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Liceo scientifico-tecnologico G. Natta, Bergamo Anno scolastico 2013/2014 Jessica Barcella Classe 5CLST La selezione naturale: impatto sociologico e culturale

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Jessica Barcella Classe 5CLST

La selezione naturale:

impatto sociologico e

culturale

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"Se accettiamo come primo compito dello Stato il giovare al

popolo, il mantenimento, la cura e l'evoluzione delle migliori

caratteristiche della razza, è evidente che i provvedimenti statali

debbono ampliarsi fin dalla nascita del piccolo figlio della

nazione, e che lo stato debba educare il fanciullo per farne un

altro elemento di una continua propagazione della razza".

Mein Kampf, A. Hitler

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Sommario INTRODUZIONE .................................................................................................................................................. 4

Capitolo 1. LO SVILUPPO DELLA SELEZIONE NATURALE .................................................................................... 6

1.1 Prime teorie scientifiche sulla storia della vita: verso la teoria evolutiva. .............................................. 6

1.2 La nascita dell’evoluzionismo moderno .................................................................................................. 8

1.3 Prove a sostegno dell’evoluzione .......................................................................................................... 10

1.4 La teoria della selezione naturale .......................................................................................................... 12

1.5 Le cinque “sottoteorie” della teoria darwiniana ................................................................................... 13

1.6 La teoria sintetica dell’evoluzione ......................................................................................................... 14

1.7 La legge di Hardy-Weinberg .................................................................................................................. 15

1.8 Fattori che modificano l’equilibrio ........................................................................................................ 17

1.9 La selezione naturale ............................................................................................................................. 19

1.10 L’adattamento: il frutto della selezione .............................................................................................. 22

Capitolo 2. BEAGLE VOYAGE ............................................................................................................................ 23

2.1 The history of H.M.S. Beagle ................................................................................................................. 23

2.2 Darwin was invited to sail aboard H.M.S. Beagle in 1831 ..................................................................... 24

2.3 H.M.S. Beagle departed England in 1831 .............................................................................................. 24

2.4 Darwin visited the Galapagos islands .................................................................................................... 24

2.5 Darwin circumnavigated the globe........................................................................................................ 25

2.6 Darwin wrote about his voyage aboard the Beagle .............................................................................. 25

2.7 Darwin, H.M.S. Beagle, and the theory of evolution ............................................................................. 26

Capitolo 3. VERGA E IL DARWINISMO SOCIALE ............................................................................................... 27

3.1 Il concetto di lotta per l’esistenza nelle opere di Verga ........................................................................ 28

Capitolo 4. L’EUGENETICA NAZISTA E LA SUPERIORITÀ DELLA RAZZA ARIANA. ............................................. 32

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ........................................................................................................................... 38

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INTRODUZIONE Oggi la concezione che abbiamo del mondo e del posto che vi occupiamo è drasticamente cambiata

da quella che ha dominato fino alla fine del XVIII secolo. Nel campo della biologia, molte delle

idee proposte negli ultimi centocinquanta anni sull’evoluzione degli esseri viventi erano in netto

conflitto con ciò che tutti davano per scontato; è per questo che la loro accettazione richiese un

ampio intervallo di tempo, nel quale venne raccolta un’enorme quantità di dati che giustificasse e

confermasse le nuove teorie proposte. Tali teorie, dunque, non potevano più essere ignorate.

L’idea che gli esseri viventi abbiano trovato origine in forme primordiali, dalle quali si sarebbero

poi sviluppate per gradi le specie attuali, si ritrova variamente abbozzata nella storia del pensiero

dai Greci in poi: ma solo con Charles Darwin questa intuizione divenne qualcosa di definito che si

basava su osservazioni oggettive e concrete. Dopo la spedizione esplorativa compiuta con il

brigantino H.M.S. Beagle, Darwin dedicò più di venti anni a riordinare ed interpretare i dati raccolti

durante il suo viaggio e a confrontarli con quelli provenienti da altre fonti. Giunse così a

conclusioni sconvolgenti e rivoluzionarie circa l’origine della vita, che ancora oggi suscitano

dibattiti e controversie. Il frutto di questo lavoro è il volume dal titolo “L’origine delle specie”

pubblicato nel 1859. In quest’opera rigorosa e straordinaria, Darwin introdusse il concetto di una

lenta evoluzione delle specie vegetali e animali (e quindi anche dell’uomo) che nel corso del tempo

si sono profondamente diversificate dai loro antenati.

La teoria di Darwin fu così importante che influenzò molti autori del panorama della letteratura

europea di fine ‘800 e inizio ‘900. Questi si richiamarono ad essa, anche se la interpretarono, o

semplicemente la integrarono, in modi che vanno al di là delle tesi originarie del biologo inglese.

Nacque, dunque, il cosiddetto Darwinismo sociale, etichetta sotto la quale si racchiuderebbero tutte

le teorie che applicano il concetto di selezione naturale alla popolazione umana. Questa corrente di

pensiero sfrutta concetti come la lotta per l'esistenza e la selezione naturale (o sopravvivenza del più

adatto) per applicarli alla società umana, giustificando l'emarginazione dei più deboli, la gerarchia

sociale e sessuale, la concorrenza sfrenata, o anche il dominio dei popoli più progrediti su quelli

"inferiori", come fenomeni perfettamente naturali, in quanto non fanno altro che portare ad un

progresso evolutivo.

In Italia, uno degli autori che fece suo questo “pensiero sociologico”, rimodellandolo sulle sue

opere, fu sicuramente Giovanni Verga. Infatti, egli concepì la vita come una continua lotta per la

sopravvivenza, nella quale sono i più deboli ad essere sopraffatti dai più forti. Secondo lui, però,

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anche i vincitori, prima o poi, conosceranno il momento della sconfitta: allora anch’essi verranno

sopraffatti e calpestati senza pietà.

Inoltre, il Darwinismo sociale trovò, già a partire dal diciannovesimo secolo, un pericoloso tentativo

d’applicazione: l’eugenetica, ossia lo studio dei metodi volti al perfezionamento della specie umana

attraverso selezioni artificiali operate tramite la promozione dei caratteri fisici e mentali ritenuti

positivi (eugenetica positiva) e la rimozione di quelli negativi (eugenetica negativa). Attuata

soprattutto nel Terzo Reich, per volere di Hitler, questa pratica abominevole condurrà alle barbarie

dell’olocausto, riflettendo e concretizzando i condizionamenti di una selezione naturale su scala

umana. La Shoah rappresenta, in questi termini, la tappa ultima di un percorso lungo e complesso.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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Capitolo 1. LO SVILUPPO DELLA SELEZIONE NATURALE

1.1 PRIME TEORIE SCIENTIFICHE SULLA STORIA DELLA VITA: VERSO LA

TEORIA EVOLUTIVA. Le ricerche e gli studi di Darwin finirono per cambiare radicalmente la nostra visione della vita e il

nostro posto all’interno del mondo vivente. Infatti, è ormai assodato che Darwin sia stato l’ideatore

della moderna teoria evolutiva e anche se non è stato il primo ad affermare che gli organismi si

evolvono nel tempo, egli è stato il primo a raccogliere una grande quantità di dati a sostegno di

questa ipotesi e a proporre un valido meccanismo che potesse spiegare il processo evolutivo. Per

capire a pieno il valore della teoria formulata da Darwin è utile considerare il clima culturale nel

quale venne formulata.

In Europa, fino alla seconda metà del Settecento predominava una concezione fissista secondo la

quale specie animali e vegetali erano statiche ed immutabili, e potevano essere disposte in una scala

gerarchica (la “scala naturale”) nella quale gli organismi più semplici occupavano lo scalino più

basso, l’uomo, organismo più complesso in assoluto, quello più alto e tutti gli altri organismi

occupavano una posizione intermedia. Tale concezione può essere riassunta nel termine fissismo e

derivava principalmente dal pensiero di Aristotele (384-322 a.C.).

Per Aristotele gli organismi viventi esistevano da sempre, mentre a partire dalla seconda metà del

Settecento nacque una corrente di pensiero più moderna per la quale tutti gli essere viventi erano

stati creati da Dio nel sesto giorno della Genesi e che da allora fossero rimasti tali. Tale teoria

prende il nome di creazionismo e tra coloro che ci credevano fortemente ci fu Carl von Linné

(1707-1778 – noto in Italia con il nome di Linneo). Tuttavia, già ai tempi di Linneo diventava

sempre più chiaro che il modello di creazione era molto più complesso di quanto si fosse ipotizzato

precedentemente.

Sempre in quegli anni, iniziò a svilupparsi una teoria più dinamica del mondo vivente rispetto alla

precedente. Tra i seguaci di questa teoria ricordiamo lo scienziato francese Georges Louis Leclerc

de Buffon (1707-1788) il quale fu tra i primi a suggerire che le specie potessero subire dei

cambiamenti nel corso del tempo. Egli ipotizzò che oltre alle specie create da Dio ce ne fossero

altre, meno numerose, concepite dalla Natura e dal Tempo. Queste famiglie minori, secondo

Buffon, erano prodotte a causa di un processo degenerativo.

Tra coloro che non credevano alla fissità e immutabilità delle specie vi fu anche Erasmus Darwin

(1731-1802), nonno di Charles Darwin. Egli sosteneva l’idea che gli animali potessero cambiare

quando cambiava l’ambiente in cui vivevano e che il loro discendenti potessero ereditare tali

cambiamenti.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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A gettare le basi della teoria evolutiva fu anche il geologo scozzese James Hutton (1726-1797)

secondo il quale la Terra sarebbe stata modellata non da eventi catastrofici e improvvisi, come si

pensava, ma da processi lenti e graduali (l’azione dei venti, l’erosione dell’acqua, ecc) che agiscono

anche ora (teoria dell’attualismo). Questa teoria era importante per tre ragioni:

implicava che la terra avesse una storia più lunga;

affermava che il graduale corso degli eventi determina un cambiamento graduale (in

contrasto con l’idea del tempo secondo cui capita, a volte, che il mondo “statico” venga

interrotto da un improvviso avvenimento casuale);

implicava che potessero esistere interpretazioni diverse da quella letterale della Bibbia.

Alla fine del Settecento, di fondamentale importanza fu lo studio dei fossili effettuato dall’inglese

William Smith (1769-1839) , il quale studiò in modo sistematico la distribuzione dei fossili negli

strati rocciosi, stabilendo che ogni strato, in qualunque parte dell’Inghilterra si trovasse, conteneva

tipi caratteristici di fossili (“fossili guida”). Strati sovrapposti contenevano fossili diversi e

caratteristici. Questi studi suggerirono l’idea che l’attuale superficie terrestre si fosse formata, nel

corso del tempo, dall’accumularsi di uno strato sull’altro.

Dopo queste osservazioni è giusto sottolineare che all’inizio dell’Ottocento la geologia aveva fatto

passi da gigante, ma non si poteva dire altrettanto della biologia.

Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) fu il primo scienziato che sviluppò una teoria coerente

dell’evoluzione degli organismi, ipotizzando che tutte le specie, uomo compreso, discendessero da

altre specie. Egli aveva osservato che generalmente le rocce più antiche contenevano fossili di

forme più semplici e interpretò questo fatto nel senso che le forme più complesse sarebbero derivate

da quelle più semplici mediante un’evoluzione.

Secondo Lamarck che sosteneva l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, tale cambiamento segue un

disegno insito nella natura stessa che porta a un graduale perfezionamento degli organismi

generando forme via via più complesse. Secondo questa idea, le modifiche che un organismo

subisce nel corso della sua vita potrebbero in qualche modo diventare ereditarie ed essere trasmesse

alla progenie. La teoria dell’evoluzionismo di Lamarck pone anche l’accento sull’importanza

dell’adattamento, un concetto centrale per il pensiero evolutivo. Per Lamarck, tuttavia,

l’adattamento riguarda il singolo individuo ed è il risultato dell’uso o del disuso di un determinato

organo: la funzione, quindi, crea l’organo e ogni essere vivente sviluppa gli organi di cui ha bisogno

per la vita in un certo ambiente.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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L’esempio più famoso che illustra il principio dell’“ereditarietà dei

caratteri acquisiti” è quello dell’evoluzione della giraffa. La giraffa

moderna si è evoluta da antenati che dovettero allungare il collo per

raggiungere le foglie poste sui rami più alti. Questi antenati trasmisero

ai discendenti il collo lungo, acquisito mediante l’allungamento, i

quali, a loro volta, allungarono il collo ancor di più trasmettendo la

nuova dimensione del collo ai figli e così via.

La figura dominante del panorama scientifico europeo all’inizio

dell’Ottocento fu sicuramente Georges Cuvier (1769-1832), il più

autorevole sostenitore del catastrofismo. Secondo questa teoria, i

fenomeni geologici e biologici sarebbero la conseguenza di eventi

catastrofici accaduti nel passato e Cuvier attraverso questa corrente di

pensiero spiegava l’estinzione delle specie. Cuvier rivestì un ruolo

importante nel campo scientifico perché diede enormi contributi alla

biologia del suo tempo: fu, infatti, il fondatore della paleontologia dei

vertebrati, lo studio scientifico delle testimonianze fossili dei

vertebrati. Esperto di anatomia e zoologia, Cuvier era in grado di dedurre la forma completa di un

animale a partire da pochi frammenti ossei e riuscì a dimostrare che gli animali potevano essere

divisi in gruppi fondamentali, come per esempio i vertebrati e gli articolati (i moderni artropodi), i

quali non potevano affatto discendere gli uni dagli altri perché le loro strutture corporee erano

completamente diverse (tra l’altro, questa idea fu il punto di partenza per Darwin, che si rese conto

che le specie attuali non possono derivare direttamente le une dalle altre, ma possono avere un

antenato comune).

La teoria delle catastrofi è oggi del tutto superata perché furono raccolti nuovi dati sulla storia della

Terra, che dimostravano come le estinzioni non fossero tutte concentrare in pochi eventi

catastrofici, ma sparse su tutta la storia della vita. Ma nonostante l’inadeguatezza del catastrofismo,

Cuvier ebbe il merito di sostenere l’importanza dell’estinzione delle specie, che invece Lamarck

non accettò mai. L’estinzione, infatti, è oggi considerata una componente fondamentale

dell’evoluzione.

1.2 LA NASCITA DELL’EVOLUZIONISMO MODERNO Nel formulare la propria teoria dell’evoluzione Darwin trasse ispirazione dalla lettura, dopo il suo

ritorno in Inghilterra, del Saggio sul principio di popolazione dell’economista Thomas Malthus

(1766-1834). La tesi sostenuta da Malthus in questa sua opera è la seguente: se la popolazione

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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umana avesse continuato ad aumentare così rapidamente, sarebbe stato presto impossibile sfamare

tutti gli abitanti della Terra. Bisognava dunque intervenire per controllarne lo sviluppo.

Darwin riteneva che le conclusioni di Malthus, ossia che il cibo e altri fattori limitano lo sviluppo

delle popolazioni, fossero vere per tutte le specie. Per esempio, Darwin, nella sua opera L’origine

della specie, calcolò che una coppia di elefanti, nonostante siano animali le cui femmine hanno un

lungo periodo di gravidanza e pochi figli nel corso della vita, produrrebbe 19 milioni di elefanti in

750 anni, se tutti i discendenti vivessero e si riproducessero normalmente; eppure, il numero medio

di individui rimane generalmente lo stesso nel tempo. Perciò, sebbene una coppia di elefanti possa

produrre in teoria 19 milioni di discendenti, in pratica ne produce in media solo due. Ma perché

proprio questi due? Il processo mediante cui questi due animali vengono «scelti» fu chiamato da

Darwin selezione naturale.

Per Darwin il processo di selezione naturale era analogo al tipo di selezione praticata dagli

allevatori di bestiame, di cavalli, di cani e di piccioni; in questa selezione, chiamata artificiale, gli

uomini scelgono gli esemplari di piante e di animali da far riprodurre in base alle caratteristiche che

sembrano più convenienti (per esempio, le mucche che fanno più latte o i cavalli che corrono più

veloci), mentre nel caso della selezione naturale è l’ambiente che li sceglie.

Quando individui con determinate caratteristiche ereditarie sopravvivono e si riproducono, mentre

altri con caratteri ereditari diversi sono eliminati, la popolazione lentamente si modifica. Per

esempio, se un colibrì avesse il becco più lungo rispetto a quello degli altri colibrì, potrebbe con

maggior successo raggiungere e succhiare il nettare dei fiori; anche la sua prole potrebbe ereditare

tale caratteristica e avere maggiori possibilità di sopravvivenza.

Il principale fattore su cui si basano i processi evolutivi è la variabilità esistente nelle popolazioni di

individui che appartengono alla stessa specie. Secondo Darwin le variazioni presenti tra questi

individui sono dovute solo al caso e non sono dunque prodotte né dall’ambiente né dalla volontà

degli organismi stessi. In sé, le variazioni non hanno né scopo né direzione, ma possono essere più o

meno utili a un individuo per la sua sopravvivenza e la sua riproduzione. Oggi sappiamo che queste

variazioni sono conseguenza di mutazioni, cambiamenti che possono avvenire nel patrimonio

genetico di qualsiasi organismo.

È l’azione della selezione naturale, cioè l’interazione tra i singoli individui e il loro ambiente, che,

nel corso di parecchie generazioni, guida il corso dell’evoluzione. Una variazione dovuta al caso

che dia a un organismo un vantaggio, per quanto lieve, lo rende più idoneo a lasciare una progenie

in grado di sopravvivere più facilmente.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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1.3 PROVE A SOSTEGNO DELL’EVOLUZIONE Nel suo libro L’origine della specie Darwin fornì una serie di prove scientifiche a sostegno della

selezione naturale e dell’evoluzione. Tali prove avevano origine in molte discipline diverse: la

paleontologia, l'anatomia comparata, l'embriologia e la biogeografia.

1. Paleontologia

Lo studio dei fossili rivela una graduale successione di forme che variano nel tempo, dalle

più semplici alle più complesse: gli strati rocciosi più superficiali e quindi più recenti

contengono organismi più simili a quelli attuali mentre quelli più profondi e antichi,

contengono forme con maggiori differenze. Questo fatto poteva suggerire una tendenza delle

specie a cambiare nel tempo, cioè ad evolvere.

2. Anatomia comparata

Se si osserva l’arto anteriore dei pesci, degli anfibi, dei rettili, degli uccelli e dei mammiferi,

si può notare come questo sia in tutti i casi costituito dallo stesso numero e dallo stesso tipo

di ossa, più o meno sviluppati: omero, radio, ulna, ossa carpali, ossa metacarpali e falangi.

Per il diverso utilizzo che le specie ne hanno fatto, l’arto si è notevolmente modificato, ma

in queste diverse classi di vertebrati compare sempre la stessa struttura. Questo tipo di

somiglianza viene chiamato omologia. In generale, si può affermare che gli arti dei

vertebrati mostrino lo stesso piano strutturale di base, sebbene siano adattati a funzioni

molto diverse quali il nuoto, il volo, la cattura delle prede; essi sono definiti organi

omologhi. Questa comunanza di struttura non trova alcuna spiegazione nell’adattamento,

come potrebbe essere per la forma dei delfini (mammiferi) e dei pesci, i quali sono simili

perché avere una forma idrodinamica favorisce i movimenti in acqua. Darwin, dunque, la

considerò una prova della discendenza di questi organismi da un antenato comune dal quale

avrebbero ereditato le suddette strutture. Possiamo dunque dire che l’omologia costituisce

una delle più solide prove a sostegno dell’evoluzione.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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3. Embriologia

Se si considerano gli stadi dello sviluppo embrionale dei vertebrati, ci si accorge che essi

procedono seguendo un modello unico, a tal punto che se si confrontano tra loro embrioni

non molto avanzati di un pesce, di un anfibio, di un rettile e di alcuni mammiferi, compreso

l’ uomo, ci si accorge che sono sorprendentemente simili tra loro e un embrione precoce di

anfibio è difficilmente distinguibile da un embrione precoce di mammifero. In particolare, in

tutti i succitati embrioni sono presenti le fessure branchiali, le quali vengono mantenute allo

stato adulto soltanto dai pesci nei quali assumono la funzione di organi respiratori. Questo

fatto dimostra che tutti o suddetti vertebrati dovrebbero aver avuto un progenitore comune

che doveva avere una respirazione di tipo branchiale.

4. Biogeografia

Una serie di prove a supporto dell’evoluzione è fornita anche da una scienza nota come

biogeografia, lo studio della distribuzione delle forme viventi nelle varie regioni del globo.

Secondo la dottrina creazionista, Dio aveva collocato in ogni regione le specie adatte a

vivere in quell’ambiente, per questo motivo, per esempio, non vi sono orsi polari ai tropici.

Sulla base di queste premesse, Darwin si sarebbe aspettato che i carnivori di cui analizzava i

fossili nell’America del Sud assomigliassero ai carnivori fossili europei, che erano vissuti in

ambienti simili ed avevano lo stesso stile di vita. Il fatto sorprendente è che l’analisi dei

fossili rivelò che i carnivori sudamericani somigliavano per molti aspetti più agli erbivori

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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fossili sudamericani che ai carnivori europei. Questo fatto era difficile da spiegare in modo

plausibile per un creazionista.

Darwin, inoltre, utilizzò la selezione artificiale come modello per spiegare la selezione naturale. Si

accorse che tutti gli individui appartenenti a una data specie hanno moltissimi caratteri comuni ma è

altrettanto vero che sono diversi l’uno dall’altro. Possiamo dunque dire che in ogni specie esiste una

variabilità individuale che è preesistente all’azione dell’ambiente e non è frutto dell’adattamento.

Tale variabilità, inoltre, è del tutto casuale. Se prendiamo come esempio il gatto domestico, è

evidente che la specie è formata da individui tutti diversi tra loro ma ci sono altre specie, come

quelle batteriche, in cui è difficile vedere questa variabilità. Secondo Darwin, la variabilità

all’interno di una specie è fondamentale per l’evoluzione. Partendo dall’osservazione che,

nonostante la prole tenda ad assomigliare ai genitori, in molti organismi i figli non sono identici né

fra loro né a chi li ha generati, Darwin ipotizzò che la probabilità degli individui di sopravvivere e

riprodursi dipendesse proprio da quelle leggere differenze. Per verificare la validità della sua

ipotesi, egli chiese agli allevatori informazioni sul loro lavoro e si mise egli stesso ad allevare

piccioni. Se i cambiamenti delle specie naturali sono difficili da osservare, perché non studiare i

cambiamenti indotti dall’uomo sulle specie domestiche? In altre parole, egli si rivolse allo studio

della selezione artificiale operata dagli allevatori sulle specie che l’uomo tiene con sé per adattarle

alle proprie esigenze, allo scopo di chiarirsi i meccanismi attraverso i quali cambiamenti simili

avvengono in natura, senza che sia l’uomo a guidarli.

1.4 LA TEORIA DELLA SELEZIONE NATURALE C’erano ormai tutte le basi affinché Darwin arrivasse a formulare la sua teoria della selezione

naturale, che può essere riassunta nei seguenti punti:

gli organismi della stessa specie che vivono nella stessa regione geografica, tendono a

riprodursi con grande rapidità;

in natura le popolazioni si mantengono sostanzialmente stabili;

la stabilità numerica delle popolazioni è dovuta alla scarsità delle risorse che costringe gli

individui di una specie a competere tra loro;

poiché gli individui sono tutti diversi e unici, alcuni (i più “adatti”) avranno caratteristiche

che consentono loro di sopravvivere meglio di altri;

i più adatti sopravvivono più a lungo e si riproducono con maggiore successo, trasmettendo

alla progenie le proprie caratteristiche.

Darwin aveva quindi trovato un meccanismo che spiegava in modo convincente l’evoluzione.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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1.5 LE CINQUE “SOTTOTEORIE” DELLA TEORIA DARWINIANA Sebbene Darwin si riferisca alla Teoria al singolare, secondo l’attenta analisi del grande

evoluzionista Ernst Mayr (1994) e altri, il paradigma darwiniano si compone di 5 sottoteorie

strettamente collegate ma in parte indipendenti tra loro:

L’evoluzione in quanto tale: gli organismi presenti sulla Terra si trasformano nel tempo.

Nel tempo, per spiegare come si è verificata l’evoluzione, sono state proposte varie teorie

che differiscono per l’importanza attribuita ai diversi fattori che causano i cambiamenti

evolutivi (selezione naturale, caso,ecc..). E anche se molti meccanismi evolutivi sono ancora

oggetto di dibattito, l’evoluzione in sé viene considerata da tutti gli scienziati come fatto

accertato;

La discendenza comune: tutte le forme di vita attualmente presenti sulla Terra possono

derivare da un unico antenato comune. Darwin arrivò a formulare questa teoria grazie

all’anatomia comparata e all’osservazione di numerosi casi di omologia. Per i biologi di

oggi, questo presunto antenato corrisponde a una forma di vita unicellulare procariote dotata

di tutte le caratteristiche riconoscibili in ogni forma vivente, quali i meccanismi di

duplicazione del DNA, la sintesi proteica e la glicolisi;

La moltiplicazione delle specie: una specie tende a produrre o a scindersi in specie

figlie. A Darwin dobbiamo la

sostituzione della metafora della

“scala naturale” con quella

dell’“albero della vita”: da una

base, costituita dalle specie più

antiche, si sviluppa un albero, in

cui ogni ramificazione corrisponde

a un evento di speciazione, cioè la

formazione di una nuova specie;

La gradualità dell’evoluzione: Secondo Darwin, i cambiamenti dovevano avvenire con

gradualità, attraverso il sommarsi di piccole variazioni, nel corso di lunghi periodi. Sebbene

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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il gradualismo di Darwin sia stato rivisto criticamente da alcuni evoluzionisti moderni, non

c’è dubbio che la documentazione fossile racconti più una storia di lenti cambiamenti che

non di improvvise apparizioni. Quello che alcuni critici oggi rifiutano è l’idea, erroneamente

attribuita a Darwin, che il processo evolutivo, per lento che sia, debba per forza procedere

con un ritmo costante;

La selezione naturale: L’ultima teoria costituisce uno dei concetti più spesso fraintesi

dell’intera opera darwiniana. Un filosofo contemporaneo di Darwin, Herbert Spencer (1820-

1903), propose di definire la selezione naturale come «sopravvivenza del più adatto», che

spesso viene inteso come il «più forte». La moderna definizione di selezione naturale è assai

diversa; tuttavia, la definizione suggerita da Spencer suscitò entusiasmi e polemiche perché

veniva riferita alla storia e al futuro dell’umanità, cosa che Darwin si guardò sempre bene

dal fare. Egli, infatti, era cosciente che gli esseri umani, grazie alla cultura, non devono per

forza seguire le leggi della natura. Inoltre, va sottolineato che il termine corretto per indicare

l’«essere adatto» è fitness, parola che i biologi usano ancora oggi non riferendosi alla forza o

alla capacità di sopraffazione sugli altri, ma piuttosto alla maggiore probabilità di riprodursi.

1.6 LA TEORIA SINTETICA DELL’EVOLUZIONE Un grosso punto debole della teoria dell’evoluzione di Darwin era l’assenza di una valida

spiegazione della trasmissione dei caratteri ereditari. Le ricerche di genetica condotte dal monaco

Gregor Mendel all’epoca di Darwin non erano ancora note agli scienziati. Solo con lo sviluppo della

genetica, avvenuto solo nel secolo scorso, fu possibile rispondere a tre domande alle quali Darwin

non seppe mai rispondere:

1. Come sono trasmesse le caratteristiche ereditarie di generazione in generazione?

2. Perché le diverse caratteristiche genetiche non si mescolano nella progenie, ma possono

scomparire per poi riapparire in generazioni successive?

3. In che modo si origina la variabilità su cui agisce la selezione naturale?

Gli scienziati moderni hanno cercato di unire gli studi sull’evoluzione con quelli sulla genetica

creando una nuova disciplina, la genetica delle popolazioni, che spiega i processi con cui le

variazioni si generano e vengono trasmesse all’interno delle popolazioni.

L’oggetto principale della genetica delle popolazioni è lo studio del pool genico, cioè dell’insieme

dei geni di una popolazione in un determinato momento. Più precisamente, il pool genico è la

somma di tutti gli alleli di tutti i geni presenti nei vari individui di una popolazione, ciascuno con la

propria frequenza allelica. Il pool genetico può cambiare gradualmente: si parla quindi di variabilità

del pool genetico. Gli scienziati che si occupano di questa variabilità genetica studiano, per

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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esempio, l’ampiezza di tale variabilità, ossia quante differenti forme alleliche sono presenti

all’interno di una popolazione e in che modo esse si originano e si modificano nel corso delle

generazioni. Il fatto che ogni individuo procrea la propria prole molto simile a lui, è dovuto

all’elevata precisione con cui, a ogni divisione cellulare, il DNA si duplica e viene trasmesso da

ogni cellula alle cellule figlie. Per la sopravvivenza dei singoli individui questa precisione è

fondamentale, ma non solo, è fondamentale anche la comparsa occasionale di mutazioni nel

trasferimento del materiale genetico. Infatti, queste mutazioni consentono alle popolazioni di

cambiare nel tempo e gli consentono di adattarsi meglio all’ambiente in cui si trovano a vivere.

Darwin fu sicuramente il primo a riconoscere l’importanza delle diffuse variazioni ereditarie che

compaiono nel processo evolutivo e gli studi della “genetica delle popolazioni” hanno permesso di

definire anche il modo in cui queste variazioni vengono mantenute e favorite nei pool genetici.

1.7 LA LEGGE DI HARDY-WEINBERG Nel 1908, lavorando indipendentemente, il matematico britannico Godfrey Hardy e il medico

tedesco Wilhelm Weinberg dedussero le condizioni necessarie perché la struttura genetica di una

popolazione si mantenga invariata nel tempo. Definirono "popolazione in equilibrio" una

popolazione all'interno della quale le frequenze alleliche rimangono costanti da una generazione

all’altra e le frequenze genotipiche sono ricavabili da quelle alleliche. Le condizioni che devono

essere soddisfatte affinché una popolazione si trovi all’equilibrio di Hardy-Weinberg sono le

seguenti:

Gli accoppiamenti devono essere casuali

(gli individui non devono preferire partner con particolari genotipi);

La popolazione deve essere di grandi dimensioni

(teoricamente infinita);

Non deve esserci flusso genico

(non devono verificarsi fenomeni di immigrazione o di emigrazione);

Non ci devono essere mutazioni

(gli alleli non si trasformano uno nell’altro né possono comparirne di nuovi);

Non si deve verificare selezione naturale

(individui con genotipi diversi hanno la stessa possibilità di sopravvivere).

Se queste condizioni sono idealmente soddisfatte, le frequenze alleliche caratterizzanti una

popolazione rimangono costanti per un periodo indefinito di tempo. Tale equilibrio è espresso dalla

Legge di Hardy-Weinberg, ovvero dall' equazione p2+2 pq+q

2=1 , dove p indica la frequenza di un

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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allele “A” e q la frequenza dell'altro allele “a”. Teoricamente, dopo una generazione di

accoppiamenti casuali le frequenze genotipiche manterranno i rapporti seguenti:

genotipo AA Aa aa

frequenza p2

2pq q2

Supponiamo che nella prima generazione l’allele “A” abbiamo una frequenza pari a 0,55. Siccome

abbiamo ipotizzato che gli individui scelgano i propri partner casualmente i gameti portatori

dell’allele “A” oppure dell’allele “a” si combinano casualmente, cioè secondo quanto previsto dalle

rispettive frequenze p e q. Nel nostro esempio, la probabilità che un particolare gamete porti un

allele “A” anziché “a” è di 0,55. In altre parole, su 100 gameti presi a caso, 55 recheranno

l’allele “A”. Dato che q = 1 − p, la probabilità che uno spermatozoo o una cellula uovo rechi

l’allele “a” sarà:

1 − 0,55 = 0,45.

La probabilità che alla fecondazione l’incontro avvenga tra due gameti portatori di “A” è data dal

prodotto delle due probabilità relative ai singoli eventi:

p x p = p2 = (0,55)

2 = 0,3025

Quindi, nella generazione successiva, il 30,25% della prole avrà genotipo “AA”.

Allo stesso modo, la probabilità che si incontrino due gameti portatori di “a” sarà:

q x q = q2 = (0,45)

2 = 0,2025

e il 20,25% della generazione successiva avrà genotipo “aa”.

Ci sono due modi per ottenere un eterozigote:

1. l’incontro tra uno spermatozoo “A” e una cellula uovo “a”, con probabilità p x q;

2. l’incontro tra uno spermatozoo “a” con una cellula uovo “A”, con probabilità q x p.

Di conseguenza, la probabilità di ottenere un eterozigote in totale è 2pq.

La seconda conseguenza è che le frequenze p e q degli alleli di un gene rimangono costanti di

generazione in generazione, come ora è facile dimostrare. Infatti nella nuova generazione della

nostra popolazione ad accoppiamenti casuali la frequenza dell’allele “A” è p2 + pq, e

sostituendo q con 1 − p, l’espressione diventa:

p2 + p (1 − p) = p

2 + p – p

2 = p

Le frequenze alleliche di partenza restano immutate, e la popolazione si trova all’equilibrio,

espresso dall’equazione di Hardy-Weinberg:

p2+ 2pq + q

2= 1

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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Se le frequenze genotipiche nella generazione parentale dovessero cambiare (per esempio, per

l’emigrazione di un gran numero di individui AA), anche le frequenze alleliche nella generazione

successiva risulterebbero alterate. Tuttavia, partendo dalle nuove frequenze alleliche, basta una sola

generazione prodotta in seguito ad accoppiamenti casuali per riportare le frequenze genotipiche

all’equilibrio.

Ovviamente le popolazioni in natura non si trovano mai nelle condizioni necessarie a mantenerle

all’equilibrio di Hardy-Weinberg. Perché allora questo modello è così importante per lo studio

dell’evoluzione?

L’equazione di Hardy-Weinberg mostra che le frequenze alleliche rimarranno le stesse di

generazione in generazione a meno che qualcosa non le faccia cambiare. Dato che le condizioni del

modello non sono mai soddisfatte completamente, in realtà le frequenze alleliche delle popolazioni

deviano sempre dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. In altre parole, sono in atto dei processi che

modificano le frequenze alleliche e che, quindi, inducono all’evoluzione. Il tipo di deviazione

dall’equilibrio può aiutarci a individuare i meccanismi che inducono il cambiamento evolutivo.

1.8 FATTORI CHE MODIFICANO L’EQUILIBRIO Oltre alla selezione naturale, esistono quattro fattori che modificano le frequenze alleliche in una

popolazione:

le mutazioni;

il flusso genico;

la deriva genetica;

l’accoppiamento non casuale.

MUTAZIONI

Le mutazioni sono dei cambiamenti ereditari del materiale genetico (DNA) e sono eventi rari ed

improvvisi. Possono avere cause diverse ma la maggior parte di esse si verifica spontaneamente;

solitamente, infatti, si verificano per caso. Inoltre, le singole mutazioni sono indipendenti

dall’ambiente e dal potenziale vantaggio o svantaggio che possono conferire all’individuo e ai suoi

discendenti. In natura esse si verificano con una frequenza molto bassa generando nuovi alleli che la

riproduzione sessuata ricombina.

FLUSSO GENICO

La migrazione degli individui da una popolazione a un'altra ha come risultato l'introduzione di

nuovi alleli in una popolazione, oppure il cambiamento delle frequenze alleliche. Al fondo genico

comune possono aggiungersi nuovi alleli per mezzo di gameti diversi forniti da immigrati

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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provenienti da altre popolazioni. Questo movimento di alleli, determinato dalla migrazione, viene

chiamato flusso genico. Nel caso in cui il fenomeno di migrazione sia ricorrente il flusso genico

rappresenta un elemento che diminuisce la variabilità, in quanto gli incroci frequenti portano

naturalmente a uniformare le frequenze geniche e quindi la diversità tra le singole popolazioni

diminuisce. Nel caso di flusso migratorio episodico che si verifica tra popolazioni normalmente

separate, invece, la migrazione viene considerata come sorgente di variabilità genetica.

DERIVA GENETICA

Un altro agente che influisce sulla variazione delle frequenze alleliche è il fenomeno della deriva

genica, che determina cambiamenti dovuti al caso. Esso si verifica in seguito a un evento

relativamente frequente nelle popolazioni naturali: un gruppo di individui si separa da una

popolazione e, una volta raggiunta una nuova sede, continua a rimanere isolato (nel genere umano i

fattori di isolamento, oltre che geografici, sono spesso di tipo culturale). Il gruppo, essendo

composto da un numero limitato di individui, può essere geneticamente rappresentativo della

popolazione da cui proviene; oppure può presentare alleli che nella popolazione d'origine erano rari;

oppure manca di alleli comuni nella popolazione di partenza. Le frequenze di certi alleli saranno

dunque diverse tra la nuova popolazione e quella di origine, non per un fenomeno selettivo, ma

apparentemente per ragioni casuali.

ACCOPPIAMENTO NON CASUALE

Le frequenze genotipiche possono subire cambiamenti anche nel caso in cui gli individui di una

popolazione scelgano di accoppiarsi con partner dotati di genotipi particolari (un fenomeno

chiamato accoppiamento non casuale). Per esempio, se la preferenza va agli individui con la stessa

costituzione genetica, la frequenza dei genotipi omozigoti risulterà maggiore di quanto previsto

dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. In altri casi può invece succedere che gli accoppiamenti

avvengano preferibilmente o esclusivamente fra partner con genotipi diversi.

Esempi di accoppiamento non casuale si ritrovano anche nei vegetali. È il caso della primula, dove

le singole piante producono fiori di uno solo fra due tipi possibili. Un tipo, detto a spillo, ha stilo

(l’organo riproduttivo femminile) lungo e stami (gli organi riproduttivi maschili) corti. L’altro tipo,

chiamato a tamburello, ha stilo corto e stami lunghi. In molte specie di primula con questa

disposizione reciproca di organi, il polline proveniente da un tipo di fiore può fecondare soltanto

fiori dell’altro tipo. Questo perché i granuli pollinici prodotti dai due tipi di fiore si depositano su

parti anatomiche diverse degli insetti impollinatori e, quando l’insetto si sposta su un secondo fiore,

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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i granuli di polline raccolti da fiori a spillo entrano più

facilmente in contatto con gli stigmi di fiori a tamburello,

e viceversa.

In numerosi gruppi di organismi, soprattutto vegetali, è

frequente un’altra forma di accoppiamento non casuale:

l’autofecondazione. In questo caso la frequenza degli

eterozigoti si riduce rispetto a quanto previsto

dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. È bene notare che

questi tipi di accoppiamento non casuale alterano le

frequenze genotipiche, ma non le frequenze alleliche, e

quindi non producono adattamento. Esiste però anche una

forma particolarmente importante di accoppiamento non

casuale, capace di cambiare le frequenze alleliche:

la selezione sessuale.

1.9 LA SELEZIONE NATURALE Ciò che conta per la selezione naturale è il successo riproduttivo, vale a dire il riuscire a generare il

maggior numero possibile di discendenti così da diffondere i propri alleli nelle generazioni

successive. Tuttavia, bisogna fare attenzione che a fare i conti con la selezione naturale è

il fenotipo (ovvero l’insieme delle caratteristiche fisiche manifestate da un organismo provvisto di

un certo genotipo) e non direttamente il genotipo. La selezione naturale favorisce determinati

genotipi rispetto ad altri, ma non lo fa agendo direttamente su di loro, bensì sui modi in cui essi

determinano diversi fenotipi. Non vengono selezionati geni, ma caratteri. La probabilità con cui uno

dei due alleli di uno stesso gene viene trasmesso alle generazioni successive rispetto all’altro è

detto fitness. Dunque, l’unico criterio per determinare la fitness di un individuo è determinare il suo

successo riproduttivo, ossia il numero di discendenti che sopravvivono, che determina quanti alleli

del genotipo di un individuo possono essere presenti nelle generazioni successive.

Come abbiamo visto i risultati della selezione naturale dipendono in ogni momento dall’interazione

di fattori genetici e ambientali. Esistono cinque modelli differenti di selezione naturale. Dal punto di

vista del suo effetto sulla distribuzione delle caratteristiche all’interno di una popolazione, la

selezione naturale può essere considerata:

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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STABILIZZANTE

favorisce gli individui con valori intermedi. La selezione stabilizzante riduce la variabilità di

un carattere nella popolazione, ma non ne cambia la media (l’evoluzione tende a procedere

lentamente proprio perché di solito la selezione naturale è di tipo stabilizzante!);

DIREZIONALE

favorisce gli individui che si discostano in una direzione o nell’altra dalla media. In tal caso

il valore medio del carattere nella popolazione si sposta in direzione dell’estremo

determinando una variazione della media della popolazione;

DIVERGENTE

favorisce gli individui che si discostano in entrambe le direzioni dalla media della

popolazione; come risultato, aumenta la variabilità.

Finora, abbiamo visto modelli di selezione naturale in cui vi è sempre l’eliminazione di una parte

della popolazione in possesso dei fenotipi meno adatti all’ambiente. In alcuni casi, invece, come nel

modello di selezione bilanciata, il risultato finale non è la scomparsa di una parte degli alleli del

pool genetico, ma, viceversa, il mantenimento della diversità genetica della popolazione. Questo

tipo di selezione non favorisce, quindi, un particolare allele ma crea un situazione detta

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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polimorfismo bilanciato in cui due o più alleli dello stesso gene vengono tenuti in uno stato di

equilibrio che rimane sostanzialmente costante nel tempo.

L’ultimo modello di selezione naturale è quello della selezione sessuale. Molti degli adattamenti

degli animali hanno a che fare con questo tipo di selezione, ovvero “la lotta tra membri di un sesso,

solitamente quello maschile, per la conquista dell’altro sesso”. I maschi, avendo un numero di

gameti maggiore delle femmine, cercano di accoppiarsi con il maggior numero di femmine

possibile, entrando in competizione con gli altri membri delle stesso sesso. Le femmine, invece,

avendo ad ogni accoppiamento una posta in gioco maggiore, in quanto generalmente sono loro a

prendersi cura della prole, scelgono il partner con le caratteristiche genetiche migliori. Si pensa che

la selezione sessuale sia la causa principale del dimorfismo sessuale, fenomeno per il quale gli

individui dei due sessi presentano un insieme di caratteristiche fisiche (di tipo morfologico e

funzionale) diverse. Un esempio è la differenza tra il maschio e la femmina di pavone:

i pavoni maschi hanno dimensioni maggiori delle femmine, sono più colorati e possiedono lunghe

penne ocellate sulla coda. Queste caratteristiche potrebbero essere ben poco adattive per la

sopravvivenza, in quanto il colore accesso e le grosse dimensioni della coda li rende visibili ai

predatori. Darwin, quindi, trattò la selezione sessuale separatamente dalla selezione naturale perché

capì che si trattava di due meccanismi bene distinti, e talvolta contrastanti: mentre la selezione

naturale favorisce i caratteri che aumentano la capacità di sopravvivenza, la selezione sessuale

riguarda soltanto il successo riproduttivo. Tuttavia, ridefinendo più correttamente la fitness come il

numero di discendenti che sopravvivono, molti biologi ritengono ora che questa distinzione non sia

valida e che la selezione sessuale possa essere considerata una delle forme che la selezione naturale

può assumere.

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Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale

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1.10 L’ADATTAMENTO: IL FRUTTO DELLA SELEZIONE Con il termine adattamento si intende qualsiasi caratteristica di una specie che ne migliori le

capacità di sopravvivenza in un determinato ambiente. Esso può avere due aspetti:

1. adattamento fenotipico, quello che interviene in un individuo o in un gruppo di individui

e consiste in cambiamenti fisiologici o morfologici che non vengono trasmessi ai

discendenti (per esempio, i fenomeni di mimetismo);

2. adattamento genotipico, quello che riguarda intere popolazioni ed è associato a

cambiamenti genetici che, attraverso la selezione naturale, diventano patrimonio della specie

o determinano fenomeni di speciazione (processo evolutivo grazie al quale si formano nuove

specie da quelle preesistenti).

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Capitolo 2. Beagle voyage

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Capitolo 2. BEAGLE VOYAGE Charles Darwin’s five-year voyage on H.M.S. beagle has become legendary, as knowledge gained

by the brilliant young scientist on his trip to exotic places greatly influenced his masterwork, the

book On the origin of species. Darwin didn’t actually formulate his theory of evolution while

sailing around the world aboard the royal navy ship, but the exotic plants and animals he

encountered called into question his thinking and led him to consider scientific evidence in new

ways.

2.1 THE HISTORY OF H.M.S. BEAGLE H.M.S. Beagle is remembered today because of its association with Charles Darwin, but it had

sailed on a long scientific mission which lasted for several years before Darwin came into the scene.

The beagle, a warship which carried ten cannons, sailed in 1826 to explore the coastline of South

America. The ship had an unlucky episode when its captain sank into a depression, perhaps because

of the isolation of the voyage, and committed suicide. Lieutenant Robert Fitzroy assumed command

of the Beagle, continued the voyage, and returned the ship safely to England in 1830. Fitzroy was

promoted its captain and nominated to command the ship on a second voyage, which had the aim to

circumnavigate the globe while conducting explorations along the South American coastline and

across the South Pacific. Fitzroy had the idea of bringing with him someone with a scientific

background who could explore and take note of observations. Part of Fitzroy’s plan was that a

“gentleman passenger,” would be good company aboard ship and would help him to prevent the

loneliness that seemed to have condemned his predecessor.

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Capitolo 2. Beagle voyage

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2.2 DARWIN WAS INVITED TO SAIL ABOARD H.M.S. BEAGLE IN 1831

Teachers at some British universities were asked to indicate someone suitable for the second Beagle

voyage, and Darwin’s ex professor proposed him for the position aboard the ship. After graduation

at Cambridge in 1831, Darwin spent a few weeks on a geological expedition to Wales. He was

inclined to return to Cambridge for theological training, but a letter from a professor, John Steven

Henslow, together with an invitation to join the Beagle voyage, made him change his mind. Darwin

was excited to join the ship, but his father was against that idea, but other relatives, instead

convinced Darwin’s father to let him go, and during the autumn of 1831 the 22-year-old Darwin

made preparations to leave England for five years.

2.3 H.M.S. BEAGLE DEPARTED ENGLAND IN 1831

The Beagle left England on December 27, 1831. The ship reached the Canary Islands in early

January, and then continued to South America, which was reached by the end of February 1832.

During the explorations of South America, Darwin spent considerable time on land: every time the

ship stopped in a place, Darwin went on land and was back on board of the ship only when the ship

set sail. He kept record his observations, and during quiet times on board the Beagle he transcribed

his notes into a diary. In the summer of 1833 Darwin went inland in Argentina. During his

excursions in South America Darwin dug to search for bones and fossils, and was also exposed to

the horrors of slavery and other human rights abuses.

2.4 DARWIN VISITED THE GALAPAGOS ISLANDS

After a lot of explorations in South America, the Beagle reached the Galapagos Islands in

September 1835. Darwin was fascinated by such strange things as volcanic rocks and giant

tortoises. He later wrote about the reaction of the tortoises when they approached to observe them:

those beautiful creatures retreated into their shells. Moreover, the young scientist has even tried to

get on their shells, thus realizing how difficult it was to maintain the balance. While in the

Galapagos Darwin collected samples of mockingbirds, and later observed that the birds were a little

different on each island. This made him think that the birds had a common ancestor, but had

followed different evolutionary paths when they were separated.

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Capitolo 2. Beagle voyage

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2.5 DARWIN CIRCUMNAVIGATED THE GLOBE

The Beagle left the Galapagos and arrived at Tahiti in November 1835, and then carried on to reach

New Zealand in late December. In January 1836 the Beagle arrived in Australia, where Darwin was

strongly impressed by the young city of Sydney. After exploring coral reefs, the Beagle continued

on its way, reaching the Cape of Good Hope on the southern tip of Africa at the end of May 1836.

In July, the beagle sailed back into the Atlantic Ocean and reached St. Helena, the remote island

where Napoleon Bonaparte had died in exile. The Beagle also reached a British outpost on

Ascension Island in the South Atlantic, where Darwin received some letters from his sister who was

in England. The Beagle then sailed back to the coast of South America before returning to England,

arriving at Falmouth on October 2, 1836. The entire voyage had taken nearly five years.

2.6 DARWIN WROTE ABOUT HIS VOYAGE ABOARD THE BEAGLE

After landing in England, Darwin took a bus to meet his family, staying at his father’s house for a

few weeks. However, he remained active, seeking advice of famous scientists. In the following few

years he wrote a lots about his experiences. A lavish five-volume set, The Zoology of the Voyage of

H.M.S. Beagle, was published from 1839 to 1843. And in 1839 Darwin published a classic book

under its original title, Journal of Researches. The book was later republished as The Voyage of the

Beagle, and remains in print to this day. The book is a lively and charming report of Darwin’s

travels, written with intelligence and occasional flashes of humor.

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Capitolo 2. Beagle voyage

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2.7 DARWIN, H.M.S. BEAGLE, AND THE THEORY OF EVOLUTION

Before embarking aboard H.M.S. Beagle, Darwin had studied and dealt with thinking about

evolution.. So a popular conception that Darwin’s voyage gave him the idea of evolution is not

accurate. Yet it is true that the years of travel and research focused Darwin's mind and sharpened

the powers of observation that would eventually lead to the publication of On the Origin of

Species in 1859.

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Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale

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Capitolo 3. VERGA E IL DARWINISMO SOCIALE Il concetto di “lotta per l’esistenza” che Verga fa emergere nella Prefazione ai vinti, deriva

dall’applicazione in ambito sociale della teoria della selezione naturale espressa da Charles Darwin

nel suo libro “L’origine della specie”. Tale teoria afferma che tra gli individui esiste una lotta

continua per la sopravvivenza data dal fatto che il numero degli organismi viventi che nasce è

superiore a quello che può vivere con le risorse disponibili. In questa lotta a prevalere sono i più

adatti alle condizioni di vita in cui si trovano, coloro che dotati di caratteristiche fisiche o

comportamentali particolari hanno la fortuna di avere un vantaggio sugli altri e possono trasmettere

i loro caratteri ai loro discendenti. La teoria di Darwin ebbe una grandissima influenza su tutto lo

sviluppo scientifico della seconda metà dell’ Ottocento, ed ebbe un notevole peso anche nelle

scienze sociali, originando quel pensiero sociologico che si definisce “Darwinismo sociale”. Alla

base della visione della vita di Verga stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana

è dominata da un antagonismo spietato tra individui, gruppi e classi e il meccanismo che lo regola è,

appunto, quello della “lotta per la vita”, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole.

Di conseguenza, nella realtà non c’è posto per valori ideali come la generosità disinteressata,

l’altruismo, la solidarietà e la pietà perché gli uomini sono mossi dall’interesse economico,

dall’egoismo, dalla ricerca dell’utile e dalla volontà di essere superiori agli altri, e non da motivi

ideali. È questa una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in

ogni luogo, e domina non solo le società umane, ma anche il mondo animale e vegetale. Verga

sostiene che questa condizione non potrà mai mutare perché è insita nella natura stessa e, dunque,

giunge alla conclusione che non si possono dare alternative alla realtà esistente. Se per Verga la

realtà è data una volta per tutte, senza possibilità di modificazioni, si può capire perché egli non

ritiene legittimo, per lo scrittore che la rappresenta, proporre giudizi. Se è impossibile modificare

l’esistente, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso, e allo scrittore non resta che

riprodurre la realtà così com’è. In altre parole, lo scopo dello scrittore deve essere quello di

descrivere oggettivamente la realtà, proprio come uno scienziato descrive ciò che succede in una

provetta. Per questo motivo la tecnica impersonale usata da Verga non è frutto di una scelta

casuale, ma scaturisce coerentemente dalla sua visione del mondo pessimistica, ed è per lui il modo

più adatto per esprimerla. Questa visone conservatrice della vita, pur impedendo di indicare

alternative, consente a Verga di cogliere con grande lucidità ciò che vi è di negativo nella realtà e lo

porta a non condividere la fiducia positivistica nel progresso, da lui considerato un meccanismo che

travolge le classi povere (“gli umili”) con costi umani e sofferenze altissime. Tale pessimismo

sfocia in una critica aperta alla società borghese e si traduce in una profonda solidarietà per gli umili

e per la dignità del loro mondo. Detto questo possiamo dire che quella che Verga descrive è una

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Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale

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società immobile, dove la comunicazione o il passaggio da uno strato sociale all’altro è impossibile.

In questo mondo si muovono i suoi personaggi, uomini condannati al dolore e alla sconfitta ma,

nonostante tutto, pieni di dignità umile ed eroica che nasce soprattutto dalla loro forza interiore, dal

modo con cui sopportano le avversità quotidiane, senza vane ribellioni e senza viltà.

3.1 IL CONCETTO DI LOTTA PER L’ESISTENZA NELLE OPERE DI VERGA

IL CICLO DEI VINTI

Verga concepisce il disegno di un ciclo di romanzi in cui il suo obiettivo principale è quello di

rappresentare le conseguenze del progresso sui diversi

ceti sociali, dai più umili ai più elevati, cercando di

coglierne gli aspetti problematici. Criterio unificante

dell’opera è il principio della lotta per l’esistenza, di cui

abbiamo parlato precedentemente.

Verga parte dal presupposto che, in astratto, il progresso

non sia una cosa cattiva, anzi, visto nell’insieme sia uno

spettacolo grandioso, che fa sperare in una liberazione

dell’umanità dalla fame e dalle malattie. Ma se lo si

osserva da vicino, si scopre che il suo cammino glorioso

è disseminato di “vinti”. Sono questi che Verga sceglie

come oggetto della sua narrazione, coloro che aspirando

a migliorare la propria condizione di vita o la propria

posizione sociale, sono rimasti travolti dalla “fiumana

del progresso”, fallendo miseramente. Infatti, per Verga la “ricerca del meglio” resta un traguardo

irraggiungibile, perché anche quei pochi, i più forti, che lo raggiungono sono destinati a loro volta a

essere vinti un domani.

Progetto

I primi vinti sui quali Verga concentra la sua attenzione sono i più umili (nel romanzo I

Malavoglia), per i quali la ricerca del meglio porta alla rovina e alla dispersione del nucleo

famigliare. A mano a mano che si sale nella stratificazione sociale, la ricerca del meglio assume

connotazioni più complesse. Nel secondo romanzo del ciclo, Mastro-don Gesualdo il movente del

progresso è il desiderio di migliorare economicamente, desiderio che porta il protagonista ad essere

escluso dalla famiglia e dalla società. Nel terzo romanzo, La duchessa di Leyra, la figlia di Mastro-

don Gesualdo, divenuta duchessa in seguito al matrimonio con un nobile squattrinato, viene esclusa

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Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale

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per le sue origini dall’alta società, nella quale ambirebbe inserirsi. Nel quarto romanzo, L’onorevole

Scipioni, il protagonista, pur facendo carriera politica, non riesce a liberarsi del pregiudizio che lo

perseguita a causa della sua nascita illegittima. Mentre, nel quinto romanzo, L’uomo di lusso, il

protagonista è un artista che vive la propria frustrazione sospeso fra i sogni estetici e le ambizioni di

affermazione sociale.

ROSSO MALPELO (1878)

Il protagonista della novella è un ragazzino dai capelli rossi, i quali secondo un’antica credenza

siciliana sono segno di malvagità: Malpelo essendo rosso è diverso e di conseguenza è cattivo,

portatore di male per sé e per gli altri. Egli viene deriso e maltrattato dalle persone che lo

circondano, persino dalla madre e dalle sorelle. L’unico che si prende cura di lui è il padre Mastro

Misciu, detto la Bestia, il quale lavora presso la cava dove perderà la vita, lasciando così Malpelo

solo e indifeso. Dopo la morte del padre il ragazzo continua a lavorare nella cava, ereditando il

mestiere del padre e accettando la propria condizione sociale con rassegnazione (pensiero tipico del

pessimismo verghiano) . Malpelo si sente addirittura orgoglioso del suo lavoro, per il quale crede di

essere nato, anche se sa che al di fuori del suo mondo ne esiste uno diverso, fatto di lavori e

ambienti più piacevoli.

La condizione del vinto

Malpelo è vittima di continui pregiudizi e maltrattamenti da parte di una società superstiziosa e

malvagia che porterà il ragazzo, in seguito alla morte del padre, a rispondere alla sopraffazione con

atteggiamenti si scontrosità e violenza. Si comporta in maniera crudele verso gli altri. Rifacendosi

alla teoria di Darwin, Verga descrive un Malpelo che vede nel

prossimo un nemico.

Verga osserva i feroci meccanismi di una comunità regolata dalla

legge del più forte, dove dominano la violenza, il sopruso e il

pregiudizio. Cresciuto in un ambiente brutale Malpelo sa esprimere i

propri sentimenti, anche quelli di affetto, soltanto con atti violenti.

Solo l’idea della propria superiorità rende sopportabile la solitudine

cui lo condannano i pregiudizi della comunità: cattiveria è sinonimo di

forza, bontà di debolezza. Di conseguenza, quando picchia Ranocchio

intende dargli una lezione di vita, perché ha imparato che la società

esclude ed elimina chi non si adegua alle sue leggi di sopraffazione.

Dai suoi comportamenti, è possibile vedere come, a differenza di altri

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Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale

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vinti verghiani, Malpelo è più umano perché cerca di migliorare almeno la condizione di

Ranocchio, provando a rafforzarlo, a cambiarlo e a suo modo ad emanciparlo dal suo destino, anche

se non ci riuscirà (perché Ranocchio morirà di tubercolosi).

Malpelo, portavoce della concezione verghiana dell’esistenza, scopre ben presto che questa realtà è

immutabile e cerca di adattarsi ad essa con disperata rassegnazione. Condannato al lavoro nella

cava da un rigido determinismo, che vuole l’individuo legato all’ambiente da cui proviene, Malpelo

sviluppa una saggezza crudele, un’amara conoscenza della lotta per la vita. E così, dapprima sfoga

sui più deboli la propria condizione di alienato, poi compie l’unico gesto di libertà che gli è

concesso: Malpelo, rimasto solo, abbandonato da tutti, accetta un pericoloso compito nella miniera,

come aveva fatto suo padre e scompare per sempre nelle viscere della terra. Dunque, dato che non

lo rimpiangerà nessuno, Malpelo accetta la sua sorte: morire dentro la cava. Assieme

all’accettazione, c’è qualcosa di ammirevole nella partenza di Malpelo. Sereno, prende con sé gli

attrezzi, il pane e il vino, e come se stesse andando a trovare suo padre, si dirige sotto terra per

l’ultima volta. Diversamente dal padre, lui sparisce senza lasciare traccia, e in un certo senso muore

senza morire. Lascia una leggenda, un mito negativo, di cui i ragazzi della miniera avranno sempre

paura. In questo senso, Malpelo può essere considerato il personaggio verista probabilmente più

vinto di tutti, perché neanche nella morte trova pace e liberazione, ma continua ad essere

disprezzato.

LA ROBA (1880)

In questa novella il protagonista, Mazzarò, è un uomo che si è fatto da sé, che si è arricchito dopo

un duro scontro con la società e con le sue leggi economiche, ma al prezzo della sua stessa umanità.

La sua unica dimensione di vita è il denaro, che però si rivelerà inutile dinnanzi alla morte.

La condizione del vinto

Ad una prima lettura della novella sembra che Verga si discosti completamente dalla concezione

darwiniana del ciclo dei vinti. Egli sosteneva che colui il quale tentasse invano di cambiare il

proprio destino, sarebbe stato indubbiamente schiacciato e sopraffatto dalla società: dunque, vinto.

Mazzarò, invece, esce in parte vincitore dalla vicenda, essendo il primo personaggio di tutte le

novelle verghiane che riesce a dare una svolta alla propria fortuna. Tutto ciò potrebbe negare la

teoria dei vinti, da Verga sostenuta. Però, Mazzarò è solo apparentemente vincitore perché in realtà

è anche lui un vinto, in quanto viene sopraffatto dall’egoismo e dall’avidità per la sua “roba”, con la

quale stabilisce un legame dipendente e morboso, che lo induce a vedere nel prossimo un nemico e

alla conseguente distruzione di gran parte dei beni a cui era tanto legato non potendo accettare

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Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale

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l’idea che, ormai giunto alla vecchiaia, qualcuno potesse impossessarsi delle sue ricchezze. Proprio

per questo ne risulta vinto: egli riesce sì a cambiare la sua condizione sociale, ma non potrà mai

vincere il destino che lo separerà, una volta morto, dalla sua roba. Dunque, ciò attesta che la natura

umana è fondamentalmente egoista. Il protagonista non è vinto né dal pregiudizio, né dalla società,

ma da se stesso, un uomo inevitabilmente corrotto dall’avidità. Le sue azioni vanno oltre un

semplice istinto di sopravvivenza in quanto esse sono regolate da un desiderio infinito di possesso.

Mazzarò è, dunque, il risultato dell’ambiente cui appartiene, di cui condivide la mentalità e i valori.

Si è sostituito all’aristocratico barone, ma non è diverso da lui: controlla il lavoro dei braccianti con

la frusta in mano, fa lo strozzino con chi ha bisogno, non esita a usare l’inganno se qualcuno tenta

di resistergli.

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Capitolo 4. L’EUGENETICA1 NAZISTA E LA SUPERIORITÀ

DELLA RAZZA ARIANA.

Il 14 luglio del 1933, in Germania, veniva varata la legge per la “prevenzione di prole con malattie

ereditarie” che prevedeva la sterilizzazione dei malati ereditari nei seguenti casi:

frenastenia congenita;

schizofrenia;

psicosi maniaco-depressiva;

epilessia ereditaria;

corea di Huntington;

cecità ereditaria;

sordità ereditaria;

grave deformità fisica ereditaria.

Questa legge imponeva a tutti coloro che presentavano le sopra citate patologie ereditarie una

sterilizzazione forzata, che sarebbe stata decisa da speciali “tribunali per la salute ereditaria” o

addirittura richiesta direttamente da un medico2 o da un direttore di un istituto. Questo stava a

significare una sola cosa: era ormai eliminata per il malato qualsiasi libertà di scelta.

<< L’altra via per la morte della razza è la procreazione differenziata. Questa è

caratterizzata da una parte dalla crescente riproduzione, superiore alla media, degli

ereditariamente inabili. Da decenni la Germania era minacciata da questo crescente

pericolo. In particolare sono determinati gruppi di idioti e di certi gruppi di nemici

della società inabili socialmente, la cui riproduzione di molto superiore alla media è

stata favorita da condizioni sociali inadatte e nocive alla razza.>>3

Si stima che nel Terzo Reich fino al 1945 circa 360.000 persone, in maggioranza donne, siano state

sottoposte a sterilizzazione forzata, e che durante tale intervento siano morti circa 600 uomini e

5.500 donne!

Purtroppo, l’introduzione della legge sulla sterilizzazione in Germania nel luglio del ’33 non

rappresentava in alcun modo un fenomeno isolato: gli Stati Uniti, nello Stato dell’Indiana, furono i

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primi, nel 1907, ad approvare una legge sulla sterilizzazione obbligatoria per i disabili, ma ve ne

furono molti altri, in particolare nelle tanto ammirate democrazie settentrionali dell’Europa, ad

esempio in Svezia, dove una legge simile rimarrà in vigore, indisturbata, fino al 1976.

L’eugenetica era dunque chiamata “nell’impero di Hitler4” a diventare la scienza che più di altre

avrebbe dovuto contribuire ad affermare il supremo valore della razza ariana. Inoltre, fin da subito,

discriminazione razziale e eugenetica diventarono le due facce di una stessa medaglia e cioè del

razzismo nella sua veste scientifica e biologica. La politica eugenetica e la politica di divisione

razziale si svilupparono nello stato nazista tendendo ad uno stesso fine, cioè al ristabilimento e alla

conservazione della purezza del sangue ariano. Che la politica di sterilizzazione non fosse separata

da quella razzista è dimostrato, tra l’altro, dall’azione che nel 1937 fu rivolta contro circa 700

bambini meticci nati da relazioni di donne tedesche con soldati di colore (soprattutto francesi) delle

truppe di occupazione della Renania, durante gli anni Venti. Nel 1935 si era deciso di trovare una

soluzione definitiva alla questione dei meticci della Renania con la speranza che una parte dei

bambini potesse essere sterilizzato, anche se la legge del 1933 non lo prevedeva. Tuttavia, ci si

accordò di trovare temporaneamente un’altra soluzione, cercando di incentivare l’espatrio di questi

bambini “indesiderati”. Quando però, per ragioni finanziarie, tale via risultò impraticabile, non si

pensò due volte a procedere attraverso vie illegali, in quanto la legge del ’33 non prevedeva

sterilizzazioni per motivi razziali. Fu così che nella primavera del 1937 fu attuata, sulla base di un

“incarico segreto” del Führer e attraverso perizie mediche redatte da Fischer (uno degli eugenisti

più conosciuti del tempo) e dai suoi assistenti, la sterilizzazione di circa 385 giovani “meticci della

Renania”.

La politica razzista ed eugenetica, iniziata, come si è visto fin dagli inizi del regime nazista, trovò la

sua massima sanzione legale nel 1935. In quell’anno fu varato nell’ambito della politica antisemita

il corpus delle cosiddette “leggi di Norimberga”. Tra queste la “legge della cittadinanza del Reich”,

privava gli ebrei dei diritti civili e politici, stabilendo che i cittadini a pieno diritto fossero soltanto i

soggetti di sangue tedesco o affine. Inoltre, la “legge per la protezione del sangue e dell’onore

tedesco”, appartenente allo stesso corpus, vietava i matrimoni tra cittadini tedeschi ed ebrei,

affermando la nullità di quelli già contratti e stabilendo sanzioni penali contro i rapporti

extramatrimoniali con ebrei. La “legge per la protezione della salute ereditaria del popolo tedesco”,

dunque, si legava intimamente alla legislazione sulla sterilizzazione obbligatoria per i malati

ereditari, che veniva in quello stesso anno ampliata con la legalizzazione dell’aborto a scopi

eugenetici. A partire dal 1935, dunque, la Germania nazista si era dotata di un articolato

disciplinamento legislativo di tipo eugenetico e razziale che individuava, come si è visto, nei malati

ereditari e negli ebrei, ma poi anche negli zingari, negli omosessuali e, in generale, nei cosiddetti

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“asociali”, quelle categorie ritenute socialmente dannose. Per questo motivo il corpo popolare

tedesco doveva essere assolutamente protetto.

Nell’ottobre del 1939 erano state prese le disposizioni statali per l’attuazione segreta dell’eutanasia.

Tale progetto prevedeva l’uccisione pianificata di pazienti disabili con malattie definite inguaribili

ricoverati negli ospedali. In quanto tali, queste persone erano ritenute un peso inutile per la spesa

sociale e “vite che non meritavano di essere vissute”.

La prima volta che Hitler affrontò il passaggio dalla sterilizzazione all’eutanasia fu proprio al

raduno del partito5 a Norimberga del 1935, quando ne parlò per la prima volta al dottor Wagner. Per

un regime fondato sulla legge del più forte fu naturale iniziare l’eutanasia con “i più deboli tra i

deboli”: i bambini disabili. L’occasione per dare inizio all’uccisione fu la falsa richiesta della morte

ricevuta per grazia di un bambino di nome

Knauer, nato sordo cieco, senza una

gamba e un braccio e con gravi difficoltà

mentali; tuttavia le testimonianze sulle

reali condizioni del bambino sono molto

varie e discordanti fra loro, tanto da far

pensare ad una manipolazione del caso.

Hitler ordinò al suo medico personale,

Karl Brandt di recarsi nella clinica di

Lipsia dove era ricoverato il bambino e di

autorizzarne l’uccisione. Il Terzo Reich

non ritenne necessario nemmeno emettere

un decreto per l’uccisone dei bambini

disabili: il via alle uccisioni generali avvenne con un semplice ordine orale di Hitler a Karl Brandt e

al capo della sua Cancelleria Philip Bouhler. Karl Brandt si avvalse della collaborazione di medici

accademici; i medici condotti e le levatrici erano obbligati alla registrazione di tutti i bambini nei

quali si sospettasse la presenza di idiozia, mongolismo cecità, sordità microcefalia, idrocefalia,

malformazioni di ogni sorta, paralisi e condizioni spastiche. Questa direttiva fu poi emanata anche

agli istituti privati che si occupavano di bambini con problematiche; successivamente a tre medici

veniva richiesto un giudizio sull’opportunità o meno dell’eutanasia, non sulla base delle cartelle

cliniche, ma solo sulla base di un questionario. Il segno “+” equivaleva al parere favorevole sulla

morte del bambino. Perché l’uccisione avvenisse era necessario il parere favorevole di tutti e tre i

medici, ma i bambini sui quali l’opinione non era unanime venivano ugualmente inviati ai centri di

uccisione per “ulteriori accertamenti” per poi essere ugualmente freddati. Le uccisioni avvenivano

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in “dipartimenti speciali” di istituti pediatrici i cui direttori erano noti per la loro fedeltà al regime.

Ai genitori e ai famigliari veniva fatto credere che i bimbi sarebbero stati curati nel migliore dei

modi, arrivando alla minaccia di revoca della patria potestà se i genitori si dimostravano

irremovibili. Successivamente veniva comunicato ai genitori che il bambino era scomparso, in

genere per polmonite, o appendicite o altre comuni malattie. Dipartimenti speciali vennero creati un

po’ in ogni zona del Reich, per ridurre le spese del trasporto e insospettire meno i famigliari. Gli

omicidi avvenivano in genere con la somministrazione di dosi sempre più massicce di un calmante,

il “Luminal”, e i bambini passavano così dal sonno al coma ed infine alla morte. Ma ciò non

avveniva sempre: i bambini che avevano sviluppato resistenza al calmante per precedenti

somministrazioni, erano eliminati con dosi di morfina e scopolamina.

Inoltre, nella Germania nazista i pazienti erano trattati al di sotto del loro stato di persone: era

normale effettuare ripetutamente crudeltà come percosse, uso di legature e scariche elettriche per

chi bagnava il letto.

Il direttore dell’Istituto pediatrico di Elfing-Haar, Hermann Pfanmuller, raggiunse l’apice del

sadismo facendo letteralmente morire di fame i “suoi pazienti”, risparmiando così i soldi delle

medicine che non andavo sprecate per quelle “non vite”. Il direttore ridusse il cibo gradualmente per

provocare la morte per fame ed inedia (forma più estrema di malnutrizione). Inoltre, alla crudeltà e

al sadismo si aggiungeva anche la componente beffarda: i bambini venivano prelevati con autobus,

con la promessa di una gita premio; ciò tranquillizzava i bambini e rendeva più facile il lavoro degli

aguzzini. Si calcola che fino al 1945, anche se ufficialmente il progetto di eutanasia fu sospeso nel

1941, le uccisioni non finirono del tutto fino alla fine della guerra. In Germania, sono circa 5.000 le

vittime dell’eutanasia infantile, uccise tra 1935 e il 1945.

Nell’ottobre 1939, Hitler aveva dato l’autorizzazione al capo della sua Cancelleria, Philipp Bouhler,

e al proprio medico di scorta, Karl Brandt, di iniziare l’“Azione T4” di eutanasia, che prese il nome

dall’indirizzo berlinese dal quale veniva diretto e coordinato tutto il progetto, in estrema segretezza

e con appositi organismi di copertura. Tale azione sanciva il passaggio del progetto dai bambini agli

adulti. L’“eutanasia degli adulti”, come si è detto, doveva colpire persone con gravi disabilità

fisiche e psichiche ritenute inguaribili e inabili al lavoro, che venivano trasferite per l’eliminazione

in centri appositamente destinati all’“Azione T4”. Nel programma di eutanasia nazista furono messi

a punto metodi e tecniche di uccisione e di eliminazione dei cadaveri, come le camere a gas con

l’utilizzo di monossido di carbonio (voluto personalmente da Hitler perché reputato metodo “più

umano”) e i forni crematori, successivamente ampiamente utilizzati nella “soluzione finale” nei

campi di sterminio; e nei futuri campi di sterminio fu impiegata, con mansioni anche di

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coordinamento e direzione, buona parte del personale appositamente istruito per l’attuazione del

progetto “T4”.

Pubbliche proteste, specialmente di ambienti della Chiese cristiane, portarono il 24 agosto 1941 alla

sospensione, almeno formale, delle azioni di eutanasia. Si stima che fino al 1° settembre 1941 le

vittime di tali azioni siano state tra le 70.000 e le 80.000. Tuttavia anche dopo l’agosto 1941

continuarono in modo decentralizzato le uccisioni nell’ambito del “trattamento speciale 14F13”

attuato, fino a dicembre 1944, dalle SS insieme al personale del progetto “T4” contro deportati

malati, anziani e inabili al lavoro dei campi di concentramento, e in primo luogo contro ebrei e

zingari. Si pensa che le ulteriori vittime dell’eutanasia del programma 14F13 siano state tra le

15.000 e le 20.000.

L’eutanasia era stata dunque il passo decisivo per una precisa pianificazione statale della

soppressione di persone ritenute “indegne di vivere” e deve essere quindi considerata come la prima

concreta realizzazione del più vasto atteggiamento eliminazionista dei nazionalsocialisti che

culminò nella Shoah. Dopo nemmeno un anno dalla fine “ufficiale” del progetto “T4” si sarebbe

passati alla soluzione finale della “questione degli ebrei”, che già a partire dal 1940 si era

cominciato a deportare sistematicamente nei campi di concentramento (entrati in funzione sin dagli

inizi del Terzo Reich in particolare per i nemici politici del regime) e si sarebbe arrivati quindi allo

sterminio pianificato di ben sei milioni di ebrei e altri “soggetti pericolosi” per l’integrità della

purezza della razza ariana.

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Note:

1- Disciplina che si propone di favorire e sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi

dell’ereditarietà genetica. Il termine fu coniato nel 1883 da F. Galton. Sostenuta da correnti di ispirazione

darwinista, l’eugenetica si diffuse inizialmente nei paesi anglosassoni e successivamente nella Germania

nazista, trasformandosi nella prima metà del XX sec. in un movimento politico-sociale volto a promuovere la

riproduzione dei soggetti socialmente desiderabili (eugenetica positiva) e a prevenire la nascita di soggetti

indesiderabili (eugenetica negativa) per mezzo di infanticidio e aborto.

2- I medici condotti avevano l’obbligo di riferire alle autorità i nomi di coloro che soffrivano delle patologie

menzionate tradendo così il segreto professionale.

3- J. Schottky, Unfruchtbarmachung und Rassenpflege, in “Odal”, IV, 1935/36, pp. 671-678.

4- Adolf Hitler fu al potere in Germania per soli dodici anni, dal 1933 al 1945, ma la portata delle sue azioni fu

tale da segnare in maniera sconvolgente la storia mondiale. Aveva lo scopo di costruire un regno millenario

avente il suo centro nella Germania e fondato sul dominio della razza eletta, gli ariani. Hitler, che considerava

gli ebrei come una razza nemica da cancellare e le 'razze inferiori' come popolazioni da sottomettere, perseguì i

propri scopi con la massima determinazione fino alla totale disfatta dei suoi piani.

5- “Partito tedesco dei lavoratori” fondato da A. Dexler nel quale Hitler entrò nel 1919. Tale partito venne poi

trasformato nel “Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori” (NSDAP) e nel luglio 1921 Hitler ne divenne

il capo.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Capitolo 1. Lo sviluppo della Selezione Naturale

H. Curtis, N.S. Barnes, Invito alla biologia, Firenze, Zanichelli, 2006

D. Sadava, H.C. Heller, G.H. Orians, W.K. Purves, D.M. Hillis, Biologia A+B+C, la

scienza della vita, Bologna, Zanichelli, 2010

Capitolo 2. Beagle voyage

HMS Beagle Voyage in http://www.aboutdarwin.com/voyage/voyage09.html

Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale

B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LetterAutori, Bologna, Zanichelli, 2011

G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, la letteratura, Torino, Paravia, 2007

P. Di Stefano, Darwinismo sociale, in “Corriere della Sera”, 04 Settembre 2006

Capitolo 4. L’eugenetica nazista e la superiorità della razza ariana

D’Onofrio, Razza, sangue e suolo, Università degli Studi di Napoli Federico II ClioPress -

Dipartimento di Discipline Storiche “E. Lepore”