MI Gennaio 2013

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L’ottava edizione di MICO celebra l’arte di Sofia Gubaidulina Tre volte Bollani: dal piano solo, al duo con Enrico Rava, al trio Primavera russa con il Borodin Quartet, Vadim Repin e Alexander Romanovsky gennaio/marzo 2013 Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.1/2013 – anno XXII/BO - € 2,00

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Musica Insieme Rivista Gennaio 2013

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L’ottava edizionedi MICO celebra l’artedi Sofia Gubaidulina

Tre volte Bollani: dal piano solo,al duo con Enrico Rava, al trio

Primavera russacon il Borodin Quartet,Vadim Repin e AlexanderRomanovsky

gennaio/marzo 2013

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SOMMARIO

EditorialeContemporaneamente di Fabrizio Festa 11

12

30

Imprenditoria e culturaGruppo Granarolo - Gianpiero Calzolari

24Vadim Repin di Marco Costanzo

26Bollani - Bodilsen - Lund di Fulvia de Colle

20Borodin - Prometeo di Cristina Fossati

I luoghi della musicaIl Piviale di San Domenico di Maria Pace Marzocchi

28Il profiloStefano Scodanibbio

33Il calendarioI concerti gennaio / marzo 2013

14MICO - Musica Insieme COntemporaneaRitratti e paesaggi sonori di Fabrizio Festa

16Musica Insieme in AteneoCrescendo nella musica di Elisabetta Collina

58Per leggerePagine di musica: Accardo, Bahrami, Rava di Chiara Sirk

60Da ascoltareRivoluzioni melodiche con Brunello,Fossi e Vacatello di Lucio Mazzi

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

8 IM MUSICA INSIEME

SOMMARIO

18IntervisteAlexander Romanovsky di Anastasia Miro

n. 1 gennaio - marzo 2013

In copertina: Stefano Bollani ed Enrico Rava

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EDITORIALE

CONTEMPORANEAMENTE

Fabrizio Festa

11IM MUSICA INSIEME

Nelle stagioni di Musica Insieme, fin da-gli esordi, la musica dei nostri giorni hasempre giocato un ruolo centrale. Pro-grammaticamente, non si è mai intesostabilire a priori una differenza tra ciòche era contemporaneo nel senso dellacomposizione – i lavori recenti, recen-tissimi, se non addirittura da noi com-missionati – e il contemporaneo nel sen-so della performance. Difficile sostenereche l’esecuzione di un qualsiasi brano direpertorio realizzata hic et nunc, cioèoggi, ai nostri giorni, attualmente, e ma-gari anche nella stessa sala da concertodove si esegue e si ascolta un brano con-temporaneo non contenga in sé elementievidenti di contemporaneità, molti deiquali peraltro in comune con la con-temporaneità della composizione. Cer-to è che a creare la distanza, ma questoè un dato costante ormai da almeno unpaio di secoli, è la comparazione tra lacontemporaneità della composizione eil passato del repertorio. Un repertorioche anno dopo anno va allargandosi,

fino ad includere, manco a dirlo, ciò checontemporaneo e non di repertorioera fino a ieri (basterebbe, ad esempio,pensare alle Sequenze o alle Folk Songsdi Luciano Berio). Inoltre, Musica In-sieme ha sempre creduto nel ruolo delcompositore come artista testimonedei nostri giorni alla pari degli altri, deipittori, ad esempio, o degli scrittori, odei cineasti. Dunque perché deve ap-parire del tutto naturale andare al ci-nema a vedere l’ultimo film di questoo quel regista, perché sugli scaffali del-le librerie è del tutto normale trovare l’ul-timo romanzo di questo o quello scrit-tore, e non dev’esserlo ascoltare unbrano nuovo, recente, nuovissimo,commissionato per l’occasione, o com-posto per il solista o l’ensemble che siaccinge ad eseguirlo? Constatazionesemplice, del tutto naturale questa,dalla quale discende una continuità d’in-teresse e d’impegno verso la musica deinostri giorni, continuità che ha trova-to una sua significativa collocazione nel-la nostra rassegna Musica InsiemeCOntemporanea, ovvero MICO. Del-l’edizione 2013, l’ottava, se ne parladiffusamente più avanti in questestesse pagine. Qui preme osservarecome anche questa edizione si carat-terizzi per la capacità di organizzareprogetti innovativi ed affascinanti in-torno a figure importanti del panora-ma musicale, personalità le cui operesono attuali esattamente nel modo incui lo sono tutte le altre opere d’artecontemporanee.

Particolare dellapartitura di Akanthos

di Iannis Xenakis,in programmaa MICO 2013

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l Gruppo Granarolo rappresenta oggila più importante filiera italiana dellatte direttamente partecipata daproduttori associati in forma coope-

rativa. Con un modello economico cheprivilegia le persone anziché il capitale, ilGruppo affronta la crisi con la coesionedi una famiglia, come racconta il suo Pre-sidente Gianpiero Calzolari.Nel contesto regionale, Bologna la-menta oggi la perdita di quel ruolo-guida che in passato la poneva al-l’avanguardia nel settore economicocome in quello culturale. Come vede lasituazione dal suo punto di vista?«L’occasione per riaprire questa riflessio-ne è proprio quella dell’istituzione dellaCittà Metropolitana, che non dev’esseresoltanto un’istituzione formale: bisognache Bologna si convinca, a partire dai cit-tadini, dall’amministrazione e anche dalsistema delle imprese, che è in grado disvolgere un ruolo dal punto di vista del-l’aggregazione. Infatti il bacino produttivoe sociale della nostra regione ha bisognodi un riferimento centrale importante. Ilruolo di Bologna è molto naturale, anchese forse poco esercitato, ma ci sono tut-te le condizioni affinché possa assumereun profilo più europeo. Le caratteristichecredo le abbia, a partire dall’università, dalcivismo, quel senso bolognese del saperfare, una buona capacità di accogliere lepersone, e una quantità di scambi che cre-do poche altre città riescano ad attivare.Certo bisogna attrezzarsi, mancano in-frastrutture e culture imprenditoriali ade-guate a questo cambio di rotta».Quindi, al di là dei molti peana, a Bo-logna la vita culturale non manca...«Certo, se pensiamo alle attività cultura-li, Bologna ha un calendario fittissimo, dicui forse noi stessi per primi non abbia-mo la piena consapevolezza. Abbiamo unteatro di produzione e diversi luoghi dovela cultura non solo si fruisce, ma si pro-duce anche, caratteristica che vale sia per

la musica che per il teatro. Inoltre l’ap-proccio al tempo libero è un approcciomolto colto: Bologna non è una città com-merciale, per quanto abbia un centro sto-rico che molti definiscono non a tortocome “il più bel centro commerciale delmondo”; ma non siamo soltanto consu-matori, le cose ci piace anche produrle...».Grazie anche al sostegno di Grana-rolo, una nuova sede delle LibrerieCOOP è stata inaugurata nella ex Za-nichelli del Pavaglione: in questi de-cenni Bologna ha perso molti di queiluoghi che le conferivano la sua fa-mosa e inconfondibile identità, e perquesto l’operazione di recupero da voisostenuta è tanto più importante.Quali sono le cause di un’omologa-zione che in altre città della regionenon è avvenuta in proporzioni così im-portanti come a Bologna?«Si tratta probabilmente di attualizzare erimodernare queste realtà, pur senza per-derle. E la Zanichelli è un buon esempiodi come si possano conservare alcuni diquesti insediamenti così importanti – la

Saletta Carducci parla da sé – e nello stes-so tempo renderle più fruibili, ad esem-pio attraverso la piattaforma tecnologicache verrà installata nella nuova libreria.Non basta preservare la tradizione: i gio-vani per primi hanno bisogno di conta-minarla con altro; per dare poi autonomiaeconomica e imprenditoriale alle cose bi-sogna trovare un compromesso fra tradi-zione e innovazione. Certo, quando realtàcome queste chiudono è senza dubbio unpezzo della personalità di una città che vie-ne a mancare inesorabilmente. Nel casodella Zanichelli è stata importante anchela tempestività: la chiusura della librerianon è stata avvertita dalla città, essendodurata solo pochi mesi».A proposito di un auspicabile rilanciodi attività e dell’immagine stessa del-la città, Granarolo da sempre sostie-ne le principali iniziative cittadine:quali sono, nell’assegnazione dei vo-stri contributi, i criteri premianti?«Su questo aspetto va fatta un’indispen-sabile premessa: a Bologna non esistonograndi aziende che finanziano consisten-

IRicerca, innovazione di prodotto, acquisizione di nuovi rami d’azienda: il modelloGranarolo e la solidarietà sociale come strategia vincente per aggredire la crisi

Capitale umano

IMPRENDITORIA E CULTURA

12 IM MUSICA INSIEME

Gianpiero Calzolari

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15IM MUSICA INSIEME

ti porzioni della cultura cittadina. La for-tuna di Bologna è l’esistenza di molte re-altà cooperative, e numerosi cartelloni bo-lognesi sono sostenuti dalla cooperazio-ne più di qualsiasi altro sistema d’impre-se, in virtù di un principio che è quellodella responsabilità sociale. Bologna poiè una città molto esigente: sono moltis-sime le iniziative su cui siamo chiamati adare un contributo, e dovendo stabilire deicriteri premianti, nel nostro caso sono sen-z’altro la popolarità e lo spessore culturaledelle iniziative. Per il resto, più che le sin-gole manifestazioni siamo propensi piut-tosto a sostenere le istituzioni culturali, eciò nella prospettiva di consolidare qual-cosa di permanente e di concreto».Granarolo si impegna poi nella soli-darietà sociale come nell’accompa-gnare il cammino di molti paesi in viadi sviluppo. In che modo operate?«Abbiamo iniziative di natura benefica, os-sia di responsabilità sociale pura, penso adesempio all’Africa o a Blud, il progettoBanca del Latte Umano Donato, che hal’obiettivo di fornire a neonati critici, so-prattutto prematuri, la possibilità di usu-fruire del latte umano, qualora la loro ma-dre non ne abbia a sufficienza, e che svi-luppiamo nei reparti di terapia intensivaneonatale del Policlinico Sant’Orsola e del-l’Ospedale Maggiore. Certo, anni fa de-stinavamo molto del nostro impegno alPremio Alta Qualità, che è stata un’espe-rienza importante ed ha lasciato tracce si-gnificative, poi abbiamo preferito privi-legiare la soddisfazione di esigenze più con-crete. Abbiamo individuato un partner,che è una onlus bolognese, il Cefa, ed unprogetto, in questo caso una latteria inTanzania, con due finalità principali:consentire a centinaia di allevatori di ap-prendere il mestiere del produttore, cre-ando un circuito economico di autoso-stenibilità, e garantire a 26.000 bambinidi 58 scuole diverse di usufruire di almenouna razione a settimana di latte, impor-tante per aiutarli a crescere in un conti-nente dove il tasso di mortalità infantileè altissimo. L’obiettivo è che ogni alleva-tore abbia almeno due vacche nella stal-la: se pensiamo che in Italia le aziende han-no di media 1.000/1.500 animali ci ren-diamo conto della sproporzione. È un pro-getto che ha coinvolto tutti, incontrando

grande entusiasmo all’interno del gruppo,naturalmente senza alcun ritorno né eco-nomico né di marketing. D’altrondeun’azienda ha il dovere di fare anche qual-cosa che non sia dettato dal profitto».Anche in occasione del recente terre-moto che ha coinvolto l’Emilia, Gra-narolo ha dato aiuto a molti dei suoiallevatori.«A Modena uno dei nostri stabilimenti èstato colpito, anche se per fortuna non inmisura drammatica, peggio è andata allecase dei nostri dipendenti, sicché siamointervenuti con un sostegno per consen-tir loro di affrontare meglio l’emergenza;i dipendenti del gruppo poi hanno donatoore di lavoro che l’Azienda ha raddoppiatoe versato nei conti correnti dedicati. Ab-biamo sostenuto alcune iniziative di rac-colta fondi per la ristrutturazione di unascuola a Castenaso, ed i nostri soci si sonoautotassati per mettere a disposizionedei colleghi colpiti dal sisma ulteriori fon-di. Quei pochi allevatori poi che hannosubito un danno serio alle abitazionihanno ricevuto un piccolo contributo disolidarietà, che al di là della dimensioneeconomica credo sia importante per il fat-to di percepirsi come una comunità».Tutti hanno mostrato una grande vo-glia di reagire, basti pensare che lanostra rassegna dedicata alla pro-vincia, Invito alla Musica, ha battutoquest’anno ogni record di adesione,coinvolgendo anche molti residentidei comuni colpiti da questa tragedia.«Quando abbiamo incontrato i nostri sociche avevano perduto la casa e vivevano neicontainer, la prima cosa che ci dicevanoera: “meno male che non è venuta giù lastalla!”; quindi, terribile perdere la casa,ma sarebbe molto peggio perdere il lavo-ro... L’adesione alle attività di Musica In-sieme, pure in questo particolare mo-mento, non deve perciò meravigliare: èconnaturato al sentire e al vivere di que-sta comunità e forse anche alla consape-volezza che proprio oggi bisogna torna-re a valori più importanti, a cominciaredalla cultura».Oggi il modello della cooperativa si starivelando vincente, nella generale cri-si delle risorse pubbliche e private.«Noi la sintetizziamo un po’ così: la crisicolpisce tutti, non possiamo permetterci di

subirla, quindi la stiamo aggredendo comesi aggrediscono le onde, andando loro con-tro perché non ti spazzino via. E pensiamoche usciremo da questa crisi avendo rad-doppiato il fatturato: questo è il parados-so che ci siamo dati come piano qua-driennale, proprio perché siamo convintidi svolgere un ruolo, rispetto ai nostri soci,ai dipendenti e ai consumatori. Quindi ri-cerca, innovazione di prodotto, acquisizionedi nuovi rami d’azienda. Insomma, provarea non essere il traino, ma a guidare il cor-teo, decidendo da che parte andare».

GRUPPO GRANAROLO

PresidenteGianpiero Calzolari

Il gruppo Granarolo, uno dei principa-li player dell’agroalimentare italiano,comprende due realtà diverse e si-nergiche: un consorzio di produttori dilatte – Granlatte – che opera nel set-tore agricolo e raccoglie la materia pri-ma e una società per azioni – Grana-rolo S.p.A. – che trasforma e com-mercializza il prodotto finito e conta 7siti produttivi dislocati su tutto il territorionazionale. Il Gruppo Granarolo rap-presenta la più importante filiera italianadel latte direttamente partecipata daproduttori associati in forma coopera-tiva. Riunisce circa 1.000 allevatori pro-duttori di latte, un’organizzazione di rac-colta della materia prima alla stalla con70 mezzi, 1.200 automezzi per la di-stribuzione, che movimentano 750.000tonnellate/anno e servono quotidia-namente più di 60.000 punti venditapresso i quali 11 milioni di famiglie ita-liane acquistano prodotti Granarolo.Con l’acquisizione di Yomo nel 2004,Granarolo è divenuto il più importanteproduttore italiano di yogurt. Del 2011l’acquisizione di Lat Bri, che ha fatto diGranarolo il secondo operatore nazio-nale di questo comparto e il primo a ca-pitale italiano. Il Gruppo Granaroloconta oltre 2000 dipendenti al31/12/2011. Il 77,48% è controllato dalConsorzio Granlatte, il 19,78% da In-tesa Sanpaolo, il restante 2,74% daCooperlat. Fatturato: nel 2011 ha rea-lizzato 848,6 milioni di euro.

CARTA D’IDENTITÀ

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ttava edizione per MusicaInsieme Contemporanea, ilnostro festival confermandocosì la sua vitalità. Ottavaedizione, cinque i concerti

in cartellone, due i profili dedicati agrandi figure della composizione nellacornice della sezione “Ritratti e Pae-saggi”, musicisti che sono tra i princi-pali protagonisti della scena musicaleattuale. Intorno a questi numeri tro-viamo un’ulteriore conferma, e unanovità. Nel primo caso, eccoci a sot-tolineare la solidità della collabora-zione con l’ensemble FontanaMix. Èintorno a questi musicisti, infatti, chesi è costruito il programma di MICO2013. Una scelta la nostra che mira de-cisamente a valorizzare appieno inter-preti che proprio a Bologna hanno sa-puto radicare un’esperienza – quella

focalizzata sulla musica dei nostrigiorni – tra le più feconde in Italia.Dunque, talento e professionalità sonoil segno distintivo dell’impegno delFontanaMix, segno che a sua volta me-rita, a nostro avviso, di trovare la sedeadatta per esprimersi al meglio. Ed ec-coci allora alla novità. Quel che cam-bia è proprio la sede dei concerti. I cin-que appuntamenti in cartellonetroveranno spazio adeguato e presti-gioso nell’Oratorio di San FilippoNeri. Un luogo importante per l’atti-vità musicale (e in genere culturale) aBologna. Una cornice appropriata peraffrontare tematiche musicali così af-fascinanti ed insieme così ricche nelleloro articolazioni. Basta rammentare,del resto, i nomi degli artisti cui sa-ranno dedicati i due ritratti fil rouge delprogramma 2013, per intuire appunto

la ricchezza degli spunti che questooffrirà. Un primo ritratto sarà centratosull’opera e sulla figura della composi-trice russa Sofia Gubaidulina. Il suonome è già nel novero di quelli chehanno dato un contributo importante,da veri protagonisti come dicevamopoc’anzi, alle vicende musicali dei no-stri giorni. In programma ci sono al-cune delle sue composizioni maggiori,ma, al di là del necessario omaggio,sarà certamente un momento di parti-colare significato l’incontro che la ve-drà presente proprio a Bologna, ospiteappunto di MICO 2013, il prossimo7 aprile, data del secondo dei concertidedicati alla sua produzione musicale.Il secondo ritratto vedrà effigiato ilcompositore greco, ma naturalizzatofrancese Georges Aperghis, una sceltaquesta che lega MICO ad un’altra im-portante rassegna: “Suona francese”,all’interno della quale proprio il ri-tratto dedicato ad Aperghis costituiràla tappa bolognese. Si tratta di due fi-gure artisticamente molto diverse.Così anche i programmi costruiti in-torno alle loro opere coerentementesono stati realizzati per meglio valo-

O

L’ottava edizione della rassegna dedicata da Musica Insieme alla contemporaneitàconsolida la collaborazione con FontanaMix Ensemble, focalizzando l’attenzione suigrandi protagonisti di oggi e sulla vitalità creativa dei nuovi autori di Fabrizio Festa

Ritratti e paesaggi sonori

14 IM MUSICA INSIEME

MICO - Musica Insieme COntemporanea 2013

FontanaMix Ensemble

Divertimento Ensemble

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rizzarne le specifiche caratteristiche. Ilconcerto di apertura, il 23 gennaio,vedrà non a caso due pagine di SofiaGubaidulina inserite in un contesto –quello della tradizione russa – cui lacompositrice ha attinto con instanca-bile coerenza. Così si ascolterannocanti della tradizione musicale bizan-tina e in chiusura il Musorgskij deisuggestivi Canti e danze della morte, inuna trascrizione per ensemble realiz-zata a cura del FontanaMix. A seguire– il 14 febbraio – ecco la serata inti-tolata “Paesaggi”, e che in certo qualmodo tesse l’ordito dell’intero cartel-lone. In programma un primo branodi Aperghis ed ancora una pagina dellaGubaidulina. Poi, Xenakis, composi-tore cui Aperghis ha sempre guardatocon evidente interesse, e poi l’Omag-gio a Sofia Gubaidulina firmato da Va-lentino Corvino e il debutto di unnuovo lavoro di Paolo Aralla. Il terzodei concerti in cartellone costituisceun significativo diversivo, altra novitàsostanziale di questa ottava edizionedella rassegna. Sotto i riflettori trove-remo infatti il Divertimento Ensem-ble, diretto dal suo fondatore SandroGorli. Non può che incuriosire il ti-tolo: “Carta bianca ai giovani”. L’ini-ziativa si inserisce all’interno delle nu-merose attività che la compaginemilanese dedica ai giovani. L’obiettivoè quello di creare uno spazio total-mente gestito da un comitato artisticoformato da giovani musicisti. A loroviene richiesto un impegno forte epreciso: confrontarsi, discutendo leproprie idee, e da questa discussionefar nascere e formulare nuove propo-

ste. Al comitato viene data la respon-sabilità di presentare al pubblico leproprie idee musicali. Il ComitatoArtistico Giovani viene rinnovatoogni anno. Quest’anno il comi-tato artistico è costituito da seigiovani compositori italianiriuniti nel gruppo /nu/thing(www.nuthing.eu): AndreaAgostini, Daniele Ghisi,Raffaele Grimaldi, EricMaestri, Marco Momi eAndrea Sarto. Dopo unasessione di due giorni di la-voro, in cui sono state di-scusse diverse proposte artistiche

e musicali, il gruppo ha definito unprogramma di concerto, che prevedemusiche di Valerio Murat, AnnCleare, Silvia Borzelli, Stefano Bul-fon, Daniele Bravi, Mauro Lanza eYannis Kyriakides. Chiusa questa sug-gestiva parentesi, i due concerti con-clusivi torneranno a concentrarsi suiprotagonisti del programma 2013.Come già annunciato, ecco il 7 aprileil secondo appuntamento con la com-positrice russa, Sofia Gubaidulina pre-sente in sala. A questo secondo ap-puntamento con la sua opera darà uncontributo essenziale la collaborazionetra FontanaMix e Zipangu Ensemble,ai quali si aggiungeranno due solistiimportanti come il fisarmonicistaCorrado Rojac e la violoncellista EvaZahn, primo violoncello dell’Orche-stra del Teatro Comunale di Bologna.L’onore del sipario toccherà a GeorgesAperghis. Il 15 aprile in programmatre fra i suoi più rilevanti lavori, tra iquali La Nuit en Tête per soprano e or-chestra, la parte vocale affidata a Va-lentina Coladonato. Accanto ai lavoridel compositore francese troveremoancora una pagina di Xenakis, sempreper soprano ed ensemble (Akanthos)ed un lavoro per flauto solo di FaustoRomitelli, dal titolo Dia Nykta, affi-dato alla flautista Annamaria Morini.

15IM MUSICA INSIEME

CALENDARIO 2013musica insieme contemporanea

Sofia Gubaidulina

gennaio 2013 mercoledì ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriFONTANAMIX ENSEMBLEMarie-Luce Erard mezzosoprano

Vaghelis Mercuris voce e oud

Francesco La Licata direttore

Musiche di Scelsi, Gubaidulina, Musorgskij

23

febbraio 2013 giovedì ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriFONTANAMIX ENSEMBLEMusiche di Ustvol’skaja, Aperghis, Corvino,Xenakis, Gubaidulina, Aralla

14

marzo 2013 venerdì ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriDIVERTIMENTO ENSEMBLESandro Gorli direttoreMusiche di Murat, Cleare, Borzelli,Bulfon, Bravi, Lanza, Kyriakides

8

aprile 2013 domenica ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriFONTANAMIX ENSEMBLEZIPANGU ENSEMBLEEva Zahn violoncello

Corrado Rojac bayan

Musiche di Gubaidulina

7

aprile 2013 lunedì ore 20.30Oratorio di San Filippo NeriFONTANAMIX ENSEMBLEValentina Coladonato soprano

Annamaria Morini flauto

Francesco La Licata direttore

Musiche di Xenakis, Aperghis, Romitelli

15

I biglietti saranno in vendita pres-so l’ORATORIO DI SAN FI-LIPPO NERI (Via Manzoni, 5Bologna), il giorno del concerto apartire dalle ore 19.

PREZZI: Posto unico € 10.Abbonati MusicaInsieme,studentiUniversità e Conservatorio € 7.

ACQUISTO BIGLIETTI

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MUSICA INSIEME IN ATENEO

lta formazione: questa la pa-rola chiave della XVI edi-zione di Musica Insieme inAteneo, che – da quest’annoospitata nell’Auditorium delLaboratorio delle Arti di via

Azzo Gardino – vedrà protagoniste leprincipali istituzioni e accademie ita-liane, ovvero quelle realtà meritorie, avolte pionieristiche, che da decenni lau-reano artisti completi, capaci cioè di af-frontare i maggiori concorsi internazio-nali, come di approfondire un repertoriocon maturità e indipendenza. Ad alcunifra i loro tanti talenti abbiamo voluto of-frire un’importante occasione di visibi-lità: interpreti e pubblico studentescos’incontrano quindi in questa rassegnaper percorrere insieme la strada che – loauspichiamo – porterà gli uni a divenirei grandi maestri di domani, gli altri a ma-turare una competenza ed una capacitàdi ascoltare che saranno loro utili anchein molti altri aspetti della vita. Dopol’apertura lo scorso 6 dicembre – foltis-simo il pubblico studentesco – con ilQuartetto Fauves, compagine segnalatadal prestigioso Concorso “Borciani”, larassegna prosegue il 24 gennaio con ilQuartetto Noûs, fiore all’occhiello del-l’Accademia “Stauffer”, formatosi condocenti come Salvatore Accardo e ilQuartetto di Cremona. Per le tastiere,ma anche per la cameristica, è poi isti-tuzione di riferimento l’Accademia pia-

nistica di Imola, di cui ospitiamo il 14marzo il duo formato dal violinista Ales-sio Bidoli e dal pianista Andreas Iliuta.Sempre nell’ottica di un coinvolgimentoattivo degli studenti universitari, nonmancherà il consueto incontro con ilCollegium Musicum Almae Matris –che si presenterà sotto i riflettori nella suaveste di orchestra da camera sotto la di-rezione di Stefano Squarzina – cioè conquegli studenti che si dedicano all’attivitàmusicale, consolidando anno dopo announa tradizione ormai lunga e gloriosa.Un esempio preclaro dell’alta formazioneitaliana è infine la Scuola di Musica diFiesole, fondata ormai trent’anni or sonodall’illuminata intuizione di un alfieredella didattica qual è stato Piero Farulli,recentemente scomparso, e qui rappre-sentata dal duo costituito dalla violon-cellista Miriam Prandi e da EdoardoTurbil al pianoforte. Con loro si con-cluderà la rassegna martedì 26 marzo2013, nel concerto che ci vede come daconsuetudine in collaborazione con LaSoffitta – Dipartimento delle Arti del-l’Università di Bologna. Ampi e mi-rati come sempre i repertori proposti,che indagano la letteratura maggiore,con pietre miliari quali Haydn, Men-delssohn, Šostakovic, Schumann e Grieg,affiancandovi l’originalità di propostecome quella del Collegium Musicum,nel segno dei brani per archi e fiati diMartinu◦, Hindemith, Respighi. Tutti iconcerti saranno inoltre aperti, com’èormai tradizione, da conversazioni in-troduttive tenute dai docenti e dagli

stessi artisti sul palco, nello spirito di di-vulgazione e formazione del pubblicoche da sempre contraddistingue l’impe-gno di Musica Insieme. Musica Insiemein Ateneo si realizza con il contributo diASCOM Bologna, Cassa di Rispar-mio di Bologna, Fondazione Cassa diRisparmio in Bologna, Fondazionedel Monte e Unicredit, cui si aggiungela partnership tecnica di SOS Graphics.

ADa sedici anni si rinnova la formula che vede Musica Insieme accanto all’Universitànell’offrire gratuitamente agli studenti una stagione concertistica affidata ad interpretidi vaglia, con programmi mirati e conversazioni introduttive di Elisabetta Collina

Crescendo nella musica

16 IM MUSICA INSIEME

gennaio 2013 giovedìQuartetto NoûsMusiche di Webern, Haydn, Šostakovic

24

febbraio 2013 giovedìOrchestra da Cameradel CollegiumMusicumAlmaeMatrisStefano Squarzina direttore

Musiche di Hindemith, Respighi, Martinu○

7

marzo 2013 giovedìAlessio Bidoli violino

Andreas Iliuta pianoforte

Musiche di Grieg, Poulenc, Bazzini

14

marzo 2013 martedìMiriam Prandi violoncello

Edoardo Turbil pianoforte

Musiche di Schumann, Šcedrin, Šostakovicin collaborazione conCentro La Soffitta – Dipartimento delle Arti

26

CALENDARIO 2013

Laboratori delle Arti/Auditorium (Via Azzo Gardino 65/a) ore 20,30

L’ingresso a tutte le manifestazio-ni della rassegna è gratuito per glistudenti ed il personale docente etecnico amministrativo dell’Univer-sità di Bologna; gli inviti posso-no essere ritirati presso la sededell’URP in Largo Trombetti n. 1la settimana precedente ciascunconcerto (Lunedì, Martedì, Mer-coledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30;Martedì e Giovedì dalle 14,30alle16,30). Il giorno del concer-to, tutti i cittadini potranno ritiraregli inviti ancora disponibili, recan-dosi all’URP negli orari di apertura.

Collegium Musicum Almae Matris

Miriam Prandi e Edoardo Turbil

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i strada ne ha fatta molta Ale-xander Romanovsky, dal suodebutto per Musica Insieme,sul palco del Teatro Comu-nale, nel 2002. La giovane

promessa che si affacciava sulla scenamusicale – lo invitammo in seguito allavittoria all’impervio Concorso “Busoni” –ha ben presto mantenuto e superato ogniaspettativa, creando una solida carrierainternazionale, che lo ha portato a cal-care i palchi più importanti d’Italia edel mondo, come la Barbican Hall diLondra, il Mozarteum di Salisburgo, ilTeatro Olimpico di Roma, la City Con-cert Hall di Hong Kong, il Palais des Be-aux-Arts di Bruxelles. Numerosissimi iconcerti, sia come solista, sia al fiancodelle orchestre più prestigiose e sotto ladirezione di Valery Gergiev, James Con-lon, Vladimir Spivakov, Mikhail Plet-nev. Acclamato dalla critica, che nonesita a definirlo come il più giovane erededella migliore tradizione russa, accostatoa pianisti di grande fama, quali il suoconterraneo Horowitz, e paragonato per-fino allo stesso Rachmaninov, Roma-novsky è apprezzato non solo per la suatecnica sorprendente, ma anche per lesue doti interpretative di rara sensibi-lità. Romanovsky, ucraino di nascita, maformatosi in Italia nell’alveo dell’Acca-demia pianistica di Imola, e in Inghil-terra al Royal College of Music di Lon-dra, è ormai un vero cittadino delmondo (oltre ad essere da poco dive-nuto ufficialmente un cittadino italiano).Con la profonda convinzione che la mu-

sica rivesta un ruolo sociale come mezzodi comunicazione interculturale, Roma-novsky collabora con associazioni chesostengono i giovani pianisti meritevolie che, al contempo, organizzano con-certi in luoghi insoliti, per portare lamusica ovunque e a tutti, nella convin-zione che davvero possa essere un mes-saggio di speranza a livello universale.Proprio all’indomani della vittoria alConcorso “Busoni” di Bolzano seistato ospite per la prima volta diMusica Insieme, per un concertoche è poi divenuto anche un cd: chericordo hai di quel recital, che è sta-to anche il tuo debutto al Teatro Co-munale di Bologna?«Ho avuto l’impressione che il pubblicobolognese sia molto sensibile e curiosoverso quello che l’artista propone. Miricordo poi che il teatro mi sembravaenorme, ma solo fino al momento incui ho cominciato a suonare, e allora lamusica ha riempito il vuoto».In questi dieci anni si sono moltipli-cati concerti ed incisioni: quali sonole prossime tappe, i tuoi progetti fu-turi, i nuovi autori da affrontare?«In questi anni ho suonato molto. Gra-zie a Dio e alle persone che mi stanno vi-cino il mio percorso è sempre andato insalita: ho avuto il piacere di suonare conla New York Philharmonic Orchestra e laChicago Symphony Orchestra; la scorsastagione ho debuttato con la Filarmonicadella Scala al Teatro alla Scala di Milanoe ho suonato il recital di apertura dellastagione “Master Pianists” alla Concert-

Nei dieci anni trascorsi dal suo debutto per Musica Insieme, il percorsoumano e artistico di Alexander Romanovsky si è arricchito di progetti

ed esperienze, fra impegno sociale e incontri memorabili di Anastasia Miro

ALEXANDER ROMANOVSKY

D gebouw di Amsterdam. Spesso vado intour in Russia e Giappone. Ho inciso perDecca tre dischi per piano solo e perWarner i due Concerti di Glazunov conl’Orchestra Nazionale Russa. È poi inuscita un progetto che mi sta molto acuore, un cd con le due Sonate di Ra-chmaninov per Decca, che ho deciso didedicare ad Alexander Rachmaninov, ni-pote del compositore, che conoscevopersonalmente e che purtroppo è recen-temente mancato. Oltre ad essere cre-sciuto artisticamente, sento di avere fattoun percorso interiore. Mi preoccupamolto ciò che accade in Italia e nelmondo in generale, e, per quanto ri-guarda la musica classica, mi piacerebbevedere più artisti di grande personalità eun pubblico giovane più numeroso.Sono molto lieto di poter prendere unaparte attiva nello sviluppo di questo pro-getto: ricopro infatti da poco la carica didirettore artistico del “Keyboard Chari-table Trust”. Si tratta di una fondazionelondinese senza scopi di lucro che pro-muove giovani pianisti di tutto ilmondo. La funzione della fondazione èduplice: se da una parte noi aiutiamo ipianisti che vengono selezionati, questi,da parte loro, ci aiutano a promuoverela musica, suonando nelle scuole, negliospedali, nelle carceri, così dimostrandoche la musica classica è un linguaggiouniversale e può svolgere un ruolo so-ciale importante. Inoltre, coordino l’“In-ternational Krainev Competition”, unconcorso importante per pianisti giova-nissimi fino a 17 anni che si svolge a

Talento e cuore

“ “La musica russa affonda le radici nel romanticismo tedesco e quest’ultimo

è legato a Bach, perciò c’è un unico filo invisibile che li collega tutti

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L’INTERVISTA

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Kharkov, la mia città natale in Ucraina».Qual è il riconoscimento più impor-tante (anche verbale) che hai rice-vuto nella tua carriera?«Ho avuto l’onore di essere premiato giàin giovane età, come con il Premio “Bu-soni” o la nomina di Accademico hono-ris causa conferitami a soli 15 anni dallaRegia Accademia Filarmonica di Bolo-gna. Questi riconoscimenti mi hannoispirato e motivato ad andare avanti perla strada che avevo intrapreso. Resto lu-singato quando dopo un concerto al-cune persone del pubblico mi diconoche il mio modo di suonare gli ha ricor-dato un grande interprete del passatoche loro hanno avuto il privilegio diascoltare dal vivo. Perciò il riconosci-mento più grande rimane la risposta delpubblico dopo ogni mio concerto».Quali caratteristiche hanno fattodel pianoforte uno strumento prin-cipe non solo della cameristica, maanche della storia musicale degli ul-timi duecento anni in genere?«La risposta è semplice: il pianoforte èl’unico strumento che può sostituireun’orchestra in tutte le sue sfumature».Leggendo il programma che pro-porrai in concerto vediamo che tredei compositori inseriti sono russi,un caso?«Mi sono molto cari i pezzi che eseguo,che sono molto vari perché anche letappe della vita lo sono. Non posso nondire che sento un forte legame con le mieradici, perché capisco profondamente lamusica russa e ne condivido i valori».Hai avuto occasione di esibirti conimportanti musicisti, quali sono sta-ti gli incontri più significativi?«Ho avuto la fortuna di conoscere gran-dissimi musicisti come Carlo Maria Giu-lini e Mstislav Rostropovic, persone concui avrei voluto lavorare di più. ConVladimir Spivakov si è creato un forte le-game e suono spesso sotto la sua bac-chetta. Inoltre ho collaborato con diret-tori quali Valery Gergiev, MikhailPletnev, Vladimir Fedoseyev. Però il mu-sicista che più mi ha influenzato e mi haformato musicalmente è di certo il mioMaestro Leonid Margarius, con il qualeho studiato più di 10 anni».Il programma per questo concerto sisnoda lungo secoli di storia della

«Ogni scuola si differenzia per il pro-prio particolare approccio verso il con-tenuto musicale e per la propria capacitàdi esprimerlo. Anche la tecnica è solouno strumento per realizzare le proprieidee musicali, e deve rimanere al serviziodi queste».Come vedi la situazione della scenamusicale, in particolare in Italia,per un solista che desideri intra-prendere la carriera concertistica?«La scena musicale e culturale si trova instretta relazione con il periodo storico econ la vita sociale. Ora ci troviamo difronte ad un punto di svolta. Non biso-gna scoraggiarsi però, perché la storia cimostra come nei momenti di grandicambiamenti la musica e la cultura pos-sano acquisire nuovamente un grandevalore e giocare un ruolo importante».

musica, come lo hai concepito?«Non tutto si riesce a spiegare. Quelloche posso dire è che c’è una volontà dicondividere tutto quello che ho raccoltoin questi anni».Da Bach a Rachmaninov, passandoper Skrjabin, l’approccio alla tastieracambia radicalmente: nell’accostartia pagine storicamente tanto diverse,di quali fattori tieni conto?«La musica russa affonda le proprie ra-dici nel romanticismo tedesco e que-st’ultimo è strettamente legato a Bach,perciò, anche se stilisticamente sem-brano lontani, c’è un unico filo invisibileche li collega tutti».Si parla molto delle scuole pianisti-che italiana, russa, ecc.: secondo te,quali sono le caratteristiche peculiaridella scuola russa?

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ul palco di Musica Insieme siavvicendano in questi mesidue celebrati Quartetti: ilprimo, entrato ormai nellastoria, oltre che nel Guinness

dei Primati, come il più longevo del-l’Unione Sovietica (ha infatti da pocosuperato i sessant’anni di attività) e con-siderato uno dei più importanti Quartettisulla scena musicale internazionale, non-ché un punto di riferimento nella storiadi questo tipo di formazione; il secondo,un ensemble tutto ‘made in Italy’, che hagià suonato nelle più prestigiose sale e fe-stival internazionali, oltre a vantare nelsuo palmarès prestigiosi premi e ricono-scimenti, dalla vittoria al concorso “Pri-mavera di Praga” al più recente “Leone

d’Argento” assegnatogli dalla Biennale diVenezia. Due Quartetti molto diversi performazione, storia, esperienze, come sco-priremo attraverso le parole di Igor Nai-din, violista del Borodin, e di FrancescoDillon, violoncellista del Prometeo.In che senso a vostro avviso il quar-tetto d’archi si distingue dalle altre for-mazioni della cameristica?Borodin Quartet: «Il genere del quartettod’archi è un mondo a parte, speciale eunico. È una formazione cameristica au-tosufficiente. Crediamo che il quartettopossa esprimere ogni tipo di emozione,suono ed energia, dipende solo dall’abi-lità, dagli intenti e dall’immaginazionedegli esecutori e del compositore. Noipensiamo che questo genere sia il più in-timo e il più intenso allo stesso tempo.Inoltre, il “fare musica” in quartetto è il

Un Quartetto di cui abbiamo sentito molto parlare, ora come in passato,e uno di cui sicuramente sentiremo parlare in futuro, protagonisti entrambi

della scena internazionale di oggi di Cristina Fossati

BORODIN - PROMETEO

S modo più complicato e tecnicamente piùrischioso, ma anche il più bello! La storiadel genere, fondamentalmente, parte daBoccherini e Haydn, che hanno stabilitole grandi tradizioni, la struttura e la formacome le conosciamo oggi. Da allora unoceano di musica è stata composta, ed ècomparso un gran numero di incredibilicapolavori».Quartetto Prometeo: «Il quartetto è unaformazione dalla simmetria perfetta: allostesso tempo una fusione di suoni omo-genei e un incrocio complesso di quattroforti presenze che devono convergere inuno stesso punto. L’assenza di uno stru-mento di riferimento come il pianoforteimpone un diverso e ben più complessoequilibrio contrappuntistico e sonoro. Asua volta un quartetto si può distinguerein vari modi: da un lato l’identità del

INTERVISTA DOPPIA

La storia è oggi

Borodin Quartet

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gruppo è definita dalle scelte di reperto-rio, dai programmi... ed in questo sicu-ramente ci distinguono la nostra aperturaa percorsi inconsueti, il mettere in dia-logo abitualmente il contemporaneo conil repertorio storico, non per ‘dovere’ maper sincera esigenza di allargare gli oriz-zonti, la curiosità di scoprire capolavorinascosti nelle pieghe del tempo. Poi c’èun aspetto più ‘intimo’ e se vogliamomeno conscio e razionale, che è nellapersonalità interpretativa e nel suono diun gruppo: ogni quartetto è un equilibriodiverso di quattro voci e quattro perso-nalità e nel nostro caso lavoriamo persviluppare una sintesi il più possibile one-sta, ‘coraggiosa’ e personale».Qual è a vostro avviso un composito-re del passato o del presente da ri-scoprire?Borodin Quartet: «La musica di Beetho-ven è una continua riscoperta, una mu-sica eternamente profonda e spesso in-conoscibile, sicché ogni interprete lascopre e la riscopre attraverso la propriavita musicale. Poi sono davvero molti iQuartetti di Haydn che necessitano di es-sere riscoperti, non essendo affatto benconosciuti. Circa i compositori di oggi, èancora presto per trarre questo giudizio».Quartetto Prometeo: «Ci sono molti sen-tieri da percorrere! Nelle nostre ultime‘esplorazioni’ ci siamo imbattuti nei pococonosciuti lavori per quartetto di un gio-vanissimo Hugo Wolf, che poi abbiamoregistrato per l’etichetta olandese Bril-liant Classics: l’imponente Quartetto,che scrisse ancora adolescente, è un’operaimperfetta, ma davvero straordinaria.Cercando poi nella musica antica ita-liana (per un futuro progetto con laSony) abbiamo trovato uno sconosciuto,ma originalissimo autore di pezzi cem-balistici, Azzolino Della Ciaja. Un altrocompositore che merita una citazione èViteszlav Novak, il migliore allievo diDvorák, il cui stupendo Quartetto n. 2abbiamo anche inciso… ma in realtà ilrepertorio è pieno di gioielli nascosti!».Nei vostri ricordi, quale è stato il piùbel concerto (suonato o ascoltato)?Borodin Quartet: «È impossibile rispon-dere a questa domanda. Forse è una do-manda da rivolgere agli appassionati dimusica classica. Ognuno di noi conserva

con la moglie Martha: un gioco di dia-logo e intesa musicale straordinari. An-che il concerto dei Radiohead ascoltatodi recente (settembre 2012) a Firenzeentra fra i memorabili: un linguaggio di-verso ma sicuramente un meravigliosoesempio di musica contemporanea».Quali sono i più importanti maestri(non solo dal punto di vista musicale)che avete incontrato nella vostra vita?Borodin Quartet: «Sicuramente per l’in-segnamento del violino Yuri Yankele-vich, per il violoncello Natalia Shakhov-skaya, poi il geniale maestro SviatoslavRichter, e tutti i nostri predecessori nelQuartetto».

nei ricordi concerti indimenticabili».Quartetto Prometeo: «Tralasciando quellisuonati (parlare di sé è sempre diffi-cile…) sono moltissimi i concerti me-morabili ascoltati. La prima volta cheabbiamo sentito il Quartetto Hagen peresempio fu una rivelazione: un pro-gramma fantastico (opera 131 di Bee-thoven, Bagatelle di Webern e ultimoQuartetto di Mozart, proprio in que-st’ordine!) e un suono di quartetto finoad allora inaudito. L’ultimo concerto delQuartetto Alban Berg inoltre, con i duegrandi Quartetti di Schubert, rimaneugualmente un ricordo indelebile, cosìcome György Kurtág, a quattro mani

Quartetto Prometeo

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Quartetto Prometeo: «Dal punto di vistadella formazione sicuramente Piero Fa-rulli e Milan Škampa sono stati i due“padri” del Quartetto: abbiamo seguitoper molti anni le loro lezioni a Fiesole ealla Chigiana di Siena e sono state due fi-gure fondamentali e perfettamente com-plementari: l’uno capace di motivare etrasmettere fortemente la sua energia e lasua fede utopica nel potere della musicae del fare musica; l’altro finissimo di-datta, conoscitore sopraffino della tec-nica quartettistica, e instancabile nel la-voro sui dettagli minuziosi di unapartitura. Altri incontri straordinari, trai molti, uno meraviglioso con GyörgyKurtág sul Quartetto op. 59 n. 2 di Bee-thoven e il lavoro fatto, nell’arco di moltianni, con Rainer Schmidt, secondo vio-lino del Quartetto Hagen che con unapproccio quasi zen all’esecuzione musi-cale ha in parte capovolto, o almeno in-dirizzato fortemente, il nostro modo disuonare insieme e di ascoltare, nel sensopiù profondo del termine».Fra i premi e i riconoscimenti (ancheverbali) che avete ottenuto nella vostracarriera, qual è per voi il più impor-tante?Borodin Quartet: «Nel 1995 il Quartettoè stato nominato nel Libro dei Guinnessdei Primati russo come il Quartetto piùlongevo. Memorabile è stata anche la no-mination ai Grammy Awards di qualcheanno fa».Quartetto Prometeo: «I premi sono im-portanti perché in qualche modo dannouna conferma esterna che il lavoro che sista facendo ha un riscontro e vale ancheal di fuori del microcosmo del Quartettostesso… dunque sono tutti benvenuti.In questo senso il primo importante fu ilPrimo Premio al concorso “Primavera diPraga”, che ci diede una grande spinta perinvestire molte energie nel gruppo. Altempo stesso l’ultimo, il “Leone d’Ar-gento” alla Biennale di Venezia (accantoal “Leone d’Oro” a Boulez), è stato ungrande onore sia per il contesto sia perchéin parte premia tutto quello che abbiamocreato e realizzato fino a qui».Come avete scelto il programma chesuonerete a Bologna?Borodin Quartet: «Volevamo presentareagli spettatori di Bologna il mondo di

Beethoven e Šostakovic, i due geni dellamusica dell’Europa occidentale e dellaRussia, nonché del XIX e XX secolo, chehanno influenzato maggiormente il ge-nere del quartetto d’archi nelle loro epo-che. Abbiamo scelto il Quartetto n. 3 diŠostakovic, molto conosciuto e moltoenergico, e uno altrettanto noto di Bee-thoven – l’op. 59 n. 2 – composto dietrocommissione dell’ambasciatore russo aVienna, il conte Razumovskij. Sono en-trambe opere estremamente potenti esono “esempi tipici” di capolavori perquartetto d’archi!».Il quartetto d’archi ha una gloriosastoria nella tradizione austro-tedesca.Ma anche la scuola russa ha unagrande – e diversa – tradizione inquesto genere: quali sono secondovoi le differenze più importanti traquesti due mondi, e in che modo per-cepite la vostra appartenenza aquello russo?Borodin Quartet: «Naturalmente siamofieri di essere compatrioti di Šostakovic,in ogni caso questo non è un nostro me-rito, è piuttosto una cornice temporale“fortunata” che ci ha permesso di sentiree capire la sua musica, anche avendo vis-suto durante gli stessi anni nello stessopaese, sotto lo stesso regime. Per quantoriguarda le differenze, noi crediamo chel’essenza della musica di Šostakovic siatragica e disperata, dandoci davvero po-che opportunità di pensare a un futuromigliore (ovviamente molto è dovuto allasua natura atea), mentre l’essenza dellamusica di Beethoven è più ‘ottimistica’,dà speranza e instilla fede (era un uomoprofondamente religioso)».A Bologna eseguirete il Terzo Quar-tetto op. 73 di Šostakovic, che i primimembri del Borodin hanno letteral-mente ricevuto dalle mani dell’autore:quali sono le caratteristiche più im-portanti che avete “ereditato” daloro, e come vi accostate oggi a que-sto Quartetto?Borodin Quartet: «Dunque, sono più chealtro i dettagli e gli aspetti professionali adesserci stati trasmessi da Valentin Berlin-sky (tra i fondatori del Quartetto, ritiratosinel 2007 e scomparso l’anno successivo,ndr). Ciò che non tutti sanno è che ori-ginariamente Šostakovic aveva previsto

che questo Quartetto avesse una sorta diprogramma, ma più avanti cambiò idea.Quest’opera ritrae in breve la secondaguerra mondiale, dal suo scoppio sino altragico compianto finale».Il Quartetto Prometeo invece ha inse-rito in programma un omaggio algrande contrabbassista e composito-re Stefano Scodanibbio, recentemen-te scomparso; che ricordo ne serbate?Quartetto Prometeo: «Stefano è stato unodei nostri più cari amici! Ha scritto pernoi molti dei suoi lavori quartettistici eabbiamo passato molte ore a sperimen-tare, perfezionare, discutere dettagli in-sieme, anche negli ultimi tristi mesi dellasua malattia. Era uno straordinario in-terprete dalla intensità magnetica e uncompositore con una voce originalissimae forte: sicuramente le innovazioni da luiapportate alla tecnica degli strumenti adarco sono un patrimonio ancora da esplo-rare per molte generazioni di esecutori ecompositori».Se il Quartetto Borodin ha tenuto abattesimo quasi tutti i Quartetti diŠostakovic e lavorato con Rostropovic,il Prometeo vanta dediche da autori dioggi come Salvatore Sciarrino. Chepeso ha il repertorio contemporaneonei vostri programmi?Quartetto Prometeo: «Questo è un para-gone che ci onora! Quello con Sciarrinoè un percorso di molti anni e fatto in-sieme su molti lavori davvero unici per lanostra formazione, dai Quartetti n. 8 e 9alle trascrizioni da Domenico Scarlatti.La sua scrittura è così peculiare che ci hasfidati a imparare un nuovo modo disuonare e ascoltare il nostro strumento.Altri compagni di strada musicale con cuic’è un rapporto da diversi anni sono, frai molti, Ivan Fedele, di cui abbiamo ap-pena inciso un cd/dvd monografico perLimen, e Stefano Gervasoni».Come definireste con tre aggettivi ilQuartetto op. 34 di Dvorák che ese-guirete a Bologna?Quartetto Prometeo: «Nostalgico, folk-popolaresco, brioso-danzante».E il Quartetto di Schumann, che pe-raltro è l’ultimo dei soli tre quartettiper archi da lui composti?Quartetto Prometeo: «Tempestoso, dol-cissimo, vibrante».

INTERVISTA DOPPIA

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Il violinista racconta la sua carriera scandita dai grandi incontri: quelli con i Maestri che lohanno formato e quelli con gli strumenti che lo hanno accompagnato di Marco Costanzo

VADIM REPIN

Con tecnica e passione

adim Repin, siberiano, classe 1971, s’inserisce a pienotitolo in quella grande tradizione violinistica russa-so-vietica-russa (la storia ci obbliga a questi slalom), chea tutt’oggi fa crescere straordinari talenti e quindiporta davanti alle platee di tutto il mondo violinisti

eccellenti. Violinisti che sono protagonisti della scena, grazie aduno straordinario mix tra originalità e formazione accademica.In altre parole, la scuola russa-sovietica-russa riesce in quello chedovrebbe essere l’intento di tutte le scuole musicali: far crescereun talento secondo la personalità di quel talento medesimo, edal tempo stesso fornirgli tutti gli strumenti per poter affrontareal massimo livello professionistico una carriera difficile ed im-pegnativa, qual è quella del musicista. Vadim Repin di tutto que-sto è esempio mirabile. Suona con grande passione, un tratto pa-lese della sua personalità; una passione però sostenuta da unatecnica impeccabile. È interprete sensibile e raffinato – altro ca-rattere specifico della sua personalità musicale – ma al tempostesso questa sensibilità viene accentuata dal controllo assolutosullo strumento, dimostrando così ancora una volta che il vir-tuosismo di per se stesso – cioè la capacità di eseguire corretta-mente tutte le note, tutti i passaggi, anche i più difficili – nonfa il grande interprete (e viceversa, dovremmo aggiungere).D’altronde il violinista siberiano si è formato con uno Za-char Bron, non solo un grande violinista, ma anche – edoggi soprattutto – un eccellente insegnante. L’incon-tro tra i due è avvenuto a Novosibirsk. Un incon-tro per Repin fondamentale, anche perché a suavolta Bron si è formato come assistente di IgorOistrakh al Conservatorio Cajkovskij di Mo-sca. Dunque, un tassello dopo l’altro eccoche la lunga storia del violinismo in terrarussa si trasforma in un sistematico, es-senziale, passaggio del testimone. D’al-tronde, tra gli allievi di Bron ci sonoviolinisti davvero diversi tra loro. EccoMaxim Vengerov, oppure DanielHope. Repin, Vengerov, Hope, per-sonalità musicali molto diverse traloro, cresciute sotto il segno dello stessomaestro. Quindi non potevamo che co-minciare questa intervista con Repin se nonparlando proprio degli anni della sua forma-zione e del suo celebre maestro.

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L’INTERVISTA

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Qual è stata a suo avviso la più importante lezione che Za-char Bron le ha impartito?«Certamente c’è la tecnica, senza la quale non si può affrontareuna carriera da solista. Poi la sua capacità di far maturare un ta-lento, senza cercare di indirizzarlo magari verso strade che noncorrispondono alla personalità di questo o quello studente. Mala lezione sicuramente più importante, quella dalla quale hotratto i maggiori benefici, e che tutt’ora seguo scrupolosamente,la si potrebbe riassumere in una singola frase: superare le diffi-coltà nel più breve tempo possibile!».La carriera di molti tra i grandi violinisti russi, e non faeccezione neppure quella del suo maestro Zachar Bron,si contraddistingue per le numerose onorificenze checon pieno merito vengono loro riconosciute. Nel 2010lei è stato premiato con la “Victoire d’Honneur”, la piùprestigiosa tra le onorificenze francesi, premio che haottenuto per l’aver dedicato la sua vita, e con passionesincera, alla musica. È d’obbligo allora chiederle qualisono, nei suoi ricordi, i momenti più significativi traquelli che hanno segnato la sua carriera.«Se debbo cercare nella mia memoria, alla mente mi tornano so-prattutto degli incontri, quegli incontri con artisti che – credoper tutti coloro che fanno il nostro mestiere – certamente se-gnano la carriera. Tra i molti, compresi tutti quelli con i qualiho avuto il grande privilegio di suonare, non posso non citaredue nomi in particolare: Lord Yehudi Menuhin e Mstislav Ro-stropovic. Certo, personalità molto diverse tra loro, ma altret-tanto grandi. D’altronde, di una cosa sono sicuramente con-vinto: la musica non è una carriera, è la vita stessa».Tra i molti musicisti con i quali ha collaborato, un ruolocrediamo di primo piano – vista anche la notevole per-sonalità – ha giocato e gioca un pianista come ItamarGolan. Ci vuole raccontare com’è cominciata la vostracollaborazione?«Fare il violinista e dedicarsi alla musica da camera significa averbisogno di un pianista. E non di un pianista e basta: di ungrande pianista. Come spesso accade, mi fu richiesto un recital.Io accettai, anche se la data era vicina. Di Itamar Golan avevosentito parlare, e molto bene, spesso. Opinione comune e dif-fusa tra i colleghi è che Itamar non solo fosse dotato di un no-tevole talento, ma possedesse anche una qualità essenziale perfare musica da camera: la flessibilità. Invitarlo fu quasi la logicaconseguenza di questi ragionamenti, e di quel primo invitonon mi sono mai pentito. Del resto, da allora abbiamo percosì dire fatto “coppia fissa”, e il nostro repertorio conti-nua costantemente ad allargarsi, segno che la nostra col-laborazione funziona a dovere».Quindi saper collaborare, oltre che trovare ilpartner giusto, fa parte integrante del lavorodel musicista. Vorrebbe dirci a quali principi siè ispirato tanto come musicista, quanto più ingenerale nella sua vita?«Al di là di quello che fa parte integrante del mio la-voro, come la dedizione e l’impegno, che non possono

che essere costanti, ad un valore in particolare guardocome principio guida per la mia vita: il rispetto».

Fino al 2005 lei si è esibito suonando un celebre Stra-divari: il “Ruby”, datato 1708, che era già stato di Pa-blo de Sarasate. Oggi il pubblico l’ascolta suonare unaltro celebre strumento: il Guarneri del Gesù conosciu-to come “Bonjour”, costruito nel 1743. Due capolavo-ri della liuteria italiana, due strumenti molto diversi traloro. Può dirci quali sono le principali differenze?«Difficile riassumerle in breve, anche perché è evidente subitoche tra i due strumenti ce ne sono moltissime. Potrei dire chesono diversi in tutto. Quello che certamente si nota, e quindiva rimarcato, è la differenza nella produzione del suono. Potràsembrare forse strano, ma richiedono un approccio tecnico dif-ferente, a cominciare dall’uso dell’arco e dalla velocità con cuilo si fa correre sulle corde. E questo non è che l’inizio di quelloche sarebbe un lungo elenco».Veniamo ora al programma che presenterà nel suo re-cital bolognese. Ci pare che abbia cercato di delineareuna sorta di itinerario attraverso la sonata violinisticatra il XIX ed il XX secolo, tanto più che proporrà gli ul-timi lavori cameristici di Ravel e Brahms. È così?«Non saprei dire per la verità. A me piace costruire programmiche abbiano più facce, multiformi. Un programma soprattuttobasato su quelle opere che ovviamente amo eseguire. Se così nonfosse, non sarebbe possibile per me ottenere il primo risultatoche m’interessa: dare al pubblico emozione. Proporre quindi ibrani che prediligo è sicuramente una chiave per accedere alcuore di chi mi sta ascoltando».In Brahms e in Bartók ci sono molti elementi tratti dalfolklore musicale, in particolare da quello ungherese,mentre nella Sonata di Ravel non mancano i riferimential blues e, più in generale, accenti di tipo jazzistico. Qua-li sono le sue sensazioni di fronte a questi richiami alletradizioni popolari, tanto più che lei suona uno stru-mento – il violino appunto – che appartiene tradizio-nalmente alla musica popolare?«Li trovo assolutamente straordinari. Le diverse tradizioni po-polari sono una parte essenziale della storia del violino, e forseaddirittura la più importante. Del resto, amo il violino comestrumento nella sua totalità, e provo una sincera ammirazioneper quei compositori geniali che hanno saputo esplorare ognilato delle sue potenzialità, permettendoci di goderne».A proposito della sua Sonata, Ravel scrisse: «Mi sonoimposto una certa quale indipendenza nel comporre unaSonata per violino e pianoforte, strumenti essenzial-mente incompatibili e che, incapaci di trovare un pun-to di equilibrio nei loro contrasti, riconfermano anchequi la loro incompatibilità». Lei pensa che davvero vio-lino e pianoforte siano incompatibili, oppure crede chequest’affermazione di Ravel sia un po’ eccentrica?«Ritengo che Ravel avesse in mente qualcosa che appartiene allastoria stessa della sonata per violino e pianoforte, e cioè la so-stanziale indipendenza dei due strumenti. E del resto la sua So-nata rappresenta un momento essenziale proprio nella storia delrapporto tra violino e pianoforte perché Ravel è riuscito a darepari importanza tanto all’uno quanto all’altro, creando unasorta di funzionale parallelismo».

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Un’intesa quasi telepatica, un rapporto di fiducia assoluta che non si nutre di parole,ma di sensibilità, ascolto, passione: è quello che lega Bollani ai colleghi Rava, Lunde Bodilsen, con i quali ‘dialogherà’ il 7 marzo per Musica Insieme di Fulvia de Colle

BOLLANI - BODILSEN - LUND

La musica in ascolto

er Stefano Bollani esistono soltanto due categorie:«musica bella e musica brutta. Jazz, rock e tutto il re-sto sono generi che abbiamo inventato noi per poterparlare di musica, però la musica è una sola». Così so-stiene Bollani, per parafrasare una fortunatissima tra-

smissione da lui ideata e realizzata per RAI 3, e così accade cheper Musica Insieme l’instancabile performer milanese si facciaaddirittura in tre, in un “Triplo Concerto” che lo vedrà esibirsiaccompagnato solo dal suo inseparabile pianoforte, ma anche induo con Enrico Rava, che di Bollani ha segnato gli esordi, e intrio con i danesi Jesper Bodilsen al contrabbasso e MortenLund alla batteria, sezione ritmica che ormai lo ‘sostiene’ a suavolta da un decennio. A loro, e naturalmente a Bollani, abbiamochiesto di raccontarci queste tre serate in una, rintracciandoneanche il filo segreto che ne sottende il progetto.Quali sono le tre facce di Bollani che avremo modo di ap-prezzare il 7 marzo?Stefano Bollani: «Innanzitutto sono molto contento di avere lachance di realizzare più progetti in una stessa sera, poiché ogniprogetto ha una storia, e mettendone più insieme si coglie ma-gari anche il filo rosso che li unisce. Io stesso non sempre locolgo… invece il pubblico spesso lo afferra meglio di me. Ilpiano solo è qualcosa che faccio da molto tempo, dove di solitomi lascio aperta qualsiasi possibilità, nel senso che non decidomai prima una scaletta; d’altronde questo vale anche per gli al-tri progetti. Il duo con Enrico Rava poi è una cosa che vaavanti dal lontano 1995, quando ci siamo incontrati per laprima volta a Prato: Rava è stato il musicista più importante perla mia carriera e per la mia vita, poiché mi ha dato molta fidu-cia nelle mie possibilità. Da dieci anni suono in trio con Bo-dilsen e Lund, ci siamo incontrati sempre grazie ad Enrico…».Il Trio con Bodilsen e Lund nasce in effetti in occasione delpremio Jazz Par ad Enrico Rava nel 2002, che scelse tecome solista, mentre gli organizzatori danesi hanno pro-posto appunto la sezione ritmica. Ecco un bel filo con-duttore che lega tre volte Bollani…Stefano Bollani: «Esatto. Da lì in poi abbiamo incominciato asuonare insieme. Sia con Rava che con Lund e Bodilsen c’è unaspecie di intesa telepatica, per cui – ma non è il risultato diun’evoluzione, è sempre stato così fin dall’inizio – non c’è maistato bisogno di parlare troppo della musica che dobbiamosuonare: tutto avviene sul palco davanti al pubblico, o in stu-dio, insomma dovunque ci troviamo per far musica insieme».

Morten Lund: «La nostra musica e la nostra amicizia sono piùforti e vicine che mai. Condividiamo il medesimo desiderio diesplorare insieme nuove sonorità. Non parliamo mai di musica,semplicemente quando siamo sul palco percepiamo lo stessoamore e la stessa energia. È davvero qualcosa di molto speciale».Col Trio avete cominciato con gli standard e le canzoni ita-liane, poi siete passati alla tradizione scandinava: in oc-casione del recital solistico di Stefano Bollani per Musica In-sieme, chiedemmo qualche anticipazione sulla scaletta, maci venne risposto che nulla veniva deciso prima di salire sulpalco. E quando siete in tre, o addirittura in quattro?Stefano Bollani: «Anche in quel caso funziona così: qualcunoogni tanto attacca un pezzo e gli altri lo seguono… In nessunodei tre casi esiste insomma una scaletta. All’inizio con il Trio sta-bilivamo un canovaccio prima del concerto, perché è più natu-rale, ora invece non lo facciamo, così spesso saltano fuori deibrani collegati fra di loro all’impronta; è la cosa bella di questogenere e del suonare insieme davvero, quella di stare sempre inascolto dell’altro, scoprire magari all’ultimo momento dovel’altro vuole andare, e a nostra volta andarci con lui… e poi ilbello di fare musica è anche quello, che non c’è mai bisogno diparole, quindi nemmeno di una traduzione».Morten Lund: «La parola chiave del nostro Trio è sempre stata“fiducia”: ci lega reciprocamente una profonda fiducia personalee musicale, una sensazione molto molto speciale – quasi comefossimo fratelli».Suonando praticamente vita natural durante, quando ecome succede di decidere che è il momento di fissare unprogetto o una collaborazione in un album?Stefano Bollani: «Ogni volta c’è un motivo diverso, un’etichettae un gruppo diverso. Nel caso delle mie ultime pubblicazioni,il disco con Irene era una cosa che volevamo fare da anni,quindi siamo andati di nascosto ad autoprodurcelo, l’abbiamopubblicato dopo perché ci piaceva, altrimenti avremmo potutolasciarlo nel cassetto. Il disco con Chick Corea è stato registratodal vivo, quindi c’è stata un’incisione che poi un’etichetta ha pro-posto di pubblicare (ed è nato Orvieto, per la ECM)».In programma con il Trio c’è anche un album che regi-strerete nel luglio 2013 (in uscita a gennaio 2014): si puòfare qualche anticipazione?Morten Lund: «Sarà un disco di canzoni inedite, tutte compo-ste da Stefano Bollani, che registreremo a New York, con alcunigrandi ospiti a sorpresa…»

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INTERVISTA DOPPIA

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Stefano Bollani: «…come gli americani Bill Frisell alla chitarrae Mark Turner al sassofono!».Bollani ha eseguito e inciso i concerti di Gershwin e Ra-vel con l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, ora si sca-tena nelle canzoni con Irene Grandi, e poi il trio, il duo,il solo: ci diresti due nomi di artisti con cui ti piacerebbecollaborare e non l’hai mai fatto?«Uno è sicuramente Bill Frisell, con il quale collaboreremo peril disco che andremo ad incidere la prossima estate. Altri non sa-prei. A volte si incontrano grandi artisti ma non scocca la scin-tilla… Posso dire che qualcuno con cui vorrei tornasse a fun-zionare è senza dubbio Caetano Veloso. Ci siamo incontrati perdue concerti e mi piacerebbe rifarlo».Che ruolo ha avuto Rava nella tua storia professionale,e che ruolo ha oggi che sarà tuo ospite in concerto?Stefano Bollani: «È stato un incontro fondamentale. Lo andavoa sentire da bambino, quindi la prima volta che ho suonato conlui ero molto emozionato, e lui mi ha chiesto il numero di te-lefono come nelle storie d’amore. Dopo abbiamo incomin-ciato a suonare insieme ed è stato fin da subito gratificante, maanche molto istruttivo, perché mi ha spiegato un sacco di cose,senza parlarne, solamente con l’esempio. Per dirne una, ho im-parato un certo modo di stare sul palco: non tanto lo stare sulpalco in sé, quello mi piaceva già da bambino, ma il modo didirigere la musica l’ho mutuato da lui. Rava raramente dice a

una persona cosa vorrebbe sentire, ma lo fa capire, e soprattuttoè sempre pronto ad accogliere qualsiasi novità e qualsiasi cosatu faccia, non è un leader che ti chiede di suonare in un certomodo. Infatti, come mi ha detto lui una volta, e come ho in se-guito fatto anch’io, se chiami certi musicisti a suonare con te,se condividi il palco con loro, poi li devi lasciar fare, non hasenso chiamare dei musicisti, quindi sceglierli, e poi imporre lorocosa fare, perché significherebbe che non ti fidi, e allora tantovale chiamare delle macchinette cui far fare quello che vuoi tu.E questo me lo sono segnato a lettere d’oro, per cui quandosuono con qualcuno è molto raro che io dica a quel qualcunocosa ho in mente, perché preferisco sentire cosa ha in mente lui».Quindi Enrico Rava non si è mai messo in cattedra?Stefano Bollani: «Enrico è in assoluto l’italiano più amato nelmondo, anche dai musicisti, proprio perché non si è mai messoin cattedra. I musicisti che lo incontrano in giro per il mondolo adorano perché è semplicemente una persona che suona, nonuno che si pavoneggia di quello che ha fatto e di quello che stafacendo».E come vedono Stefano Bollani i suoi colleghi scandinavi?Morten Lund: «Stefano è un autentico genio, un amico straor-dinario e un musicista completo. Ci sorprende e ci ispira ad ogniserata. Spero che da parte nostra Jesper ed io porteremo unasorta di freschezza nordica al trio, qualcosa che sia d’ispirazioneanche per lui…».

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tefano Scodanibbio, macera-tese, classe 1956, scomparso loscorso anno in Messico, è statotra i protagonisti della scenamusicale contemporanea, riu-

scendo ad affermarsi sia come interpretesia come compositore. Un interprete pe-raltro affatto particolare. Il suo strumento,il contrabbasso, che vanta sì una certatradizione virtuosistica (si pensi al Botte-sini), ma non gode della fortuna dei vio-loncelli o dei violini, lo ha spinto ad im-pegnarsi in una costante ricerca versoterritori spesso mai percorsi, nei quali sisono incontrate esperienze diverse, a co-minciare da quella jazzistica e da quellaimprovvisativa. Ne abbiamo parlato conFrancesco Dillon, violoncellista del Quar-tetto Prometeo, che con Scodanibbio haintrattenuto non solo una prolifica colla-borazione, ma anche una profonda ami-cizia. Esordisce Dillon: «Per me che l’hoconosciuto nel 1995, quando avevo pocopiù di vent’anni, è stato un maestro. Il suoapporto alla tecnica contrabbassistica ri-marrà un punto di riferimento, deline-

ando, accanto al suo rigore e alla sua in-tegrità, le caratteristiche essenziali dellasua personalità. Il suo rapporto stregone-sco con la performance era frutto dellostudio più severo e del perfezionismo as-soluto. Lo ricordo a Darmstadt alla finedegli anni Novanta a ripassare per l’en-nesima volta il Triptich di Ferneyhough,chiedendomi di “controllarlo” sulla par-titura. Lo ricordo pieno di entusiasmoquando sconfiggemmo insieme le “in-congruenze” ritmiche del Duo per vio-loncello e contrabbasso di Donatoni. Loricordo accanto a me nel Quintetto diDvorák, affascinato dalla nuova avventuranella musica da camera più tradizionale».Accanto al musicista, al grande virtuoso,c’era l’entusiasta promotore della musicadei nostri giorni, un impegno che ha vi-sto Scodanibbio dare un contributo im-portante in molte rassegne e festival, ed inparticolare con il cartellone di NuovaMusica. Continua Dillon: «Con NuovaMusica Scodanibbio si è inventato un fe-stival assolutamente al di fuori delle modee delle tendenze del momento. Ha per-corso, anche come organizzatore, unastrada del tutto indipendente. Direi che lesue scelte dei programmi per ogni edi-zione di Nuova Musica, così accurate pe-raltro, sono state a loro volta quasi delle“composizioni”. Anche qui, come per al-tri lati della sua personalità, sottolineereila ricchezza di riferimenti culturali, che haconsentito si potessero aprire quei pro-grammi a musiche e attitudini molto di-verse fra loro. Scelte mai “accattivanti”,forse, ma certo non rassegnate alla sola te-stimonianza di una cultura d’élite, anziaperte e tese a creare domande e ad allar-gare le menti. Creativo come interprete,creativo nelle scelte di programma, maanche come compositore tout court, Sco-danibbio ha licenziato oltre cinquanta la-

vori dedicati perlopiù alla famiglia degliarchi: «Lo Scodanibbio compositore nonè figura di minore importanza rispettoallo Scodanibbio contrabbassista o alloScodanibbio organizzatore. Ciò che trovosommamente affascinante è la varietà deisuoi approcci verso la composizione: in-nanzitutto quello fra scrittura e improv-visazione. In molti suoi lavori questa ap-parente “frizione” viene risolta con unamusicalità e naturalezza straordinarie (ba-sti pensare alla magia di VOYAGE). Ilsuo mondo musicale era pieno di riferi-menti diversi, ma alla fine assolutamentecoerente e personale. Scorrendo il cata-logo di Scodanibbio si legge, come in undiario, della sua vita: incontri, viaggi, pas-sioni». Indimenticabile infine è per Dillonl’amicizia con una persona straordinaria:«I ricordi di un grande amico sono mol-tissimi. Tra quelli più intensi rammentogli incontri in quelle che lui definiva le“sue terre”: le molte visite a Pollenza e levere e proprie rimpatriate con gli amici,sempre sceltissimi, in occasione di ogniedizione della Rassegna Nuova Musica.Era lì, nella sua “casa”, che Stefano di-ventava un ospite generosissimo e rilas-sato. Il vero Stefano, lontano dalla pres-sione di certi momenti della vitaprofessionale. Si passavano intere gior-nate fra prove, esperimenti musicali,ascolti dei più disparati, racconti reci-proci, entusiasmi letterari (Lezama Lima,Bolaño…), ottimo cibo e molte risate.Ho parlato di terre al plurale intendendonaturalmente anche il Messico. Il viaggioche facemmo insieme nel 2008 per lerappresentazioni del suo lavoro teatrale Ilcielo sulla terra ha rappresentato un altrogrande momento di condivisione e sco-perta. Vedere Stefano nel suo adoratoMessico è stata per me una gioia e sonofelice di sapere che lì, alla fine, è tornato».

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IL PROFILO

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Stefano Scodanibbio (1956 - 2012)

Contrabbassista ammirato dai principali autori del Novecento, ma anche organizzatore ecompositore: di Stefano Scodanibbio, scomparso all’inizio del 2012, ci parla Francesco DillondelQuartetto Prometeo, che perMusica Insiemepresenterà un omaggio all’artista maceratese

STEFANO SCODANIBBIO

Tre volte creativo

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ungo il percorso del Museo Medievale, ubicato nel-l’antico Palazzo Ghisilardi-Fava, ci si imbatte in unostraordinario manufatto, l’imponente PIVIALE confatti della vita di Cristo e della Vergine, quasi un se-

micerchio lungo più di tre metri. Il paramento liturgico, in ori-gine provvisto di un cappuccio, proviene dalla basilica di SanDomenico, dove era utilizzato in occasione delle più solenni ce-rimonie religiose. Si tratta di un ricamo di fili di seta policromasu tela di lino, una delle più importanti realizzazioni di opus an-glicanum, quella produzione di ricami che in Inghilterra rag-giunse il suo apice tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo,epoca cui appartiene il paramento del museo bolognese. Un og-getto policromo e splendente, grazie al fondo costituito da filidi seta ricoperti di lamine d’oro e fili d’argento. Straordinariala gamma dei colori dei fili di seta: blu indaco, rosa-bruno,verde-giallo, terra di Siena, bianco, amaranto… La decorazioneè organizzata secondo fasce concentriche, di cui le principali,separate da una stretta fascia con teste di Apostoli e Santi en-tro clipei stellari, accolgono le storie della vita di Maria, del-l’Infanzia e della Passione di Cristo (e alla fine il martirio di SanTommaso di Canterbury) che si susseguono entro 19 finte nic-chie incorniciate da archi gotici polilobati ed esili colonnine.Negli estradossi degli archi sono raffigurate due schiere di an-geli: quelli della fascia interna offrono preziose corone; quellidella più ampia fascia esterna, in veste di Angeli musicanti, ac-compagnano il racconto con il suono dei loro strumenti: a fiato,a corda, a percussione, con una preminenza di quelli a fiato, inuna rappresentazione che costituisce una sorta di repertorio de-gli strumenti in voga in Inghilterra, ed in gran parte dell’Eu-ropa, sulla fine del Duecento (ma non tutti sono identificabilicon certezza anche a causa della consunzione di certe zone delricamo). Gli angeli musicanti si presentano affrontati, secondo

una tipologia di raffigurazione consueta nelle miniature me-dievali. Cominciando da sinistra, tromba e organistrum, violada braccio e viola da gamba, angelo in veste rosa con l’arpa ea fronte il compagno con la tromba; l’angelo dalle ali bianchepercuote con i martelletti le sette campane appese al telaio tro-vando risposta nel suono della tromba, quello con il salterio tra-pezoidale fa coppia con le castagnette, e si finisce con tretrombe, di cui l’intermedia a quattro padiglioni. Il prezioso pi-viale “di San Domenico”, considerato dagli studiosi il più bellotra i ricami inglesi di epoca gotica esistenti in Italia, fu forse do-nato da Benedetto XI ai confratelli dell’ordine domenicano ne-gli anni del suo pontificato (1303-1304). Restò nella basilicabolognese fino al 1880, quando fu consegnato al Comune. Lasua presenza in città fin dall’inizio del Trecento costituì per l’artefigurativa bolognese un precoce modello per l’avvio dei nuovimodi gotici nella miniatura, nella scultura, nella pittura.Ora è collocato in una grande teca nella sala 7, nelle cui paretiaffiorano alcuni resti dell’antico Palatium, e divide il suo spa-zio con preziosi reliquiari del VII e VIII secolo, con la vetratapolicroma istoriata con la Crocifissione proveniente dal con-vento di San Domenico, con la base di acquasantiera realizzatada uno scultore padano sulla metà del Duecento, con la iera-tica icona di papa Bonifacio VIII, che lo scultore senese MannoBandini realizzò in lastre di rame dorato su commissione delConsiglio del popolo, e che nel 1301 fu collocata sulla facciatadel Palazzo Pubblico.

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L

I LUOGHI DELLA MUSICA

Conservato nel Museo Civico Medievale di Bologna, il Piviale di San Domenicoè fra i più splendidi ricami inglesi di epoca gotica esistenti in Italia, arricchitoda una preziosa iconografia musicale di Maria Pace Marzocchi

Note celestiali

MUSEO CIVICO MEDIEVALEVia Manzoni 4, Bologna

Il Piviale di San Domenico, ubicato nell’antico Palazzo Ghisilardi-Fava

Particolare del Piviale

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Lunedì 18 marzo 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

BEIJING STRING TRIOARNALDO DE FELICE...................................oboe

Musiche di Mozart, Sani, Gatti, Beethoven, BrittenIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Musica per le Scuole”

STEFANO BOLLANI.........................................pianoforteENRICO RAVA....................................................trombaJESPER BODILSEN...........................................contrabbassoMORTEN LUND.................................................batteriaGiovedì 7 marzo 2013

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30Dal piano solo, al duo, al trio: Bollani si fa in tre per Musica InsiemeIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

ATTENZIONE CAMBIO DATA

Lunedì 4 marzo 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

BORODIN QUARTET

Musiche di Šostakovic, BeethovenIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

VADIM REPIN.....................................................violinoITAMAR GOLAN................................................pianoforte

Lunedì 25 febbraio 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di Bartók, Brahms, Prokof’ev, RavelIl concerto fa parte degli abbonamenti:“I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 28 gennaio 2013Auditorium MANZONI ore 20.30

QUARTETTO PROMETEO

Musiche di Dvorák, Scodanibbio, SchumannIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

ALEXANDER ROMANOVSKY................pianoforte

Musiche di Bach, Brahms, Rachmaninov, Skrjabin, CajkovskijIl concerto fa parte degli abbonamenti:“I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 14 gennaio 2013AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:Galleria Cavour, 3 - 40124 Bologna tel. 051.271932

E-mail: [email protected] - Sito web: www.musicainsiemebologna.it

I CONCERTI gennaio/marzo 2013

Tre volte BollaniIL CONCERTO DI STEFANO BOLLANI,PREVISTO PER L’11 FEBBRAIO 2013,AVRÀ LUOGO IL GIORNO:

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Atteso ritorno a MusicaInsieme del pianistaucraino, vincitore asoli diciassette annidel Premio “Busoni”e oggi all’apice dellacarriera solistica, con

un programmadi capolavori

di Maria Chiara Mazzi

Lunedì 14 gennaio 2013

Germaniavs. Russia

FotoMelinaMulas

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i potrebbe sintetizzare il pro-gramma di questo concertocon un titolo da incontrosportivo:Germania vs. Russia;sono infatti due ‘nazionali’

quelle che si confrontano qui, ma anchedue mondi, due scuole vere e proprie,due modi di concepire la composizione,l’estetica, l’arte e… la vita. L’abbiamopresa da lontano per confrontare autoriche più celebri e universalmente amatinon potrebbero essere, ma che sonoscelti, proprio in questo contesto (e nona caso…), con le opere che maggior-mente testimoniano di questa differentevisione del mondo musicale. La musicatedesca (gli antichi la chiamavano “ol-tremontana”, forse per sottolinearne l’im-pervia lontananza…) è dal Quattrocentosinonimo di complicatezza, di soliditàcostruttiva, di inesorabilità delle cono-scenze e della razionalità. È da sempre,insomma, una salda fortezza, “Ein’ festeBurg” (per riferirci al titolo di un cele-berrimo corale utilizzato da Bach e poi daMendelssohn nella sua Sinfonia della Ri-forma). Ma è anche quella civiltà musi-cale alla quale, nonostante tutto, si deveil Romanticismo, cioè il superamento diquello stereotipo col quale abbiamo ini-ziato questo discorso. Eppure proprio nelRomanticismo, o meglio nella secondafase di quel movimento, quando esso sistava sfrangiando nei mille rivoli che ca-ratterizzano il pensiero musicale dellaseconda metà del secolo XIX, quel de-siderio di saldezza e di certezza razio-nalistica diventa un porto sicuro nelquale rifugiarsi di fronte alle tempe-ste delle correnti più nuove e rivolu-

zionarie. Bach, innanzitutto, s’imponea modello di grande suggestione,

vuoi per l’ondata nazionalistica e misti-cheggiante che investe la Germania, vuoiproprio perché lui stesso, alla sua epoca,era stato un esempio di saldezza e coe-renza nella temperie dell’imperante stilegalante, che sembrava smobilitare l’in-tensità costruttiva in nome di una più ac-cessibile semplicità. Bach, che nel pienodella polemica col teorico Scheibe, chel’aveva tacciato di oscura e inutile artifi-ciosità, scrive la Fantasia e Fuga BWV904, dove non solo nella Fuga (che ‘perstatuto’ deve essere realizzata attraverso ilcontrappunto severo, ma nella quale iltema ha un sapore già quasi empfindsam)ma soprattutto nella Fantasia torna in-dietro, molto indietro, e dimentica lefantasie piene di svolazzi e di ornamen-tazioni per recuperare addirittura ilmondo di Frescobaldi e una severità cheè, da sola, la risposta a un rinnovamentoa tutti i costi.Un «torniamo all’antico e sarà un pro-gresso» ante litteram, insomma, al qualenemmeno Brahms poté sottrarsi. Nem-meno quando, a trent’anni, compone leVariazioni sopra un tema di Paganini op.35, che Clara Schumann definì Hexen-variationen (variazioni stregate) nel rin-graziamento all’autore che gliele avevainviate, proseguendo: «Ho cominciato astudiarle con gran zelo, ma non mi sem-brano adatte per l’esecuzione pubblicaperché le combinazioni sono troppo sor-prendenti e ai non professionisti potreb-bero non piacere. Io penso che se ne ve-nissero inserite alcune con più sempliciarmonie, qualcuno (cioè l’ascoltatore)potrebbe avere qualche riposo. Più ci la-voro, più le trovo difficili: neppure unmusicista può seguirne le curiose ramifi-cazioni e i giri piccanti e tanto più il nor-

male pubblico, che le giudicherebbecome geroglifici. Penso sempre di piùche un titolo come Studi in forma di va-riazione potrebbe loro convenire benis-simo». Le “Paganini” sono costituite dadue serie di variazioni, ciascuna dellequali è virtuosistica, ma non nel modo alquale un pubblico abituato alle esibizionifunamboliche dei Liszt e dei Tausigavrebbe potuto pensare: il virtuosismo èinfatti tutto ‘dentro’ la tastiera e non con-cede nulla all’esteriorità, ma, come sannofin troppo bene gli esecutori, raggiungelivelli (come ad esempio nei glissati di ot-tave) che precedentemente non eranomai stati toccati. Ma è ancora una voltail contrappunto, inteso come intensifica-zione della scrittura, addensamento delleparti ed intreccio motivato da esigenze ra-zionali e costruttive e non semplicemente

Nato in Ucraina, intraprende lo studio del pianoforte all’età di cinque anni, e a tredici si trasferisce in Italia per stu-diare con Leonid Margarius. Nel 2009 consegue l’Artist Diploma presso il Royal College of Music di Londra, mal’affermazione a livello internazionale avviene nel 2001 con la vittoria al prestigioso Concorso Internazionale “Fer-ruccio Busoni” di Bolzano. Da quel momento, si è esibito come solista al fianco di compagini come l’Orchestra delMariinsky, l’Orchestra Nazionale Russa, la Royal Philharmonic Orchestra, la English Chamber Orchestra, la Yo-miuri Nippon Symphony Orchestra, ed è stato invitato dai più prestigiosi festival, tra i quali La Roque d’Anthéronin Francia, il Klavier-Festival Ruhr in Germania, il Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo, il Festival Cho-pin in Polonia ed il Festival di Stresa. Nella stagione 2011/12 ha debuttato con la New York Philharmonic Orchestrae Alan Gilbert al Vail Valley Music Festival, con la Chicago Symphony Orchestra e James Conlon al Ravinia Fe-stival, e con la Filarmonica del Teatro alla Scala di Milano; si è inoltre esibito con l’Orchestra Nazionale di SantaCecilia, ed ha inaugurato la “Master Pianists Series” al Concertgebouw di Amsterdam.

Alexander Romanovsky

S ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte

LUNEDÌ 14 GENNAIO 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

Johann Sebastian BachFantasia e Fuga in la minore BWV 904Johannes BrahmsVariazioni sopra un temadi Paganini op. 35Sergej RachmaninovPreludio in sol diesisminore op. 32 n.12Preludio in si minore op. 32 n. 10Aleksandr SkrjabinQuattro Preludi op. 37Pëtr Il’ic CajkovskijDumka op. 59Sergej RachmaninovSonata n. 2in si bemolle maggiore op. 36

Introduce Maria Chiara Mazzi,docente al Conservatorio di Pesaro e autricedi libri di educazione e storia musicale

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esibizionistiche, a caratterizzare questopezzo, che pur ispirato a un tema violi-nistico e dichiaratamente ‘figlio di Paga-nini’, non imita quasi mai lo strumentoad arco, preferendo invece scavare all’in-terno di una tastiera della quale si sco-prono possibilità ancora inesplorate. Se iromantici avevano fatto del demonismopaganiniano un riferimento estetico, taledemonismo sembra definitivamente di-menticato proprio in un brano che vi fariferimento esplicito: specialmente nel fi-nale dove, anziché un rutilante fuocod’artificio che avrebbe di certo soggiogatoil pubblico, appare l’ombra di Bach nellascelta di una fuga rigorosa, la cui scritturaè talmente fitta e intensa da superare ladimensione pianistica e richiamare unasonorità sinfonica. Non a caso le Varia-zioni sopra un tema di Paganini sonol’ultimo capolavoro pianistico della primafase creativa di un autore che tornerà alsuo strumento di elezione solo alla finedella vita, e con ben altri obiettivi sonori.Obiettivi musicali ancora diversi ha poi ilrecupero stilistico compiuto da due au-tori coetanei come Skrjabin e Rachma-ninov nella Russia zarista tra Otto e No-vecento, quando un clima politicosempre più reazionario portava una fasciadi intellettuali a fuggire dalla realtà per ri-fugiarsi in un mondo ideale, ma irreale,in un parnassianesimo fatto di pura bel-lezza, di simbolismo e di misticismo. In-somma, mentre le correnti più iconocla-ste e moderniste (come Raggismo eSuprematismo) guardavano nella dire-zione delle avanguardie europee, Skrjabinscriveva: «L’arte deve unirsi con la filoso-fia e la religione in un tutto unico e co-struire un nuovo Vangelo che sostituiràquello vecchio. Io accarezzo il sogno dicreare un mistero del genere», cercandonon un passato storico e concreto, vistocome fonte di sicura certezza, ma un pas-sato mitico, nostalgicamente smarrito persempre, un luogo ideale nel quale rifu-giarsi di fronte a una realtà sempre piùcruda. E se nella produzione per orche-stra e nelle sonate Skrjabin risentirà delleesaltazioni spiritualiste figlie dell’esaspe-razione del wagnerismo, costruendo a

modo suo un rinnovamento fatto anchedi proposte originali e all’avanguardia,nelle composizioni ‘libere’ come i Preludiop. 37 (preparati attorno al 1903) egli ab-bandona i riferimenti letterari o filosoficie si avvicina alla lezione dei precedentichopiniani per la cura formale e l’assuntoassolutamente musicale. È una sorta di ri-piegamento su se stesso, nel quale l’ese-cutore-compositore si rivolge al suo stru-mento ora con rapimento mistico, oracon la forza di un assalto impetuoso, oraguardandolo attraverso un velo di feb-brile improvvisazione. «Sottolineando diquel linguaggio – come scrive Enzo Re-stagno – i vocaboli dai quali scaturisconole affinità con la propria vocazione aun’interiorità ancora più macerata, che sirisolve in una contemplazione estatica,sensuale e dolorosa del suono, talvoltagià divelto dal contesto formale e risoltoin puro gesto». Ma nella polverizzazioneartistica di quel momento e in questacorrente estetizzante, che per reazione adun mondo indirizzato verso l’inesorabilerovina vagheggiava il culto della bellezzaastratta e cristallizzata avvolgendo il pro-dotto artistico con un fortissimo conte-nuto emozionale, si colloca anche il mes-saggio di Rachmaninov. Rachmaninovche, se confrontato con le correnti musi-cali a lui contemporanee in Europa e inAmerica, sembra fuori del tempo, incar-nando forse per l’ultima volta la figura delvirtuoso-compositore di retaggio roman-

tico, per il quale lo strumento costituisceil mezzo preferenziale di espressione equello su cui meglio analizzare la portatae la peculiarità della propria arte. Comesupremo virtuoso della tastiera, egli ri-versò il suo mondo espressivo nelle com-posizioni per pianoforte, dal breve spaziodel respiro di un preludio alla vasta com-plessità formale delle sonate, con un at-teggiamento estetico all’apparenza incu-rante nei confronti del mondo che glistava intorno, e soprattutto delle novitàche stavano sconvolgendo tutte le formed’arte. Questo ideale non era però deltutto slegato dalla realtà, perché l’ele-gante malinconia e il concertismo fu-nambolico sono specchio di un desideriodi fuga che si realizza nel recupero di unRomanticismo ‘alla Cajkovskij’ (inseritoin questo programma non a separare, maa collegare i due protagonisti della se-conda parte), modernamente trasformatoin arte della percezione sonora, in gradodi esporre in maniera psicologicamenteavvolgente sentimenti anche contrastanticome malinconia o dolore, gioia incon-trollata o aspirazione eroica. Come nellaSonata op. 36 (composta nel 1913 e ri-veduta nel 1931), dove l’autore recuperala forma del passato senza intenzioni pro-grammatiche, ma come contenitore diidee attraverso il quale esprimere le suepiù tipiche idealità, solo apparentementevincolato alle leggi architettoniche del-l’antica forma in più movimenti.

Lunedì 14 gennaio 2013

DA ASCOLTARENella discografia di Alexander Romanovsky non mancano ovviamente i classi-ci del repertorio ottocentesco, sebbene scelti con particolare cura, tenendo con-to cioè della solidissima tecnica del nostro pianista ed insieme delle sue speci-fiche doti interpretative. Così – quasi tutto nel segno della Decca – troviamo ilSergej Rachmaninov degli Études Tableaux e delle Variazioni su un Tema di Co-relli (2009). Pagine di celebrato virtuosismo, ma al tempo stesso appassionatee appassionanti, così come quelle scelte per il cd in certo senso gemello, ma rea-lizzato due anni prima. In questo Romanovsky ha dato il meglio di sé affrontandogli Studi Sinfonici di Robert Schumann e le Variazioni su un Tema di Paganini diJohannes Brahms. Non stupirà allora che il lavoro dedicato a Ludwig van Bee-thoven (2011) sia incentrato sulle Variazioni Diabelli. Unica eccezione a questache parrebbe proprio essere una regola è il cd uscito nel 2012. Si tratta, infat-ti, di un rara incisione dei due Concerti per pianoforte di Alexander Glazunov.Con Romanovsky l’Orchestra Nazionale Russa diretta da José Sebrier.

Nel 2011Romanovsky ha assunto la cittadinanza italiana e si è esibito in concerto in occasionedell’incontro dedicato ai “Nuovi Cittadini italiani” alla presenza del Presidente della Repubblica

Lo sapevate che...

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Classico,contemporaneo

Il Quartetto italianooggi fra i piùacclamati sulla scenainternazionale tornaa Musica Insieme conun programma che nerivela la doppia anima,tra approfondimentodel repertorio edesplorazione dellacontemporaneitàdi Sara Bacchini

Lunedì 28 gennaio 2013FotoRibalta

LuceStud

io

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39IM MUSICA INSIEME

l quartetto per archi, affermatosi come genere autonomosoltanto nella seconda metà del XVIII secolo ad opera diHaydn, e in seguito di Mozart e Beethoven, è il genere mu-sicale strumentale maggiormente rappresentativo del clas-sicismo e della scuola austro-tedesca. Sviluppatosi nel qua-

dro dello stile galante e sotto l’influenza del divertimento, altrogenere musicale molto in voga in quel periodo, il quartetto di-venne la forma musicale più apprezzata nel repertorio della mu-sica da camera, anche perché consentiva di suonare in spazi ri-dotti e non capaci di ospitare un’intera orchestra, mariproducendo ‘in miniatura’ la struttura musicale del concertosinfonico. Ad affascinare compositori, esecutori e pubblico è si-curamente stata questa particolare architettura che, oltre adare pari importanza esecutiva e melodica a tutti e quattro glistrumenti coinvolti, permetteva di creare un dialogo polifonicotra le voci, un intreccio musicale sempre più complesso e raf-finato, destinato ad ispirare la creatività di quasi tutti gli autoridel Settecento e dei secoli successivi. Se Joseph Haydn è con-siderato il padre di questo genere musicale, Mozart è certa-mente colui che ha contribuito a svilupparne la forma e le po-tenzialità, e Beethoven colui che ha portato a compimentol’opera, ampliandone contenuti, forma e struttura. Per i com-positori romantici, che pure studiavano con passione anche leopere degli altri predecessori, i Quartetti di Beethoven diven-nero ben presto il punto di riferimento compositivo, conside-rato irraggiungibile ed ineguagliabile. Il 1842 è per Schumannl’anno della musica da camera, ma il suo interesse per il quar-tetto d’archi era già ben presente nel 1838, quando aveva datoavvio ai Quartettmorgen, le mattinate quartettistiche nella suacasa di Lipsia, in cui si riuniva l’ensemble di Ferdinand David,che eseguiva di preferenza il repertorio più recente, al qualeSchumann era particolarmente interessato; non c’è quindi dastupirsi se l’8 aprile di quello stesso anno il musicista chiese al-l’editore Breitkopf di spedirgli tutte le partiture dei Quartettidi Mozart e di Beethoven. Nel suo diario egli poi annotò: «28aprile, studiati i Quartetti di Beethoven; 6 maggio, studiati iQuartetti di Mozart; 2 giugno, schizzi per un mio Quartetto;4 giugno, incominciato un Quartetto in la minore». Il 22 lu-glio non solo il primo Quartetto in la minore, ma anche il se-condo in fa maggiore e il terzo in la maggiore (tutti e tre com-presi nell’op. 41 e dedicati a Mendelssohn) erano compiuti. Nel

terzo Quartetto in la maggiore, la presenza di Beethoven si av-verte fin dalle battute iniziali: nel tema d’apertura del primomovimento si nota infatti un incipit armonico simile a quellodella Sonata per pianoforte op. 31 n. 3 del maestro di Bonn;un incipit che imprime, sia all’Andante espressivo, sia al succes-sivo Allegro molto moderato, un carattere interrogativo. A se-guire, una frase dalla calorosa espansione melodica viene espo-sta dal primo violino, ripresa dal violoncello e poi ampliata esviluppata in una serie di figurazioni armoniche, che determi-nano un sentimento ora appassionato, ora liricamente più di-steso. L’Assai agitato del secondo movimento è uno scherzo ela-borato in forma di variazioni sopra un tema di sedici battute,il cui andamento è caratterizzato dalla presenza del ritmo sin-copato. Una scelta inconsueta, se consideriamo che le varia-zioni, all’epoca, sono il mezzo preferito dai musicisti che si esi-biscono nei salotti mondani e nelle sale da concerto per faresfoggio di un virtuosismo brillante quanto superficiale, mondoverso il quale Schumann era assai poco indulgente. Ma lascelta appare meno sorprendente se consideriamo che Beetho-ven aveva ben mostrato come la variazione su un tema potesseservire anche a sviscerare a fondo la materia musicale, invitandoil compositore a spingersi fino ai territori più sconosciuti del-

I

Vincitore della 50a edizione del Concorso Internazionale “Primavera di Praga” nel 1998, il Quartetto Prometeo è statoinoltre insignito del Premio Speciale “Bärenreiter” per la migliore esecuzione fedele al testo originale del Quartetto KV 590di Mozart, del Premio “Città di Praga” come migliore quartetto e del Premio “Pro Harmonia Mundi”. Nello stesso 1998 èstato eletto complesso residente della Britten Pears Academy di Aldeburgh, e nel 1999 ha ricevuto il Premio “Thomas In-feld” dalla Internationale Sommer Akademie Prag-Wien-Budapest per le «straordinarie capacità interpretative di una com-posizione del repertorio cameristico per archi». Ha suonato nelle più prestigiose sale e festival internazionali, dal Con-certgebouw di Amsterdam alla Wigmore Hall, dal Festival di Colmar al Sanssouci Festival di Potsdam. In Italia è stato ospitedell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, della Società del Quartetto di Milano, delle Settimane Musicali di Stresa, dellaGOG di Genova e ha collaborato con musicisti come Brunello, Lonquich, Pace, Scodanibbio, Belcea Quartet; particolar-mente intenso il rapporto artistico con Salvatore Sciarrino, che ha dedicato al Prometeo gli Esercizi di tre stili e il recenteQuartetto n. 8 per archi. Dal 2012 al 2015 il Prometeo sarà “Quartetto in residenza” all’Accademia Filarmonica Romana.

Quartetto Prometeo

Antonín DvorákQuartetto in re minore op. 34Stefano ScodanibbioDal Canzoniere messicano e spagnolo:Dionisio Aguado – Besame mucho – SandungaRobert SchumannQuartetto in la maggiore op. 41 n. 3

LUNEDÌ 28 GENNAIO 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

QUARTETTO PROMETEOGIULIO ROVIGHI violino

ALDO CAMPAGNARI violino

MASSIMO PIVA viola

FRANCESCO DILLON violoncello

Introduce Francesco Dillon

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40 IM MUSICA INSIEME

l’elaborazione tematica. Inoltre, questa forma si era rivelata par-ticolarmente congeniale alla poetica di Schumann, che amavacontrapporre episodi contrastanti, assimilandoli a stadi di unpercorso narrativo in cui ogni variazione mette in luce unaspetto diverso, per carattere, del materiale musicale a fonda-mento della composizione. Il successivo Adagio è profonda-mente beethoveniano per la robustezza del tema che lo con-traddistingue e per l’articolazione ritmicamente scattante delcanto melodico attorno al disegno del secondo violino. Que-sto movimento assai ispirato è in forma di Lied ampliata: a unaprima parte, ripetuta in forma variata, se ne contrappone cioèun’altra dal carattere contrastante, alla quale seguono alcune ri-prese in zone tonali affini, e infine la ripetizione, nella tonalitàfondamentale, della prima parte, con coda conclusiva. Parti-colarmente suggestiva è la parte centrale, nella quale un ritmoostinato del secondo violino fa da supporto a brevi frammentimelodici, che gli altri archi si rilanciano in un intreccio con-trappuntistico cangiante. L’Allegro molto vivace che conclude ilQuartetto si snoda seguendo un discorso serrato e brillante, in-terrotto da un episodio in fa maggiore tra l’ironico e l’umori-stico: è in forma di rondò, in cui un ritornello torna periodi-camente ad incorniciare episodi contrastanti. L’architetturacristallina è ben definita da cesure che segnano bruschi cambid’atmosfera, e il mutamento più radicale è portato, come si di-ceva, dal terzo episodio (Quasi Trio), più ampio e caratterizzatoda una grazia quasi rococò; ma la coesione generale del movi-mento è assicurata da un forte e unitario impulso ritmico, da-gli accenti sincopati, dallo slancio propulsivo delle figure chenon allentano la tensione. Anche i compositori del XX secolohanno tratto ispirazione dai maestri precedenti, studiando afondo le loro opere. E Antonín Dvorák, definito il più “clas-

sico” dei compositori nazionali, ha saputo abilmente fonderela struttura della tradizione viennese con le ispirazioni musicalidella natia terra boema, oltre che con la propria sensibilità per-sonale. Negli anni della maturità infatti il linguaggio musicaledi Dvorák iniziò a risentire dell’influenza del ‘classicismo’ diBrahms – ritenuto all’epoca il campione dello schieramento“conservatore”, in contrapposizione al “progressismo” di Wa-gner – e ad assumere come segno distintivo la presenza di ritmie melodie desunti dalla musica popolare. Fra Brahms e Dvorákvi fu sempre un rapporto di stima reciproca ed amicizia, e ilcompositore tedesco segnalò la musica dell’amico all’editoremusicale di Bonn Fritz Simrock, per il quale Dvorák composela prima delle due serie di Danze Slave (1878), entrambe mo-dellate sulle Danze Ungheresi di Brahms. Le opere del compo-sitore boemo sono organizzate in forme assai varie: le sue novesinfonie si rifanno a modelli classici beethoveniani e possonoritenersi comparabili a quelle dello stesso Brahms, ma egli la-vorò anche nel campo del poema sinfonico – e qui l’influenzadi Richard Wagner risulta evidente – e della musica da camera.Il Quartetto op. 34, scritto nel 1877, in un momento digrande infelicità personale a seguito della prematura morte didue dei suoi figli, è caratteristico dello stile dvorákiano, in cuiil sapore folklorico e la forma classica riescono a conviveredando vita ad uno dei grandi capolavori di fine Ottocento. L’in-teresse per il quartetto d’archi non si esaurisce di certo fra icompositori del nostro secolo, come dimostra l’esperienza crea-tiva di Stefano Scodanibbio, interprete fra i più celebri e amatidella musica contemporanea, molto legato a Giacinto Scelsi eLuigi Nono, che nella partitura del suo Prometeo arriverà a scri-vere “arco à la Scodanibbio”. Il Canzoniere messicano (2004-2009), omaggio all’amato paese centroamericano, è una rac-colta di trascrizioni per quartetto di alcune sue reinterpretazionidi pagine della tradizione popolare spagnola e messicana che,in questa veste, diventano dei “classici”. A proposito della ge-nesi di quest’opera, lo stesso Scodanibbio scrive: «Sono trascorsiesattamente trent’anni dalla mia prima visita in Messico: da al-lora sono tornato tutti gli anni, con solo un paio di assenze giu-stificate, anche per periodi lunghi. Uno dei risultati di questamia fedeltà è stata la realizzazione dell’opera radiofonica OneSays Mexico, nel 1998. Un ritratto letterario, acustico e musi-cale attraverso i sensi del viaggiatore straniero. La musica po-polare messicana, così importante nella cultura di questo paese(quanto forse lo era stata l’opera nell’Italia dell’Ottocento e delprimo Novecento), era in parte presente, con ammiccamenti eminuscoli frammenti, ma veniva senz’altro diluita e assorbitada un panorama variegato di idiomi, suoni, colori, sapori,suggestioni di ogni sorta. Queste Canzoni messicane per quar-tetto d’archi, ideale continuazione di One Says Mexico, sono in-vece riconoscibilissime e citate integralmente e, nel contesto delmio omaggio al paese, rappresentano senz’altro dei momentipiù caratterizzati».

Lunedì 28 gennaio 2013

DA ASCOLTARE

Nella discografia del Quartetto Prometeo certo non man-ca la musica contemporanea, una scelta questa che delresto è tra le cifre stilistiche dell’ensemble. Il loro primocd – pubblicato dalla Extraplatte nel 2000 – accosta-va Schumann a Schnittke. Poi, in una specie di crescendo,le registrazioni dedicate a Hubert Stuppner (cd RealSound 2002), a Salvatore Sciarrino (album realizzatonel 2002 per i tipi della ZZT, ma la registrazione è inrealtà live e risale al 1999), ed infine (siamo nel 2007)la pubblicazione per la RZ di Hörbare Ökosysteme di Ago-stino di Scipio, lavoro che mescola quartetto d’archi elive electronics. In tutt’altra direzione vanno i lavori di-scografici più recenti. Per la Limen (2011) troviamo unclassico Beethoven/Schubert (Quartetti op. 95 e D 810).Lo precedono l’importante incisione dei Tre Quartetti op.41 di Schumann (Amadeus) e quella altrettanto signifi-cativa dell’integrale dei Quartetti di Wolf registrata perla Brilliant nel 2012.

Nel 2012 la Biennale Musica di Venezia ha assegnato al Quartetto Prometeo il “Leoned’Argento”, destinato alle più interessanti realtà emergenti della musica contemporanea

Lo sapevate che...

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La mia idea è una fratellanza dipopoli, fratellanza a dispetto ditutte le guerre e i conflitti. Io

provo al meglio delle mie capacità a ser-vire questa idea nella mia musica; perquesto non rifiuto nessuna influenza, chesia slovacca, rumena, araba o di qualun-que altra fonte. La fonte deve solo essereincontaminata, fresca e sana!». Così par-lava del suo approccio alla composizioneBéla Bartók, una figura che si è conqui-stata un posto a parte nella storia musicaledel Novecento: fu compositore distantedagli orientamenti coevi, tanto che lostesso Adorno non seppe inquadrarlo neidestini della “Nuova Musica”, pianista disorprendenti abilità ed etnomusicologotra i pionieri della nascente disciplina.Nel 1908, insieme a Kodály, intrapreseuno studio sulla musica popolare unghe-rese: utilizzando il fonografo di Edison,registrò contadini che intonavano cantipopolari, scontrandosi con una certa re-ticenza di fronte alla curiosità degli stu-diosi e alla stranezza dello strumento.Bartók si approccia a questo repertorio inmodo diverso dai compositori inseritinelle scuole nazionali, non si limita a ci-tarne i motivi, ma ne interiorizza le strut-ture, per elaborare poi composizioni au-tonome che ne condividano piùintimamente lo stile: il compositore deve,come egli stesso scrive in un articolo nel1920, assimilare l’idioma della musicacontadina tanto da sentirla come la pro-pria lingua madre, lontana dai «senti-mentalismi e dagli ornamenti superflui»della musica romantica. Bartók però nonsi considerava un nazionalista e nonamava essere definito un compositore fol-kloristico: era convinto che la musica po-polare non contaminata fosse linfa fe-conda per la musica colta. Intrise diriferimenti alla musica popolare sono ledue Rapsodie per violino e pianoforte,composte nel 1928. Le opere precedentisi erano indirizzate verso una differente

direzione, ma in quel periodo Bartókstava trascrivendo e sistematizzando ilmateriale raccolto con Kodály, e in duelettere del novembre 1928 parla di duerapsodie appena composte su temi popo-lari, «una musica facilmente comprensi-bile e ancora molto adatta ai radioascol-tatori». La Rapsodia n. 1 per violino epianoforte è dedicata al violinista Szigeti,grande amico di Bartók, il quale, nel no-vembre 1928, scrive di avergli dedicato«una composizione minore, realizzata uti-lizzando danze popolari». La Rapsodia èinfatti composta di due movimenti didanza, in cui sono riconoscibili sei motivirumeni e ungheresi. Il primo movimento,lento (Lassu), dopo un inizio quasi rude,in cui il primo tema è esposto dalle arcatepoderose del violino, accompagnate dainflessibili accordi gravi al pianoforte, siabbandona al secondo tema, delicato ecantabile. Il secondo movimento, veloce(Friss), si apre con il primo tema, quasi le-zioso, per proseguire con virtuosismiestremi negli ultimi due temi, aspri edenergici. La Library of Congress di NewYork conserva le registrazioni della Rap-sodia eseguita da Szigeti, accompagnato alpianoforte dallo stesso Bartók, che ag-giunge tremoli non presenti in partitura

per riprodurre l’effetto del cymbalom un-gherese, una sorta di salterio a corde per-cosse, che era previsto nell’organico dellaversione orchestrale della Rapsodia.Quarant’anni prima a Budapest, in quellastessa Ungheria che aveva da qualcheanno dato i natali a Bartók, aveva luogola prima esecuzione della Sonata per vio-lino n. 3 in re minore op. 108 di Johan-nes Brahms, dedicata ad Hans von Bü-low. Terza ed ultima sonata composta daBrahms per questo strumento, la sua ge-stazione coprì le estati dal 1886 al 1888,mentre l’autore soggiornava sulle rive dellago di Thun. Figlia dello stile dell’ul-timo Brahms, tendente ad un’essenzia-lità strutturale sconosciuta nelle compo-sizioni giovanili, la sonata si differenziadalle precedenti per un abbandono del-l’intimismo a favore di una certa indul-genza verso il virtuosismo e il compiaci-mento della ricercatezza melodica. Larielaborazione delle forme classiche versonuove soluzioni – che portò Schoenberga sostenere nel suo saggio Brahms il pro-gressista che «il classicista, l’accademico, fuun grande innovatore nella sfera del lin-guaggio» – è già evidente nel primo mo-vimento. L’Allegro, dove la forma-sonata

Con un programma di capolavori virtuosistici tra Otto e Novecento, il celebre violinistasiberiano calcherà il palco di Musica Insieme dopo dodici anni di assenza di Valentina De Ieso

Suoni dall’Europa

«

Lunedì 25 febbraio 2013

42 IM MUSICA INSIEME

Béla BartókRapsodia n. 1Johannes BrahmsSonata n. 3 in re minore op. 108Sergej Prokof’evSonata n. 1 in fa minore op. 80Maurice RavelSonata in sol maggiore

LUNEDÌ 25 FEBBRAIO 2013AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

VADIM REPINITAMAR GOLAN

violino

pianoforte

Introduce Giordano Montecchi. Saggista ecritico musicale per quotidiani e riviste, insegnaStoria della musica al Conservatorio di Parma

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Nato inSiberia,asoli11annihavinto lamedagliad’orointuttelecategoriedelConcorsointernazionale“Wieniawski”,debuttandoinrecitalaMoscaeSanPietroburgo. A 17 anni è stato il più giovane vinci-tore del Concorso “Reine Elisabeth”, dando cosìil via a una strepitosa carriera internazionale chelohavistocollaborareconlepiùimportantiorchestredelmondo,daiBerlinerPhilharmonikerallaLosAn-gelesPhilharmonic,dallaFilarmonicad’Israeleal-laLondonSymphonyOrchestra,econdirettorico-meAshkenazy,Boulez,Chailly,Chung,Mehta,Mu-ti,Thielemann.Nel2010èstatoinsignitodella“Vic-

toire d’Honneur” assegnatagli per ladedizione di una vita al-

lamusica,edèstatonominato “Cheva-lier de l’Ordre desArts et Lettres” dalgovernofrancese.

Vadim Repin

Daormaiduedecenni impegnatoconpre-stigiosi solisti ed ensemble di tutto il mon-do, Itamar Golan è uno dei pianisti più ri-chiesti del momento; ha suonato come so-lista con la Filarmonica d’Israele e i Berli-ner Philharmoniker diretti da Zubin Meh-ta,conlaRoyalPhilharmoniceDanieleGat-ti, con l’OrchestraFilarmonicadellaScalaeiWienerPhilharmonikerdirettidaRiccardoMuti. Regolarmente invitato a partecipa-reaipiùprestigiosi Festival, tracuiquelli diRavinia,Tanglewood,Salisburgo,Verbiere Lucerna, attualmente fa parte del corpodocenti del Conservatoire de Paris per lamusica da camera.

Itamar Golan

43IM MUSICA INSIEME

FotoKasskara/D

g

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viene ridotta ai minimi termini, è so-stanzialmente privo di uno sviluppo tra-dizionale dei due temi, il primo dei quali,elegante e cantabile, è affidato al violino,ed il secondo, più drammatico, destinatoal pianoforte. Il secondo movimento, unAdagio di struggente bellezza, non puòche riportare alla mente i versi di Höl-derlin che Brahms musicò nel Canto deldestino, «brezze divine/ vi accarezzanolievi/ simili a dita d’artista/ su sacre corde»,prima di lasciare il posto al terzo movi-mento, Un poco presto e con sentimento,con dialoghi sincopati tra violino e pia-noforte. La sonata si conclude con il Pre-sto agitato che alterna momenti di energicafrenesia a lirici interludi, per terminare inun finale di puro e voluttuoso virtuosismo.Anche la Sonata per violino n. 1 in fa mi-nore op. 80 di Sergej Prokof ’ev non ebbeuna facile gestazione: il compositore lacompletò nel 1946, dopo anni di abban-dono. In una lettera del 1943 scrive: «Hocominciato una sonata tanto tempo fa,ma non sembra che io riesca a capirecome continuarla, è difficile». È una ten-tazione irrinunciabile quella di associarequesta difficoltà ad una sorta di presagiofunesto: il primo e il terzo movimento,definiti «soffio di vento su una tomba» daProkof ’ev, furono suonati da Ojstrachalla sua veglia funebre, una cerimonia perpochi intimi, oscurata dai funerali di Sta-

lin, scomparso appena quaranta minutidopo il compositore. Il primo movi-mento, Andante assai, presenta due brevitemi, il primo esposto dalle note gravidel pianoforte, solenni e lugubri, il se-condo, più struggente, affidato al violino,che si sviluppano poi tra pizzicati vio-lenti, accordi gravi ostinatamente ribat-tuti, glissandi e polifonie arcane. L’Allegrobrusco si apre tra arcate poderose, ritmimartellanti ed imitazioni tra violino epianoforte, che lasciano inaspettatamentespazio ad un ampio interludio cantabile,poi ricondotto da scale vorticose versodissonanze inquietanti. Il tema inizialecerca incessantemente di riaffiorare, ine-sorabilmente soffocato tra convulsi vir-tuosismi e sonorità spettrali. Il terzo mo-vimento, Andante, con scambi di terzinetra il violino e il pianoforte, lascia spazioa una melodia di delicata eleganza, che vaincupendosi nel finale. L’Allegrissimo con-clusivo, dai ritmi incalzanti iniziali, va la-sciando il posto ad un maggiore lirismosul finale, intriso di dolorosa mestizia.Ojstrach, che ne fu il primo interprete, ri-corda la prima volta che udì la sonata, ese-guita dallo stesso Prokof ’ev. Così il violi-nista descrive l’ascolto: «L’impressione fuenorme, la sensazione di essere di frontea qualcosa di grandioso e significativo,qualcosa che nella letteratura cameristicamondiale per violino non era mai ap-

parso in decenni». Anche Ravel impiegòdiversi anni per portare a termine la suaSonata per violino in sol maggiore. Neiniziò la stesura nel 1923, ma la com-pletò solo nel 1927 e dopo pochi mesi fupresentata al pubblico parigino della SalaÉrard, eseguita al pianoforte dall’autore eda George Enescu. Il compositore ne de-scrisse la genesi dicendo: «Nel momentodi intraprendere la Sonata, già avevo inmente la forma assai singolare, la scritturastrumentale e persino il carattere dei temidelle tre parti ancor prima che l’ispira-zione m’avesse suggerito uno solo di que-sti temi. E non penso di aver preso lastrada più breve». Il primo movimento,un Allegretto dal carattere gentile e arioso,è introdotto da un grazioso tema al pia-noforte che prelude a quello del violino,dal sentore bucolico. Il secondo movi-mento, Blues, è introdotto dal pizzicatodel violino solo, che sembra alludere pa-rodisticamente al timbro del banjo, perpoi essere quasi ‘disturbato’ dagli accordidissonanti del pianoforte, che formanouna sorta di tappeto ritmico contrastante.Durante tutto il movimento il violinocontinua ad imitare altri strumenti, gio-cando sulle sue possibilità timbriche e ri-proponendo stilemi ritmici del jazz, az-zardando sincopi e glissandi. La Sonata èconclusa dal terzo movimento, Perpetuummobile, un moto perpetuo estremamentevirtuosistico, che si snoda tra scale vorti-cose, doppie note e glissandi del piano-forte e termina nello straniamento deidue strumenti ormai sovrapposti senzaalcuna fusione, a dimostrare quella cheRavel considerava la fondamentale in-compatibilità di violino e pianoforte, nonrisolta, a suo dire, nella Sonata, ma ac-certata inconfutabilmente. Intervistato aproposito del suo Blues, Ravel espone unaposizione precisa sull’utilizzo della musicapopolare come fonte per una composi-zione colta. Sostenne infatti che «un com-positore serio utilizza la melodia popolarea proprio uso, la considera un punto dipartenza per la sua creazione», arrivando,seppure attraverso un percorso diverso, aduna concezione affine a quella di Bartók.

Lunedì 25 febbraio 2013

44 IM MUSICA INSIEME

DA ASCOLTARE

Non possono mancare, nella discografia di Vadim Repin, i grandi concerti perviolino degli altrettanto grandi maestri ‘di casa sua’, Šostakovič, Prokof’ev e Čaj-kovskij: registrazioni pluripremiate, pubblicate da Erato/Warner Classics, casadiscografica che ha lasciato il posto oggi ad un contratto in esclusiva con la Deut-sche Grammophon. Con l’etichetta gialla Repin ha pubblicato l’unico Concertoper violino di Beethoven, al suo fianco i Wiener Philharmoniker diretti da RiccardoMuti, e la Sonata “a Kreutzer” con una partner scintillante come Martha Arge-rich; e ancora, il Concerto per violino e il Doppio Concerto di Brahms con la Ge-wandhaus Orchester diretta da Chailly, i Trii di Čajkovskij e Rachmaninov conLang Lang e Mischa Maisky (a suo tempo recensiti in queste pagine), registra-zione che ha ricevuto l’Echo Award. Con un’innegabile predilezione per il re-pertorio violinistico maggiore (che peraltro è lastricato di capolavori), Repin hadedicato al duo con pianoforte la sua ultima fatica discografica, con le Sonatedi Janáček, Grieg e Franck, alla tastiera Nikolai Lugansky, ottenendo nel 2011il BBC Music Magazine Award e il Premio Edison.

Vadim Repin è sposato con Svetlana Zacharova, Prima Ballerina étoile del Corpodi Ballo del Teatro alla Scala di Milano e del Balletto del Bol’šoj di Mosca

Lo sapevate che...

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46 IM MUSICA INSIEME

Lunedì 4 marzo 2013

Archi leggendariUn quartetto storico per una storia delquartetto: a Musica Insieme il Borodinpropone due capisaldi del repertoriorusso e tedesco di Mariateresa Storino

FotoKeith

Saun

ders

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a ricostruzione storica della con-tinuità e della fortuna di un ge-nere, qualunque esso sia, risultaoperazione complessa e semprein divenire, tanto più in casi

particolari, quale il quartetto, che, fioritocome forma privilegiata «di raffinata con-versazione tra amici» (Goethe) destinataa pochi eletti – se non addirittura al go-dimento esclusivo degli interpreti – si ca-ricò in breve tempo del fardello di un’ese-cuzione pubblica, al pari di sonate esinfonie, senza potersi interrogare sullapresenza dell’assunto di base: la condivi-sione di un linguaggio, il cui codice nonera immediatamente accessibile a tutti. Èforse in questo improvviso balzo del quar-tetto da un contesto privato al palcosce-nico che è possibile rintracciare le ragionidella difficile accoglienza dei tre QuartettiRazumovskij op. 59 di Beethoven. Com-posti tra il 1805 e il 1806, su commis-sione dell’ambasciatore russo a ViennaAndrei Razumovskij (da qui il nome datoalla raccolta), contemporaneamente al-l’esperienza della stesura dell’opera Fide-lio, e subito dopo le Sonate per pianoforteop. 53 (Waldstein) e op. 57 (Appassio-nata), i tre Quartetti op. 59 non entusia-smarono né il pubblico, né, soprattutto,gli esecutori. Come ebbe a scrivere Ale-xander Thayer nella sua biografia su Bee-thoven, pubblicata nel secondo Otto-cento, «forse nessuna composizione diBeethoven incontrò una reazione più sco-raggiante da parte dei musicisti di questiquartetti ora famosi». Il violinista FelixRadicati, infatti, aveva apertamente di-chiarato che i Quartetti op. 59 «nonerano musica»; Adalbert Gyrowetz, com-positore e direttore del Teatro di Corte aVienna, ad un suo collega che aveva ac-quistato la partitura aveva sentenziato

causticamente di «aver sprecato il suo de-naro». Non meno aspra era stata la re-censione del 1807 pubblicata dalla Allge-meine musikalische Zeitung, che,annunciando l’imminente pubblicazionedella trilogia quartettistica di Beethoven,chiosava le tre opere come «profonda-mente pensate e ben lavorate, ma noncomprensibili a tutti, con l’eccezione dellan. 3». La «nuova via», intrapresa da Bee-thoven nel 1803 con la Terza Sinfonia,stava dunque mostrando i primi segni digraduale distanziamento tra compositoree ascoltatore, e Beethoven, cosciente dellesperimentazioni linguistiche messe inatto, aveva ribattuto alle critiche di Radi-cati affermando che i Quartetti op. 59erano stati composti per «un’epoca a ve-nire». I tre Quartetti, sebbene contrasse-gnati dallo stesso numero d’opera, si mo-strano come composizioni fortementecaratterizzate e profondamente differen-ziate, di cui il secondo manifesta i trattipiù ostici per il pubblico del primo Ot-tocento. In quattro movimenti, il Quar-

tetto n. 2 in mi minore erompe nell’Al-legro iniziale in forma-sonata con un ge-sto perentorio: due accordi staccati di to-nica e dominante lambiscono lo spaziosonoro; poi, improvvisamente, il silen-zio; segue un primo frammento melo-dico in pianissimo, presto messo a tacere.Il discorso prosegue frastagliato, insta-bile; la tensione cresce con unisoni ener-gici e trilli in fortissimo; nulla può la te-nerezza del secondo tema control’incedere nervoso e compresso dell’in-sieme. Il Molto Adagio spegne ogni in-quietudine. Beethoven appone in aper-tura l’indicazione: «Si tratta questo pezzocon molto di sentimento». Nell’estasi delmi maggiore sembra prender vita “l’ar-monia delle sfere”, se accettiamo il rac-conto di Czerny secondo cui Beethoventrovò la sua ispirazione nella contempla-zione del cielo notturno, alla ricerca diquella musica inudibile che i pianeti rea-lizzano nel loro eterno movimento. NelTrio dello Scherzo, assecondando la ri-chiesta del conte Razumovskij, il compo-sitore cita il canto popolare russo Sia glo-ria a Dio in cielo, lo stesso canto a cuiaccenna Musorgskij nella scena dell’inco-ronazione del Boris Godunov e che Rim-skij-Korsakov impiegherà nell’Ouverturesu temi russi op. 28 (per ricordare solo al-cuni esempi). Fatto l’inchino al patroci-natore del Quartetto, il Presto finale ir-rompe a sorpresa con un tema in domaggiore: ecco negato l’agognato ripososulla tonalità di mi minore; il gioco can-giante tra luce e ombra dei modi mag-giore e minore percorre l’intero movi-mento; il trionfo della tonalità d’impiantoavverrà solo nel Più presto della coda, allafine di una frenetica corsa.Nel 1946 Šostakovic si dedicò alla com-posizione di un’unica opera: il Quartetto

Dmitrij ŠostakovicQuartetto n.3 in fa maggiore op.73Ludwig van BeethovenQuartetto n. 8 in mi minoreop. 59 n. 2 - Razumovskij

LUNEDÌ 4 MARZO 2013AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

BORODIN QUARTET

RUBEN AHARONIAN violino

SERGEY LOMOVSKY violino

IGOR NAIDIN viola

VLADIMIR BALSHIN violoncello

47IM MUSICA INSIEME

Il Borodin, uno dei Quartetti più rappresentativi del nostro tempo, è stato formato nel 1945 da studenti del Conservatorio di Mo-sca, fra cui il violoncellista Valentin Berlinsky, vera anima artistica del Quartetto. I suoi membri originari hanno personalmenteprescelto i propri successori, e il Borodin è considerato oggi uno dei più importanti Quartetti sulla scena musicale internaziona-le, nonché un punto di riferimento nella storia di questo ensemble. Particolare è la sua affinità con il repertorio russo e lo strettorapporto musicale avuto con Šostakovič, che ha personalmente diretto le prove di ogni suo Quartetto. La loro interpretazionedell’opera quartettistica del compositore sovietico, che il Borodin ha eseguito in tutto il mondo, è ritenuta dalla critica come de-finitiva. Fra i partner con cui il Borodin ha collaborato vi sono inoltre Sviatoslav Richter, Mstislav Rostropovič, Yuri Bashmet, Eli-sabeth Leonskaja, Natalia Gutman. Per il 60° anniversario della sua fondazione, il Borodin ha interpretato l’integrale dei Quar-tetti di Beethoven al Concertgebouw di Amsterdam ed al Musikverein di Vienna, riscuotendo un successo trionfale.

Borodin Quartet

Introduce Giuseppe Fausto Modugno,concertista e docente di pianoforte principalepresso l’Istituto “OrazioVecchi” di Modena

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48 IM MUSICA INSIEME

n. 3 in fa maggiore op. 73. È singolare chedopo l’intensa attività degli anni dellaguerra, il musicista si concentrasse esclu-sivamente su un brano. Ma le ragionisono immediatamente visibili. Alla finedel secondo conflitto mondiale, Šostako-vic fu insignito dell’Ordine di Lenin peraver contribuito al progresso musicale e ilsuoTrio op. 67 ottenne il Premio di Stato.Tutto lasciava presagire che le critichemosse nel 1936 sulla Pravda contro lasua LadyMacbeth, nell’articolo “Caos an-ziché musica”, fossero tracce di un passatorepressivo ormai scomparso in seguito aisuccessi politici della grande Russia. Ep-pure in brevissimo tempo la situazionecambiò: l’inizio della guerra fredda ebbeimmediate ripercussioni in ambito cul-turale, con il conseguente ritorno del go-verno su posizioni più severe. Nel 1948 fuemanata una nuova lista di lavori da ban-dire e Šostakovic si trovò costretto a di-fendere ancora una volta le sue creazioni.Sebbene il Terzo Quartetto non rientrassetra le opere messe all’indice, il composi-tore preferì interromperne le esecuzionipubbliche. Il Quartetto op. 73 fu ese-guito il 16 dicembre 1946 a Mosca. De-dicato al Quartetto Beethoven, come al-tre composizioni dello stesso genere, fu lostesso ensemble protagonista della pre-mière. Šostakovic inizialmente sembrò as-sociarvi un programma, in virtù del qualel’op. 73 divenne nota come “Quartettodella guerra”. Ciascuno dei cinque movi-menti era introdotto da un titolo: I.Calma inconsapevole del futuro cataclisma;II. Avvisaglie di disordini e di anticipa-zione; III. Le forze della guerra sono scate-nate; IV. Omaggio alla morte; V. L’eternodilemma: perché e a quale scopo? Senza al-cuna spiegazione, il compositore estro-messe i titoli: la guerra poteva dirsi real-mente conclusa? Sulla scia del SecondoQuartetto, dal punto di vista architetto-nico il Terzo Quartetto si avvale del prin-cipio della ciclicità dei temi, dei riferi-menti alle forme musicali del passato, diun uso pervasivo della dissonanza. Ilprimo movimento Allegretto, in forma-so-

nata, si attiene alla prescritta tonalità ‘pa-storale’ di fa maggiore, che, tuttavia,viene costantemente adombrata da un’ar-monia sfuggente, da cambiamenti tonalirapidi e imprevedibili. Ad un primo temadanzante, che diverrà soggetto di unadoppia fuga nello sviluppo, si opponeun secondo tema dal tono sommesso.Entrambi i temi sono frutto della tecnicadella citazione, intesa come appropria-zione di un motivo noto la cui identità ècamuffata da cambiamenti di tonalità odi modo: il primo tema deriva da Shéhé-razade di Rimskij-Korsakov, il secondoda alcuni frammenti del primo tema delQuartetto in mi minore di Verdi. Anchela scelta della forma del secondo movi-mento così come la qualità cantabile deitemi risentono dell’influenza sotterraneadel Quartetto di Verdi: un arpeggio osti-nato della viola, ritmicamente regolare,dà inizio ad un valzer; su di esso si stagliala melodia cromatica del violino. L’asproscherzo Allegro non troppo diventa il mo-vimento centrale: scritto in sol diesis mi-nore, ‘scimmiotta’ un ritmo di marciache si mantiene volutamente costante,meccanico, intensificando il senso delgrottesco nella sua opposizione alla lineamelodica. Il gesto irriverente verso formetradizionali quali il valzer e la marciascompare nella malinconia degli ultimi

movimenti – Adagio e Moderato – in cuiil compositore sceglie una forma a luicara: la Passacaglia. Nell’Adagio, l’im-pulso all’azione di violoncello, viola e se-condo violino si sottomette al malinco-nico canto dai passaggi severamentedissonanti del primo violino; l’alternarsidelle voci si chiude con un dialogo travioloncello e viola, in cui risuona il passodi marcia funebre. La musica non si spe-gne, e all’ennesimo reiterarsi del fram-mento di marcia, il violoncello s’insinuanel Moderato finale, permeato da sfuma-ture ancora struggenti, ma che talvoltaassumono un gesto di beffa, quasi in ri-sposta all’inutile ricerca di quelle ragionidell’“eterno dilemma” del titolo. La vocesolitaria del primo violino si spegne sul“morendo” accordale degli altri archi.Šostakovic considerava il Terzo Quar-tetto una della sue composizioni più riu-scite. Molti anni dopo la prima esecu-zione, il compositore assistette ad unaprova di quest’opera del Quartetto Bee-thoven. Com’era solito fare, il musicistapresenziava alla realizzazione dell’insiemeper intervenire qualora gli esecutori tra-dissero la sua idea di suono. Šostakovicrimase in silenzio per tutto il tempo; allafine dell’esecuzione «sedeva ancora in si-lenzio come un uccello ferito, le lacrimeinondavano il suo viso».

DA ASCOLTARE

In oltre mezzo secolo di attività, il Borodin ha consegnato alla storia un’interaenciclopedia del repertorio per quartetto d’archi, con etichette che vanno daEMI a Virgin Classics, RCA e Teldec (oltre alla ex sovietica Melodiya): univer-salmente acclamate sono le loro interpretazioni dell’integrale quartettistica di Dmi-trij Šostakovič (ricevuta, come sappiamo, dalle mani e dalla viva voce del com-positore), nonché dell’opera del loro nume tutelare Aleksandr Borodin, dei Quar-tetti e di Souvenir de Florence di Čajkovskij (premiati da Grammophon nel 1994),dei Quartetti di Schubert e delle Ultime sette parole di Haydn. L’album Russian StringMiniatures (Teldec 2003) riunisce poi un’antologia di popular favourites dei Quat-tro, scelti fra le pagine più amate dei compatrioti Borodin, Čajkovskij, Rachma-ninov, Stravinskij, Šostakovič. Un repertorio che si è fuso con la grande scuolaaustro-tedesca nell’edizione celebrativa per il 60° anniversario della fondazionedel Quartetto (Onyx 2005), guadagnandosi una nomination per il Grammy come“Migliore interpretazione cameristica”. Nello stesso periodo, Chandos pubbli-cava un cofanetto con l’integrale beethoveniana, ovvero un’altra, definitiva pa-rola del Borodin sui fondamentali del repertorio.

Lunedì 4 marzo 2013

Il Borodin è entrato nel Guinness dei Primati come il Quartetto più longevo al mondo: fondatonel 1945 come Quartetto Filarmonico di Mosca, ha adottato il suo nome attuale nel 1955

Lo sapevate che...

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50 IM MUSICA INSIEME

Sconfinato Bollani

e vicende del jazz italiano rap-presentano un caso davveroparticolare nel più generalecontesto dello sviluppo di que-sta musica in Europa, tanto

particolare da costringere Stefano Bollania farsi in tre per raccontarcele, coinvol-gendo peraltro uno dei protagonisti dellascena italiana, fin dagli anni Sessanta:Enrico Rava, trombettista, certo, ma so-prattutto abile band leader e partnerspecialissimo di molti progettidivenuti poi successi storici.Una scelta non sem-

plice quella del pianista milanese, macoerente con la storia appunto. Del resto,Bollani proprio in questi ultimi tempi ètornato alle radici del jazz italiano, sce-gliendo di registrare e di proporsi in duocon la cantante Irene Grandi. Il jazz nelnostro paese è stato prima di tutto vo-cale: è stato canzone. E con un imme-diato addentellato nel cinema, che ov-

viamente lo ha preso nei suoiingranaggi: quelli delle colonne so-

nore, quelli delle canzoni, ap-punto, che venivano ad

arricchire le pellicole

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Giovedì 7 marzo 2013

Della storia e del futuro: il jazz in Italia secondo Bollani, che sul palcoscenico di MusicaInsieme ci guida attraverso un viaggio imprevedibile nella musica di Alessandro de Biasi

FotoErminando

Alia

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51IM MUSICA INSIEME

dell’epoca dei telefoni bianchi. E graziealla radio, quella stessa che proprio Bol-lani ha frequentato e frequenta spesso,rinverdendo così una lunga e fecondatradizione: quella del musicista (vero,professionista) che si dedica con talentoe ironia anche all’intrattenimento, senzaperò mai far mancare il suo apporto diartista. Così l’ascoltatore è da un latovezzeggiato dall’atmosfera ludica e gio-cosa, ma dall’altro è immerso in un con-testo musicalmente ricco, solido, coe-rente (come del resto proprio Bollani cifece sentire lo scorso anno nel suo ap-plauditissimo recital). Canzone dunque,in un mix di swing e melodia italica, masempre sotto il segno di una raffinataironia. Basta confrontare il repertoriocabarettistico mitteleuropeo con le me-lodie dello swing italiano create dai Ra-bagliati, dagli Otto, e soprattutto daGorni Kramer e Pippo Barzizza, per ca-pire che siamo di fronte ad un passaggioinnovativo anche nel contesto già di persé molto fecondo della melodia italiana.Forse perché un precedente interessantel’aveva trovato nell’opera, in quella Fan-ciulla delWest con cui Giacomo Puccinilancia nel 1910 dalle tavole del Metro-politan di New York (complice ArturoToscanini) la conquista italiana dellanuova frontiera, una conquista che cul-minerà molti anni dopo con Ennio Mor-ricone, vero creatore della sonorità delwestern cinematografico. D’altronde,l’italiano che emigra è anche l’italianoche riporta in patria nel suo bagaglio(come fecero proprio Rabagliati e Otto,

e poi Dorelli, ad esempio, e come farà, lodiremo tra poco, anche Rava) le espe-rienze che ha fatto oltreoceano. E l’ita-liano che emigra porta con sé un patri-monio artistico, del quale appunto ilcanto costituisce un elemento essenziale:negli Stati Uniti d’America l’italianocanta per definizione. È Caruso anchequando non è Caruso, ed il mito dellavocalità italiana passerà intatto tutto ilNovecento, agganciandosi da un lato aiPavarotti, dall’altro ai Bocelli. Ecco per-ché quando Stefano Bollani propone unacanzone di Fred Buscaglione (di un paiodi generazioni più giovane dei citati Ra-bagliati e Otto) omaggia le origini stessedella musica che più ama: il jazz ap-punto. La storia del jazz italiano passa daquel mondo, che subito dopo la secondaguerra mondiale sarà da un lato ilmondo dei night club (dove dominanoFred Buscaglione e Renato Carosone, difatto coetanei, del ’21 il primo, del ’20 ilsecondo), dall’altro quello del Festivaldi Sanremo. Che poi voleva dire radio(l’EIAR fascista prima ancora della RAI

repubblicana), e ad un certo punto an-che televisione: come si fa a non ricor-dare che proprio dagli schermi televisivigli italiani tutti conobbero protagonistidella storia del jazz come Louis Arm-strong ed Erroll Garner? Quella televi-sione dove giganteggiano Lelio Luttazzied Enrico Simonetti, e che naturalmenteha finito per accogliere anche Bollani.Ancora jazz dunque, e di quello chepiace al Nostro, come sappiamo benedalle sue performances solistiche. Cosìquando arrivano gli anni Settanta l’Italia– forse in maniera non del tutto consa-pevole – è un paese che il jazz lo ha a suomodo digerito, metabolizzato, è nellecase di tutti, cantato da voci celebri, sullequali una spicca per talento e virtuosi-smo: quella di Mina. Il jazz in Italia, pe-raltro, non ebbe timore a mescolarsi coni tanti “folk” nostrani. E si mescolò an-che con l’avanguardia proprio nel volgeretra gli anni Sessanta e Settanta. LucianoBerio – anche lui “emigrato” negli Statese tornato a casa con una valigia decisa-mente più pesante – raccontava dellesue serate nei club ad ascoltare il bop e ilcool. Ed eccolo citarli in Laborintus II:correva l’anno 1965. Il testo e la voce re-citante sono quelli di Edoardo Sangui-neti, che osa lui pure mescolare le cartein salsa italiana chiamando in scena il pa-dre Dante. Insomma, che in quegli anni– il 1967 per essere esatti – un triestinocome Buscaglione parta per New Yorkportando con sé la sua tromba apparecome la conseguenza naturale di un co-stante andirivieni tra le due coste, sem-

GIOVEDÌ 7 MARZO 2013AUDITORIUMMANZONI ORE 20.30

Dal pianosolo, al duo, al trio: Bollanisi fa in tre per Musica Insieme

STEFANO BOLLANI pianoforte

ENRICO RAVA tromba

JESPER BODILSEN contrabbasso

MORTEN LUND batteria

Tre volte Bollani

Primo musicista europeo vincitore nel 2003 del “New Star Award”, premio conferito da Swing Journal, e nel 2007 del Premio co-me “Miglior musicista europeo dell’anno”, Stefano Bollani ha suonato sui palcoscenici più prestigiosi del mondo. Fra le tappedella sua carriera, fondamentale è la collaborazione iniziata nel 1996 – e da allora mai interrotta – con il suo mentore EnricoRava, al fianco del quale tiene centinaia di concerti e incide ben quindici dischi. Trombettista e compositore, Rava è il jazzistaitaliano più apprezzato a livello internazionale, più volte votato miglior musicista nel referendum della rivista Musica Jazz, e no-minato “Chevalier de l’Ordre des Arts et Lettres” dal Ministro della Cultura Francese. Insieme, Rava e Bollani formano una cop-pia di altissimo livello interpretativo, due poeti in musica, ognuno legato sentimentalmente ed indissolubilmente al proprio stru-mento; richiestissimi in patria e all’estero, hanno trovato un terreno d’intesa dove il lirismo e l’esplosività, lo spirito d’avventurae la saggezza del trombettista triestino si incontrano con il talento pianistico senza pari del jazzista milanese. Jesper Bodilsene Morten Lund hanno frequentato la Reale Accademia di Musica di Aarhus in Danimarca e suonato insieme negli scenari jazzdi tutto il mondo, divenendo la più compatta sezione ritmica della loro generazione nell’ambito del jazz danese. Formano unTrio stabile con Stefano Bollani dal 2002, con centinaia di concerti e un album al loro attivo.

I protagonisti

IM

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52 IM MUSICA INSIEME

pre sotto il segno del jazz. Quel triestinosi chiama Enrico Rava. Che Rava si trovia vivere una straordinaria stagione di làdall’Atlantico – la stagione che vede iljazz americano trasformarsi ed avviarsiper strade neppure immaginabili soloalla fine degli anni Quaranta – non è deltutto un caso. A quella stagione un con-tributo importante hanno dato le avan-guardie europee: quelle dei Berio, ap-punto. Ed ecco Rava al fianco deiprotagonisti di quegli anni. Basterebbecitare qui Carla Bley, con la quale registraquello che resta il suo lavoro più cele-brato: Escalator Over the Hill (1968-1971). Le carte si mescoleranno ancoraquando le diverse esperienze di queglianni saranno filtrate, rielaborate, in uncontinuo scambio tra le parti: quellacolta-classica-avanguardistica, quella jaz-zistica, e naturalmente quella della can-zone, che nel frattempo diventa rock-progressive anche in Italia, con laPremiata Forneria Marconi e il Bancodel Mutuo Soccorso (un prog molto ita-liano). In quell’Italia dove girano perMilano Astor Piazzolla e Gato Barbieri(con il quale collaboreranno sia Ravasia Bollani), in quella Milano dove s’in-venta un jazz italiano molto “cool” (En-rico Intra e Franco Cerri) e per l’ap-punto sperimentale (Giorgio Gaslini).Che è la stessa Milano di Giorgio Gaber.Ed eccoci di nuovo alla canzone. Saràsolo negli anni Ottanta che la tela co-mincerà a disfarsi, almeno parzialmente.E poi a ritessersi. Rava suona con Or-nella Vanoni e Gino Paoli. Intanto peròi punti di riferimento, quelli dove an-dare a cercare il sound del presente emagari scovare anche quello del futuro,sono cambiati. Di mezzo c’è un pro-duttore discografico, Manfred Eicher,che fonda una sua etichetta significati-vamente chiamata: Editions of Con-temporary Music (ECM). Che non vuoldire solo Keith Jarrett, ma anche e so-prattutto jazz del Nord Europa, in par-ticolare negli ultimi due decenni delventesimo secolo. Una scuola qui otti-

mamente rappresentata dai danesi Je-sper Bodilsen e Morten Lund. Così ilVecchio Continente scopre una venajazzistica nei paesi del sole di mezza-notte tanto ricca e fluente da tracimarefino al Mediterraneo e da lì – complicesempre e soprattutto Manfred Eicher –negli States. Il jazz europeo, parte diquello italiano incluso (e in quest’areatroviamo proprio Enrico Rava, che conla ECM ha pubblicato varie registra-zioni), diventa dunque musica contem-poranea a pieno titolo, proprio neglianni in cui negli Stati Uniti s’afferma

invece un progressivo ritorno al bop.Siamo negli anni Novanta. Nel 1993Bollani si diploma in pianoforte al Con-servatorio di Firenze, e qui comincia lasua avventura. Un’avventura che – ve-dendolo ora assieme ad Enrico Rava daun lato, ed ai suoi partner danesi dall’al-tro – appare come la sintesi di questicent’anni di jazz italiano. Anni che Bol-lani ha saputo rivivere con talento inno-vativo, sagace ironia, ed una mai celatatendenza ludica, che in certo senso ri-manda proprio alle origini del nostrojazz. Gorni Kramer è stato musicistadavvero spiritoso, anche quando potevaessere pericoloso farlo. E con lui un’in-tera schiera di grandi interpreti, da Bu-scaglione al Quartetto Cetra, che gio-cando sul filo dell’ironia hanno saputodar vita ad una musica brillante e spessonuovissima. Che il multiforme talento diBollani raccolga tutte queste diverseesperienze, si faccia amplificatore di sti-moli che sono portatori di sonorità tantodifferenti (dalla canzone alla sperimen-tazione, dall’America dei figli dei fiori alNord Europa con le sue luci sfumate) èun segno dei tempi certamente. Ma è an-che un segno della vitalità di una vi-cenda musicale – quella del jazz italianoche qui abbiamo per sommi capi rias-sunto – mai sopita, sempre vivace, e ilcui futuro è ancora tutto da scrivere.

Giovedì 7 marzo 2013

Bollani ha ideato e condotto il programma Sostiene Bollani, presentato insieme a CaterinaGuzzanti nell’autunno 2011, con la presenza fissa dei due danesi Bodilsen e Lund

Lo sapevate che...

L’ultima fatica discografica s’intitola semplicemente Irene Grandi & Stefano Bol-lani. Primo brano in scaletta: Viva la pappa col pomodoro. Non serve aggiungerealcunché, se non rammentare che i due si sono conosciuti all’inizio delle reci-proche carriere. Per restare in linea, questo con la rocker toscana era stato pre-ceduto da un Dottor Djembé Live, altro titolo che la dice lunga, soprattutto pergli appassionati della radio. Insomma Bollani, anche discograficamente par-lando, si palesa come il multiforme ingegno che conosciamo. C’è la registra-zione dal vivo con Chick Corea, ci sono i dischi con Riccardo Chailly, con le mu-siche di Gershwin e Ravel, e naturalmente quelli pubblicati dalla ECM. ManfredEicher ha scelto la registrazione – dal titolo Stone in the Water – che lo vede alfianco dei suoi fidi compagni danesi, Jesper Bodilsen e Morten Lund, per il de-butto nel suo catalogo del pianista milanese. Sempre per i tipi della ECM, eccole registrazioni con Enrico Rava: New York Days e The Third Man.

DA ASCOLTARE

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ue sono le strade parallele chequesto concerto percorre. Duestrade che tuttavia si manten-gono concettualmente molto vi-cine e ci consentono uno

sguardo davvero particolare sulla musicada camera, intesa nel senso originale dellaparola, che è quello di indicare, appunto,una musica da casa, senza intenti esibi-zionistici, ma fatta per la gioia e il piaceredi suonare insieme. Questo, ovviamente,non significa né facilità, né disimpegno,soprattutto quando si affiancano autoriquali Mozart o Britten, Gatti o Beetho-ven, dietro le opere dei quali c’è comun-que sempre una motivazione espressiva ed

estetica. Il percorso parallelo colloca da unlato il trio per archi, con la storia e il si-gnificato che questo organico porta consé, e dall’altra un oboe, che si affianca aitre suonatori d’arco non come un sac-cente solista, ma come un amico giuntoa casa di altri amici col suo strumento nel-l’astuccio e pronto ad unirsi a loro per unaserata di musica, senza alterare l’equilibriodel gruppo ma solo per accrescerne lapiacevolezza. La nascita del trio, a metàSettecento, è il risultato di una strana for-mula alchemica che dall’antica sonata atre di epoca barocca (il cui organico pre-sentava due violini e un basso continuo)porta alla nascita, contemporaneamente,di due forme cameristiche tra le più uti-lizzate da quel momento, e per molti annia venire: il trio per violino, violoncello epianoforte e, appunto, il trio per archi(violino, viola e violoncello). Il primogradino verso entrambi i tipi di trio fuquello di dissociare l’indissolubile e seco-lare connubio tra arco grave, che eseguivala linea del basso, e la tastiera, che invecelo ‘realizzava’: eseguiva, cioè, gli accordiche le leggi dell’armonia e l’espressivitàconsentivano di associare alle note delbasso stesso. Questa ‘separazione consen-suale’ portò direttamente alla nascita deltrio col pianoforte, dove, eliminato unodei violini, i due archi rimanenti (violinoe violoncello) e la tastiera dialogavanoamabilmente tra di loro, senza più verecollocazioni gerarchiche. Lo stesso pro-cesso però garantì anche la nascita deltrio per soli archi, una volta eliminata latastiera, ‘liberato’ il violoncello dal ruolofondamentale (ma subalterno) di soste-gno armonico e sostituito uno dei violini

con la viola per riempire il vuoto di tessi-tura tra le due parti estreme. Non a casocolui al quale la storia attribuisce la nascitadi questo organico tutto nuovo era statoun violoncellista, Luigi Boccherini, unodei tanti italiani che a metà Settecentocontribuì in maniera decisiva alla nascitadi quelle forme cameristiche divenute poiappannaggio quasi esclusivo dei compo-sitori austro-tedeschi. Nell’opera 14, del1772, Boccherini compì proprio questedue operazioni che abbiamo descritto,indispensabili nella definitiva trasforma-zione della sonata a tre barocca in trio pre-classico, affidando ai tre strumenti parti dipari importanza, e riservando al violon-cello parti dal piglio concertistico e pas-saggi di vera abilità virtuosistica. Questogenere cameristico godette subito digrande fortuna, ma in un ambito deltutto particolare: se infatti il trio con pia-noforte prese una strada concertistica,

Per la prima volta a Bologna, il Trio d’archi di Pechinoincontra l’oboe virtuoso di De Felice, per un programma chespazia dal Settecento ai nostri giorni, offrendoci capolavoridimenticati ed assolute novità di Maddalena Pellegrini

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Lunedì 18 marzo 2013

54 IM MUSICA INSIEME

LUNEDÌ 18 MARZO 2013AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

BEIJING STRING TRIOZHE LI violino

SU ZHEN viola

CHU YI-BING violoncello

ARNALDO DE FELICE oboe

Wolfgang Amadeus MozartQuartetto in fa maggiore KV 370per oboe e archiNicola SaniHallucinée de lumière parmi les ombresper oboe soloPRIMA ESECUZIONE ASSOLUTALuigi GattiQuartetto per oboe e archiLudwig van BeethovenTrio per archi in do minore op. 9 n. 3Benjamin BrittenPhantasy Quartet per oboe e archi

Introduce Nicola Sani. Compositore emusicologo, è consulente e direttore artisticodesignato delTeatro Comunale di Bologna

Alchimie sonoreieri e oggi

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quello per archi soli divenne il regno de-gli ‘intenditori’, cioè di una fascia ristrettadi esecutori dilettanti, ma di grandi ca-pacità, e di conseguenza chi lo utilizzò do-vette tener conto di questa collocazionesociale, in bilico tra divertimento e im-pegno, tra stile di conversazione e taglioconcertistico. Non è un caso che tra leprime opere di Beethoven ci siano propriotrii, con e senza pianoforte, perché, inparticolare nel genere cameristico, il com-positore partì dalle forme più in voga percompiere la sua incredibile escursione sti-listica. I primi anni viennesi (tra il 1792e il 1798 circa) costituirono per lui iltrionfo in società, e la favorevole acco-glienza ricevuta dalle famiglie più impor-tanti lo portò ad impegnarsi soprattuttonelle opere da camera concepite nello stiledell’intrattenimento. Proprio nei trii perarchi possiamo vedere in quanto pocotempo egli sia riuscito a passare dalla pia-

cevolezza ariosa (nell’op. 3 e nell’op. 8)alla grandezza assoluta del Trii op. 9(1798) che lo stesso autore definiva come«il meglio dei miei lavori». Straordinaria-mente compatto nella struttura, potenteper ispirazione musicale, affatto lontanoda ogni idea di divertissement galante, ilTrio n. 3 in do minore è musica da ca-mera intesa nel senso più ‘concertistico’del termine, dove i tre archi godono dellastessa importanza nella costruzione deldiscorso musicale. Il primo movimento,la cui struttura formale è difficilmenteracchiudibile nelle strette barriere dellaforma-sonata, è caratterizzato da un dise-gno ritmico e da accenti di nobile pateti-smo. Con esso contrastano le purissimesonorità e la scrittura assai fiorita del-l’Adagio, e la leggerezza del breve Scherzo,prima di un Finale giocato sul piglio rit-mico e che sembra ricollegarsi alle idee-guida del primo tempo.

È con lo stesso intento, quello dell’inte-grazione tra le parti e della piacevolezzaintrisa di impegno concettuale, che il pro-gramma inanella tre brani nei quali il triodiventa quartetto grazie alla presenza del-l’oboe; la prima esecuzione assoluta diNicola Sani per oboe solo (sulla qualeleggeremo in queste pagine alcune notedello stesso autore) s’intreccia poi con laPhantasy di Britten nell’accostare reper-torio settecentesco e contemporaneità.Ha 19 anni Britten quando compone ilPhantasy Quartet, nel quale mostraun’abilità non comune nella combina-zione di due forme apparentemente con-trastanti come quella della fantasia equella della sonata. Apertamene rifacen-dosi alla forma della serenata settecente-sca, egli costruisce infatti un brano in unsolo tempo nel quale però, attraverso fre-quenti cambi di intenzione e differentimutamenti di agogica, prendono vita se-

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Allievo di Harold Gomberg e LotharKoch, già primo oboe dell’OrchestraSinfonica“ArturoToscanini”diParmaedellaEuropeanCommunityChamberOrchestra,ArnaldodeFelicehasuo-natoper l’AccademiadiBasilea, laSa-laVerdi diMilano, laCarnegieHall diNew York, il Musikverein di Vienna elaTonhallediZurigo.Nel2001havin-to il primo premio al Concorso inter-nazionale “Teatro Minimo” della Ba-yerischeStaatsoperedell’OpernhausZürichconlasuaoperadacameraAku-mu.Nel2005hafondatol’AccademiaNeueMusik,di cui è statodirettorear-tistico fino al 2009.

Arnaldo de Felice

Il Trio si è formato a Pechino dall’unio-nedi tredeimaggiori solisti cinesi.ZheLi, violino, Maestro concertatore del-l’Orchestra Sinfonica dell’Opera Na-zionaleCinesefinoal2010,haottenutoil Premio dal Ministro della Cultura Ci-nese per l’eccellenza delle sue esecu-zioni.SuZhen,viola,esibitasineiprin-cipali festivaleuropeiegiapponesi, hainsegnatopressoilConservatoriodiPe-chino e la Royal Academy of Music diLondra; Chu Yi-Bing è stato il primovioloncellista cinese a vincere un’im-portantecompetizione internazionalecomeilConcorsodiGinevra,edhafon-dato il Chu Yi-Bing Cello Ensemble.

Beijing String Trio

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zioni molto contrastanti, ma in linea conlo spirito del divertimento. Non man-cano tuttavia anche momenti di vero eproprio virtuosismo, destinati al primodedicatario ed esecutore, l’oboista LeonGoossens, uno dei solisti più celebri diquegli anni, che affiancò l’InternationalString Quartet alla prima esecuzione lon-dinese del 1932. Anche il Quartetto KV370, composto da Mozart all’inizio del1781, poche settimane prima della rot-tura definitiva del suo rapporto di lavorodipendente dall’Arcivescovo Colloredo,era stato destinato al celebre solista Frie-drich Ramm. Quasi opera-simbolo delpassaggio alla ‘libertà’ così determinanteper il musicista, questo Quartetto è unasorta di ‘ponte’ tra i Quartetti col flautoscritti nell’ultimo viaggio a Parigi e lostraordinario conclusivo Quintetto colclarinetto. Si pone quindi a metà stradatra un mondo che considerava ancora

l’organico misto archi/fiati come genered’intrattenimento e le altezze vertiginosedi un camerismo ‘da concerto’ che Mozartstesso contribuirà a inaugurare e che si af-fermerà dalla fine del Settecento in poi.Ne fanno fede un più agguerrito stru-mentalismo, frutto delle esperienze ma-turare in Europa (in particolare a Man-nheim), lo spazio dato all’oboe (adesempio nel primo tempo e nella possi-bilità della cadenza nell’Adagio) e soprat-tutto lo straordinario Finale, dove rondòe variazioni si combinano come solo Mo-zart sapeva fare in una scrittura densissimae articolata che però non dimentica maifascino ed eleganza. Se abbiamo lasciatoper ultimo il Quartetto di Luigi Gatti èperché questo brano e questo autore (nontroppo noto ai più) sembrano qui potertirare le fila di tutto ciò che finora ab-biamo detto, oltre a costituire un per-fetto trait-d’union coi mondi e gli autori

che abbiamo ricordato. Italiano, manto-vano, Gatti è (come il Boccherini che ab-biamo ricordato all’inizio) il perfettoesempio delle capacità professionali deicompositori italiani del secondo Sette-cento, in grado di muoversi con abilità estraordinaria professionalità nella musicavocale e in quella strumentale, in quellada concerto e in quella da camera, rag-giungendo così vasta fama internazionale.Mantovano e quindi ‘imperiale’, Gattiera perfettamente introdotto nella vitanon solo musicale, ma anche culturaledella sua città e, tra coloro che accolseroMozart nel suo primo grande viaggio inItalia, finì la sua carriera proprio a Sali-sburgo, dove fu dal 1783 maestro delcoro delle voci bianche in Duomo. Ope-rista, autore di musica sacra, ma anche dimoltissima musica strumentale (in parti-colare per fiati) per le occasioni più di-verse, ebbe proprio l’oboe come stru-mento prediletto, grazie all’amicizia che lolegava a due grandi solisti dell’epoca:Luigi Livraghi (che suonò un suo con-certo proprio in occasione della visita diMozart nel 1770) e Pietro de Simoni (cheseguì Gatti dalla città padana fino a Sali-sburgo, dove venne assunto nell’orche-stra di corte dell’arcivescovo Colloredo).Flessibilità melodica, soavità e patetismonei movimenti lenti, brio e vivacità inquelli veloci, il tutto unito con una per-fetta padronanza formale, trasformanoqueste composizioni da camera, pur nelladestinazione ad un pubblico ‘privato’, inpreziosa testimonianza di quel momentoestetico che tra gli anni Settanta e No-vanta del Settecento collega lo stile ga-lante al grande classicismo.

Lunedì 18 marzo 2013

Hallucinée de lumière parmi les ombres per oboe

Nel 2011 Arnaldo de Felice è stato invitato come rappresentante dell’Italia al Primo Festivalinternazionale d’oboe della Repubblica Popolare Cinese, tenutosi a Pechino

Lo sapevate che...

Questa nuova composizione nasce dal mio incontro con l’oboista e composi-tore Arnaldo de Felice e dai discorsi condivisi con lui sul modo di pensare ilsuono. Un suono ruvido, grezzo, spontaneo, immediato, cosciente, antagonista,basato sulle sonorità estreme dell’oboe. Hallucinée de lumière parmi les ombresè un lavoro di “scavo” nella materia, di combustioni, specchi, alternanze distrutture timbriche. Tra i suoni si apre uno spazio che lascia all’interprete il mododi trovare il proprio cammino, di pensarlo, di re-interpretarlo trasformandoloin un progetto di tempo ogni volta diverso. È un dialogo interiore tra i suoni,l’aria e i ritmi dell’inconscio, un viaggio introspettivo attraverso i timbri gene-rati dall’oboe, pensati come forma acusticamente elaborata nelle strategie ese-cutive nel tempo e nello spazio determinate e sperimentate con l’interprete.Non si ascoltano i suoni tradizionali dello strumento, ma la loro trasfigurazionein un universo di sonorità dilatate, elaborate già nel loro manifestarsi ed espan-se nelle possibili multifonie. Dall’oboe si dirama un cosmo di suoni che richiamagli orizzonti della vocalità. Il silenzio entra in questa drammaturgia come sen-so del limite, della solitudine, elemento di tensione, dialogo, contrasto e so-spensione. La struttura della partitura è aperta e permette diversi percorsi emolteplici livelli interpretativi. Attraverso l’idea di una continua esplorazionedelle periferie del suono, vengono messi in relazione codici diversi, echi e fram-menti. Così si crea un dialogo tra forze in opposizione, strutture che si apro-no verso orizzonti illimitati e improvvise figurazioni ritmiche. Il tempo viene eli-minato e la materia conosciuta rimane in sospensione, a galleggiare in un maredi linee sonore che l’attraversano. È un altro mare, dove si incontrano isole so-nore da esplorare, da ascoltare in maniera diversa e dove si raccoglie ciò chesi riconosce e ciò che si scopre. Il titolo della composizione deriva da una poe-sia di Giacinto Scelsi, profondo esploratore di quell’universo ancora in granparte pieno di misteri che chiamiamo suono. Nicola Sani

PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA

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Ne Il miracolo della musica. La mia sto-ria, pubblicato da Mondadori, Salva-tore Accardo ripercorre la propria vitacon un linguaggio semplice che im-mediatamente cattura il lettore. Col-pisce subito la continua alternanza frala vita “normale” e il manifestarsi delsuo precoce talento, sfociato in unasplendida e intensa carriera. La musi-calità naturale viene assecondata da unpadre sensibile. In casa, aTorre del Gre-co, il bambino ascolta tanta musica ese-guita dal papà, buon musicista dilet-tante seguendolo e imitandolo comepuò, addirittura si costruisce una pic-cola chitarra in cartone. In realtà ago-gna un violino, non è un capriccio, èuna richiesta consapevole, quasi adul-ta. Il padre capisce e su quel violino, cheancora esiste, conservato tra i ricordi piùpreziosi nella casa del Maestro, il pic-colo Salvatore inizia a suonare. «Mi con-sidero un predestinato» scrive nelle pri-me pagine, ma a quel destino è statadata una mano. Quant’è importante lafamiglia, quanto sono fondamentali gliinsegnanti: Accardo lo ribadisce spes-so in queste duecento pagine. La sua èuna vita dedicata alla musica, anzi, lamusica per lui è la vita, il Maestro, perònon rinuncia all’amicizia, agli affetti eracconta tutto con sentimento, e un po’d’ironia. I capitoli spesso hanno titolimusicali:Divertimento, Rondò e Le Par-tite, in cui se l’Accardo musicista pen-

sa subito ai capolavori bachiani, l’uo-mo invece corre col pensiero dietro alpallone, alle partite alla Chigiana fra“fiati” e “archi”. Di tutto questo parlacon la stessa serietà che mette nel rac-contare di quando incontrò Heifetz perla prima volta, o di quanto fu impor-tante studiare con Benedetti Miche-langeli. I ricordi si susseguono traprofessione e passioni. Dal tifo per laJuventus, allo scopone, dove con Mau-rizio Pollini durante le vacanze estivein Sardegna sfidava Abbado e LuigiNono. E poi la barca a vela, con Ren-zo Piano che le barche se le costruisceda solo, e ancora i bagni, ma solo nelmare, e il buon cibo campano, ancheadesso che abita a Milano. E la più re-cente e avvincente novità: un grande af-fetto, la moglie Laura Gorna, anche leiviolinista, con cui condividere i rovel-li del lavoro e le bimbe, due gemelle diquattro anni, Ines e Irene, che si capi-sce, sono un nuovo, bellissimo temanella vita di Salvatore Accardo. Il vio-linista non fa un bilancio della sua vita,piuttosto ricorda pacatamente, guar-dando sempre avanti, al futuro, il suoe quello dei giovani, uno dei suoi“chiodi fissi”. Un libro affascinante daleggere tutto d’un fiato, ricco di con-siderazioni e di ricordi preziosi.

Salvatore Accardo,Il miracolo della musica. La mia storia(Mondadori, 2012)

RaminBahrami,ComeBachmi ha salvato la vita(Mondadori, 2012)Chi lo conosce grazie alle suemagistrali interpretazioni echi ancora non ha avuto lafortuna di ascoltarlo, trove-rà in Come Bach mi ha sal-

vato la vita di Ramin Bahrami (Edizioni Mon-dadori) una testimonianza forte. Bahrami ha solotrentasei anni, è uno dei più talentuosi pianistisulla scena internazionale e tra i maggiori in-terpreti contemporanei di Bach, ma la vita nongli ha risparmiato grandi dolori. Nel libro per laprima volta si racconta: dall’infanzia, prima do-rata e poi segnata dalle vicende legate alla salitaal potere di Khomeini e alla guerra Iran-Iraq. Inun paese in fiamme, Ramin bambino ha un suomodo per vincere la paura: suona Bach. Seguo-no anni di lontananza dal suo paese e dalla fa-miglia, prima in Italia e poi in Germania, le ri-strettezze economiche, la fatica dello studio, losconforto, la nostalgia. Poi arrivano incontri im-portanti, come quello con l’amatissimo maestroPiero Rattalino o con l’amico Hans Boehme, suomecenate. Oggi Bahrami confessa di sentirsi im-pegnato in una “missione”: far conoscere l’ope-ra del compositore al grande pubblico, convin-to che la musica sia un mezzo capace di «rendereil mondo un posto migliore per vivere».

Enrico Rava,Incontri con musicististraordinari(Feltrinelli, 2011)Enrico Rava è uno dei jaz-zisti italiani più noti a livel-lo internazionale, anche gra-zie alla sua lunga attività ol-treoceano, prima a New

York e poi a Buenos Aires, dove ha collabora-to assiduamente con musicisti del calibro diGato Barbieri e Steve Lacy. Il suoThe Forest andthe Zoo, registrato nel 1966, è considerato unodei dieci dischi essenziali del free jazz. Di que-st’attività, fatta di storie sempre surreali e tal-volta amare, di piccole stranezze e grandi talenti,nel volume Incontri con musicisti straordinari(Feltrinelli) Rava restituisce un vivo spaccato,con lo sguardo ironico di uno che di cose ne haviste veramente tante. La ricostruzione della vitanotturna di New York nella gloriosa e irripeti-bile seconda metà degli anni Sessanta è pienadi pathos, così come il ricordo dell’ascesa diAstor Piazzolla e del Nuovo Tango nella Bue-nos Aires degli anni Settanta. Accanto ai pri-mi balbettii della scena jazz italiana, e Gato Bar-bieri minacciato con una pistola dal proprie-tario dell’appartamento nel Village da cui nonse ne voleva andare, un Don Cherry fischiatoa Bologna solo perché salito sul palco senza scar-pe, e tanto altro ancora.

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PER LEGGERE

PAGINEDI MUSICA

Tre Maestri della musicaraccontano la storiadella loro carriera fracollaborazioni eccellenti,illustri insegnanti, difficoltàsuperate e grandi,intramontabili, passioni

di Chiara Sirk

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Il doppio cd rende conto di un concerto te-nutosi all’Accademia di Santa Cecilia aRoma. Antonio Pappano, l’Orchestra di San-ta Cecilia e un brillantissimo Brunello dan-no qui una prova magistrale al servizio di duelavori (raramente accostati nella stessa pub-blicazione) che Dvorák ha scritto sottol’influenza diretta della vita e dell’atmosfe-ra americane. Figlia di un viaggio negli Usa,la Sinfonia Dal nuovo mondo, e scritto al ter-mine di un soggiorno di tre anni a New Yorkil Concerto per violoncello n. 2 in mi mi-nore, entrambe le composizioni sono reseperfettamente da un direttore come Pappanoche, nato in America, ma da sempre immersonella tradizione europea, ha compiuto sì ilpercorso inverso a Dvorák, ma, come il mae-stro praghese, delle due culture ha saputo in-fondere in sé le diverse anime. In particolare,Pappano si misura per la prima volta con laSinfonia n. 9, mentre il Concerto per vio-loncello è qui presentato nella sua rara edi-zione originale, prima che Dvorák vi ri-mettesse lievemente mano dopo i suggeri-menti di Hanuš Wihan, dedicatario del la-voro. È qui che Brunello regala all’ascoltol’ennesima superba prova di un grande ta-lento, fornendo un’interpretazione ecce-zionalmente drammatica e vivace. Peccatosolo che la dicitura “Recorded in concert”posta in copertina spieghi, ma non giusti-fichi microfoni forse mal posizionati che cap-tano ogni rumore “esterno” da parte dei mu-sicisti, fruscii, sibili e addirittura, nei mo-menti di minor volume sonoro, forse ancheil respiro sonoro del direttore d’orchestra…un eccesso di “verismo” che nuoce a nostroavviso non sono solo agli ascoltatori, ma alleesecuzioni stesse e, in ultima analisi, agli stra-ordinari protagonisti di quest’incisione.

Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. CeciliaMario BrunelloAntonio PappanoDvorák: Symphony No. 9 From the new world,Cello concerto (Emi Classic 2012)

RIVOLUZIONI MELODICHEMario Brunello e Antonio Pappano si misurano coni lavori americani di Dvorák, Fossi e Gaggini con letrascrizioni pianistiche di Brahms, mentre MariangelaVacatello incanta con gli studi di Debussy

«Debussy ha scritto molte cose melodiche.Melodiche nel senso più popolare del ter-mine. Ma allo stesso tempo ha rivoluzionatoil mondo della melodia, pur avendo suoni

veramente celestiali, angelici. Soprattutto negli Studi ha rivoluzionatotutto: la forma è estremizzata, il tipo di suono, il rapporto con lostrumento...». Così dichiarava oltre un anno fa Mariangela Vaca-tello, ed ora eccola fare i conti proprio con gli Studi del maestrofrancese e con le sue “rivoluzioni”. Il disco è incentrato sulle 12Études che, scritte nella piena maturità della vita creativa del fran-cese, proprio per questo rappresentano l’apoteosi del suo stile. Eche proprio per questo rappresentano anche una sfida severissimanon solo alla tecnica, ma (soprattutto) alla maturità interpretati-va di un esecutore. Ma alla giovane pianista napoletana le sfide piac-ciono, e le piace vincerle: con questo disco farà incetta di ricono-scimenti come le è già accaduto, nel disco precedente, con gli Stu-di Trascendentali di Liszt.

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Mariangela Vacatello12 Études, Estampes,Deux Arabesques, L’Isle joyeuse(Brilliant Classics 2012)

DA ASCOLTARE

Due giovani dal brillantissimo talento alleprese con un genere musicale che, perquanto spesso trascurato, può in realtàvantare un repertorio e autori di riferimento:

quello delle trascrizioni per pianoforte di musica originariamen-te scritta per grandi o piccoli ensemble. Matteo Fossi e Marco Gag-gini hanno iniziato ad esplorare questi territori un paio di anni facon l’integrale delle Sinfonie di Brahms trascritte dallo stesso au-tore con Robert Keller, e proseguono con questo lavoro che con-tiene le Variazioni su un tema di Haydn, l’Ouverture Tragica – nel-la versione originale per piano a quattro mani di Brahms – e la So-nata per due pianoforti (ed esaustive note interne spiegano la ge-nesi dei tre lavori). L’operazione è semplice (a dirsi!): la ricerca del-l’essenza della composizione, riuscendo a metterla in luce pur sfron-data dei volumi e della ricchezza dei suoni orchestrali. Ancora unavolta, Fossi e Gaggini riescono nell’intento, ma non si creda siaun’impresa da poco, né tantomeno una questione di mero vir-tuosismo. Servono cuore e anima, per questo, non solo dita veloci.

Matteo Fossi, Marco GagginiJohannes Brahms, Works for two pianos(Decca 2012)

di Lucio Mazzi

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EditoreFondazione Musica Insieme

Galleria Cavour, 3 – 40124 BolognaTel. 051 271932

Direttore responsabileFabrizio Festa

In redazioneBruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier,Cristina Fossati, Roberto Massacesi

Hanno collaboratoSara Bacchini, Alessandro de Biasi, Elisabetta Collina, Marco Costanzo,

Valentina De Ieso, Maria Pace Marzocchi, Lucio Mazzi, Maria Chiara Mazzi,Anastasia Miro, Maddalena Pellegrini, Chiara Sirk, Mariateresa Storino

Grafica e impaginazioneKore Edizioni - Bologna

StampaGrafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Registrazione al Tribunale di Bolognan° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia:

ASCOM BOLOGNA, BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA,BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO

E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO,COCCHI TECHNOLOGY, COOP ADRIATICA, COOPERATIVA EDIFICATRICE ANSALONI, COSWELL,COTABO, CSR CONGRESSI, EMIL BANCA, FATRO, FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA

DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA,GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, GUERMANDI.IT, MAX INFORMATION,

M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT BANCA,UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNAPROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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