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MARCO CATTANEO CLASSE V, SEZ. D LST ANNO SCOLASTICO 2013/2014 LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA Deformazione del tempo e della memoria Marco Cattaneo, classe V, sez. D LST I.S.I.S “Giulio Natta” - Bergamo Esame di stato 2014 1 LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

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MARCO CATTANEO CLASSE V, SEZ. D LST ANNO SCOLASTICO 2013/2014

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LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

Deformazione del tempo e della memoria

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Marco Cattaneo, classe V, sez. D LST I.S.I.S “Giulio Natta” - Bergamo

Esame di stato 2014 !!

!1LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

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!Indice

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Indice 2 Prefazione 3 Memento: la decostruzione del tempo cinematografico 4 Negazione del tempo assoluto 7 Da Newton ad Einstein 7

Il contributo di Einstein 9

Il paradosso degli orologi 10

Dal concetto di durata all’inconsistenza del presente 12 Il tempo della scienza e il tempo vissuto 12

Il concetto di durata 13

La memoria 15

Il momento presente 16

 Il riflesso delle nuove teorie in letteratura ed in arte 17 La disarticolazione del tempo cronologico 17

La Coscienza di Zeno 18

Il Fu Mattia Pascal 19

Il flusso di coscienza 20

James Joyce and Virginia Woolf 21

Bibliografia 23 Sitografia 23

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Prefazione !Finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà non sono certe e, finché sono certe, non si riferiscono alla realtà. 1

!È forse di fronte alla morte che l’essere umano per la prima volta ha acquisito il concetto di esistenza. La morte nega l’essere e allo stesso tempo lo legittima. La realtà è ciò che ha un’esistenza reale, la realtà è; tuttavia anche la morte è 2

reale, ecco il primo paradosso dell’esistenza: essere e non essere sussistono entrambi, l’uomo è di fronte al mistero. La necessità di fare ordine si fa strada nella mente umana per avere una parvenza di controllo; in parte, forse, per dare senso al mondo. È lecito credere che l’uomo sia partito da questi presupposti ad osservare il mondo in modo “critico”, relazionandosi con esso attraverso un processo “virale”, cioè attraverso un’acquisizione sostanziale della realtà esterna tanto da renderla congenita. Per dirla come Max Planck: La scienza umana non può risolvere il mistero ultimo della Natura. E ciò perché, in ultima analisi, noi stessi facciamo parte del mistero che stiamo cercando di risolvere. 3

Ecco il principio della relatività: l’uomo, elemento della realtà, interiorizza quest’ultima e la plasma attraverso i propri parametri, conferendo al risultato valore assoluto. Egli dimentica che il risultato (che nel mondo occidentale è basato sulla scienza) è in realtà frutto di un processo umano di codifica che avviene sulla base di categorie derivanti per lo più da convenzioni che possono essere culturali, sociali, ambientali, esperienziali, etc. e proprio per questo, relative ad un determinato contesto. Il cinema nella duplice valenza di narrazione ed immagine introduce nella relazione con il mondo cui si riferisce degli interrogativi circa la realtà e la rappresentazione di essa. In particolare si analizza il film Memento di Christopher Nolan in cui la relatività è ben espressa in particolare dalla componente Memoria, sostrato cognitivo alla base della narrazione e in generale della percezione temporale della realtà. 

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Albert Einstein, citato in J.R.Newman (ed.), The world of mathematics, New York, Simon and Schuster, 1956 1

Il Nuovo Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana di Nicola Zingarelli, a cura di Miro Dogliotti e Luigi 2

Rosiello, Bologna, Zanichelli, 1990

Max Planck, citato in Giuseppe Tanzella – Nitti, recensione a Thomas Torrance, «Documentazione di scienze 3

e fede», internet: www.disf.org/AltriLibriRecensiti/Torrance- 1992.asp

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Memento: la decostruzione del tempo cinematografico

!Leonard ha subito un terribile trauma. Sua moglie è stata stuprata ed uccisa. Da quel momento egli non è più in grado di mettere ordine ai propri pensieri, ed ai propri ricordi. Ha perso la memoria a breve termine, e nel giro di pochi minuti rimuove dalla mente ciò che ha appena fatto, ciò che ha appena detto, le persone con cui ha da poco comunicato. Gli unici ricordi risalgono a prima dell'incidente. La sua vita presente consiste unicamente nel desiderio di vendetta, trovare l'assassino dell'amata moglie e ucciderlo. Per far questo egli si tatua sul corpo le cose più importanti, quelle da non dover per nessuna ragione dimenticare, e attraverso fotografie e appunti tenta di dare concretezza alla realtà come appiglio per ovviare alla sua impossibilità di mantenere un discorso mentale logico. Chi gli sta attorno sfrutta il suo disturbo come può, e Leonard, esulando dalla realtà concreta dei fatti, mantiene viva in sé l'unica ragione della sua nuova esistenza: la vendetta. !Memento, di Christopher Nolan, uscito in sordina all'alba del nuovo millennio e divenuto in breve tempo film di culto, pone in essere, al di là di una trama non particolarmente innovativa, un motivo di estremo interesse, che la colloca come concreto oggetto di studio nell'analisi dello sviluppo del cinema contemporaneo: la rottura della consequenzialità temporale del racconto. Le basi del cinema, e le regole precipue che da sempre lo governano, indicano lo sviluppo spazio-temporale del racconto filmico come una successione logica e ordinata di avvenimenti, che si susseguono razionalmente in modo da permettere allo spettatore di seguire senza troppa difficoltà la vicenda narrata. Occasionalmente l'uso di flashback, flashforward ed ellissi complica la ricezione della platea costringendola ad un maggiore sforzo di percezione, ragionamento e ordinamento della realtà filmica e dei significati da essa portati alla luce. !Memento estremizza invece l'autarchia di tanto cinema contemporaneo, pronto ad ogni occasione a invertire e modificare le regole in modo da presentarsi come contenitore di nuovi elementi da assimilare ed analizzare. La narrazione a gambero del film di Nolan scardina il rapporto di contiguità tra fabula (l'ordine

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cronologico degli eventi proprio della storia) e intreccio (l'ordine degli eventi come vengono narrati nel racconto), regalando a quest'ultimo un ruolo di primaria importanza, e costringendo lo spettatore ad un notevole sforzo mentale necessario per comprendere lo svilupparsi a ritroso della sceneggiatura. Tocca a lui, cioè a noi fruitori della pellicola, mettere ordine nelle immagini capovolte che ci vengono mostrate, collegando insieme i segmenti di questo puzzle per dare una forma conosciuta alla misteriosa figura che fluttua davanti a nostri occhi. In base alla teoria psicologica della Gestalt, per cui <<il concetto di forma emerge non dalla somma delle sensazioni associate a ciascun elemento, ma dalla relazione fra questi elementi[...]Le totalità percettive possiedono caratteristiche peculiari diverse da quelle degli elementi che la compongono[...]L'organizzazione automatica degli eventi avviene in virtù non di mere leggi associative, ma di forze che obbediscono tutte ad un principio di minimo: si realizza la soluzione più semplice, più regolare, più economica…>> , si tende ad 4

avvicinare ed incollare ogni singola sequenza del film, tentando di trovare un ordine logico e di rimanere avvinti alla trama proponendo di volta in volta le opzioni più semplici che ci permettano di identificare il contendere della questione (chi è l'assassino? Riuscirà Leonard a trovarlo? Uccide le persone giuste o quelle sbagliate? E la moglie, è realmente stata assassinata?). !Per riuscire nell'intento, che resta peraltro volutamente irrisolto nello svolgersi della pellicola, Nolan ci costringe ad evitare qualsiasi distrazione, a partecipare alla vicenda con un notevole impiego della nostra capacità di concentrazione, ed enfaticamente ci impedisce di chiudere gli occhi o di distogliere lo sguardo, attuando una sorta di Cura Ludovico non molto dissimile da quella a cui l'istituzione (e di riflesso Kubrick) costringe l'Alex di Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, 1971). L'occhio è obbligato a guardare, a seguire, a non divagare, a non perdersi in pensieri che esulino dalle immagini, a immedesimarsi nel racconto mentre Leonard parlando al telefono con un interlocutore misterioso illustra la propria condizione quasi come se la spiegasse a noi per ottenere un po' di umana pietà, e ad aiutarlo, virtualmente a ricostruire le tappe della sua caccia all'uomo e a non cadere nelle trappole che in ogni dove lo circondano. !!!

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Paola Bressan, La Percezione Visiva, Padova, Cleup, 1992, pp. 76-77 4

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Memento, nella sua unicità e nelle sue radici che ci riportano, quantomeno a livello di trama, alla tradizione del noir, si basa sull'importanza indissolubile dell'organizzazione delle parti; basilare, a tal proposito, il pensiero di Leonard per cui <<devi per forza importi un metodo se vuoi farcela>>. Quello stesso metodo che il protagonista attua con l'uso di stratagemmi quali i tatuaggi, gli appunti, le fotografie (metafora dell'occhio umano e del suo desiderio di fermare la realtà e di dare ad essa durata infinita), quello stesso metodo che alterna con intelligenza le sequenze a colori e quelle in bianco e nero facendole progressivamente avvicinare fino a fonderle nel punto focale della narrazione, e che sviluppa in parallelo la storia di Leonard e quella del presunto malato Jim (disposto a lasciar morire la moglie pur di dimostrare la veridicità della propria condizione), è in fondo lo stesso che lo spettatore, rotta sintatticamente la quarta parete che divide schermo e pubblico, deve imporsi per non perdere (o per scovare) il filo logico della narrazione, appuntando ciò che accade in ogni sequenza per poterla agganciare a quella successiva (o meglio, precedente), e ricordandosi che il tutto naviga in una nebbia di incertezza e confusione, in quanto, sempre per usare le parole del protagonista, <<I ricordi sono solo delle interpretazioni, non sono la realtà>>. Derivando il nostro insieme di conoscenze da questo imprescindibile concetto, siamo chiamati anche noi ad interpretare gli avvenimenti, immergendoci in un'affascinante sciarada cinefila che si conclude, estremo inganno e dimostrazione ultima dell'impossibilità a riprodurre fedelmente ed oggettivamente la realtà, con un nulla di fatto: la trama non ha una fine, i dubbi seminati da Nolan restano tali, l'ultima sequenza ci riporta all'inizio della pellicola, il cerchio si chiude ed un nuovo giro di giostra rincomincia, il vortice in cui siamo avviluppati non concede spiragli, ed il gioco continua. !Memento ottimizza una tendenza notevolmente in voga nel cinema contemporaneo, il quale con sempre più frequenza attua quella decostruzione delle regole narrative a cui abbiamo accennato sopra: basti pensare a Mulholland Drive (di David Lynch, 2001), in cui la logica spazio-temporale viene abolita per riflettere il disordine della dimensione onirica dell'essere, sospeso in una realtà inconoscibile in cui l'identità stessa dell'individuo è messa in discussione, e a 21 Grammi (21 Grams, di Alejandro Gonzales Inarritu, 2003), in cui il mescolarsi dei tempi narrativi e l'intrecciarsi graduale di più storie parallele unite da un filo sottile che converge in un unico climax tenta di attualizzare la struttura classica del melodramma.

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Negazione del tempo assoluto !Molti credono che il tempo si misuri con l’orologio. Ma non è così. Sovente la scienza ha voluto dimostrare di avere le risposte a tutto e di poterle argomentare secondo il cosiddetto rigore scientifico in modo da poter assurgere a delle conclusioni incontrovertibili. L’errore più grande è stato quello di voler avere la presunzione di descrivere e rappresentare le dimensioni della vita umana in toto con strumenti scientifici e pretendere che la realtà fosse quella regolata dal meccanicismo scientifico. La scienza ha piegato il tempo alle proprie regole, al proprio mondo di leggi e formule, ma anche alle esigenze umane. Tuttavia questa descrizione e segmentazione del tempo non rappresenta la realtà ma un mondo mentale condiviso dalla comunità per ragioni pratiche di convivenza, in quanto il tempo è un flusso continuo che non si può arrestare ed in particolare ogni istante può avere per ognuno di noi una durata ben diversa, soggettiva. Ma poi interviene l’orologio che annulla questo relativismo e ci riconduce all’oggettività: quell’istante dura un certo tempo, niente di più e niente di meno, ed è uguale per tutti. !

Da Newton ad Einstein !Le leggi del moto di Newton si basavano sul presupposto che, la struttura dello spazio, l’etere, fosse in quiete e quindi che fosse possibile constatare il moto assoluto di un oggetto rispetto all’etere. Ma già Michelson, Nobel per la fisica nel 1907, immaginò che la Terra si muovesse attraverso un etere immobile e quindi un raggio di luce, che viaggiasse nella direzione del suo moto e venisse riflesso, avrebbe dovuto percorrere una distanza minore di un raggio di luce perpendicolare al moto della Terra. Egli ideò un “interferometro” molto accurato per studiare questo fenomeno. L’esperimento di verifica (e molti altri più precisi) dimostrò che non vi era alcuna differenza.

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Ciò significava che: o l’etere si muoveva con la Terra, cosa priva di senso, o non esisteva. In entrambi i casi, non esisteva nulla di simile al moto assoluto o allo spazio assoluto. L’esperimento di Michelson e Morley è probabilmente il più importante esperimento con risultato nullo di tutta la storia della scienza. Nel 1893 il fisico G.F. Fitzgerald sostenne che la materia si contrae sempre nella direzione del suo moto, e che l’entità di tale contrazione aumenta con la velocità del moto stesso. Inoltre qualsiasi strumento di misura possibile, compresi gli organi di senso umani, subiscono una contrazione e quindi è impossibile misurare la contrazione stessa muovendosi insieme all’oggetto. Questo fenomeno divenne noto con il nome di “Contrazione di Fitzgerald”: un oggetto che si muove alla velocità di 11 km/sec. (i moderni razzi più veloci) si contrae solo due parti su un miliardo nella direzione del moto; ma a velocità di 150 mila Km/sec. (metà della velocità della luce) la contrazione sarebbe del 15%, mentre alla velocità della luce la sua lunghezza nella direzione del moto e uguale a zero. Poiché non possono esistere lunghezze minori di zero, se ne deduce che la velocità della luce nel vuoto è la massima velocità possibile nell’Universo. Il fisico olandese H.A. Lorentz sviluppò l’idea di Fitzgerald giungendo alla conclusione che una particella in moto veloce essendo soggetta alla contrazione di Fitzgerald avrebbe dovuto subire un aumento della propria massa. Alla velocità di 150 mila Km/sec. la massa di un elettrone sarebbe aumentata del 15% e alla velocità della luce la sua massa sarebbe infinita. La contrazione di Fitzgerald e l’aumento della massa previsto da Lorentz, sono talmente connesse che le loro formulazioni matematiche vengono spesso riunite sotto la denominazione unica di “Equazione di Lorentz - Fitzgerald”. Il fisico tedesco E.L. Planck avanzò l’ipotesi che la radiazione fosse fatta di piccole unità o pacchetti e chiamò tale unità il “quanto”. Egli ipotizzò che la radiazione possa essere assorbita solo in numeri interi di quanti e che l’energia di un quanto è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda (o direttamente proporzionale alla frequenza) ed espresse ciò, per mezzo della sua famosa equazione: e = hν dove “e” indica l’energia del quanto, “h” è la costante di Planck e “ν ” è la frequenza dell’onda.

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Il contributo di Einstein !Cinque anni dopo un giovane fisico svizzero di nome Albert Einstein verificò l’esistenza dei quanti di Planck. Era stato scoperto che colpendo alcuni metalli con un fascio di luce si aveva l’emissione di elettroni dalla loro superficie (“Effetto fotoelettrico”). Einstein riuscì a spiegare perché luci di colori diversi provocavano emissione di elettroni a velocità maggiore o nessun tipo di emissione, utilizzando la teoria dei quanti di Planck. Infatti per assorbire abbastanza energia da abbandonare la superficie di un metallo, un elettrone deve essere colpito da un quanto di energia superiore ad un valore minimo. Nel caso un elettrone sia legato debolmente al suo atomo anche un quanto di luce rossa può bastare; ma se un atomo trattiene i suoi elettroni con maggior forza occorre una luce gialla, blu o ultravioletta. In ogni caso maggiore è l’energia del quanto, maggiore è la velocità dell’elettrone espulso dal metallo. Per la sua interpretazione per l’effetto fotoelettrico (e non per la teoria della relatività) Einstein ricevette il Nobel per la fisica nel 1921. Nella sua teoria della “relatività ristretta” Einstein formulò una concezione nuova dell’universo, basata su un estensione della teoria dei quanti. Egli avanzò l’ipotesi che la luce viaggiasse nello spazio sotto forma dei quanti (“fotoni”), riaffermando l’idea che la luce avesse natura corpuscolare. Si trattava però di un nuovo tipo di particella che aveva sia le proprietà di un’onda che quelle di un corpuscolo, ed esibiva in momenti diversi una proprietà o l’altra alternativamente . La concezione Einsteiniana del dualismo onda-particella, pur conservando tutte le conquiste del XIX secolo, compresa l’equazione di Maxwell, consentiva di trascurare l’esistenza dell’etere. La radiazione poteva viaggiare nel vuoto in virtù delle proprie caratteristiche corpuscolari. Einstein introdusse una seconda idea importante nella teoria della relatività ristretta: quella che la velocità della luce nel vuoto non varia mai indipendentemente dal moto della sua sorgente. Secondo la concezione Newtoniana dell’universo un raggio luminoso proveniente da una sorgente che si sta avvicinando all’osservatore, deve apparire

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più veloce di un raggio proveniente da una sorgente che si muove in qualsiasi altra direzione; nella concezione Einsteiniana ciò non si verifica. Da tale postulato, Einstein fu in grado di dedurre l’equazione di Lorentz - Fitzgerald, mostrando che l’aumento della massa con la velocità, che Lorentz attribuiva solo alle particelle cariche, si verificava per qualsiasi oggetto. Inoltre giunse alla conclusione che un aumento di velocità, oltre a causare una contrazione delle lunghezze e l’aumento della massa, doveva anche rallentare il tempo. L’aspetto fondamentale della teoria di Einstein è la negazione dell’esistenza dello spazio assoluto e del tempo assoluto. Einstein sosteneva che l’unica cosa che corre è un sistema di riferimento, il più conveniente, a cui rapportare gli eventi dell’universo. Le misure dello spazio e del tempo sono “relative” a un sistema di riferimento arbitrariamente scelto e per questa ragione la teoria di Einstein si chiama “teoria della relatività”. Se un corpo sferico si muovesse alla velocità di 262 mila Km/sec. rispetto a noi e potessimo misurare le sue dimensioni troveremmo che si è contratto del 50% nella direzione del suo moto, diventando un ellissoide anziché una sfera; inoltre la sua massa risulterebbe doppia rispetto a prima. !!

Il paradosso degli orologi !La concezione Einsteiniana dell’universo lega tra loro indissolubilmente lo spazio e il tempo in modo tale che non ha più senso parlare dell’uno o dell’altro separatamente. L’universo è quadridimensionale: il concetto dello spazio tempo fu introdotto da uno dei maestri di Einstein, il matematico russo-tedesco H. Minkowski. Lo spazio-tempo gioca degli strani scherzi nella relatività: una teoria ancora molto discussa tra i fisici è l’idea di Einstein del rallentamento degli orologi. Einstein sosteneva che un orologio in moto segna il tempo più lentamente di un orologio in quiete. A velocità ordinarie l’effetto è trascurabile, ma a 262 mila Km/sec. un orologio sembrerebbe, ad un osservatore fermo, impiegare 2 secondi per batterne uno. Alla velocità della luce, poi, l’orologio sembrerebbe fermo.

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La dilatazione del tempo è più sconcertante degli effetti che implicano lunghezza e massa. Se un oggetto si riduce alla metà della proprie lunghezza e poi ritorna alla lunghezza normale, o se raddoppia il proprio peso e poi riprende quello normale, non resta alcuna traccia che indichi tale cambiamento transitorio e non vi sono due punti di vista opposti che entrino in conflitto. Il tempo, invece, è cumulativo. Se un orologio a causa della sua grande velocità, sembra marciare ad un ritmo dimezzato per un’ora e se poi ritorna in quiete, esso rimarrebbe indietro di mezz’ora! Considerando due navi spaziali che si passano accanto, ciascuna ritenendo che l’altra si muova alla velocità di 262 mila Km/sec., con un tempo rallentato della metà, quando le due astronavi si rincontrano, gli osservatori su ciascuna di esse si aspetteranno che l’orologio dell’altra astronave sia rimasto indietro di mezz’ora rispetto al proprio. Ma non è possibile che ciascuna di due orologi sia indietro rispetto all’altro e questo problema prende il nome di “Paradosso degli orologi”. In realtà non esiste nessun paradosso. Infatti anche se una delle due astronavi passasse vicina all’altra, e ciascuno dei due equipaggi giurasse che l’orologio dell’altra astronave è più lento, non avrebbe alcuna importanza stabilire quale orologio fosse realmente più lento in quanto le due astronavi si allontanerebbero per sempre e i due orologi non verrebbero mai più portati nello stesso posto allo stesso momento per essere confrontati. In effetti la teoria della relatività ristretta di Einstein è valida solo per il moto rettilineo uniforme, così che all’interno di tale teoria si può parlare solo di “separazione definitive”. Questo fenomeno comporta delle conseguenze per i viaggi spaziali. Se gli astronauti che si allontanano dalla Terra, accelerassero fino a raggiungere quasi la velocità della luce, il tempo per loro passerebbe molto più lentamente che per noi. Essi potrebbero raggiungere una destinazione molto lontana e fare ritorno nel giro di quelle che a loro sembrerebbero settimane, mentre nel frattempo sarebbero passati sulla Terra molti secoli. !!

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Dal concetto di durata all’inconsistenza del presente

!Il tempo della scienza e il tempo vissuto

!“…quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette…non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso…” 5

  “…noi non percepiamo praticamente che il passato dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro…” 6

!La grande novità della speculazione del filosofo francese Henri Bergson consiste nell’avere identificato il tempo vissuto con la “durata”, che, per sua natura, non è percepibile mediante l’intelligenza, ma attraverso la memoria e la coscienza. Egli nel “Saggio sui dati immediati della coscienza”, scrive: “quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette…non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso”. Il tempo astronomico dell’orologio è, infatti, un insieme di posizioni delle lancette sul quadrante che al passare degli istanti prendono posizioni diverse. !Ma tutto ciò è solo esteriorità, in quanto una successione degli istanti “esiste soltanto per uno spettatore cosciente che ricorda il passato e giustappone le due oscillazioni”. L’orologio rappresenta le convinzioni scientifiche e razionaliste, in quanto ha una funzione archetipica. E’ l’emblema della costanza, della precisione e dell’omologazione a cui inevitabilmente porta una concezione del tempo caratterizzata da una scansione regolare: per cui ogni secondo, ogni minuto, ogni ora è sempre uguale, ha lo stesso valore, lo stesso peso. Ciò che conta in questa visione è l’aspetto quantitativo e non quello qualitativo, che, invece, rappresenta la vera fotografia della nostra percezione del tempo.

!12LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

H. Bergson Materia e memoria, 1896, tr. Adriano Pessina, Laterza, Bari-Rona 1996 5

H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889, trad. it. A. Mondadori, Milano 1986, cap. II, pp. 63-64.6

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E’ evidente in questo esempio la critica di Bergson ai positivisti e a tutti coloro che armati con il ferreo determinismo della matematica e della fisica pensano di poter regolare e governare tutte le dimensioni della vita umana, anche il tempo. Il tempo della fisica  “si può rappresentare con una collana di perle separate e tutte uguali”, come asserisce Bergson in “Introduzione alla Metafisica”. Il tempo della vita, per converso,   “è come un gomitolo di filo o una valanga, che continuamente mutano e crescono su sé medesimi”. 7

  Con queste metafore Bergson ci suggerisce che il tempo della scienza ed il tempo vissuto sono diametralmente opposti, sono agli antipodi. Dal brano del “Saggio”, relativo all’esempio dell’orologio, si evincono alcune riflessioni. Mentre l’interpretazione del tempo fornitaci dalla scienza è una creazione astratta dell’uomo, una mera convenzione che ha ragion d’essere solo perché risponde ad esigenze pratiche, in quanto conferisce ordine e stabilità, la durata è il tempo concreto. Nel tempo astratto vi è distinzione fra presente, passato, futuro e la progressione è regolare e continua.

!Il concetto di durata

!Nella durata, invece, manca questa distinzione e la progressione è irregolare, cioè ammette salti, riduzioni e dilatazioni, così che un minuto può essere più lungo di un’ora o di un giorno o di un anno. Infatti “i fatti della coscienza” non sono riducibili ad un’astratta successione meccanica, perché “durano”, ossia vivono, crescono e muoiono. Sono possibili sia sospensioni sia ritorni nel passato in una visione del tutto soggettiva, in quanto il tempo della vita è il tempo reale che viene filtrato e rielaborato dalla nostra coscienza. Essa, quindi, è qualcosa di profondamente unitario e mobile nello stesso tempo: conserva gli input del mondo esterno perché questi “danno luogo a dei fatti di coscienza che si compenetrano e…legano il passato al presente…e al futuro”, come sostiene Bergson.

!13LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889, trad. it. A. Mondadori, Milano 19867

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Non esistono, perciò, due momenti identici, in quanto il successivo contiene sempre, in più del precedente, il ricordo che quest’ultimo ha lasciato di sé. Si ingenera, così, un insieme che è in continua evoluzione e la vita interiore è, quindi,  progresso e “slancio vitale”. Ne consegue che il concetto di durata è caratterizzato da quattro qualità peculiari: 1) è novità assoluta ad ogni istante, per cui c’è un continuo processo di creazione. 2) Conserva integralmente tutto il passato, o meglio, come dice Bergson stesso, sempre nel “Saggio”, la durata si manifesta “quando il nostro io si lascia vivere, quando si astiene dallo stabilire una separazione tra lo stato presente e quello anteriore ”. 3) E’ “una eterogeneità pura entro cui non vi sono qualità distinte”. 4) E’ fluire continuo, poiché ciascun stato della coscienza fluisce in stati successivi formando un tutto dinamico, un flusso continuo, un divenire senza sosta di istanti che si compenetrano mutuamente e, in antitesi con quanto diceva la scienza tradizionale, non sono separabili e non si susseguono. Pirandello riprende questo tema della filosofia di Bergson, secondo cui l’universo è in continuo divenire, soggetto ad un’evoluzione creatrice, per cui contemporaneamente resta se stesso e cambia. !Ovviamente anche l’uomo è partecipe di questo moto continuo o flusso vitale, ma nello stesso tempo, secondo Pirandello, vorrebbe capirlo, schematizzarlo, riportarlo ad una legge per dominarlo e declinarlo alle proprie esigenze. Scrive, infatti:   “la vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi ”. “Le forme in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo stabilirci. Ma dentro noi stessi,(…) il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo” ed “il flusso della vita è in tutti”. 8

  Da qui, quindi,  nasce il dramma: l’uomo tenta inutilmente di catturare il flusso in forme fisse e quindi inadeguate, ma più si sforza di produrre forme diverse più si aliena; quanto più si circonda di forme fittizie, tanto più si allontana dalla realtà. Anche il tempo è una delle tante forme create dall’uomo per le sue esigenze di conferire un ordine alla realtà, sottraendola al “caos”, e tale forma è

!14LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

Luigi Pirandello, L’umorismo. Saggio, Lanciano, Carabba, 19088

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fallace, falsa ed inconsistente. Vera è, invece, la nozione di durata e tempo soggettivo, scandito cioè dalla coscienza di ogni singolo individuo. Ma la durata non conosce la distinzione passato-presente-futuro e non procede neppure linearmente a senso unico: ammette salti, accelerazioni e decelerazioni. Ogni individuo è, quindi, un mondo a sé stante, che può sfiorare gli altri, ma che non può essere comunicato, in quanto manca qualsiasi termine comune di riferimento. Non può esserci per Bergson né coscienza, né tempo interiore senza la memoria, di conseguenza “coscienza significa memoria”. !!

La memoria !Essa non è un ricordo: se quest’ultimo è solo una selezione inconsapevole tra le esperienze passate, di quella che ci è più utile per il momento contingente, la memoria, invece, è il risultato dell’intera storia dell’individuo. Scrive, infatti:   “che siamo, che cos’è il nostro carattere se non la sintesi della storia che abbiamo vissuto fin dalla nascita?…Certamente noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato, ma è con tutto il nostro passato…che noi desideriamo, vogliamo ed agiamo”. 9

  Questo concetto, elemento nodale della filosofia di Bergson, era già stato sviluppato nel “Saggio”, quando il filosofo afferma che le nostre azioni rispondono “all’insieme dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri e delle nostre più intime aspirazioni, a quella particolare concezione della vita che è l’equivalente di tutta la nostra esperienza passata”. Attuando uno dei suoi consueti capovolgimenti delle opinioni correnti, Bergson afferma che il ruolo del passato nella vita cosciente è molto più attivo ed importante della vita cosciente stessa. Secondo l’opinione tradizionale esisterebbe soltanto ciò che si percepisce nel presente. Una volta esauritasi la percezione presente, la sua immagine, sino ad allora colorata si sbiadirebbe subito nel ricordo. Secondo Bergson, di contro: “si potrebbe dire che non abbiamo presa sul futuro, senza un’uguale e corrispondente prospettiva sul passato” 10

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!15LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

H. Bergson, L’Evoluzione creatrice, 1907, tr. Umberto Segre, Athena, Milano 1925 e Corbaccio-Dall'Oglio, 9

Milano 1965

H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889, tr. Giuseppe Cavallaro, Signorelli, Roma 1957 10

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Il momento presente   A questo punto Bergson non può non chiedersi che cosa sia il momento presente. La risposta si trova in “Materia e Memoria”: “la caratteristica del tempo è di scorrere, il tempo trascorso è il passato e chiamiamo presente l’istante in cui scorre. !Ma qui non si tratta di un istante matematico…ciò che chiamo il mio presente sconfina contemporaneamente sul mio passato e sul mio futuro”. “Bisogna dunque…che sia una percezione dell’immediato passato ed una determinazione dell’immediato futuro”. Possiamo, perciò, concludere che il presente è un’astratta finzione e ciò troverebbe un riscontro sempre in “Materia e Memoria”:   “niente è meno del momento presente, se in tal modo intendete questo limite indivisibile che separa il passato dal futuro. Quando pensiamo questo presente come dovente essere non è ancora e quando lo pensiamo come esistente è già passato”. 11

  In questo contesto il termine “indivisibile”, riferito al presente, può essere interpretato in maniera duplice ed ambivalente: come una determinazione del fluire del tempo che è perpetuo e quindi non scomponibile o come momento talmente piccolo da essere inconsistente e poter affermare, perciò, che “niente è meno del momento presente”, poiché quando lo percepiamo è già passato. Di conseguenza, prosegue Bergson:   “noi non percepiamo praticamente che il passato dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro”. 12

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!16LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

H. Bergson, Materia e memoria, 1896, tr. Adriano Pessina, Laterza, Bari-Rona 199611

H. Bergson, Materia e memoria, 1896, tr. Adriano Pessina, Laterza, Bari-Rona 199612

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 Il riflesso delle nuove teorie in letteratura ed in arte

!La disarticolazione del tempo cronologico

!“…non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento. Non diventiamo più poveri per il tempo passato e perduto; solo esso anzi dà sostanza alla nostra vita…” 13

  La rivalutazione del passato da parte di Freud e, soprattutto, la concezione del tempo come durata di Bergson hanno influito moltissimo sulla letteratura e nelle arti figurative. La nuova concezione del  tempo influisce infatti sul cubismo, che, rappresentando contemporaneamente momenti diversi di una medesima scena, introduce per la prima volta in arte la variabile temporale. Non a caso Leon Werth, nel 1910,  scrisse che le forme cubiste di Picasso mostrano le “sensazioni e le riflessioni che sperimentiamo con il passare del tempo”. Nello stesso anno il pittore cubista Jean Metzinger affermò che nei dipinti di Braque “l’immagine totale si irradia nel tempo”. !Per il cubismo è inutile riprodurre la realtà come la vediamo, perché non è in quella forma che la conosciamo poiché la nostra coscienza rielabora l’immagine visiva dell’oggetto che conosciamo, quindi ciò che vediamo è solo un dato di partenza che verrà trasformato, più volte nel  tempo, dalla nostra coscienza. !“Guernica” , per esempio, non ha tanto la finalità di descrivere un fatto storico, ossia il bombardamento della città basca Guernica da parte di aerei tedeschi, che appoggiavano le truppe del generale Franco contro il governo legittimo repubblicano di Spagna, quanto l’effetto che tali avvenimenti hanno prodotto sulla coscienza di Picasso.  !!

!17LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

Arnold Hauser, Storia sociale dell'arte, Einaudi, 196413

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Analogamente nel romanzo il tempo è sottoposto ad un trattamento nuovo, fondato sulle rifrazioni che esso ha nella coscienza del protagonista-narratore. Vi è, infatti, la disarticolazione di un ordine cronologico, di un “prima” e di un “poi”, nel senso che il narratore contamina presente e passato, legge e sente il presente, filtrandolo attraverso il passato. A causa della nuova concezione del tempo, elaborata dal filosofo francese, l’ordinata successione cronologico-causale, generalmente rispettata nel romanzo ottocentesco, va in frantumi e vi è un continuo passaggio fra presente e passato. Da qui l’introduzione dell’uso frequente del flash-back, che mette sullo stesso livello il “tunc” ed il “nunc”, con transizioni rapide ed ingiustificate, se non a livello di associazioni alogiche ed in particolare di analogie psichiche. !!

La Coscienza di Zeno

!Ecco perché ne “La Coscienza di Zeno” di Svevo,  per esempio, troviamo uno sconvolgimento delle sequenze narrative, con prolessi ed analessi: nel capitolo relativo alla morte del padre si trovano già annunciati elementi che riguardano il matrimonio. Inoltre nel capitolo in cui Zeno è arrivato a sposarsi ci sono riferimenti al suo adulterio, che, a loro volta, sono recuperati ed interpretati come posteriori nel capitolo dedicato all’associazione commerciale con Guido. Sempre nello stesso capitolo del matrimonio la digressione sulla morte del suocero è inserita nel contesto come un’anticipazione. Inoltre l’accenno al violino che  Zeno portava talvolta in casa Malfenti è sempre risultato della tecnica dell’anticipazione, adottata da Svevo per preparare il lettore ad una scena futura, che avrà luogo quando apparirà un nuovo personaggio, Guido. !Il tempo, pertanto, non ha uno svolgimento diacronico, ma si dilata, si restringe, si sovrappone a se stesso, si annulla, proprio secondo i ritmi della coscienza. Ecco quindi che un episodio banale si amplia ed un evento importante, come la morte, l’amore e l’amicizia, si esaurisce in poche righe. Inoltre eventi di epoche diverse o contemporanee sono narrati all’interno di un “tempo misto”, connotato dall’uso alterno del passato e dell’imperfetto, che sono risolti poi nel condizionale, carico com’è di una valenza introspettiva altrimenti irrealizzabile. Quindi il lettore non può più contare su quel “filo di Arianna” che gli veniva

!18LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

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fornito dal narratore ottocentesco, che spiegava l’agire dei personaggi ed esplicitava il trait d’union fra le varie vicende. Adesso, di contro, il vicino viene allontanato ed il lontano avvicinato, l’importante trascurato ed il banale valorizzato. Nel romanzo del ‘900 si ha, perciò, un continuo spostarsi alla rinfusa nel tempo, che, come si è visto, diviene una dimensione puramente legata al soggetto, proprio come nella filosofia di Bergson. Così si alterano anche i rapporti tra la durata oggettiva degli eventi e la durata della narrazione: un evento piccolissimo, filtrato attraverso tutto ciò che passa nella coscienza degli individui in ogni istante, è in grado di dare vita a ricordi e ad assembramenti di idee che possono protrarsi per svariate pagine. Così Svevo, nel 4° e 5° capitolo de “La Coscienza di Zeno”, accelera e decelera i fatti, secondo il valore qualitativo che la sua coscienza attribuisce loro. !!

Il Fu Mattia Pascal !Analogamente ne “Il Fu Mattia Pascal” di Pirandello le rr. 1-33  del III capitolo (che riassumono tutti gli anni della giovinezza e della breve maturità del padre di Mattia) o le rr. 250-251 (che con ogni probabilità  ricoprono addirittura alcuni anni),  in proporzione  hanno una durata  ben diversa rispetto alle rr. 89-102, dedicate alle dichiarazioni di zia Scolastica riguardo al suo mancato matrimonio. In questo passo la voce del narratore scivola, senza che il lettore venga avvertito, nel discorso indiretto della zia, che poi diventa discorso diretto e trova anche degli interlocutori, dando luogo ad una sorta di teatrino nascosto, che si interrompe solo con il ritorno delle considerazioni del narratore. E’ chiaro che dalla durata della narrazione dipende in misura notevole la velocità del racconto. Basta infatti che il narratore aggiunga un suo commento o semplicemente non riporti una battuta di un personaggio, perché, rispettivamente, il discorso sia più lungo o più corto della storia rappresentata. Ne “Il Fu Mattia Pascal” l’ordine narrativo dei fatti non coincide con l’ordine con cui essi si sono verificati: vi sono spostamenti all’indietro, ossia analessi e retrospezioni, e spostamenti in avanti, ovvero prolessi e anticipazioni. Tutto il romanzo appare costruito come una lunghissima analessi, a partire dal presente, dal momento in cui Mattia scrive e da questo piano cronologico il soggetto narrante parla e ad esso sovente ritorna. “Il fu Mattia Pascal” comincia en arrière,

!19LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

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a vicenda conclusa e con questo artificio lo scrittore vuole sottolineare la distanza che separa il tempo dell’annunciazione dal tempo della storia. In questa prospettiva, quindi, il leitmotiv del tempo, visto come principio di logoramento e di dissoluzione, perde importanza, perché noi, come afferma giustamente Hauser, “non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento”. “Non diventiamo più poveri per il tempo passato e perduto; solo esso anzi dà sostanza alla nostra vita”. Di conseguenza la rappresentazione dell’interiorità del personaggio è, ora, contaminazione di piani cronologici, magma memoriale perennemente mutevole, da scandagliare con le tecniche più diverse, in parte già sperimentate prima (il discorso indiretto libero) ed in parte nuove (il monologo interiore). !!

Il flusso di coscienza

!In ultima analisi, alla luce di quanto sinora esposto, si può dire che la memoria ripesca gli avvenimenti passati e li reintegra, muovendo dal presente, che, in continua metamorfosi, si ricostruisce dal confronto con il passato: “il tempo che passa getta ogni momento un reagente”, scrive Zeno, alla fine del Preambolo. Joyce e Virginia Woolf, come Svevo, percepiscono la realtà in correlazione con la coscienza individuale. Questi autori descrivono il flusso di pensieri, impressioni ed impulsi che si trovano nella mente umana, indipendentemente dalla volontà dei personaggi. Questo processo mentale è chiamato “stream of consciousness”, ovvero “flusso di coscienza”. Questa espressione venne utilizzata per la prima volta dal filosofo americano William James nei suoi “Principi di Psicologia” (1890). Dal punto di vista letterario il “monologo interiore” è l’espressione verbale del fenomeno psichico denominato “flusso di coscienza”. L’autore mediante questa tecnica “registra” il flusso di pensieri del suo personaggio senza l’interferenza tradizionale del narratore, vale a dire senza l’uso formale del discorso diretto od indiretto. In accordo con il pensiero di Bergson, mediante il monologo interiore, l’autore riproduce il fluire caotico di pensieri e stati emotivi, creando una commistione fra passato, presente e futuro, senza rispettare l’ordine cronologico. L’uso del monologo interiore, da un lato permette al lettore di avere un’introspezione nella mente del personaggio,

!20LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

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evidenziando i suoi lati razionali ed irrazionali, e dall’altro libera il romanzo dalla presenza del narratore, talvolta opprimente. !!

James Joyce and Virginia Woolf !The conception of the reality changes with the Theory of relativity of Einstein (1906), the concepts of time and space are conceived as subjective dimensions, everything is relative and nothing is certain; and La Durèe of Bergson that elaborates a theory on the time that influences Woolf and Joyce, he considers the time as a continuous flow of information and images where is impossible to separate the present clearly from the past and future, he distinguishes the historical time (the time that spends calculated in hours, minutes, seconds; the time of the story) and the eternal time (reproduction of what happens in the human mind, without distinction between past, present and future, this brings to the stream of consciousness that is express from the interior monologue: direct-indirect). To talk about Joyce we have to consider the age in which he lived: the XX century, in fact, represent an epoch of innovations and experimentations in all cultural areas. In the narrative area, for example, researching new ways of expression, James Joyce found a greater interest in the interior aspects of his characters than in the content of the novel. These features make the author’s works different from the traditional one of that age. Joyce uses the technique of the manipulation of time and he doesn’t respect the chronological order; for example he uses the “ flash back ”, that is a sort of “story in the story” . The main element of style, in Ulysses, is the use of the stream of consciousness in its basic form of interior monologue. The stream of consciousness is, infact, to be intended as a psycological category, and it indicates the casual association of thoughts, impressions and emotions of a person who is not thinking intentionally but is letting his her mind flow freely. The use of stream of consciousness secured two results: !

!21LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

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-  it allowed the reader to have an insight into the mind of a character, showing its rational and irrational sides; -  it liberated the novel from the cumbersome presence of the narrator. !The interior monologue opened a new ground for exploration of the human mind, not only organised conscious moments, but also in the moments in which it abandons itself to the casual associations causes by external stimuli or by words and impressions it has come into contact with, and has no control over. Other main feature rescontrable in his works are the uses of similitude, metaphors and an unusual interpunction. In his stories there isn’t only one point of view, but he expresses the points of view of many characters. His became famous with his neologism and his “exploration” of language, but he always uses the same theme: the dryness of his time. !Virginia Woolf admitted that life reflected in fiction is not a regularly patterned universe with an objective existence, it is a state of mind: !“Life is a luminous halo, a semi-transparent envelope surrounding us from the beginning of consciousness to the end.” 14

!Because existence is not objective, it cannot be absolute. And even time, as thoroughly interwoven into the fiber of being, cannot be absolute itself.  This is why all of Virginia Woolf ’s novels are, in one way or another, experiments upon the concept of time. Perhaps the most obvious is “Mrs. Dalloway”, which envisions time as a complex interplay between the present experience and what remains in our minds in the form of memories. But other novels, like “To the Lighthouse”, make use of the concept of time in a much deeper sense: they create an intricate temporal fabric that is meant to underline the destructive force of the universe, upon which the human being watches helplessly. “To the Lighthouse” is an elegy upon time and that is why time appears in such novels as a complex entity itself.

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!22LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA

Virginia Woolf, The Common Reader, Modern Fiction, 192514

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Bibliografia !Albert Einstein, Idee e opinioni, Schwarz, Milano, 1965 Albert Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, Boringheri, Torino, 1964 Albert Einstein, Il significato della relatività, Boringheri, Torino, 1976 Christopher Nolan, Anatomy of a scene, Memento, edizione speciale 2003, Dvd H. Bergson, L’Evoluzione creatrice, 1907, tr. Umberto Segre, Athena, Milano 1925 H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889, trad. it. A. Mondadori, Milano 1986 H. Bergson, Materia e memoria, 1896, tr. Adriano Pessina, Laterza, Bari-Rona 1996 Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Bologna, Cappelli, 1923; Milano, Morreale, 1930; Milano, Dall'Oglio, 1938; 1947; 1957 Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Roma, Nuova Antologia, 1904 Luigi Pirandello, L’umorismo. Saggio, Lanciano, Carabba, 1908 James Joyce, Ulysses, 1922 Virginia Woolf, Mrs Dalloway, 1925 Virginia Woolf, To the Lighthouse, 1927 !

Sitografia !http://www.inftub.com/letteratura/Le-origini-del-Decadentismo32978.php http://www.treccani.it/enciclopedia/relativita/ http://www.voxnova.altervista.org/vivere-tempo.html http://www.inftub.com/generale/interdisciplinare/LA-CONCEZIONE-DEL-TEMPO-NEL-PR84384.php

!23LA RELATIVITÀ DELLA CONDIZIONE UMANA