazie al suo ciclo di crescita che va dall’au-tunno alla primavera – periodo in cui si regi-strano i maggiori e-venti piovosi – è in grado di intercettare gli apporti idrici dispo-nibili in natura, offren-

do così buone rese in termini di biomassa. Le ricerche condotte hanno evidenziato, in particolare, che, della biomassa totale prodotta a fine ciclo, il 45-50% è costi-tuito dalle radici, il 30% dalle foglie e il 20-25% dal fu-sto. L’interesse verso questa specie vegetale è legato non solo alla sua spiccata adattabilità all’ambiente me-diterraneo che ne permette colture intensive, ma an-che alle diverse modalità di utilizzazione. Infatti, se, da un lato, il cardo viene sfruttato generalmente attra-verso la combustione della sua biomassa in grado di fornire tra 16.500 e 17.800 Kilo-joule per kilogrammo di sostanza, dall’altro, sottoposto ad opportuni tratta-menti fisici, chimici ed enzimatici, consente di ottene-re combustibili funzionali al processo impiegato (gassificazione) e una cospicua quantità di olio idoneo alla produzione di biodiesel.

di Mario Apice

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A cura di

NEWS DAL MEDITERRANEO NEWS DAL MEDITERRANEO NEWS DAL MEDITERRANEO

Che il mare contenga specie sconosciute è un dato di fatto ormai accertato. Ma quali spe-cie sono? E quante? Probabil-mente milioni. Negli ultimi dieci anni i collaboratori del progetto Census of Marine Life hanno registrato migliaia di nuove

specie. 2.500 ricercatori di 85 paesi diversi si sono dedi-cati a mari, oceani e fiumi per scoprirne di nuove e possi-bilmente salvarle dalla loro estinzione. Gli oceani sono i più grandi habitat naturali della Terra: Census of Marine Life vi ha finora trovato 230.000 specie, dal batterio alla balena. Nelle grandi profondità i ricercatori hanno osser-vato pesci fosforescenti che sembrano avere lampadine alle punte delle antenne. Per osservare queste specie lontane sono state inviate 500 spedizioni e investiti 500 milioni di euro, principalmente da sponsor privati. I biologi hanno scoperto banchi di aringhe grandi come la superfi-cie di Manhattan e centinaia di nuove specie di plancton. Attraverso l’uso di satelliti hanno potuto osservare diver-se specie di squali e tracciare il percorso di salmoni per migliaia di chilometri. Per organizzare un progetto di tali dimensioni è stato necessario suddividerlo in 14 settori diversi: zone costiere, barriere coralline, mare profondo, microbi marini, plancton.

Le scoperte di giacimenti colos-sali di gas sui fon-dali profondi del Mediterraneo "hanno scatenato una caccia al te-soro" che rischia di danneggiare "inevitabilmente

ambienti unici per la biodiversità marina, protetti in base a convenzioni internazionali". La più recente trivellazione, "quella del giacimento 'Leviatano', il più grande del mondo, 135 chilometri al largo della costa di Israele, è avvenuta in acque cosiddette profonde e su fondali dalle caratteristiche uniche". Lo stesso si può dire dei giacimenti di gas trovati nelle acque antistanti il Delta del Nilo, a 80 km a nord-ovest di Alessandria". "In queste due aree vivono comunità di spugne di acque profonde, vermi, molluschi e coralli di acqua fredda. Per questo motivo, nel Mare di Le-vante dove è situato il primo giacimento, vige una limitazione della pesca a strascico sotto i 1000 metri di profondità proprio per proteggere le specie di ac-que profonde.

Un mare di biodiversità. Scoperte migliaia di specie

Rischio perforazioni selvagge per il Mediterraneo

Una rete di cento Aree marine protette per un'estensione totale di 207.000 chilo-metri quadrati. Si chiama 'Mednet' ed è la proposta dell'associazione ambientalista Oceana per proteggere il Mediterraneo. Con questa superficie, sommata a quella delle aree marine protette già esistenti, spiega Oceana, si riuscirebbe a proteggere fino ad un 12% del Mare Nostrum raggiungendo l'obiettivo stabilito dalla Conven-zione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite, che prevede la protezione di almeno il 10% delle regioni marine del mondo entro il 2012. Attualmente, secondo

l'associazione, solo il 4% della superficie del Mediterraneo è protetta, con una concentrazione sulla fascia costie-ra (ad eccezione del Santuario del Mare, in Liguria) e sulla sponda nord del bacino e una totale assenza di prote-zione degli spazi d'alto mare e della sponda sud. Pertanto - spiega Oceana - la rete attuale di aree marine protet-te non è né rappresentativa né coerente e grazie alla proposta Oceana Mednet è stata completata con un'ampia varietà di luoghi, come monti subacquei, banchi, canyon, zone ripide, dorsali, vulcani di fango, emanazioni gas-sose, monti convertiti in carbonato. In sostanza habitat meno conosciuti dei prati di fanerogame o delle barriere coralline. "Oceana Mednet è un esempio di come, con le conoscenze attuali, sia possibile creare una rete effica-ce di Aree marine protette", spiega Ricardo Aguilar, direttore Ricerche di Oceana Europa. "Se interveniamo con un approccio precauzionale, si possono proteggere le aree più rilevanti, dato che attualmente si conoscono le caratteristiche geologiche e oceanografiche che generano habitat con maggiore biodiversità o vulnerabilità"

100 aree marine protette Mare Nostrum Oceana propone rete Mednet di oltre 200mila km2

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CURIOSITA’ E NEWS LIBERAMBIENTECURIOSITA’ E NEWS LIBERAMBIENTECURIOSITA’ E NEWS LIBERAMBIENTE

L a musica, lo sap-piamo, rappresen-ta una vera e pro-

pria medicina per l’animo umano, ma forse non tutti sanno che essa può diven-tare fondamentale per la

salute di alcune piante, come, ad esempio, la vite, per la quale le vibrazioni sonore costituirebbero un sistema di di-fesa non invasivo contro gli insetti, tale da impedire di do-ver ricorrere ai pesticidi. E’ quanto emerge da un interessan-te studio sulla “comunicazione vibrazionale di alcuni insetti dannosi alle piante coltivate” effettuato da un gruppo di studiosi composto da ricercatori dell’Università di Pisa e del-la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Og-getto delle ricerche è stato, in particolare, un piccolo insetto chiamato “Scaphoideus titanus”, vettore della cosiddetta “flavescenza dorata”, una grave malattia che colpisce le viti di tutta Europa. Nelle fasi che precedono l’accoppiamento, l’insetto maschio lancia intorno a sé un messaggio sessuale “suonando” la sua “canzone d’amore” su una foglia di vite attraverso vibrazioni a bassa frequenza generate dall’addo-me. Quando la femmina si sente pronta all’atto creativo, manifesta la sua disponibilità emettendo anch’essa, in rispo-sta, proprie vibrazioni e, in tal modo, avviene l’accoppia-mento. I ricercatori hanno individuato segnali vibrazionali che, trasmessi alle piante attraverso computer, si sono rive-lati in grado di interferire sulla comunicazione degli insetti ostacolandone l’accoppiamento e la deposizione di uova fertili. Un altro studio per verificare l’influenza della musica sul comportamento di alcuni parassiti è in corso in un’azien-da vinicola di Montalcino che da qualche anno fa diffondere melodie di Mozart nei propri vigneti, nella convinzione del suo proprietario che la musica agisca positivamente non solo sulla quantità, ma anche sulla qualità delle produzioni. L’ipotesi è che gli insetti, disturbati dalle vibrazioni a bassa frequenza prodotte sulla vegetazione dalle note delle musi-che di Mozart e in preda ad un’autentica confusione sessua-le, abbandonino i vigneti spostandosi verso aree “silenziose” dove poter comunicare tra loro in tutta tranquillità.

Mozart nei vigneti disturba la copula di Mario Apice

La foglia artificiale che produce energia di Paola Pagliaro - Ecologiae

P rodurre energia da una foglia artificia-le in grado di mi-

mare la fotosintesi. Ci sono riusciti al MIT, Massachussetts Institute of Technology.

L’annuncio della creazione di una cella solare in miniatura è arrivato la scorsa settimana nell’ambito del 241esimo Natio-nal Meeting della American Chemical Society. Lo scienziato David Nocera spera che la sua invenzione pos-sa trasformare le case in piccole stazioni produttrici di ener-gia, garantendo l’autosufficienza energetica alle abitazioni. Il progetto della foglia artificiale risale ad un’idea di dieci anni fa, ma è andato incontro a numerose difficoltà di natu-ra pratica e soprattutto economica. Creare un dispositivo in grado di riprodurre la fotosintesi, infatti, richiedeva l’utilizzo di metalli tanto rari quanto proi-bitivi dal punto di vista dei costi, oltre che di materiali dal prezzo troppo elevato per poter pensare di espandere il prototipo su larga scala. E creare un aggeggio straordinario ma rinchiuso nelle quat-tro mura del laboratorio non era certo l’intento degli idea-tori. E’ finito, infatti, il tempo di realizzare pannelli complessi e proibitivi. Il mercato richiede soluzioni per la vita di tutti i giorni, che aiutino a tagliare il costo dell’energia, senza spendere un capitale. Il modello di foglia artificiale messo a punto da David Noce-ra usa nichel economico e catalizzatori di cobalto. Questi catalizzatori sono efficaci ed efficienti nel dividere idrogeno e ossigeno con una produzione di circa dieci volte superiore a quella delle foglie naturali. Ingredienti principali per il funzionamento: il sole e l’acqua. La foglia, che ha le dimensioni di una carta da gioco, piutto-sto che produrre energia direttamente come una cella foto-voltaica, divide gli atomi di idrogeno e ossigeno, che poi producono energia elettrica per uso personale e domestico. Il prototipo è in grado di produrre energia senza interruzio-ne per 45 ore senza fluttuazioni.

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Che cos’è LIBERAMBIENTEChe cos’è LIBERAMBIENTEChe cos’è LIBERAMBIENTE

“LIBER’AMBIENTE” è un’associa-zione politico/culturale/ambientale che nasce per in-terpretare e dare voce a tutti quei moderati che sono interessati ad affermare, nel Paese, una nuova ecolo-gia umanista, una nuova cultura ambientale che guar-di all’Uomo con più ottimismo. Un Uomo che non è maledizione ma benedizione del pianeta, un Uomo che è ricchezza e non impoverimen-to del mondo. Un Uomo che ha l’esaltante missione di rendere compatibile lo sviluppo economico e il pro-gresso umano con l’ambiente, la natura, gli animali, la vita su questa terra. La globalizzazione dei processi economici, sociali, culturali, religiosi, etici e politici ci pone tutti di fronte a nuove sfide e difficoltà e, come ogni cambiamento, ci offre dei rischi ma anche delle opportunità. Nel settore ambientale si può razionalmente intrave-dere la possibilità di un concreto governo dell’am-biente che sappia dare risposte efficienti al degrado ecologico di importanti aree del nostro pianeta; rispo-ste efficienti a fenomeni come la desertificazione, l’ef-fetto serra, la scarsità delle risorse idriche che coin-volgono tutta l’umanità. Noi siamo pronti ad accettare questa sfida lottando contro le culture catastrofiste e nichiliste che sono alla base dell’ideologia ambienta-lista dominante che ha teso a privilegiare o gli aspetti contemplativi e conservativi dell’Uomo sull’ambiente o a ricercare un’egemonia politica dei problemi, indi-rizzando la questione ambientale in un solco di prote-sta prima anti-capitalista e poi semplicemente anti-sistema. In antitesi ad una cultura di sostanziale conservazio-ne, di negazione di ogni ragionamento attorno allo sviluppo dell’ambiente e del vero rapporto tra Uomo e Natura, noi di Liber’ambiente, siamo per una cultura di sviluppo dell’ambiente in un continuo confronto tra esigenze della Natura ed esigenze dell’Uomo. Siamo per porre i problemi ma anche per limitarli e risolver-

li. L’associazione Liber’ambiente ha come scopo prio-ritario quello di riunire tutte le realtà associative e tutti quelli che nella società civile, a diverso titolo, si sono impegnati e s’impegnano per una più avanzata cultura ambientale, avvalendoci della collaborazione di un importante Comitato Scientifico che sarà il vero valore dell’iniziativa che si adopererà per fronteggia-re la cultura ambientale dominante. Siamo contro i catastrofismi a buon mercato e la no-stra attenzione è rivolta a tutti gli studi dei fenomeni naturali e artificiali, prodotti dalle attività umane. Siamo per non trasformare le tendenze verificabili, in destini fatali. Siamo per non attribuire, ai pareri di tutti quelli che studiano o parlano di ecologia e am-biente, la patente di scientificità obiettiva, perché la scienza è studio e confronto continuo e non dogma a piacimento. Nel concreto vogliamo approfondire tutti i temi oggi posti dal rapporto Uomo-Ambiente per cer-care di trovare sempre la migliore soluzione per la vita di questa terra. Questa impostazione del rapporto Uomo-Ambiente sarà sempre più fattore di sviluppo delle nostre civil-tà: sarà fonte di nuove attività umane, tese alla ricer-ca del benessere dell’umanità intera, sarà strumento di comprensione dei limiti dello sviluppo e del suo controllo affinché esso sia sempre al servizio dell’Uo-mo e non viceversa. “LIBER’AMBIENTE” sarà un laboratorio di proposte e di dibattito tra le varie esperienze. Si occuperà di formazione sui temi ambientali più scottanti per uni-formare i comportamenti degli amministratori del cen-tro-destra sul territorio. Le sfide e gli interrogativi in campo ambientale richie-dono un ampio e approfondito dibattito al quale inten-diamo dare il nostro contributo con impegno e con la forza delle idee.