MI marzo 2013

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Sofia Gubaidulina a Bologna per Musica Insieme COntemporanea L’oro di Napoli risplende con Sollima, Florio e i Turchini Finale di stagione con gli archi virtuosi di Salvatore Accardo aprile/maggio 2013 Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.2/2013 – anno XXII/BO - € 2,00

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MI marzo 2013

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Sofia Gubaidulinaa Bologna per MusicaInsieme COntemporanea

L’oro di Napoli risplendecon Sollima, Florio e i Turchini

Finale di stagionecon gli archi virtuosidi Salvatore Accardo

aprile/maggio 2013

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SOMMARIO

EditorialePrima che il sipario cali di Fabrizio Festa 13

28

22Emanuel Ax di Fulvia de Colle

24Salvatore Accardo di Valentina De Ieso

20Antonio Florio - Giovanni Sollima di Fabrizio Festa

I luoghi della musicaDonato Creti: la Pala di Sant’Ignazio di Maria Pace Marzocchi

26Il profiloAntonín Dvorák di Giordano Montecchi

33Il calendarioI concerti aprile / maggio 2013

16MICO - Musica Insieme COntemporaneaConversazione con Sofia Gubaidulina di Fulvia de Colle

50Per leggereLezioni di musica: da Bollani alla cameristica di Chiara Sirk

52

Da ascoltareUn ponte tra i generi:Sollima, Bacchetti, Pieranunzi di Lucio Mazzi

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

10 IM MUSICA INSIEME

SOMMARIO

18IntervisteThe Nash Ensemble of London di Cristina Fossati

n. 2 aprile - maggio 2013

In copertina: Giovanni Sollima (foto di Gian Maria Musarra)

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EDITORIALE

PRIMA CHE IL SIPARIO CALI

Fabrizio Festa

13IM MUSICA INSIEME

Quattro concerti prima che il sipario cadasu questa ventiseiesima stagione. Quat-tro concerti importanti. Quattro concertiche peraltro bene esemplificano la so-stanza della nostra programmazione. Ilcamerismo a geometria variabile delNash Ensemble (al suo debutto a Bolo-gna) precede la straordinaria esperien-za/esperimento che ha visto unirsi duetalenti molto diversi tra loro, eppure af-fini: quello del violoncellista compositoreGiovanni Sollima con quello di AntonioFlorio, fondatore de I Turchini e gran-de esperto della letteratura antica e ba-rocca in quel di Napoli. Due modidavvero diversi d’intendere la musica dacamera. Da un lato il Nash, che dirà lasua sul repertorio tra Sette e Ottocento,dall’altra chi, come Florio coi suoi Tur-chini e Sollima, riesce a raccontare il ba-rocco facendolo sentire in tutta la sua vi-vace modernità. Il tutto a precedere il re-cital di un interprete che ha fatto la sto-ria della musica dei nostri anni: EmanuelAx. Definirlo “pianista” è riduttivo. Il suo

strumento – come nei casi di altri ospi-ti illustri di Musica Insieme, quali Bren-del, Pollini, Zimerman – è solo unmezzo per indagare quest’arte e questascienza che chiamiamo appunto musi-ca. Un’indagine affascinante, seduttivapersino. Ma pur sempre un’indagine chepresuppone competenze altissime e ma-nualità specialistica, in un eccezionale col-legamento tra mano e cervello. A ricor-darcelo, proprio nell’ultimo concerto,sarà Salvatore Accardo, alla testa della suaOrchestra da Camera Italiana. Un so-dalizio artistico quello tra il violinista na-poletano e Musica Insieme che è esem-pio di un altro dei segni distintivi dellanostra programmazione. Da un lato, la-sciare che il pubblico entri nel mondodella musica da porte diverse, per ascol-tarlo nelle sue infinite sfaccettature;dall’altro, costruire solidi percorsi assie-me ai grandi interpreti, sì da offrire op-portunità importanti e significative permeglio apprezzare e conoscere appuntola musica. Che noi intendiamo comecomponente essenziale della vita civile.Tant’è che prima che il sipario cali suquesta stagione e già pensando allaprossima, la nostra gratitudine va proprioa chi – il pubblico, i nostri abbonati, inostri sostenitori – rende possibile unaprogrammazione che spicca per attuali-tà e originalità nel panorama non solo ita-liano, ma europeo. E questo è dato bennoto anche ai grandi interpreti, chenon a caso scelgono il nostro palcosce-nico, consapevoli peraltro proprio del-la maturità del nostro pubblico.

L’Auditorium Manzonigremito per il concertodi Evgenij Kissin, ospite

di Musica Insiemeil 29 ottobre 2012

Foto:M

aurizioGuermandi

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ue concerti coroneranno, inaprile, l’VIII edizione diMICO - Musica InsiemeCOntemporanea, ed insiemei due ritratti che quest’anno

abbiamo dedicato ad altrettante, fon-damentali figure del panorama com-positivo: Sofia Gubaidulina e GeorgesAperghis. Se il ritratto di Aperghischiuderà la rassegna lunedì 15 aprile,con tre dei suoi più interessanti lavori,tra i quali La Nuit en Tête per sopranoe orchestra, Sofia Gubaidulina saràprotagonista, domenica 7 aprile, diun momento particolarmente signifi-cativo, e non solo per la nostra rasse-gna: la compositrice russa sarà infattipresente a Bologna per incontrare lastampa e il pubblico presso l’Oratoriodi San Filippo Neri, in occasione delconcerto a lei dedicato. A questo ap-puntamento con la sua opera darà uncontributo essenziale la collaborazionetra FontanaMix e Zipangu Ensemble,ai quali si aggiungeranno due solistiimportanti come Corrado Rojac, vir-tuoso di bayan, una particolare fisar-monica cromatica a bottoni tipicadella tradizione russa, ed Eva Zahn,primo violoncello dell’Orchestra delTeatro Comunale di Bologna.Sarà quindi un’occasione d’ascolto al-trettanto rara e preziosa, in quanto ilprogramma prevede l’esecuzione di trebrani importanti della produzionedella Gubaidulina, composti fra glianni Ottanta e i primi Novanta, ed in-centrati sul suono degli archi. Il primo

lavoro in programma, Silenzio (1991),racchiude cinque brevi pezzi per ba-yan, violino e violoncello, dove sin daltitolo si evidenzia una relazione con lafilosofia compositiva di John Cage, inparticolare per il ruolo essenziale asse-gnato appunto al silenzio come ele-mento musicale. Seguirà il Quartettoper archi n. 4, commissionato all’au-trice dal Kronos Quartet nel 1993, eappartenente ad una serie di opere chene hanno consacrato la fama negliStati Uniti in brevissimo tempo, a par-tire dal 1985, ossia da quando il go-verno sovietico ha consentito alla com-positrice di lasciare la patria alla voltadell’Occidente. Infine, un’opera fon-damentale per (ri)conoscere il pro-

fondo afflato spirituale e religioso cheda sempre pervade le opere di SofiaGubaidulina: Sieben Worte, per vio-loncello, bayan e archi, che nella ver-sione originale pubblicata nell’UnioneSovietica nel 1982 ‘copriva’ il riferi-mento alle ultime sette parole di Cri-sto sulla Croce con il più laico titolo diPartita. In attesa di incontrarci a Bo-logna, Sofia Gubaidulina ha accettatodi scambiare con noi alcune conside-razioni sulla sua attività e poetica mu-sicale.Lei ha affermato di avere la sensa-zione che «un brano non sia com-pleto prima dell’incontro con i suoiinterpreti», e che il compositoresvolga ‘soltanto’ metà del lavoro,perché l’altra metà appartiene agliesecutori. Che cosa si aspetta dun-que dallo scambio e dall’interrela-zione con gli artisti nel momento incui provano le sue opere?«So che chi interpreta la mia musicaprende le mosse da una conoscenzaassai approfondita sia della partituracompleta che delle singole parti di cia-scuno strumento, ed arriva quindi almomento della prova ben preparato edel tutto in grado di suonare esatta-mente le note che io ho scritto. Maquesta è soltanto una delle precondi-zioni, seppure molto importante, perun’esecuzione autentica. Ciò che miaspetto in più dagli interpreti è chescoprano lo spirito che sta dietro allamusica scritta, e che nella loro esecu-zione sappiano aggiungere un’energia

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16 IM MUSICA INSIEME

MICO - Musica Insieme COntemporanea 2013 / L’INTERVISTA

Si conclude l’ottava edizione della rassegna dedicata da Musica Insieme allacontemporaneità, con un momento speciale: la presenza, domenica 7 aprile,di Sofia Gubaidulina a Bologna, in occasione del ritratto che MICO le dedica

con la collaborazione del FontanaMix Ensemble di Fulvia de Colle

SOFIA GUBAIDULINA

Le scelte di Sofia

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e un fuoco interiore che appartienesolo a loro, così da farne un’interpre-tazione davvero ispirata. È essenzial-mente questo il senso delle prove a cuipartecipo insieme agli esecutori».Parlando delle sue composizioni:come ascoltatori restiamo spessoincantati dall’intrecciarsi di un’ispi-razione così intima e spirituale conun senso vigoroso, quasi architet-tonico, della struttura. È una sensa-zione che - seppure non siamo ingrado di afferrarla appieno - ci as-sale con forza: nel suo approccioalla composizione, segue un pro-cesso particolare?«Per essere nelle condizioni di com-porre, devo avere la mente sgombra elucida, e sentirmi libera dagli obblighi,dalle preoccupazioni e dalla routine ditutti i giorni. Soltanto in una situa-zione come questa sono in grado ditrovare la piena concentrazione, chemi rende di conseguenza aperta al-l’ispirazione. Per me non c’è ispira-zione senza concentrazione».Lei riceve quasi quotidianamenterichieste e commissioni di nuovi la-vori per questo o quel solista, en-semble, orchestra, trovando perciòin un certo senso un organico giàpredefinito: ma potendo scegliere,quali sono le sue preferenze?«In verità preferisco in alternativa o lamusica orchestrale pura, o una musica(ivi compresa quella cameristica) nellaquale uno o più solisti si contrappon-gano ad un ensemble. Per me non èpoi così importante per quale stru-mento o combinazione strumentaledevo scrivere, mentre trovo sempreutile conoscere personalmente l’inter-prete di un mio nuovo lavoro».Nei precedenti concerti di MusicaInsieme COntemporanea 2013 ab-biamo eseguito alcune sue opere,come In croce, Der Seiltänzer, La-mento, dove spesso compaionostrumenti e combinazioni strumen-tali per così dire ‘non abituali’: ciòè dovuto forse ad una particolarerelazione con la musica popolare

del suo paese, o al legame di alcunistrumenti con la funzione religiosae spirituale della musica?«La spiritualità non riveste un ruolospecifico nella mia scelta di questo oquello strumento. Quanto al bayan,che lei ha menzionato poc’anzi, sitratta soltanto di una particolare de-clinazione della vostra fisarmonica, ocomunque di uno strumento popolarein Italia come in Germania e Scandi-navia, o nei Paesi Bassi».Dopo il compositore e l’interprete,ecco il pubblico. Come percepiscedal suo punto di vista la situazioneattuale nel campo della musica con-temporanea? Come ritiene do-vrebbe accostarsi un ascoltatorealla sua opera?«Mi sembra di notare che oggi il pub-blico dei concerti sia spesso moltostanco, a causa del lavoro stressanteche si trova a dover svolgere durante ilgiorno. Questa stanchezza non gli per-mette talvolta di seguire il concertocon quella concentrazione mentale ne-cessaria ad una piena comprensionedella musica che si trova ad ascoltare.D’altronde, oggi purtroppo non sol-tanto i frequentatori abituali dei con-certi, ma la nostra cultura in generale,persino la nostra civiltà sono diven-

tate troppo stanche…».In occasione del concerto MICO del7 aprile, ascolteremo alcuni deisuoi pezzi più celebri, come Silen-zio, dove percepiamo appunto que-sto silenzio, che è «il terreno soprail quale cresce qualcosa», come haavuto modo lei stessa di affermare.Nel Quartetto per archi n. 4 invecevi sono tecniche molto particolaridi produzione del suono (lo sen-tiamo chiaramente ad esempio al-l’inizio del brano): che importanzariveste il suono in sé nel suo pro-cesso compositivo?«La questione del suono è senza dub-bio fra le più importanti nel mio pro-cesso compositivo. E ciò coinvolge dif-ferenti aspetti della produzione delsuono, e svariati fenomeni timbrici eacustici».Per concludere, l’elemento reli-gioso, potentissimo, delle SiebenWorte ha da parte sua una lungatradizione musicale, che arriva aSchütz e Haydn, per citare soltantodue nomi fra i più celebri. Qual èstato il suo approccio a questo mo-mento così tragico e fondamentaledella narrazione evangelica?«Le parole di Cristo durante la Pas-sione evocano in me sentimenti assaiprofondi. Questi sentimenti, questesensazioni, tuttavia, e la loro trasposi-zione in musica sono molto personalied intimi, perciò vogliate perdonarmise non sono in grado di esprimerli aparole o di parlarne pubblicamente.Dovrete limitarvi ad ascoltare la miamusica!».

17IM MUSICA INSIEME

CALENDARIO APRILE 2013musica insieme contemporanea

aprile 2013 domenica ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriFONTANAMIX ENSEMBLEZIPANGU ENSEMBLEEva Zahn violoncello

Corrado Rojac bayan

Musiche di Gubaidulina

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aprile 2013 lunedì ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriFONTANAMIX ENSEMBLEValentina Coladonato soprano

Annamaria Morini flauto

Francesco La Licata direttore

Musiche di Xenakis, Aperghis, Romitelli

15

I biglietti saranno in vendita pres-so l’ORATORIO DI SAN FI-LIPPO NERI (Via Manzoni, 5Bologna), il giorno del concerto apartire dalle ore 19.

PREZZI: Posto unico € 10.Abbonati MusicaInsieme, studentiUniversità e Conservatorio € 7.

ACQUISTO BIGLIETTI

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nsemble residente presso la Wigmore Hall di Londrae definito dal Times come “la migliore formazioneche ogni compositore desidererebbe avere”: cono-sciamo meglio il Nash Ensemble, compagine ingleseesibitasi nei cinque continenti ed ospite per la prima

volta a Bologna, attraverso le parole di Amelia Freedman, Di-rettrice artistica e fondatrice del gruppo.Ci racconta come avete scelto il vostro nome?«Ho fondato il Nash Ensemble nel 1964, mentre ero una stu-dentessa della Royal Academy of Music di Londra. Il nome l’ab-biamo mutuato dall’architetto John Nash, che ha disegnato lasplendida terrazza che racchiude l’Accademia all’interno diRegent’s Park, a Londra».Siete estremamente versatili nel repertorio e nella ‘geo-metria variabile’ delle vostre formazioni (e queste sonosicuramente caratteristiche che hanno reso il Nash “unensemble al di sopra di ogni paragone”, per citare TheIndependent): quali le ragioni di questa scelta?«Ho sempre voluto esplorare una certa varietà di repertorio, daHaydn all’avanguardia, suonando i lavori più famosi di ogni ge-nere, così come le gemme musicali ancora poco conosciute.Inoltre, il Nash collabora con numerosi cantanti e si esibisce incicli liederistici sia per i concerti alla Wigmore Hall, sia intournée. La nostra formazione principale è composta da 12 mu-sicisti: pianoforte, quartetto d’archi, contrabbasso, flauto, oboe,fagotto, clarinetto, corno e arpa; a volte aggiungiamo altri stru-menti, ad esempio tromba, trombone e percussioni, per eseguirespecifici brani. Possiamo andare in tour con il trio, così come inquartetto, in quintetto o in sestetto (come per il nostro concertobolognese), giungendo fino a 12 musicisti. Credo che sia stata

l’originalità delle scelte di repertorio e di organico a tenere vivol’interesse dei musicisti e del pubblico per oltre 48 anni!».Qual è stato il più importante riconoscimento ricevutonella vostra lunga carriera?«Nel corso della mia carriera sono stata celebrata in moltimodi: ho avuto l’onore di ricevere il titolo di CBE (Coman-dante dell’Ordine dell’Impero Britannico) durante i festeggia-menti per il genetliaco della Regina; inoltre, per ben due volteil Governo francese mi ha conferito la carica di Cavaliere dellaLegion d’Onore. Il Nash Ensemble invece si è aggiudicato perdue volte i Royal Philharmonic Society Awards, nella catego-ria musica da camera».Avete eseguito più di 250 prime assolute: ci sono com-positori con i quali vi sentite in particolare sintonia? Equali sono secondo voi gli autori che oggi meriterebberouna maggiore attenzione?«Negli anni abbiamo sostenuto un gran numero di composi-tori, supportandoli spesso all’inizio della loro carriera e conti-nuando a farlo in seguito: tra questi, Mark Anthony Turnage,Sir Harrison Birtwistle, David e Colin Matthews, Simon Holt;amiamo particolarmente le opere di Elliott Carter e di HansWerner Henze. Abbiamo promosso le musiche di autori cèchiche sono tragicamente morti durante la seconda guerra mon-diale, come Gideon Klein, Viktor Ullmann, Hans Krasa e Pa-vel Haas, suonando le loro opere a Londra, New York e Praga».C’è un filo rosso che unisce i brani in programma per Mu-sica Insieme?«Desideravo presentare un programma che fosse attraente evario. C’è un collegamento tra Dvorák e Brahms, due musici-sti che si sono conosciuti e stimati. Dvorák ha definito Brahmscome il suo “più grande maestro e amico”, e lo considerava unuomo straordinario. Brahms era nel comitato che aveva pre-miato il giovane Dvorák con una borsa di studio dello Stato au-striaco; raccomandò la sua musica agli editori e agli stessi in-terpreti, e di lui disse: “possiede tutto il meglio di quello che unmusicista deve avere”».Il Quintetto op. 81 di Dvorák è tra i brani più amati delrepertorio, con la sua affascinante Dumka: qual è se-condo lei il segreto del suo successo?«Il Quintetto per archi e pianoforte di Dvorák che eseguiremoa Bologna è uno dei più conosciuti del suo genere, pieno dimelodie appassionate, e con quella scrittura vibrante e vir-tuosistica che è così caratteristica dello stile cèco del di-ciannovesimo secolo».

E

L’INTERVISTA

Abbiamo scambiato alcune battute con l’ensemble che Musica Insieme presenteràper la prima volta a Bologna, un ensemble multiforme nell’organico quanto

nell’ampiezza delle scelte musicali di Cristina Fossati

THE NASH ENSEMBLE OF LONDON

Oltre ogni paragone

Foto:H

anyaChlala

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Florio, fondatore e direttore di un ensemble di riferimento per il repertorio barocco comei Turchini, e Sollima, violoncellista-compositore fra i più interessanti del panorama odierno,

raccontano il loro sodalizio sotto il segno della musica partenopea di Fabrizio Festa

ANTONIO FLORIO - GIOVANNI SOLLIMA

Un incontro fatale

ollima e Florio, l’uno celebrato violoncellista e ap-prezzato compositore, l’altro fondatore dell’ensembledei Turchini, studioso e grande conoscitore del re-pertorio partenopeo: eccoli insieme in un progettodedicato alla Napoli tra Sei e Settecento, ma con un

occhio anche alla musica dei nostri giorni. Così potremmoriassumere la collaborazione che ha visto unirsi due artisti ap-parentemente così distanti tra loro, ma che, proprio lavorandoassieme tanto in concerto quanto in studio di registrazione,hanno scoperto di avere più di un tratto in comune. Anzi, po-tremmo dire che sembrerebbe essere nato un sodalizio impor-tante, del quale in futuro speriamo proprio di vedere altri esiti.Come è nata la vostra collaborazione?Antonio Florio: «Dal semplice fatto che eravamo a conoscenzareciprocamente del nostro lavoro. Inoltre, avevo avuto modo diapprezzare, ascoltandolo in concerto, il grande talento e il vir-tuosismo tecnico di Giovanni Sollima, anche col violoncello ba-rocco. Insomma, mi è sembrato un musicista straordinario conil quale si doveva avviare una collaborazione. Da qui l’incontroe poi la scelta di costruire un programma ad hoc, che abbiamopresentato in concerto e abbiamo voluto subito registraree pubblicare in cd. Registrarlo è stata una scelta dettatadalla comune esigenza di lasciare una sorta di eredità,che andasse oltre l’occasione dell’ascolto dal vivo. Inun certo senso, il cd resta ed è sempre disponibile».Giovanni Sollima: «Ci siamo conosciuti a Napoli,appunto, proprio in occasione di un mio concerto,nel quale suonavo tra l’altro anche pagine del re-pertorio barocco. Del lavoro di Antonio Florio edei Turchini ero già un grande fan. Inoltre, in se-greto, già praticavo il violoncello con le corde nudedi budello, studiando la prassi della musica an-tica e indagando il repertorio violoncelli-stico a partire dal Seicento – natural-mente non solo quello partenopeo.M’interessa molto quell’epoca dellastoria del violoncello. È stato un mo-mento in certo senso aperto alla spe-rimentazione, di grandi scoperte, distudio sulle potenzialità tecnicheed espressive dello strumento.Tutti elementi che mi hanno af-fascinato anche come composi-

tore. Di conseguenza, quando finalmente ci siamo conosciuti,la sintonia è stata immediata. Subito è nata la voglia di far mu-sica insieme. Quindi, subito abbiamo visto quale repertorioesplorare, e subito abbiamo pensato a trasporlo su cd. Un in-contro risolto con grande semplicità, su un piano informale, incui ci siamo reciprocamente raccontati e ben presto siamo pas-sati a scambiarci manoscritti e partiture».Il programma del concerto prevede musiche di composi-tori napoletani del ’700, da cosa nasce la volontà di ri-proporre questo specifico repertorio?Antonio Florio: «La storia del violoncello, ed in particolare la sto-ria dei concerti per violoncello e orchestra, passa da Napoli. Peressere più precisi, accanto al celebrato – e anche inflazionato –repertorio vivaldiano, l’unica altra letteratura che contenga unimportante corpus violoncellistico è proprio quella partenopeatra Sei e Settecento. Dunque, da un lato, sotto il profilo tecnico,ecco la scuola bolognese, dall’altro appunto quella napoletana.Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo individuato almeno venticoncerti per violoncello e orchestra, il che testimonia dell’am-

piezza del repertorio, tra cui anche quello inedito di Giu-seppe de Majo».Giovanni Sollima: «Dei compositori napoletani che sisono dedicati al violoncello e dei grandi virtuosi na-poletani dello strumento conoscevo di alcuni il nome,di altri anche l’opera, come nel caso di Nicola Fiorenza.Come violoncellista e compositore, m’interessava mol-tissimo approfondire lo studio e l’analisi della scuolanapoletana, della quale peraltro oggi si sa ancora poco.Una scuola importante, i cui migliori virtuosi si sonopoi trasferiti nelle capitali europee della musica, a co-minciare da Londra, e compositivamente di fonda-

mentale rilevanza. In estrema sintesi, potremmodire che a Napoli al violoncello manca solo laparola. Lo si capisce ascoltando gli Adagi diquesti concerti, in cui emergono una can-tabilità e una temperatura di suono stra-ordinarie, la cui ornamentazione si svi-luppa peraltro secondo parametritipicamente vocali. Insomma, unagrande letteratura musicale, in parteancora sepolta e da scoprire».Come vi siete accostati all’in-terpretazione di queste opere?

S

20 IM MUSICA INSIEME

INTERVISTA DOPPIA

Giovanni Sollima

Foto:GianMariaMusarra

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Antonio Florio: «Giovanni Sollima ha dimostrato una sensibilitàdavvero eccezionale, un talento che in tanti anni di carriera horiscontrato in pochissimi musicisti. È versatile, passa con natu-ralezza da uno stile all’altro, e soprattutto ha una straordinariacapacità di assimilazione. Tant’è che gli è stato facile impararearticolazioni, fraseggi, insomma lo stile di questa musica, addi-rittura giungendo a suonarla, a mio avviso, meglio di molti chedel barocco hanno fatto la loro specializzazione».Giovanni Sollima: «Dal mio punto di vista, si tratta di un’altraesperienza, importantissima, che va ad aggiungersi al mio ba-gaglio personale. D’altronde, ho studiato la prassi barocca. Perquesta musica ho sempre avuto un amore viscerale ed una fortecuriosità. In certo senso, affrontarla è come chiudere anelli chesi erano aperti ed attendevano appunto di essere portati a com-pimento».Parliamo del brano di Sollima, Fecit Neap. 17..?Antonio Florio: «Sono stato proprio io a chiedere a Sollima dicomporre un brano per il nostro ensemble, e che prevedesse luicome solista. Mi è sembrato il naturale completamento della no-stra collaborazione. L’esito è stato entusiasmante, il pezzo con-tenendo peraltro espliciti richiami agli stilemi della musica ba-rocca napoletana. Certo il brano non è facile, ci sono ad esempiocomplessità ritmiche specifiche, che hanno richiesto prove ac-curate, ma sin dall’inizio, e durante tutte le prove, le difficoltàsono state superate con naturalezza. D’altro canto, avendo fattonoi altre esperienze con la contemporanea (per esempio, hacomposto per noi Francesco Pennisi), abbiamo potuto verificareche esiste una certa vicinanza tra il pubblico che segue la mu-sica dei nostri giorni e quello che predilige il barocco».Giovanni Sollima: «Il titolo riporta una di quelle false etichetteche i liutai amavano mettere sui loro strumenti per farli credereantichi. Il brano l’ho composto nottetempo, e forse per questoè a suo modo notturno, pur nell’avvicendarsi di sezioni anchevivaci e brillanti. In certo qual modo, prosegue su quella lineanapoletana, di cui dicevo prima: al violoncello manca solo la pa-rola. Ecco quindi linee melodiche, magari appena accennate, chepoi vengono subito fiorite, sebbene con ornamentazioni che nonderivano sempre dalla prassi vocale dell’epoca, ma appartengonoanche ad altre tipologie. Potrei dire che è un brano più a Sud diNapoli: del resto sono palermitano. Ogni blocco si specchia nel-l’altro, in uno sviluppo che assume quasi la forma del concerto,con il basso continuo numerato, come da prassi barocca. Di-ciamo che è come se avessi ristrutturato un appartamento ba-rocco trasformandolo in un loft: sono rimasti gli elementi ori-ginari (gli infissi, le volte, il pavimento, i muri, persino gliodori), e sono riconoscibili, ma nell’insieme appare modificatoin maniera altrettanto evidente».Come raccontereste la vostra collaborazione?Antonio Florio: «È stata un’esperienza entusiasmante. La vor-remmo ripetere, magari con un altro programma e con unnuovo brano di Giovanni Sollima. Tutto questo sempre ricor-dandoci che siamo in Italia, un paese nel quale chi fa il nostrolavoro vive alla giornata, e nel quale quindi è difficile pianificareanche l’immediato futuro».Giovanni Sollima: «Ho già voglia di farne tante altre con Anto-nio e con i Turchini. È stato quel tipo di esperienza che po-

tremmo descrivere come “aprire una finestra dopo l’altra”. Ne-cessaria, per certi versi, visto che si è trattato di un arricchimentostraordinario».Antonio Florio, quali sono i punti di forza dei Turchini chene hanno fatto un ensemble di riferimento per questo re-pertorio?Antonio Florio: «Prima di tutto ho sempre creduto che un en-semble dovesse caratterizzarsi con una sua specifica connota-zione. La nostra è stata quella, venticinque anni fa, quando cisiamo costituiti, di mantenere sempre vivo il doppio binario traricerca musicologica e performance. Una ricerca che, essendosifocalizzata sulla musica napoletana antica, ci ha permesso di faremergere le radici popolari di questo nostro repertorio, tanto inambito sacro, quanto nel contesto della musica profana. Quindi,ecco che la ricerca si è trasformata nei ritmi delle danze, comela sfacciata, o la tarantella, apparendo chiaro a tutti noi, e per-ciò anche al pubblico, quanto soprattutto nel Seicento la mu-sica popolare avesse influenzato quella d’arte. Insomma, nonsiamo mai apparsi come barbuti studiosi pronti a dogmatizzare.Al contrario, proprio la stretta relazione tra ricerca musicologicae prassi esecutiva ci ha permesso di essere spontanei, mostrandoun approccio alla performance decisamente diverso da quello dialtri ensemble simili al nostro. Il tutto, infine, cercando nei li-miti del possibile di mantenere inalterati gli organici, di avereun rapporto lungo e consolidato con strumentisti e cantanti».Che rapporto ha Giovanni Sollima con il suo strumentocome esecutore e come autore, soprattutto nel caso par-ticolare della collaborazione con i Turchini?Giovanni Sollima: «Mi sento a mio agio. In questo caso spe-cifico, ho visto degli ambienti del suono per me nuovi. Am-bienti che però avevo conosciuto in parte fin da quando eroragazzino. Ricordo bene che negli anni della mia formazionepalermitana, con gli amici suonavamo anche la musica dei po-lifonisti siciliani. Quindi potrei dire che da sempre c’è stata inme questa idea di affrontare la musica barocca. Poi l’ho stu-diata, anche incontrando grandi maestri, come Anner Bylsma,e ho continuato ad approfondirla anche sotto il profilo dellacomposizione. Oggi questa esperienza sta in un suo preciso al-loggiamento, importante per me tanto come violoncellistaquanto come compositore».

IM MUSICA INSIEME 21

Antonio Florio

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opo quasi tre lustri, torna aBologna il pianista americanoprotagonista, nel 1995, di unconcerto memorabile per Mu-sica Insieme, che lo vedeva esi-

birsi in quartetto con colleghi di nomeIsaac Stern, Jaime Laredo, Yo-Yo Ma. Dalsuo ritorno come solista, nel 1998, a oggi,Bologna ha sentito la mancanza di Ema-nuel Ax, che il 6 maggio porterà al Man-zoni un programma incentrato sui suoiautori di riferimento, Beethoven e Cho-pin, dei quali ha già lasciato interpreta-zioni memorabili, con in più un ‘innesto’schoenberghiano la cui scelta lo stesso Axci spiegherà proprio in queste pagine.In questi quindici anni il panoramamusicale si è profondamente modifi-cato. Come vede la situazione dellaclassica dal suo punto di vista?«Credo che oggi vi sia una concentra-zione di giovani talenti senza precedenti!Non ho mai riscontrato tanti straordinariinterpreti come in questi anni. È davverouna situazione eccezionale, mi fa sentiredavvero vecchio... [ride]. Parlando adesempio di musicisti italiani, Enrico Paceè un pianista meraviglioso, lo trovo gran-dioso, poi vorrei citare anche un artistaormai autorevole come Alexander Lon-quich, l’ho ascoltato due anni fa a Tan-glewood, e ce ne sarebbero molti altri…».Ma c’è posto per i nuovi talenti oggi?«Trovo che sia davvero difficile crearsiuna carriera concertistica oggi: ci vuolemolta fortuna, perché il livello dei ta-lenti è straordinario, quindi purtroppo avolte entra in gioco la buona sorte. Mispiace fare un’affermazione del genere, sa-rebbe meraviglioso se tutti gli interpretidi grande talento venissero premiati conuna corrispondente attività concertistica,ma purtroppo non c’è posto per tutti».

In Italia lamentiamo spesso l’igno-ranza della musica da parte dei gio-vani, un’ignoranza dovuta al fattoche il sistema educativo non le dedicaspazio nei programmi didattici.«Temo proprio che oggi ciò accada intutto il mondo indifferentemente. Manon è solo colpa della scuola, è anche unaquestione legata alla rivoluzione tecno-logica. Ai miei tempi non c’era un bimboche non studiasse musica, mentre oggi cisono un’infinità di opzioni e di attivitàper i ragazzi, quindi è facile che si perdaquesta tradizione. Ma credo sia impor-tantissimo imparare la musica, o ancorameglio suonare uno strumento sin dabambini, poiché ovviamente se la cono-sci sin dall’infanzia è molto più facileche tu sia interessato alla musica e ai con-certi per il resto della vita. È come per losport, se non sai giocare a calcio è diffi-cile che tu vada a vedere una partita.Penso che la cosa più importante chepossiamo fare noi artisti sia di far cono-scere ai giovanissimi la bellezza della mu-sica e del suonare uno strumento».In febbraio, il più importante festivaldella canzone italiana, Sanremo, haavuto fra i suoi ospiti star della clas-sica come Daniel Harding, o una gio-vane pianista come Leonora Armel-lini, che ha sostituito peraltro DanielBarenboim ammalato. Crede che lamusica classica dovrebbe in un certosenso oltrepassare i propri confini, escegliere strade alternative per di-ventare più popolare?«Ritengo che nel nostro ambiente visiano artisti particolarmente dotati perquesto: ad esempio il mio amico Yo-YoMa è un testimonial eccezionale per lapromozione della musica, i ragazzi loadorano! Ed ha talmente tante e buone

idee per avvicinare la musica classica allavita quotidiana di ognuno di noi… Èquesto che a mio avviso dovremmo riu-scire a realizzare: far divenire la musicaparte della nostra vita normale, comeleggere un libro o fare una passeggiata, oassistere a una partita; la musica dovrebbediventare una comune attività nella no-stra esistenza di tutti i giorni».Nel suo programma per Musica In-sieme, il prossimo 6 maggio, compareil giovane Beethoven dell’opera 2,quindi la Patetica, con i primi ‘colpi dicoda’ alla forma tradizionale, e nelmezzo Schoenberg… come mai hascelto di intercalare a Beethoven ibrevi pezzi dell’opera 19?«Credo che Schoenberg sia un composi-tore molto ‘tedesco’, come Beethoven inun certo senso. Poi ritengo che entrambisiano assai ‘concentrati’, ed abbianoun’elevata consapevolezza dell’elementotemporale in musica. L’op. 19 di Scho-enberg è assai più condensata e breve ri-spetto alla sonata beethoveniana, e queipezzi ricordano da vicino lo stile di AntonWebern, uno stile aforistico, dove ognicosa è compressa; tuttavia ritengo che siastato Beethoven a dare inizio a questoprocesso, secoli prima. Le ultime sonatepianistiche sono più condensate, sinteti-che, più brevi delle precedenti: l’aspettotemporale è interessante nella sua musicacome in quella di Schoenberg».Nella seconda parte, un ‘tutto Cho-pin’, con due capolavori come il Not-turno op. 55 n. 2 e la Terza Sonataop. 58, due brani composti a brevedistanza l’uno dall’altro – ed un’at-mosfera notturna pervade d’altrondeil Largo della Sonata. Esiste una qual-che sorta di fil rouge in questa scelta?Anche se naturalmente sarebbe suf-

D

L’INTERVISTA

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Rendere la musica un’attività quotidiana nelle nostre vite, portare al mondo le note deimaggiori capolavori, da Beethoven e Chopin, che dominano il suo recital bolognese,alla contemporanea. Ax si racconta, con la passione di sempre di Fulvia de Colle

EMANUEL AX

Vivace, con brio

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“ “C’è un aspetto importante che accomuna i compositori prescelti per

il mio recital: tutti e tre operarono delle vere rivoluzioni sul pianoforte

mio recital: tutti e tre operarono dellevere e proprie rivoluzioni sullo strumento.Beethoven è stato il più grande pianistadel suo tempo, ed ha reso il pianofortebrillante e dinamico come mai prima diallora; parimenti, Chopin ha aperto cosìtante porte alla tecnica pianistica ed allacombinazione fra romanticismo e poli-fonia… la sua è una musica davvero po-lifonica – si sa che Chopin era molto af-fascinato dal Clavicembalo ben temperato.Il pianismo, il modo di pensare la ta-stiera in Chopin è molto legato a Bach,anche quando non sembra così. Quindipotrei forse dire che l’idea di rivoluzionenella tecnica pianistica attraversa nei se-coli tutti e tre i compositori che ho pre-

scelto per il mio recital bolognese».Lei inserisce da sempre la contempo-ranea nei suoi programmi. La mu-sica d’oggi, si sa, è un campo mi-nato, può provocare grandi passioni,ma suscita ancora grandi resistenzein molta parte del pubblico: qual è lasua opinione in merito?«Credo che ascoltare qualcosa di nuovo,specie magari se è complesso e diverso dal‘familiare’, sia sempre una sfida. E pensoche questo principio si possa trasferiredalla musica a molti altri campi dell’arte,del sapere e della vita, è una condizionepiuttosto umana…».Da parte sua, ha eseguito in primaassoluta opere di John Adams, adesempio, o di Krzysztof Penderecki,Bright Sheng e Melinda Wagner… nelpanorama musicale odierno, qualicompositori meriterebbero a suo av-viso maggiore attenzione?«Sicuramente ci sono molti autori chenon conosco… c’è un mondo moltogrande, là fuori! Amo molto John Adamse i compositori che lei ha citato, poi vor-rei ricordare Christopher Rouse, lo trovomeraviglioso; inoltre apprezzo moltocome autori il francese Marc-André Dal-bavie, la finlandese Kaija Saariaho, edamo lo stile di Mauricio Kagel. È davveroun universo vastissimo, ed io ne conoscosoltanto una piccola parte».Tuttavia attraverso il suo lavoro leiha molto contribuito alla promozionedella contemporanea presso ilgrande pubblico.«I giovani mi sembrano particolarmenteinteressati alla nuova musica, il che èmolto ‘sano’. E non parlo solo dei giovaniascoltatori, ma anche e soprattutto deigiovani interpreti, che la apprezzano inmaniera naturale, si divertono ad ese-guirla e la sapranno portare al meglio al-l’attenzione del pubblico. E forse il fattoche il pubblico della contemporanea siamaggiormente composto da giovani faràsì che, andando a ritroso, essi arrivinomagari un giorno a conoscere Bach…

ficiente il fatto che sono due autenticicapolavori…«Sì, Chopin completò sia l’opera 55 chela Terza Sonata entro il 1844. Circa lemotivazioni di questa scelta, non c’è pia-nista, direi, che non ami eseguire Cho-pin! Né sono molti gli appassionati chenon amino ascoltarlo… Non saprei tro-vare una ragione migliore, se non il fattoche amo profondamente questa musica».Da Beethoven a Chopin, a Schoen-berg, ecco tre modi assai personali edifferenti di ‘trattare’ il pianoforte, enel caso particolare dei primi due,anche la forma della sonata…«C’è un aspetto molto importante cheaccomuna i compositori prescelti per il

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Foto:H

ernyFair

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spite regolare dei Concerti diMusica Insieme fin dalleprime edizioni, Salvatore Ac-cardo è un artista la cui fi-gura professionale e umana

rappresenta per l’Italia una ricchezza e unesempio, esempio che la sua attività di-dattica come pure la fondazione dell’Or-chestra da Camera Italiana hanno tra-sformato in una vera e concreta‘discendenza’: in una scuola insomma,di quelle che soprattutto per gli archihanno caratterizzato la storia del nostropaese. Potremmo chiedergli di raccon-tarci dei suoi primi passi come violinista,o degli incontri con Benedetti Miche-langeli, Heifetz, Davis: ma per tutto que-sto invitiamo a leggere la sua autobio-grafia, pubblicata da pochi mesi, per unracconto appassionante ed insieme pienodi aneddoti gustosi su una vita dedicataalla musica, in tutte le sue declinazioni.Che cosa l’ha spinta a fissare tantebellissime esperienze in un’autobio-grafia, che è un po’ un ‘punto dellasituazione’?«Le autobiografie le scrivi quando haismesso di svolgere l’attività che hai fattoper tutta la vita, e allora succede che ab-biano sempre un che di malinconico,perché quando lasci chiaramente c’è unpo’ di nostalgia; e allora forse il fatto diaverla scritta quando sono ancora attivoha fatto sì che questa autobiografia nonsia assolutamente malinconica, anzi misembra che sia un’autobiografia anche inun certo senso divertente. Quella è stataun po’ l’idea di fondo, perché avendoletto appunto tante cose di altri artisti chehanno lasciato l’attività, vi trovavo sem-pre questo senso di dispiacere, per cosìdire, ed io volevo essere gioioso…».

Infatti la sua è un’autobiografia conlo sguardo rivolto in avanti: se dauna parte vivissimo è il ricordo deigenitori, e di quanto sia importanteessere incoraggiati, ma senza venirespinti troppo ‘oltre’, oggi Accardo pa-dre di due bambine può verificare sudi loro l’effetto meraviglioso dellamusica, l’importanza di viverla sindall’infanzia…«Certo. Nel loro caso poi si tratta di vi-verla ora in una maniera totale, perché aparte me c’è anche mia moglie [LauraGorna, primo violino dell’Orchestra daCamera Italiana e fondatrice dell’EsTrio,ndr] che è musicista, quindi insommain casa devo dire che la musica impera…Una delle mie figlie d’altronde ha già im-bracciato il violino, segue il metodo Su-zuki, che per i bimbi piccolissimi è per-fetto, facendoli accostare alla musicaattraverso il divertimento».Cosa si potrebbe fare di più secondolei in Italia per coltivare una consue-tudine con la musica, che in altri paesiè un dato consolidato?«In Italia non c’è un’educazione musicale,e purtroppo questa è una condizione de-leteria, che ci portiamo avanti da un belpo’ di tempo, anche perché per i bambinila musica è una cosa talmente naturale…sono aperti a tutto, assorbono ogni cosa.Un bambino può ascoltare Il flauto ma-gico di Mozart dall’inizio alla fine e nonfa una piega, anzi si commuove e si di-verte. Però in Italia non si riesce a farlocapire, mentre l’hanno capito altri paesi,come il Venezuela o la Colombia. Di re-cente sono stato in Colombia per tre set-timane, e ho lavorato con un’orchestragiovanile, centinaia di ragazzi dai 14 ai 18anni che attraverso la musica si sono let-

Solista, direttore, didatta, e anche autore di una ricca quanto avvincente autobiografiaper i tipi di Mondadori, Salvatore Accardo è artista cui il nostro paese dovrebbeguardare con gratitudine, e che ci onora della sua amicizia di Valentina De Ieso

SALVATORE ACCARDO

O teralmente tenuti lontano dalla strada, enoi questi ragazzi dobbiamo salvarli con lamusica. È una cosa che in un paese comeil nostro, con una tradizione musicalecosì straordinaria, non si riesce ancora afar capire, e lo trovo inconcepibile. Ac-canto alla storia, la geografia, la storiadell’arte devi studiare la storia della mu-sica, e la musica devi anche ascoltarla, chepoi è un arricchimento dello spirito. Perpoter scegliere poi, devi conoscere, ma senon puoi conoscere non puoi scegliere: ecome farà un bambino a dire se Mozartgli piace o non gli piace, se non l’ha maisentito?».A proposito di didattica: l’istituzionedei corsi per archi all’Accademia“Stauffer” di Cremona, nel 1986, haportato alla formazione di ensemblecome il Quartetto di Cremona o il Pro-meteo, in un momento in cui certo lacameristica non gode di ottima sa-lute, o ancora all’Orchestra da Ca-mera Italiana, con la quale l’ascolte-remo a Bologna in maggio. Qualisono le linee guida dell’Accademia,ovviamente votata agli strumenti adarco?«I corsi di Cremona sono stati veramentefondamentali per la crescita di tantissimigiovani musicisti italiani, e poi, a partetanti gruppi da camera e solisti che giranoil mondo e vincono concorsi, ha creatoanche nuovi insegnanti. È un aspettofondamentale, perché non puoi insegnarequello che non sai fare. A Cremona arri-vavano ragazzi che non avevano idea dicosa fosse la tecnica di base, eppure ve-nivano dal Conservatorio, e con diplomiconseguiti a pieni voti! Ora questa situa-zione sta finalmente un po’ mutando:grazie al cambiamento di tantissimi in-

Il miracolo della musica

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L’INTERVISTA

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segnanti, questi giovani da una trentinad’anni hanno cominciato ad affrontare lostudio in modo diverso».Parlando dell’Orchestra da CameraItaliana, quali pensa siano in questocaso i vantaggi di una formazionecomune?«La formazione comune è importanteper tante cose: per la tenuta come per ladistribuzione dell’arco, per il vibrato, perle articolazioni; sono tutte cose su cuiabbiamo lavorato per una vita, e tutti leriportano nell’orchestra, quindi l’Orche-stra da Camera Italiana ha un insiemeparticolare che non puoi trovare in nes-suna orchestra al mondo, per il semplicefatto che non esiste al mondo un’orche-stra dove tutti gli elementi siano allievidello stesso insegnante. L’altra particola-rità di questa orchestra è che se tu ascoltiuna qualsiasi compagine, anche tra le piùstraordinarie, come la Filarmonica diBerlino o la Filarmonica di Vienna, c’èsempre uno scadimento di qualità tra ilprimo leggio e l’ultimo leggio: il primoleggio ha dei violinisti notevoli, il se-condo molto buoni, il terzo così così, eandando avanti arriviamo all’ultimo leg-gio dove siedono dei buoni violinisti, macerto non al livello dei primi leggii. Danoi questo non capita, perché nell’OCItutti sono vincitori di concorsi, primeparti di orchestre italiane e straniere, so-listi… quindi c’è una qualità notevoledal primo all’ultimo leggio, il che non sipuò dire delle altre orchestre».Parlando del programma che pre-senterete il 13 maggio: la primaparte contiene opere di Saint-Saëns eKreisler dal sapore estremamente vir-tuosistico ed insieme assai ‘romanti-camente’ effusive e melodiche: sonobrani a lei particolarmente cari?«Sì, sono brani che ti riportano un po’ aquel meraviglioso momento viennese delCaffè Concerto dove c’erano gli Strauss,e il violinista che suonava e guidava ilgruppo di archi… E Kreisler è stato il piùgrande violinista del secolo, in più avevaquesta personalità prettamente viennese,un aspetto che si sente in tutta la suamusica. La ‘viennesità’ poi ha sempre insé un po’ di melanconia, e allora in tuttala sua musica, anche in quella più bril-lante e virtuosistica, c’è invariabilmente

come se fossero venti violini a suonare,anziché otto. Infatti, se tutti suonano lostesso vibrato, se tutti suonano intonati,gli strumenti vibrano molto di più, e al-lora il volume aumenta del doppio».Chi la conosce, e chi ha letto la suaautobiografia, sa anche della suapassione per il calcio: nella vita di uninterprete, nella sua costante prepa-razione, nella tensione – in fondo inun concerto come in una partitaspesso ci si gioca tutto in quei 90 mi-nuti… – quanto conta lo spirito dellosportivo?«Conta soprattutto la preparazione, per-ché la preparazione di uno sportivo èmolto molto intensa, ed anche la nostra.Ricordo che un anno partecipai a una se-rata assai piacevole al Teatro di Rivoli, or-ganizzata da Giorgio Balmas, che fondòl’Unione Musicale di Torino e ne fu ilPresidente per tanti anni. Balmas si di-vertiva anche a realizzare delle serate inteatro, invitando al dialogo personaggidi diversa estrazione, cioè musicisti, spor-tivi, matematici, ecc. Quindi mi fece farequesta serata con Fabio Capello, che inquel periodo era allenatore della Juventus:parlando con lui, e parlando proprio diquesto parallelismo tra un giovane violi-nista e un giovane calciatore, scoprimmoche il modo di lavorare, il modo di stu-diare i fondamentali è uguale per la mu-sica come per il calcio, cioè se tu non haiuna solida tecnica di base, sia come vio-linista che come calciatore puoi avere ilpiù grande talento, ma dopo un po’ crolli,e quindi ci trovammo molto d’accordo sucome lavorare sui giovani musicisti e suigiovani calciatori. In più si dicevano lestesse cose anche per quanto riguarda igenitori che rovinano i figli perché vo-gliono che facciano quello che a loro nonpiace, o che facciano tutto in fretta…quindi le affinità sono tante».Viene in mente quello che lei stessoha scritto a proposito del suo inse-gnante Luigi D’Ambrosio, il quale, asuo padre che gli chiedeva come mainon le facesse studiare i Capricci diPaganini, rispondeva: «Vuole che suofiglio suoni il violino fino a vent’annio fino a ottant’anni»?«Infatti aveva ragione… e ormai ci sonoquasi arrivato!».

questo pizzico di melanconia. Il suono diKreisler poi era assolutamente meravi-glioso: nessun altro violinista ha avuto unsuono come il suo, un suono emozio-nante, non saprei davvero esprimerlo aparole, ma ti prendeva in una manierafantastica».Il concerto e la stagione di Musica In-sieme si concluderanno poi sulle ce-lebri note della Simple Symphony diBenjamin Britten, riservando quindianche un omaggio al compositore dicui ricorre nel 2013 il centenario dellanascita…«Oltre a voler celebrare l’anno di Britten,ho scelto la Simple Symphony perché èuno dei capolavori per orchestra d’archi:una piccola sinfonia che mette in mostraveramente i valori dell’orchestra da ca-mera. Ad esempio c’è un movimentotutto pizzicato, e poi una Sarabanda cheha una linea melodica veramente straor-dinaria, e là si mette in mostra la qualitàdel suono di un’orchestra. Nel caso del-l’Orchestra da Camera Italiana, si sentedavvero quest’unità di vibrato, e ciò puòaccadere solo se hai otto violini chehanno un tipo di vibrato uguale, con untipo di distribuzione dell’arco uguale: è

FotoVicoChamla

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a frase che nel 1901 Debussyscrisse sulla Revue Blanche inomaggio all’adorato Musor-gskij, a distanza di oltre un se-colo potremmo girarla ad An-

tonín Dvorák: «Egli ha numerosi dirittialla nostra devozione». Diversi, moltodiversi, i motivi, ma analoghe le circo-stanze di un contributo tanto importantequanto misconosciuto o sottovalutato.Dvorák, classe 1841, boemo purosan-gue, è figlio di quella enclave musical-mente privilegiata che rappresenta ilcuore o il ventre dell’Europa musicale,una specie di granaio della musica mit-teleuropea, che ha nutrito prima la vo-cazione imperiale di Vienna e del classi-cismo e, successivamente, ha alimentatola scoperta ottocentesca di quali ricchezzeancora sconosciute le periferie dell’im-pero ospitassero nei loro vasti territori,dalla Boemia all’Ungheria, dalla Poloniaalla Transilvania e oltre.Da giovane, come tanti, se non tutti, am-mirò Wagner. Ma a differenza dell’altrogrande Boemo di quegli anni, Bedrich

Smetana, temperamento ardente e pienodi slancio patriottico e innovatore,Dvorák rimase fedele a una concezionepiù classicista e distaccata, lontana dallepoetiche visionarie della musica a pro-gramma e della Zukunftsmusik, la “musicadel futuro”. Da sempre invece coltivòl’interesse e l’amore per la musica tradi-zionale e popolare. Quella musica cheebbe modo di suonare quotidianamentenegli anni della gavetta, quando nei ri-storanti e nelle sale da ballo di Praga tiraval’arco come violista nell’orchestra di Ka-rel Komzák, il complesso da cui nel 1862nacque l’orchestra del nuovissimo Pro-zatímní divadlo, il Teatro Provvisorio diPraga. Il violista Dvorák vi rimase fino al1874, spesso avendo di fronte a sé, sul po-dio, proprio Bedrich Smetana. Fu unagavetta vera. Aveva già una trentina d’anniDvorák, quando finalmente si cominciòa parlare di lui come compositore con leprime recensioni sui giornali praghesi. Ebisogna arrivare al 1877 per l’incontrodecisivo con Johannes Brahms, che era ilsuo mito, e che era anche, ormai, il si-gnore della musica viennese. L’affinità diDvorák con Brahms è nota: il pianoforte,la musica da camera, le sinfonie, l’amoreper il folklore boemo e zingaro. Dvoráknon raggiunge forse le vette dell’Olimpobrahmsiano. In lui pulsa qualcosa di piùterreno, ruvido e agreste, come ad esem-pio nel clima danzante e nella genuinafinzione popolare del Quintetto in lamaggiore op. 81.Finalmente, nel 1891, l’avventura: un cu-rioso destino che bussa alla porta. Fu inquell’anno che Jeannette Thurber, in-fluente mecenate americana, pregò ilcompositore ceco, ormai celebre in tuttaEuropa, di assumere la direzione del neo-nato National Conservatory of New York,di cui era stata fra i fondatori. Così

Dvorák varcò l’oceano, e fu proprio nelnuovo continente che nacquero alcunedelle sue pagine più grandi, fra cui la suaSinfonia n. 9, Z Nového sveta, ossia “Dalnuovo mondo”, che rivaleggia in popo-larità con quelle di Beethoven e Cajkov-skij. L’America si rivelò uno scrigno. Nonera certo la prima volta che un grandemaestro della vecchia Europa sbarcavanegli Stati Uniti, ma il Conservatorio diNew York era nato per dare impulso allanuova musica americana. E a fare da le-vatrice a questo progetto fu lui, Dvorák,appassionato estimatore dell’idioma e delgenio popolare. Il resto è facile da im-maginare.In realtà sul suo ruolo e sulla sua influenzanella nascita della musica americana sidiscute. Forse le sue esortazioni non fu-rono ascoltate più di tanto. Ma quel cheè certo è che nei suoi anni americani – dal1892 al 1895 – il maestro Dvorák nonsmise di esortare i giovani compositoristatunitensi ad amare e studiare l’im-menso tesoro delle musiche afro-ameri-cane, assolutamente convinto, comescrisse e affermò ripetutamente, che «lafutura musica di questo paese dovrà fon-darsi su ciò che si è soliti chiamare melo-die negre... non c’è forma compositivache non possa giovarsi dei temi prove-nienti da questa fonte». Dvorák non si li-mitò a inserire melodie neroamericanenelle sue pagine. Il corpus degli spirituals,le prime armonizzazioni e edizioni astampa di questo straordinario repertoriosono nate dal suo insegnamento appas-sionato e dall’opera dei suoi diretti al-lievi. Altri esimi compositori americani losnobbarono, ma il tempo gli ha dato ra-gione. Per questo non possiamo che es-sergli profondamente grati, per il suo in-segnamento e per un’apertura mentaleche fa onore alla vecchia Europa.

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IL PROFILO

L

Antonín Dvorák (1841-1904)

Ritratto di un compositore proveniente dal popolo e ‘scoperto’ da Johannes Brahms,capace di conquistare l’America con il suo mélange di classicismo e folklore: come nelQuintetto op. 81, in cartellone per Musica Insieme di Giordano Montecchi

ANTONÍN DVORÁK

Fra Boemia e America

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n un manoscritto conservato nell’Archivio Capitolaredella Cattedrale di San Pietro si legge che il 14 aprile 1737fu scoperto l’altare in marmo e la sua tavola di Donato Cretinella Cappella del Santissimo tutto a spese del detto Card.

Arcivescovo. Anche questo altare fu consacrato dal medesimo. Ilcardinale arcivescovo è Prospero Lambertini futuro papa, lacappella è la terza della navata sinistra della Cattedrale, untempo della famiglia Garganelli, poi passata a quella del car-dinale, che ne affidò il riallestimento all’architetto AlfonsoTor-reggiani, straordinario artefice di un altare rococò ricco dimarmi policromi e di bronzi, i cui motivi si propagano allefinte architetture dipinte sulla parete di fondo dal quadratu-rista Stefano Orlandi. La grande pala centinata (alta più di cin-que metri) al centro dell’altare, raffigurante La Madonna conil Bambino in gloria e Sant’Ignazio di Loyola, spettaa Donato Creti. Cresciuto sui modelli di GuidoReni e Cantarini, e con il magistero di Lo-renzo Pasinelli, già all’aprirsi del Sette-cento si contendeva con il Crespi ilprimato della pittura a Bologna. Trai suoi committenti i Magnani, i Pe-poli (per i quali nel 1708 aveva af-frescato tre soffitti del palazzosenatorio), il generale Ferdi-nando Marsili, il senatore Col-lina Sbaraglia, il Cardinal Le-gato Tommaso Ruffo… InEuropa il principe di Liechten-stein, il duca di Richmond, il redi Spagna…Nella sua produzione soprattuttoprofana, gli anni Trenta si se-gnalano per una ripresa di com-mittenze chiesastiche, e si chiu-deranno con un’altra pala per laCattedrale nella cappella di SanCarlo Borromeo (1740). L’an-cona con Sant’Ignazio era giàcompletata nel 1736, come atte-sta la scritta autografa vergatasulle mura della città: DonatoCreti che spasegia su le mura perle sue aplicazioni /anno 1736. IlCreti vi compare indicando latorre della Specola arrampicatosulle mura oltre cui svettano i

monumenti più famosi, la Cattedrale e la torre degli Asinelli.Ma nel dipinto le mura fanno anche da palcoscenico alla So-nata a tre che si svolge all’aperto, sul sagrato stesso della Cat-tedrale, contro un cielo nuvoloso di grigi e di azzurri. Gli an-geli con i loro strumenti si affrontano e si rispondono. Quelloa sinistra, lo sguardo in alto al gruppo sacro, sta pizzicandoun’arpa (che pare modellata sulla barocca “arpa Barberini”) cosìmonumentale che a reggerla lo aiuta un angelo bambino, e in-tanto guarda fuori incrociando il nostro sguardo. Guardaverso di noi anche il bellissimo angelo biondo seduto sulla de-stra, che imbraccia il liuto, poco curante di leggere lo spartitoappena srotolato da un altro angelo bambino, mentre è attentoalle note il suonatore di flauto diritto, che sta poco più indie-tro, in piedi e quasi in ombra. Nella pala di Sant’Ignazio, col-

tissima per citazioni e ad un tempo personalis-sima, Donato Creti firma uno dei capolavori

della sua produzione sacra. Entro un mo-vimento avvitato e continuo – ad untempo luce aria colore – che dagli an-geli “terreni” attraversa la veduta dellacittà, si propaga al gruppo sacro, si

stempera nel bagliore dorato cheinveste le martiri e le schiere de-gli angeli, Creti rimedita ed as-sorbe nella sua pittura i modellidella grande tradizione bolo-gnese ed emiliana – da Pasinelli,arretrando, Reni, Albani, Anni-bale e Ludovico Carracci, fino aCorreggio e Parmigianino – co-niugando i toni freddi e raffina-tissimi della sua tavolozza – az-zurri, blu, grigi perlati – ad unamateria calda vibrante tonale,quella esperita nei viaggi vene-ziani della giovinezza, compiutigrazie al suo protettore/mece-nate/committente conte Ales-sandro Fava, quello che aveva al-lestito ponteggi permanenti nelsalone di casa affrescato più diun secolo prima dai giovani Car-racci perché i pittori bolognesipotessero studiare quei fregi ri-voluzionari, e i visitatori, anchestranieri, ammirarli da vicino.

28 IM MUSICA INSIEME

I

I LUOGHI DELLA MUSICA

Dipingendo la Pala di Sant’Ignazio conservata nella Cattedrale di San Pietro, DonatoCreti firma uno dei capolavori della sua produzione sacra, coltissima per citazionie al tempo stesso personale e unica di Maria Pace Marzocchi

Un concerto sacro

La Madonna con il Bambino in gloria e Sant’Ignazio di Loyola

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PER INFORMAZIONI

CONFABITAREAMMINISTRA ANCHE

IL TUO CONDOMINIO

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Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:Galleria Cavour, 3 - 40124 Bologna tel. 051.271932

E-mail: [email protected] - Sito web: www.musicainsiemebologna.it

Lunedì 13 maggio 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

I TURCHINIGIOVANNI SOLLIMA ....................................violoncelloANTONIO FLORIO...........................................direttore

Lunedì 22 aprile 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di de Majo, Fiorenza, Leo, Sollima

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

ORCHESTRA DA CAMERA ITALIANASALVATORE ACCARDO................................violino e direttore

Musiche di Saint-Saëns, Kreisler, Rossini, BrittenIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Lunedì 8 aprile 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

THE NASH ENSEMBLE OF LONDONMARIANNE THORSEN.......................................violinoLAURA SAMUEL.....................................................violinoLAWRENCE POWER.............................................violaPAUL WATKINS.....................................................violoncelloRICHARD WATKINS............................................cornoIAN BROWN............................................................pianoforte

Musiche di Mozart, Brahms, DvorákIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Musica per le Scuole”

EMANUEL AX......................................................pianoforte

Musiche di Beethoven, Schoenberg, ChopinIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

I CONCERTI aprile/maggio 2013

Lunedì 6 maggio 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

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Camminavo una mattina e almomento in cui sopraggiunsi neiparaggi del bosco, il sole comin-

ciò a brillare fra i tronchi degli alberi;l’idea del Trio mi venne immediatamentealla mente con il suo primo tema». Unapasseggiata. Gli alberi. Il sole che affioratra le foglie. La visione che suggerisce untema musicale. Chi potrebbe aver pro-nunziato queste parole che descrivono unmondo di sensazioni trattate come unarealtà pronta a manifestarsi concreta-mente in musica? Boschi e passeggiatesono familiari a Thoreau, autore diWal-den, pensatore verso il quale sono in de-

bito i padri fondatori della musica ame-ricana. Un Trio scaturito dalla fortunosaconvergenza fra la passeggiata del suo au-tore e il riflesso dei raggi solari non po-trebbe appartenere a Charles Ives? «Tuttele intelligenze si risvegliano al mattino»,dicono i Veda, e il patriarca della musicaamericana, rammentandosi della lezionedi Thoreau, non scrisse forse «che con-sentiva alla natura di porlo sotto il suo mi-croscopio piuttosto che essere lui a te-nerla sotto il proprio»? È ancora Ives adaffermare: «Se l’uomo si affiderà alla na-tura, madre natura ne preserverà la retti-tudine», soprattutto se l’uomo vorrà ac-cettare «la natura come una compagna enon come un obbligo». Certo sono pre-messe non troppo dissimili da chi si lasciacolpire da un raggio di sole fra gli alberie allo stesso tempo sente affiorare dentrodi sé un tema musicale del cui suggeri-mento si deve essere riconoscenti alla Na-tura. Il bosco in questione, però, non siestende nei pressi di Concord, nella con-tea di Middlesex e nello stato del Massa-chusetts. Il bosco di cui si parla sta nelcuore dell’Europa, alle propaggini di Ba-den-Baden, cittadina celebre per le ac-que termali e i tavoli da gioco. Colpitodalla luce sui tronchi degli alberi è un ra-gazzo trentunenne che alla musica ha af-fidato la vita. Le pagine pianistiche sem-bravano rivelare un mondo nascosto, unascrittura sinfonica cifrata o forse sempli-cemente adombrata, a dar retta all’entu-siasmo dei resoconti di Robert Schumannche del giovane compositore si era occu-pato, prima di perdersi nella follia. C’erada immaginarsi che, prima o poi, il gio-vane compositore svelasse nella loro vera

natura quelle sinfonie adombrate nellesue pagine pianistiche. Al giorno in cuiavviene la rivelazione della luce sui tron-chi d’albero, il musicista non ha ancoracomposto nessuna sinfonia, o niente di si-mile ad una sinfonia. La scomparsa dellamadre un anno prima, nel 1864, significaper il compositore il varco di quella linead’ombra che segna l’abbandono della gio-vinezza. Effettivamente, il Trio per vio-lino, pianoforte e corno escogitato da Jo-hannes Brahms, nella sorprendentedefinizione dell’organico, va subito col-

Debutta a Musica Insieme con un programma riccodi suggestioni l’ensemble britannico fondato nel 1964e considerato uno dei gruppi più raffinati e originalidei giorni nostri di Alessandro Taverna

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Lunedì 8 aprile 2013

34 IM MUSICA INSIEME

Wolfgang Amadeus MozartQuintetto in mi bemolle maggioreKV 407 per corno e archiJohannes BrahmsTrio in mi bemolle maggiore op. 40per corno, violino e pianoforteAntonín DvorákQuintetto in la maggiore op. 81per archi e pianoforte

LUNEDÌ 8 APRILE 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

THE NASH ENSEMBLE OF LONDONMARIANNE THORSEN violino

LAURA SAMUEL violino

LAWRENCE POWER viola

PAUL WATKINS violoncello

RICHARD WATKINS corno

IAN BROWN pianoforte

Introduce Alessandro Taverna. Si occupadi cronache musicali su riviste e quotidiani, fracui le pagine bolognesi del Corriere della Sera

Il suonodella natura

Foto:H

anya

Chlala

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locato in una terra di nessuno. Nessunprecedente nella letteratura musicale te-desca del secolo. Tantomeno in Brahms,che diTrii ne aveva scritti già due, ma perla più consueta formazione di piano e ar-chi. Il nuovo Trio incorse nel rischio dinon essere considerato come una paginada figurare a fianco di quartetti e quin-tetti. E infatti un brahmsiano attento eaccorto comeMassimoMila, passando inrassegna le principali composizioni, lotralascia. Molto meglio accolto è il Trio

nella più recente monografia italiana de-dicata a Johannes Brahms da MaurizioGiani: «L’alternanza lento-allegro-lento-allegro conferisce all’opera un che di va-gamente simile alla sonata da chiesa ba-rocca… In pari tempo si tratta diun’opera dalla sonorità altamente origi-nale grazie alla presenza delWaldhorn – ilcorno naturale senza pistoni –, talmenteinconsueta che il primo recensore, SelmarBagge, mise in dubbio il suo status dicomposizione cameristica e la definì piut-

tosto un Gelegenheitstück, un pezzo d’oc-casione». Scrive ancora Giani: «Comporreper il corno naturale comportava unasorta di sfida: la scelta del taglio in mi be-molle, con un solo bocchino, imponeuna notevole limitazione nel numero ditonalità a disposizione… Il cuore dellacomposizione [di Brahms] è rappresen-tato dall’Adagio mesto, nella tonalità di mibemolle maggiore, già affacciatasi nelcorso del primo movimento, di cui rie-cheggiano ancora elementi motivici, ma

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DefinitodalTimescome“l’ensemblechequalsiasi compositoredovrebbesperaredi avere”, ilNashEnsembleof London è ormai celebre nel mon-do come uno dei più raffinati edestroversigruppidacamera.Fondatoin Inghilterra nel 1964 dal suo diret-tore artistico Amelia Freedman, altempostudentessadellaRoyalAca-demy of Music, il gruppo si è im-postoall’attenzionedelpubblicointernazionale aggiudicandosiprestigiosi riconoscimenti, dalPremiodella criticaal Festival diEdimburgo, al GramophoneAward per la musica contempo-ranea nel 2002, al Royal Philhar-

monic Society Award nella catego-riamusicadacamera,conseguitoperben due volte. Nominato di recenteEnsemble Residente dellaWigmoreHall, il gruppohaeseguito270ope-re prime, di cui 170 appositamentecommissionate,esuonato inEuropa,StatiUniti,AustraliaeGiappone;hatenuto concerti a New York, nel-l’ambitodelprogetto“Will toCrea-te,Will to Live”, in memoria dellevittime dell’Olocausto, presso la

Konzerthaus di Berlino, il Museod’Orsay di Parigi e la Konzerthausdi Vienna, oltre ad esibirsi nelle ras-segne più famose come il Festival In-ternazionale di Edimburgo, il Festi-val Internazionale di Toronto e il Lo-foten Festival norvegese, di cui è En-semble in residenza.Nel 2009 la ri-vista inglese Classic FM ha scelto ilNashcomeilmiglioreensembleinunarosa di 100 gruppi e nel 2011 il Mi-nistero della Cultura francese gli haconferito l’Ordinealmeritonel cam-po delle Arti e delle Lettere.

The Nash Ensemble

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36 IM MUSICA INSIEME

in un clima più cupo e accorato». Giu-stissimo il rilievo sul Trio, che alla luce ditanti elementi potrebbe essere consideratoanche un addio alla giovinezza. Il Trio èdavvero una linea d’ombra varcata, se sipone caso che violino, pianoforte eWal-dhorn sono gli strumenti suonati daBrahms fin dall’infanzia, strumenti prati-cati e carichi di un significato che trovaconferma nell’affiorare di un Lied, nelprimo movimento, che apparteneva allereminiscenze infantili dell’autore. Cosìda caricare il senso del Naturlaut, comeuna vera intermittenza del cuore.Waldhorn per lungo tempo ha indicatoun corno a cerchio ampio, e ancora allafine del XVIII secolo uno strumento dacaccia poteva essere chiamato tromba. Edè proprio in quel periodo che i suonatoridi trombe per la musica da concerto in-cominciarono ad usare gli strumenti aspirale, con la comodità della campana ri-volta all’indietro. Quando Joseph Leutgebstupisce per la sua bravura nel 1770 ilpubblico parigino, il corno ha fatto il suodefinitivo ingresso fra gli strumenti diun’orchestra. Proprio a Parigi il corno siera affacciato nelle fanfare dei drammimusicali di Lully, a recare un sorpren-dente e tangibile effetto di realismo inscena. A un giro o a due giri, le spirali delcorno naturale ne accompagnano il pro-gressivo utilizzo da parte di autori comeBach e Händel. Prima di diventare desti-natario dei Concerti per corno e orchestrae del Quintetto per corno e archi diWolf-gang Amadeus Mozart, Leutgeb era statonegli effettivi dell’orchestra del principeEsterházy, e solista apprezzato nelle piùimportanti città d’Europa. Nel Quin-tetto, la scrittura di Mozart approfitta perfarne un ritratto in interno, rincorrendocon gusto teatrale l’incontro fra il cornoe i quattro archi – con una formazioneche prevede un violino, due viole e unvioloncello. L’Allegro prepara un curiosostaccato fra corno e violino. L’Andantemutua una melodia dal Ratto dal serraglioper far cantare il corno. Il Rondò è definitocon brillante sicurezza, e con la serenità diaffidarne il virtuosistico sviluppo a mani

sicure, trattandosi del brillante Leutgeb…Dumka è un ritmo cullante di origineslava. Antonín Dvorák ne trattiene l’es-senza pensosa e quasi sognante, il trattoinstabile e sfuggente che gli permette dicambiare tempo in continuazione. La vo-cazione allo sbalzo d’umore, all’irregola-rità. Verrà un giorno che Dvorák potràconcepire unTrio per archi e piano com-posto come una sequenza di dumky. Maqualche tempo prima – e prima di partireper gli Stati Uniti – gli basta incorniciareuna dumka nell’Andante con moto, se-condo movimento del Quintetto in lamaggiore, e lasciare che gli archi e il pia-noforte si rilancino quel tema melanco-nico, talvolta perfino in canone, molti-plicandone le voci. O, sempre conqualche scatto d’umore, un’aria si elevadai due violini con un pizzicato di viola evioloncello. Dumka: Dvorák richiama ilnome nel sottotitolo del secondo movi-mento, come al terzo assegna il nome diFuriant, danza che si accende su un ritmoternario o binario, e che qui invece è con-formata a tre motivi che s’inseguono l’unl’altro, tra figure ritmiche in eco e un ac-cenno slavo che entra da ultimo. L’Allegrofinale è segnato come una polka, ma an-che in questo caso al termine non corri-sponde esattamente la danza caratteri-

stica. Semmai l’autore si vale ancora unavolta della dumka per far procedere con lamassima leggerezza il discorso. E il finaleè un incontro tra gli impulsi popolari e lacostruzione di un fugato che per il fervoree l’applicazione fa pensare a Brahms. UnQuintetto per pianoforte e archi in lamaggiore in realtà Dvorák lo aveva giàscritto quindici anni prima, non restan-done pienamente soddisfatto. Il nuovoQuintetto per pianoforte e archi in lamaggiore è il frutto di questa prolungatainsoddisfazione che spinge l’autore a noncorreggere più, ma semplicemente a ri-scrivere tutto da capo, senza che nientepossa sovrapporsi fra una prima e una se-conda versione, affinché quanto scritto,pur con lo stesso organico e la stessa to-nalità, suoni totalmente nuovo. Dvorákimpiegò tre settimane nell’autunno del1887 per scrivere l’intera partitura, varatail gennaio dell’anno dopo. Ancora qual-che tempo e il compositore aggiornerà ilsuo bagaglio di temi popolari durante ilsuo soggiorno nel Nuovo Mondo. E lospettacolo visivo e acustico delle cascatedel Niagara rappresenterà un potente ag-giornamento alle rivelazioni della Naturascatenate da una passeggiata nei dintornidi una città termale, nel cuore della vec-chia Europa…

L’ensemble prende il nome dalla Nash Terrace che circonda la Royal Academy of Music diLondra, dove studiava la sua fondatrice Amelia Freedman, edificio progettato da John Nash

Lo sapevate che...

DA ASCOLTARE

Com’è lecito attendersi da un ensemble “a geometria variabile” qual è ap-punto il Nash, la sua discografia non solo è ampia, ma anche molto varia.Da Mozart alla musica contemporanea, i musicisti della Wigmore Hall lon-dinese hanno scandagliato a fondo il repertorio, passando attraverso gli im-pegnativi Sestetti di Brahms. Oppure dedicandosi con patriottica passione peri tipi della Hyperion all’integrale della produzione cameristica del britanni-co Malcolm Arnold, scomparso di recente, nel 2006, e passato agli onori del-la cronaca da un lato, poiché diresse la Royal Philharmonic nel singolare con-certo che la vide esibirsi assieme ai Deep Purple, mentre a lui si debbono lecolonne sonore di due celebri pellicole: Improvvisamente l’estate scorsa e Il pon-te sul fiume Kwai, grazie alla quale ottenne l’Oscar nel ’58. Non mancano incatalogo, sempre per la Hyperion, l’omaggio a Beethoven ed a Schumann,al quale si aggiungono tributi a Poulenc, a Saint-Saëns, persino a RichardStrauss, sebbene la parte del leone resti saldamente in terra inglese. Al Nashsi deve, infatti, una ricca collezione di incisioni di compositori britannici traOtto e Novecento, inclusi ovviamente Britten (Phaedra) e l’immancabile Fa-çade di Walton, un must per gli ensemble d’oltremanica.

Lunedì 8 aprile 2013

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Lunedì 22 aprile 2013Foto

Ribalta

LuceStud

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Raritàpartenopee

La nuova avventura(anche discografica)di Sollima e dei Turchiniriscopre un veroflorilegio di meravigliemusicali del primoSettecento napoletano,cui si aggiungeun nuovo branodel compositoree violoncellistapalermitanodi Dinko Fabris

38 IM MUSICA INSIEME

Foto:G

ianMaria

Musarra

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39IM MUSICA INSIEME

l violoncello a Napoli giunge moltotardi, alla fine del secolo XVII, manel primo Settecento conosce unasorprendente fioritura che per de-cenni produce eccezionali virtuosi e

una meravigliosa produzione musicaleche trasformò la città in uno dei centridi riferimento per lo strumento in Eu-ropa. Per tutta la seconda metà del Sei-cento, mentre il violoncello cominciavacon varia terminologia una vita auto-noma rispetto alle viole da braccio da cuiderivava, affermandosi soprattutto incittà come Venezia e Bologna, a Napoliera rimasta in uso l’antica viola dagamba, anche se l’iconografia presentavarie taglie intermedie tra le viole daspalla, gamba e i violoni (più tardi con-trabbassi). La prima testimonianzascritta di musica per violoncello è unmanoscritto dell’Abbazia di Montecas-sino di Rocco Greco, datato 1699, inti-tolato Sonate à due viole, che riporta 28«Sinfonie» per due strumenti in chiavedi basso. Rocco era entrato col più cele-bre fratello Gaetano Greco come allievodel Conservatorio dei Poveri di GesùCristo e dal 1704 risulta come suonatoredi «viola», insieme a Giulio Marchetti,nella Real Cappella del Viceré. In quel-l’epoca a Napoli la definizione di viola èambigua e non sembra ancora riferitaallo strumento «da braccio» che entreràin uso dal secondo decennio del Sette-cento. Del resto a Napoli il violoncelloè spesso indicato in quest’epoca come«violetta» e più tardi, al femminile, «vio-loncella», per rimarcare la derivazionedagli strumenti da braccio e non dalviolone. Ma già nel 1708 la Real Cap-

pella divide chiaramente la «viola» suo-nata da Greco e Marchetti rispetto al«violoncello» suonato da FrancescoPaolo Scipriani (o Sopriano), il primovero virtuoso napoletano dello stru-mento, nato a Conversano (Bari) nel1678 e allievo dal 1693 del Conserva-torio deiTurchini di Napoli. Di lui si co-nosce un importante manoscritto diPrincipij da imparare a suonare il vio-loncello e con 12 toccate a solo, oltre ad al-cune composizioni vocali. La sua fama èsuperata dalla comparsa al suo fianco,nell’organico della Real Cappella almenodal 1722, di Francesco Alborea detto«Franceschiello», divenuto quasi leg-

gendario grazie alle testimonianze diQuantz e Geminiani: nato a Napoli nel1691, aveva studiato nel Conservatoriodi Loreto e dopo il 1726 si era trasferitoa Vienna nella cappella imperiale finoalla morte, avvenuta nel 1739. Le sueesibizioni a Roma non avevano man-cato di impressionare un osservatorecompetente come Pier Leone Ghezzi,che ne disegnò un ritratto dopo un con-certo nella residenza di campagna dellafamiglia Colonna a Marino nel 1718.Purtroppo di «Franceschiello di Napoli»non abbiamo musiche superstiti e biso-gna attendere la produzione del più gio-vane Salvatore Lanzetti (circa 1710-1780), anche lui studente delConservatorio di Loreto, per trovare leprime composizioni per violoncellopubblicate da un napoletano: 12 Sonatea violoncello solo e basso continuo, stam-pate ad Amsterdam nel 1736 quandoera da tempo al servizio della corte diTo-rino e noto in tutta Europa per le suetournées.Nello stesso periodo, a Napoli, il vio-loncello tornava ad essere protagonista alivelli eccelsi grazie al mecenatismo delduca di Maddaloni. Domenico MarzioIV Carafa duca di Maddaloni aveva spo-sato nel 1730 Anna Colonna, discen-dente da una famiglia che aveva pro-tetto molti musicisti e nel 1734 avevaaccolto nel suo palazzo il nuovo re Carlodi Borbone, al suo ingresso nel regno ap-pena conquistato. Nello stesso palazzo diMaddaloni furono accolti numerosi ese-cutori e compositori, ai quali il ducachiedeva con particolare enfasi musicaper violoncello, di cui era appassionato.

I LUNEDÌ 22 APRILE 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

Giuseppe de MajoConcerto in fa maggioreper violoncello e archiNicola FiorenzaConcerto in si bemolle maggioreper violoncello e archiLeonardo LeoConcerto in re minoreper violoncello e archiNicola FiorenzaConcerto in la minoreper violino e archiGiovanni Sollima“Fecit Neap. 17..”per violoncello, archi e continuo

I TURCHINIGIOVANNI SOLLIMA violoncello

ANTONIO FLORIO direttore

Introducono Giovanni Sollima e Antonio Florio

I Turchini, ensemble fondato nel 1987 da Antonio Florio, riunisce strumentisti e cantanti specializzati nell’esecuzione del re-pertorio musicale napoletano di Sei e Settecento, e nella riscoperta di compositori rari. L’originalità dei programmi e il rispettorigoroso della prassi esecutiva barocca fanno dei Turchini una delle punte di diamante della vita musicale italiana ed europea;invitati ad esibirsi sui palcoscenici più importanti (Accademia di Santa Cecilia, Palau de la Música, Berliner Philharmonie, Wie-ner Konzerthaus), hanno ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, dal Premio “1996” del quotidiano francese Le Mondeal premio “Abbiati” dell’Associazione Nazionale Critici Musicali, ed ancora al Premio “Charles Cros” dell’Académie du Disque.Violoncellista e compositore, Giovanni Sollima intraprende giovanissimo una brillante carriera solistica, collaborando tra glialtri con Giuseppe Sinopoli, Bruno Canino, Jörg Demus e Martha Argerich. Come compositore, la sua curiosità creativa lo spingea sperimentare originali contaminazioni fra la classica e i generi musicali più disparati, tra cui rock, jazz, elettronica, minimali-smo anglosassone e musica etnica mediterranea. I suoi lavori, eseguiti in tutto il mondo, sono stati interpretati fra gli altri dallaFilarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti, nonché da solisti come Yo-Yo Ma, Mario Brunello e Bruno Canino.

I protagonisti

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40 IM MUSICA INSIEME

Videro così la luce la Sinfonia per violon-cello e basso in Fa di Giambattista Pergo-lesi, il quale morì nel 1736 nel conventodi Pozzuoli posto sotto la protezione dellostesso duca di Maddaloni, e soprattuttoben sei concerti per lo strumento com-posti da Leonardo Leo, allora maestrodella Real Cappella e considerato il piùautorevole didatta attivo a Napoli. Com-posti nell’arco temporale tra il settembre1737 e l’agosto del 1738, cinque di que-sti brani si intitolano Concerto di Violon-cello con V.V., per solo servizio di S.E.za ilSig.r Duca di Madalona, mentre l’ultimoconserva la più arcaica denominazione diSinfonia in do concertante di violoncellocon violini e basso. Tutti sono autografi esono conservati presso la Biblioteca delConservatorio di Napoli. Nel quarto con-certo, in re, scritto nell’aprile 1738, Leoaffida al solista fin dal primo tempo, An-dante grazioso, un ingresso di grande im-pegno tecnico e continua così per tutto ilbrano (in coerenza con lo stile del tempo,Giovanni Sollima ha composto le sue ca-denze in questo e negli altri due concertinapoletani in programma). Non cono-sciamo il nome del virtuoso presente nelpalazzo del duca di Maddaloni al qualeerano dedicati, presumibilmente, sia laSinfonia di Pergolesi sia i sei concerti diLeo, ma doveva essere degno della grandefama dei violoncellisti napoletani. E nona caso ancora «per servizio di S. W. IlSig.r Duca di Mataloni» è composta an-che una Sinfonia a violoncello solo con vio-lini e basso di Nicola Fiorenza, un poli-strumentista che, dopo gli studi alConservatorio di Santa Maria di Loreto(evidentemente una fucina di violoncel-listi in città), esordì proprio nel posto la-sciato libero nella Real Cappella dal vir-tuoso Francesco Alborea nel 1726. Ma inseguitò preferì la carriera di violinista,guadagnandosi una reputazione tale dadivenire nel 1758 maestro di concertodell’orchestra del teatro di corte, dopoessere diventato dal 1743 docente di stru-menti a corde nel Conservatorio di Loreto(un posto che dovette lasciare nel 1762per i ripetuti scandali causati dai suoi me-todi punitivi poco ortodossi nei confronti

degli allievi, minacciati perfino con laspada). Solo in tempi recenti il nomeprima sconosciuto di questo compositoreè stato riconsiderato tra i più importantistrumentalisti del secolo, e si è finalmentegiunti a proporne una riedizione inte-grale (oltre 30 composizioni per diversistrumenti tra cui il flauto dolce e la Sin-fonia a 4 violini, tipica formazione napo-letana per la quale scrive anche Leo). IlConcerto per violoncello qui proposto, an-che per la data precoce che lo colloca trale prime composizioni certe di Fiorenza,sembra un omaggio esplicito alla genera-zione dei due sommi virtuosi che ave-vano aperto a Napoli il secolo, ed in par-ticolare era rivolto forse a «Ciccio»Scipriano, di cui egli era divenuto colleganella Real Cappella.Rispetto ai nomi che abbiamo citato fi-nora, Giuseppe de Majo si colloca ac-canto a quello di Leonardo Leo tra i mag-giori compositori napoletani del suotempo, ma non ebbe diretta competenzatecnica del violoncello (nella relazioneper la sua ammissione nel 1732 comemaestro di cappella «sovrannumerario»nella Real Cappella è definito «ottimoorganista» e «virtuoso»). Stupisce dun-que trovare un suo Concerto per violon-cello, peraltro finora sconosciuto, ancorauna volta in una data precoce (1726) cheriporta all’epoca aurea della prima gene-razione di virtuosi napoletani: ed infattianche in questo caso è richiesto, soprat-tutto nel tempo finale, un impegno no-tevole da parte del moderno esecutore.Del resto anche il suo quasi contempora-neo Nicola Porpora (circa 1686-1766)compose almeno un Concerto per violon-cello dalle medesime caratteristiche vir-

tuosistiche, prima che il secolo d’oro delvioloncello napoletano si chiudesse con ilSolo per violoncello con due violini e bassodi Nicola Sabatino, altro grande compo-sitore di una generazione successiva(1705-1796).Di Giovanni Sollima si può ben dire chereincarni l’anima del virtuoso meridionaledi tre secoli fa. Non soltanto le sue ese-cuzioni dei concerti settecenteschi ren-dono vivo e palpitante un «gesto» ba-rocco che non può essere restituito solodalla fredda esecuzione di tutte le notescritte, ma vive negli scarti dinamici im-provvisi, negli effetti timbrici, nel caloredell’emissione e perfino nelle cadenze dalui inserite con una naturalezza sorpren-dente. Proprio per questi motivi, l’inclu-sione di una sua composizione originale«à la manière de» un compositore napo-letano del Settecento si colloca in perfettasintonia con il repertorio scelto per Mu-sica Insieme. Il brano, dedicato affettuo-samente ad Antonio Florio, ha quasi untitolo di programma: “Fecit Neap. 17..”è infatti una clausola ricorrente in tantimanoscritti del secolo XVIII che ripor-tano al ricercatore la grafia autografa diun compositore e spesso tracce della per-formance practice voluta dall’autore. Nelbrano di Sollima, apprezzato composi-tore del nostro tempo e soprattutto fedeleseguace del cross-over stilistico tra ge-neri diversi, si recepiscono due atmosferevolutamente poste a contrasto: una fattadi timbri sognanti ed evocativi del ba-rocco più sensuale e cantabile che vienedalla Napoli settecentesca, soprattuttograzie al bellissimo tema principale subasso ostinato; l’altra atmosfera è basatasu una ossessione ritmica che svela lamaestria del virtuoso del nostro tempo,ma costringe i musicisti con strumentiantichi (appositamente richiesti) ad unosforzo quasi improbo per la sovrapposi-zione di tempi irregolari, alla Stravinskij.Il risultato è una pagina che comunicagrande energia: forse la stessa sensazioneche provava il duca di Maddaloniquando ascoltava il suo virtuoso di vio-loncello eseguire i grandi capolavori com-missionati per lui.

Lunedì 22 aprile 2013

Nel 2008 i Turchini si sono aggiudicati il “Premio Napoli”, nella sezione speciale“Eccellenze Nascoste” per l’immagine positiva della città che hanno divulgato nel mondo

Lo sapevate che...

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Un ritorno attesissimosul palcoscenicodell’Auditorium Manzoni:il poliedrico virtuosoEmanuel Ax di nuovo aMusica Insieme dopoquindici anni di assenzadi Maria Chiara Mazzi

Sonatamanontroppo

Lunedì 6 maggio 2013

42 IM MUSICA INSIEME

EMANUEL AX pianoforte

LUNEDÌ 6 MAGGIO 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

Ludwig van BeethovenSonata in la maggiore op. 2 n. 2Arnold SchoenbergSei Piccoli Pezzi op. 19Ludwig van BeethovenSonata in dominore op.13 -PateticaFryderyk ChopinNotturno inmi bemolle maggiore op. 55 n. 2Sonata n. 3 in si minore op. 58

Introduce Maria Chiara Mazzi,docente al Conservatorio di Pesaro e autricedi libri di educazione e storia musicale

Foto:L

isaMarieMazzucco

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43IM MUSICA INSIEME

Noto non solo per la sua indole poetica e il suo insuperabile virtuosismo, ma anche per la sua poliedricità in campo artistico, Ema-nuel Ax si è imposto sulla scena internazionale aggiudicandosi la vittoria al Concorso pianistico “Arthur Rubinstein” di Tel Aviv,nonché l’ambito “Avery Fisher Prize” di New York. La sua carriera si arricchisce ogni stagione di esibizioni con le più importantiorchestre sinfoniche del mondo, di recital nelle sale più rinomate, di collaborazioni nel campo della musica da camera, di esecu-zioni di nuovi brani. Attento alle musiche dei compositori del XX e XXI secolo, ha suonato in prima assoluta opere di John Adams,Christopher Rouse, Krzysztof Penderecki, Bright Sheng e Melinda Wagner, ed è apparso al fianco di artisti quali Peter Serkin, IsaacStern, Jaime Laredo, Yo-Yo Ma, Edgar Meyer... Nel 2010, per il bicentenario della nascita di Chopin e Schumann, Emanuel Axha incaricato Thomas Adés, Peter Lieberman e Stephen Prutsman di comporre delle opere inedite per tre repertori eseguiti insiemea Yo-Yo Ma e Dawn Upshaw, progetti poi realizzati con la partecipazione del Barbican Centre di Londra, del Concertgebouw diAmsterdam, della Carnegie Hall di New York, della Filarmonica di Los Angeles e della Sinfonica di San Francisco, che ne hannoanche ospitato l’esecuzione. Nella Stagione 2012/13, Ax è Artista residente della New York Philharmonic Orchestra.

Emanuel Ax

’eterno contrasto tra ‘grandeforma’ e ‘piccolo pezzo’ chesembra tanto angustiare i musi-cologi viene superato (e vanifi-cato) in un concerto come que-

sto, dove il programma ci fa capire comein realtà questi mondi, solo all’apparenzainconciliabili, siano molto più vicini diquanto non si pensi, se guardiamo la mu-sica da un più alto punto di osservazione.Fa da ‘filo conduttore’ la sonata, formastrutturata per eccellenza, imprescindi-bile riferimento per oltre due secoli distoria, banco di prova per tutti coloroche dal Settecento si siano cimentati conuna tastiera, e che nemmeno i più accesirivoluzionari potranno evitare, anche sesolo per rimescolarne le carte. E si co-mincia con l’inevitabile Beethoven, le cuiSonate op. 2, dedicate a Franz JosephHaydn, composte tra il 1794 e il 1795 epubblicate nel 1796, sono in grado dimostrarci ormai un mondo nuovo, nelquale questa forma viene trasformata dasimpatico intrattenimento a ‘luogo’ doveil conflitto tematico è simbolo di un con-flitto interiore e, insieme, specchio delletensioni di una società che si andava ine-sorabilmente evolvendo e che stava fa-cendo della musica ben più che un pia-cevole passatempo. Già in queste primetre sonate solo cronologicamente ‘giova-nili’, Beethoven propone le sue soluzionia questa richiesta e inizia a rendere que-sta forma progressivamente irriconoscibilerispetto al modello ideale, radunandosotto lo stesso numero d’opus pagine

composte in un breve giro di anni maenormemente differenti e lontane tra diloro, sia dal punto di vista espressivo cheda quello contenutistico. Nel 1796,l’anno di pubblicazione, Beethoven aVienna era ormai celebre per la sua origi-nalissima abilità di pianista, seppure an-cora non lo fosse troppo come composi-tore; inoltre non solo era diventato l’idolodel pubblico delle accademie, ma eraospite fisso e adorato dei salotti dellagrande nobiltà imperiale. Ed infatti laSonata op. 2 n. 2, dopo gli impeti ir-ruenti della n. 1, è più paradigmatica edinnegabilmente legata all’‘educazione mu-sicale’ dell’ambiente aristocratico vien-nese; tuttavia, pur presentando caratteri-stiche che costituiranno un esempio nellaletteratura pianistica ottocentesca (comei quattro movimenti), essa riesce a ri-specchiare sia le nuove esigenze espressivedell’artista che quelle di una società apertaalle novità, ma non ancora del tutto svin-colata dalle convenzioni musicali dei pas-sato. Dopo un Allegro vivace assai esteso ebrillantissimo, in cui i due temi forte-mente caratterizzati rispettano la con-venzione del contrasto espressivo, tro-viamo un Largo che può essereconsiderato il primo grande adagio bee-thoveniano, e che nelle suggestioni ditipo quasi orchestrale mostra una conce-zione timbrica evoluta che coinvolgeapertamente ed emotivamente anchel’ascoltatore. Un brano dove, come af-ferma Abraham, «Beethoven non miraad effetti pianistici, ma vuol dimostrare

come il pianoforte possa avvicinarsi consuccesso alla scrittura quartettistica, o ad-dirittura orchestrale». Dopo questa paginadi ispirazione altissima troviamo una verasorpresa: per la prima volta infatti Bee-thoven rifiuta il tradizionale e arcaico mi-nuetto, che qui davvero sarebbe fuoriluogo, sostituendolo con uno Scherzo,che non ha ancora la forza tellurica e rit-mica degli analoghi brani sinfonici, maesce dagli antichi palazzi per proporsi conla rusticità di una danza popolare. La so-nata si chiude con un Rondò in bilico tral’effusione personale e lo sfogo virtuosi-stico, quasi volesse farsi perdonare la mo-dernità espressa fino a quel momento.Passano solo tre anni (e quattro sonate),e nel 1799 ecco un altro importantissimopunto di svolta: la Sonata op. 13, dovel’ispirazione e le idealità neoclassiche del-l’autore trovano la più compiuta espres-sione musicale, e dove la forma, tornataall’arcaica costruzione in tre movimenti,viene però travolta da un significato filo-sofico esplicitato nel titolo di Sonata Pa-tetica dato dallo stesso autore. L’aggettivonon ha nulla a che vedere col significatoche esso assumerà nel romanticismo, masi ricollega a Schiller (e quindi a Kant),per il quale in arte «patetico è la forza tra-gica di rappresentazione», attraverso laquale «la santa libertà dello spirito, in uneroico imperativo etico, può raggiungereil superamento del dolore nella catarsi».Partendo da una simile concezione filo-sofica, anche il contrasto tematico all’in-terno del primo tempo acquista un valore

L

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non solo musicale, ma spirituale, nel-l’opposizione tutta kantiana tra un prin-cipio dominante e un elemento tenero edolce. Il Grave iniziale, inconsueto al-l’epoca, è uno splendido esempio di ten-sione retorica, dove la cadenza ritmica diuna marcia idealizzata sembra riportaresul pianoforte gli echi di unaOuverture diGluck e fa presagire lo stile décor delleopere imperiali di Cherubini e Spontini.La forza cromatica scarica la tensione sul-l’Allegro successivo che non rinuncia, for-malmente, all’opposizione dei due principi– quello violento e quello implorante –mache nei momenti cruciali (prima dellosviluppo e prima della conclusione) vieneinterrotto per ben due volte da pochebattute del Grave iniziale, quasi tornatoper distruggere con i suoi dubbi gli equi-libri faticosamente raggiunti. L’irrequie-tezza del primo tempo si placa a poco apoco nei due tempi rimanenti, e la sonatatorna così su binari più consueti e tran-quilli. Ecco quindi il celeberrimo An-dante, una forma a sezioni dove il temainiziale torna variato e inframmezzato damomenti contrastanti e che, come af-ferma Fischer, è «una delle più meravi-gliose creazioni che deve essere resa, pre-scindendo dal moto dello spirito, in stileclassico e tuttavia profondamente sen-tito, dando al canto un tono serio e ap-

passionato e al ritmo semplicità e mode-razione». A conclusione sta un graziosoRondò, dal tema malinconico e un po’decorativo, ma perfettamente in linea colpercorso ideale della sonata. Non a caso,in questa prima parte del programma conle due sonate di Beethoven si confrontanoi Piccoli Pezzi op. 19 di Schoenberg (pub-blicati nel 1913), e non solo per una con-tiguità geografico-culturale che mette difronte la prima e la seconda scuola diVienna. Sono infatti utili qui questi brani‘di passaggio’ verso una visione nuovadella musica per ricordarci l’inutilità delladivisione tra ‘grande’ e ‘piccolo’, dimo-strando come prescindendo dalle appa-rentemente imprescindibili concezioni diesposizione, sviluppo e ripresa (che ca-ratterizzano la sonata) si possa costruireuna grande struttura anche con brani didurata minima come questi.Il problema vero dei romantici fu quellodi stabilire un rapporto con le forme dellatradizione e con la sonata in particolare,dal momento che già Beethoven nella suaproduzione (e sin dall’inizio, come ab-biamo visto) ne aveva stravolto i valori,ma non, in fondo, la struttura di base, tra-sformandola nella rappresentazione mu-sicale di una lotta interiore ricomposta dauna suprema regola ordinatrice. I com-positori della prima metà dell’Ottocento,

tuttavia, non potevano, realisticamente,accettare una forma i cui principi rispon-devano ad una visione del mondo com-pletamente diversa dalla propria, anche sealcuni (i più ‘neoclassici’, in realtà, comeChopin) cercarono, e trovarono, unbuon compromesso tra passato e pre-sente. Chopin il suo contributo l’avevadato già in gioventù con la Sonata op. 4e poi soprattutto con la Sonata op. 35,carica di tensioni sconosciute, ma aper-tamente ricollegata (attraverso laMarciaFunebre), proprio a Beethoven. Infine,nel 1844, torna nuovamente la ‘grandeforma’, con la Sonata op. 58, dove pas-sioni e dualismi sembrano superati inuna sfera di chiarezza quasi trascendente,e nella quale convivono i toni opposti deldramma e della tenerezza in una dimen-sione espressiva che ha pochi eguali al-l’epoca. La composizione, di vaste pro-porzioni, è delimitata dalle poderosearchitetture dei due tempi estremi, tra iquali sono racchiusi due movimenti digrande levità e dolcezza. Il primo movi-mento, come il Finale tragico e appas-sionato, media perfettamente tra una sal-dissima costruzione contrappuntistica euna dolcissima cantabilità quasi operi-stica, mentre in mezzo stanno unoScherzo leggerissimo, piacevole e delicatoe un Largo che è vero e proprio ‘not-turno’, in cui l’intenso canto contempla-tivo sublima e raccoglie tutte le espe-rienze timbriche e armoniche cheavevano fin lì caratterizzato in Chopinproprio questa forma. A completare que-sta sezione del programma sta non a casoun Notturno (op. 55 n. 2), uno dei piùstraordinari di tutta la produzione cho-piniana, che sembra scelto apposta per lasua capacità di collegare canto e con-trappunto, quasi a riassumere, nei cinqueminuti della sua durata, tutto ciò che lostesso autore racconta nei quattro movi-menti del più vasto capolavoro. A dimo-strazione che grande e piccolo, macroco-smo e microcosmo, racchiudono allostesso modo e nella stessa misura tutto ilpensiero e l’idealità di un musicista.

Lunedì 6 maggio 2013

44 IM MUSICA INSIEME

DA ASCOLTARE

L’ultima fatica discografica di Ax, ultima di una lunghissima lista tutta nel catalo-go Sony, ha un titolo che non lascia spazio a dubbi: Variations. La Sony l’ha lan-ciata sul mercato lo scorso gennaio: qui Ax affronta Beethoven (op. 35), Haydn(Hob XVII: 6) e gli Studi Sinfonici di Schumann. Insomma, i suoi prediletti, per unpianista/interprete che peraltro il repertorio, fino a lambire la musica dei nostrigiorni e con lunghe e proficue incursioni nella cameristica, lo ha scandagliato dav-vero a fondo. Del resto, proprio pensando alla musica da camera, come non ri-cordare le incisioni che lo hanno visto assieme a Stern, Laredo e Yo-Yo Ma (Bee-thoven, Schumann, Brahms, Fauré), ensemble che proprio Musica Insieme ospitòsul suo palcoscenico. Yo-Yo Ma con il quale, poi, è stato protagonista di altre me-morabili incisioni (Beethoven, Rachmaninov, Prokof’ev, eccetera), solo per resta-re nel novero di quegli artisti che il nostro pubblico ha potuto conoscere e applaudiredi persona. Così eccoci a rammentare proprio il cd che ha preceduto Variations,l’interessante registrazione delle opere per due pianoforti ancora di Rachmaninov,ed ancora con un musicista che il nostro pubblico ben conosce: Yefim Bronfman.

La prima apparizione di Emanuel Ax a Bologna, ospite di Musica Insieme nel 1995,lo vedeva accanto a colleghi del calibro di Isaac Stern, Jaime Laredo e Yo-Yo Ma,in un programma che fu anche oggetto di pluripremiate incisioni discografiche

Lo sapevate che...

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l primo incontro con Pablo de Sarasate, CamilleSaint-Saëns non ebbe percezione della grande in-fluenza che il violinista spagnolo avrebbe avutosulla sua attività compositiva. Ne ebbe forse sentorequando Sarasate, appena quindicenne, gli chiese di

scrivere un concerto per lui. Era il 1859, Saint-Saëns era dapoco divenuto organista della Chiesa della Madeleine, una po-sizione prestigiosa e remunerativa. Il compositore accettò la ri-chiesta di Sarasate, data la sua notoria curiosità per i diversi ge-neri musicali, e a quel primo lavoro, stranamente diffuso conil titolo tedesco di Concertstück, seguirono altre tappe nellascrittura per violino e orchestra. L’Introduzione e Rondò ca-priccioso op. 28 (1863) fu il secondo esplicito impegno crea-tivo di Saint-Saëns per Sarasate. Modellato sulla sequenzaoperistica di recitativo e aria, l’Introduzione e Rondò rispecchiala tipica forma di concerto virtuoso in cui il solista primeggiasull’orchestra con una scrittura prettamente idiomatica. Nel-l’Introduzione – un Andante di sole 36 battute – sul supportoritmico-armonico dell’orchestra si staglia il malinconico cantodel solista; il tema, apparentemente semplice con una costru-zione in accordi spezzati arricchita da lievi passaggi cromatici,diventa voce inconfondibile. L’arrivo dell’Animato conduceverso un cambio di mondo sonoro, perentoriamente affermatoda un accordo strappato del tutti orchestrale. Ha così inizio il

Rondò, che si dispiega nella tradizionale forma di ritornello estrofa. Dopo l’affermazione della propria presenza, l’orchestraancora una volta riprende il ruolo di accompagnamento al vir-tuosismo della voce cantante. Tra ampi intervalli, che deter-minano estremi cambi di registro, e passi di bravura, Saint-Sa-ëns inserisce moduli dal carattere ispanico in omaggio al paesenatio di Sarasate. Del resto Saint-Saëns fu sempre un grandeesploratore, e nel corso dei suoi viaggi si impadronì degliidiomi musicali nazionali. Per la Spagna ebbe la fortuna, cosìcome Bizet e Lalo, di essere guidato da Sarasate, quel fanciullodal suono trasparente e dall’intonazione perfettamente chiarache ebbe un ruolo di primo piano nella musica dell’epoca. Nelviolinista spagnolo, George Bernard Shaw apprezzava l’as-

La ventiseiesima stagione di Musica Insieme si conclude con l’Orchestra formata in senoall’Accademia “Stauffer” di Cremona da Salvatore Accardo, che la dirige imbracciando ilviolino di Mariateresa Storino

ALabacchettadelMaestroLunedì 13 maggio 2013

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Camille Saint-SaënsHavanaise in mi maggiore op. 83 per violino e archiIntroduzione e Rondò capriccioso op. 28 per violino e archiFritz KreislerCinque pezzi per violino e archi: Liebesfreud – LiebesleidSchön’Rosmarin – Rondino su un tema di Beethoven – La GitanaGioachino RossiniSonata III in do maggiore per archiBenjamin BrittenSimple Symphony op. 4 per archi

LUNEDÌ 13 MAGGIO 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

ORCHESTRA DA CAMERA ITALIANASALVATORE ACCARDO violino e direttore

Introduce il concerto Fabrizio Festa,compositore, docente di Conservatorio e saggista

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senza di interpretazione: «Egli non interpreta nulla, egli losuona con bellezza e questo è tutto. È sempre vigile, veloce,chiaro, raffinato, sicuro, scrupolosamente attento e comple-tamente vero».Sempre la Spagna è il motivo ispiratore dellaHavanaise op. 83,composta a distanza di quasi trent’anni dall’Introduzione eRondò capriccioso e dedicata al violinista cubano Diaz Alber-tini. Come nell’Introduzione e Rondò, Saint-Saëns realizza unacomposizione in due parti, anche se non esplicitamente indi-cate. A differenza però del primo brano, l’Allegretto (sezione in-troduttiva) per via della sua lunghezza si configura come unmovimento quasi separato; l’unità con il successivo Allegro ètuttavia garantita dal ritorno del medesimo nucleo tematico.Havanaise deriva da Habanera, ed è appunto il motivodell’Habanera a fungere da trait d’union ed elemento fondantedell’intera composizione: quel modulo ritmico di quattro notecostantemente ripetuto, di derivazione cubana ed esaltato daBizet nella sua Carmen, a cui si oppone una figura in terzineseguite da duine. Il modulo, scandito fin da subito, si mescolaad una varietà di umori incastonati in una forma di rondò la-bile nei suoi contorni. Il violino non è più il protagonista as-soluto come nell’Introduzione: adesso dialoga con i suoi simili,fondendosi in una sola linea dall’affascinante identità timbrica.Il tema principale, per affermazione dello stesso Saint-Saëns,derivò dal «crepitio del legno» del camino che lo cullò in unapiovosa giornata in un albergo della Francia del Nord. Era ilnovembre del 1885. Due anni dopo, quel suono diede vita al-l’idea melodica dell’Havanaise.Mentre Saint-Saëns fece sua l’esperienza violinistica di amicie colleghi, Fritz Kreisler si cimentò nella composizione per lostrumento di cui era virtuoso indiscusso. I Cinque pezzi (1910-1917) si configurano come una sorta di polittico le cui parti,

tuttavia, sono immagini compiute ed autonome. I primi due– Liebesleid (pena d’amore) e Liebesfreud (gioia d’amore) – sem-brano declinazioni speculari della stessa idea: l’amore, ap-punto. La pena e la gioia sono sfumate, senza punte di accesosentimento: la malinconia del Liebesleid è filtrata dalla legge-rezza tutta viennese del valzer, con un’idea melodica ossessiva

47IM MUSICA INSIEME

Nel 1996, adieci anni dall’istituzionedei corsi di alto per-fezionamentopressol’Accademia“WalterStauffer”diCre-mona,SalvatoreAccardodecidedi fondareun’orchestrad’archi con i migliori allievi ed ex allievi dell’Accademia.Nasce così l’Orchestra da Camera Italiana, i cui com-ponenti, unico esempio al mondo, discendono tutti dallastessa scuola, raggiungendo un’unità espressiva, tecnicae stilistica senzapari. L’Orchestra si è esibita presso le piùimportanti istituzioni musicali italiane ed estere, effet-tuando numerose tournée in Stati Uniti, Brasile, Argenti-na,CinaeGiappone,ospitedei festivalpiùprestigiosi.Nel1998, in occasione del 50° Anniversario della firma del-la Costituzione Italiana, ha inaugurato la tradizione con-certistica dei concerti nell’Aula del Senato, protrattasi fi-no al 2002. Salvatore Accardo esordisce all’età di 13annieseguendo inpubblico iCapriccidiPaganini,a15an-ni vince il Primo premio al Concorso diGinevra e, due an-ni dopo, nel 1958 è primo vincitore assoluto del Concor-so “Paganini” diGenova. Il suo vastissimo repertorio spa-zia dalla musica barocca a quella contemporanea. Com-positoriqualiSciarrino,Donatoni,Piston,Piazzolla,Xenakisgli hanno dedicato loro opere. Suona regolarmente conle maggiori compagini e i più importanti direttori, affian-candoall’attività di solista quella di direttore d’orchestra.

I protagonisti

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che si ripresenta con sfumature diverse a cantare una nostal-gia quasi impalpabile; la gaiezza di Liebesfreud si esprime in-vece in un clima di soffusa sensualità, attorcigliandosi in rapidivolteggi. Più spiccato è il ritmo di Schön’ Rosmarin, in rapportodi perfetta filiazione straussiana. Segue la piacevole leggibilitàdel Rondino su un tema di Beethoven e della Gitana, in cui laregolarità ritmico-melodica dei precedenti pezzi si perde in mo-venze arabeggianti dal linguaggio più virtuosistico. Questibrani conobbero vastissima fortuna fin dalla prima edizione,ma stranamente il compositore ne dichiarò la paternità solo nel1935, dopo averli spacciati per anni come parti dei KlassischeManuskripte di mano di Couperin, Padre Martini, Boccherini,Pugnani e altri. Kreisler aveva attributo Liebesleid, Liebesfreude Schön’ Rosmarin a Joseph Lanner (compositore austriaco didanze della prima metà dell’Ottocento), anonimo invece l’au-tore dellaGitana, pubblicata come canzone della tradizione set-tecentesca arabo-ispanica.La musica strumentale accompagnò l’attività compositiva diGioachino Rossini per tutta la vita; con essa iniziò la sua for-mazione e ad essa tributò gli ultimi omaggi. La Sonata a 4 n.3 è parte di un gruppo di Sei Sonate a 4 riscoperte solo a metàNovecento in una copia manoscritta conservata alla Library ofCongress di Washington. La copia presenta una dedica dimano di Rossini al contrabbassista ravennate AgostinoTriossi:

«Queste di sei sonate orrende da me composte alla villeggia-tura (presso Ravenna) dal mio amico mecenate Agostino».Siamo nel 1804, Rossini ha solo 12 anni, come egli stesso spe-cifica nel titolo. Perdute per più di un secolo, Alfredo Casellascoprì la copia e curò la pubblicazione della Sonata n. 3. Nelprimo movimento Allegro è già presente il piglio del futurooperista, ma è anche evidente l’influsso del classicismo mo-zartiano; del resto Casella fu sempre convinto assertore delruolo svolto da Haydn, Mozart e Beethoven nella formazionedel Pesarese. A sostegno di tale affermazione, Casella citavaquattro battute del Flauto magico inserite nella sezione centraledella Sonata, un Andante in minore dal carattere levigato e daicontorni netti. Certo la tradizione italiana aveva anche un suopeso e, sebbene Rossini – il “tedeschino”, come usava definirloPadre Mattei per l’attenzione che il giovane allievo prestavaalla musica dei maestri d’oltralpe – studiasse con passione i treclassici, in verità nel primo movimento sceglie la forma tuttaitaliana con un’esposizione incentrata sull’invenzione melo-dica, un breve divertimento, seguito da una ripresa. Quindiné bitematismo, né sviluppo, elementi caratteristici dellaforma-sonata viennese.Creazione giovanile è anche la Simple Symphony op. 4 (1934)di Benjamin Britten. Composta all’età di 20 anni, la sinfoniaè una delle prime prove orchestrali del compositore inglese.Della rigidezza del disegno classico, così come era stato ingab-biato dai teorici ottocenteschi, resta poco, e la sinfonia vienesciolta in una scelta di movimenti che si rifanno ad un passatopiù lontano di danze settecentesche, incastonate in un climaquasi scherzoso: Boisterous Bourrée (Bourrée impetuosa), PlayfulPizzicato (Pizzicato scherzoso), Sentimental Sarabande (Sara-banda sentimentale), Frolicsome Finale (Finale giocoso). Lo stessoBritten si espresse su questo suo lavoro precisando che l’originedi alcuni temi era da ascrivere alla sua infanzia. Britten ricordai tempi in cui scriveva «risme e risme di musica, poi conservatein un vecchio armadio. Un giovane orgoglioso compositore divent’anni ritornò e guardò in questo armadio, trovò che alcunenon erano così insignificanti; e così, riscrivendole per archi,cambiando pezzi qui e lì, e rendendoli più appropriati ad unconsumo generale, li trasformò in una Simple Symphony, equesto è tutto». Il materiale tematico deriva dunque da pezzidella fanciullezza e, quasi in un ordine perfettamente simme-trico, Britten inserisce due autocitazioni per movimento. Rife-rendosi alle forme del passato, tra cui lo stesso Henry Purcell,in questa sinfonia Britten incardina il proprio stile all’internodella cultura inglese, mantenendo tuttavia sempre vitale il con-fronto con la produzione coeva. La fecondità straordinaria delpercorso creativo del compositore è già in atto in queste primepagine orchestrali: dall’icasticità tematica della Bourrée al piz-zicato quasi mandolinistico del secondo movimento, fino allastruggente atmosfera elegiaca della Sarabanda.

DA ASCOLTARE

Parlare della discografia di Salvatore Accardo significa ram-mentare le storiche incisioni pubblicate dalla DeutscheGrammophon, culminate nel 2000 con l’integrale violini-stica di Paganini; nei Concerti il violinista napoletano eraaffiancato da Charles Dutoit sul podio della London Phil-harmonic Orchestra (integrale nella quale non possonomancare i Capricci). Un esempio tra i tantissimi, ovviamente,come potrebbe essere la registrazione EMI dei Concertiper due violini di Bach. Con lui l’allora giovane Anne-So-phie Mutter. Che un artista che ha fatto la storia della mu-sica vanti una straordinaria discografia, insomma, non ècerto singolare. Una discografia che naturalmente di re-cente si è arricchita proprio delle registrazioni realizzatecon la sua Orchestra da Camera Italiana. Per la Foné tro-viamo un suggestivo Piazzolla (Tanti anni prima, con la par-te del violino rivista dallo stesso Accardo), Bernstein (Se-renata per violino, archi, arpa e percussioni), brano poi ri-proposto in un’altra, più recente registrazione (ancoraFoné), accostato questa volta al Concerto per violino diPenderecki, con il compositore in veste anche di direttored’orchestra. Sempre Foné aveva pubblicato Omaggio a Krei-sler, dove Accardo, assieme alla pianista Laura Manzini,aveva utilizzato alcuni dei migliori strumenti della liuteriacremonese, mettendone in luce le straordinarie qualità.

Lunedì 13 maggio 2013

Nel corso delle sue tournée con l’Orchestra da Camera Italiana, Accardo ha suonato violiniStradivari e Guarneri del Gesù, tra i quali il celebre “Cannone” appartenuto a Niccolò Paganini

Lo sapevate che...

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A Stefano Bollani sembra nonmancarenulla: talentuoso pianista, ottimo di-vulgatore (con trasmissione televisiva),adesso pubblica anche un libro, Par-liamo di musica, edito da Mondadori.In un centinaio di pagine si ritrovanotutte le caratteristiche che lo rendonotanto speciale (soprattutto in Italia): safare e parlare di musica con serietà eleggerezza insieme, ha competenza, iro-nia, porta intuizioni fulminanti e bat-tute che valgono più d’ogni pondero-so trattato. Scrivere di “Com’è fatta lagrammatica della musica?”, “Com-porre”, “I generi musicali” non è sem-plice, ma lui riesce a farlo con una ver-ve tutta particolare e in modo chiaro,anche affrontando gli aspetti più tec-nici. Tutto intercalato da battute ful-minanti («Scusa, tu fai musica d’ascol-to? E che domanda è?») e aneddoti per-sonali. Bollani ha una comunicazioneirruenta, vulcanica, entusiasta, forseperché per lui, debutto a quindici anni,carriera concertistica internazionaledi successo, la musica è tutt’uno conla vita. Per questo si meraviglia mol-to della sua assenza nell’orizzonte ditanti. «La musica dovrebbe far parte delprogresso cognitivo di ognuno di noi.Ti insegnano a disegnare e non acantare, ti insegnano a leggere e a ca-pire le arti figurative ma non ad ascol-tare la musica, ti insegnano a goderedel suono di una poesia e non del suo-

no di un clarinetto.Ti insegnano la sto-ria della cultura del tuo e di altri pae-si e non ti parlano mai dell’apporto deimusicisti. Giuro che non capisco per-ché». Al di là degli studi, Bollani so-stiene ci sia altro: «L’idea che per ca-pire la musica si debba per forza pos-sedere un certo bagaglio culturale èuna furbata, o una scusa per pigri, ouna medaglia acquisita sul campoper chi crede di essere fra quelli che la“capiscono”. Avere gli strumenti pergodere della musica significa ricono-scere qualcosa che abbiamo dentro eche risuona». L’ascolto partecipato, li-bero, gioioso apre interi mondi. Perquesto l’autore salta da Bach a Viva lapappa col pomodoro, da Tatum, a Mi-les, a Coltrane, a Carosone, passandoper Debussy, Zappa, Stravinskij, per-ché nella musica i confini non esisto-no. Dalla copertina lui ci guarda in-vitandoci ad aprire la mente. Non solo:«Quando passiamo le notti a soffiarein un tubo o a pestare su una tastie-ra fosse anche solo per qualche attimodi felicità (quello in cui i jazzisti alzanola testa nello stesso momento e si sor-ridono)», Bollani ci invita anche a pro-vare un’immensa felicità, ogni voltache ci avviciniamo alla musica, qua-lunque essa sia.

Stefano Bollani,Parliamo di musica(Mondadori, 2013)

Claudio Bolzan,Guida alla musicada camera(Zecchini, 2012)Opera ponderosa (ben 836pagine), laGuida alla musicada camera curata da ClaudioBolzan si offre al lettorecome un’opera di consulta-

zione per orientarsi nel mare magnum di que-sto repertorio. Il curatore prende permano l’ap-passionato proponendo «i dati essenziali ri-guardanti la formazione dei singoli compositorinel contesto della loro epoca e, soprattutto, unprofilo della loro poetica e la posizione occupataall’interno di un eventuale movimento artisti-co di appartenenza, utilizzandomonografie at-tendibili ed aggiornate, storie della musica diampio respiro e documenti di primamano». Se-gue un’analisi delle opere, articolata in schede.Il volume è destinato ad un pubblico «dotatocomunque di una buona cultura musicale dibase e quindi in grado di comprendere un te-sto non privo di termini tecnici (legati soprat-tutto all’analisi delle forme e dei linguaggi): siè agito così nella consapevolezza che sceglierela via della “semplicità” non sempre poteva (odoveva) corrispondere a quella della “facilità”,e che anche l’impostazione più semplice avreb-be richiesto comunque un considerevole im-pegno attivo da parte del lettore».

Stuart Isacoff,Storia naturale delpianoforte, lo strumento,la musica, i musicistida Mozart al modernjazz, e oltre(EdT, 2012)Libro che si legge tuttod’un fiato, la Storia naturale

del pianoforte di Stuart Isacoff racconta comeil pianoforte sia diventato nel corso degli ul-timi tre secoli uno strumento unico per espri-mere le emozioni e lo stile individuale di mi-gliaia di artisti. Che si tratti della nascita di unConcerto per pianoforte di Mozart in una lo-canda viennese, dell’esibizione di Chopin in unsalotto parigino dell’Ottocento o della tournéedi Svjatoslav Richter fra i contadini della Siberia,nessuno strumento quanto il pianoforte ha sa-puto far convergere lo spettacolo più popola-re con la raffinatezza della ricerca musicale, ilvirtuosismo trascendentale e la contemplazio-ne intima e rarefatta. Isacoff racconta la per-sonalità e la tecnica di centinaia di pianisti; di-mostra quanto siano stati fecondi gli incroci frastili classici, popolari e jazz; divide i protago-nisti di questa storia in vasti gruppi, creandoaccostamenti insospettabili, e mostrandocicosa può accomunare il suono di Debussy equello diTheloniousMonk, la verve di ArthurRubinstein e la tecnica di Cecil Taylor.

50 IM MUSICA INSIEME

PER LEGGERE

LEZIONIDI MUSICA

Tre libri ci guidano nelmondo delle sette note,fra passione e tecnica.Comune denominatore:capire la musica

di Chiara Sirk

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Giovanni Sollima è uno di quei musicisti(sempre più frequenti, vivaddio) che igno-rano bellamente gli steccati tra generi ed epo-che musicali, alla ricerca semplicemente dibuona musica. E che pagano questa “in-sopportabile disinvoltura” con quell’ostinatadiffidenza che caratterizza le menti più ot-tuse e rigide, incapaci di comprenderecome sia possibile trattare con la stessa con-siderazione, competenza e, staremmo perdire, amore, un brano di Patti Smith o diJimi Hendrix, e un concerto del Settecen-to. In questo cd, ad esempio, Sollima,splendidamente affiancato da I Turchini diAntonio Florio, si dedica con infinita peri-zia (che non è, ovviamente, solo questionedi tecnica: quella gliela diamo per scontata)a pagine di compositori napoletani forsepoco noti che egli ha, oltretutto, il meritodi portare all’attenzione del grande pubbli-co. Ma accanto ai Concerti di Leonardo Leo,Giuseppe de Majo e Nicola Fiorenza, Sol-lima propone una propria composizione,“Fecit Neap. 17..”, certo scritta “alla manieradi”, ma nella quale non è poi difficile cogliereindizi di quanto lui abbia avuto l’occasionedi assimilare da tutta la musica che ha ascol-tato: si trattasse di Stravinskij, di Philip Glasso di Miles Davis. Un accostamento speri-colato? Certamente no, grazie alla sensibi-lità di Sollima e alla sua evidente empatia conil repertorio barocco. Che non si esprime ov-viamente solo, come sottolinea Dinko Fa-bris nel booklet del cd, nella «fredda esecu-zione di tutte le note scritte, ma vive negliscarti dinamici improvvisi, negli effetti tim-brici, nel calore dell’emissione e perfino nel-le cadenze da lui inserite con una naturalezzasorprendente». Quell’empatia che gli per-mette, appunto, di comporre oggi musica inperfetta sintonia con quella di ieri, lanciandoun ponte tra secoli e generi che tutti siamochiamati ad attraversare.

Giovanni Sollima/Antonio Florio/I TurchiniNeapolitan Cello Concertos (Glossa, 2012)

UN PONTE TRA I GENERISollima e Florio riscoprono i Concerti napoletanidel ’700, il quartetto capitanato da Prosseda e Pieranunzidà nuova linfa alle opere giovanili di Mendelssohn,Bacchetti rilegge con rispetto le pagine bachiane

Aveva 13-14 anni, Mendelssohn, quandocompose questi quartetti. Solo 13-14 annie non erano neanche le sue primissimecomposizioni. Una cosa che non andreb-

be mai dimenticata, affrontando queste pagine, perché ammi-razione e, sì, anche stupore (che, più che giustificati, sono do-vuti) possono solo arricchirne l’interpretazione. Il fatto è che diMendelssohn, compositore, certo, ma anche scrittore, pittore,violinista, direttore d’orchestra, sindacalista ante litteram, or-ganizzatore, organista e chissà cos’altro, si sa (e si apprezza) mol-to meno di quanto si dovrebbe…Ma, insomma almeno RobertoProsseda, Gabriele Pieranunzi, Francesco Fiore e Gabriele Ge-miniani con questa nuova pubblicazione portano all’attenzionenei dovuti modi (leggi: un’interpretazione brillante e con queltanto di passione che la strappa a un freddo professionismo) que-sti lavori giovanili da cui partire (se non altro cronologicamen-te) per scoprire davvero questo genio del XIX secolo.

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Roberto Prosseda, Gabriele Pieranunzi,Francesco Fiore, Gabriele GeminianiMendelssohn Early Chamber Works(Decca 2013)

DA ASCOLTARE

Uniformità di tocco, precisione ritmica, ri-spetto estremo per la partitura… Eppureniente potrebbe essere più distante da un“automatismo da macchina” di queste in-

terpretazioni… Come si spiega? Si spiega col fatto che Bacchettisembra (e non da oggi, non da questo doppio cd) aver raggiuntouna maturità tale da permettergli di ignorare la tentazione di “in-terpretare” a modo suo la pagina bachiana, in qualche modo mu-tandone i presupposti (c’è chi l’ha fatto, eccome!), trovando in-vece nei minimi particolari (ad esempio, a volte un ritmo lie-vemente rallentato alla ricerca di una sfumatura in più) il mododi esprimere la propria anima nel rispetto estremo di quella diBach. Non è poco, ma è ciò che ci avevano già mostrato prece-denti registrazioni di Bacchetti delle Variazioni Goldberg comedelle Suites inglesi. Una grande conferma, dunque.

Andrea BacchettiJohann Sebastian Bach, The FrenchSuites BWW 812-817 (Sony Classical 2012)

di Lucio Mazzi

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