N. 42 Sulla via della pace

8
Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Via Pacis 20I6 n.42 Anno XI - n. 2 - Aprile-Giugno 2016 - Trimestrale - Contiene I.R. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi sullaVIAdellaPACE ® EDITORIALE: Essere o non essere... umani? CARISSIMO: Vola solo chi osa farlo PROGETTI DI SOLIDARIETÀ 2015

description

Rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

Transcript of N. 42 Sulla via della pace

Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Via Pacis 20I6 n.42

Anno XI - n. 2 - Aprile-Giugno 2016 - Trimestrale - Contiene I.R.Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

sullaVIAdellaPACE

®

EDITORIALE: Essere o non essere... umani?

CARISSIMO: Vola solo chi osa farlo

PROGETTI DI SOLIDARIETÀ 2015

L’Associazione Via Pacis è un’Associazione internazionale Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica di Diritto Pontificio.

Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlusViale Trento, 100 - 38066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. +39.0464.555767 - Fax +39.0464.562969 [email protected]

Per offerte:CASSA RURALE ALTO GARDAIBAN: IT 67 C 08016 35320 000002142146Codice BIC SWIFT CCRTIT2T04ABANCA UNICREDITIBAN: IT 11 A 02008 35320 000005550586Codice BIC SWIFT UNCRITM10FRBANCOPOSTAc.c. postale n. 14482384intestato a: Associazione Via Pacis onlus

SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno XI - n. 2 aprile-giugno 2016

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN)(19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Direttore di redazioneRuggero Zanon

RedazioneTiziano CivettiniRuggero Zanon

CollaboratoriPaola AngerettiStefania Dal PontAnnalisa Zanin

Archivio FotograficoPatrizia Rigoni

Distribuzione e numeri arretratiFausta Matteotti

EditoreAssociazione Via Pacis onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. +39.0464.555767Fax +39.0464.562969

GraficaCAOS [email protected]

StampaAntolini Tipografia - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di aprile 2016

In copertina:Colombia: vivere la sobrietà(Foto di Paolo Maino)

GARANZIA DI RISERVATEZZA Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n° 196/2003 (tutela dati personali) si garantisce la massima riserv-atezza dei dati personali forniti dai lettori ad Associazione Via Pacis onlus e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione, o di opporsi al trattamento dei dati che li riguardano, rivolgendosi al Titolare del trattamento dati, Associazione Via Pacis onlus – viale Trento, 100 – 38066 Riva del Garda (TN) o scriv-endo al Responsabile Dati dell’Associazione Via Pacis onlus Paolo Maino anche via email all’indirizzo [email protected]. è possibile consultare l’informativa completa all’indirizzo www.viapacis.info/privacy.aspx

3 Editoriale • Essere o non essere... umani?4 America Latina

- Colombia- Ecuador

12 GMG 2016 • Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia

15 Progetti di solidarietà 201523 Giovani

- Il coraggio di avere coraggio- La forza di amare

25 Chi scende sale26 Burundi a rischio genocidio28 Lavorare con amore31 Laudato si' • Da un'altra prospettiva 33 Quanto amo la tua parola • Fame di

affetto34 Checkpoint • Chi è il mio D(io)?35 Carissimo • Vola solo chi osa farlo

®

3

E D I T O R I A L E

Bambini appena nati strappati dal seno della madre. Persone derubate per sempre della storia, della memoria.

Donne usate come macchine da riproduzione. Non è la pagina del diario di un sopravvissuto in un campo di concentramento, è una realtà che ha nome e volti: si chiama utero in affitto o, se si preferisce l’accezione politicamente corretta, maternità surrogata, gestazione per conto d'altri.Così, l’atto di generosità più grande – la compartecipazione dell’uomo al mistero della vita – viene snaturato fino a diventare la negazione dei diritti più elementari, la morte della dignità. Il concepimento, da incontro di due vite, capaci di generarne una terza, è stato ridotto ad assemblaggio programmato di due gameti. Il grembo materno è trattato come

fosse una camera a ore. La scelta di dare la vita, di dare tutto, ha ceduto il posto a quella di fare un figlio a qualunque costo.Alla vita viene inferto un colpo mortale proprio lì, nella sua origine, nel cuore del suo mistero più affascinante. Un atto d’amore viene rimpiazzato da fredde clausole contrattuali, che in forza di un presunto diritto giustificano violenza e prevaricazione. La dignità della donna, tanto faticosamente conquistata, resta un lontano ricordo, e il suo corpo un’asettica incubatrice dove parcheggiare un embrione per nove mesi.Un figlio “concepito” senza storia, senza memoria, senza diritto di poter conoscere le proprie origini, è la morte della vita. Chi non ha fondamento, infatti, non ha futuro. È così che una violenza contro l’essere più debole ed indifeso, quel bambino che dipende in tutto e per tutto dai propri genitori, viene sbandierata come un atto d’amore, una conquista di civiltà.Ma recidere il legame madre/figlio, che si sviluppa nella gravidanza,

significa creare un orfano per legge, ridurre la maternità ad atto riproduttivo. E se il 'prodotto del concepimento' risulta difettato? Va eliminato. Ha solo il diritto a non avere diritti.Il concetto stesso di persona, di un essere dotato di dignità, viene oltraggiato, umiliato, calpestato; il corpo viene disumanizzato e ridotto a un oggetto di cui si può disporre a piacimento e di cui altri (che possono

arrogantemente permettersi di pagarlo) sono i padroni. Una schiavitù patinata.Occorre schierarsi con gli ultimi. E gli ultimi sono da sempre quelli cui viene negata la dignità, il loro stesso diritto ad esistere e di avere delle radici. È per questi

che vale la pena di lottare. È per essi che è stata scritta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Un figlio non può essere un prodotto, i gameti non possono essere merce di scambio, e il grembo materno non può essere un sito da prendere in affitto. Altrimenti non siamo più esseri umani.

ESSERE o non essere... UMANI?

«Un figlio “concepito” senza storia è la morte della vita»

di Paolo Maino

4

COLOMBIA

Per i membri di Via Pacis dell’America Latina, è stata provvidenziale, stimolante e gioiosa la visita di 22 giorni, nelle varie realtà Via Pacis del territorio, di Paolo ed Eliana Maino, Fondatori di Via Pacis.Un viaggio missionario dal programma intenso, in cui hanno potuto offrire diverse iniziative di formazione dei membri finalizzate a fortificare le relazioni istituzionali ed organizzare azioni inerenti alla presenza del carisma (es. seminari di pacificazione interiore, accompagnamento, ascolto di persone, rafforzamento delle relazioni fraterne).Sono diverse le testimonianze dei membri di Via Pacis e delle personalità della città che riferiscono come le maggiori ricchezze di questa visita non siano state le parole – seppur piene di sapienza e amore da parte dei Fondatori – che ci hanno regalato in vari incontri e attività, ma le loro stesse persone, il loro modo di operare, i loro gesti di amore concreto nella quotidianità della vita. Sono il riflesso vivo del loro essere ambasciatori di riconciliazione.

di Julian Ramirez Zuluaga

5

Il Signore mi ha fatto trovare casa, mi ha integrato nell’Associazione; sono stata attratta dal suo carisma e dalla sua spiritualità, dalla qualità umana dei responsabili e dei partecipanti. Sono convinta di camminare in compagnia di fratelli, e questo è garanzia di mutuo sostegno e crescita spirituale.Attualmente sento che in ogni incontro della Comunità matura la mia fede, la mia adesione, e migliora la mia concentrazione nella preghiera.Chiedo allo Spirito Santo di illuminarmi e rendermi forte in questo cammino di conversione che ho iniziato già da due anni; ho messo ordine nella mia vita sacramentale e ho assunto un maggior impegno attraverso il Patto di Alleanza.Che il Signore Gesù benedica la vita e la missione di Paolo ed Eliana, che ci hanno riempito di gioia con la loro vita, ci hanno arricchito con i loro insegnamenti, ci hanno edificato con la loro sensibilità, sapienza e testimonianza.

L’incontro con le Comunità e i Consigli LocaliRispettando le dinamiche proprie degli incontri settimanali di ogni Comunità, i Fondatori hanno favorito l’avvicinamento con ogni Consiglio Locale per ascoltare, di prima mano, come sta andando la vita di ogni comunità, per potenziare la missione e il contesto specifico nel quale ciascuna Comunità opera e per orientare e illuminare, alla luce del Carisma, tutto quello che si sta verificando come difficoltà proprie del cammino comunitario nella fede. Le Comunità trovano nelle loro riunioni settimanali di preghiera e formazione lo spazio per crescere nella fraternità e nell’identità. Durante questi incontri, i Fondatori ci hanno aiutato a fare esperienza concreta del potere dello Spirito nella nostra vita, chiedendo un’effusione carismatica su ogni Comunità. Si sono potute ascoltare varie testimonianze, tutte accomunate dalla maniera in cui in Via Pacis hanno trovato l’amore di Dio, l’accoglienza dei fratelli, sentendosi a casa e sperimentando l’efficacia del potere di Dio attraverso il Carisma che li ha toccati e visitati con la pacificazione interiore. Ciò ha permesso una maggior esperienza di libertà e di pace, vivendo più coscientemente e con maturità la fede. Uno degli incontri più significativi della Comunità è stato quello della nascente Comunità Via Pacis della Cattedrale di Armenia; 22 dei suoi partecipanti hanno vissuto con grande raccoglimento la preghiera di Affidamento a Dio. I membri hanno rinnovato le promesse battesimali chiedendo una nuova e potente effusione di Spirito. I fondatori, il responsabile dell’America Latina, Julian Ramirez, il vicario generale della Diocesi di Armenia, padre Carlos Arturo Quintero, con i loro interventi hanno esortato i membri di Via Pacis ad una maggior radicalità per vivere ogni giorno relazioni pacificate. Eliana Aloisi ha fatto memoria degli inizi di Via Pacis, come lampada di Dio per diffondere nel mondo il Vangelo della Pace.

AMANDAgomez MEDICO IN PENSIONE

LAVORARE CON AMORE

Eliana Aloisi Maino, fondatrice dell'Associazione Via Pacis, il 18 gennaio 2016 ha tenuto un intervento nell'ambito di un percorso di "Educazione alla cittadinanza responsabile" organizzato dalla "Scuola per la Politica, l'Economia e il Sociale" dell'Arcidiocesi di Trento dal titolo: "Motivazioni al lavoro".

Perché lavorare? Che senso ha lavorare nella mia vita? Il lavoro è una necessità o un valore? Il lavoro è benedizione o maledizione?Noi lavoriamo per la maggior parte della nostra vita e, spesso, tutta la nostra vita è lavoro. Il lavoro può

ucciderci, stressarci, “bruciarci”, mandarci in depressione, ma può anche essere motivo di autostima, fonte di soddisfazione e gratificazione.Ma tutto questo dipende realmente da quello che facciamo? Più occupiamo un posto importante, più facciamo carriera e più siamo gratificati?Se guardiamo alla percentuale dei suicidi (e il suicidio è la maggior forma di disagio), capiamo che forse non è ciò che facciamo che ci rende soddisfatti, perché il suicidio percorre trasversalmente tutte le categorie di persone. E, talvolta, rimaniamo stupiti che grandi personaggi, attori famosi o persone importanti siano incappati in questa esperienza così terrificante che è dare la morte a se stessi.Mi viene, allora, da pensare che non è ciò che facciamo che ci gratifica, perché, se fosse così, chi ha potere sarebbe la persona più realizzata… ma la storia ci mostra che questo non è vero.Al di là del fatto che ci sono lavori più o meno usuranti, è possibile che il mio lavoro diventi motivo di autostima e gratificazione? Sì, certo. Non, però, per quello che facciamo, ma per “come”come lo facciamo.Come fare perché la mia occupazione diventi motivo di gratificazione?La risposta più ovvia è lavorare con amore. È qualcosa di impossibile? Il Concilio, nella Gaudium et Spes, dice: "Chi lavora con amore, collabora con Dio" (GS 34). In altre parole, lavorando con amore, noi continuiamo l’opera di Dio.Cosa significa “lavorare con amore”? È possibile in qualsiasi tipo di lavoro?È chiaro che non si tratterà sempre di quell’amore emotivo per il quale ci viene una voglia terribile e irrefrenabile, ad

28

Avio, 18 gen 2016

di Eliana Aloisi Maino

esempio, di lavare i piatti!Lavorare con amore, e per amore, è una scelta: è la scelta di dare il meglio di sé, nel rispetto della mia dignità e di quella degli altri.Anche nel Vangelo si parla di questo: "Fate tutto per la gloria di Dio" (1Cor 10,31). Fare tutto, ogni cosa, proprio ogni cosa, per la gloria di Dio. E sant’Ireneo risponde: "La gloria di Dio è l’uomo vivente".Mi dà molta gioia pensare che quando facciamo le cose per la gloria di Dio – o per amore, in genere – questo ricade su di noi con una capacità maggiore, con una dilatazione maggiore di tutto quello che facciamo; tutto ricade su di noi, proprio come un vantaggio personale.C’è un però: nel fare tutto per la gloria di Dio ci vuole un po’ di libertà interiore. La maggioranza del disagio interiore è quello di viversi come persone negative, sempre scontente di sé, non in armonia con se stesse, con sensi d’inferiorità, d’inadeguatezza, di sentirsi sempre perdenti rispetto agli altri, in conflitto con gli altri, inaffidabili, brutti, cattivi…Tutti ci portiamo dentro questo senso negativo, chi più, chi meno.Ed è quel sapore amaro che rende così faticosa la vita, che qualche volta ci impedisce di gioire delle gioie – semplici o grandi – della nostra vita proprio a causa di questa pesantezza che ci portiamo dentro.Ma c’è un altro problema. Non solo ci sentiamo male con noi stessi, male nella nostra pelle, ma c’è in noi anche un bisogno vitale di avere un’idea positiva di noi stessi. E qui nasce il problema, perché se io ho un bisogno vitale di avere un’idea positiva di me, ma mi porto dentro un’idea negativa, nasce un conflitto tra questi due aspetti. E la vita si trasforma in un ring, nel quale io userò di tutto, e di tutti, per dimostrare – prima di tutto a me stesso, e poi agli altri – di valere qualcosa, di essere importante. E cercherò di dimostrarlo anzitutto a me.Userò del potere, di tutti i mezzi (anche dell’affetto), per dimostrare di non essere così negativo come mi sento. Penso, ad esempio, a quando sappiamo solo una virgola in più del nostro collega e lo facciamo pesare, magari, glielo sbandieriamo davanti, oppure ci mettiamo su uno sgabello di superiorità.Qualche volta, guardando l’arrivismo o il potere di certe persone, rimaniamo perplessi e forse un po’ ci scandalizziamo. Non ci viene, invece, in mente, che questo può rivelare una debolezza, più che una forza; può rivelare una ricerca di stima di sé.Tutto questo perché c’è sotto sempre una corsa: se raggiungo quel posto, quella posizione, allora sarò importante, conterò qualcosa, avrò valore, e non sarò più perdente. E in questo modo pensiamo di mettere a tacere, o di dare un po’ di “cibo”, a quel cane che ci abbaia dentro!Questa dinamica non si riscontra solo in ambito lavorativo, ma anche in famiglia, tra coniugi, nei nostri contesti affettivi.Dietro questi comportamenti non c’è cattiveria, bensì una ferita, una sofferenza interiore.Se anche in noi si accende qualche campanello d’allarme, quando ci accorgiamo di queste cose, cerchiamo di avere un po’ di misericordia (con noi stessi e/o con gli altri),

perché dietro questi comportamenti sgradevoli, non c’è quasi mai cattiveria, ma una profonda sofferenza interiore.Per amare, per poter lavorare con amore, dovremmo avere un po’ più di libertà interiore, che ci deriva dall’accettazione della nostra storia, del nostro vissuto, dei nostri pregi e difetti.Non posso certo dire al mio collega o al mio coniuge: "Sono fatto così, devi prendermi così…". Io sono responsabile della felicità, o dell’infelicità, che porto agli altri. C’è, dunque, un lavoro continuo che siamo invitati a fare sui nostri difetti, e sarà un lavoro che durerà tutta la vita, per diventare delle persone più amabili, persone con le quali sia più facile vivere e lavorare.

Se sarò una persona meno spigolosa, se avrò riconosciuto i miei difetti e avrò lavorato su di essi costantemente – è quello che il Vangelo chiama “conversione” – ecco che sarà più facile vivere accanto a me senza farsi del male, perché i miei spigoli pungeranno meno coloro che mi avvicinano.Ecco allora che s'innesca un circolo virtuoso: comincio a lavorare su di me, e il mio modo di rapportarmi con gli altri diventa diverso, e così anche il mio modo di lavorare.E il circolo virtuoso diventerà sempre più

ampio: più lavoro con maggior libertà, più lavoro meglio; più do il meglio di me, più respirerò maggiore libertà. E questo mi aiuterà a dare e a donarmi sempre e ancora di più. Diventerò una persona sempre più armonica, sempre più capace di vivere e relazionarsi con gli altri in modo armonico.Per l’autostima vige la “legge del più”. Io posso lavorare con la "legge del meno": donare il meno possibile, donare in modo svogliato, aspettare che passi la giornata, che finisca il turno di lavoro… Ma questo mi lascerà sempre più svuotato, scontento e non realizzato.Al contrario, se cerco di dare il più possibile, qualsiasi lavoro io svolga (che sia una casalinga, un impiegato o il Presidente della Repubblica), usando di tutte le mie capacità e doti, ecco che la prima persona ad avvantaggiarsi di questo sarò proprio io, perché ogni cosa avrà un ritorno positivo su di me, come maggior capacità di fare le cose e maggiore soddisfazione della mia vita.Certo che cercherò di migliorare la mia situazione lavorativa, che cercherò un lavoro migliore, ma la spinta sarà diversa. Se prima la spinta era quel “cane che mi abbaiava dentro”, ora ciò che mi muove sarà il desiderio di trafficare meglio le mie capacità, di mettere i miei doni sempre più in circolo, perché possano diventare un bene comune, e non solo un mio bene personale.Non vorrò più dimostrare qualcosa, ma mettere a disposizione degli altri qualcosa di mio.In questo modo sarò capace, un po’ alla volta, di dare dignità a qualsiasi lavoro svolto, perché non mi identificherò con quello che faccio, ma sarò più grande di quanto compio. E ancora, darò dignità a qualsiasi lavoro, senza sentirmi umiliato nel fare le cose che mi sembrano più umili.È proprio questo germe di libertà interiore che mi permette di vivere ogni cosa con maggiore libertà. E anche se sono casalinga – che è un lavoro oggigiorno non considerato e non valorizzato dalla società – saprò dare dignità a

29

«Senzafatica nonandiamo

da nessunaparte»

qualsiasi cosa faccia, anche la più semplice, perché la svolgerò in maniera diversa, con un timbro diverso, con uno stile diverso, con un amore diverso.Qualche volta vogliamo che la dignità ci venga data dagli altri, e dico questo pensando proprio alla frustrazione dell’essere casalinghe; per cui pensiamo che dovrebbero essere i nostri figli, nostro marito, a valorizzarci per quanto facciamo.Io direi piuttosto che, se non siamo noi a valorizzare quanto facciamo, difficilmente lo potranno fare gli altri, perché, se ci facciamo zerbino, gli altri si puliranno le scarpe su di noi.Solo noi possiamo dare dignità a quanto facciamo, ma la dignità non è qualcosa che si acquista fuori, bensì dentro di noi, un po’ alla volta, lavorando sulla nostra libertà interiore.È molto interessante constatare che in questo cammino di dare dignità alle cose dobbiamo dare dignità anche alla domenica, scoprire, cioè, nel riposo domenicale, nella “legge di Dio”, una legge di benessere per l’uomo.Dovremmo cercare di uscire dalla vecchia idea che ci fa pensare che la legge di Dio sia qualcosa di castrante, che è fatta per chissà cosa, ed entrare nella vera libertà dei figli di Dio, entrare nella vera esperienza che la legge di Dio è per il bene dell’uomo, per il bene dei figli di Dio, per il mio bene.Dovremmo entrare nell’esperienza che il sabato – per noi la domenica – è per l’uomo. Non è che Dio voglia che noi andiamo a Messa la domenica, che sia questo il problema di Dio. Eventualmente siamo noi che abbiamo bisogno di andare a Messa.Un altro aspetto che c’entra tanto con questo argomento sono le relazioni nel nostro ambiente lavorativo, nella nostra famiglia. Le relazioni sono l’inferno o il paradiso di ogni vita. Quando funzionano, quando si lavora volentieri insieme agli altri, il lavoro diventa decisamente più leggero.Quando riusciamo ad appianare i conflitti, a non scaricare sugli altri le cose pesanti che dobbiamo fare noi, allora il lavoro diventa leggero.Ricordiamo che, dove ci sono delle relazioni, ci sono

sempre anche dei conflitti. Sempre! Non c’è possibilità di avere relazioni senza conflitti, ma è importante imparare che dove c’è un conflitto, sono coinvolto anch’io, anch’io ho una responsabilità, e che non è sempre responsabilità dell’altro.Oggi, lo stile un po’ comune è quello di pensare che i responsabili di tutte le cose che non vanno siano gli altri. Ma se c’è un conflitto nel mio ambiente (lavorativo o familiare), forse anch’io ho contribuito a creare quel conflitto. Non dobbiamo pensare, dunque: "Se cambiasse il mio datore di lavoro, se avessi un altro marito/moglie/figli, se ci fosse un altro parroco… allora le cose andrebbero meglio…", perché, se c’è un conflitto, in qualche modo io c’entro.Un aspetto che m’inquieta e mi preoccupa è come educare al lavoro le nuove generazioni. Credo che se i giovani non si abituano già ora al lavoro, sarà molto difficile che lo facciano quando saranno più grandi.Negli educatori e nei genitori si sente spesso un ragionamento di questo tipo: "Non voglio che mio figlio soffra o faccia la fatica che io ho fatto nella mia vita!".E così succede che i ragazzi vengano esonerati da qualsiasi fatica, da qualsiasi lavoro e… si vedono nonne portare lo zainetto dei loro nipoti. È la generazione che io definisco “dei genitori con lo zainetto dei figli”.Ma il frutto di tutto questo è il disimpegno, la noia, l’irresponsabilità.E succede anche che, quando non si dà quanto si dovrebbe, quando si è irresponsabili, l’effetto sarà la disistima: questi ragazzi non si sentiranno bene con se stessi.Quello che possiamo fare verso i nostri figli è educarli

a tirare fuori il massimo da loro stessi, cercando di far uscire tutte le capacità che hanno, lasciando che facciano fatica.Senza fatica non andiamo da nessuna parte!E ancora: possiamo insegnare loro, possiamo fare in modo che si rendano conto che la scuola è una delle migliori palestre per imparare a misurarsi. Ed è una palestra eccezionale, e più facile, perché ad una fatica corrisponde anche una gratificazione.Possiamo insegnare loro a vivere la scuola in modo diverso, e possiamo

insegnare loro a collaborare in famiglia, proprio come educazione al lavoro.Un aspetto che può rendere tutto più semplice è la gratitudine; essere grati a Dio o verso la vita, essere grati della possibilità che abbiamo di lavorare, ad esempio.Anni fa sono stata ammalata per lungo tempo e, durante quel periodo, non potevo fare niente. Proprio in quella situazione ho scoperto il dono, la grazia, di poter fare tante cose, anche semplici, come rifare il letto, lavare i piatti, stirare.Dovremmo imparare ad avere questo senso di gratitudine verso Dio e la vita per tutto quello che abbiamo – ed è veramente tanto! – senza dare nulla per scontato.Se diventeremo persone che sono consapevoli di quello che hanno e sanno ringraziare per questo, saremo anche persone più positive e felici, perché i primi ad essere contenti saremo proprio noi.

30

«Chi lavoracon amore,collaboracon Dio»

(GS 34)