Luglio agosto 2015 (parziale)

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Anno XLII, numero 7-8Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: R. Bertoni, C. Bettega, A. Castagnola, F.Di Meo, D. Di Sanzo, A. Luzzatto, M.Mathieu, M. Patulli Trythall, F.Randazzo, D. Romano, S. Rosselli.

Le immaginiA casa dai valdesi • Pietro Romeo/Riforma, copertinaSarajevo in dialogo • Mario Boccia, 3

Gli editorialiErdogan, il sultano mancato • Mostafa El Ayoubi, 4Le idi di ottobre • Giancarla Codrignani, 5Navigare a vista in un sistema in crisi • Alberto Castagnola, 6

I serviziBosnia Erzegovina Il viaggio papale in un Paese tormentato • Luigi Sandri, 8Irlanda Questo non è un Paese per cattolici? • Donato Di Sanzo, 11Ebraismo Una lettura ebraica del fondamentalismo • Amos Luzzatto, 14Religioni Il buddhismo della Soka Gakkai • Daniela Mazzarella, 17

Migliorare se stessi e le relazioni umane • (intervista a) Silvia Rosselli, 18Un buddhismo «protestante» • (intervista a) Marco Mathieu, 20

Dialogo Il papa incontra i metodisti e i valdesi • Daniele Garrone, 22«Era ora!» • Cristiano Bettega, 24

Europa Le due anime ucraine • Francesco Randazzo, 25Società Un cinema non più figlio di un dio minore • Michele Lipori, 27

Un festival che spiazza, sordi e udenti • (int. a) Francesca Di Meo, 28Jan Hus Il rogo che divise, oggi unisce le Chiese • Luigi Sandri, 30

Le notizieDiritti umani L’esercito nigeriano responsabile di crimini di guerra, 32

Il Qatar reprime chi indaga sulle condizioni dei lavoratori migranti, 32Sviluppo Rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla fame, 32Rifugiati Il Centro Astalli sulle condizioni di richiedenti asilo e rifugiati, 33Immigrazione Idos: una ricerca sulle dimensioni transcontinentali dell’immigrazione, 34

I luoghi di culto come strumento di integrazione, 34Medio Oriente Accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina, 35Canada Le responsabilità cattoliche per le violenze sessuali nel passato, 35Chiesa cattolica Presentato l’Instrumentum laboris in vista del Sinodo sulla famiglia, 35

L’enciclica «Laudato si’» di papa Francesco, 36Informazione Al caporedattore di Confronti il Premio Gabbiano 2015, 36

Le rubricheDiario africano Omar al Bashir, il «leone d’Africa» • Enzo Nucci, 37In genere Sottomissione o libero arbitrio? • Marisa Patulli Trythall, 38Osservatorio sulle fedi A che è servita una nuova ostensione della Sindone? • A. Delrio, 39Cibo e religioni La «teologia del corpo» nell’avventismo • Davide Romano, 40Spigolature d’Europa La faccia triste della Scandinavia • Adriano Gizzi, 41Opinione La comunità ebraica di Roma volta pagina? • Lia Tagliacozzo, 42Libro Analisi politica con autoscatto • Roberto Bertoni, 43Libro Michelangelo, De André, Leopardi e la Bibbia • Antonio Delrio, 44Segnalazioni 45

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CONFRONTI7-8/LUGLIO-AGOSTO 2015

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LE IMMAGINI

«Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore!

Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!»

Papa Francesco (Sarajevo, 6 giugno 2015).

Le immagini che illustrano questo numero (tranne quella a pagina 23) sono di Mario Boccia e si riferiscono al servizio di pagina 8.

SARAJEVO IN DIALOGO

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GLI EDITORIALI

La Turchia è un Paese in concorrenza siapolitico-militare siareligiosa con le altrepotenze del MedioOriente, in particolareArabia Saudita e Iran.Con la prima, si trova in conflitto sullequestioni cheriguardano un altroimportante paesedell’area, l’Egitto: la Turchia sostiene i fratelli musulmani,defenestrati dal colpo di Stato del generale al-Sisi, mentre l’ArabiaSaudita appoggia –anche economicamente– il governo dei militari.In Siria, invece, gliinteressi della Turchia e dell’Arabia Sauditaconvergono. L’Iran resta comunquel’avversario più difficile.

Erdogan il sultano mancatoMostafa El Ayoubi

L a Turchia, per la sua storia e per la suaposizione geografica, è un attore poli-tico di rilievo nello scacchiere geopoli-tico del mondo islamico, in quello ara-

bo in particolare. Essa si contende oggi, conl’Arabia Saudita e l’Iran, il primato nella re-gione del Medio Oriente sia dal punto di vi-sta politico-militare che da quello religioso.

Rispetto all’Arabia Saudita, a livello demo-grafico, socio-culturale e politico la Turchiaè molto più evoluta. I sauditi invece dispon-gono di una enorme ricchezza di petrolio,che i turchi non hanno. I due Paesi si conten-dono sopratutto l’egemonia religiosa. En-trambi sono in maggioranza sunniti. Ma isauditi confessano la dottrina wahabi-ta/salafita, mentre i turchi fanno riferimentoad un islam politico e sono ideologicamentepiù vicini al movimento dei Fratelli musul-mani (Fm). Il principale terreno di scontrotra questi due Paesi oggi è l’Egitto. Il colpo diStato del luglio 2013 che ha spazzato via i Fmdal potere è stato definito dalla Turchia co-me un attacco grave alla democrazia, e infat-ti non riconosce il generale al-Sisi come pre-sidente. L’Arabia Saudita invece non solo loha riconosciuto come legittimo capo di Sta-to, ma lo sostiene economicamente con fiordi miliardi di dollari.

Lo scontro sunnita-sunnita pende oggi afavore dei sauditi, che con i loro petrodolla-ri sono riusciti a difendere la propria dottri-na religiosa in giro per il mondo islamico.Dottrina alla quale fanno riferimento i jiha-disti di al-Qaeda e i suoi derivati: Isis, al Nu-sra ecc. L’Iran resta tuttavia l’avversario piùdifficile per la Turchia. I due Paesi demogra-ficamente più o meno si equivalgono. Il pe-so storico-culturale dei persiani non è di mi-nore importanza di quello turco nell’evolu-zione storica dell’islam. L’Iran ha però unvantaggio sulla Turchia: dispone di ingenti ri-serve di gas e petrolio.

Sullo sfondo di questa «competizione»geopolitica vi è la delicata questione religio-sa: i turchi sono in maggioranza sunniti,mentre gli iraniani in gran parte sono di fe-de sciita. Questi ultimi hanno forti legami re-

ligiosi in diverse parti del mondo islamico.Sono imparentati dottrinalmente anche conuna parte della popolazione turca, ovvero glialeviti. Nella sua corsa per imporre la propriaegemonia sul mondo arabo mediorientale, ilgoverno turco – guidato dal partito islamistaAkp di Erdogan – non ha esitato a giocare lacarta confessionale: sunnita versus sciita. Er-dogan, con il sostegno della Nato, ha apertole frontiere con la Siria – fedele alleato dell’I-ran – a decine di migliaia di jihadisti sunnitidi al-Qaeda e al suo figlio ribelle, l’Isis, perabbattere il regime siriano guidato da unalawita «sciita». L’obiettivo ultimo di Anka-ra è quello di limitare l’influenza di Teherannella regione. La guerra imposta a Damascoè in gran parte affidata ai jihadisti sunniti, anord sostenuti dai turchi e a sud dai sauditi(via governo giordano). Gli interessi dellaTurchia e dell’Arabia Saudita in Siria conver-gono (per il momento!). Entrambe usano laleva confessionale. Le vittime di questa stra-tegia sono gli alawiti, i cristiani, gli yazidi, idrusi e anche i sunniti che non aderiscono al-la loro ideologia takfirista.

Ma ora che i jihadisti sunniti stanno por-tando a termine il loro compito di guerra perprocura per destrutturare il Medio Oriente,la Turchia riuscirà ad imporsi come princi-pale potenza regionale? Contro l’Arabia Sau-dita, la Turchia ha gioco facile. Il dispoticoregime saudita è fragile e si tiene in piedi so-lo grazie alla protezione degli Usa. La Tur-chia, con tutte le contraddizioni interne, èuna democrazia «in via di sviluppo» e il po-polo turco, vaccinato ormai contro ogni for-ma di totalitarismo, gode di una relativa li-bertà e ha sviluppato una coscienza politicae civica che gli consente di vigilare controogni deriva autoritaria.

Il 7 giugno scorso si sono svolte le elezionilegislative in Turchia. E l’Akp, al potere da 13anni, ha ottenuto il 40,8% dei voti, nel 2011aveva raggiunto il 49,8%; ha perso quindi lamaggioranza assoluta al Parlamento. Questodato non consente al suo carismatico leaderErdogan di cambiare la Costituzione e tra-sformare la Turchia in una repubblica presi-denziale. Il «sultano» si dovrà accontentaredi un ruolo simbolico nel suo sontuoso pa-lazzo presidenziale da lui inaugurato nell’ot-tobre 2014 e che è costato oltre 360 milionidi dollari alla collettività.

Il ridimensionamento politico di Erdoganè stato colto con soddisfazione dal governo

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GLI EDITORIALI

di Damasco, il quale spera in un nuovo go-verno turco che rispetti la sovranità della Si-ria e cessi di sostenere i gruppi jihadisti. Ilpartito repubblicano del Chp – che ha otte-nuto in queste elezioni il 24,5% dei voti – è ilprincipale avversario dell’Akp. Esso si è sem-pre opposto all’ingerenza di Erdogan in Siria.

Il governo iraniano, dal canto suo, si è con-gratulato con l’elettorato turco per la sua«maturità democratica espressa in questa ul-tima consultazione elettorale».

L’entrata nel parlamento turco dell’Hdp,guidato dai curdi – che è riuscito ad ottene-re il 13% dei voti superando lo sbarramentodel 10% – avrà il suo peso nel futuro dellapolitica estera del Paese, specie in Siria, do-ve i curdi di Kobane sono stati vittime di unaviolenta aggressione dell’Isis sotto lo sguar-do complice dell’autorità turca.

Inoltre Erdogan rischia di perdere il soste-gno degli Usa. La Turchia sta negoziando conla Russia un progetto di gasdotto, il «Turkisstream». La mossa di Erdogan non è stataapprezzata dagli americani, i quali stanno datempo cercando di limitare l’avanzata russacome potenza mondiale che conta, anche nelMedio Oriente.

Come si comporterà Washington nei con-fronti di Erdogan? È difficile prevederlo. LaTurchia è un Paese strategico per gliUsa/Nato. Chi la governa non può fare, tut-tavia, di testa propria; pena la sua sostituzio-ne. E ciò vale oggi anche per Erdogan!

Cresce invece sempre di più la notorietàdel governo iraniano a livello regionale anchepresso la popolazione sunnita, perché vedein esso un baluardo contro i terroristi sunni-ti di al-Qaeda e dell’Isis e contro l’egemoniacoloniale delle potenze occidentali.

I termini dell’accordo sul nucleare, in fasedi conclusione, sembrano favorire Teheran(nonostante le pressioni di Tel Aviv per farfallire le trattative). E l’eventuale sospensio-ne delle sanzioni economiche potrebbe ren-dere l’Iran ancora più influente economica-mente e geopoliticamente nel mondo arabo,mentre la Turchia si dovrà accontentare diun ruolo secondario e sempre più subordina-to agli interessi degli Usa.

Le idi di ottobreGiancarla Codrignani

I media hanno inaugurato l’estate dividen-do l’opinione pubblica tra il rumore delFamily Day e quello del Gay Pride. Difatto hanno dimostrato che all’origine di

conflittualità e problemi interni al mondocattolico non stanno questioni teologiche,ma l’arretratezza dell’antropologia italica, inparticolare cattolica. Il fenomeno, tuttavia,desta preoccupazioni perché papa Bergoglio– che è consapevole del ritardo culturale, dalcardinal Martini quantificato in duecento an-ni – inquieta gli eterni eredi del Concilio (ov-viamente il tridentino) che continuano acreare fantasmi di possibili nemici.

Purtroppo la conservazione, con analogheoperazioni nei confronti di Giovanni XXIII edel suo Concilio, ha condizionato l’applica-zione di un Vaticano II colpevole di essere«solo pastorale». Oggi si impegna pretestuo-samente contro un’inesistente «teoria delgender» e contro le «lobby internazionali»che la vogliono e che sarebbero l’Onu, l’Or-ganizzazione mondiale della sanità, l’Unioneeuropea o anche, in Italia, l’Ufficio naziona-le anti-discriminazioni razziali e il disegno dilegge sull’omofobia.

Il «gender» è la parola anglosassone che hafin qui da decenni definito la cultura femmi-nile in rapporto con il genere dominante ma-schile: perfino alla Banca mondiale esiste un«Gender Action Plan», in cui la «GenderEquality» viene riconosciuta «smart econo-mics». Intendere gender come equivalente diLgbt e Queer e farlo responsabile di immagi-narie sozzerie educative copre d’ombra e si-lenzia il senso originario dell’impegno delledonne e non giova alla conoscenza delle uma-ne diversità. Per questo una chiesa di celibi,che si è dovuta occupare più di processi a ca-rico di preti pedofili che di approfondimentodel valore della sessualità, deve fare attenzio-ne: don Armando Matteo ha già denunciatoche «anche le quarantenni fuggono».

Il cardinal Carlo Caffarra, il contestatorepiù noto in Italia non certo dell’autorità diPietro («sono nato papista, sono cresciutopapista, morirò papista»), ma di Francesco,ebbe a dichiarare in giugno che «l’Europa sta

A ottobre si terràl’importante Sinodo deivescovi sui temi dellafamiglia, nel quale sifronteggeranno lespinte progressiste equelle conservatrici.Intanto a giugno, inoccasione del FamilyDay, è stato sferrato unnuovo attacco allacosiddetta «teoria delgender». In realtà, ilconcetto di «gender»vienepretestuosamenteequivocato con«propaganda gay»,stravolgendo il sensooriginario del termine,che da decenni definiscela cultura femminile inrapporto con il generedominante maschile.

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La fiducia in «un altromondo possibile»potrebbe apparire mal riposta se cilimitassimo a guardareai successi di unneoliberismo sempre più selvaggio e disumano. Tuttavia non cessano di nascere emoltiplicarsi formenuove di «resistenza» e contrasto al pensierounico dominante: sipensi alle tante realtàche si fondano sulrispetto della natura e sulla collaborazionesolidale tra le persone,come per esempio i gruppi di acquisto, gliorti urbani e i progettidi ripopolamento deiborghi abbandonati.

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GLI EDITORIALI

morendo. E forse non ha neanche più vogliadi vivere. Poiché non c’è stata civiltà che siasopravvissuta alla nobilitazione dell’omoses-sualità... e la lotta sarà sempre più dura. Tan-to è vero che dico a volte ai miei sacerdoti: iosono sicuro che morirò nel mio letto. Sonomeno sicuro per il mio successore. Probabil-mente morirà alla Dozza (che a Bologna è ilcarcere)». Sembrano ragionamenti deliranti,ma accuse al papa di cedimenti dottrinali susiti internet, censure di libri pedagogici econtestazioni nelle scuole pubbliche fannocapire che sulle paure e le inadeguatezze del-la base certo cattolicesimo ci specula. E an-che i laico-laicisti alla Scalfari innamorati diFrancesco e gli integristi politici alla Fassinache lo definiscono «la vera sinistra» non loaiutano.

Invece Francesco ha bisogno dell’aiuto ditutti per ciò che riguarda il bene e i diritti de-gli esseri umani; ma deve poter contare sulsostegno attivo dei cattolici attenti alla sto-ria, che oggi interpella tutte le religioni sullasalvezza. Francesco non può smantellare il si-stema vigente con un atto di volontà: tocca aicredenti laici, «per coerenza» con il ConcilioVaticano II, interpellare parroci e vescovi perspostare i paradigmi dottrinali superati. L’or-mai prossimo Sinodo di ottobre sarà impe-gnato su un tema scottante, quello di una fa-miglia che è sempre stata in trasformazionee che potrà superare la crisi attuale elevandoil livello dei valori, come ha fatto il VaticanoII che ha posto l’amore a fondamento delmatrimonio, superando la materialità di pro-creazione, mutuo aiuto e remedium concupi-scentiae.

La manifestazione del «milione di presen-ze» (ma in realtà piazza san Giovanni necontiene fisicamente al massimo 250mila)organizzata dal «Movimento per la vita» harappresentato un avviso al papa. «Sentinel-le» di organismi cattolici integralisti, ostili aldiritto/dovere della laicità (la legge civile nonobbliga nessuno a divorziare, ad abortire, anascere omosessuale), in contraddizione conil papa, sostengono che uomini e donne si ri-producono come i conigli, che la convivenzamatrimoniale è indissolubile, che i gay sonocontro natura.

La patologia del pregiudizio ci obbliga a ri-pensare teologicamente il concetto di «natu-ra». Con o senza Darwin, la Chiesa cattoli-ca guarda ancora alla creazione avendo in te-sta il dito di Dio della Cappella Sistina, men-

tre la natura (e anche Dio) è molto più fanta-siosa dell’immaginaria «normalità» che haprodotto e produce sofferenza e morte di fra-telli perché omosessuali. Anche se c’è chi ècosì abitato dal pregiudizio da sentirsi asse-diato dallo stigma del peccato, crediamo che«non c’è né libero né schiavo, né uomo nédonna, né normale né anormale». Oppurenon è più vero che tutto è grazia?

Navigare a vista in un sistema in crisiAlberto Castagnola

S tiamo attraversando un periodo moltodifficile, che mette a dura prova le per-sone più lucide e determinate, e persi-no le teorie e le analisi più fondate sem-

brano crollare continuamente sotto il molti-plicarsi di eventi fuori controllo. Negli ultimianni appare a tratti quasi come un miraggiotra le tempeste la fiducia che avevamo nellapossibilità di creare un’economia nettamen-te contrapposta ai meccanismi di tipo capi-talistico e al pensiero unico neoliberista;un’economia che fosse basata su principi disolidarietà tra gli esseri umani e su relazionicapaci di travalicare le barriere che dividonopopoli, religioni e strutture politiche nate insecoli lontani.

Eppure constatiamo ogni giorno che unnumero molto rilevante di persone si sottraealle logiche economiche dominanti, ritornaa coltivare la terra, dedica il suo tempo libe-ro ad attività costruttive e creative, non si ar-rende alle espulsioni dal sistema e persegueuna sua alternativa più sana e carica di va-lori, cerca di operare con forme di intrapre-sa ben diverse da quelle stratificatesi negli ul-timi 70 anni. Soprattutto assistiamo al conti-nuo emergere di forme di produzione basa-te sul rispetto della natura e sulla collabora-zione tra persone che dimostrano di nonavere assolutamente bisogno di strutture bu-rocratiche e di forme di comando assoluto;nonché di interi comparti prima sconosciutie che diventano in pochi mesi fasce sociali eforme di economia completamente nuove.

Questi processi sono presenti in un nume-ro crescente di paesi e le imitazioni si diffon-dono con estrema rapidità, senza badare al-le frontiere e alle differenze di cultura. Per ci-

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GLI EDITORIALI

tare solo gli ultimi fenomeni ancora in fase diespansione, da quanto operano i gruppi diacquisto e si lavora negli orti urbani? Daquanto si coltivano i tetti e i terrazzi dei cen-tri urbani più densi? Da quando le fabbricheabbandonate dai padroni sono recuperatedagli operai che le facevano funzionare e leleggi cominciano a proteggere queste espe-rienze? E già da qualche tempo si moltiplica-no i progetti di ripopolamento dei borghi ab-bandonati e si guardano con occhi diversi ibeni di comune interesse di ogni territorio edi ogni popolazione, rivisitando non solo pernostalgia le antiche esperienze delle pro-prietà collettive di boschi e di terre, e gli usicivici carichi di potenzialità legate alla loroattuale consistenza.

È però necessario formulare delle osserva-zioni critiche, si spera costruttive e stimolan-ti, dettate in larga misura da una situazioneglobale sempre più vicina a rischi di gravitàestrema, che richiederebbero strategie deigoverni e delle organizzazioni internaziona-

li completamente diverse da quelle finoraadottate; e soprattutto richiederebbero dellevisioni delle società future molto più vicinealle esigenze della natura e alle dinamicheplanetarie.

Le denunce dei meccanismi di danno am-bientale e dell’aumento delle interrelazioniche possono sfuggire al controllo umanohanno ormai raggiunto un grado di scienti-ficità e di precisione che non lascia spazio ascappatoie o a rimozioni; tuttavia la «fugadalla realtà» di gran parte delle istituzioniresponsabili ha raggiunto livelli intollerabi-li e ancora non si intravedono segni di resi-piscenza. Come ormai è diffusamente noto,le scadenze internazionali di quest’anno (in-contro di Parigi del novembre-dicembreprossimi e interventi massicci sulle emissio-ni climalteranti da realizzare improrogabil-mente entro i prossimi cinque anni), nonsono ancora accompagnate da una altret-tanto esplicita consapevolezza a livello po-litico. Anzi, alcuni governi si impegnano indirezione assolutamente opposta (si va dalfracking degli Usa e del Canada – una tecni-ca controversa di fratturazione idraulica perestrarre gas naturale e petrolio dalle roccedi scisto, ndr – alle prospezioni in Adriati-co) e non esistono coscienze partitiche ingrado di opporsi. Cosa significa tutto ciò ri-spetto alle tendenze evolutive dell’economiaalternativa e solidale? Gran parte di questeesperienze sono caratterizzate da una co-scienza ambientale molto avanzata e consa-pevole, però non siamo ancora in presenzadi un movimento compatto e pronto a di-fendere le società alternative che intendonovivere fin da subito in equilibrio con la na-tura e il pianeta.

La frammentazione e la scarsa integrazio-ne che caratterizza la quasi totalità dei grup-pi attivi ha impedito finora l’emergere di unamassa sociale critica, in grado di opporsi condecisione e in tempi ristretti alle assenze e al-le indifferenze delle classi politiche dirigen-ti e di imporre ai sistemi economici obiettivied evoluzioni volte a ristabilire equilibri pla-netari e nuove forme di economia più rispet-tose dell’ambiente. Le poche reti locali fati-cosamente messe in piedi e le campagne inatto si possono proporre solo obiettivi limi-tati, purtroppo inadeguati ad affrontare la si-tuazione globale. Cosa dovremmo fare credosia evidente, ma i nostri tempi non sono an-cora maturi.

Alberto Castagnola è un economista e si occupa da sempre dei temi legati alla globalizzazione e alla finanziarizzazionedell’economia, con un’attenzione particolareall’economia solidale.

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BOSNIA ERZEGOVINA

Luigi Sandri

«M ir nama», in serbo-croato «Pacea noi». Con questo titolone inprima pagina, domenica 7 giu-gno, il quotidiano di Sarajevo

Oslobodenje («Liberazione») riassumeva ilsenso della visita, il giorno precedente, delpapa alla capitale bosniaca. Titolo che tradu-ce bene le parole e i gesti con i quali France-sco ha costellato il suo pellegrinaggio, all’in-segna del motto «Mir vama» («Pace a voi»).Da qui il gioco di parole del giornale, comeper dire: il pontefice ha fatto la sua parte,adesso sta a noi accogliere davvero il suopressante invito alla riconciliazione.

Il singolare «puzzle» costituzionale e geopolitico bosniacoNon appena sbarcato, il papa ha ringrazia-to «i membri della Presidenza della Bosniaed Erzegovina, ed il presidente di turno,Mladen Ivanic». Cos’è questo strano «tur-no»? Questo particolare ci aiuta a delinea-re, in breve, la complessità del paese. Nelcontesto dalla dissoluzione della Jugoslaviasocialista, l’avvio dell’indipendenza dellaBosnia ed Erzegovina, infatti, è stato segna-to dalla tragedia dell’assedio di Sarajevo.Nel febbraio del 1992 il governo bosniaco,in mano ai bosgnacchi (musulmani), deci-se un referendum sull’indipendenza, e mal-grado l’opposizione dei serbi lo fece svolge-re a fine mese. Il 64% dei votanti disse «sì».La risposta dei serbo-bosniaci fu che la lo-ro armata il 5 aprile 1992 pose l’assedio al-la capitale, che si protrasse fino a tutto il1995, con uno strascico per altri due mesi:fu più lungo dei pur lunghi assedi che, inEuropa, caratterizzarono la Seconda guer-ra mondiale. In quegli anni, oltre alle atro-cità serbe (per il massacro di Srebrenica,

vedi Confronti di gennaio 2013) ve ne furo-no di croati verso bosgnacchi, e la distru-zione, da parte dei croati, del Ponte Vecchiodi Mostar; e violenze di bosgnacchi controserbi. Infine, nell’estate 1995 bombarda-menti della Nato sulle forze serbo-bosnia-che e l’intervento dell’Onu costrinsero aporre fine alla guerra.

Poi, nel novembre di quello stesso anno,l’accordo di Dayton (Usa) portò alla creazio-ne della Repubblica federale della Bosnia edErzegovina, con un parlamento centrale, ea sua volta costituita da due Entità, ciascu-na con un proprio parlamento e governo: laFederazione croato-musulmana (51% delterritorio) e la Repubblica serba della Bo-snia-Srpska (49% del territorio). La presi-denza centrale della Federazione è compo-sta da tre membri eletti in rappresentanzadelle tre etnie, bosgnacchi musulmani, croa-ti cattolici e serbi ortodossi (ecclesiastica-mente legati, questi, al patriarcato di Pec-Belgrado). I tre, a turno, ogni otto mesi, gui-dano la presidenza centrale. Questa intrica-ta intelaiatura fino ad oggi ha retto, e non ècosa da poco; ma rancori mai sopiti potreb-bero in ogni momento riemergere.

Vi è poi il fatto che praticamente nessunodei responsabili della guerra degli anni No-vanta, ha mai fatto un esplicito mea culpa e,anzi, qualcuno è stato considerato un eroe.Per tale motivo, alla vigilia dell’arrivo del pa-pa a Sarajevo, un gruppo di intellettuali bo-sniaci gli aveva scritto una lettera aperta,ringraziandolo moltissimo della sua immi-nente visita, ma anche sottolineando comepurtroppo nel paese, durante il conflitto divent’anni addietro, la religione fosse stataaccampata come pretesto «per seguire inte-ressi particolari di conquistatori spietati», eper favorire un nazionalismo esasperato. Lalettera puntualizza poi: «La Bosnia-Erzego-vina necessita di tutto l’aiuto possibile sulpercorso, lento e tortuoso, del ripristinodella fiducia tra i diversi gruppi etnici checompongono il paese. Il confronto con leatrocità commesse durante la guerra rap-presenta l’elemento chiave di questo proces-

Francesco il 6 giugno ha visitato Sarajevo, invitando le tre etnie(bosgnacchi, serbi e croati) e i seguaci delle tre fedi principali (mu-sulmani, ortodossi e cattolici) a superare il trauma della guerra ci-vile di vent’anni fa e a vivere in pace. Incombono però ferite anco-ra aperte, problemi irrisolti e sfide difficili.

Il viaggio papalein un Paese tormentato

Luigi Sandri è stato inviato di Confronti a Sarajevo

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BOSNIA ERZEGOVINA

so. Ed è possibile soltanto a patto di smette-re di giustificare e negare crimini commes-si dai membri del “nostro” gruppo e inizia-re a riconoscere e condannare in modo sin-cero tali crimini. Un confronto del generepuò inoltre poggiare soltanto sulla respon-sabilità morale e legale. Noi, invece, siamoancora testimoni di glorificazioni di coloroche vengono lodati come eroi nazionali ecome martiri, pur essendo già stati accusa-ti e condannati per crimini di guerra».

Ed, esemplificando, la lettera ricordavache in Croazia un vescovo e un superiorefrancescano avevano accolto con tutti glionori «Dario Kordic, condannato per crimi-ni di guerra, e recentemente scarcerato dauna struttura internazionale dopo averescontato i tre quarti della propria condannaa venticinque anni». E questo signore avevapartecipato alla messa, e gli era stato per-messo di «tenere un discorso dall’altare del-la chiesa. Non una singola parola di rimor-so. Nessuna catarsi... La gente di altre etniepercepisce questo come una forma di nega-zione della loro sofferenza e la celebrazionedei crimini commessi contro di loro. Le lo-ro ferite non solo non si rimarginano, ma siriaprono».

Su questo sfondo religioso-politico si col-loca il discorso di Bergoglio all’aeroporto diSarajevo: «È per me motivo di gioia trovar-mi in questa città che ha tanto sofferto peri sanguinosi conflitti del secolo scorso e cheè tornata ad essere luogo di dialogo e paci-fica convivenza... Sarajevo e la Bosnia ed Er-zegovina rivestono uno speciale significatoper l’Europa e per il mondo intero. Da seco-li in questi territori sono presenti comunitàche professano religioni diverse e apparten-gono a diverse etnie e culture, ciascuna del-le quali è ricca delle sue peculiari caratteri-stiche e gelosa delle sue specifiche tradizio-ni». Il papa ricorda poi che, per la compre-senza in città di sinagoghe, chiese e mo-schee, Sarajevo, «crocevia di culture, nazio-ni e religioni», fu chiamata Gerusalemmed’Europa. Perciò, con «un dialogo pazientee fiducioso... abbiamo bisogno di comuni-care, di scoprire le ricchezze di ognuno, divalorizzare ciò che ci unisce e di guardarealle differenze come possibilità di crescitanel rispetto di tutti».

«Sono venuto come pellegrino di pace e didialogo, diciotto anni dopo la storica visitadi san Giovanni Paolo II, avvenuta a meno

di due anni dalla firma degli Accordi di pa-ce di Dayton. Sono lieto di vedere i progres-si compiuti, per i quali occorre ringraziareil Signore e tante persone di buona volontà.È però importante non accontentarsi diquanto finora realizzato, ma cercare dicompiere passi ulteriori per rinsaldare la fi-ducia e creare occasioni per accrescere lamutua conoscenza e stima... La Bosnia edErzegovina è parte integrante dell’Europa; isuoi successi e i suoi drammi si inserisconoa pieno titolo nella storia dei successi e deidrammi europei, e sono nel medesimo tem-po un serio monito a compiere ogni sforzoperché i processi di pace avviati diventinosempre più solidi e irreversibili. In questaterra, la pace e la concordia tra croati, serbie bosgnacchi, le iniziative volte ad accresce-re ulteriormente le relazioni cordiali e fra-terne tra musulmani, ebrei, cristiani e altreminoranze religiose, rivestono un’importan-za che va ben al di là dei suoi confini».

Il papa si è poi rivolto ai responsabili po-litici, «chiamati al nobile compito di esserei primi servitori delle loro comunità conun’azione che salvaguardi in primo luogo idiritti fondamentali della persona umana,tra i quali spicca quello alla libertà religio-sa». Ed ha concluso: «La Santa Sede auspi-ca vivamente che la Bosnia ed Erzegovina,con l’apporto di tutti, dopo che le nuvolenere della tempesta si sono finalmente al-lontanate, possa procedere sulla via intra-presa, in modo che, dopo il gelido inverno,fiorisca la primavera. E si vede fiorire qui laprimavera».

L’incontro ecumenico e interreligioso: eco di speranze e di gravi problemiTra i vari incontri che hanno caratterizzatol’intensa giornata bosniaca di Bergoglio,particolarmente emozionante per lui è sta-to ascoltare le testimonianze di tre personecroate – un prete, una suora e un religiosofrancescano – che, nella guerra civile di fi-ne Novecento, per un certo tempo furonorapite da serbi ortodossi, o da miliziani mu-sulmani, subendo dolorosissime violenze.

Molto atteso era, ovviamente, l’incontrointerreligioso, in un paese «mosaico» dovei musulmani sono quasi la metà dei 3,8 mi-lioni di abitanti; seguono gli ortodossi, poi icattolici, piccole minoranze protestanti, e laminuscola ma culturalmente assai significa-tiva minoranza ebraica. La religione mag-

i servizi luglio/agosto 2015 confronti

Francesco haincoraggiato tutti aproseguire, malgrado ledifficoltà, nella via deldialogo tra tutte leChiese e religioni. Poi – sull’aereo che lo riportava a Roma –ha affermato che,visitata l’Albania l’annoscorso, e ora la Bosniaed Erzegovina,prossimamente sirecherà in Croazia.Nessun cenno, invece,ad un viaggio in Serbia,paese-chiave pergarantire la pace, sesarà possibile, neiturbolenti Balcani.

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BOSNIA ERZEGOVINA

giormente ripresasi dopo la guerra è quellamusulmana: a Sarajevo si vedono imponen-ti moschee costruite negli ultimi anni dal-l’Arabia Saudita, e cresce l’influenza dellaTurchia. Fonti serbe sostengono che au-menta nel paese l’arrivo di elementi salafiti,e di gruppi fondamentalisti provenienti an-che dal Medio Oriente e dalla Cecenia.

Nei loro interventi i rappresentanti dellevarie confessioni hanno illuminato il com-posito prisma bosniaco. Il cardinale VinkoPuljic, arcivescovo di Vrhbosna [Sarajevo],ha affermato: «In questa regione il dialogonon ha alternative. Ce lo insegna l’esperien-za troppo amara della recente guerra conconseguenze terribili». Ha poi ricordato chenel 1997 è stato fondato il Consiglio inter-religioso della Bosnia ed Erzegovina, checontinua ad operare. Non ha fatto cenno, ilporporato, ad un problema doloroso dellasua Chiesa: i cattolici in Bosnia erano otto-centomila all’inizio della guerra di fine se-colo, ed ora sono la metà: le conseguenzedel conflitto, la crisi economica che gravaanche sul paese, le ferite morali provocatedagli scontri inter-etnici e non rimarginatehanno spinto molti cattolici ad emigrare.

Poi il vescovo Grigorije, responsabile del-

la diocesi ortodossa della quale faparte Sarajevo, ha espresso «gioiaper il fatto che Francesco, comecapo della nostra Chiesa (cattoli-ca) sorella e vescovo di Roma, vi-siti il nostro paese». Quindi haammesso con franchezza: «Noi,figli della Chiesa di Dio, dovrem-mo essere preoccupati e pieni divergogna per il fatto che, nel no-stro paese, i cristiani hanno ucci-so cristiani e non cristiani... Ilnostro grande scrittore e premioNobel [per la letteratura, nel1961], Ivo Andric, ha descrittouna terribile caratteristica delnostro paese: “Qui ci sono piùpersone disposte ad uccidere ead essere uccise rispetto ad ognialtro paese, slavo e non, sia essopiù vasto per estensione o perpopolazione”. Ma in questa realtàinspiegabile la Bosnia può essereincredibilmente bella».

Salutando il papa a nome dellacomunità musulmana HuseinKavazovic, rais-al ulamà (in ara-

bo, presidente degli ulema), ha puntualizza-to: «Il genocidio subìto dai musulmani bo-sniaci, ci obbliga a riesaminare la nostra fe-de e la nostra missione». E, venendo ai pro-blemi incombenti: «Sembrerebbe che per lepersone di fede sia diventato più importan-te sostenere i rispettivi blocchi politici, mi-litari ed economici, anziché testimoniare laVerità e aiutare il popolo non con il poterema con l’amore e il conforto».

Un grazie al papa anche da Jakob Finci,presidente della Comunità ebraica in Bosniaed Erzegovina: «A Sarajevo la nostra comu-nità vive in pace e armonia con le altre co-munità religiose e le chiese, da 450 anni, econ l’intenzione di voler rimanere qui, al-meno per i prossimi 450 anni, perché noncerchiamo e non abbiamo una seconda pa-tria. Non è stato facile sopravvivere 450 an-ni nei Balcani, definiti da molti “una polve-riera”; tuttavia con la comprensione, la buo-na volontà e l’aiuto di Dio tutto è possibile».E, ha concluso, anche se persistono proble-mi, perché «qui non è tutto latte e miele,stiamo cercando di risolverli in comune,consapevoli che è possibile sopravvivere inquesta splendida parte del globo solo se la-voriamo insieme».

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Dalla «nuova» Bosnia ed Erzegovina, Francesco ha lodato il percorso fin quicompiuto, auspicandoperò che si facciano altripassi per garantire la riconciliazione. Che le religioni nelpaese, vent’anni fa,siano state complicidella guerra è un dato di fatto,ma di fronte al papa lo scandalo di cristianiche combattevanocontro altri cristiani, e contri i musulmani, è stato espressamentericonosciuto solo dal vescovo ortodosso Grigorije.Il rappresentantemusulmano haricordato il «genocidio»subìto dalla sua gente.