NewsCinema Magazine - Maggio 2016

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Tante novità e curiosità sul cinema e le serie tv sul nuovo numero di NewsCinema Magazine di Maggio. Grandi anteprime come Warcraft - L'Inizio, The Nice Guys, Il GGG. Speciali su due star come Will Smith e Matthew McConaughey, ma anche degli interessanti focus su due grandi registi: Gus Van Sant e Roland Emmerich! Il nuovo film di Pedro Almodovar, X-Men Apocalisse e tanto altro. Per gli amanti delle serie tv uno sguardo approfondito al nuovo prodotto di Robert Kirkman, Outcast, e le urlanti Scream Queens a Giugno su Fox.

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NewsCinema.it

Testata Giornalistica di Cinema e Serie TvMensile Maggio 2016 ANNO III - N. 13

Registrazione Tribunale di Roma n.203/11del 17 Giugno 2011

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Direttore ResponsabileGiuseppe Rogolino

Capo Redattore/Capo ServizioLetizia Rogolino

Redattore/Responsabile Serie TvCarlo Andriani

Hanno collaborato a questo numero:Carlo Andriani

Letizia RogolinoDavide Sette

Leila Cimarelli

EditoreASTUS s.r.l.

Tel +39 0692918588 - Fax 0692911910Roma - Italia

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the nice guysIL folle buddy movie con russell crowe e ryan goslingdi Carlo Andriani

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“Sono una persona cattiva? Si“. Con l’esilarante scambio di battute tra Holland March (Ryan Gosling) e Holly  (Angourie Rice) introduciamo l’analisi di The Nice Guys, l’action a tinte noir scritto e diretto da Shane Black, il regista di Kiss Kiss Bang Bang e Iron Man 3. Interpretato da Russell Crowe, Ryan Gosling, Matt Bomer, Kim Basinger e Angourie Rice, The Nice Guys vede il picchiatore su commissione Jackson Healy (Russell Crowe) e il detective Holland March unire le forze per ritrovare una ragazza coinvolta nel delitto di un’attrice porno. I due, accomunati da scarso senso di giustizia e metodi risolutivi violenti, si addentreranno nella corrotta Los Angeles di fine anni ’70 dove, tra scazzottate, bagni di sangue e diaboliche femme fatale, sarà difficile sopravvivere. L’esplosivo prologo regala solo un assaggio di quello che vedremo nei 120 minuti di The Nice Guys, il film che segna il ritorno di Shane Black al buddy movie dopo la parentesi cinecomics  di Iron Man 3; un’operazione rischiosa che, mettendo insieme due attori come

Ryan Gosling e Russell Crowe, omaggia la fine degli anni ’70 con una soundtrack a tema e una fotografia vintage. L’umorismo dissacrante e l’imprevedibilità della storyline sono i punti di forza di una action-comedy ricca di ritmo, gore alla Quentin Tarantino e brillanti idee di regia. Se Gosling rende il personaggio di Holland divertente ma a tratti eccessivo, Crowe convince nei panni del burbero Jackson; due ruoli che, in un modo o in un altro, si integrano dando una marcia in più al film. Il resto del cast è altrettanto sorprendente:   Angourie Rice è perfetta nei panni della furba figlia di Holland e Matt Bomer  è memorabile in  ruolo diverso dal solito. Di veri problemi in The Nice Guys non ce ne sono. La durata eccessiva e alcuni cali di tono sono piccole pecche di un buddy movie unico nel suo genere. Un noir sopra le righe che, seguendo la scia di Arma Letale (scritto dallo stesso Black), potrebbe dar vita a un nuovo irresistibile franchise. The Nice Guys verrà distribuito dalla Lucky Red in tutti i cinema italiani il 1 giugno 2016.

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l’ iniziowarcraft

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“C’è una guerra tra orchi ed esseri umani sin da quando ho memoria ma c’è stato anche un tempo in cui non sapevamo chi fosse il nostro nemico“. Chi parla è Durotan, il protagonista della trasposizione cinematografica di uno dei giochi di ruolo più amati degli ultimi venti anni, World of Warcraft; un videogame online giocato  da oltre 12 milioni di persone nel mondo e  un fenomeno di culto per i proseliti della Blizzard. Realizzarne un film era una sfida perché, a differenza di Tomb Raider o Resident Evil, Warcraft strizza l’occhio al fantasy, il genere più rischioso da portare al cinema. Eppure Duncan Jones, il regista degli ottimi Moon e Source Code, firma  Warcraft – L’inizio;  l’epica  battaglia tra due antieroi appartenenti a razze diverse ma uniti dal tentativo di salvare le loro terre dalla distruzione. Il blockbuster di Jones non  restituisce l’imponenza e la vastità del videogame da cui trae origine. Il

problema principale è la sceneggiatura firmata a quattro mani da Jones e Charles Leavitt che ci catapulta nel regno di Azeroth senza introdurre  i personaggi o l’universo  immaginifico che li circonda; sul grande schermo compaiono una serie di dinastie, magie e creature  familiari per chi conosce il gioco ma avvolte dal mistero  per i  semplici fruitori di cinema. Warcraft – L’inizio nasce da un videogame ma è prima di tutto un film e, come tale, deve poggiare  su fondamenta più solide di quelle erette da Jones “citando” i vari Il signore degli Anelli o Avatar. La tipologia di gioco, vicina al fantasy, rende la sfida più ardua; basti pensare alla trilogia de Lo Hobbit che, nonostante il coinvolgimento di maestri del genere come Peter Jackson e Guillermo Del Toro, resta povera di contenuti. La sensazione dominante è quella di trovarsi di fronte a un b-movie.  L’orchessa interpretata da Paula Patton è la fusione tra la Neitiry di Avatar  e la Gamora de I guardiani della galassia,

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Il fantasy dal videogioco al cinemaper la regia di Duncan Jonesdi Carlo Andriani

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entrambe interpretate dalla ben più espressiva Zoe Saldana. Ma del capolavoro di James Cameron  torna anche l’eccesso di CGI, una tecnologia che non è (ancora) in grado di conferire umanità alle sue creature; più vicine a un videogame per la playstation 4 che a un film vero e proprio. Chi pensa di trovare qualche brivido nella parte “reale” rimarrà deluso. Tralasciando l’affascinante interpretazione di Ben Foster e l’ottimo (e inaspettato) cameo di Glenn Close, Travis Fimmel e Dominic Cooper  restano vittime di personaggi poco sviluppati, di un montaggio inesistente e di un’ironia di fondo che non funziona quasi mai. Il risultato è un videogame a cui solo qualcuno amerà giocare mentre molti altri preferiranno spegnere la consolle. L’unica certezza  è che World of Warcraft, nonostante l’ambizioso tentativo di Jones, non ha le carte per diventare una saga cinematografica fantasy. Warcraft – L’inizio verrà distribuito dalla Universal Pictures in

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MoneyMONSTERla crisi economica secondo jodie fosterdi Letizia Rogolino

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Dopo  Mr. Beaver  Jodie Foster  ha diretto alcuni episodi delle serie tv House of Cards e Orange is the New Black, per tornare sul grande schermo alla regia di Money Monster – L’Altra Faccia del Denaro, nelle sale italiane dal 12 Maggio e in anteprima alla 69° edizione del Festival di Cannes. “Jodie è una regista di talento e sa come parlare agli attori. E’ molto brava nel creare un ambiente piacevole sul set, lavorando comunque in modo professionale, divertendosi” ha dichiarato George Clooney durante la conferenza stampa del festival francese. Quest’ultimo interpreta il protagonista Lee Gates, un conduttore  televisivo eccentrico e sopra le righe che entra nelle case degli americani con il programma Money Monster. Un giorno come tanti un ragazzo arriva furtivamente nello studio televisivo armato, e prende Gates in ostaggio, poichè lo ritiene responsabile della sua bancarotta. Il mondo segue in diretta la vicenda, mentre la producer del programma interpretata da Julia Roberts, cerca in tutti i modi di salvarlo fino a rivelare una scomoda verità. “E’ un film che riflette sul rapporto tra news

ed intrattenimento. Il programma condotto dal mio personaggio dà consigli su come fare soldi e la gente gli crede, finendo per perdere tutto” ha aggiunto Clooney, sottolineando il nucleo narrativo del film che, pur essendo un thriller intenso e dinamico, invita lo spettatore a rendersi conto dei punti deboli dell’epoca attuale soffocata dai media e dalla tecnologia e con un costante desiderio di ricchezza. La necessità di essere constantemente connessi e vivere una vita “live” sotto gli occhi di tutti spiega il successo dilagante del reality show e denuncia la condizione dell’essere umano sempre più prigioniero di un pericoloso  voyeurismo. Dalle gioie al fallimento, ogni emozione e avvenimento diventa spettacolo, dai fatti di cronaca nera alla celebrazione di eventi di interesse pubblico. Il giovane Kyle, interpretato magistralmente da John O’Connell, ha una personalità instabile, diventata tale in seguito ad una delusione e all’incapacità di poter andare avanti con la sua vita  senza essere distrutto dai problemi finanziari. La sua è una lotta contro il  sistema che trova in Gates un capro

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espiatorio. Si sente in obbligo di fare qualcosa per cambiare la sua vita e di farla in pubblico per ottenere un risultato più efficace. Money Monster – L’Altra faccia del Denaro è un film costruito sulla tensione in cui convivono in perfetto equilibrio il contenuto e l’intrattenimento. Jodie Foster riesce a far riflettere la società americana sull’inconsistenza del dio denaro che molti inseguono ascoltando i consigli di venditori da strapazzo che sanno come usare le parole nel modo giusto, e nello stesso tempo realizza un perfetto film coinvolgente ed emozionante. “Attraverso i personaggi ho esplorato differenti culture del Paese” ha sottolineato l’attrice/regista che porta sullo schermo una storia di persone sotto pressione che devono fare i conti con loro stessi e il prossimo impegnandosi in un contesto psicologico vario ed intrigante. Julia Roberts convince nei panni di una donna forte che mantiene il sangue freddo dall’inizio alla fine, inseguendo una soluzione in modo razionale e stoico, mentre i personaggi maschili sembrano tutti avere una pessima reputazione di se stessi. La storia non si svolge in molte location differenti, ma riesce comunque a trasportare lo spettatore nell’azione ricca di svolte narrative, in un gioco tra giusto e sbagliato che mischia le carte e non celebra un eroe in particolare. Ogni personaggio ha numerose  sfumature e regala un suo lato a seconda del confronto con l’altro e della sua storia personale. Quindi vi consigliamo di non perdere Money Monster – L’Altra faccia del denaro, anche solo per i siparietti di Clooney che più di una volta balla al fianco di due vallette su ritmi assurdamente hip pop e con degli outfit assolutamente inediti.

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La pazzaGIOIA

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Dopo la parentesi thriller de Il capitale umano Paolo Virzì  torna al dramma comico con La pazza gioia, un’opera furba che ruba il cuore dello spettatore. L’eco de La prima cosa bella è forte. Tornano Micaela Ramazzotti e quell’attenzione alle antieroine che caratterizza il suo cinema. Le protagoniste de La pazza gioia sono Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella Morelli, due donne fragili e diverse tra di loro ospiti di una comunità terapeutica per disturbi mentali. Neutralizzate  le misure di sicurezza, le due iniziano una disperata ricerca della  felicità. Ma che cosa nasconde il mondo reale? E soprattutto, qual è il confine tra la follia e la normalità? Il punto di forza de La pazza gioia è il brillante script confezionato a quattro mani da Paolo Virzì e Francesca Archibugi  sul talento delle brave Valeria Bruni

Tedeschi e Micaela Ramazzotti. Se la  Ramazzotti emoziona nei panni della struggente e disperata Donatella, la Tedeschi conquista con la bizzarra follia di Beatrice Morandini Valdirana, una sedicente contessa, a suo dire, in intimità coi potenti della Terra. Le due, opposte per cultura ed estrazione sociale, sono legate da quella  “follia” che le convince a fuggire verso il nulla; un espediente che consente a Virzì di riscrivere un genere abusato come il road-movie e di citare “involontariamente” il Thelma & Louise di Ridley Scott. Il dramma è palpabile ma perfettamente calibrato da una parte comica che regala più volte un sorriso nello spettatore. La regia, potente ma mai sopra le righe, si limita a sbirciare (senza giudicare) due donne più sane del mondo che le circonda. Beatrice e Donatella sono inconsapevoli di essere folli ma autentiche; due incomprese  che hanno bisogno

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L’emozionante commedia sulla folliadi Paolo Virzì dopo il noir Il Capitale Umanodi C.A.

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l’una dell’altra per sopravvivere. La pazza gioia convince grazie a una sceneggiatura forte, a una regia attenta ai personaggi e a un pizzico di furbizia, mascherata da Virzì con una commistione di generi irresistibile. Il risultato è un film con qualche fragilità che regala due ore di grande intrattenimento e un pizzico di commozione. Non siamo al livello de Il Capitale Umano, ma la La pazza gioia è l’ennesima conferma del talento di Virzì; un autore che rappresenterà, nel migliore dei modi, il cinema tricolore alla Quinzaine di Cannes. La pazza gioia verrà distribuito da 01 Distribution in tutti i cinema italiani il 17 maggio 2016.

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L’ISOLA DEL CINEMAHollywood sul Tevere è il titolo della ventiduesima edizione de L’Isola del Cinema (9 giugno-4 settembre), che dal 1995 ad oggi ha accolto oltre sei milioni di spettatori nella splendida cornice dell’isola Tiberina, ormai simbolo per eccellenza dell’estate romana, che per tre mesi ospiterà proiezioni, incontri, mostre ed eventi esclusivi per chi il cinema lo fa e per chi lo apprezza. “L’Isola verrà trasformata quest’anno in un luminoso set pronto ad ospitare sia il nuovo cinemaitaliano e le produzioni indipendenti provenienti da ogni parte del mondo, sia film recenti legati alla industria

cinematografica e agli Studios. Così potrà continuare ad offrire ai circa 300.000 visitatori annuali la magia del Cinema sul grande schermo” ha spiegato il direttore artistico de L’Isola, Giorgio Ginori. L’edizione 2016, che si svolgerà da metà di giugno alla prima settimana di settembre, potrà contare su quattro sale: l’Arena, grande spazio sotto le stelle in grado di contenere circa 600 persone; il CineLab, area dedicata alle rassegne di film italiani e internazionali d’autore, retrospettive, tributi, omaggi; lo Schermo Tevere, con affaccio sulla Piazza dell’Isola Tiberina; la Sala dell’Assunta,

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situata all’interno dell’Ospedale Fatebenefratelli che accoglie Hospitalis, iniziativa de L’Isola del Cinema dedicata a quanti si trovano costretti a vivere un momento di difficoltà. Tanta qualità e varietà nella selezione delle opere (circa duecento) e curiosità verso tutte le nuove forme di cinematografia. Tra i film della scorsa stagione presentati Lo chiamavano Jeeg Robot, dell’esordiente Gabriele Mainetti reduce dal successo di critica e spettatori e vincitore di sette Premi David di Donatello; Non essere cattivo, capolavoro di Claudio Caligari presentato postumo alla Mostra del Cinema di Venezia; Fuocommare, di Gianfranco Rosi vincitore dell’Orso d’Oro nel corso della 66esima edizione della Berlinale; ed ancora Spectre, ultimo episodio della saga di James Bond girato in parte a Roma, ed i prestigiosi The Hateful Eight di Quentin Tarantino, con le musiche del Premio Oscar® Ennio Morricone, e Revenant - Redivivo, diretto, co-scritto e co-prodotto da Alejandro González Iñárritu ed interpretato dal Premio Oscar® Leonardo Di Caprio. Obiettivo de L’Isola è quello di celebrare il cinema e divenire portavoce di una proposta culturale originale, capace di attrarre un target ampio di spettatori con il solo intento di diffondere e valorizzare la cultura cinematografica nelle sue molteplici sfumature. La programmazione propone al pubblico i migliori film della stagione presentati dai grandi protagonisti del cinema internazionale nelle sezioni dedicate al Cinema Italiano – diviso in Ciak d’Italia, il cui tratto distintivo è l’incontro con celebri autori e attori, e Noi che non siamo Hollywood, categoria legata alla presentazione delle opere italiane indipendenti; CinemaInternazionale – composta da Hollywood Hollywood ed Europa Europa, capolavori mostrati in lingua originale sottotitolata tra quelli premiati agli Oscar e una selezione delle migliori opere europee dell’ultimo anno; ed ancora Isola Mondo, sezione realizzata in collaborazione con le Ambasciate e gli Istituti di Cultura interamente dedicata alla presentazione delle opere inedite provenienti da tutto il mondo. Arricchiscono il programma tre concorsi: Premio Groupama Opera Prima e Seconda, la cui specificità è la promozione e la diffusione delle opere prime e seconde di giovani talenti; lo spazio dedicato all’estro creativo femminile, European Woman Filmmaker; e

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“Mamma Roma e i suoi quartieri”, concorso di cortometraggi prodotto in collaborazione con Biblioteche di Roma e Maiora Film. Tra le iniziative culturali anche I Mestieri e le Professioni del Cinema, una serie di appuntamenti con i professionisti del settore, tra cui sceneggiatori, direttori della fotografia, tecnici degli effetti speciali. “L’Isola è emozione, è visione ed è in special modo esperienza collettiva che è all’origine della settima arte: il cinema, il pubblico, il Tevere, Roma sullo sfondo e in alto le stelle” ha concluso il direttore Ginori. Per la sua ventiduesima edizione L’Isola del Cinema ha scelto come immagine coordinata Liz Taylor: l’indimenticabile diva dall’indefinibile colore degli occhi, nel ritratto fotografico di Gianni Bozzacchi. Proprio il suo sguardo così intenso, riflessivo, attento, incisivo è lo sguardo del cinemae sul cinema, forma d’arte che sarà raccontata nelle sue varie forme nel corso di questa appassionante maratona.

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Stonewallil dramma sulle origini del movimento LGBTdi C.A.

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In attesa di lanciare Independence Day – Rigenerazione, Roland Emmerich si prende una pausa  dai disaster movie con Stonewall, il film sulla rivolta LGBT del 28 giugno 1969; un importante momento storico portato al cinema nel 1995 da Nigel Finch e aggiornato in chiave pop dal regista di 2012 attraverso l’emozionante storia di Danny Winters (Jeremy Irvine), un giovane ragazzo che, ripudiato dalla famiglia perché omosessuale, si ritrova catapultato nel Greenwich Village di New York. Il travestito Ray (Jonny Beauchamp) e l’attivista moderato Trevor (Jonathan Rhys-Meyers), tra omaggi a Judy Garland e ribellioni ai soprusi della polizia, lo introducono nello Stonewall Inn, il celebre locale gay dove avrà  inizio la rivolta. “I gay vengono classificati come mentalmente malati”. Con queste parole si apre Stonewall, l’incursione nel dramma di Roland Emmerich che racconta  la lotta che ha dato origine al movimento gay; una serie di scontri tra gruppi di omosessuali e la polizia di New York esplosa il 28 giugno del 1969. Abbandonata

la  pretesa documentaristica, Emmerich firma un’opera patinata e impersonale che, nei colori sgargianti e nelle sfumature pop, ricorda il cinema di Baz Luhrmann. La confezione impeccabile non crea però la giusta dimensione per raccontare una storia profondamente drammatica e toccante. Emmerich è un regista che sa costruire alcune delle sequenze più complicate della storia del cinema ma è anche un autore freddo e distaccato; una debolezza che lo rende  inadatto a narrare vicende che avrebbero avuto bisogno di coinvolgimento ed emozioni per risultare convincenti. Il problema principale non è però la regia di Emmerich, ma la sceneggiatura di Jon Robin Baitz, accattivante nel porre le premesse dei moti e introdurre i personaggi ma debole nel raccontare la rivolta vera e propria, sintetizzata in 20 minuti di puro caos. Secondo una parte della critica  Stonewall  presenta inoltre  il problema del  whitewashing: nella realtà i protagonisti appartenevano a minoranze etniche mentre nel film è il personaggio immaginario di Danny Winters a scagliare il mattone che darà inizio alla rivolta.

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RolandEMMERICHil re dei blockbusterdi Davide Sette

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Ben venti lunghi anni sono passati dallo storico primo capitolo di Independence Day e milioni di fan aspettano ora al varco il nuovo, attesissimo, sequel Resurgence. Tra volti noti, nuovi arrivi e clamorosi addii, il mistero circonda ancora gran parte della produzione targata Emmerich. Nonostante ciò, nel corso degli ultimi mesi molti dettagli interessanti sono stati rivelati. Uno fra tutti la pesante assenza del vecchio protagonista, lo storico capitano Steven Hiller interpretato da Will Smith. Stando a quanto dichiarato dallo stesso regista, infatti, un eventuale ingaggio dell’attore statunitense sarebbe stato fin troppo costoso. Sono passati ormai venti anni da quando Independence Day approdò nelle sale di tutto il mondo, e proprio per questo Resurgence prenderà luogo esattamente un ventennio dopo gli eventi originali del primo film. In parte ispirato al romanzo di H.G. Wells La guerra dei mondi, e alla sua trasposizione cinematografica del 1953, Indipendence Day (arrivato in sala nel 1996) è un esempio emblematico della cifra stilistica di

Roland Emmerich, di una filmografia basata sulla spettacolarità e sulla magniloquenza, spesso a scapito di altri aspetti come sceneggiatura e coerenza narrativa. Nonostante ciò, la carriera di Emmerich va ben oltre il celebre film di fantascienza interpretato da Will Smith, ma è costellata di film che, nel bene e nel male, sono diventati dei veri e propri fenomeni cinematografici. Fin dagli esordi fedele al genere che lo renderà famoso, quello fantascientifico, il primo successo per Roland Emmerich arriva nel 1994 con Stargate, scritto a quattro mani con Dean Devlin e con protagonisti Kurt Russell e James Spader. Il successo della pellicola fu straordinario, tanto da incassare 196 milioni di dollari contro i 55 milioni spesi per la realizzazione, e vincere un Saturn Award come miglior film di fantascienza. Stargate ha dato poi il via a un enorme e redditizio franchise, tra serie televisive live action, una serie animata e due film direct-to-video. Il nome di Roland Emmerich è spesso associato, però, alla prima trasposizione americana del "re dei mostri"

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Godzilla, arrivata in sala nel 1998. Il film stravolse completamente le origini del lucertolone gigante, immaginando Godzilla come una grossa iguana geneticamente modificata dalle radiazioni prodotte da alcuni esperimenti nucleari francesi. Nella tradizione giapponese, invece, Godzilla è un cosiddetto Gojirasauro (da qui il nome giapponese Gojira), esemplare di una antica razza di dinosauri sopravvissuta alla completa estinzione dei loro simili, e risvegliatasi in seguito a dei test nucleari. Nonostante il buon successo al botteghino, la versione a stelle e strisce di Godzilla non convinse pubblico e critica, che accusarono il regista di aver rubato numerose idee dai ben più celebri episodi di Jurassic Park diretti da Steven Spielberg, specialmente nella caratterizzazione estetica della creatura protagonista. Dopo alcuni anni di inattività, con la realizzazione di un solo film passato in sordina, Il patriota (basato sulla guerra di indipendenza americana e interpretato da Mel Gibson e Heath Ledger), nel 2004 Emmerich ritorna prepotentemente alla ribalta con il film fantascientifico The day after tomorrow. Partendo dalla attualità politica di quegli anni, monopolizzata dal dibattito sul Trattato di Kyoto e sulla resistenza opposta dal vice presidente USA, il cineasta americano mette in scena la propria visione di un conflitto apocalittico tra natura e uomo, ponendo al centro della pellicola il tema ambientalista, come già fatto in passato con la sua prima opera, 1997 - Il principio dell'arca di Noè.

Dopo il mezzo passo falso di 10.000 AC, film epico del 2008 ambientato in età preistorica, Emmerich si è fatto conoscere anche dal pubblico più giovane grazie al successo commerciale del blockbuster apocalittico 2012, arrivato in sala nel 2009 cavalcando la grande onda mediatica della profezia Maya sulla fine del mondo. Nonostante la calorosa accoglienza del pubblico, che permise alla produzione di coprire gli ingenti costi della sua realizzazione, 2012 venne attaccato da gran parte della critica specializzata, collezionando un non particolarmente lusinghiero 39/100 come media voti sul noto aggregatore di recensioni RottenTomatoes. Pur avendo dedicato gran parte della sua carriera a film di stampo fantascientifico, Emmerich non ha mai rifiutato incursioni in altri tipi di genere, come quello storico, con Stonewall (basato sulle vicende dei moti di Stonewall avvenuti nel 1969 a New York) e Anonymous (sulla controversa attribuzione delle opere di William Shakespeare) o quello action con Sotto assedio - White House Down, con protagonisti Channing Tatum, Jamie Foxx e Maggie Gyllenhaal.

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La forestadei sogniun viaggio interiore tra america e giappone di L.R.

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Quando si decide di porre fine alla propria esistenza terrena, è difficile immaginare di avere la freddezza di scegliere persino il posto ideale su internet. Eppure mig l ia ia d i persone ogni anno raggiungono Jukai, una fitta foresta alla base nord-occidentale del Monte Fuji in Giappone proprio con questo scopo, dopo averlo trovato  come primo risultato di Google digitando  “a perfect place to die”. Chissà  come lo ha scoperto Gus Van Sant che ha deciso di costruire intorno a questo luogo il suo ultimo film, La Foresta dei Sogni, presentato in anteprima al Festival di Cannes del 2015 con scarso  successo e nelle sale italiane dal 28 Aprile.  Matthew McConaughey è  Arthur Brennan, un professore universitario che da qualche tempo non ha un buon rapporto con se stesso e con sua moglie, interpretata da Naomi Watts. La loro relazione ha subito un duro colpo e sembra un’impresa ardua ritrovare l’armonia e l’amore di un tempo, fino ad una grave malattia diagnosticata alla donna. Questa notizia tristemente inaspettata sconvolge Arthur, mettendolo di fronte

alla realtà dei suoi sentimenti e della sua vita, fino a condurlo all’altro capo del mondo, in Giappone, nella foresta fitta e misteriosa di Aokigahara, nota come “la foresta dei sogni”, situata alle pendici del Monte Fuji. Sconvolto dal dolore della perdita, egli penetra nella foresta e vi si perde, insieme al giapponese  Takumi Nakamura (Ken Watanabe), che, come lui, sembra aver perso la strada. Il regista di Paranoid Park e L’Amore che Resta torna ad affrontare l’eterno conflitto tra la vita e la morte, analizzando l’amore e la perdita come sentimenti principali che incidono sull’esistenza del protagonista.  Per gran parte del film si respira un’influenza della cultura orientale, che porta la storia su un piano narrativo sospeso tra la realtà e l’immaginazione, ingannando piacevolmente lo spettatore. La Foresta dei Sogni risulta un film drammatico che emoziona, commuove e incuriosisce, ma il suo punto debole è la sceneggiatura che spesso propone soluzioni inverosimili e dialoghi poco lineari, che indeboliscono i vari personaggi coinvolti.

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Non serve dire che il cast regala ottime interpretazioni, anche se è messo a dura prova da una  materia forse troppo complessa da affrontare con il registro stilistico scelto. Il cuore del film è in due relazioni: quella di una coppia in rotta di collisione che prova a ricomporsi in seguito al dolore, e l’interessante confronto tra Arthur e Takumi apparentemente uniti da un destino comune, che combattono insieme per ritrovare  la voglia di ricominciare. Un’avventura drammatica profondamente umana che vale la pena di vivere nonostante qualche nota stonata.

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Gus VanSANTun cinema impegnato tra autorialità e grande pubblico di Davide Sette

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In un panorama cinematografico sempre più polarizzato, dominato da una (forse inesistente) antitesi tra commerciale e autoriale, tra blockbuster e sensibilità artistica, è raro imbattersi in registi che sappiano essere tanto versatili da riuscire a sviluppare un proprio linguaggio e un proprio codice cinematografico, pur non rinchiudendosi nella cupola di vetro di una escludente visione intellettualistica del cinema. Un fulgido esempio di questa categoria di cineasti è sicuramente Gus Van Sant, regista statunitense che da anni prosegue verso un personale percorso artistico di sperimentazione e innovazione attraverso pellicole quali Gerry o Elephant, ma che spesso lo ha portato a confezionare prodotti (di qualità) per il grande pubblico, mettendo il proprio talento al servizio del mercato e della produzione. I più attenti, però, nella eterogenea e confusa filmografia del regista, riusciranno a trovare diversi punti di contatto fra le varie opere, dalle tematiche queer alla riflessione sulla adolescenza come punto

di passaggio fra vita e morte (ovvero la fine della giovinezza), così come la chirurgica attenzione posta nella filmica rappresentazione spaziale. Proprio lo spazio, nelle pellicole di Van Sant, si carica delle tensioni interne dei protagonisti che lo attraversano, non più semplice cornice dei dati sensibili, bensì prodotto delle nostre percezioni. Immutabile nella forma, sempre uguale a se stesso, ma così diverso, spesso antitetico, nelle sensazioni che può suscitare in ognuno di noi. È per questo che uno dei momenti più emblematici di tutta la filmografia del regista statunitense è la sequenza del corridoio di Elephant. Lo stesso spazio, il corridoio della scuola, è ripreso attraverso i differenti punti di vista di personaggi diversi fra loro, configurandosi ogni volta come un nuovo e inedito paesaggio emozionale. Per Michelle, per esempio, il corridoio diventa un luogo inospitale, che la attrae e la respinge, talmente impraticabile che la costringe a camminare ai margini della scena, lateralmente alla inquadratura.

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Uno spazio che ben si presta ad essere incasellato nella ormai celebre definizione di “non luogo” data da Augé. La scuola, intesa sia come ambiente che come momento di vita passata, è presente nella memoria collettiva della nostra società, tanto da riuscire a trasformare la strage narrata nel film da un fatto di cronaca apparentemente isolato al simbolico sterminio di una intera generazione di ragazzi senza bussola. Ma alla folla che riempie, saturandoli, i corridoi della Columbine High School in Elephant, si contrappone il deserto vuoto e desolato di Gerry, spazio fisico e mentale, annichilente in quanto priva i protagonisti di qualsiasi possibilità di orientamento. Ma quando si parla di Van Sant si parla anche di trasfigurazione del reale, di passaggio da empirico a virtuale e viceversa. Particolarmente importante in questo senso è la scena del “videogioco” nella prima opera del regista statunitense, Mala noche. La soggettiva di Johnny alle prese con un simulatore di guida, e la sua successiva sconfitta “virtuale”, è presagio della tragedia (reale) che lo coinvolgerà, insieme al suo compagno Walt, da lì a poco, metafora di un viaggio la cui destinazione ultima, come in Easy Rider, è proprio la morte. Gus Van Sant è stato però anche il regista di scene indimenticabili, di momenti di cinema in grado di commuovere il pubblico e parlare a una larga fetta di popolazione, dallo struggente “dimmi che non mi ami” pronunciato da Minnie Driver a Matt Damon nel celebre Good Will Hunting - Genio Ribelle (che valse una candidatura agli oscar allo stesso Van Sant e la vittoria come “miglior sceneggiatura”), al tragico assassinio di Harvey Milk. Limpido esempio del grande interesse posto dal regista (dichiaratamente omosessuale) verso le tematiche gender, di cui è convinto portabandiera insieme a Xavier Dolan e alle sorelle Wachowski, il proiettile che uccise Milk, sparato dal Dan White interpretato da Josh Brolin, è un proiettile che arriva nel cuore di tutte le minoranze discriminate da una società ancora così tragicamente crudele e razzista.

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Ma Van Sant sarà a lungo ricordato (forse non in maniera particolarmente positiva) anche per il coraggio e la sfacciata audacia con cui decise nel 1998 di dirigere il suo personale “remake” dello Psycho di Alfred Hitchcock. È ormai celebre la scena in cui Norman (Vince Vaughn) si masturba spiando dalla serratura Marion (Anne Heche) in procinto di svestirsi, plastica dimostrazione del gusto provocatorio del regista. Provocazioni che siamo sicuri faranno ancora molto discutere anche in vista del prossimo La foresta dei sogni, in arrivo nelle nostre sale a partire dal prossimo 28 aprile. Il film, interpretato da Matthew McConaughey, Naomi Watts e Ken Watanabe, cela sotto la patina di dramma matrimoniale, una profonda e angosciante riflessione sul desiderio di morte e sulla fine della vita.

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MatthewMcCONAUGHEYil talento versatile che ci ha sorpresodi Leila Cimarelli

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L’americano più amato tra i divi di Hollywood, in questi ultimi anni ha segnato il cinema internazionale interpretando ruoli in maniera magistrale e spesso con dure prove da superare. Il suo esordio, avvenuto circa 20 anni fa, vede un giovanissimo Matthew prendere parte a film di vario genere, come l’horror movie Non aprite quella porta IV, insieme ad una giovanissima e alle prime armi Renée Zellweger. Provini su provini, tengono impegnato il bel ragazzone, come quello per la parte di Jack Dawson, in veste di protagonista in Titanic, andata poi a Leonardo DiCaprio. A differenza dei suoi colleghi, le prime esperienze sono state tutte di alto livello, una gavetta come la sua farebbe invidia a chiunque. Dividere il set con attori come Jodie Foster ed essere diretti da Steven Spielberg, John Grisham e Robert Zemekis, è un privilegio di pochi.A partire dal 2001 inizia a dedicarsi al filone delle commedie di stampo romantico, molto in voga in quegli anni. Alcuni titoli che hanno fatto innamorare nonne, mamme e figlie sono Prima o poi mi sposo con Jennifer Lopez e Come farsi lasciare in 10

giorni con Kate Hudson. Il bel Matthew dopo aver dedicato parte della sua carriera per questi ruoli più “morbidi”, decide di cambiare totalmente registro, forte della grande esperienza acquisita nel corso degli anni, dal suo esordio. A regalargli le prime soddisfazioni per aver interpretato ruoli più impegnati, ci pensa Killer Joe di William Friedkin, con il quale riceve vari riconoscimenti in campo cinematografico. Il dono di passare da personaggi più seri a quello di spogliarellista con un fisico scolpito in Magic Mike insieme a Channing Tatum, è un dono che senza dubbio gli appartiene. Fu un trauma per tutti, in particolar modo per le donzelle, che abituate alla sua fisicità perfetta, hanno dovuto far posto ad un Matthew McConaughey, dallo sguardo spento, magrissimo e trasandato, nella pellicola Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée. Seguire una dieta drastica e perdere ben 23 chili, è stata l’impresa più ardua che il bell’attore statunitense fino ad ora, ha dovuto affrontare. Portare sul grande schermo un cowboy omofobo e malato di AIDS, è stata una delle sue interpretazioni

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più apprezzate, tanto da fargli vincere una valanga di premi. Uno tra tutti, il Premio Oscar come Migliore attore Protagonista nel 2013. Negli ultimi 3 anni, dopo aver vinto l’ambito premio, il mondo del cinema resta affascinato dalla sua bravura, ritenuta da molti “inaspettata”, iniziando a prendere parte ad alcuni film spesso criticati come The Wolf of Wall Street sotto la direzione di Martin Scorsese e la serie tv per la HBO, True Detective. Tra i suoi ultimi lavori che hanno lasciato il segno è impossibile non citare il bellissimo Interstellar del regista Christopher Nolan. Dopo tutti questi riconoscimenti, il 17 novembre 2014 è riuscito ad ottenere la stella sulla Hollywood Walk of Fame. Gli appuntamenti che sono segnati senza dubbio nell’agenda di Matthew McConaughey lo vedono in veste di doppiatore di ben due attesissimi film d’animazione, quali, Sing, insieme a Scarlett Johansson, Reese Witherspoon e tanti altri, e Kubo e la Spada Magica, ma questa volta con Ralph Fiennes, Rooney Mara e Charlize Theron. In qualità di attore, in carne ed ossa, nei prossimi mesi del 2016 e inizio 2017, sarà il protagonista del film Free State of Jones, nel quale è un contadino che si ribella durante la Guerra Civile. Successivamente sarà nella pellicola Gold, basato su una storia vera del 1993, nel quale viene raccontato lo scandalo della Bre-X Minerals Ltd. fondata da David Walsh. A completare la triade ci pensa Billionaire’s Vinegar, nel quale viene ripercorso lo scandalo che riguardava le bottiglie di vino appartenute a Thomas Jefferson. La data certa di queste pellicole, ancora non è stata divulgata, ma portate pazienza! Per ora, per poter ammirare il bel Matthew, in tutta la sua bellezza e bravura, dovete aspettare il 28 aprile 2016 con La Foresta dei Sogni del regista Gus Van Sant.

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Julietala dualità del dolore nel nuovo film di pedro almodovar di L.R.

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Applausi poco convinti a Cannes per il nuovo film di Pedro Almodovar, Julieta, che sarà nelle sale italiane dal 26 Maggio 2016. La Spagna lo ha visto in anteprima con scarso successo, anche a causa dell’influenza della questione dei Panama Papers che ha coinvolto direttamente il regista spagnolo e suo fratello. “La stampa spagnola ci ha descritto come protagonisti di questa vicenda, ma in realtà siamo state solo delle comparse” ha spiegato Almodovar durante la conferenza stampa del film. Adriana Guerte ed Emma Suarez sono due volti della stessa donna, protagonista di un dramma al femminile che si sviluppa nell’arco di due filoni temporali tra passato e presente. Julieta è una professoressa di liceo che ha perso tutti i contatti con la figlia da molti anni. Quando, per le strade di Madrid, incontra una vecchia amica della ragazza, prendono nuovamente vita i ricordi e la nostalgia, e

la donna  comincia a scrivere una lunga lettera, r ipercorrendo la sua storia famil iare dal concepimento alla separazione. Almodovar è sempre stato affascinato dall’universo femminile, e anche in questa occasione costruisce l’intera storia intorno ad una donna vulnerabile e vittima di una serie di eventi intensi e dolorosi. L’idea del film viene da tre racconti brevi della scrittrice Premio Nobel Alice Munro, adattati per il grande schermo dal regista di capolavori come Tutto su Mia Madre e Parla con Lei. Ma questa volta il risultato non è convincente. La struttura narrativa è sconnessa e più simile a quella di una telenovela, anche se El Pais ha riconosciuto la sceneggiatura come “una delle migliori di Pedro Almodovar”. Il film risulta alquanto superficiale e approssimativo, presentando questo rapporto madre-figlia in cui l’amore si trasforma bruscamente in mancanza di fiducia e rancore. La

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protagonista che soffre per il dolore della perdita e una sindrome di abbandono graduale, sembra essere l’unica in grado di emozionarsi ed emozionare, mentre gli altri personaggi sembrano freddi ed impassibil i togliendo intensità al film. Il cinema di Almodovar si riconosce nella fotografia accesa di tinte estreme con una predominanza di rosso e blue che sottolinea ancora una volta l’esplicita influenza della cultura pop e degli anni ’70 che hanno formato l’autore. Ma la formula del cosiddetto “almodramma” non trova la sua realizzazione seguendo una serie di regole sbagliate e imperfette. Negli ultimi anni Almodovar sembra aver dimenticato l’intensità e lo spessore di un cinema d’autore riconosciuto, ma speriamo che presto possa r i t rovare la creat iv i tà e l’ispirazione per tornare al suo stile unico ed irresistibile.

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miamibeachil ritorno dei fratelli vanzina di Carlo Andriani

Anche quest’anno i fratelli Vanzina tornano al cinema con una commedia ricca di personaggi sopra le righe, modelle da favola e location esotiche. Stiamo parlando di Miami Beach, un’opera raffinata  e divertente lontana anni luce dalle volgarità dei cinepanettoni di Neri Parenti. Ripercorrendo i quaranta anni di carriera di Carlo ed Enrico Vanzina ritroviamo scult come S.P.Q.R. e A Spasso nel Tempo, ma anche piccole perle come Il cielo in una stanza e South Kensington. Se nel film con Enrico

Brignano e Rupert Everett i registi più prolifici del cinema italiano raccontavano la storia degli italiani a Londra, qui ricostruiscono con intelligenza e ironia il mondo tricolore  a Miami. Nella assolata città californiana vanno a studiare Luca (Filippo Laganà), figlio di Giovanni (Max Tortora), e Valentina (Camilla Tedeschi), figlia di Olivia (Paola Minaccioni). Durante il viaggio in aereo da Roma a Miami Olivia e Giovanni litigano furiosamente ma i loro figli finiscono nella stessa università e si innamorano. Nel

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frattempo Giulia  (Neva Leoni) abbandona all’aeroporto suo padre Lorenzo  (Ricky Memphis) prima di una noiosa vacanza in Bretagna e scappa a Miami per assistere al concerto di deejay più importante del mondo. Lorenzo decide così di riportarla a casa ma si imbatte in Bobo (Emanuele Propizio), uno studente fuoricorso che gli insegnerà a sopravvivere nella metropoli. “Encantada…. So più encantado io”. Tralasciando alcune battute poco brillanti, Miami Beach è una commedia di impronta americana che racconta gli italiani all’estero: “È la prima volta che vediamo gli italiani in un campus americano-ha dichiarato  Carlo Vanzina – mi divertiva l’idea di ritrovare gli studenti italiani nei  college che abbiamo visto innumerevoli  volte nei film dei Farrelly”; effettivamente l’influenza da teen USA come Animal House e American Pie si sente in Miami Beach, un’opera garbata e onesta che non cede all’umorismo triviale. La battuta come la parolaccia non è fine a se stessa ma scritta e pensata sugli interpreti principali guidati da un Max

Tortora  che, tra Alberto Sordi e Christian De Sica,  trova il giusto equilibrio per regalare divertimento di qualità. Dimenticate il debole La coppia dei campioni  perché in Miami Beach, supportato dalla esilarante  Paola Minaccioni, Tortora aggiorna finalmente il cliché del romano/milanese: “Quando la sceneggiatura è perfetta è facile camminare bene – ha affermato Tortora – Da romano ho difficoltà a parlare italiano quindi continuo a recitare in romano“; più fragile invece è il duo Memphis/Propizio che diverte poco per via di una storyline che abbiamo visto troppe volte sul grande schermo. Nonostante le basse premesse i figli d’arte Filippo Laganà e Camilla Tedeschi e la semi-esordiente Neva Leoni danno un sapore romanticamente inedito all’opera. Miami Beach è così una commedia che, a dispetto del titolo, regala 88 minuti di quel divertimento e quella ironia perfetti per inaugurare la stagione cinematografica estiva. Miami Beach verrà distribuito da 01 Distribution in tutti i cinema italiani il 1 giugno 2016.

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SOMNIAl’HORROR DA INCUBO DI MIKE FLANAGAN di C.A.

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“Somnia vuol dire sogni. Cosa è un figlio se non un sogno?”. Jessie (Kate Bosworth) e Mark (Thomas Jane) non sono più gli stessi dopo la perdita del piccolo Sean. Non potendo avere altri bambini, la coppia decide di prenderne uno in adozione. Arriva così Cody (Jacob Tremblay), un bambino dolce e intelligente terrorizzato all’idea di addormentarsi. Jessie e Mark non danno peso alla cosa fino a quando non scoprono la capacità paranormale di Cody di tramutare i sogni in realtà. Le cose si complicano ulteriormente quando Cody, dopo aver visto una foto di Sean, lo “riporta in vita” durante la fase REM. Commossi dall’evento miracoloso, i due tentano di dare una immagine dettagliata del figlio  a Cody in modo da condizionarne i sogni e  rivedere Sean ancora una volta. Ma il  piccolo Cody nasconde un segreto: anche i suoi incubi diventano realtà…Reale e soprannaturale si intersecano in Somnia, l’horror dalle sfumature sci-fi diretto da Mike

Flanagan che, dopo Absentia e Oculus, continua a regalare interessanti sorprese per gli amanti del genere. Caratterizzato da tre parti diverse tra di loro, Somnia parte come un fantasy per ragazzi, si evolve come un horror alla James Wan e finisce come un thriller investigativo; tre tipologie di film racchiuse in 90 minuti di fascino, mistero  e ambizione. La paura nasce dagli stratagemmi più classici del cinema di genere come i rumori improvvisi, gli scricchiolii del legno e la tecnica del vedo/non vedo utilizzati in cult come  Insidious, Sinister e L’evocazione. Flanagan è un autore abituato a lavorare con budget miseri (il cortometraggio Oculus è costato 2000 dollari e Absentia  70.000 dollari ); un punto di forza che gli permette di non strafare di CGI ma di spaventare con make-up di effetto e immagini efficaci: “Nelle pagine della sceneggiatura abbiamo creato questo mondo di incubi fantasy – ha rivelato Flanagan – siamo stati fortunati perché tutti quelli che hanno

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finanziato il film si sono battuti per preservare, proteggere e perfino accrescere l’ambizione delle sue immagini visive“. Ma Somnia non eccelle tanto per la potenza visiva quanto per la capacità di coniugare il cinema fantastico/horror con il lato oscuro dell’umanità. C’è un po’ di Friedkin, Murnau, Craven e Del Toro in Flanagan, un autore che utilizza il sogno per affrontare tematiche forti come il lutto, l’abbandono e la rielaborazione di un ricordo ormai perso per sempre. Il ritmo è inversamente proporzionale alla solidità di un film costruito sul talento di Jacob Tremblay (che abbiamo amato in Room) e sull’ambizione di un regista disposto a rischiare il tutto per tutto per rinnovare il cinema di genere; un obiettivo raggiunto da Somnia, un horror che vi sorprenderà fino alla fine regalandovi una buona dose di spaventi e un pizzico di commozione.

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GRANDE GIGANTE GENTILEil celebre romanzo di roal dahl al cinema con steven spielberg di Letizia Rogolino

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Sogni ad occhi aperti alla 69° edizione del Festival di Cannes con l’anteprima mondiale de Il GGG – Il Grande Gigante Gentile, il nuovo film di Steven Spielberg che porta per la prima volta sul grande schermo il celebre romanzo per ragazzi di Roal Dahl. Intere generazioni sono cresciute con l’avventura della piccola Sofia e il grande gigante gentile, con il desiderio di assaggiare il cetrionzolo o bere un sorso del verde sciroppio dai bizzarri effetti collaterali. In Italia dovremmo aspettare Gennaio 2017, ma il pubblico del festival francese ha avuto l’onore di vivere in anteprima la nuova avventura scritta da Melissa Methison, e diretta dal maestro della settima arte  che ha fatto sognare molte generazioni. Il Grande Gigante Gentile è diverso dai suoi simili, ha un animo buono ed altruista e il suo compito è quello di conservare i sogni per donarli ogni notte ai bambini girando furtivamente per le strade di Londra. Un giorno porta via con sè la piccola Sofia, una bambina che vive in un orfanotrofio ed inizia così un viaggio sulle ali

dell’immaginazione e della fantasia  nel  Paese dei Giganti.  Dopo la paura iniziale, Sofia instaura un’amicizia sincera ed affettuosa con l’amico di grandi proporzioni, aiutandolo nello scontro con i giganti cattivi ed affamati di esseri umani che lo tormentano ogni giorno, mettendo in pericolo il futuro del suo mondo.  Riprendendo la tecnologia CGI utilizzata per Le Avventure di Tin Tin, Steven Spielberg realizza il grande gigante gentile sui lineamenti del premio Oscar Mark Rylance. Ci si trova davanti alla perfetta versione virtuale del personaggio illustrato da Quentin Blake nel libro di Roal Dahl  e l’effetto meraviglia trasporta  lo spettatore in un mondo fantastico fatto di luci e colori che insieme danzano ricordando le magiche foreste di Avatar, di notte, e i suggestivi paesaggi de Il Signore degli Anelli, di giorno. La scenografia di ampio respiro occupa gran parte della scena, in cui si muovono la piccola Ruby Burnhill e la versione digitale di Mark Rylance, affiancati nel finale da un’ottima Penelope Wilton nei panni della Regina

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Elisabetta e Rebecca Hall. Spielberg ha costruito una carriera sui film destinati ad un pubblico di giovani adulti, collezionando veri capolavori come E.T. – L’Extraterrestre, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Jurassic Park e Indiana Jones e con Il GGG torna ad un cinema sognante e romantico, sfruttando la piacevole nostalgia di un’ infanzia anni ’80 e la materia prima letteraria che ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo fin dalla data di pubblicazione nel 1982. Sulle delicate ed avvolgenti note composte da John Williams, il film procede con un ritmo sostenuto, grazie ad una

sceneggiatura che rende giustizia al romanzo. Il vocabolario bizzarro del gigante e il ricevimento di quest’ultimo alla Corte inglese sono assolutamente da non perdere, anche se l’umorismo è forse spesso soffocato da situazioni eccessivamente leziose. Quindi Il GGG – Il Grande Gigante Gentile può considerarsi un esperimento riuscito, soprattutto per gli appassionati del cinema firmato Spielberg, che utilizza l’elemento fantastico con una potenza emotiva unica  che invita tuttavia ad una riflessione facilmente legata alla quotidianità.

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zona d’ombra

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La storia vera del medico legale cheha scoperto il lato oscuro del footballdi D.S.

Dal 21 aprile è nelle sale italiane il nuovo film diretto da Peter Landesman (Parkland, La regola del gioco), Zona d’ombra – Una scomoda verità, con protagonista Will Smith nei panni del neuropatologo Bennet Omalu, interpretazione che gli è già valsa una candidatura come “miglior attore protagonista” agli ultimi Golden Globes. Il film di Landesman, tratto da una storia vera, racconta di uno scontro millenario che da sempre caratterizza il mondo della ricerca scientifica, quello fra il sapere e il potere costituito, non più ecclesiastico  o di natura regia, bensì quello attuale delle lobby e dei comitati di affari. La narrazione prende il via dalla scoperta di una patologia che sconvolse nel profondo il mondo dello sport statunitense, e suscitò forti polemiche e risentimenti nei confronti del medico nigeriano: una malattia degenerativa del cervello che colpiva i giocatori di football vittime di ripetuti traumi a livello del cranio, e che si diffuse con velocità spaventosa

provocando una serie di decessi tra atleti e sportivi. Le eclatanti rivelazioni di Omalu, basate sul certosino studio dei cadaveri e dei loro cervelli, scatenarono le ire della National Football League e di tutti gli affaristi legati per motivi economici o personali al grande business dello sport più seguito di America. Il caso Spotlight ci ha recentemente insegnato che trattare argomenti di cronaca in maniera coinvolgente e cinematograficamente adeguata è possibile, puntando non solo su di un cast di attori in grado di reggere il peso della narrazione, ma curando anche gli aspetti più tecnici della produzione, dalla regia alla fotografia. A spiccare sul resto in questo nuovo Zona d’ombra è sicuramente la lucida e centrata interpretazione di Will Smith che, dopo un paio di lavori non proprio memorabili, riesce a ritrovare il giusto equilibro e a mettere in scena un personaggio vivido e credibile, con i suoi tormenti e la sua determinazione, senza

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mai calcare troppo la mano a favore di una recitazione sopra le righe o melodrammatica. Degne di riconoscimento anche le prove di Mbatha-Raw, nei panni della moglie Prema, e del dott. Julian Bailes interpretato dal sempre bravo Alec Baldwin. Nonostante ciò, la regia, seppur buona e funzionale alla narrazione, rimane appiattita sul piano televisivo per tutta la durata della pellicola, senza particolari guizzi o invenzioni, decidendo di mettere la storia raccontata al centro del prodotto. Una scelta determinata anche dal passato professionale dello stesso regista. Landesman è stato infatti per lungo tempo un giornal ista di inchiesta, interessatosi direttamente al caso Omalu, tanto da incontrare personalmente il dottore per una intervista sulle sue ricerche scientifiche. Il lavoro di Landesman è un film in grado di abbracciare una grande fetta di pubblico, grazie alla scelta di una narrazione sempre tesa e coinvolgente (che ricalca le atmosfere del thriller politico) e la presenza di un cast di primo livello, in grado di elevare una pellicola carente invece dal punto di vista prettamente stilistico e artistico. Nonostante ciò, la storia del dott. Omalu merita di essere raccontata e conosciuta anche “solo” per il grande insegnamento che può lasciare in ognuno di noi, quello di un uomo che ha deciso di non piegarsi a poteri più forti e più grandi di lui, e proseguire per la sua strada con dignità e coraggio, arrivando a dimostrare le sue tesi e a validare decenni di studi e ricerche condotti in solitaria. Una storia che, essendo poco conosciuta nel nostro Paese, dove il football è ancora poco diffuso, potrà sicuramente interessare e coinvolgere un grande numero di spettatori, pescando trasversalmente tra giovani e adulti.

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WillSMITHil principe di bel-air è cresciutodi L.C.

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Williard Carroll Smith Jr, ma conosciuto da tutti con il diminutivo di Will, è uno degli attori più amati dal pubblico di ogni età, merito tutti i personaggi che fino ad ora ha interpretato. Comico, rapper e produttore cinematografico, prima di essere tutte queste cose, i primi successi sono arrivati non grazie alla recitazione, ma bensì alla musica. A quanto pare l’incontro con Jeff Townes, segnò l’inizio della carriera di Will Smith, con il duo Jeff and the Fresh Prince, attraverso il quale iniziò a vedere i primi soldi importanti, tanto da comprare una casa, una macchina e vari gioielli. Senza dubbio l’anno della svolta è il 1989, quando conobbe Benny Medina e l’idea di trasformare la sua vita in una sit-com, con protagonista Will Smith. Chi non ha mai visto almeno una puntata o cantato la sigla di Willy: il Principe di Bel – Air? Ancora oggi è ricordata come la sit-com anni ’90 più amata dai giovani e dai meno giovani. Il successo derivato da questa idea, fu talmente grandioso che durò per ben 6 anni, costituendo un vero e proprio trampolino di

lancio per il giovanissimo Will, nelle produzioni cinematografiche hollywoodiane. Nel giro di pochi anni, si divide tra un set ed un altro, come quello di 6 gradi di separazione (1993) e Bad Boys (1995) dividendo la scena con Martin Lawrence. Il cinema aveva finalmente trovato una nuova stella da poter far rimbalzare da un film ad un altro, mettendo in fila decisione giuste, una dietro l’altra. Tra i suoi ruoli più celebri c’è senza dubbio, il capitano dei Marines, Steven Hiller, il quale compito era quello di combattere la minaccia aliena nel film Independence Day (1996). Tolti i panni di soldato, continua a tenere sotto controllo la minaccia aliena con il film Men In Black, nel quale è l’agente J, vestito di tutto punto con un completo nero, occhiali da sole ed un oggettino cancella-memoria, insieme al suo collega Tommy Lee Jones. Memorabile per critica e pubblico fu la sua interpretazione nel film Alì nel 2001, nel quale ripercorre la vita del pugile Muhammed Alì in maniera magistrale. Due sequel tengono impegnato

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Smith, con Bad Boys 2 e Men In Black 2, al quale vengono ritagliate parti sempre più importanti. Oltre alle soddisfazioni di tipo artistico, anche la vita privata gli regala grandi soddisfazioni con uno splendido matrimonio e tre bellissimi figli. Successo di pubblico e soldi spingono Will Smith a fondare una compagnia di produzione cinematografica, dandogli modo di realizzare film come Hitch - Lui sì che capisce le donne e il bellissimo La ricerca della felicità diretto dal regista italiano Gabriele Muccino, al quale Hollywood decide di aprirgli le porte, dopo aver fatto guadagnare la seconda nomination come Miglior Attore Protagonista. Tripletta bella tosta, quella che va dal 2004 al 2008, con alcune pellicole dedicate alla minaccia della tecnologia

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ed aliena, con Io,Robot e Io sono Leggenda. A concludere questo trittico ci pensa il supereroe sempre ubriaco Hancock. Se pensate che Will Smith non abbia sbagliato nulla nella sua carriera, nel 2007 ha vinto il Razzie Awards come Peggiore coppia cinematografica con Kevin Kline e peggiore colonna sonora in Wild Wild West. Tranquilli, anche lui è umano! Nel 2009 torna a lavorare con Gabriele Muccino, nel commovente Sette Anime, per poi far posto nuovamente all’agente J, in Men In Black 3. Il film After Earth è la prima volta che vede la presenza di Smith messa in seconda piano, poiché tutta l’attenzione era su suo figlio Jaden Smith. I prossimi impegni che vedranno impegnato in prima linea Will Smith sono molteplici. In primis c’è Zona d’ombra, in uscita il 21 aprile 2016, nel quale Smith interpreta un dottore pronto a combattere pur di far luce, su alcuni strani decessi avvenuti nel mondo del football americano. Uno dei film più attesi di questo 2016 è senza dubbio, Suicide Squad, nel quale è protagonista insieme a Jared Leto, Ben Affleck e Margot Robbie. L’uscita è prevista per il 18 agosto 2016. Collateral Beauty è un film che vede Smith interpretare un uomo profondamente depresso, ma il quale riesce ad emergere da questo vortice grazie ad un inaspettato piano. Due partner d’eccezione lo accompagnano in questa pellicola, Kate Winslet e Keira Knightley insieme ad Edward Norton. Uscita prevista per il 5 gennaio 2017. A distanza di anni, torna per il terzo capitolo di Bad Boys 3 insieme al collega Martin Lawrence, molto probabilmente a giugno 2017. Ed infine altri due progetti lo terranno occupato per il 2017, in particolare Bright con Joel

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Edgerton, nel quale si troverà ad aver a che fare con fate ed orchi in un’ambientazione completamente fantasy. Bounty è un thriller, nel quale Smith è accusato erroneamente di omicidio, tentando di provare la sua innocenza, dovrà fare i conti con la vedova dell’uomo ucciso, la quale ha messo una taglia da 10 milioni di dollari. Due sono le certezze, che sicuramente avrete pensato anche voi, dopo aver letto questo focus su Will Smith. La prima è che se dovesse esserci una reale minaccia aliena, sicuramente abbiamo in nostro uomo d’oro viste tutte le pellicole che ha interpretato su questo argomento. La seconda è che senza dubbio non si annoierà nel 2017, visti tutti gli impegni cinematografici annunciati fin ora.

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X-MENAPOCALISSE

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Il nuovo capitolo del franchise nonsupera X-Men: Giorni di un Futuro Passatodi C.A.

Nel 2000 Bryan Singer, portando  sul grande schermo  uno dei fumetti più amati dell’universo Marvel, diede vita a una delle saghe più prolifiche della storia del cinema; eccoci quindi, a distanza di sedici anni dal film che ha reso celebre  Hugh Jackman, pronti a recensire il terzo capitolo della nuova trilogia creata da  Matthew Vaughn nel 2011. X-Men: Apocalisse vede i mutanti del professor Xavier  (James McAvoy) affrontare il primo e il più potente mutante dell’universo Marvel. Venerato fin dall’alba della civiltà come un dio e risvegliatosi dopo molti anni, Apocalisse  (Oscar Isaac) decide di sterminare l’umanità per ripopolare il mondo. Mentre il destino della Terra è in bilico, Raven (Jennifer Lawrence) e il professor X creano un gruppo di giovani X-Men per salvare l’umanità dalla distruzione. Il successo di pubblico

e critica di Giorni di un futuro passato  ha  alzato le  aspettative  di  X-Men: Apocalisse, il sesto capitolo di una saga che, fatta eccezione per il debole Conflitto Finale firmato da Brett Ratner, ha regalato sempre intrattenimento di qualità. Eppure, dopo quasi venti anni di X-Men e vari spin-off, Bryan Singer compie un passo falso che non ci saremmo aspettati. La trama, caotica e poco lineare, concentra l’attenzione sui nuovi X-Men abbandonando l’interessante idea (del capitolo precedente) di unire la saga di Vaughn con quella originale di Singer. Tornano i personaggi interpretati da James McAvoy, Michael Fassbender e Jennifer Lawrence,  uniti in questa nuova avventura dal tentativo di sconfiggere il poco interessante villain di Oscar Isaac, rinchiuso in un costume alla Jeepers Creepers che non rende

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onore al suo talento. La sceneggiatura di Simon Kinberg non dà spessore ai vari X-Men confinandoli in una linea temporale oramai incomprensibile. Se nel quinto episodio il futuro e il passato si intrecciano, qui la storia rimane vittima della assenza dei  protagonisti  originali, indispensabili  per mantenere la qualità dei capitoli precedenti. La potenza visiva di Singer, unita all’ irresistibile nuova sequenza di Quicksilver (Evan Peters), sono i punti di forza di un film sviluppato in fretta e furia per bissare il successo dell’impeccabile Giorni di un futuro passato. X-Men: Apocalisse resta così un’opera che, strizzando l’occhio al caos distruttivo dei vari The Avengers, preferisce vincere facile piuttosto che dare nuova linfa a un cinema ormai esautorato di originalità.

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outcastla nuova serie demoniaca dal creatore di the walking dead di Carlo Andriani

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Il 19 aprile l’Auditorium della Conciliazione si è tinto di rosso sangue per la première europea di Outcast, il nuovo show scritto e prodotto da Robert Kirkman, il creatore di The Walking Dead. Caratterizzato da una scenografia di stampo internazionale e da divertenti giochi di luce, l’evento ha ospitato tanti vip del cinema e della televisione italiana, i produttori esecutivi della serie Chris Black e Sharon Tal e gli interpreti principali Patrick Fugit, Wrenn Schmidt, Kate Lyn Sheil, Reg E. Cathey e Philip Glenister. Tratto da un fumetto di Paul Azaceta e Robert Kirkman, Outcast racconta la storia di Kyle Barns (Patrick Fugit), un uomo che, dopo aver vissuto un momento difficile, decide di riprendere in mano la sua vita. Nel frattempo il reverendo Anderson

(Philip Glenister) affronta il terrificante caso di possessione di un bambino di dieci anni. Kyle, avendo già sconfitto le forze del male  in passato, sarà l’unico in grado di affrontare  i demoni. Ma qual è il segreto di Kyle? E soprattutto, perché è così temuto dal mondo dell’oscuro? La sigla caratterizzata da inquietanti immagini rovesciate e la brutale sequenza di apertura proiettano lo spettatore in Outcast,  l’universo televisivo  in cui la possessione demoniaca è all’ordine del giorno: “Le possessioni in Outcast sono un problema risolvibile – ha dichiarato Robert Kirkman – i protagonisti dello show cercano di capire come fermarle una volta per tutte“. Se il prologo ricorda la prima efferata stagione di The Walking Dead, il pilot prende una direzione diversa mettendo in

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secondo piano l’azione e ponendo l’attenzione sui personaggi e sulla narrazione: “Kyle ha delle abilità diverse dal classico esorcista – ha continuato Kirkman – l’aspetto interessante è che lo vedremo esorcizzare persone diverse tra di loro tra cui anche un bambino, una sequenza che sicuramente farà discutere“. Effettivamente la scena, presente nel pilot, è tanto efferata quanto fedele alle pagine del fumetto; chi pensa però di ritrovare nella serie solo le splendide immagini di Paul Azaceta si sbaglia perché Outcast prende le distanze dalla storyline principale e introduce tanti nuovi spunti: “Quando si realizza uno show da un fumetto è fondamentale espanderne la storia e dare ai personaggi più obiettivi  da portare a termine – ha concluso Kirkman – non facciamo altro che prendere il comic-book originale e introdurre aspetti accattivanti“. Outcast, tralasciando l’atmosfera e i personaggi che strizzano l’occhio a The Walking Dead, è qualcosa di nuovo nel panorama televisivo. Nonostante il tema demoniaco sia trito e ritrito, Kirkman  riesce a dare una personalità  allo show. La troppa carne al fuoco rende difficile capire l’evoluzione della serie ma la sensazione a fine pilot è quella di voler vedere i successivi nove episodi della prima stagione; un punto di forza che rende Outcast non solo uno dei prodotti più attesi del 2016 ma anche una di quelle serie di cui sicuramente sentiremo parlare ancora a lungo. Outcast debutterà il 3 giugno negli Usa su Cinemax e il 6 giugno in Italia su Fox.

Su www.newscinema.it le INTERVISTE AL CAST

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scream queensla paura è donna?di L.C.

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Finalmente una delle ultime serie più apprezzate dagli adolescenti (e non solo) di tutto il mondo, arriva anche in Italia a partire dalle 21.00 di martedì 24 Maggio sul canale Fox di Sky. Naturalmente sto parlando di Scream Queens, una serie che ha basato il suo successo sulla trasmissione in differita, rispetto alla trasmissione in diretta dei suoi episodi della prima stagione. Il creatore è un vero re Mida delle serie tv americane, autore di successi come Glee, Nip/Tuck e tante altre, Ryan Murphy, che in questo caso ha creato un mix perfetto tra l’amatissimo Pretty Little Liars e il seguitissimo American Horror Story. Grazie al suo estro e alla sua squadra di sceneggiatori, già presenti nella prima stagione, ha dato una nuova luce al gruppetto di “reginette”, le quali cambieranno radicalmente location nei prossimi episodi. Se nella prima stagione la scenografia era in un college, nella  misteriosa ed inquietante second season in onda negli Stati Uniti, ci pensa un istituto psichiatrico a rendere tutto ancora più spaventoso. Inoltre, secondo fonti certe, i medici di questo ospedale di igiene mentale, avranno i riflettori puntati e saranno sotto accusa per alcuni comportamenti. Il cast di Scream Queens  è composto da eccellenti giovani attori del

panorama cinematografico internazionale. Parliamo di star del calibro di Emma Roberts (Chanel Oberlin), Jamie Lee Curtis (la preside Munsch), Lea Michele (Hester Ulrich), Keke Palmer (Zayday Williams), Glen Powell (Chad Radwell) e Abigail Breslin, Billie Lourd. Per molti non è una novità leggere questi nomi, dopo aver visto il teaser rilasciato a marzo dal profilo ufficiale Twitter. Non preoccupatevi, ci saranno molte guest stars anche nel corso di questa seconda stagione, come Patrick Schwarzenegger e i cantanti Ariana Grande e Nick Jonas. Per quanto riguarda la trama, a tenere banco per questi nuovi episodi ci sarà la ricchissima e viziatissima Chanel Oberlin, a capo della confraternità Kappa Kappa Tau, la cui  missione sarà quella di tutelare e proteggere con qualsiasi mezzo l’esclusività della sua “famiglia”, scegliendo ragazze simili a lei e alla sua estrazione sociale. A sottolineare questo aspetto la decisione di chiamare le fortunate che faranno parte di questo clan, con il suo nome e numero progressivo (Chanel #2, Chanel #3). Una ragazza con gravi problemi di onnipotenza escogiterà dei crudeli riti di iniziazione, finchè un’altra persona le ruberà la scena. Un Diavolo Rosso inizierà ad seminare il panico tra le ragazze, uccidendo

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chiunque incontri come in Dieci piccoli indiani, episodio dopo episodio. La cosa ancora più inquietante è il fatto, che vent’anni prima si era già verificato un omicidio in una vasca da bagno ai danni di una povera ragazza sempre della Kappa Kappa Tau. Il bello di questa serie è quello di non dare nulla per scontato. Ogni personaggio ha un lato malvagio nascosto, in fondo, tutti potrebbero essere questo killer spietato che si cela dietro i panni di Red Devil, e tutti potrebbero essere la prossima vittima. I primi 15 episodi che andranno in onda ogni martedì sul canale Fox di Sky per l’Italia, già hanno fatto venire l’acquolina in bocca ai tanti fans italiani, che non vedono l’ora di vedere le nuove vicende delle “reginette” più amate d’ America. Ricordatevi che niente è dato per scontato in questa seconda stagione, tenete gli occhi aperti.

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FUORISCENAuna nuova visione del cinema

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L’Ignoto, l’illustrazione ispirata a 2001: Odissea nello Spazio

Alle origini dell’uomo un misterioso monolite compare sulla Terra. La sua presenza attiva l’intelligenza dei primati che comprendono l’uso delle ossa degli animali uccisi quali prolungamenti delle loro braccia. 2001. Sulla Luna, in prossimità del cratere Tyco, viene trovato un monolite la cui esistenza viene tenuta sotto il massimo segreto. Questo strano oggetto improvvisamente lancia un segnale indirizzato verso il pianeta Giove. Diciotto mesi dopo l’astronave Discovery si dirige verso il pianeta. 2001, Odissea nello Spazio, il film più discusso e ammirato della storia del cinema, diretto dal maestro Stanley Kubrick nel  1968, ha ispirato gli artisti Giovanni Manna e Laura Manaresi per la nuova illustrazione della rubrica  FuoriScena. “Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”  dichiarava il regista anni fa. Questa suggestiva illustrazione vuole fare altrettanto, riproponendo una nuova visione di questo film di fama internazionale che ha cambiato l’idea classica della fantascienza, portando sullo schermo una favola apocalittica sul destino dell’umanità e lo sviluppo della tecnologia. In un ambiente spaziale ovattato, sconfinato e sommerso

nelle note dell’avvolgente colonna sonora del Danubio Blu, Kubrick mette in scena una storia ispirata al romanzo  La Sentinella  di  Arthur C. Clarke, ponendo al centro di tutto il rapporto tra civiltà e tecnologia, senza l’uso di effetti speciali mozzafiato o scene action sullo stile di Star Wars, ma concentrandosi sull’emotività e le sensazioni che il mistero e l’ignoto del futuro portano nell’essere umano che si affaccia ad una nuova Era. Nell’illustrazione un primate e un astronauta si trovano uno di fronte all’altro, e in mezzo a loro il misterioso monolite che non li separa, bensì li unisce nella contemplazione. Entrambi studiano e cercano di interagire con questo oggetto apparentemente inanimato e inutile, ma che rappresenta invece l’ignoto e la sete di conoscenza che attiva silenziosamente il loro intelletto. L’ignoto che avvolge lo spazio, la vita ma anche l’anima di ogni essere vivente, in qualsiasi era si ritrovi a vivere la propria esistenza. La civiltà si raggiunge attraverso la conoscenza e la conoscenza porta allo sviluppo di una popolazione e della tecnologia, ma il primate e l’astronauta hanno la stessa lunga strada davanti a loro, una “siderale distanza” che li attende entrambi, poichè la strada della conoscenza è lunga, soprattutto quella della conoscenza di noi stessi.

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Le uscite di Maggio 2016Playstation, XBox, Nintendo e Wiia cura di Carlo Andriani

A maggio iniziano le prime giornate di caldo ma gli amanti delle consolle resisteranno alla tentazione di uscire di casa per giocare ad alcuni dei giochi più attesi dell’anno. Un solo titolo è sufficiente per rendere qualsiasi appassionato di videogame la persona più felice della terra. Stiamo parlando di Uncharted 4: Fine di un Ladro che arriverà in tutti i negozi il prossimo 10 maggio. Ma se state pensando che l’ultima avventura di Nathan Drake sia l’unico gioco degno di nota del mese, vi suggeriamo di dare una sbirciatina alla nostra lista delle uscite games:

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3 Maggio:  Battleborn (PS4, Xbox One, PC): Prodotto da 2K Games e sviluppato dai creatori di Borderlands, Battleborn vede un gruppo di eroi tentare l’impossibile per proteggere l’ultima stella dell’universo dalle forze del male. La molteplicità di personaggi, le interessanti modalità multigiocatore e l’azione del più classico degli sparatutto rendono Battleborn un’esperienza di gioco assolutamente imperdibile.

5 Maggio : Project Cars: Game of the Year Edition (PS4, Xbox One, PC): Ogni mese arriva nei negozi l’immancabile gioco di corse automobilistiche. Questa volta è il turno di Project Cars, un videogame che rappresenta un passo in avanti nelle simulazioni di guida. Crea un pilota e scegli la tua auto per entrare a suon di sgommate nella Hall of Fame.

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EMA 10 Maggio: Uncharted 4: Fine di un Ladro (PS4): L’ultima avventura di Nathan

Drake non è solo il videogioco più atteso del mese ma anche degli ultimi anni. A distanza di tempo immemore dalla missione raccontata nel terzo capitolo, Nathan Drake torna nel mondo dei ladri per far luce su una misteriosa cospirazione. Risolvi i misteri e tuffati ancora una volta nell’azione nei panni del cacciatore di tesori più celebre dei videogame.

13 Maggio: DOOM (PS4, Xbox One, PC): Lo sparatutto in prima persona più iconico di sempre torna nei negozi di videogiochi in una veste totalmente rinnovata. Impugna armi distruttive, distruggi famelici demoni in modalità giocatore singolo o multigiocatore e condividi i tuoi contenuti con tutto il mondo grazie all’editor DOOM SnapMap.

20 Maggio Homefront: The Revolution (PS4, Xbox One, PC): Sviluppato da Deep Silver, Homefront: The Revolution racconta un futuro distopico in cui gli Stati Uniti sono stati occupati dalle forze Nord Coreane. Caratterizzato dalla tecnologia CRYENGINE di Crytek e da un ambiente realistico, questo titolo vi regalerà un’esperienza di gioco a dir poco imperdibile.

ADR1FT (PS4, Xbox One): Se volete un videogioco al cardiopalma, ADR1FT è la scelta giusta per voi. Indossate i panni di un astronauta disperso nell’universo dopo un evento catastrofico e costretto a sopravvivere con la tuta danneggiata e poco ossigeno. Tornare a casa non sarà facile ma vi permetterà di scoprire i segreti e gli incubi dell’universo..

24 Maggio: Overwatch (PS4, Xbox One, PC): La crisi globale convinse un gruppo di eroi a creare la task force Overwatch; una organizzazione che, dopo molti anni e innumerevoli missioni, venne improvvisamente sciolta. Ma il mondo è ancora in pericolo quindi non ci resta che indossare i panni dei bizzarri avventurieri di Overwatch per mantenere la pace sulla Terra.

27 Maggio: Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan (PS3, PS4, Xbox One, Xbox 360, PC): Le tartarughe più simpatiche e super-eroiche di tutti i tempi tornano protagoniste in un divertente videogioco in terza persona. Combatti il crimine nella Grande Mela, gioca in modalità cooperativa online a 4 giocatori e sconfiggi boss del calibro di Bebop, Rocksteady e Shredder.