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MUSICA E NEUROSCIENZE: dalle attitudini musicali al processo musicoterapico di Beatrice Mazza In linea di principio possiamo riferirci ai musicoterapisti come a professionisti specializzati nell’uso della musica, del suono, del silenzio e del movimento a fini terapeutici”. Gabriela Wagner Introduzione Il potere della musica è conosciuto da sempre, così come antico è il suo utilizzo a fini curativi, tuttavia è solo in tempi piuttosto recenti che la musica è diventata oggetto privilegiato della ricerca scientifica. L’attitudine musicale, affascinante e misterioso tratto distintivo della specie umana, per lungo tempo è stata ritenuta una questione di pertinenza artistica, lu- dica o culturale, ricevendo scarse attenzioni dalla letteratura scientifica che non ha ritenuto potesse essere oggetto di studio dal punto di vista biologico. Attualmente, le nuove tecnologie a disposizione e un rinnovato interesse stanno determinando il sostanziarsi di importanti intuizioni scientifiche attraverso un lavoro ad ampio spettro. La musica costituisce un’opportunità per studiare numerosi aspetti cognitivi come l’apprendimento, la memorizzazione, l’elaborazione dell’informazione, ma anche per approfondire le complesse dinamiche neuronali alla base delle reazioni emotive. È opinione diffusa che lo studio della musica e lo studio del cervello possano essere mutualmente rivelatori. Gli obiettivi delle neuroscienze potrebbero sembrare molto lontani dall’attività musicoterapica, ma credo che alcuni aspetti che emergono delle recenti pubblica- zioni in questo settore costituiscano un importante spunto di riflessione e un’oc- casione preziosa di arricchimento nel campo della musicoterapia, dove la musica, e tutto ciò che ruota intorno ad essa, ha massima rilevanza. La ricerca contribuisce a fare luce su molti aspetti dell’esperienza musicale, che appare con sempre mag- 15

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MUSICA E NEUROSCIENZE:dalle attitudini musicali al processo musicoterapico

di Beatrice Mazza

“In linea di principio possiamo riferirci ai musicoterapisti come a professionisti specializzati

nell’uso della musica, del suono, del silenzio e del movimento a fini terapeutici”.

Gabriela Wagner

Introduzione

Il potere della musica è conosciuto da sempre, così come antico è il suo utilizzoa fini curativi, tuttavia è solo in tempi piuttosto recenti che la musica è diventataoggetto privilegiato della ricerca scientifica.

L’attitudine musicale, affascinante e misterioso tratto distintivo della specieumana, per lungo tempo è stata ritenuta una questione di pertinenza artistica, lu-dica o culturale, ricevendo scarse attenzioni dalla letteratura scientifica che nonha ritenuto potesse essere oggetto di studio dal punto di vista biologico.

Attualmente, le nuove tecnologie a disposizione e un rinnovato interessestanno determinando il sostanziarsi di importanti intuizioni scientifiche attraversoun lavoro ad ampio spettro.

La musica costituisce un’opportunità per studiare numerosi aspetti cognitivicome l’apprendimento, la memorizzazione, l’elaborazione dell’informazione, maanche per approfondire le complesse dinamiche neuronali alla base delle reazioniemotive. È opinione diffusa che lo studio della musica e lo studio del cervellopossano essere mutualmente rivelatori.

Gli obiettivi delle neuroscienze potrebbero sembrare molto lontani dall’attivitàmusicoterapica, ma credo che alcuni aspetti che emergono delle recenti pubblica-zioni in questo settore costituiscano un importante spunto di riflessione e un’oc-casione preziosa di arricchimento nel campo della musicoterapia, dove la musica,e tutto ciò che ruota intorno ad essa, ha massima rilevanza. La ricerca contribuiscea fare luce su molti aspetti dell’esperienza musicale, che appare con sempre mag-

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giore evidenza un’esperienza di tipo multimodale che coinvolge non solo l’udito,ma anche la vista, il tatto, l’olfatto, il gusto, l’apparato motorio, il linguaggio, lamemoria, la creatività, la gratificazione e la motivazione.

La consapevolezza di questo aspetto multimodale dell’esperienza musicale puòportare a guardare con nuovi occhi alle attività musicali che pratichiamo abitual-mente o che ci vengono proposte dai nostri pazienti. Inoltre lo studio scientificodelle esperienze musicali, oltre a suffragare la prassi musicoterapica, può contri-buire al suo sviluppo e al suo riconoscimento scientifico, in un momento estre-mamente delicato della sua storia.

All’origine delle attitudini musicali

Una delle questioni più affascinanti che le neuroscienze stanno indagando negliultimi decenni, riguarda la precocità delle attitudini musicali. Non solo i bambinisembrano venire al mondo già capaci di elaborare i suoni dell’ambiente che li cir-conda, ma l’abilità di discriminare le frequenze è stata rilevata già durante la vitaintrauterina (Trehub, 2003). Nei primi mesi di vita i bambini dimostrano una spic-cata preferenza per la consonanza e le combinazioni armoniche di suoni, a solisei mesi sono in grado di ricordare melodie e riconoscerle dopo alcune settimane.Il sistema nervoso dei bambini sembra equipaggiato per percepire e riconoscerele differenze nei suoni musicali in modo da costruire un sistema di regole sia rit-miche che melodiche (Trehub, 2004). Queste evidenze sostengono l’idea diffusache nello sviluppo ontogenetico della specie umana la musica non sia una con-quista recente né una funzione accessoria, bensì un’acquisizione arcaica che vieneespressa fin dalle prime fasi di sviluppo del nostro sistema nervoso.

È quello che sostiene l’archeologo inglese Steven Mithen (2007) in una recentepubblicazione, dove definisce la musica un adattamento selettivo dell’uomo. Svi-luppando le idee già espresse da Charles Darwin egli ipotizza che l’uomo primi-tivo1 abbia usato un linguaggio fatto di suoni e movimenti corporei.

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1 L’ipotesi di Mithen è che prima dell’homo sapiens l’uomo di Neanderthal, dotato di alte vie respiratorie, vivessein gruppi sociali che richiedevano il continuo scambio di informazioni. Non ancora dotato delle strutture cere-brali che avrebbero permesso l’evoluzione del linguaggio nell’homo sapiens, l’uomo di Neanderthal potrebbeaver utilizzato, a scopo comunicativo, un codice articolato composto di suoni e di gesti. Si tratta ovviamente diuna ipotesi speculativa, ma nel suo libro fornisce una vasta e convincente serie di prove a suo sostegno.

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Un importante aspetto, messo in evidenza da alcune ricerche neuroscientificheche cercavano di indagare la reazione dei brividi associata all’ascolto di brani, èche la musica è in grado di attivare aree cerebrali solitamente coinvolte nei mec-canismi di gratificazione e motivazione (Blood, Zatorre, 2001). Proencefalo, ag-gregati del tronco encefalico e aree corticali coinvolte nella valutazione emozionalecome le regioni orbito frontale e insulare, solitamente gestiscono le reazioni aglistimoli biologicamente gratificanti ed essenziali per la sopravvivenza, come il ciboo il sesso. Il fatto che un’attività astratta come la musica eliciti una risposta nei si-stemi cerebrali predisposti a garantire la sopravvivenza della specie, viene inter-pretata come conferma del ruolo di vitale importanza che essa ha avuto nellanostra evoluzione, legato al processo di comunicazione. Alcuni suggeriscono chequesto ruolo sia più specificatamente riconducibile ai rituali di corteggiamento(Darwin, 1859) o all’interazione madre-bambino (Trehub, 1999; 2003).

Riprendendo Zatorre (2005, pag. 315) è dunque possibile ipotizzare che “lamusica, e tutte le arti in un certo senso, riescono a trascendere la semplice perce-zione, precisamente perché entrano in contatto con la nostra neurobiologia piùprimordiale”.

Oggi si potrebbe pensare che essa rappresenti per lo più un aspetto ludico edespressivo della nostra vita, tuttavia ci ritroviamo strutturalmente dotati di un si-stema di elaborazione musicale molto sofisticato, che ci consente di entrare in re-lazione con la musica a più livelli (Patel, 2010).

Ad un livello fisiologico le reazioni alla musica sono ben documentate da unalunga tradizione di studi2 che hanno rilevato alterazioni del ritmo cardiaco e re-spiratorio, della conduttività elettrica del corpo, della resistenza galvanica dellapelle e della pressione sanguigna, durante l’ascolto musicale. Sono stati rilevateanche delle influenze positive a livello biochimico e ormonale nei valori correlatiallo stress (Knight, 2001; Pellettier, 2004; Wachi et al., 2007).

A livello psicologico, tutti noi abbiamo sperimentato come la musica possasollecitare cambiamenti nel tono dell’umore e nelle risposte emotive, come possaevocare ricordi, immagini, sensazioni.

Esistono altri livelli nella nostra esperienza musicale, quello pragmatico che fadella musica un mezzo di comunicazione e di interazione sociale, un livello sim-bolico che implica l’espressione di significati metaforici, il livello creativo-espres-sivo o ancora quello estetico o quello culturale. Ciò a dimostrare che l’esperienza

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2 I primi studi in questo settore risalgono agli anni ‘20 del secolo scorso.

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musicale permette l’integrazione di diversi elementi e l’interazione a vari livelli,tenendo insieme aspetti legati all’emotività, alla socialità, alla comunicazione, al-l’espressione, al movimento e alla memoria, e fornendo un’occasione unica perentrare in contatto con sé e con gli altri.

Musica e funzioni cognitive

Non è possibile affermare che le abilità musicali costituiscano una capacità co-gnitiva modulare, cioè siano funzionalmente autonome da altre capacità cognitive.I ricercatori non sono stati in grado di isolare aree cerebrali dedicate esclusiva-mente all’elaborazione musicale, che non vengano coinvolte in nessuna altra fun-zione cognitiva. La difficoltà ad individuare i meccanismi attraverso i quali il nostrocervello percepisce ed elabora gli stimoli musicali è dovuta principalmente al fattoche la musica, di per sé, costituisce uno stimolo molto complesso che riunisce di-verse componenti e richiede l’attivazione di diverse funzioni cognitive, alcune spe-cifiche ed esclusive (stabilire una tonalità, intuire un intervallo, ecc.), altre generalied impiegate in diversi campi (la memoria, ad esempio).

Il primo passo nell’approcciare lo studio in questo settore, è stato quello dicomprendere i diversi elementi costituenti lo stimolo musicale. Le componenticaratteristiche del suono, – altezza, intensità e timbro –, si intersecano con gli ele-menti costituitivi della composizione musicale, – melodia, ritmo e armonia. Inol-tre, nel caso in cui si prenda in esame l’esecuzione musicale, vengono implicatiulteriori sistemi di elaborazione come quelli visivo, tattile, motorio o fonatorionel caso del canto.

La produzione e l’ascolto musicale, attività naturali e istintive dell’uomo pre-senti in tutte le società e in tutte le epoche, costituiscono a livello cognitivo unadelle sfide più complesse ed impegnative che la mente umana possa intraprendere.Come dimostra Zatorre (et al., 2008) la performance musicale, a differenza di altreattività senso-motorie, richiede l’estrema coordinazione di diverse funzioni ordi-nate gerarchicamente e distribuite in zone diverse della corteccia cerebrale.

Uno dei campi più indagati dalle neuroscienze è quello del linguaggio che sem-bra condividere molte affinità strutturali con la musica: inflessione, intonazione,tempo, ritmo e melodia. In entrambi i casi si tratta di decifrare flussi di suoni ar-ticolati e complessi, soggetti a rapidi cambiamenti e segmentazioni (Patel, 2003;Patel, Daniele, 2003; Patel, 2008).

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Attualmente la ricerca non è in grado di confermare l’ipotesi che l’abilità mu-sicale possa essere considerata un’estensione della parola e che musica e linguaggiocondividano, in tutto o in parte, le medesime risorse neurali. Il quadro si presentainfatti molto articolato e spesso la complessità degli schemi neurali va oltre la ca-pacità di misurazione dell’attuale tecnologia. L’aneddotica e le ricerche hanno pro-dotto una quantità di dati spesso in contrasto tra loro, che hanno sollevatointeressanti quesiti. Se da una parte non è possibile affermare che possediamo deicentri deputati specificatamente all’elaborazione musicale, dall’altra molti casi dilesioni cerebrali con conseguenti disfunzioni cognitive a vari livelli, non hannocompromesso le abilità musicali.

Ad esempio l’uso della musicoterapia nella riabilitazione dei pazienti affetti daafasia3 ha messo in evidenza che in molti casi l’impossibilità di usare il linguaggionon pregiudica le abilità musicali4: i soggetti sono spesso in grado di cantare cor-rettamente melodie complete di testo. In nessun caso le compromissioni a caricodell’area del linguaggio sembrano interessare le attitudini musicali, tanto che questipazienti sono spesso in grado di trarre più giovamento dalla musicoterapia, cheda una terapia specifica della parola.

Nella ricerca verso la comprensione dei processi cerebrali responsabili dei sor-prendenti risultati ottenuti dalla terapia dell’intonazione melodica5 e dal canto coni pazienti affetti da afasia, l’indagine tramite tomografia ad emissione di positroniha rilevato come lo stimolo musicale sia in grado di attivare contemporaneamentearee appartenenti ai due emisferi cerebrali. In particolare la musica stimolerebbel’area di Broca dell’emisfero sinistro il cui malfunzionamento è causa dell’afasia,ma svolgerebbe simultaneamente una sorta di inibizione dell’iper-attività dell’areaomologa nell’emisfero destro, che si pensa costituisca una delle cause dell’inde-

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3 Disturbo specifico del linguaggio, che coinvolge in particolar modo l’area di Broca e quella di Wernicke. Nelprimo caso si osserva un tipo di afasia detta non fluente, in cui oltre ad una compromissione lessicale e gram-maticale si verifica una perdita degli aspetti che riguardano il ritmo e l’inflessione del linguaggio. L’afasia di Wer-nicke è invece di tipo recettivo e riguarda principalmente la comprensione del linguaggio parlato.4 Interessante a questo proposito il caso di due grandi compositori come Maurice Ravel e Vissarion Shebalin,che svilupparono gravi forme di afasia in seguito a lesioni cerebrali dell’emisfero sinistro. Il deficit del linguaggio,pur provocando difficoltà in alcune aree musicali come ad esempio la lettura di uno spartito, non compromisela loro abilità nel comporre musica di altissimo livello.5 La terapia dell’intonazione melodica è una forma di musicoterapia ideata nel 1973 dall’equipe di Martin Alberta Boston per la cura dei pazienti afasici. Consiste nell’insegnare ai pazienti a intonare col canto brevi frasi. In unsecondo tempo vengono rimossi gli elementi musicali dalle frasi e in molti casi i pazienti riacquistano, almenoin parte, la capacità di parlare.

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bolimento dell’area di Broca sinistra, mantenendola a livelli normali. Si potrebbeaddirittura ipotizzare che, grazie al meccanismo della plasticità neuronale, esistala possibilità di trasferire nell’emisfero destro del nostro cervello alcune funzionirelative al linguaggio che solitamente hanno sede nell’emisfero opposto, usandola musica per implementare tale riorganizzazione.

Negli anni ’60 del secolo scorso, lo studio di pazienti con danni alla cortecciauditiva, responsabile della prima analisi e interpretazione dei suoni percepiti tra-mite l’orecchio, ha portato alla luce un fenomeno molto singolare: un problemaspecifico e selettivo nella comprensione dell’altezza dei suoni che porta all’impos-sibilità di distinguere una qualsiasi melodia, anche la più familiare (Patel et al.,2008, 2008a). Gli studi sull’amusia, che nell’ultimo decennio sono aumentati inmodo esponenziale e hanno tutt’ora un’importanza cruciale nell’aumentare lacomprensione dei processi neurali alla base della nostra esperienza musicale, con-tribuiscono a dimostrare che la musica può davvero essere oggetto di uno studioscientifico (Critchley, Henson, 1977; Peretz et al., 2002).

Un altro aspetto molto interessante, che interessa le funzioni cognitive, è co-stituito dal potere narrativo e mnestico della musica. Basti pensare a come la rima,il metro e il canto siano stati fondamentali nelle culture orali a tramandare opereletterarie, preghiere o poesie, e a come ancora oggi sia frequente l’uso di filastroc-che per agevolare la memorizzazione di informazioni come l’alfabeto, i mesi del-l’anno, ecc. (Lavelle, 2003; Miranda et al., 2007). Numerosi sono i casi in cuil’ausilio di melodie ha consentito la memorizzazione di grandi quantitativi di in-formazioni (Sacks, 2007; 2008).

Ad un altro livello la musica è legata alla memoria attraverso la sua capacità distimolare i ricordi di eventi particolarmente significativi della nostra vita, con leemozioni ad essa legate. Chi di noi non possiede almeno un ricordo legato ad unaspecifica melodia, come se questa ne costituisse una sorta di colonna sonora?

Questo legame tra la musica e gli eventi, o con i periodi significativi della nostravita, nonostante sia ben documentato in letteratura, non è ancora stato compreso.Di fatto esso costituisce un presupposto fondamentale in molti ambiti del lavoromusicoterapico come quello con i pazienti in stato di coma o affetti da Alzheimer.Nell’ambito delle demenze, dove la perdita delle memorie diventa la perdita dellapropria identità, la musicoterapia si pone l’ambizioso obiettivo di ricontattare leemozioni, i pensieri e i ricordi. Laddove è presente un elevato grado di compro-missione delle capacità cognitive tanto da sembrare vano qualsiasi sforzo in questa

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direzione, ci sono tuttavia alcune abilità come la percezione, la sensibilità, l’emo-zione e la memoria musicale, che sembrano resistere molto più di altre ai processidegenerativi. In alcuni casi particolari sembra addirittura che l’abilità e la sensibilitàmusicale non si limitino a preservarsi, ma addirittura emergano là dove non eranomai state esplicitate, o si potenzino nel momento in cui altre facoltà scompaiono(Takashi et al., 2006; Sacks, 2007).

Sempre sul rapporto tra musica e processi cognitivi, la ricerca offre interessantispunti di arricchimento con una serie di evidenze scientifiche circa gli effetti suicircuiti neuronali deputati all’attenzione. La loro attivazione attraverso la praticae l’ascolto musicale, può portare nei bambini un generale miglioramento dellefunzioni cognitive e un possibile innalzamento dei punteggi complessivi che con-tribuiscono a determinare il quoziente di intelligenza (Schellenberg, 2004). Corsidi musica intensivi hanno fatto registrare significativi miglioramenti nel rendi-mento scolastico di giovani studenti, in particolar modo nella capacità di lettura(Register et al., 2007), nella matematica6 e in tutti quei compiti che richiedono unacapacità di ragionamento spaziale.

Musica ed emozioni

L’iniziale interesse che le neuroscienze hanno riservato agli aspetti di elabora-zione cerebrale delle componenti strutturali della musica, hanno ben presto messoin evidenza come la comprensione dei meccanismi preposti all’elaborazione co-gnitiva dello stimolo musicale non sia sufficiente a comprendere a pieno gli effettidella musica nell’uomo. Come spiegare il potere evocativo della musica e la suacapacità di influire sull’umore e sull’emotività?

Ogni brano e ogni produzione musicale, è costituito di un aspetto tecnico fattodi note, timbri, intervalli, tecniche strumentali, ritmi, accordi e strutture che il no-stro cervello elabora e codifica permettendoci di comprendere ciò che ascoltiamo.Come accade che questo insieme di elementi arrivi a provocare in noi delle emo-zioni? Da dove nasce quell’insieme di “sensazioni” che accompagnano l’ascoltoo la produzione musicale?

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6 In particolare alcuni aneddoti sul miglioramento del rendimento nelle materie matematiche in conseguenza diun training musicale, possono essere giustificate dalla prossimità delle aree cerebrali coinvolte nell’elaborazionemusicale con quelle deputate all’elaborazione dei numeri.

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Questi interrogativi non hanno ancora trovato una spiegazione esauriente, mal’ipotesi più accreditata e indagata in ambito scientifico è quella che attribuiscealla risposta emozionale alla musica una sua base fisiologica specifica, separata edistinta non solo dall’insieme di meccanismi cerebrali preposti alla processazionedi informazioni musicali di tipo strutturale, ma anche da quella relativa alla reat-tività emozionale generale. La maggior parte dei dati che confermano questa ipo-tesi arrivano dallo studio di casi di lesioni cerebrali, la tecnica più antica e più usatanell’ambito delle neuroscienze, o dall’uso di tecniche di neuroimmagine funzio-nale. I dati prodotti hanno messo in luce l’esistenza di un disturbo altamente spe-cifico relativo alla perdita della sensibilità emotiva e dell’interesse musicale inseguito a commozione cerebrale o ictus. In questo modo gli scienziati sono statiin grado di identificare alcune aree corticali e sottocorticali, coinvolte nelle risposteemotive indotte dalla musica (Blood et al., 1999; Mitterschiffthaler et al., 2007;Koelsh et al., 2006).

Tuttavia, mentre la comprensione dell’elaborazione della musica dal punto divista strutturale rappresenta un percorso relativamente più semplice, poiché sitratta di comprendere il funzionamento di una serie di collegamenti tra aree cere-brali, la sensibilità emotiva alla musica è un aspetto molto più complesso perchéinfluenzato anche da fattori personali, sociali e culturali.

Recentemente è stata avanzata l’ipotesi che ad avere un ruolo determinantenelle reazioni emotive indotte dalla musica sia l’interazione uditivo-motoria.Scrive Zatorre: “I cambiamenti psicofisiologici associati all’ascolto di musicasarebbero un effetto del coinvolgimento del sistema motorio e produrrebberoun feedback afferente che promuoverebbe lo stato affettivo” (Zatorre et al.,2007, pag. 555). Sembra infatti che l’interazione senso-motoria ed il sistema deineuroni a specchio, possano mediare le emozioni indotte dalla musica, costi-tuendo un legame tra l’ascolto e il movimento. In altre parole, imitare o ripro-durre con i movimenti anche solo a livello immaginativo le emozioni che lamusica esprime, può essere il modo in cui traduciamo emotivamente la musicache ascoltiamo. Supportano questa ipotesi le caratteristiche della musica: unamusica triste avrà certamente un tempo lento, sonorità contenute e suoni legatiproprio come l’espressione fisica della tristezza si manifesta attraverso movi-menti lenti e ipotonici; una musica allegra e gioiosa avrà caratteristiche associatea movimenti rapidi ed energici come un tempo piuttosto veloce, suoni princi-palmente acuti e sonorità elevate.

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Quello musicale costituisce dunque un canale preferenziale per l’espressionee il contatto con le emozioni, per l’eccezionale potenziale con cui può veicolarecontenuti simbolici di tipo emozionale che non possono trovare espressione nellinguaggio convenzionale, attraverso una modalità che coinvolge direttamente ilcorpo e i suoi vissuti.

Musica, ritmo e movimento

Le danze tribali, le marce militari, i canti dei braccianti nei campi di lavoro, itamburi che scandivano il tempo dei rematori sulle navi, gli auricolari collegati ariproduttori di mp3 durante lo jogging: sembra che il potere del ritmo nel coor-dinare i movimenti e nell’alleviare la fatica abbia attraversato i secoli e le latitudini.Con parole di Aniruddh Patel (2010), è possibile sostenere che “in ogni culturac’è una qualche forma di musica con ritmo regolare, una pulsazione periodica chepermette il coordinamento temporale fra gli esecutori e provoca una risposta mo-toria sincronizzata negli ascoltatori” (pag. 13).

La tendenza a presentare risposte motorie alla sollecitazione ritmica è un trattodistintivo della specie umana. A quanto sembra siamo gli unici primati a possedereuna connessione funzionale tra il sistema cerebrale motorio e quello uditivo (Patelet al., 2009). Ne facciamo continuamente esperienza nel nostro quotidiano, bastipensare a come un rumore improvviso ci faccia trasalire o a come un brano mu-sicale ci esorti a scandire il ritmo con i piedi, con il capo, con le mani, o ci facciavenire voglia di ballare. La sensibilità al ritmo è un’attitudine molto precoce, nonè raro vedere bambini anche molto piccoli che rispondono ad uno stimolo musi-cale con movimenti corporei sincronizzati mostrando una spiccata abilità. Questonon deve stupire se si considera che già intorno alla 22/26° settimana di gestazionel’apparato uditivo è funzionante e le nostre prime esperienze sonore sono princi-palmente di tipo ritmico (il battito cardiaco della madre e del feto, la regolaritàdel respiro, ecc.). L’uomo è in grado di sviluppare un vero e proprio senso ritmicoche implica la capacità di percepire pulsazioni e organizzarle in schemi che ci per-mettono di anticipare gli accenti e costruire dei modelli interiori precisi e stabiliper i quali possediamo, a quanto sembra, una stupefacente memoria (Levitin,Cook, 1996; Iversen et al., 2009).

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L’integrazione dell’attività sensoriale con quella motoria provoca una strettarelazione di reciprocità tra suono e movimento (Chen et al., 2008). In un recenteseminario di studio7 è stato proposto un intrigante quesito: è il suono che sugge-risce i movimenti o sono i movimenti a ispirare la musica? Questa sorta di possi-bile retroazione tra aspetti ritmico-musicali e aspetti motori rimanda ad un’altrainteressante scoperta delle neuroscienze: le aree cerebrali che elaborano le rispostemotorie al ritmo e alla musica, si attivano anche nel caso in cui la musica vengasolo ascoltata o immaginata, senza eseguire nessun movimento visibile. È evidenteil ruolo dei già richiamati neuroni a specchio implicati nelle funzioni sensoriali emotorie, in grado di anticipare l’intenzione o lo scopo dell’azione di cui assumonoil controllo. Questi neuroni che si attivano automaticamente quando osserviamole azioni svolte da altri e ne consentono la comprensione, sono per questo motivoanche detti “neuroni empatici”. È probabile che ciò accada anche con l’ascoltomusicale, provocando un’attivazione delle aree motorie a prescindere dall’effettivosvolgimento dei movimenti veri e propri.

Quanto appena detto, costituisce una risposta scientifica che convalida quel-l’area di pratica riabilitativa in cui la musica viene impiegata direttamente con lafinalità di rinforzare i movimenti locomotori e veicolare sequenze di movimenti.È quello che avviene nei pazienti con lesioni al lobo frontale, pazienti postence-falici o affetti da morbo di Parkinson, che possono presentare difficoltà nello svol-gere catene complesse di azioni o nel dare inizio al movimento (Sacks, 2007). Insecondo luogo le nuove acquisizioni scientifiche consentono una riflessione sullapratica dell’improvvisazione e sulla possibilità di servirsi del potere cinetico dellamusica come elemento dinamico del processo terapeutico.

Suono, musica, strumenti musicali nel processo musico-terapico

Le evidenze della recente ricerca, pur non riuscendo a fare piena luce riguardoall’influenza della musica sul corpo, sulla mente e sulla sfera emozionale, forni-

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7 “Spazio, tempo, corpo, suono: educazione fisica e educazione musicale a confronto”. Seminario di studio sullescienze motorie e sportive. Offanengo (CR), 13-14 Maggio 2010. L’intervento intitolato “L’espressività del corpotra suono e movimento” è di Paolo Bove.

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scono un solido background di concretezza e solidità dal punto di vista scientificoa tutti i professionisti che utilizzano l’elemento musicale all’interno di un processoterapeutico.

Le neuroscienze cognitive sono passate da una visione modulare dei processidella cognizione, dalla localizzazione delle funzioni cognitive in aree corticali di-verse, ad una conoscenza che non si costituisce per aggregazioni ed organizzazionidi informazioni ma che deriva da cicli di percezione-azione, in cui mente e mondocontinuamente si confrontano.

Ne deriva che l’interazione non è solo azione nel mondo bensì la dinamica co-struzione di senso che gli esseri umani mettono in pratica nell’agire entro un contesto.

L’elemento musicale, promotore di una esperienza multisensoriale e multimo-dale che va ben oltre quella uditiva, attiva paziente e musicoterapeuta con impor-tanti ricadute in musicoterapia a livello di prassi, procedure e tecniche. Ilmusicoterapeuta parte dall’osservazione degli elementi costituenti l’esperienza so-nora dell’altro, intorno ai quali si organizzano il pensiero e l’azione di entrambi.

L’improvvisazione ha un ruolo centrale in molti approcci musicoterapici e laletteratura internazionale ben documenta il suo sviluppo e il suo valore all’internodel lavoro clinico, ponendo l’accento, in alcuni lavori (Bruscia, 1993; Wygram,2004), sui metodi e sulle tecniche di improvvisazione, e proponendo alcune clas-sificazioni che presuppongono l’acquisizione di specifiche abilità musicali e la lorointegrazione nei metodi terapeutici. La tecnica improvvisativa in musicoterapiacomprende un’ampia serie di attività sonoro-musicali organizzate in proposte, ri-sposte, elaborazioni e introduzione di variazioni, il cui insito e particolare valoreprescinde dalle abilità musicali, fondandosi piuttosto su aspetti arcaici e istintualidelle nostre risposte alla musica.

La nostra struttura cerebrale ci porta a rispondere alla sollecitazione di tipomusicale attraverso il corpo, sia con il movimento che con l’attivazione fisiologica,in un modo che può essere definito istintuale e che implica l’attivazione del do-minio emozionale.

In tal senso attraverso l’improvvisazione è possibile “esternare gli impulsi, ri-lasciare energia, esprimere idee e sentimenti e dare forma alle proprie immagini ealle proprie fantasie” (Bruscia, 1987, pag. 62). Una forma personalizzata di espres-sione del sé e quindi un mezzo di riconoscimento e sviluppo della propria identitàche non risponde ai canoni della logica e della conformità, ma che consente dicontattare gli aspetti più profondi e inelaborati dell’essere.

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In merito al processo musicoterapico, certamente non è necessario conoscerequali aree cerebrali si attivano in risposta ad uno stimolo musicale o quale networkneuronale consenta l’evocazione di una certa emozione, ma è essenziale essereconsapevoli che la prassi musicoterapica è fondata su processi cerebrali, scienti-ficamente documentati, in grado di provocare risposte. L’essenza del processomusicoterapico non si ferma a livello della risposta ma procede attraverso processidi significazione ed elaborazione volti al cambiamento.

Ne consegue una “forma concreta”, visibile, non mediata dalla parola, che sisvela al musicoterapista nella ricchezza di spunti ed opportunità per intervenire,rispecchiare, modulare e proporre, valorizzando gli elementi propri della relazionee del mezzo musicale che la media. Nella relazione, aspetto centrale del processoterapeutico, il musicoterapeuta ha a disposizione uno strumento in divenire –l’esperienza musicale – che si presta in modo efficace a motivare l’interazione conl’ambiente, facilitando lo scambio e la reciprocità.

La musica offre l’opportunità di stabilire un contatto con l’altro, di sperimen-tare l’empatia e l’identificazione, di condividere sentimenti, di comprendere l’altroe incontrare il suo modo di essere e rapportarsi al mondo (Freedberg, 2007; De-lalande, 1993). Allo stato attuale diverse discipline come la neuropsicologia, lescienze cognitive e l’etologia si stanno interrogando su come si possa approcciarein modo scientifico uno studio del rapporto con l’altro e col mondo. Nella ricercadi un fondamento biologico alla relazione tra sé e l’altro è di centrale importanzail costrutto dell’intersoggettività (Morganti et al. 2010), strettamente connessocon la natura relazionale della specie umana, che in modo trasversale coinvolgedifferenti settori disciplinari come la psicologia generale ed evolutiva, la psichiatria,la psicologia clinica, la psicologia sociale e culturale, la psicoanalisi.

L’insieme dei dati scientifici esposti in questo articolo conferma che l’essereumano è “essere musicale”, geneticamente predisposto a cogliere l’esperienza mu-sicale nella sua complessità.

Nell’intervento musicoterapico, che può essere centrato sugli aspetti fisici emotori, oppure sugli aspetti emozionali e affettivi, o ancora sul comportamento,sulla cognizione o sulla socialità, il musicoterapeuta è impegnato a scegliere conmolto scrupolo gli strumenti e i materiali con cui lavorare, ponendo grande at-tenzione alla persona di cui si prende cura e al contesto.

Sebbene non siano gli strumenti in sé a garantire lo svolgersi della relazionecon il paziente, il loro ruolo nell’espressività del paziente e nel dispiegarsi del-

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l’evento sonoro in un contesto terapeutico, è di fondamentale importanza.L’espressione emotiva necessita di strumenti sonoro-musicali che possano veico-lare, contenere e adattarsi ai diversi livelli di energia espressi, l’intervento di gruppopotrebbe richiedere l’impiego di una tipologia strumentale di grandi dimensioniche possa essere condivisa e suonata in modo corale, alcuni materiali possono of-frire un’esperienza tattile più gradevole di altri, avere forme evocative, stimolarela creatività, richiedere un diverso grado e livello di attivazione.

I materiali sonori e gli strumenti musicali sono “oggetti del mondo”, il lorouso riconduce all’interazione col mondo stesso e ai significati ad esso attribuiti,alla costruzione di un evento che, proprio in quanto produttore di suono, coin-volge l’altro in espressività sollecitate sensorialmente ed elaborate su piani diffe-renti.

La produzione sonora, sia essa un suono, un ritmo o un’armonizzazione, rag-giunge l’altro che può dare risposte modalmente diversificate, preferendo ad esem-pio una vocalizzazione piuttosto che una produzione strumentale, o ancora unparametro sonoro piuttosto che il coinvolgimento corporeo nella danza, risposteche assumono specifici significati all’interno del processo musicoterapico. Tuttociò può mediare l’interazione e la relazione con il musicoterapista: gli strumentimusicali devono in sostanza poter offrire l’opportunità di coinvolgere l’altro, per-mettendogli di mettere in campo le sue competenze relazionali, comunicative edemozionali, con i suoi tempi e con le sue modalità, diventando “mezzo principaledi realizzazione delle funzioni terapeutiche della musica” (Bruscia, 1987, p. 99).

Gli elementi musicali, i più diversi – la sonorizzazione di un pattern motorio,una struttura ritmica, un particolare timbro, la forma di uno strumento musicale, ilsuo colore, il materiale di cui è fatto, o ancora un brano, una canzone, parole, versifilastrocche, gesti e movimenti – sono quelli che permettono di entrare in relazionee gli eventi ad essi correlati diventano, nella musicoterapia, una chiave per incontrarel’altro e accedere al suo mondo, facilitando un percorso di sviluppo e benessere.

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