N.16 Sulla via della pace 2009

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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy 2009 n. 16 Anno IV n. 4 - Ottobre-Dicembre 2009 - Trimestrale - Contiene I.R. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi VIA PACE Editoriale: Caritas in Veritate Giovani: Alcool?? No, grazie!!! Carissimo: Vivere nella gioia

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rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy

2009n. 16Anno IV n. 4 - Ottobre-Dicembre 2009 - Trimestrale - Contiene I.R.

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe PercueIn caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

VIA PACEEditoriale:Caritas in Veritate

Giovani: Alcool?? No, grazie!!!

Carissimo: Vivere nella gioia

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La carità nella verità: è que-sto il titolo dell’Enciclica di Benedetto XVI, pubblicata lo scorso 29 giugno. Si tratta di un documento

straordinariamente ricco: aff onda le radici nel passato (la tradizio-nale “dottrina sociale” della Chie-sa), fornisce risposte per l’oggi e si protende profeticamente sul futuro. Il messaggio è che, come cristiani, non abbiamo solo un aiuto da dare, ma anche una verità da dire. Il primo senza la seconda potrebbe essere solo benefi cienza; la seconda senza il primo potreb-be essere arroganza. Carità e verità sono inseparabili.

Ad una società come la nostra, che vuole tenere separata la fede dai problemi di tutti i giorni, e le cose di Chiesa dalla politica e dagli af-fari, il Pontefi ce annuncia qualcosa che può risuonare come benefi ca-mente provocatorio: “Gesù Cristo è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e del-l’umanità intera” (1). Vale a dire che la fede non è solo “utile” alla socie-tà perché contribuisce a formare nelle persone valori etici, spirituali, sociali, come l’onestà, la laboriosi-tà, l’uguaglianza, la solidarietà, ma contribuisce ad orientare, muovere e costruire il suo reale progresso. “La religione cristiana e le altre reli-gioni – avverte il Papa – possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto nella sfera pubblica, con specifi co riferimento alle dimensioni culturale, econo-mica, e, in particolare, politica. (…) La ragione ha sempre bisogno di essere purifi cata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta la religione ha sempre

bisogno di essere purifi cata dalla ragione, per mostrare il suo autenti-co volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umani-tà” (56).

Appare ormai sempre più evidente che questo sviluppo dell’umanità è strettamente legato al rispetto della vita di ogni persona, dal con-cepimento alla morte. In passato la prassi indiscriminata della con-traccezione e dell’aborto è stata promossa in forza della paura per il futuro, evocando scenari di so-vraff ollamento planetario e impo-verimento generale. In realtà ci si sta rendendo conto del contrario: “grandi nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al gran numero e alle capacità dei loro abi-tanti. Al contrario, nazioni un tempo fl oride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di decli-no proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere” (44).

Lo sviluppo è ovviamente legato anche all’economia. Il Pontefi ce

mette in guardia dal considerare il mercato globale come una specie di ‘regno di satana’ da cui il cristia-no debba tenersi ben bene alla larga. “Il mercato, se c’è fi ducia reci-proca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone” (35); ovviamente, se regolato da un contesto di giusti-zia.Il mondo è ormai orfano dei vecchi sistemi e delle teorie economiche. La festosa demolizione del muro di Berlino nel 1989 rendeva visibile il crollo del comunismo e la sua promessa di benessere e felicità per tutti, a patto di sacrifi care allo Stato la propria libertà personale. Con il fallimento di grandi banche americane è crollato anche il ca-pitalismo cinico, che prometteva ugualmente benessere e felicità, sacrifi cando masse di poveri, la cui miseria era considerata più o meno come “eff etto collaterale” del libero scambio di mercato. C’è bisogno di un’economia buona e la Chiesa lo sa. Essa infatti “ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reci-

Caritas in VeritateEditoriale

di Paolo Maino

Editoriale

FORMAZIONE

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procità, anche all’interno dell’attivi-tà economica e non soltanto ‘fuori’ di essa o ‘dopo’ di essa” (36).Non si tratta di escogitare nuovi teoremi, ma di andare alla radice. “Oggi – insegna Benedetto XVI – occorre aff ermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica”. Quindi non è più da considerarsi come un capitolo del sapere teologico, ma come il nodo centrale del vivere umano. In sintesi, solo una cultura che sappia considerare ogni uomo e ogni donna come fi glio e fi glia di Dio potrà creare anche una politi-ca e un’economia più giuste.Illuminati da questa verità e libe-rati dalla paura, può farsi strada l’idea-guida per uscire dalle secche del nostro tempo: inaugurare un tipo di politica e di economia che, abbandonata la preoccupazione mortifera del tornaconto persona-le, sappia “investire sui poveri”.Ciò signifi ca, concretamente, operare forti investimenti per lo sviluppo dei paesi impoveriti, per creare ricchezza e sdoganare le immense potenzialità che ancora non hanno potuto adeguatamen-

te dispiegare. E questo andrà a benefi cio anche nostro, perché ci saranno sempre meno debitori insolventi a livello internazionale, e cresceranno i partner alla pari, che potranno innescare un circolo vir-tuoso di sana competitività. Non si tratta più “solo di correggere delle disfunzioni mediante l’assistenza. I poveri non sono da considerarsi un ‘fardello’, bensì una risposta anche dal punto di vista strettamente eco-nomico” (35).

Credo che questo spirito debba animare non solo i Governi o gli Istituti di Credito Internazionali, ma anche le singole persone e le famiglie.

Occorre però chiedere a Dio quella creatività che viene dallo Spirito anche nella gestione dei propri piccoli risparmi.“Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene dona-to” (79)

Non abbiamo solo un aiuto da dare, ma anche una verità da dire

“Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera”

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Le attività di solidarietà promosse dalla Comunità Shalom sono gestite dallaAssociazione Shalom Solidarietà Internazionale - OnlusViale Trento, 100 - 38066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. +39.0464.555767 - Fax [email protected]

2 Editoriale Caritas in Veritate

Informazione 5 Shalom Colombia 6 “Chi ha il Vangelo ha tutto” Intervista a mons. Fabio Duque Jaramillo 8 Testimonianze

9 Pellegrinaggio in Polonia11 Dalla Riviera adriatica alla Polonia12 Santuario della Madonna Nera di Jasna Góra - Czestochowa13 Santa Faustina Kowalska e il Santuario della Divina Misericordia - Cracovia

14 Giornata di Alleanza16 Emergenza Filippine17 Sostegno a distanza22 Ragazzi sulla via della pace

Formazione18 L’amore, pieno di verità, è un dono Sintesi dell’ultima enciclica di Papa Benedetto XVI20 Alcool?? No, grazie!!!21 Quel settembre in cui ho capito cosa non voglio essere23 RU 48624 Mosè: il profeta della precarietà25 Il sacro e il santo26 La sapienza di un pagano27 Vivere nella gioia

La Comunità Shalom è un’Associazione Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica e membro della Fraternità Cattolica delle Associazioni e Comunità Carismatiche di Alleanza di Diritto Pontifi cio

Per off erte:CASSA RURALE ALTO GARDA

IBAN: IT 67 C 08016 35320 000002142146Codice BIC CCRTIT27T04A

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Solidarietà Internazionale - ONLUS

SOMMARIO

SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno IV - n. 4ottobre-dicembre 2009

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Direttore di redazioneRuggero Zanon

Equipe di redazionePaola AngerettiStefania Dal PontGregorio Vivaldelli

EditoreAssociazione ShalomSolidarietà Internazionale - Onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. e fax +39.0464.555767

Grafi ca e stampa:Antolini Tipografi a - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di ottobre 2009

In copertina:Campeggio Shalom 2009 - Italia.

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Il 27 aprile 2009 è una data stori-ca perché segna l’inizio uffi ciale della presenza della Comunità Shalom in Colombia. Con la fi rma del decreto di approvazio-

ne siglato da mons. Fabio Duque Jaramillo, vescovo di Armenia, la Comunidad Shalom è stata ricono-sciuta come organizzazione privata di fedeli laici presente nella sua Diocesi. Mons. Duque ha esortato a com-piere il proprio progetto di evan-gelizzazione nel territorio diocesa-no, raccomandando un’attenzione speciale alle famiglie ed ai giovani. Due giorni dopo, c’è stata la ceri-monia di benedizione solenne del-la sede della Comunidad Shalom nella città di Armenia, da parte di mons. Duque. Oltre all’assistente ecclesiastico, padre Carlos Arturo Ríos, erano presenti anche alcune personalità del governo locale ed una settantina di membri e sim-patizzanti di Shalom Colombia. La casa, situata nel “Barrio Galan” della capitale del Quindio, è la sede operativa della Comunidad Shalom, ed off re spazi per incon-tri ed accoglienza. I responsabili della Comunità, Julian Ramirez e la moglie Bibiana Herrera, si sono trasferiti lì col piccolo Juan Diego, mettendo la loro vita a disposizio-ne dell’opera di Dio attraverso la Comunità. Durante la cerimonia di benedizio-ne, mons. Fabio Duque ha condi-viso questi pensieri: “Non avrei mai immaginato l’incontro con questa comunità del nord Italia, quando ero stato da poco nominato Vescovo. Io

non li conoscevo, ma il Signore li ha posti sul mio cammino. Fin dal primo momento è nata fra noi una grandis-sima empatia. Fin dal primo incontro con Paolo ed Eliana, dissi loro che ciò che speravo dalla Comunità Shalom era che fosse annunciato Gesù Cristo. Naturalmente, quando Cristo viene annunciato, tocca in tal modo i cuori che, uscendo dal nostro egoismo, sia-mo in grado di escogitare soluzioni pratiche anche per i problemi dram-matici della nostra società”.La Comunità gode a tutti gli eff etti anche del riconoscimento civile e dell’apprezzamento delle autorità locali. Nel corso di un recente in-contro, il Governatore del Quindìo, Julio Cesar Lopez Espinoza, ha avuto modo di apprezzare molto quanto la Comunità sta facendo per la formazione, in particolare per la riconciliazione e per la tutela dei bambini e delle famiglie nelle realtà urbane di Armenia (250.000 ab.), Calarcà (120.000 ab.) e La Te-baida (45.000 ab.), dove preoccu-pano i problemi di disoccupazio-ne, abbandono e abusi in famiglia, ed in molti casi, di vera e propria povertà materiale e morale. Il Go-vernatore ha espresso la volontà di aiutare, per quanto possibile, le at-tività di Shalom a livello pubblico. A questi eventi ha preso parte anche una delegazione della Co-munità Shalom italiana composta

dal vice-presidente Tiziano Civet-tini, dalla moglie Maria Luisa Toller e dalla ragazza Eleonora Vivaldelli (11 anni).Proseguono, intanto, le attività comunitarie: l’evangelizzazione dei giovani militari di leva della caserma quindiana; la visita alle famiglie povere e ai tantissimi bambini di Calarcà; gli incontri di preghiera, di formazione e di ado-razione eucaristica; le domeniche con le famiglie

Shalom ColombiaDecreto diocesano

di Tiziano e Maria Luisa

Civettini

“Naturalmente, quando Cristo viene annunciato, tocca in tal modo i cuori che, uscendo dal nostro egoismo, siamo in grado di escogitare soluzioni pratiche anche per i problemi drammatici della nostra società ”

(mons. Fabio Duque)

INFORMAZIONE

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• Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nella sua diocesi?

Come uomini noi vediamo soprat-tutto i lati oscuri delle cose, ci man-ca sempre il guardare con gli occhi di Dio. Anche Dio vede i problemi, ma Lui sa che tutto ha possibilità di soluzione, per tutto c’è speranza.L’aspetto più inquietante nella mia diocesi è la prostituzione dei bam-bini, che è comparsa nel momento in cui la regione del Quindìo si è aperta al turismo. Questa situazione mi fa sanguinare il cuore e non vedo come si possa modificare senza un cambiamento di mentalità. A questo enorme problema, in questi ultimi anni, si è aggiunta un’altra grande sofferenza. Il Governo ha preso delle misure per combattere il narcotraffico, ma ora ci sono delle persone malvage che cercano di entrare nelle scuole tramite i bambini, regalando loro la droga. È chiaro che i bambini che hanno iniziato ad utilizzarla ne diventano dipen-denti e loro stessi la portano negli edifici scolastici per venderla ai loro coetanei. Si assiste ad uno scenario tragico: bambini di 8-10 anni che fanno già uso di eroina. Queste sono le mie maggiori preoccupazioni, anche se il mio pensiero è rivolto anche alla di-soccupazione e alla fede.

• Che cosa ci può dire riguardo al problema della fede?

Noto con preoccupazione un forte distacco tra fede e vita concreta. Per molti la fede consiste solamen-te nello svolgimento di pratiche religiose, così anche gente violen-ta e prepotente, anche gli spac-ciatori di droga, pensano di essere cristiani: prima ammazzano e poi recitano il rosario!

• Questo lancia un messaggio non appropriato riguardo al cristianesimo.

Infatti. Molti, guardando a questi esempi, lasciano la Chiesa, pensan-do che tutti i cristiani siano così. Purtroppo anche alcuni preti la pensano allo stesso modo: si preoccupano solo di far pregare la gente… Intendiamoci, questo è importante, ma la coerenza di vita è essenziale.

• Pensa che la collaborazione con la Comunità Shalom possa es-sere di aiuto alla sua gente del Quindìo?

Sicuramente. È per cercare di ar-ginare queste problematiche che ho chiesto a Shalom di essere pre-sente nella diocesi di Armenia per evangelizzare. Solo un esempio concreto di vita cristiana può por-tare un cambiamento di mentalità nel considerare fede e vita un tutt’uno, non due compartimenti separati. In tal modo, molti che non conoscono la Chiesa possono venir attirati dalla sua bellezza e quelli che l’hanno lasciata posso-no ritornarvi in modo totalmente nuovo.

• Ci sarà bisogno di un notevole cambiamento.

Credo che sia proprio necessario un processo di conversione: con-versione da parte del vescovo, dei sacerdoti, dei religiosi, dei laici, di tutti, proprio di tutti. Questo pro-cesso, che sto cercando di attuare in tutta la diocesi, dovrebbe avere come obiettivo la crescita integra-le dell’uomo in rapporto a Dio, ai beni materiali, agli affetti e al pro-prio io. Non dovrebbe avere solo lo scopo di credere alla verità del cristianesimo.

• Nella sua diocesi sono presenti anche sette?

Anche questo settore non mi lascia tranquillo, sebbene non lo consideri il problema principale.Ci sono persone che hanno lascia-to la Chiesa, perché non sapeva-no dove andare. Ora che abbiamo iniziato questa nuova evange-lizzazione, la gente rientra nella Chiesa e credo che, se continuia-mo sulla strada intrapresa, molti ritorneranno e non la lasceranno più.

• La collaborazione con la Comu-nità Shalom proseguirà anche in futuro?

Prima di tutte le opere di solidarie-tà materiale (delle quali c’è biso-gno, non posso negarlo), ho chie-sto ai responsabili della Comunità di portare il Vangelo. Se abbiamo il Vangelo, possediamo davvero tutto; ma se non c’è il Vangelo nelle nostre vite, tutto sarà inutile, anche le opere più belle.Un’altra cosa che vedo positiva è l’opera dei laici. Il Concilio di Trento ha dato una spinta verso la vita religiosa, e la vita religiosa ha salvato la Chiesa. Il Concilio Vatica-no II ha dato la spinta verso i laici; per questo quelli che salveranno la Chiesa, ai nostri giorni, saranno proprio i laici: ma laici capaci di conservare la comunione con la Chiesa. Così la Chiesa saprà essere a servizio del mondo nel modo che Dio vuole.Forse noi non vedremo i frutti di questo rinnovamento che ci au-guriamo, ma il fatto di non vedere i frutti non è un motivo per non iniziare a cambiare… e saranno le nuove generazioni ad assaporare gli effetti positivi del lavoro fatto in questo tempo

Intervista a mons. Fabio Duque Jaramillo

Colombia

INFORMAZIONE

“Chi ha il Vangelo ha tutto”

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Testimonianza di Julian e Bibiana RamirezCari fratelli della Comunità, con molta gioia testimoniamo che l’in-contro con il Carisma Shalom continua a produrre segni visibili del-l’azione del Signore nelle nostre vite concrete. La pace accompagna sempre di più la nostra vita di relazione, di preghiera, la nostra pro-fessione e la nostra fatica di genitori. Ma vediamo che anche perso-ne molto semplici che ci circondano sono spinte a fare passi verso la conversione personale e familiare. Noi continuiamo a dire: “Grazie, Signore, per aver allungato fino a noi questa ‘via della pace’, per la quale stiamo camminando nelle belle e sofferenti terre di Colombia”.

Appuntamenti presso la Comunidad Shalom de Colombia:

LA TEBAIDA (Quindio) Chiesa Parrocchiale di S.Martino de PorresMartedì ore 18.00: Adorazione Eucaristica, segue la S.Messa

CALARCÁ (Quindio) Cappella delle Suore dell’Annun-ciazione nel Barrio LlanitosGiovedì ore 16.00: S.Messa, segue Adorazione Eucaristica

CALARCÁ (Quindio) Sala parrocchiale del Barrio La VueltaGiovedì ore 19.00: Incontro di formazione

LA TEBAIDA (Quindio) Casa delle Suore di S.Teresa di Gesù BambinoVenerdì ore 19.00: Incontro di formazione

CALARCÁ (Quindio) Parrocchia del Divino NiñoUltimo sabato di ogni mese dalle 13.00 alle 18.00: S.Messa per gli ammalati celebra padre Carlos Arturo Rios, assistente spirituale della Comunidad Shalom

Info: Julian +57 3113050948

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In memoria di don Domenico Pincelli

“La cosa che mi ha maggior-mente colpito è la felicità

della gente, che pure è così po-vera e abita in case piccolissime, dove dormono in tre o quattro per letto. Mi ha colpito molto il desiderio di far parte della Comu-nità Shalom, e come la gente sia tanto legata a Dio, nonostante la miseria: questo significa che han-no fede.Ho anche notato come i membri della Comunità Shalom siano ser-vizievoli, sempre a disposizione.E i bambini… che dire dei bam-bini? Ti aspettano sempre, sono curiosi, fanno mille domande, vogliono avere sempre più amici. Si accontentano di quello che han-no, mangiano qualsiasi cosa, pur di mangiare…Una cosa che proprio non riesco a sopportare è sapere che c’è gente ricchissima a cui non manca nulla, ma vuole sempre di più, e che c’è gente che soffre la fame, e che non fa certo capricci per ottenere una cosa o l’altra: le basta avere qual-cosa.Credo che tutti dobbiamo aiutar-ci gli uni gli altri per costruire un mondo giusto, uguale per tutti”.

Eleonora, 11 anni, Riva del Garda (Italia)

“Quando mia sorella ed io eravamo piccole, litigavamo

sempre e per cose insignificanti. Ma quando siamo cresciute, i litigi sono aumentati: non solo per pic-

cole cose, ma soprattutto perché mi ero convinta che mia mamma preferisse mia sorella a me, che la amasse di più.Lei era la regina, io il problema; io venivo costantemente sgridata, lei lodata. Questo mi faceva arrab-biare moltissimo, perché pensavo di avere ragione, mentre alla fine la ragione veniva data sempre a lei.Con il passare del tempo sono ma-turata ed ho iniziato a vedere cose che prima non potevo vedere, per il fatto che ero costantemente oc-cupata a far guerra a tutto e a tutti.Mi resi conto che mia madre non mi sgridava perché mi odiava o perché io ero il suo problema, ma perché facevo cose che non dove-vo fare, o perché non facevo quel-lo che invece avrei dovuto fare. La responsabilità di quelle sgridate era mia e non l’avevo capito.Mia madre soffriva per i litigi tra me e mia sorella, ma lo teneva per sé, senza riuscire a trovare solu-zioni. È stato in questo momento che ho trovato in Dio una risposta: Lui mi ha illuminato, mi ha teso la sua mano, anche se non credevo in Lui, anzi, lo contestavo e lo giu-dicavo sempre. Egli mi ha aiutato a trovare la pace e la chiarezza necessarie per questi momenti, e così sono riuscita a superare il problema.Un’altra cosa che non mi permet-teva di trovare la pace era il conti-nuo giudizio nei confronti di mia madre riguardo a tutto quello che faceva; per esempio, non soppor-tavo che collaborasse con la Chie-

sa, perché io non credevo in Dio.Anche in questo il Signore mi ha aiutato: rendendomi conto del bene che mi faceva, rimanendo sempre accanto a me, sono riusci-ta a comprendere che quello che stava facendo mia madre non era un male e ho capito il suo desi-derio di avere il nostro appoggio, aiuto e comprensione.Ora so che Dio è sempre con me e non mi abbandonerà mai.Ora ho una relazione migliore con tutti, so di nuovo ascoltare e posso aiutare molto di più mia madre. È grazie a lei e a mio padre che ho potuto conoscere il Signore e smettere di giudicarlo. Ho potuto conoscere i miei genitori e render-mi conto che sono persone ec-cellenti. Ora possiamo finalmente costruire una famiglia piena del-l’amore di Dio”.

Daysi, 17 anni, Calarcà (Colombia)

“Ora che vedo crescere i miei figli e che faccio parte della

Comunità Shalom, ho compreso che devo prepararmi meglio per servire il Signore e i miei fratelli. Per questo ho ripreso i miei studi, con un po’ di nervosismo, ma con-fidando nella preghiera”.

Estela, 35 anni, La Tebaida (Colombia)

Colombia

Testimonianze

INFORMAZIONE

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Per festeggiare il trentesi-mo anno di fondazione, la Comunità Shalom ha deciso di compiere un pellegrinaggio mariano in

Polonia dal 9 al 16 agosto 2009.

Perché un pellegrinaggio?Il pellegrinaggio è un gesto pieno di signifi cato. Farsi pellegrini verso luoghi dove Dio si è manifestato in modo particolare ci ricorda che la nostra fede non è fatta di idee: il nostro Dio è vivo e si fa presente nella nostra vita e nella storia, in momenti e luoghi particolarmente signifi cativi che segnano la nostra vicenda personale, come hanno segnato quella di interi popoli. Mettendosi in cammino si esprime con tutta la persona la propria disponibilità a muoversi, a seguire il Signore dove Egli vuole condur-ci, uscendo dalle proprie abitudini e sicurezze, con uno stile di vita sobrio ed essenziale, da viandanti.Per questo la tradizione cristiana ha sempre considerato il pellegri-naggio come il modo migliore per

prepararsi ad incontrare Dio, o per iniziare a rispondere ad una Sua chiamata.Gregorio Vivaldelli, da biblista, ha ricordato come questo gesto sia profondamente radicato nella Bibbia e nella stessa vita di Gesù: l’evangelista Giovanni, in partico-lare, sottolinea come Gesù salisse regolarmente in pellegrinaggio a Gerusalemme per le principali festività (Pasqua, la festa delle Settimane, la festa delle Capan-ne). Il vero pellegrinaggio è un cammino interiore non meno che esteriore, in cui la preghiera, le meditazioni, la visita ai santuari, si integrano a costituire un percorso molto concreto, in cui il Signore ci dona chiarezza su molte cose, e ci può far tornare ad essere noi stes-

si. Scopriamo, come dice il Salmo 84, che “cresce lungo il cammino il suo vigore”: il desiderio di Dio, e di portarlo nel mondo, cresce solo strada facendo.

Perché proprio in Polonia? Paolo Maino ha indicato tre motivi: primo, la forte identità cristiana, che ha permesso a questa nazione di resistere anche nei momenti più diffi cili della sua storia travagliata, e continuare a dare un contributo determinante all’identità cristiana dell’Europa. In secondo luogo, la devozione mariana profondamen-te radicata in questo popolo. E da ultimo, il legame di aff etto e rico-noscenza che ci lega a Giovanni Paolo II, di cui ci sentiamo fi gli spi-rituali, per tutto l’incoraggiamento

Pellegrinaggio in Polonia

di Walter Versinie Alessandra Zanin

Polonia

INFORMAZIONE

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ed il sostegno che ha dato ai movi-menti ed alle nuove comunità. Karol Wojtyła sentiva un forte lega-me spirituale con la propria nazione, tanto che volle celebrare la sua pri-ma messa nel luogo più simbolico della storia della Polonia: la cripta romanica di San Leonardo nella Cat-tedrale del Wawel a Cracovia, dove sono sepolti gli antichi re polacchi. Egli riteneva che appartenere ad un certo popolo dona una particolare eredità culturale e spirituale, che si è chiamati a tener viva, e dalla quale - nei momenti difficili della storia - è possibile trarre forza ed ispirazione. Ora la Polonia è orgogliosa di que-sto suo figlio così straordinario, e la sua memoria aleggia ovunque, in particolare a Wadowice, sua città na-tale, e a Cracovia, la splendida città in cui egli fu studente universitario, operaio, seminarista clandestino durante l’invasione nazista, poi sa-cerdote e infine vescovo. Piena della sua memoria e del suo stile diretto e spontaneo è sta-ta anche l’udienza concessa alla Comunità Shalom da S.Em. Card. Stanisław Dziwisz, segretario perso-nale di Karol Wojtyła dal 1966 alla sua morte, ed ora Arcivescovo di Cracovia.Anche se non mancano segni di secolarizzazione pure in Polonia, la fede cattolica dei polacchi appare ancora molto viva. A Łagiewniki, ad esempio, la cappella dell’ado-razione perpetua è frequentata anche alle 4 di mattina da gente che andrà poi al lavoro. I santuari sono mèta di folle numerose, che li raggiungono in gran parte a piedi, anche con percorsi di molti giorni, in condizioni disagiate. Al santua-rio di Jasna Góra a Czestochowa è facile vedere ragazzi, stremati dal cammino, dormire in sacchi a

pelo nella sagrestia del santuario, mentre di fianco continua il flusso incessante di altri pellegrini per la visita alla miracolosa icona della Madonna Nera.Calda è stata l’accoglienza dei po-lacchi, in particolare degli amici del-la Comunità Vita in Maria - Magnifi-cat (che, come la Comunità Shalom, fa parte della Catholic Fraternity). Un grazie particolare va a padre Tadeusz Skrzjpczjk’s, uno dei fon-datori, che ci ha accompagnato con discrezione e passione, celebrando ogni giorno per noi l’Eucaristia.Nel corso del pellegrinaggio, l’Equìpe della Comunità ha te-nuto due concerti: uno nel parco del Santuario di S. Faustina a Łagiewniki, ed il secondo nella piazza principale della cittadina di Zory, di cui si riportano maggiori dettagli nelle pagine seguenti.La visita ai santuari più importanti della Polonia (quello della Divina Misericordia a Łagiewniki, Jasna Góra, Kalvaria Zebrydowska, e numerosi santuari e chiese della regione della Slesia) ha consentito di crescere nel cammino di fede personale e comunitario. Un’occasione, assieme ai momenti di preghiera e alle incisive riflessioni offerte da Gregorio, Eliana, Tiziano, per riscoprire alcuni aspetti impor-tanti della spiritualità comunitaria, come la fiducia in Gesù e nel Padre, “ricco di misericordia”, e la figura di Maria, colei che è stata ed è sempre la persona più vicina a Gesù. Una devozione, quella mariana, tanto cara al co-fondatore don Domenico Pincelli, che non si raggiunge semplicemente deside-randola, ma che è frutto di un’espe-rienza che ci viene donata

INFORMAZIONE

P R O S S I M I C O N C E R T I

13 dicembre 2009 ore 20.30 Parrocchia S.Maria Assunta – Castello di Brenzone VR

20 dicembre 2009 ore 20.30 Parrocchia San Pietro e Paolo – Toscolano BS

26 dicembre 2009 ore 20.30 Centro Ricreativo Pra dal Lac’ - Tres TN

5 gennaio 2010 ore 20.30 Teatro Comunale – Nago TN (il concerto è organizzato dalla Parrocchia di Nago)

Info: Mariarita +39.349.1763741

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11Polonia

Nel mese di agosto l’Équi-pe della musica e del canto della Comunità Shalom ha tenuto vari concerti.

In poco più di due settimane, si è passati dalla Riviera adriatica - per molti luogo di vacanza e spesso, per i più giovani, di sfrenato diver-timento - alla Polonia, terra in cui la fede si incarna ancora in una spiri-tualità viva e concreta.Molte e diverse sono state le emo-zioni che hanno percorso questo “pellegrinare della musica shalom” per portare la gioia della parola di Dio al mondo.Nonostante tanta diversità, ancora una volta il portare l’amore di Dio attraverso il canto ha abbattuto le possibili barriere create dall’età, dalla lingua, dalla nazionalità, dalle diverse culture e tradizioni.In particolare in terra polacca, dove la lingua poteva rappresen-tare un ostacolo, si è toccata con mano la potenza della musica e del canto in grado di unire gene-razioni e popoli e permettere al-l’amore di Dio di entrare nel cuore di ogni uomo.Al termine dei concerti tenutisi nella piazza di Zory e al santuario della Divina Misericordia nella peri-feria di Cracovia, numerose perso-ne del pubblico si sono avvicinate manifestando con intensi sguardi, calorose strette di mano e sorrisi radiosi tutta la loro gratitudine per aver portato una goccia di speranza in più nella loro vita.Qualcuno, in uno stentato inglese, ha detto: ”Se ci siete voi, posso an-cora aver fi ducia in Dio e nell’uo-mo” e qualcuno di noi, con il suo incerto inglese, gli ha risposto: ”Se ci sei tu, noi possiamo avere anco-ra più fi ducia in Dio e nell’uomo”

TESTIMONIANZE

Vorrei esprimere un caloroso ringraziamento per la stupenda con-divisione del Vangelo attraverso la musica e la danza con cui avete coinvolto anche gli altri: sono stata a Zory, assieme a mio marito e ai miei due fi gli, ad assistere al vostro concerto.Invocando lo Spirito Santo dentro di me, ho sentito la sua presenza; una presenza delicata come un vento leggero. Ho chiuso gli occhi e le lacrime sono scese da sole, per la gioia e l’amore con cui mi ha riempita.Grazie per il vostro cuore, la fratellanza e il vostro sorriso sincero: sono segni della vostra fede cristiana. Penso che non si possa tenere nel cuore lo Spirito Santo, ma che si debba “gridarlo”, “cantarlo”, per testimoniare la nostra fede in Lui. Ancora una volta vi ringrazio di tutto cuore, augurandovi tanti doni dallo Spirito Santo. Dio e Maria Santissima vi proteggano.Vi saluto calorosamente

Basia, 32 anni, Polonia

Mi ha molto impressionato il con-certo che abbiamo fatto a Zory.La gente partecipava in prima persona alle canzoni, cantava e si muoveva con noi. Sembrava di essere come in una famiglia, una grande famiglia, che parla lingue diverse, ha usanze diverse, ma ha una cosa in comune: la fede. Una fede fortissima, raff orzata dal fatto che Giovanni Paolo II era di quella terra.È stato proprio toccante vede-re come adulti, ma soprattutto giovani della mia età o poco più grandi, partecipavano.

Elena, 15 anni, Italia

Musica sulla via della pace:

dalla Riviera adriaticaalla Polonia

di Annalisa Zanin

Page 12: N.16 Sulla via della pace 2009

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TESTIMONIANZE

Il pellegrinaggio in Polonia è un’esperienza che non dimenti-

cherò mai e che rimarrà per sem-pre impressa nel mio cuore.All’inizio sono partita con un po’

Il santuario della Madonna Nera di Jasna Góra (Montagna Lumi-

nosa), vicino alla città di Czesto-chowa, è il santuario mariano più importante e frequentato della Polonia, luogo simbolo per la na-zione polacca. Qui non è avvenuta alcuna apparizione, ma Maria ha manifestato la sua presenza e pro-tezione.

di perplessità, ma alla fi ne ne sono rimasta entusiasta e ho compre-so che era cambiato qualcosa in ognuno di noi.Visitare i luoghi sacri come quello in cui suor Faustina ha avuto la sua prima apparizione, i posti in cui è cresciuto Giovanni Paolo II, incontrare il cardinal Dziwisz, ai tempi segretario del Papa, pregare davanti al quadro della Madon-na di Czestochowa e ascoltare le commoventi storie di grande fede

di alcuni cristiani, sono state testi-monianze che hanno accresciuto la mia fede.Durante gli insegnamenti di Paolo, Eliana, Gregorio e Tiziano prende-vo appunti: non sono belle parole che rimarranno su un foglio di car-ta, ma parole che mi hanno illumi-nato e che mi accompagneranno nel cammino sulla via della pace.Ci vorrebbe un libro per descrivere tutto ciò che mi ha colpito in que-sto viaggio.

Mariateresa(15 anni)

Vi si custodisce dal 1384 un’imma-gine miracolosa della Madonna, proveniente da Costantinopoli. La tradizione narra che il quadro fu dipinto da S. Luca sulla tavola dove la Sacra Famiglia mangiava e pre-gava. Nel 1430, una banda di Ussiti di Boemia assalì e derubò il mona-stero; l’icona della Madonna venne spogliata degli ornamenti preziosi, colpita più volte con la sciabola e spezzata. Il dipinto fu restaurato alla corte reale a Cracovia. Non riuscendo a sovrapporre ritoc-chi di colore, tolsero dalla tavola i colori originali e dipinsero una nuova immagine, più fedele pos-sibile alla prima; restano visibili i segni dei colpi di sciabola sul viso della Vergine. Nel 1655 l’esercito svedese invase la Polonia; 3000 soldati cinsero d’assedio Jasna Góra, ma il prio-

Santuario della Madonna Nera di Jasna Góra - Czestochoware del monastero, con soli 160 uomini, decise di resistere. Dopo 40 giorni, gli svedesi si ritirarono: questo fatto fu attribuito ad una protezione speciale da parte di Maria. A questa notizia, tutto il paese insorse e scacciò gli invaso-ri. Per questo motivo, Jasna Góra divenne un luogo simbolo della libertà nazionale e dei sentimenti religiosi dei polacchi. Durante l’oc-cupazione nazista i pellegrinaggi furono vietati, ma il giovane Karol Wojtyła sfi dò il divieto e con due amici si recò segretamente a Jasna Góra, come rappresentante della gioventù polacca.Papa Pio XII , durante la seconda guerra mondiale, aff ermò: ”La Po-lonia non è sparita e non sparirà, poiché la Polonia crede, la Polonia prega, la Polonia ha Jasna Góra”.

Polonia

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Fra le esperienze più memorabili e signifi cative per noi “shalomine”, c’è stato il concerto a Zory.L’agitazione ci ha messo a dura prova: per la prima volta avevamo il compito di portare il messaggio di pace cantando in una piazza, per di più all’estero.Ci sono stati anche degli attimi di tensione a causa di alcuni proble-mi tecnici. Così ci siamo riuniti in preghiera. Quel momento mi ha toccata nel profondo, perché lon-

Il Santuario della Divina Miseri-cordia a Łagiewniki, un sobbor-

go di Cracovia, è legato a Santa Faustina Kowalska (1905-1938); qui c’è il convento in cui fu postulante e dove soggiornò nei suoi ultimi anni di vita. Le sue spoglie sono custodite nella cappella, meta di continuo pellegrinaggio. A fi anco del convento è stata recentemente costruita una grande chiesa.Elena Kowalska, nata da una po-vera famiglia di contadini, dovette superare molti ostacoli per entrare in convento, nonostante avesse avvertito con forza la chiamata di Gesù, apparsole all’età di 19 anni.

tana da casa e in un momento di grande diffi coltà ho sentito forte-mente la presenza del Signore, che non ci abbandona mai. Poco dopo tutti i problemi si sono risolti.La piazza era colma di gente che partecipava con grande entusia-smo.È indescrivibile l’emozione che ho provato nel vedere che, no-nostante le diffi coltà linguistiche, avevamo toccato i cuori di tutte le persone presenti.

Per la prima volta mi sono sentita vero strumento dell’amore di Dio.Ancor di più, il mio cuore si è col-mato di gioia nel vedere tanta fede, soprattutto nei giovani, che ci hanno detto: “Grazie di tutto! Continuate la vostra missione, noi vi penseremo. E ricordate che Dio è sempre con noi!”.Per noi giovani è stata un’esperien-za di crescita interiore e ci siamo riscoperti più uniti tra di noi.

Alla fi ne fu accolta come suora coa-diutrice, cioè addetta ai lavori più umili (in cucina, nell’orto e nel pani-fi cio), con poco tempo per dedicarsi alla preghiera. Destinata ad annun-ciare la misericordia di Dio, dovette prima sperimentare fi no in fondo quanto è grande il nostro bisogno di misericordia, in un lungo periodo di oscurità e desolazione spirituale, in cui si sentì rifi utata da Dio e schiac-ciata dal peso dei suoi peccati. Uscì da questa prova trasformata, con una straordinaria unione interiore con Gesù anche in mezzo al duro lavoro. Nel 1931, le apparve Gesù, in abito bianco, con due raggi, uno

rosso ed uno bianco, che uscivano dal suo petto, e le ordinò che fosse dipinta un’immagine che riproducesse questa visione, con la scritta: “Gesù, confi do in te”. Il Signo-re le manifestò anche il suo desi-derio che la prima domenica dopo Pasqua fosse proclamata festa della Divina Misericordia. Ammalatasi di tubercolosi, suor Faustina morì a soli 33 anni. Giovanni Paolo II la proclamò bea-ta nel 1993 e santa nel 2000; nel 1995, istituì la festa della Divina Misericordia.

Santa Faustina Kowalska e il Santuario della Divina Misericordia - Cracovia

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Domenica 31 maggio 2009, nella festa di Pentecoste, la Comuni-tà Shalom ha celebrato la propria “Giornata

di Alleanza”. È questa una delle ricorrenze più importanti per la Comunità, in cui ogni membro si impegna - davanti alla Chiesa e al mondo - ad essere fedele al carisma per il quale Dio ha fatto

diPaola Barlotti

Angeretti

Udienza da S. Em. Card. Stanisław DziwiszArcivescovo di Cracovia

Polonia

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15Giornata di Alleanza

sorgere la Comunità Shalom: esse-re cioè persone di riconciliazione, di gioia, di condivisione. Una pro-messa a Dio e ai fratelli.Dopo un momento molto forte di preghiera carismatica, il presi-dente Paolo Maino ha tenuto un insegnamento sul fondamento del carisma Shalom: essere uomini e donne chiamati a vivere a servizio della riconciliazione. Essere cioè diff usori di riconciliazione, per-ché conquistati dall’amore di Dio Padre, rivelatosi in pienezza sulla croce di Cristo.La riconciliazione è, quindi, la mis-sione principale della Comunità Shalom: riconciliazione con Dio, con gli altri, con noi stessi, lascian-dosi coinvolgere totalmente per scoprirsi fi gli amati, posseduti dall’Amore.È seguita la Celebrazione Eucaristica, presieduta da padre Ellerino Coz-za, Delegato diocesano per la Vita Consacrata, e concelebrata da padre Franco Pavesi, parroco di Varone.Durante la S. Messa, Eliana e Paolo Maino hanno introdotto le pro-messe del Patto di Alleanza.Tutti i fratelli hanno poi pronuncia-to la promessa.Alla cerimonia erano presenti an-

Giornata di Alleanza

INFORMAZIONE

che Fred Mawanda dall’Uganda e Peter Onyango e la moglie Agata dal Kenya.La Comunidad Shalom Colombia ha rinnovato le promesse di Alleanza durante una Celebrazione

Eucaristica in comunione di spirito e di fraternità.L’Arcivescovo di Trento, S.E. mons. Luigi Bressan, ha comunicato la propria vicinanza nella preghiera ed inviato la sua paterna benedizione

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EMERGENZAFilippine

“...nonna Maria è rimasta sola e senza casa. Ci sono momenti in cui dice di

non sentire più vita in sé, di non avere più spe-ranza... ma si lascia con-

solare, rivestire e, soprat-tutto, vuole raccontare il suo dolore. Ci chiede di

ringraziare tutti coloro che stanno portando aiuto: è un’esperienza di solidarietà e bontà – dice - che porta forza nel mio cuore”.

“...sono storie che si ripetono: mamme che piangono per non es-sere state capaci di salvare i propri fi gli, familiari che sperano di poter ritrovare i corpi dei propri cari per dare loro una sepoltura.In questi ultimi giorni sono stati visti cani girare con pezzi di carne umana...Questi fatti aumentano il senso di colpa in chi sta ancora cercando i propri cari e diminuisce la speran-za di poterli riabbracciare vivi”.

“...nel villaggio di Bagong Silangan il 70 per cento delle abitazioni sono sta-te distrutte o sono inagi-bili. Molti risultano an-cora dispersi. Fra questi c’è Harry, un ragazzino di 10 anni, che la mam-ma continua a cercare mostrando a tutti la foto ritrovata tra la mel-ma. Ci racconta i suoi sogni, in cui Harry cerca la strada per ritornare a casa e invoca disperato aiuto e lei rivede le scene dell’acqua che seppellisce ogni cosa”.

Suor Rosanna ci scrive:“Carissimi amici di Shalom,

penso che le notizie dei danni provocati dal tifone Pepeng che ha colpito la parte nord delle Filippine per due volte vi siano noti.È davvero un anno catastrofi co, ma ancora una volta la solidarie-tà costruisce ponti e fa arrivare il bene aff ettivo e materiale... e

Shalom è uno di questi ponti benedetti. Grazie!”

“...ai bambini che piangevano per la fame è stato dato ciò che l’acqua trasportava, proveniente da case o negozi. Questo ha calmato la fame, ma ha provocato gravi infezioni intestinali, essendo il cibo raccolto imbevuto di acqua sporca”.

“Abbiamo potuto portare con-solazione e speranza grazie alla vostra solidarietà: medicinali, riso e altri alimentari sono stati accolti con commozione, gratitudine ed hanno riportato il sorriso nei volti segnati dalla stanchezza e dallo sconforto”.

“Come trasmettere a tutti voi la gratitudine manifestata verbal-mente, ma anche con lo sguardo umile e commosso, con forti stret-te di mano per dire grazie, per essere qui fra noi?Grazie Shalom!”

suor Rosanna Favero

PER OFFERTE:causale “Emergenza Filippine”Cassa Rurale Alto GardaIT 67 C 08016 35320 00000 2142146

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aSostegnoDistanza

è un atto di solidarietà che mira a donare

una vita più dignitosa a bambini cui mancano un’adeguata alimentazione, istruzione, cure mediche e a offrire loro la consapevolezza di avere una speranza concreta per il futuro.

È possibile scegliere tra due forme di sostegno:individuale, per chi desidera aiutare il singolo bambino (del quale riceverà una scheda con foto e storia personale); collettivo, per chi preferisce sostenere un gruppo di bambini inseriti in una struttura.

Per permettere al bambinodi crescere e costruirsiun futuro migliore nella propria terra e fra la propria gente.

aDistanzaPerché

?

Contattando

l’Associazione Comunità Shalom al numero 0464.555767oppure

la responsabile Manuela Vivaldelli: [email protected]

Ti verranno date maggiori informazionie potrai iniziare il sostegno

COME

informarmiposso

mioContributo

ilsarà pari a € 26,00 al mesesia per il sostegno singolo che per quello collettivo, da versare

su uno dei seguenti conti, intestati a:ASSOCIAZIONE SHALOM SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE ONLUS

� Cassa Rurale Alto Garda - IT67C0801635320000002142146

� Unicredit Banca SpA - IT11A020083532000005550586� c/c postale n. 14482384

COME

aiutareposso

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Introduzione: perché la carità nella verità (1-9)Amore e verità rappresentano la vocazione che Dio ha messo nel cuore di tutti gli uomini. La carità è la sintesi di tutta la Legge di Dio, è il fondamento delle

relazioni umane. La parola “carità” tuttavia è ormai svuotata di senso. Bisogna allora attingere alla verità per poter comprendere e vivere la carità. La verità è la luce che illu-mina e dà senso a questa parola. Il signifi cato della carità è: dono, accoglienza, comunione. In una cul-tura senza verità, l’amore diventa un guscio vuoto, preda delle emo-zioni del momento e delle opinioni personali. I valori del cristianesimo, la fede nel Dio biblico, costituisco-no una base indispensabile per costruire una società buona e per uno sviluppo umano autentico. La verità del cristianesimo è questa: Dio ama ogni uomo e ognuno è chiamato ad accogliere e diff onde-re questo amore. Da questa verità derivano la responsabilità verso gli altri, la coscienza, la giustizia, la ricerca del bene comune, la condi-visione dei beni. In una parola, lo sviluppo autenticamente umano.

1) Lo sviluppo umano e il magi-stero della Chiesa (10-20)

Il Papa esamina i più importanti documenti del magistero che hanno trattato l’argomento dello sviluppo. Subito dopo il Concilio, Papa Paolo VI pubblica l’enciclica Populorum Progressio (Il Progresso dei Popoli), ispirandosi alla Costi-tuzione pastorale Gaudium et Spes. Paolo VI evidenzia che, per un vero sviluppo, bisogna tener conto di tutte le dimensioni dell’uomo, compresa quella spirituale, perché, senza la prospettiva di una “vita eterna”, il progresso si riduce al solo incremento dell’avere. Lo sviluppo umano è la conseguenza della libera risposta ad una vocazione di Dio; l’incontro con Lui ci fa ricono-scere l’immagine divina nell’altro e ci spinge a prenderci cura del prossimo. Il Vangelo, pertanto, è il fondamento per costruire una so-cietà nella libertà e nella giustizia. Nell’Enciclica Humanae Vitae, si illumina invece il legame tra etica della vita ed etica sociale: non ha basi solide la società che tollera la violazione della vita umana, soprat-tutto se debole ed emarginata (per esempio, bambini non desiderati, malati inguaribili). La principale causa del sottosviluppo non è la mancanza di beni, ma la mancanza di fraternità tra uomini e popoli.

2) Un’analisi dello sviluppo uma-no nel nostro tempo (21-33)

Il Papa analizza la situazione so-ciale, economica e politica del mondo d’oggi. La crisi economica ci ha mostrato che il mondo ha bisogno di un profondo rinnova-mento culturale, “riscoprendo i valori di fondo su cui costruire un

futuro migliore”. La corruzione e l’illegalità sono purtroppo presenti sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri. Sono aumentate le ricchez-ze, ma anche le disparità nella loro distribuzione. Non basta perciò progredire solo dal lato economi-co e tecnologico. Il Papa ricorda a tutti che “il primo capitale da sal-vaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità”. Lo sviluppo deve partire anzitutto dal rispetto per la vita: nei Paesi sviluppati economicamente, la mentalità antinatalista e l’aborto vengono spacciati come progresso culturale. Anche la violenza e la negazione della libertà religiosa, ancora molto diff use, frenano lo sviluppo dei popoli. La scienza da sola non basta a trovare nuove strade allo sviluppo: c’è bisogno di “amore ricco di intelligenza e di in-telligenza piena di amore”. La glo-balizzazione, grande opportunità in se stessa, ha bisogno di essere guidata dalla carità nella verità.

3) Fraternità e sviluppo (34-42)La logica del dono e della gratuità, presenti nella vita umana, sono segno della sua trascendenza. L’unità del genere umano e la co-munione fraterna provengono da Dio. Il principio di gratuità deve trovare uno spazio a livello politi-co, sociale, economico. La solida-rietà, per esempio, cioè il sentirsi tutti responsabili di tutti, non può essere delegata solo allo Stato, ma deve essere coltivata dalla società. Il Papa approfondisce, inoltre, il concetto di globalizzazione, un processo che deve essere orienta-

L’amore, pieno di verità, è un dono

Approfondimenti

“Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità ”

FORMAZIONE

diAlessandra ZaninSintesi dell’ultima Enciclica

di Papa Benedetto XVI

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19

to e che possiede grandi potenzia-lità di sviluppo in termini di ridi-stribuzione della ricchezza, purché se ne correggano le disfunzioni. È necessario impegnarsi per “fa-vorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza”.

4) Sviluppo, diritti e doveri, ambiente (43-52)

I “diritti presuppongono dei do-veri senza i quali si trasformano in arbitrio”, come aff ermava Giovanni Paolo II. Si assiste oggi ad una grande contraddizione tra il riven-dicare presunti diritti, arbitrari e voluttuari, e il violare i diritti fon-damentali di gran parte dell’uma-nità. I doveri delimitano i diritti umani, oggettivi ed indisponibili. Se i diritti dell’uomo si fondano sulle decisioni di alcuni, possono essere cambiati a piacimento ed il dovere di rispettarli si attenua. Questa situazione mette in perico-lo il vero sviluppo. Il Papa parla poi dell’ambiente come dono di Dio all’uomo e segno del suo amore. Se si considerano l’uomo e la natu-ra come frutti del caso o del de-terminismo evoluzionistico, viene meno il senso di responsabilità nelle coscienze. Se l’uomo rispetta se stesso nel diritto alla vita, alla morte naturale, al concepimento secondo natura, potrà facilmente rispettare anche l’ambiente.

5) Sviluppo e unità del genere umano (53-67)

“Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia che col-labora in vera comunione”. Infatti,

la natura spirituale dell’uomo si realizza nelle relazioni con gli altri e con Dio. Basti pensare al miste-ro della Trinità, in cui le Persone sono relazionalità pura. L’amore e la verità creano l’unità degli spiriti. Così il genere umano costituisce un’unità che deve essere vissuta e concretizzata. La dimensione religiosa risulta fondamentale a questo scopo. Esistono tuttavia forme di religiosità che allontanano le persone dagli altri e dalla realtà. Non tutte le religioni sono uguali; è necessario un discernimento per valutare la bontà di culture e religioni. Il criterio è la possibilità di emancipazione per tutti gli uomini, considerando la comunità umana in senso universale. Dopo ciò, il Papa tratta dei principi di sussidia-rietà e di solidarietà come vie indi-spensabili allo sviluppo e del gover-no della globalizzazione. Solo così, gli aiuti internazionali non scadono nell’assistenzialismo e non umiliano chi li riceve. La cooperazione deve, inoltre, diventare un’occasione di incontro culturale e umano.

6) Sviluppo e tecnica (68-77)La tecnica è un fatto profonda-mente umano in cui l’uomo si realizza e si inserisce nel mandato di Dio di “coltivare e custodire la terra”. Tuttavia il rischio è quello del tecnicismo, in cui il fattibile coincide con il vero, e l’unico crite-rio è l’utilità, al posto della verità. Tutto questo va contro l’autentico sviluppo umano. La tecnica ha reso onnipresenti i mezzi di comu-nicazione sociale, i quali possono concorrere allo sviluppo solo se al servizio della verità, del bene, della fraternità. Nel campo della

“C’è bisogno di amore ricco di intelligenza e di intelligenza piena di amore ”

bioetica, la tecnica fa emergere la domanda se l’uomo si produca da se stesso o se dipenda da Dio. La manipolazione della vita umana (fecondazione in vitro, ricerca su embrioni, clonazione, ecc.) mostra l’assolutismo della tecnica, non meno che la mentalità eutanasica, quando la vita è giudicata indegna di essere vissuta. Queste posizioni culturali, alimentate da una con-cezione materiale e meccanicistica della vita, vanno contro la dignità umana.

Conclusione (78-79)L’uomo ha bisogno di tornare a Dio, perché senza di Lui non sa dove andare e non sa chi egli sia. “Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera”, consapevoli che l’amore, pieno di verità, non è prodotto da noi, ma è un dono. Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, alla fi ducia in Dio e nella sua misericordia, al perdono, alla rinuncia a se stessi, all’acco-glienza, alla giustizia e alla pace

“I diritti presuppongono dei doveri senza i quali si trasformano in arbitrio ”

Page 20: N.16 Sulla via della pace 2009

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Come si sa, con l’arrivo dell’estate si moltipli-cano anche le feste, occasioni per ritrovarsi e stare in compagnia.

Purtroppo, per i giovani è diven-tata una delle tante occasioni per ubriacarsi, con la conseguenza che, in tante curve, non è poi così raro imbattersi in un mazzo di fi ori.Forse spesso ingenui, ma per qua-le motivo lo fanno?Molti iniziano così tanto per pro-vare, altri per essere accettati dal gruppo, mentre la maggior parte comincia a bere per svagarsi e distrarsi, “fuggendo” da quelli che

sono i problemi quotidiani.L’esperienza mi insegna che fuggire è inutile: prima o poi i problemi van-no aff rontati, e buttarsi nell’alcool non è certo una soluzione.Ma di chi è la colpa?Non esiste un colpevole preciso: invece che rifl ettere su se stessi e sulle proprie azioni, i giovani si perdono facilmente. Dopotut-to, è dagli adulti che prendono l’esempio. Spesso crescono in una società che insegna loro ad essere egoisti, non hanno nessuno che li possa guidare nel modo giusto, col rischio di perdersi in cose come la droga, l’alcool, il fumo, ecc.

Qual è la loro fi losofi a?La loro fi losofi a è “se bevi, sembri più grande”, “se bevi, allora sei fi go”.Non credo che siano dei motivi validi. Si può dimostrare la propria maturità anche senza bere, facen-do qualcosa di utile alla società nella propria vita, per contribuire ad un mondo migliore.Cosa possono fare i genitori?È risaputo che fare il genitore sia il lavoro più diffi cile del mondo. Si potrebbe cominciare dando il buon esempio, seguendo i propri fi gli, tramandando loro dei sani valori e trovando dei punti di dia-logo.Per noi giovani è una “mission impossible”?No: noi facciamo il diffi cile, è Dio che fa l’impossibile. Quello che potremmo fare noi giovani è non lasciarci infl uenzare da niente e da nessuno, e proseguire il nostro cammino pensando con la nostra testa.Dopotutto ci si può divertire be-nissimo anche senza fare uso di droga, alcool e fumo.

E voi, ke ne dite?

Giovani

Giovani

Alcool??No, grazie!!!

FORMAZIONE

Fuggire è inutile : prima o poi i problemi vanno affrontati

Page 21: N.16 Sulla via della pace 2009

Settembre, inizio scuola, un gruppo di ragazze che cerca un po’ di svago nel sabato sera per “evadere” dallo stress quotidiano.

Io faccio parte di quel gruppo. Le proposte sono tante... dobbia-mo divertirci e vivere appieno i nostri sedici anni.Non avrei mai immaginato che quel mese di settembre mi avreb-be fatto capire così tante cose.Loro erano abituate ad una vita molto diversa dalla mia, “vita da adulti” dicevano loro... ma adulte non erano...Ogni sabato sera partivano dal-l’happy hour e fi nivano col buttarsi letteralmente nell’alcool, tanto da tornare a casa barcollanti alle sei del mattino.Il lunedì mattina, a scuola, si rag-gruppavano in cerchio a ridere dei bicchieri di troppo, degli incidenti scampati con il motorino e dei ragazzi “incontrati” il sabato sera.

Mi sono resa conto che non erano loro a dovermi compatire per la mia diversità, ma ero io a dover essere triste per loro, perché non capivano che quello stile di vita non le avrebbe portate lontane.Perché non c’è niente di più bello che pensare con la propria testa e mantenere vivi i propri ideali e i propri princìpi!Adesso sono consapevole della mia scelta e sono fermamente convinta che sia quella giusta; non tornerei mai indietro, indipenden-temente da ciò che pensa il resto dei giovani

Ma la mia vita era distante anni luce da quella: era fatta di giornate trascorse alla luce del sole, di pizze, fi lm e lun-ghe chiacchierate.Fin da subito non mi sono sentita parte di quel gruppo: capivo che ciò che facevano era sbagliato, anche se per loro sembrava maledettamente giu-sto...Quel mondo fatto di feste a sfon-do alcolico copiate dai telefi lm americani, di tacchi vertiginosi e di abiti fi rmati non mi apparteneva. Finché un giorno ho compreso che non dovevo avere paura di dire ciò che pensavo... che non dovevo vergognarmi di dire che se qual-cosa mi piace la compro anche dai cinesi, e che preferisco le scarpe di pezza a quelle col tacco perché sono decisamente più comode, e il mio 1.71 di altezza mi basta! ... quello stesso giorno in cui ho capi-to che non volevo quella vita.

Quel settembre

in cui ho capito

cosa

non voglio essere

week-end

x giovani

di Mariateresa Tonelli

Tra le iniziative proposte ai giovani delle superiori, ricordiamo

l’incontro formativo-spirituale che avrà luogo il 27-28 dicembre

presso i Padri Comboniani di Limone sul Garda (Bs).

Saranno proposte rifl essioni sul tema “Diversità e identità”.

Relatrice: dott.ssa Sara Paternoster.

nn cnn ‛ccè niente di + bello ke

niente di + bello keo ke

pensare cn la propria testa!

pensare cn la propriaopria

Page 22: N.16 Sulla via della pace 2009

22

Primero Campamento Shalom-Colombia (di Julian e Bibiana Ramirez)

D al 10 al 12 luglio 2009 si è tenuto il “primero campamento” Shalom in Colombia, cui hanno partecipato con grande gioia venti bambini della Co-munidad Shalom.

È stato un momento molto bello che ci ha fatto sentire ancora di più famiglia,

un momento di grazia speciale di Dio. Gli animatori erano quattro giovani che

frequentano la Comunità con cui ci siamo preparati nella preghiera e nella for-

mazione. Sei adulti della comunità hanno prestato il loro servizio per la logistica e

l’alimentazione.È stata un occasione di grazia particolare in cui tutti hanno sperimentato una

forte presenza di Gesù, manifestata dai giovani e dai bambini nell’entusiasmo

e nell’allegria dimostrata nella partecipazione alle diverse attività: preghiera,

formazione, ricreazione, sport, teatro, riflessione, Eucaristia, piccoli lavori

di casa. Il tutto accompagnato da un’adeguata alimentazione (cosa non

scontata in Colombia), grazie alla condivisione degli assistenti che han-

no donato denaro e lavoro per affrontare i costi di questa esperienza

formativa.Si è parlato della persona di Gesù e di come mettere in pra-

tica il carisma Shalom negli ambienti dove vivono i bam-

bini, cominciando un cammino speciale di formazione ed accompagnamento dei piccoli che frequen-

tano la comunità

Campeggio Shalom - Italia(di Alberto Vivaldi)

Dal 12 al 19 luglio 2009, a Vetriolo (Tn), nella splendida cornice delle montagne del Gruppo del Lagorai, si è tenuto il terzo campeggio Shalom, aperto a bambini e ragazzi dagli 8 ai 13 anni. Una gioiosa occasione per condividere, con la semplicità e l’immediatezza dei piccoli, il carisma Shalom della pace, della gioia e della solidarietà, facendo sperimentare ai partecipanti la vita comunitaria nella gioia dello stare assieme, nel gioco, nel contatto con la bellezze della natura, nell’aiuto reciproco e con-creto del servizio, nella lode e nel ringraziamento a Dio per tutto ciò che si ha e che, molte volte, si finisce col dare per scontato.Argomento della settimana è stato il “pensa bene” che da sempre il fondatore Paolo Maino ha trasmesso come pensiero in grado di mantenere e rafforzare sulla via alla pace. Le escursioni in montagna hanno aiutato a comprendere ancora di più come il “sentiero della pace”, fatico-so, ma reso più semplice e gioioso dall’aiuto reciproco, ci porti ad alte vet-te, con la gioia-libertà di vedere il mon-do con occhi nuovi e prospettive nuove

INFORMAZIONE

Ragazzi

sulla via della pace

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Il 30 luglio scorso l’Agenzia Italiana del Farmaco ha au-torizzato l’uso della “pillola abortiva”, un prodotto chimico, denominato Ru486, che agisce

bloccando gli ormoni che favori-scono lo sviluppo della gravidan-za, e quindi provoca l’aborto. Un nuovo modo di abortire, presentato come un progresso rispetto al tradizionale intervento chirurgico, promosso per “la salute della donna”, spinto alla commer-cializzazione da colossali interessi economici, accompagnato da infi nite polemiche. Il farmaco è effi cace solo se assun-to entro le 7 settimane di gestazio-ne, cioè pochissimo tempo dopo che la donna ha saputo di essere incinta. Così viene tolta di mezzo l’unica, debole difesa della vita che la legge 194 del 1978 aveva po-sto: l’obbligo di aspettare 7 giorni dopo la richiesta di aborto, pro-spettando alla donna “le possibili soluzioni dei problemi proposti, per aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza e metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, e promuovere ogni op-portuno intervento atto a sostenere la donna, off rendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Una settimana che dava alla donna la possibilità di rifl ettere e magari di incontrare qualcuno che portasse insieme il peso di una scelta diffi cile. Molte vite sono state salvate in quella settimana.La presa di coscienza di essere incinta è spesso faticosa, e la facili-tà del ricorso all’aborto, anzi, quasi l’obbligo, quando la gravidanza non sia stata desiderata e ricerca-ta, impediscono una scelta reale e consapevole. Da qui la necessità

del tempo, del confronto, del-l’ascolto. A volte la scelta abortiva è motiva-ta dalla paura del cambiamento, dalla mancanza di fi ducia nelle proprie capacità di far fronte ad un nuovo impegno. A volte si tratta di una carenza culturale, in linea con la povertà dei modelli antropolo-gici più diff usi nella nostra società: una nuova vita umana è banaliz-zata e considerata come un bene di consumo, da avere a tutti i costi quando corrisponde al desiderio, e da eliminare quando “non è il mo-mento giusto”. Assai raramente, e ora soprattutto per le famiglie di immigrati, si tratta di motivazioni economiche o sociali. Se la donna, o possibilmente la coppia, incontra qualcuno che l’accolga, ascolti e accompagni, off rendo altri punti di vista, con simpatia e pazienza, spesso si apre all’accoglienza della nuova vita con una consapevolezza maggiore che se la gravidanza fosse stata “programmata”.Ma la Ru486 non permette attese, rifl essioni, alternative. La gravidan-za diventa una malattia da “gua-rire” il più rapidamente possibile, nella logica del “tutto subito, faci-le, sicuro”. Sui blog girano slogan del tipo “una conquista per le don-ne”, “si soff re meno”. Ma è proprio così?Dopo l’assunzione del farmaco, il bambino, il cui cuore la donna ha visto battere nell’ecografi a (neces-saria per stabilite l’esatta età ge-stazionale), viene ucciso in circa 3 giorni. Poi inizierà il travaglio, con dolore ed emorragie, anche im-portanti. La pillola di misoprostol che viene assunta a questo punto dovrebbe espellere l’embrione, ma in molti casi è stato necessario ricorrere ad un raschiamento per

ripulire completamente l’utero. Già nel 2005 l’autorevole rivista New England Medical Journal aveva segnalato come l’aborto chimico provochi una mortalità 10 volte maggiore di quello chirurgico. In altri Paesi d’Europa non viene nemmeno previsto il ricovero, così alla soff erenza si aggiunge una drammatica e straziante solitudi-ne.Infi ne, non va dimenticato il rischio educativo. La Ru486 trasmette alle giovanissime questo messaggio: vivete liberamente la vostra vita sessuale e, se succede un “pa-sticcio”, una pillola e via, tutto è risolto, senza nemmeno dirlo al ragazzo e ai genitori. Ansia, disturbi del sonno, scarsa autostima, attacchi di panico, depressione, fragilità aff ettiva, insicurezza, disturbi sessuali, sono le conseguenze normali che pese-ranno sul futuro di queste ragazze.Una grande menzogna, dunque, che banalizza ancora di più la soppressione della vita umana nascente e penalizza la donna. Privata ancora una volta della pro-tezione della legge, la vita umana più debole è affi data alla nostra vi-gilanza e al nostro impegno, nella consapevolezza che “quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, fi nisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (Caritas in Veritate, 28)

RU 486diMaria Luisa Toller

Approfondimenti

FORMAZIONE

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La vocazione di Mosè si colloca dentro la storia e la vocazione del suo popolo. Mosè avrà sempre sulle sue spalle la vita di un inte-

ro popolo, non potrà più pensare a se stesso, la sua vita starà tutta nel servizio reso alla sua gente. Ma anche qui nessuna certezza. Tutto questo lo farà soff rire, lo metterà in crisi, perché non sempre sarà riconosciuto e creduto come lea-der seguìto, amato, apprezzato e gratifi cato. La leadership stessa di Mosè dovrà fare i conti con la pre-carietà derivante dalla diffi coltà di dover gestire diversi tipi di respon-sabilità e autorità verso qualcun altro. La consapevolezza di essere un servo che attua il progetto di un Altro gli darà sempre la forza di ricominciare da capo e di non smettere mai di amare il popolo a lui affi dato. Mosè ci insegna che la responsabilità che abbiamo verso il nostro coniuge, i nostri fi gli, o nei nostri ambiti comunitari, pro-fessionali o associativi, per essere autentica dovrà avere l’umiltà di aff rontare le diverse situazioni che la vita ci pone davanti, sapendo di non essere noi i padroni del ruolo che rivestiamo all’interno della fa-miglia, della società o della nostra comunità ecclesiale.In Egitto: il confronto con il FaraoneDinanzi alla potenza del Faraone, considerato una divinità, Mosè sente fortemente la precarietà dovuta al profondo senso della

propria inadeguatezza, che già aveva manifestato dinanzi a Dio al momento della chiamata: «chi sono io per andare dal Faraone e per far uscire dall’Egitto gli Israeli-ti?» (Es 3,11). Il confronto con un sovrano così potente e con un mondo, come quello egiziano, si-curamente più evoluto, con la sua sapienza e la sua civiltà, fa sentire Mosè piccolo. Tuttavia, Mosè ha il coraggio di presentarsi dinanzi al Faraone e di avanzare le pro-prie richieste senza compromessi e mezze misure. Mosè, in forza della propria chiamata, accetta la sfi da, pur sapendo di giocare in condizione di inferiorità e di rischiare in qualsiasi momento la sconfi tta. Anche in questa situa-zione il comportamento di Mosè è illuminante. Cercare di comuni-care con la propria vita il fascino, la bellezza e l’impegno della pro-pria chiamata cristiana di fronte al potere esorbitante dei vari “Fa-raoni” di oggi può sembrare una lotta impari. Nondimeno, Mosè ci ricorda che la consapevolezza della propria chiamata è la vera forza capace di sorreggere anche questo tipo di precarietà.La notte di PasquaAnche il racconto più caro agli israeliti, quello della notte di Pasqua (cfr Es 12), mette in primo piano la precarietà della celebrazione. Non si mangia la Pasqua comodamente seduti, ma in piedi, pronti a lasciare la casa e le cose più care, in una condizione di esodo, molto simile a quella dei profughi di oggi. Israele è presentato da subito come un popolo in movimento, alla ricerca della propria libertà e della propria vera identità, che non può confon-dersi con quella delle altre nazioni.

Nel deserto: il confronto con il popoloLe tappe del cammino nel deser-to sono quelle che mettono più di tutte in evidenza il tema della precarietà. Dinanzi alle proteste del suo popolo, che rimpiange le sicurezze della precedente condi-zione, Mosè non ha altro da off rire se non la propria fi ducia nei con-fronti di quel Dio che ha operato la liberazione dall’Egitto compiendo segni e prodigi. La povertà della condizione in cui si trova lo porta a rivolgersi a Colui che lo ha chiama-to a compiere un simile cammino.È nel deserto che si avvertono di più le diffi coltà della vita, perché quello è luogo della non-vita, della penuria di cibo e di acqua. Ma ecco di nuovo il paradosso biblico: è proprio nella precarietà del deserto che Dio sa educare il suo popolo e sa prendersi cura dei suoi fi gli. «Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo al-levò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali» (Dt 32,10-11).Alla fi ne della vitaLa precarietà di un uomo come Mosè si trova anche nel suo ultimo giorno di vita. Egli non può entrare nella terra promessa, dopo aver speso tutta la sua vita per rag-giungerla. La contempla solo da lontano, accettando di morire e di lasciare che altri prendano il posto di guida.Nessuno sa dove sia sepolto Mosé – anche questo è precarietà – ma tutti, grazie a lui, hanno potuto conoscere la Parola liberante che per mezzo di lui Dio ha rivolto all’umanità

diGregorio Vivaldelli

Mosè: il profeta della precarietà– seconda parte –

Quanto amo la tua Parola, Signore

Quanto amo la tua Parola, Signore

FORMAZIONE

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Nel contesto delle com-plesse dinamiche cul-turali che occorre co-noscere per orientarsi nel “labirinto” in cui ci

muoviamo, abbiamo già parlato della secolarizzazione, ovvero di quel processo che tende a svuo-tare dall’interno la vita e i simboli religiosi, rendendoli privi di senso agli occhi dei più o relegandoli solo ai margini dell’esperienza, come un vago sentimento pri-vato, sostanzialmente inutile per aff rontare la concreta esistenza quotidiana. In quest’ottica i segni, le immagi-ni religiose, rischiano di perdere ogni signifi cato o di tramutarsi in amuleti e “ricordini”.Questo è precisamente il sen-tire di numerosi cristiani che vivono in Italia e nella vecchia Europa. Non c’è quindi da meravigliarsi se, durante il recente pellegrinaggio in Polonia per il 30° della Comu-nità Shalom, molti siano stati colpiti nel constatare che lì i sim-boli religiosi sono invece capaci di suscitare speranze, di dare forza nelle avversità, non solo ai singoli, ma anche ad un intero popolo, e di costituire il tessuto normale del vivere.In Polonia ogni Chiesa, anche la più modesta dal punto di vista storico e artistico, ostenta con fi erezza le sue immagini sacre e i suoi ex voto, testimonianza di qualcosa di vivo e vitale.

“Sacro”: è questa la parola chiave per comprendere un fenomeno a noi quasi sconosciuto, perché dimenticato.Agli inizi del secolo scorso, quan-do già la secolarizzazione stava avanzando in tutto l’occidente, uno studioso tedesco, Rudolf Otto, si occupò di descrivere l’àm-bito del sacro con gli occhi impar-ziali dello studioso. Per la prima volta egli dimostrò che si trattava di un sentimento universale, comune a tutti gli uo-mini e a tutte le culture, un sen-timento di timore e anche di ter-rore (tremendum), ma insieme di attrazione e di aff etto (fascinans), che si prova di fronte ad una di-mensione che tutti ci sovrasta.Avere il senso del sacro però non coincide con l’avere la fede; il sacro, da solo, è senza volto e quindi va evangelizzato, cioè va arricchito di quei signifi cati che possono condurre a Colui che ha creato tutte le cose, “quelle visibili e quelle invisibili”. La funzione del sacro però è inso-stituibile ed è quella di condurre a Dio, attraverso il segno e il simbolo.Si pensava, nella Chiesa semi-secolarizzata dei decenni scorsi, che, una volta giunti alla fede, gli uomini non avessero più bisogno del sacro, anzi, che fosse addirittura dannoso; allora, via tutte le imma-gini (o quasi) dalle Chiese, in nome di una presunta purezza della fede.Ma se il sacro senza la fede può essere pericoloso fi no alla super-stizione ed alla violenza, la fede senza il sacro diventa un freddo teorema intellettualistico su Dio. La vita di fede ed il sentimento del sacro non possono impune-mente essere separati.

Ora siamo già in un contesto di post-secolarizzazione e cresce il desiderio di recuperare i tesori autentici del passato. Giovanni Paolo II ha affi dato alla nostra generazione (parlo di gio-vani e vecchi insieme) il compito di realizzare un’operazione cul-turale molto complessa chiamata “evangelizzazione”; si tratta di riu-scire ad integrare nella nostra vita quotidiana in maniera armoniosa il sacro e il Santo, l’immagine e la realtà di Dio, ricorrendo alla forza dei segni, dando loro la forma adeguata alla sensibilità attuale senza privarsi della ricchezza che proviene dalla storia e dalla tradi-zione e, soprattutto, collocandoli nel cuore della Parola di Gesù, Salvatore di ogni generazione di uomini e donne di questo amato mondo

Il sacro e il santo Il labirinto

diTiziano Civettini

Il labirinto

“La vita di fedeed il sentimento

del sacronon possono

essere separati ”

FORMAZIONE

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26 L’areopago

L’areopago

La sapienza di un pagano

Nella sua visita in Gior-dania, nel maggio del 2009, il Papa ha bene-detto la prima pietra dell’Università di Ma-

daba. Nel suo discorso per l’occa-sione, Benedetto XVI ha detto: “La scienza e la tecnologia off rono be-nefi ci straordinari alla società ... Allo stesso tempo, le scienze hanno i loro limiti. Non possono dare risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. L’uso della cono-scenza scientifi ca abbisogna della luce orientatrice della sapienza eti-ca. Tale sapienza ha ispirato il giura-mento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento”. Accanto alle fonti più autorevoli del diritto umanita-rio del XX secolo, ha citato come frutto di sapienza etica un docu-mento antico di circa 2500 anni. Viene spontaneo chiedersi cosa sia, e perché abbia meritato tanto apprezzamento da parte del Santo Padre.Ippocrate di Kos visse nell’antica Grecia, probabilmente dal 460 al 370 avanti Cristo, ed è consi-derato “il padre” della medicina oc-cidentale, il primo che cercò di dare alla pratica medica una impostazione ra-

zionale. Sotto il suo nome ci sono pervenute varie decine di opere; una delle più celebri è il Giuramen-to, destinato tutt’oggi ad essere prestato alla fi ne dell’apprendi-mento dell’arte medica, prima di iniziarne la pratica. Gli studiosi tendono a ritenerlo del V-IV secolo a.C, quindi proprio dell’epoca di Ippocrate, ma non ne conosciamo esattamente l’origine, e quali scuo-le mediche lo adottassero. Si tratta di una serie di impegni che si giura di osservare in nome di “Apollo medico” ed altre divini-tà. Alcuni possono sembrare strani o poco rilevanti: conservare gra-titudine verso il maestro, non di-vulgare i segreti dell’arte, astenersi dalla chirurgia dei calcoli, lascian-dola a specifi ci operatori. Il cuore del giuramento è però l’impegno di mirare sempre e solo al bene dei malati, mai a nuocere. Questo nobile principio viene subito tra-dotto in impegni concreti, come il mantenere il segreto su quanto riguarda i pazienti. È qui che il

giuramento vola davvero alto. Si giura di astenersi da atti

sessuali sui pazienti e altre persone della loro casa, compresi gli schiavi. Questo dettaglio è molto eloquente: gli schiavi a quei tempi non avevano alcun diritto,

ma gli antichi medici capivano di dover ri-

spetto anche a loro. La frase più impressionante però è questa: “E non

darò neppure un far-maco mortale a

nessuno, per

quanto richiesto, né proporrò un tal consiglio; ed ugualmente neppure darò ad una donna un pessario abortivo (un bastoncino intriso di qualche sostanza tossica). Ma pura e pia conserverò la mia vita e la mia arte”. È un chiaro rifi uto dell’euta-nasia, del suicidio assistito, e del-l’aborto, che già allora qualcuno praticava. Questo testo straordinario suscita varie considerazioni. Oggi le po-sizioni dei cattolici a favore della vita vengono spesso accusate sbrigativamente di essere fi deisti-che e confessionali. Il giuramento di Ippocrate mostra invece che difendere la vita è semplicemente sostenere un valore umano univer-sale ed irrinunciabile, che i medici dell’antica Grecia riconoscevano e sostenevano laicamente almeno quattro secoli prima di Cristo. Comprendiamo anche meglio cosa signifi chi “valori universali”: non, che tutti li condividono, bensì che tutti, guidati da una coscienza retta e libera, hanno la reale possi-bilità di riconoscerli e farli propri.Ippocrate e gli altri antichi medici avevano scarsissime conoscenze di anatomia e fi siologia, e dispo-nevano di un armamentario tera-peutico terribilmente esiguo; ma erano veri medici, e seppero egre-giamente confrontarsi con diffi cili questioni che superano la mera tecnica, e che restano fondamen-tali anche oggi. Il progresso tecni-co ha aumentato i nostri mezzi, ma non la nostra capacità di aff rontare i problemi etici. Per questo, come diceva il Papa, serve la sapienza; anche oggi le persone di cuore retto la possono trovare, come questi grandi del passato

diWalter Versini

FORMAZIONE

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Carissimo, come sempre tocchi un argomento interessante e con il tuo fare un po’ scanzonato mi chiedi:

ma cos’è la gioia? c’è davvero o è una chimera? c’è già qui su questa terra o va aspettata, come una del-le tante vostre cose, per l’aldilà? Si è tentati di pensare che la gioia o c’è o non c’è e, e se non c’è, nes-suno può darsela, un po’ come il coraggio per don Abbondio. Pen-siamo, inoltre, che la gioia dipenda dalla situazione che stiamo viven-do: se tutto va bene, siamo nella gioia; se la situazione è diffi cile, siamo tristi. Abbiamo poi letto o sentito parlare dell’infl uenza che il nostro passato ha sul presente: se abbiamo avuto un’infanzia diffi cile, tutta la nostra vita sarà infelice. E poi pensiamo al caso, alla fortuna, a chi nasce con la camicia… e a chi nasce per lavarla…Ma è proprio così? La nostra stessa vita ci è testimone che non sem-pre è così. Ci sono momenti in cui all’esterno tutto va bene e noi non siamo sereni, non siamo felici, non siamo nella gioia. Per quanto poi si riferisce all’infanzia infelice… se mi guardo attorno, mi accorgo che niente nella vita è scontato e mec-canico. Non c’è un automatismo tra causa ed eff etto. Mi accorgo

- spesso con stupore - che uno stesso evento può produrre eff etti diversi. Ad esempio un evento tra-gico, una morte, una grave malat-tia: perché in una persona il dolore attiva risorse sconosciute e diventa motivo di nuova vita ed in un’altra motivo di morte? Penso, ad esem-pio, ad una delle soff erenze più gravi che si possano sperimentare: l’abbandono. Perché una persona che è stata abbandonata dai ge-nitori può vivere un’esistenza nel costante atteggiamento di vendet-ta e amarezza che si traduce nel “quanto ho soff erto io lo devono soff rire anche gli altri”? E perché un’altra persona, che ha vissuto lo stesso abbandono, può reagire esattamente all’opposto: “voglio che gli altri non soff rano quanto ho soff erto io”? Per analogia mi ritorna alla mente e al cuore un recente pellegrinag-gio fatto con la mia comunità in Polonia, e mi aff ascina la fi gura di padre Massimiliano Kolbe. Questo frate, deportato nel campo di ster-minio di Auschwitz, aveva off erto la sua vita al posto di un padre di famiglia destinato alla fucilazione. Era stato, quindi, rinchiuso nel bunker dei condannati a morte per fame. I testimoni raccontano di come da quel bunker uscisse-ro continuamente canti di gioia.

Spesso non sono le situazioni della vita a determinare la felicità o l’in-felicità, ma il modo in cui le inter-pretiamo e le viviamo. Ogni osta-colo, ogni diffi coltà, può diventare un’opportunità di bene, una possi-bilità di migliorare e di migliorarci, un’occasione per imparare a vivere nella gioia. Vedo già il tuo sopracciglio inar-cato in un punto di domanda: imparare a vivere nella gioia? Sì, perché ho l’impressione che la gioia non si possa cercare diretta-mente. È come il sonno: se lo cerco direttamente, scappa. E mi viene anche da pensare che vivere nella gioia non sia frutto del caso o della fortuna, ma sia una scelta. E come ogni scelta, richiede delle opzioni previe. Quali secondo te? Desidero lasciarti con un’altra domanda: cos’è il contrario della gioia? cosa la ostacola, la insidia, le nuoce?Sei nel mio cuore con tanto aff etto e simpatia Sempre tua Eliana

di ElianaAloisi Maino Vivere nella gioia

Carissimo...

Carissimo...

“Ma cos’è la gioia?C’è davvero o è una chimera?”

FORMAZIONE

Page 28: N.16 Sulla via della pace 2009

E D I Z I O N E S P A G N O L A D I “ U N P O S T O A O C C I D E N T E ”

Titolo: Un puesto en el OccidenteAutore: Tiziano Civettini

Claudia che muore di cancro a 19 anni, Silvia che lascia i suoi 25 su una moto...È diffi cile accettare la morte, soprattutto quella dei giovani. Una sprizzante voglia di vita che si spegne come una fi amma colpita da un getto d’acqua gelida. Dopo la scomparsa, il vuoto, le consolazioni illusorie. Oppure un percorso di senso alla

luce della Parola di Dio, di condivisione del dolore, di rispetto dei propri limiti. Se c’è un Occidente dove muore il sole, c’è sempre anche un Oriente pronto a farlo risorgere.

Don Domenico, uomo della misericordia di Dioa cura di Eliana e Paolo Maino

In occasione dell’Anno sacerdotale e del Trentesimo di Fondazione, la Comunità Shalom pubblica un libro agile e profondo sul co-fondatore don Domenico Pincelli, morto nel 2003.Nel volume convivono le linee portanti della spiri-tualità di don Domenico, le immagini della sua vita e le testimonianze di molti che hanno benefi cato del suo ministero.Ne traspare il volto di un prete innamorato di Gesù; un uomo di preghiera e un interprete originale del Concilio, che ha saputo valorizzare i laici e le don-ne, fi no a condividere con loro il rischio dell’avventura comunitaria.Don Domenico è stato soprattutto un padre che sa-peva ascoltare e guidare. La sua “via” alla riconciliazione ruotava attorno alla triade “ama prega perdona”.Il ricavato del libro andrà a fi nanziare un ospedale in Congo, già in funzione, che porta il suo nome.

E D I Z I O N E F R A N C E S E D I “ D O N N A , P E R C H É P I A N G I ? ”

E D I Z I O N E F R A N C E S E E I N G L E S E D I

“ L A B I B B I A N E L L A V I T A D E L L A F A M I G L I A ”

Titolo in francese: La Bible dans la vie de la FamilleTitolo in inglese: The Bible in the life of the familyAutore: Gregorio Vivaldelli

È proprio pensando ai tempi, agli impegni e alle stanchezze di una «normale» famiglia che questo libro è stato realizzato: è un umile e semplice tentativo di aiu-tare gli sposi, i genitori e

tutti i componenti della famiglia, a leggere la Bibbia, o per lo meno a incominciare a leggerla, dedicando ad essa un momento – breve ma intenso – che può diventare una sosta ristoratrice alla fi ne di una lunga giornata.

Titolo: Femme, pourquoi pleures-tu?Autore: Gregorio Vivaldelli

Il testo desidera mostrare come nella Bibbia Dio pone do-mande, solleva interrogativi, stimola la libertà e la scelta dell’uomo…Fin dalle prime pagine del primo libro della Bibbia il “Dove sei?” di Dio raggiunge l’uomo liberandolo dalla vergogna in cui si è rannicchiato dopo la prima disobbedienza. Allo stesso modo, nel cuore del mistero pasquale, quel “Donna, perché piangi?”

asciuga le lacrime di una comunità smarrita, restituendo ai discepoli la speranza e la fi ducia.In questo volume, l’autore, con la profondità e la concretezza che lo caratterizzano, off re un percorso di rifl essione attorno agli interrogativi di Dio, nella speranza che la Bibbia conti-nui ad essere un testo che, prima di off rire risposte, renda sensibile il cuore dell’uomo alle domande del suo Creatore. Tradotto anche in portoghese e polacco.

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