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CITTÀ a partire dalla Missione Maggio 2016 LAICI MISSIONARI COMBONIANI - PALERMO Una “Il racconto è zattera in mezzo al naufragio, arca di Noè dopo il diluvio, tenerezza al posto dell’orrore, voce anziché silenzio, giustizia contro la violenza, ordine nel caos, argine nell’oblio” (Benedetta Tobagi) GUGLIELMO MANGIAPANE, REUTERS/CONTRASTO

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Maggio 2016Laici Missionari coMboniani - PaLerMo

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“Il racconto è zattera in mezzo al naufragio, arca di Noè dopo il diluvio, tenerezza al posto dell’orrore,

voce anziché silenzio, giustizia contro la violenza, ordine nel caos, argine nell’oblio”

(Benedetta Tobagi)

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3 EditorialE

di Giulia di Martino

4 Voci dal mondo

a cura della Redazione

5 Finché non si taglia la tEsta ....di Judith Gleitze

9 doVE sono andati?di Giorgia Mirto

12 Una prEsEnza di Vita

di Anna Cucusi

15 contro ogni barriEra

Missionari Combonianidi

16 incontro con gUstaVo gUtiérrEz

di Mauro Castagnaro

19 in bachEca

a cura della Redazione

20 racconti di Uno

di Francesco Terzi

Redazione Alberto Biondo - Giulia Di Martino - Domenico Guarino

www.laicicombonianipalermo.org [email protected]

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La domanda sorge quasi spontanea: a cosa ser-ve l’Europa? Perché le istituzioni europee rimangono impas-sibili se uno stato membro decide arbitraria-mente di innalzare una barriera verso un altro stato membro, in barba al principio per cui l’Unione Europea stessa esiste, ovvero lo sman-tellamento delle frontiere interne? Quale senso allora per l’Europa unita?Al confine fra Austria e Italia verrà costruito un muro per bloccare i flussi di persone provenien-ti dal nord-Africa, e appare sempre più chiaro che la nostra Unione rimane tale solo quando concorre agli interessi del mercato e della fi-nanza: viene quasi da pensare che gran parte delle encomiabili azioni politiche unitarie che hanno agevolato la vita di molti cittadini italia-ni, francesi o svedesi, siano state pensate solo in quanto funzionali al mero sviluppo economico. Solo così è possibile accettare le contraddizio-ni di fondo che ormai caratterizzano il vecchio continente, la cui maschera democratica serve a celare un volto butterato di paura nei confron-ti dei nuovi soggetti mondiali, di chiusura nei confronti delle popolazioni in movimento, di patetici tentativi di conservare una supremazia esclusiva che non esiste già più.

Come ben argomentato nel pezzo di Judith Glei-tze, la militarizzazione dell’Europa è l’atteggia-mento più controproducente, costosa, voluta-mente inutile, per risolvere dei nodi complessi che riguardano la sfera umana. È il medico che cura la tosse di un paziente strozzandolo. In questo costume l’Europa non è sola: è ac-compagnata dall’analogo modello oltreoceani-

co. Gli Stati Uniti sono il baluardo americano del capitalismo che plasma la politica e preme affinché si chiudano le frontiere verso i paesi centro americani. È illuminante l’esperienza raccontata da Giorgia Mirto nel suo articolo, perché si intrecciano due realtà di resistenza e coraggio che lavorano parallelamente nei due continenti. Le due Carovane, quella europea e quella mesoamericana, sono frutto di una co-raggiosa resistenza, che si realizza attraverso la conservazione della memoria.

Dare nomi e volti agli scomparsi fra le vitti-me oppresse dell’impero contemporaneo di Sua Maestà il Capitale, così come alleviare le condizioni di miseria che proliferano nelle no-stre città - come a Ballarò raccontano le Suore Comboniane per voce di Suor Anna - significa in ultima istanza schierarsi con gli ultimi, coi protagonisti della rivoluzione di Gesù Cristo. La testimonianza di uno dei fondatori della Te-ologia della Liberazione, Gustavo Gutiérrez, in-quadra in tal senso tutti i movimenti antirazzisti, tutte le lotte di giustizia per i diritti della donna e dell’uomo, in una dimensione spirituale fortis-sima, che unisce e abbraccia con la stessa ener-gia liberatoria l’intera umanità.

Ed i t o r i a l Edi Giulia Di Martino

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Torna ad alzarsi la voce

di protesta dei vescovi in Venezuela. In un lungo documento ripreso dalle agenzie Sir e Fides, la

Conferenza episcopale venezuelana (Cev) fa luce sulla “gravissima” situazione del Paese sud-americano, chiede al popolo di evitare contrapposizioni ed esorta i po-

litici a mettere da parte gli interessi particolari in luogo del bene

comune.

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“Svuotare e aggirare il diritto di asilo significa

mettere in discussione i valori sui quali ci fondiamo. L’Austria ha accolto

nel 2015 quasi 90mila persone: ciò è stato possibile soprattutto grazie all’aiuto della

società civile. Questo però non può essere per l’Austria la giustificazione per ignorare, in

un’Europa comune, la propria respon-sabilità nei confronti di persone

in cerca di protezione”.

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Voci dal mondo - Voci dal mondo - Voci dal mondo - Voci dal mondo

I profughi africani arrivano nel convento di Gualdo

Tadino. Provenienti da Senegal e Gana, la loro età

va dai 18 ai 35 anni; la maggior parte di essi ha lasciato il proprio Paese alla ricerca di un

futuro migliore in Europa e in particolare nella parte settentrionale del nostro continente. In molti

casi infatti la loro permanenza in Italia sarà temporanea e costituirà solo una tappa che

li ricongiungerà ai familiari ormai stabiliti in altri Paesi

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Le donne possono contribuire a “promuovere

società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile”, obiettivo che l’Onu

auspica si possa raggiungere entro il 2030. Lo ha detto mons. Bernardito Auza, osser-

vatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, intervenuto nel dibattito aperto al Consiglio di Sicurezza

sul tema “Il ruolo delle donne nella prevenzione e risoluzione dei

conflitti in Africa”.

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Come può stupirsi l’Europa delle trage-die in mare se le ambasciate rifiutano i visti al nostro popolo e costringono

i paesi del Maghreb ad inseguirci? La nostra unica possibilità è il mare e i “trafficanti” di-ventano la nostra speranza se dobbiamo fug-gire in altri paesi” (rifugiato maliano).

Sono stati 184 i maliani tra le più di 800 persone che sono annegate nella notte tra il 18 ed il 19 aprile 2015 nel loro viaggio dal-la Libia verso l’Italia. Sono almeno 3.771 i morti in mare nel solo 2015. E sono annegati

anche per una strategia europea, come due ricercatori del Goldsmith College a Londra dimostrano in un report sui fatti del 18 apri-le 2015. Hanno analizzato documenti anche interni della UE: nonostante l’avvertimen-to dell’agenzia Frontex, che il termine della missione Mare NostruM avrebbe provocato un aumento considerevole dei morti nel Me-diterraneo, la UE chiedeva al governo italiano di sospendere Mare NostruM alla fine dell’an-no 2014, e lanciava invece la missione triton di Frontex che operava però solo in un giro di 30 miglia dalla costa.

di Judith Gleitze*

Finché non si taglia la tEsta, noi continueremo

a parlare

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Il 18 aprile 2016, un anno dopo la più grande strage nel Mediterraneo, muoiono di nuovo da 4005 a 500 persone tra la Libia e l’Italia. Davanti a questa costante tragedia, l’UE sta dando sempre più fondi e poteri all’agenzia Frontex e a missioni come Triton. Ma Frontex è un’agenzia di controllo delle frontiere ba-sata sulla militarizzazione dei confini interni ed esterni dell’Europa, e il suo mandato è di proteggere questi confini e non di salvare vite umane.

La storia degli ultimi 20 anni nel Mediterra-neo dimostra che intensificare la militariz-zazione delle rotte di migrazione causa solo altra morte. Ogni volta che un percorso verso l’Europa è stato bloccato dalle nuove tecno-

logie di sorveglianza e dall’aumento di poli-zia, le strade sono diventate più lunghe e più pericolose, come dimostra anche la riapertu-ra della rotta Egitto-Italia, che provocherà altri

numerosi morti.

Frontex da pochi mesi ha aperto una sua sede a Catania, che diventerà il centro operativo di molte operazioni dell’agenzia nel Mediterra-neo centrale. Le giornate “NoFrontex”, che si sono svolte tra il 15 ed il 17 aprile a Catania e il 18 aprile a Palermo, dovevano dimostrare che molte e molti non siamo d’accordo con questa decisione di far morire le persone nel nome della presunta sicurezza e della chiu-sura totale di un’Europa che ormai sta fallen-do, mettendo in dubbio i propri valori come libertà, diritti, dignità e protezione. Frontex allora è soprattutto un simbolo delle attuali politiche migratorie.Una rete di organizzazioni e gruppi ha in-

detto queste giornate, anche se i preparativi non sono stati facili. Troppo diversi i punti di vista, il focus del proprio lavoro giornaliero, gli obiettivi da raggiungere. La realizzazione

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di queste giornate ha dimostrato che lavora-re in rete con tante realtà diverse non è mai facile. In questo caso troppo grande è stata la differenza tra chi puntava soprattutto su certi argomenti politici e chi cercava invece di “in-ternazionalizzare” il più possibile l’evento.

Nonostante ciò, superando tutte queste bar-riere, le giornate NoFrontex, grazie alla pre-senza della Carovana migranti, di famigliari di dispersi tunisini, di attivisti dalla Tunisia e di diversi paesi europei e naturalmente an-che delle realtà siciliane e italiane, sono state ricche di scambio, di colori, di lingue. Nei workshop del 16 aprile, tenutisi nella Palestra Lupo e nella Casa di quartiere di S. Berillo, si è discusso di Frontex e delle pratiche d’oppo-sizione. Con la presenza di Alarm phone, una rete di sostegno e di soccorso in mare, che si è for-mata dopo le stragi del 3 e del 11 ottobre, di Welcome to Italy, e della rete internazionale Welcome2eu si è discusso sulle azioni fatte in diversi paesi europei e africani. Davide Car-nemolla, di Welcome2eu, ha spiegato che i

migranti hanno il diritto di esse-re informati bene, non soltanto su cosa devono fare, ma anche sulle indicazioni legali e sociali importanti per proseguire il pro-getto migratorio sulla base della personale libertà di movimento. Si è anche parlato del sistema Hotspot (con informazioni sulla situazione attuale degli hotspot in Sicilia), delle azioni già esi-stenti contro la fortezza europea come la marcia di “Overthe-fortess” ad Idomeni, al confine

greco-macedone, del “corridoio umanita-rio” promosso dalla Federazione delle Chie-se Evangeliche in Italia e dalle Comunità di Sant’Egidio, che porterà 1.000 profughi con voli diretti in Italia, e dei campi internazio-niali NoBorder (il prossimo sarà a luglio a Salonicco). Sempre importanti rimangono la sensibilizzazione e l’informazione, azioni comuni e anche parallele, se possibilmente realizzate da diverse reti in diversi paesi me-diterranei e non solo.

Nel workshop “Dispersi ed identificazione”, la Carovana dei migranti ha presentato del-le testimonianze, insieme ai famigliari dei dispersi tunisini e maliani. “Il confine non è una catastrofe naturale, ma una strage creata dall’uomo”. È stato presentato anche il pro-getto “Missing Migrants” sull’identificazione dei cadaveri dei migranti.

Nel terzo workshop si è parlato delle mol-teplici violenze che soprattutto le donne migranti subiscono, della questione Kurda e

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del ruolo assunto dalla Turchia negli sviluppi bellici e dopo lo scellerato patto stretto con l’Europa per respingere i/le migranti” come lo descrive uno degli organizzatori delle giorna-te, Alfonso di Stefano della Rete Antirazzista Catanese.

Per la manifestazione del 16 aprile si sono riunite purtroppo soltanto 2-300 persone al porto di Catania. Numerosi i poliziotti ed al-tre forze dell’ordine presenti. Per la comme-morazione dentro il porto, l’accesso è stato concesso solo a pochi rappresentanti. All’ini-zio della marcia la città di Catania sembrava assente, solo poche persone dietro le per-siane a guardare. Soltanto quando il corteo è arrivato a Piazza Stesicoro per imboccare via Etnea e via San Giuliano, verso la sede di Frontex, i cittadini catanesi sono apparsi senza manifestare gran interesse, forse per assistere all’ennesima manifestazione per un tema poco conosciuto. Il corteo è stato poi

bloccato dalla polizia poco prima della sede di Frontex, l’ex convento Santa Chiara. Que-sta parte della città era blindata.Il corteo è finito sulla piazza Federico di Sve-via, al Castello Ursino, dove si trovavano due istallazioni artistiche realizzate dalla Città Fe-lice, dal Comitato Abitanti di piazza Federico di Svevia e dalle donne e uomini della rete La Ragna-Tela. Un incontro serale al centro GAPA ha concluso la giornata.

Il giorno successivo si sono svolti la visita al CARA di Mineo, un incontro strategico del gruppo Alarm Phone Central Mediterranean ed una assemblea conclusiva con le testimo-nianze di due migranti, della Costa d’Avorio e del Mali, sopravvissuti al naufragio del 18 aprile 2015

* Presidente Borderline Sicilia / Coordinatrice Borderline Europe

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Dove se n’è andato Elmer / che di feb-bre si lasciò morire. / Dov’è Herman bruciato in miniera. / Dove sono Ella

e Kate / morte entrambe per errore / una di aborto, l’altra d’amore. / E Lizzie che inseguì la vita, lontano, / e dall’Inghilterra, / fu ripor-tata in questo palmo di terra …”Fabrizio De André mise le note alla poesia di Edgar Lee Master, in cui immagina, nell’An-tologia di Spoon River, che gli epitaffi incisi sulle lapidi potessero far riaffiorare la storia di chi lì era sepolto; che quei cippi del cimite-ro potessero raccontare la complessità di una vita, gli odi e rancori, speranze e ambizioni,

di coloro che ora “dormono, dormono sulla collina”. Così sappiamo di Un Giudice, del Malato di cuore o di Jones il suonatore. Per-ché la memoria di una persona che non c’è più, prima ancora che sulle lapidi, è incisa nei cuori di chi li ha conosciuti. E questi la raccontando così come i genitori racconta-no dei nonni. Eppure nei nostri stessi cimiteri ci sono tanti e tanti cippi senza un nome. Ci sono troppe fosse ricoperte di cemento, con cui è stato appena inciso con un bastoncino la parola: “sconosciuto”. Tante vite che non hanno né un nome né una storia da essere cantata e raccontata. Si tratta delle lapidi dei

di Giorgia Mirto*

doVE sono andati?La testimonianza deLLa caRovana migRanti

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migranti le cui vite si sono infrante contro le onde del Mediterraneo. Oltre il clamore dei grandi naufragi, degli sbarchi mediatici e degli scandali montati all’occorrenza dai vari Salvini, rimane il silenzio di queste la-

pidi mute che tra i cipressi dei nostri cimiteri non raccontano nessuna storia. Per ogni cor-po senza nome, per ogni vittima dispersa per quello che è ormai il cimitero chiamato Me-diterraneo, c’è una famiglia che ricerca verità e giustizia.

Ed allora ecco l’atto rivoluzionario della Ca-rovanaMigranti, quello di portare le foto, le storie e le testimonianze di chi non c’è più. Ancora una volta cantare e raccontare chi fosse, non un personaggio di un poema, ma Hassan, Mohammed ed i tanti ragazzi che sono scomparsi via terra o via mare, e la cui incertezza sulla sorte continua ad essere mo-tivo di grande sofferenza per le famiglie. Con questo scopo la Seconda CarovanaMigrante si è messa in marcia lo scorso 2 aprile da Tori-no, per culminare il suo percorso a Palermo il

18 aprile, ovvero in occasione della più gran-de strage di migranti avvenuta nel Canale di Sicilia, accaduta nella notte tra il 17 e il 18 aprile del 2015. Un viaggio itinerante di denuncia, sensibi-lizzazione e incontro con le varie realtà di resistenza lungo tutta la penisola, per de-nunciare, in parallelo con la Carovana me-soamericana, il destino dei migranti “de-saparecidos” nel Mediterraneo. Lo scopo è quello di condividere le pratiche di chi è alla ricerca della verità e dalla giusta di-gnità, che deve essere riconosciuta a tutti i migranti.Così come il Movimiento Migrante Me-soamericano, che percorre le tappe della migrazione nel Sud America, dall’Argenti-na fino al Messico, portando le foto dei di-spersi in ogni piccolo villaggio, cercando di

rintracciarli; così la Carovana mostra le foto dei dispersi nel Mediterraneo. Il Movimento migrante ha così ritrovato ben 250 dispersi in Messico, come ci ha raccontato la testimone Ana Gricelides Enamorado, madre hondu-reña che cerca il figlio di cui non ha più no-tizie dal 2010. L’importanza di unire le lotte dei dispersi mesoamericani e mediterranei è cruciale perché, dice Ana: “Le politiche sono spesso le stesse e i diritti degli invisibili conti-nuano ad essere violati da una parte all’altra del mondo. Essere con voi mi ha dato molta forza, perché so di non essere sola nel lottare per una maggiore umanità”.Così come i “barconi della speranza” carica-no i migranti sull’altra sponda del Mediterra-neo, così il treno soprannominato “La Bestia” porta i migranti attraverso il Messico verso gli Stati Uniti. E se nel Mediterraneo ci sono Wa-

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tch the Med ed AllarmPhone pronte a con-trollare le richieste di soccorso, così lungo il tragitto della Bestia ci sono “Las Patronas”, un gruppo di donne che ogni giorno, senza nes-sun utile personale, lanciano da mangiare ai migranti sul treno. Maria Guadalupe Gonzalez considera quei ragazzi suoi figli, e come una madre cerca di assister-li nel viaggio. Il Messico appare un grande mare nero, dal racconto di Omar Gar-cía, portavoce degli stu-denti della scuola nor-male rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa. Lui è un sopravvissuto alla notte del 26 settem-bre 2014, nella quale tre studenti furono uc-cisi e altri 43, preleva-ti dalle forze dell’ordine, sono scomparsi. “I miei compagni sono scomparsi in una notte - racconta - e io sono uno dei sopravvissuti che oggi vuole testimoniare che non bisogna mai smettere di chiedere giustizia, anche in uno Stato come il mio, dove la connivenza tra la politica e la criminalità organizzata continua ad essere molto forte”.Perché il principale ostacolo a questa ricer-ca di giustizia è rappresentato dalle autorità statali, ora complici, ora artefici della scom-parsa dei migranti in viaggio. E’ una storia che succede anche qui, nella civile Italia, in cui da 5 anni Imed Soltani, rappresentante dell’associazione tunisina La terre pour tous,

sta cercando una risposta per le madri di 504 ragazzi dispersi durante il viaggio migratorio verso l’Italia nel 2011, di cui non si ha più notizie. “Il ministero italiano e quello tuni-sino continuano a non dare risposte a tutti i

nostri giovani, molti dei quali erano riusciti a raggiungere già le co-ste italiane - racconta -. Dopo 5 anni ci chiedia-mo cosa sia successo e di chi sia la responsabi-lità. Ricordiamoci che quattro famiglie si sono suicidate e date fuoco per la disperazione”.Una giustizia che meri-tano i familiari e noi tut-ti, perché queste scom-parse toccano fin nelle viscere uno stato demo-cratico che non può ac-cettare la scomparsa di

un cittadino, da ovunque esso provenga. Ed allora uniamoci in coro a queste testimonian-ze, per cantare ancora una volta: “Dove se n’è andato?”

*Forum Antirazzista Palermo

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di suor Anna Cucusi*

Ballarò viene definito come il cuore di Palermo, da un punto di vista fisico e simbolico: un quartiere antico, sug-

gestivo, multiculturale, eterogeneo, ricco di storia e di arte. È un quartiere formato dalla presenza di molti immigrati africani e asiati-ci, appartenenti a nazioni e religioni diverse, che convivono con le famiglie del posto, esse pure in situazioni economiche non favorevo-li.

La nostra comunità internazionale formata da tre Sorelle, abita un piccolo appartamento al terzo piano, inserito nel circondario della

parrocchia, accanto alla Chiesa, e si affaccia sulla famosa piazzetta di Ballarò, concentra-zione di alcuni bar e di un pub notturno per i giovani che affluiscono da diverse parti, al-cuni seduti per preparare le sigarette, altri con bottiglie di birra a portata di mano: passano ore nell’inerzia e nello stordimento tra l’alco-ol, il fumo e la musica. Sono senza dubbio vittime di un sistema segreto che ha tutto l’in-teresse a favorire simile situazione.

La nostra presenza qui è una piccola luce, un testimoniare, giorno dopo giorno, la pazien-za, la bontà e l’infinita misericordia di Dio

Una presenzadi vita

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verso ogni sua creatura.C’è molta gente in gravi difficoltà economi-che, materiali e spirituali, che è senza istru-zione e che subisce ingiustizie; c’è rancore e violenza, e tanto bisogno di amore e di tene-rezza. La gente ha bisogno di essere ascoltata, e cerchiamo di dare tutto il tempo necessario.

Noi Suore Missionarie Comboniane siamo presenti in questo quartiere dal 1990, e nono-stante il piccolo numero, attendiamo a mol-teplici servizi: presenza in parrocchia per la catechesi e catecumenato degli adulti, Cen-tro Ascolto, evangelizzazione e sostegno alle famiglie in difficoltà, vicinanza e accompa-gnamento umano-spirituale di una comunità di immigrati del Ghana, animazione missio-naria di gruppi. Siamo impegnate anche fuo-ri dal territorio parrocchiale: nelle scuole e nelle parrocchie, con i gruppi Gim e Missio Giovani. C’è una stretta collaborazione con la Caritas Diocesana nella lotta contro la tratta degli esseri umani: ascolto e vicinanza alle donne vittime di tratta e obbligate alla prostituzione. Ci sentiamo profondamente solidali con que-ste persone sottratte alla loro dignità

Al Centro Ascolto della parrocchia vengono famiglie disperate, mamme che non sanno cosa dare a pranzo ai propri figli, che non hanno i soldi per pagare le bollette della luce, dell’acqua, del gas; c’è chi vive in un monolocale senza bagno. Sembra impossibi-le pensare che nel 2015 ci sia gente che vive in questa povertà che toglie ogni dignità alla persona umana.

Mi sento profondamente solidale con queste persone, e devo dire che ho riacquistato il dono delle lacrime. Come si fa a non pian-gere di fronte a donne che vengono a sfogare il loro dolore, a raccontare la loro amarezza. Giovani donne che hanno il marito in carcere e non sanno come fare per andare avanti?Ogni singola persona ha bisogno di essere ascoltata, e per questo cerco di dare tutto il tempo necessario.

Da qualche tempo pensavo di far visita a Lo-renza, anche per rendermi conto della situa-zione in cui vive. L’occasione mi è stata offer-ta grazie ad un aiuto che ho avuto proprio per lei, che da tempo mi chiedeva due lenzuola. È venuta a prenderle e l’ho accompagnata fino a casa.Ci siamo dirette verso un viottolo e poi in una piazzetta, e finalmente ci siamo fermate da-vanti a una porta molto povera. La casa ha uno stretto corridoio, dove la prima parte è adibita a cucina, e dove c’è un piccolo frigo, un lavandino, un piccolo forno e un tavolo con alcune sedie, per cinque persone. Una tenda separa la cucina da un letto matrimo-niale, e subito dopo un’altra tenda c’è un letto per i tre figli: una ragazza di 17 anni, un ragazzo di 15 e un bambino di 8 anni. Il padre fa qualche lavoro saltuario, e rimane anche due mesi senza portare niente a casa. Lei non lavora e ha problemi di salute, ma è la colonna della casa, perché, nonostante la situazione, tiene su il morale. Non si può vivere in queste condizioni di mi-seria. Come fanno a sopravvivere? Soltanto un lavoro stabile potrebbe ridare loro dignità.

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Naturalmente non ci rassegniamo a vedere la gente vivere in questo modo, e abbiamo avuto occasione di parlare di questi problemi con degli amici della nostra Comunità, e in questo ultimo tempo qualcosa si muove, al-meno per aiutare i più bisognosi, e per le ur-genze: latte per i bambini, medicine e vestiti, e anche per togliere le persone da condizioni inumane.

Il mio sogno è vedere la gente di questo quartiere storico riprendere la propria vita e

la propria storia nelle loro mani. Poter vivere del frutto del proprio lavoro per sperimentare una dignità sino adesso rubata.

* Missionaria Comboniana che da alcuni anni è presente e lavora nella parrocchia San Nicolò di Bari, Albergheria.

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Noi missionari comboniani, insieme a numerosi cristiani e non, accogliamo con gioia e gratitudine la visita di papa Francesco all’isola di Lesbo primo punto di approdo di tanti migranti che fuggono da guerre, dittature e si-

tuazioni di permanente insicurezza. Il suo è un gesto profetico di solidarietà e vicinanza sia ai profughi sia ai cittadini dell’isola e a tutto il popolo greco tanto generosi nell’accoglienza. Contestualmente la visita di Francesco è un monito alle nazioni dell’Europa che in violazione al principio di non respingimento alle persone bisognose di protezione sancito dalla legge internazionale hanno chiu-so le loro frontiere ai migranti o le stanno chiudendo come nel caso dell’Austria che si appresta a erigere una barriera al Brennero. Rifiutando di accogliere i profughi, le nazioni europee dimostrano ancora una volta di voler considerare la grave crisi migratoria soltanto un problema e non una opportunità. L’inseri-mento degli immigrati in Europa può diventare una risorsa economica, e non solo, per la società europea incapace di far fronte al problema della persistente decrescita delle nascite e dell’invecchiamento della sua popolazione.

Missionari Comboniani - Italia14 aprile 2016

Contro ogni barriera

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da “Vita Pastorale” di ottobre a cura di Mauro Castagnaro

Gustavo Gutiérrez, prete peruviano ottan-tacinquenne entrato nel 2000 nell’Ordine dei frati predicatori, è considerato il “padre” della Teologia della liberazione (il cui inizio è fatto risalire alla pubblicazione nel 1971 dell’omonimo suo libro), che egli concepi-sce come riflessione critica sull’esperienza di fede vissuta dai cristiani nelle lotte per la giustizia e si sviluppa attraverso un ripensa-mento dei principali temi della teologia alla luce dell’opzione per i poveri, diventando punto di riferimento per l’impegno sociale di molti credenti in tutto il mondo. La Teologia della liberazione suscita però in America La-tina l’ostilità degli ambienti conservatori, che sfocia nell’uccisione di molti vescovi, preti, religiose e laici a essa legati, e la diffidenza della Curia romana, che la accusa di sostitui-re il marxismo al Vangelo, di predicare la lot-ta di classe e di costruire una “chiesa popo-lare” alternativa a quella istituzionale. Anche se non si arriva alla sua formale condanna, le due Istruzioni pubblicate dalla Congregazio-ne per la dottrina della fede nel 1984 e 1986

suonano come una sconfessione, soprattutto perché accompagnate da interventi censori nei confronti di alcuni suoi esponenti, come Leonardo Boff – ma non di Gutierrez, al qua-le, alla fine di un dialogo durato dal 1995 al 2004, l’allora prefetto card. Joseph Ratzinger riconosce di aver chiarito “i punti problema-tici contenuti in alcune sue opere”.Dopo il “terremoto dell’89”, interpretato come il trionfo del capitalismo, molti decre-tano la “morte” della Teologia della libera-zione, che, invece, arricchisce la propria ri-flessione di nuovi soggetti (gli indigeni, con la teologia india, i neri, con la teologia nera, le donne, con la teologia femminista, ecc.), strumenti analitici (non più solo la sociolo-gia o l’economia, ma anche la psicologia, le scienze naturali, l’antropologia, ecc.) e temi (l’ecologia, il corpo, il pluralismo religioso, ecc.).

Vita pastorale ha rivolto alcune domande a p. Gutiérrez in occasione della sua venuta in Italia per partecipare al Congresso dell’Asso-

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ciazione teologica italiana e presentare con l’arcivescovo Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, al Festival di letteratura di Mantova il libro scrit-to a quattro mani nel 2004 e oggi edito in italiano dall’Emi e dalle Emp col titolo “Dalla parte dei poveri”.

I teologi della liberazione sono stati accusati di usare l’analisi marxista per interpretare la società. Come risponde?

Già anni fa Leonardo Boff aveva spiegato che Karl Marx non era né il padre né il padrino della Teologia della liberazione. D’altro canto il marxismo considera alienante la religione, mentre noi dicevamo che è liberatrice! E cita-re un autore o considerare valide alcune sue categorie non significa aderire al suo pen-siero: per esempio, io ritengo utili concetti come “meccanismi di difesa” e “inconscio”, ma non sono ateo come Sigmund Freud, che pure conosco meglio di Marx, avendogli de-dicato la mia tesi in psicologia.Io e altri teologi della liberazione abbiamo, invece, utilizzato la Teoria della dipenden-za, all’epoca innovativa, secondo cui i paesi latinoamericani non erano solo poveri, ma dipendenti. In essa si riconoscevano autori marxisti e altri non marxisti, come Fernando Henrique Cardoso, futuro presidente della Repubblica del Brasile (1995-2002); e il so-ciologo ecuadoriano Augustin Cueva la con-siderava antimarxista. Oggi è uno strumento insufficiente per analizzare la realtà, perché allora, per esempio, non c’era la globalizza-zione. Ma non vuol dire che fosse sbagliata. Certo impiegava nozioni coniate da Marx,

ma se usassimo solo concetti di autori cattoli-ci non potremmo neanche accendere la luce, perché molti atei hanno contribuito a far sì che ne disponessimo! Però non abbiamo usa-to l’analisi marxista come tale.

Papa Francesco fa spesso riferimento al do-cumento della V Conferenza generale dell’e-piscopato latinoamericano, svoltasi nel 2007 ad Aparecida, in Brasile. Che ha da dire que-sto testo alla Chiesa universale?

Sono convinto che nella Chiesa ogni voce particolare abbia anche una dimensione uni-versale. La teologia della liberazione non vale solo per i latinoamericani né quella femmini-sta solo per le donne. La II Conferenza genera-le dell’episcopato latinoamericano tenutasi a Medellin, in Colombia, nel 1968 ebbe un’e-co mondiale. Non mi sembra sia successo lo stesso per quella di Aparecida, sebbene ab-bia molto insistito sull’opzione preferenziale per i poveri, che non riguarda solo l’America latina, perché viene dal Vangelo. Anche in America latina, peraltro, non tutti applicano i documenti finali di queste assemblee, perché sono molto impegnativi e imporrebbero di modificare i programmi economici ed edu-cativi.Non sopravvaluto i testi, ma essi possono di-ventare vita, come accaduto con quello di Medellin, che aprì la strada al martirio lati-noamericano, inaugurato da p. Henrique Pe-reira Neto, un sacerdote nero ventinovenne, coordinatore della Pastorale della gioventù dell’arcidiocesi brasiliana di Olinda e Recife (allora retta da dom Helder Camara), ucciso nel 1969. E, al contempo, cominciarono i

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tentativi di schiacciare questa Chiesa, tanto che nel 1987 la XVII Conferenza degli eser-citi americani discusse come “controllare la teologia della liberazione”, che era giudicata contraria alla “civiltà occidentale cristiana”.Siccome il Papa ha coordinato il gruppo di redazione, è comprensibile che rilanci il do-cumento di Aparecida, i cui valori cristiani sono validi anche in altri contesti.

Lo sviluppo della Teologia della liberazione è avvenuto durante una stagione della Chiesa latinoamericana contrassegnata da una ge-nerazione di vescovi straordinari (Mendez Arceo, Camara, Fragoso, Proaño, ecc.) non-ché da esperienze di rinnovamento ecclesiale (Comunità ecclesiali di base, pastorali socia-li, religiosi/e inseriti/e in ambienti popolari, ecc.) e sociale (partecipazione dei cristia-ni alle lotte popolari e di liberazione, ecc.). Come vede oggi la Chiesa latinoamericana e quali esperienze le sembrano maggiormente profetiche?

Le esperienze profetiche restano minoritarie nei diversi paesi. La situazione delle Ceb (co-munità ecclesiali di base), per esempio, da cui un po’ nacque la stessa Teologia della li-berazione, varia da diocesi a diocesi.Certo gli anni ’60 sono stati un momento in-teressante per la presenza di questi vescovi che fecero Medellin, a cominciare da mons. Manuel Larrain, ordinario di Talca, in Cile, morto prematuramente, ma che con dom Camara componeva una coppia straordinaria per afflato spirituale e visione politica. Oggi il momento è diverso, ma nella Chiesa lati-noamericana c’è molta vita, altrimenti non si

spiegherebbe il documento di Aparecida.Basti l’esempio delle Chiese del Sud andino in Perù: si è voluto smantellare la pastorale inculturata nelle tradizioni indigene svilup-pata da cinque diocesi, nominandovi vesco-vi conservatori, ma nella base questo lavoro prosegue. L’idea per cui se cambia un vesco-vo muore tutto è semplicistica. A Cuzco, per esempio, i corsi e gli incontri per gli agenti di pastorale in passato realizzati dall’arcidioce-si adesso sono organizzati da un’istituzione costituita da laici che si chiama Istituto Sud Andino di ricerca e azione solidale. Perciò la realtà va vista nelle sfumature.Però questo momento infonde molta speran-za. Non solo nella Chiesa, ma nella società latinoamericana sono stati compiuti passi avanti, per esempio nella sensibilità verso le discriminazioni: in Perù oggi si critica mol-to l’emarginazione degli indigeni, mentre al tempo di Medellin non era così. Quindi pro-gressi e passi indietro coesistono.Diversa è poi la situazione politica: quando nacque la Teologia della liberazione le dit-tature militari erano in espansione e il con-tinente era attraversato dalla violenza; oggi, invece, c’è libertà di espressione e una demo-crazia almeno formale, anche se la realtà di fondo non è poi molto cambiata.

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Nuovi pannelli grafici per i giovedì in strada a Palermo.

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Piazza Umberto

si aggiranospauritii naufraghidei barconisulle sabbieasfaltatedi piazzaumbertosono naufraghicoloratidi barconi di maredi barconi di terradi barconi di cielocicaleggianodolentied estenuatinei recintidell’odio

e dell’indifferenzai loro corpitrascinanoproblemitrascinanodolorile loro animesono lontaneal di làdelle terreal di làdel cielo

Francesco Terzi*

Francesco Terzi (nella foto insieme a Yodit) è nato ad Adelfia (Bari) classe 1939. Nel 2006 pubblica la sua prima raccolta di poesie intitolata “il mare/la roccia” (Schena Editore), che gli permette di vincere numerosi premi in concorsi nazionali, nel 2011 pubbica la sua seconda raccolta “tutti figli di Barabba” (Progediti) che gli vale diversi e prestigiosi riconoscimenti.