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ISTITUTO SUPERIORE “G. NATTA” – BERGAMO ESAMI DI STATO 2014 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO Non solo fantascienza… 2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968 Foresti Davide 5 D lst A.s. 2013/2014

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ISTITUTO SUPERIORE “G. NATTA” – BERGAMO

ESAMI DI STATO 2014

2001: ODISSEA NELLO SPAZIO Non solo fantascienza…

2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968

Foresti Davide 5 D lst A.s. 2013/2014

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INDICE

Premessa 3

Introduzione 4

Notte Primeva – L’evoluzione delle scimmie 6

TMA-1 – Il campo magnetico 8

Tra i pianeti – La corsa allo spazio 12

Abisso – Intelligenza artificiale 14

Lune di Saturno – Un’unica grande opera 16

Attraverso lo Stargate – Oltreuomo: lo Starchild 18

Conclusione 20

Bibliografia 21

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PREMESSA

Quando avevo 10 anni, mi immaginavo che ottenuta la patente avrei guidato una macchina volante, ma la

realtà è un’altra: le automobili attuali non sono molto diverse da quelle di un decennio fa. Sono diventate più

tecnologiche, più ecologiche, più sicure e più performanti, ma non volano ancora.

Kubrick e Clarke, nel 1968, pensavano che nel nuovo millennio l’uomo avrebbe avuto una tecnologia tale da

viaggiare nello spazio, così non è stato: l’uomo è tornato sulla Luna altre 5 volte, dopo il ’69, ha mandato

sonde su Marte e satelliti artificiali che sono usciti dal sistema solare, ma non è andato oltre a questo.

L’idea di viaggiare nello spazio e incontrare nuove civiltà aliene, mi ha sempre affascinato; sin da piccolo

giocavo a Guerre Stellari con i miei amici, ho visto tutti i film della saga di George Lucas, anche più di una

volta, ma per questa tesina ho scelto il capolavoro di Kubrick e Clarke.

2001: Odissea nello spazio ti colpisce sin dalle prime immagini, dalle prime pagine, per il contenuto su cui

riflettere: ogni capitolo propone un argomento diverso e alla fine di questa “Odissea”, le domande che

sorgono sono maggiori rispetto a quelle con cui si è partiti.

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INTRODUZIONE

2001: Odissea nello spazio è un’opera unica, composta dal libro di Arthur C. Clarke e dal film celeberrimo di

Stanley Kubrick, entrambi presentati nel 1968, un anno prima dell’approdo di Neil Armstrong sulla Luna.

In quegli anni, cioè in piena corsa allo spazio e quindi durante la guerra fredda, l’idea di fare un viaggio

interplanetario era un obiettivo molto ambito dalle due grandi potenze, USA e URSS, e atteso da tutti non

prima della fine del secolo.

2001: Odissea nello spazio è classificata come fantascienza hard, detta anche fantascienza tecnologica, cioè

contraddistinta dall’enfasi per il dettaglio scientifico e tecnico; pertanto, in questa tesina si analizzeranno le

basi scientifiche sulle quali si sono basati i due autori.

La tesina è stata divisa in 6 capitoli, come il libro di Clarke, e non in 4 parti, a differenza del film di Kubrick; il

contenuto di ogni capitolo è inerente al tema principale affrontato:

Capitolo primo “Notte Primeva”: tratta l’evoluzione delle scimmie prendendo spunto dalla storia del

gruppo di ominidi di Guarda-la-Luna, che si evolve, dopo l’incontro col monolito, acquisendo

consapevolezza del potere dell’intelletto, donato da quest’ultimo;

Capitolo secondo “TMA-1”: partendo dalla storia di Clarke, in cui la presenza di un’anomalia magnetica

nel cratere lunare Tycho rende possibile il ritrovamento del monolito sulla Luna, si affrontano le tematiche

relative al campo magnetico, con le sue interazioni con l‘atmosfera terrestre;

Capitolo terzo “Tra i pianeti”: riguarda la corsa allo spazio, l’ambito storico in cui Clarke e Kubrick hanno

sviluppato quest’opera;

Capitolo quarto “Abisso”: si accennano le basi dell’intelligenza artificiale, in onore del personaggio

principale della storia, HAL 9000, che condurrà la missione nel baratro;

Capitolo quinto “Lune di Saturno”: breve analisi del rapporto tra l’opera letteraria di Clarke e quella

cinematografica di Kubrick;

Capitolo sesto “Attraverso lo Stargate”: incentrato sulla filosofia dell’oltreuomo e eterno ritorno di

Nietzsche, spiegando le analogie, instaurate dai due autori, tra l’oltreuomo e lo Starchild;

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Mappa concettuale

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NOTTE PRIMEVA L’EVOLUZIONE DELLE SCIMMIE

I più antichi antenati dell’uomo

Circa 200 milioni di anni fa, comparvero i primi mammiferi che si originarono da un ceppo primitivo di rettili.

Essi svilupparono la capacità di mantenere costante la propria temperatura corporea e questo permise loro

di muoversi di notte, sfuggendo così ai dinosauri attivi solo nelle ore diurne.

Questi piccoli mammiferi vissero seminascosti in un territorio dominato dai rettili per circa 130 milioni di anni

fino alla loro scomparsa improvvisa e a questo fece seguito una radiazione adattativa su vasta scala dei

mammiferi, che in quel periodo si diversificarono in tre linee principali: monotremi, marsupiali e placentati.

Tendenze evolutiva dei primati

Noi uomini siamo dei mammiferi placentati appartenenti all’ordine dei primati e si pensa che l’evoluzione dei

primati abbia avuto inizio quando un gruppo di piccoli mammiferi colonizzarono gli alberi.

I primati, per adattarsi alla vita arboricola, svilupparono il pollice opponibile, che aumentò notevolmente le

loro abilità manuali, la possibilità di ruotare l’avambraccio e la capacità di alzare le braccia lateralmente, oltre

allo sviluppo delle unghie al posto degli artigli, aumentando così la sensibilità tattile.

Un altro adattamento fu l’incremento dell’acutezza visiva a discapito dell’olfatto, che comportò lo sviluppo

degli occhi frontali e della vista stereoscopica.

Anche le cure parentali sono una caratteristica ben evidente nei primati e, essendo mammiferi e quindi

allattando i piccoli, essi tendono ad avere relazioni madre-figlio più lunghe e più salde rispetto agli altri

vertebrati. Nei primati di grande mole, il piccolo matura piuttosto lentamente e ha un lungo periodo di

dipendenza e di apprendimento.

L’ultimo adattamento a questa vita arboricola fu la capacità di adottare una postura verticale, passaggio

fondamentale per sviluppare la postura eretta.

Le proscimmie

I primati vengono generalmente suddivisi in due gruppi principali che si sono separati più di 60 milioni di anni

fa: le proscimmie e gli antropoidei.

Tra le proscimmie moderne ci sono i lori, i galagoni, i tarsi e i lemuri, animali arboricoli di piccole o medie

dimensioni.

Gli antropoidei

Le scimmie, insieme alle scimmie antropomorfe e agli esseri umani, costituiscono i primati superiori, ossia gli

antropoidei. Le scimmie attuali sono generalmente più grosse delle proscimmie, hanno il cranio più

arrotondato e sono generalmente considerate più intelligenti, benché questa sia una qualità difficile da

misurare; inoltre, hanno una visione stereoscopica e anche la capacità di distinguere i colori.

Gli ominoidei, un gruppo rappresentato attualmente dalle scimmie antropomorfe e da noi stessi, discendono

dalle scimmie catarrine (“naso rivolto verso il basso”, scimmie del Vecchio Mondo).

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Le scimmie antropomorfe attuali appartengono alla famiglia degli ilobatidi (i gibboni) e a quella dei pongidi,

che comprende tre generi: Pongo (gli orangotango); Pan (gli scimpanzé) e Gorilla (i gorilla). I pongidi sono,

tra tutte le scimmie, quelle che hanno in media le dimensioni maggiori e il cervello proporzionalmente più

grande; avendo gli arti anteriori più lunghi di quelli posteriori, i pongidi tendono ad appoggiare il peso del

corpo sulle nocche delle estremità anteriori, mantenendo così una postura parzialmente eretta.

I primi ominidi

Nel 1924 fu rinvenuto un cranio fossile che fu battezzato Australopithecus, ovvero “scimmia dell’emisfero

australe”. Ci si rese conto che si trattava di un cranio di un bambino, poiché possedeva caratteristiche che lo

distinguevano da quello degli altri ominoidei primitivi. Le prove della sua appartenenza alla categoria degli

ominidi erano basate su una maggiore rotondità del cranio, sulle dimensioni e la conformazione del cervello

e sui denti. Inoltre, il punto di attacco della colonna vertebrale al cranio indicava che quel giovane individuo

era in grado di camminare eretto.

Australopithecus e paranthropus

Nei decenni successivi vennero ritrovati nell’Africa orientale molti resti fossili di diverse forme di ominidi tra

loro affini e questo fece supporre che gli ominidi avessero popolato l’Africa per almeno 3 milioni di anni. I

resti, però, appartenevano a diverse specie, le quali erano caratterizzate da postura eretta e andatura bipede

ed erano molto più simili agli esseri umani e che non alle scimmie. Tuttavia, le dimensioni del loro cervello

erano circa un terzo rispetto a quelle degli uomini attuali.

La specie più antica di australopitecine finora scoperta è rappresentata da Australopithecus anamensis,

vissuta in Kenya tra i 4,2 e 3,8 milioni di anni fa; questo antico ominide è stato sicuramente preceduto da

altre due specie, Orrorin tugenesis in Kenya e Ardipithecus ramidus in Etiopia, i cui fossili sembrano però

rivelare alcune caratteristiche, soprattutto nell’arto superiore e nei denti, più affini alle scimmie

antropomorfe che agli ominidi. Si ritiene molto probabile che da A. anamensis abbia avuto origine A.

afarensis, una specie molto più nota perché a essa appartengono i resti di uno scheletro femminile chiamato

Lucy. Lucy misurava soltanto 110 centimetri di altezza e pesava circa 23 kilogrammi, mentre il peso dei maschi

doveva essere circa il doppio. I fossili di A. afarensis vengono datati tra i 3,8 e i 3 milioni di anni fa.

I paleoantropologi ritengono che da A. afarensis si siano originate due principali linee evolutive di

australopitecine: gracili e robuste. Tra le forme gracili vi era sicuramente la specie A. africanus, a cui

appartiene il bambino di Taung, e una specie individuata nel 1996 a cui è stato dato il nome di

Australopithecus garhi, alcuni scienziati pensano che da quest’ultima specie si sia originata la linea evolutiva

di Homo, anche perché alcuni manufatti molto primitivi, trovati insieme ai fossili di A. garhi, fanno ritenere

che questa specie fosse la più evoluta tra le australopitecine.

Contemporaneamente a queste specie gracili, viveva in Africa una specie robusta (Paranthropus aethiopicus)

con caratteristiche così peculiari da essere classificata in un genere diverso da Australopithecus. Da P.

aethiopicus si originarono almeno altre due specie, P. robustis e P. boisei, che si distinguevano sia per i loro

crani massicci e dotati di una cresta ossea atta a supportare i forti muscoli mascellari sia per una dentatura

caratterizzata da grossi molari.

P. robustis e P. boisei si estinsero poco più di un milione di anni fa dopo aver sicuramente convissuto in Africa,

per un lungo periodo di tempo, con altre specie che nel frattempo si erano originate a partire dalle

australopitecine gracili; queste nuove specie appartenevano a un nuovo genere: quello che noi chiamiamo

Homo.

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TMA-1 IL CAMPO MAGNETICO

Il magnetismo è un fenomeno noto fin dall’antichità. Esso prende nome da una regione della Grecia, la Magnesia, che è ricca di depositi di magnetite, un materiale che ha la proprietà di attrarre piccoli oggetti di ferro. È esperienza comune il fatto che se si avvicinano due magneti (calamite) essi esercitano delle forze reciproche, attraendosi o respingendosi. Tali forze si manifestano anche se i magneti non sono a contatto; quindi la forza magnetica, come la forza elettrica e gravitazionale, è un’interazione a distanza.

Nell’XI secolo, e forse anche prima, i cinesi scoprirono che un sottile ago di magnetite, sospeso al centro in modo che possa ruotare, tende a disporsi in modo da puntare verso il nord geografico e così costruirono le prime bussole da utilizzare nella navigazione. Come l’ago della bussola, un qualsiasi magnete libero di ruotare si dispone in modo da puntare verso il nord geografico. Convenzionalmente si indica con polo nord magnetico la parte del magnete che punta verso il nord geografico e con polo sud quella opposta.

È noto che le cariche elettriche in quiete esercitano forze su altre cariche in quiete per la forza di Coulomb. Per separare l’effetto che una carica Q produce nello spazio circostante dall’azione che essa esercita su un’altra carica q generica posta nelle sue vicinanze, si introduce il campo elettrico, che permette di scrivere

la forza elettrostatica nella forma �⃗�E = q�⃗⃗�. L’esperienza mostra che le calamite esercitano tra loro delle forze. In analogia con quanto detto per il campo elettrico, possiamo allora affermare che un magnete genera nello spazio un campo magnetico, che

indicheremo con il simbolo �⃗⃗⃗�. L’introduzione del campo magnetico permette di scrivere la forza magnetica separando l’effetto di ciò che consideriamo “sorgente” del campo - vale a dire il magnete - da ciò che è soggetto al campo, per esempio un altro magnete o un circuito elettrico o una carica in moto. Anche per il campo magnetico possiamo definire le linee di forza che sono sempre tangenti alla direzione del campo e la cui densità è proporzionale all’intensità del campo. A differenza del campo elettrico, non essendo stato ancora identificato il monopolo magnetico, le linee di forza sono continue e passano sempre all’interno della sorgente del campo magnetico, uscendo dal polo nord ed entrando in quello sud.

Geomagnetismo

Come già scritto precedentemente, l’ago magnetico di una bussola si orienta sempre, approssimativamente,

in direzione Nord – Sud, in qualsiasi luogo, e questo è determinato dal campo magnetico che genera la Terra.

Quindi, si può approssimare la Terra come una grossa calamita e che i poli di questo enorme magnete attirano

i poli di specie opposta degli aghi delle bussole.

Questo campo di forze, di origine interna alla Terra, corrisponde alla regione di spazio, intorno al nostro

pianeta, in cui si manifestano gli effetti magnetici e viene definito campo geomagnetico.

Il campo geomagnetico della Terra ha un’inclinazione di 11° 30” rispetto all’asse di rotazione terrestre, per

questo motivo le bussole si orientano approssimativamente nella direzione Nord – Sud, poiché esse indicano

in realtà i poli magnetici.

Dal momento che il polo nord dell’ago di una bussola punta verso il polo nord magnetico della Terra e che gli

opposti si attraggono, si può dedurre che attualmente il polo nord geografico è vicino al polo sud magnetico.

Il campo geomagnetico ha un’intensità, cioè la forza esercitata da quest’ultimo su ogni punto della superficie

terrestre, che è massima ai poli e decresce procedendo verso l’Equatore; inoltre diminuisce man mano che

ci si allontana dalla Terra. Il campo geomagnetico si estende anche al di sopra della superficie terrestre e

tutta la regione dello spazio nella quale si manifesta la sua azione è chiamata magnetosfera. La magnetosfera

è importante per la vita sulla Terra in quanto funge da scudo protettivo contro le radiazioni cosmiche.

Anche l’intensità del campo magnetico non rimane costante nel tempo, anzi si è notato che nel corso della

storia vi sono state più di una inversione di polarità, 171 negli ultimi 76 milioni di anni e l’ultima inversione

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si è verificata 700 mila anni fa. Per inversione di polarità del campo magnetico si intende che il polo nord

magnetico è diventato polo sud e viceversa.

Per quanto simili sotto a molti aspetti al campo generato da un’enorme barretta magnetica, il campo

geomagnetico è molto più complesso sia nella forma sia nel comportamento; lo stesso meccanismo che ne è

l’origine non è ancora del tutto compreso. Un’ipotesi plausibile è la “teoria della dinamo terrestre”, secondo

la quale causa principale del campo geomagnetico è il flusso di correnti di materiale fuso nel nucleo della

Terra.

La forza magnetica

Si consideri un campo magnetico �⃗⃗� che punta da sinistra verso destro come in figura; una particella di carica

q si muove in questa regione con velocità �⃗� e indichiamo con θ l’angolo tra �⃗� e �⃗⃗�.

Sperimentalmente si osserva che la forza �⃗� cui è soggetta la particella ha un’intensità pari a:

𝑭 = |𝒒|𝒗𝑩 𝒔𝒆𝒏𝜽

Nel SI si misura in newton (N).

Quindi da questa osservazione si deduce che la forza magnetica dipende da diversi fattori:

La carica q della particella;

L’intensità del campo magnetico �⃗⃗�;

La velocità �⃗� della particella;

L’ampiezza dell’angolo 𝜃 tra il vettore velocità e il vettore campo magnetico.

Si nota che i primi due fattori sono in comune con la forza elettrica, ma il comportamento di una particella

carica q in un campo magnetico è significativamente diverso da quello della stessa particella in un campo

elettrico.

Nel dettaglio, se si vuole che il campo magnetico eserciti una forza su una particella questa deve possedere

una carica e deve essere in movimento, oltre al fatto che il vettore velocità deve formare un angolo con il

vettore campo magnetico: la forza applicata è massima quando la particella si muove perpendicolarmente al

campo (𝜃 = 90°, quindi sen 𝜃 = 1) ed è minima, di conseguenza, quando si muove parallelamente al campo

(𝜃 = 0°, quindi sen 𝜃 = 0). L’equazione della forza di Lorentz, infine, riguarda solo il valore assoluto della forza

e perciò dipende dal valore assoluto della carica, |q|. Il segno di q è importante per determinare il verso del

vettore forza �⃗�, la quale punta in una direzione perpendicolare sia a �⃗⃗� che a �⃗�, secondo la regola della mano

destra per la forza magnetica:

“Per determinare il verso della forza magnetica su una carica positiva si inizia puntando le dita della mano

destra nella direzione della velocità �⃗�. Successivamente si ruotano le dita nella direzione di �⃗⃗�. Il pollice punta

nella direzione di �⃗�. Se la carica è negativa, la forza punta nel verso opposto a quello del pollice.”

La forza magnetica su una particella carica in movimento

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L’intensità del campo magnetico B quindi può essere ricavata dall’equazione precedente ed è definita nel

seguente modo:

𝑩 =𝑭

|𝒒|𝒗 𝒔𝒆𝒏𝜽

Nel SI si misura in tesla, 1 tesla = 1 T = 1 N/(A ∙ m)

Il tesla è un’unità piuttosto grande per esprimere l’intensità di un campo magnetico, specialmente se

paragonata al campo magnetico sulla superficie della Terra, che vale all’incirca 5,0 ∙ 10−5 T. Per questo

motivo si è soliti usare un’altra unità, il gauss (G), definita nel seguente modo:

1 gauss = 1 G = 10−4 T

Moto di particelle cariche in un campo magnetico

In presenza di un campo elettrico, una particella carica accelera nella direzione del campo; mentre in

presenza di una campo magnetico l’accelerazione, alla quale è sottoposta la particella carica, risulta

perpendicolare sia al campo che alla velocità.

Per questo motivo, si può affermare che un campo magnetico non compie alcun lavoro e il modulo della

velocità della particella rimane costante, a differenza di un campo elettrico che compie un lavoro sulla

particella e ne modifica il modula della sua velocità.

Una particella carica che attraversa un campo magnetico può muoversi con tre diversi tipi di moti, i quali

dipendo dall’angolo con cui la particella attraversa il campo:

Se la particella si muove parallelamente al campo, indipendentemente del verso, essa non è soggetta

ad alcuna forza e quindi la sua velocità rimane costante, definendo un moto rettilineo uniforme;

Se la particella si muove perpendicolarmente al campo, essa orbita con velocità costante in modulo,

lungo una circonferenza di raggio 𝒓 =𝒎𝒗

|𝒒|𝑩 , definendo un moto circolare;

Se la particella ha una velocità con una componente parallela e una perpendicolare al campo, il suo

moto sarà elicoidale, ottenuto dalla combinazione dei due moti sopracitati.

Fasce di Van Allen e aurore polari

In natura vi sono alcuni interessanti esempi relativi al moto di particelle cariche in un campo magnetico.

Il primo è fornito dalla radiazione cosmica, quando interagisce con i campi magnetici interplanetari,

principalmente con quello solare, e con quello del nostro pianeta.

Un secondo esempio è dato dalle famose fasce di Van Allen, dal nome del fisico che le scoprì per primo.

Le fasce di Van Allen sono regioni ricche di particelle di alta energia, cioè plasma composto principalmente

da protoni e elettroni, tenute imprigionate dal campo magnetico terrestre a una distanza fissa dal pianeta.

Le fasce di particelle veloci intrappolate attorno alla Terra possono essere divise in due zone: la fascia interna,

detta propriamente fascia di Van Allen, localizzata a circa 6300 km dalla Terra e costituita prevalentemente

da protoni ad alta energia (10-50 MeV); la fascia più esterna, a circa 40.000 km dalla Terra, è molto più estesa

ed è circondata da una regione a bassa intensità, composta principalmente da elettroni e da ioni, la cui origine

è dovuta al concorso di più fenomeni fisici.

Le particelle intrappolate sono costrette, dalle linee di forza del campo geomagnetico, a compiere traiettorie

spiraleggianti attorno alla Terra.

L’origine della fascia interna è da ricondursi alla radiazione cosmica, la quale riempie lo spazio di una fitta

“pioggerellina” di protoni ad alta velocità, che collidono con gli atomi dell’atmosfera, e sono intrappolati dalla

magnetosfera. Sebbene il numero di tali atomi sia estremamente ridotto, le fasce di Van Allen sono

lentamente riuscite a formarsi accumulando una zona piena di plasma ad alta energia. Accanto ai protoni ad

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alta energia, vi è un grande numero di elettroni e protoni a energie inferiori (1-100 keV), che risultano

responsabili delle aurore polari nel momento in cui vengono a contatto con l’alta atmosfera.

Le aurore dipendono dall’interazione del vento solare, composto da plasma di protoni ed elettroni emesso

dal Sole, con il campo magnetico terrestre: le particelle, dotate di alta velocità, si avvolgono spiralizzando

attorno alle linee di forza del campo riflettendosi nelle regioni polari dove l’intensità di questo è maggiore e

le linee di forza tendono a convergere. La luce aurorale è emessa dalla diseccitazione degli atomi e delle

molecole dell’alta atmosfera, eccitati nelle collisioni con le particelle del vento solare. La frequenza delle

aurore visibili e l’estensione dell’ovale aurorale, cioè una fascia debolmente luminosa con centro situato

approssimativamente nel polo magnetico, variano con l’attività solare. L’ovale aurorale si estende nella

regione dove sono radicate le linee di forza del campo magnetico terrestre e gli ondeggiamenti sono

provocati dalle variazioni dei campi elettromagnetici agenti sugli elettroni.

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TRA I PIANETI LA CORSA ALLO SPAZIO

Le principali tappe che hanno portato l’uomo sulla Luna (1957-1969)

4 ottobre 1957: la corsa ebbe inizio…

L’URSS lanciava in orbita il primo satellite artificiale: lo SPUTNIK 1, il cui nome significa letteralmente

«compagno di viaggio».

Il primo satellite era costituito da una sfera di metallo di 50 cm di diametro, dotato di 4 antenne lineari di

circa 3 m di lunghezza ciascuna, ed era equipaggiato con due trasmittenti, grazie alle quali inviò, durante le

tre settimane di durata della sua missione, un segnale radio rimasto storico. Lo Sputnik 1 ricadde sulla Terra

nel gennaio 1958, disintegrandosi durante il rientro.

Quel 'bip' emesso dal satellite per 20 giorni consecutivi prese alla sprovvista gli Stati Uniti. Per l'URSS fu un

orgoglio nazionale e per il mondo segnò l'inizio dell'era spaziale.

Per rimarcare la propria supremazia, l’URSS, neanche un mese dopo il lancio dello Sputnik 1, il 3 novembre

mandò in orbita lo Sputnik 2 stabilendo così un nuovo primato: a bordo c'era un essere vivente, la cagnetta

Laika.

La missione spaziale fu realizzata in modo molto affrettato, e quindi necessariamente approssimativo, per

ordine del governo sovietico, il cui scopo era poter vantare un successo nella corsa spaziale per la data del 7

novembre 1957, quarantesimo anniversario della rivoluzione. La missione di Laika, che doveva durare diversi

giorni, finì anzitempo e l’animale morì per vari malfunzionamenti nella capsula spaziale, principalmente per

l’aumento della temperatura interna, ma nel 1960 la missione si ripeté, stavolta con successo, con i cani Belka

e Strelka.

Il sacrificio di Laika, che commosse tutti i ragazzi e le ragazze di allora, servì comunque per aprire le porte

dell’esplorazione dello spazio anche all’uomo.

1 Febbraio 1958: la risposta americana...

Prima dello Sputnik, l'americano medio pensava che gli Stati Uniti fossero leader in tutti i campi tecnologici.

In risposta allo Sputnik, gli USA iniziarono degli sforzi enormi per recuperare questa superiorità tecnologica,

tra cui il rinnovamento dei programmi scolastici. Questa reazione è oggi nota come Crisi Sputnik.

Per gli USA fu l'inizio di un rinnovamento frenetico. Due anni prima il presidente Eisenhower aveva

annunciato il progetto Vanguard, che prevedeva il lancio di un satellite fra il 1957 e il 1958: battuti sul tempo,

gli Stati Uniti cercarono di mantenere comunque la promessa lanciando il primo razzo Vanguard, il 6 dicembre

1957, ma fu un fallimento. Il 31 gennaio alle 22:48 locali (3:48 UTC del 1º febbraio) dell'anno successivo si

tentò con un razzo progettato dall'Esercito e dall'ingegnere tedesco passato agli Stati Uniti Wernher Von

Braun, l'Explorer I: fu il primo successo a stelle e strisce.

Era il momento di concentrare gli sforzi per recuperare il terreno e così il 29 luglio 1958 gli USA fondarono la

loro agenzia spaziale, la NASA, diretta da Von Braun.

I primi satelliti furono utilizzati anche per scopi scientifici: lo Sputnik aiutò a determinare la densità

dell'atmosfera superiore e i dati di volo dell'Explorer portarono alla scoperta delle fasce di Van Allen dallo

stesso James Van Allen.

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12 Aprile 1961: un uomo oltre le nuvole…

Fu il sovietico Yuri A. Gagarin in assoluto il primo cosmonauta. Il 12 aprile 1961, a bordo del Vostok

1 raggiunse le condizioni di volo orbitale attorno alla Terra e rimase nello spazio, in quelle condizioni, per 1

ora e 48 minuti. Rispetto ai voli umani successivi, quello di Gagarin fu molto breve e pericoloso: addirittura

si disse in seguito che parecchi specialisti, anche sovietici, erano convinti che il cosmonauta non sarebbe

riuscito a ritornare sano e salvo sulla Terra. Invece andò tutto nel migliore dei modi, Gagarin atterrò

perfettamente e divenne così il primo eroe dello spazio. L’impressione fu fortissima in tutto il mondo e

l’opinione pubblica mondiale percepì, forse anche in modo esagerato, che l’umanità era entrata in una nuova

epoca: quella spaziale.

1961 – 1968: una gara all’ultimo lancio…

Qualche settimana dopo, il 5 maggio, Alan Shepard fu il primo americano nello spazio, a bordo di una Mercury

3, in un volo suborbitale. Il primo a raggiungere l'orbita fu invece John Glenn il 20 febbraio 1962, a bordo di

una Mercury 6.

Appena 40 giorni più tardi, il 25 maggio 1961, il presidente USA John Kennedy annunciò al Congresso l'inizio

del Programma Apollo, destinato portare l'uomo sulla Luna entro dieci anni.

Il primo passo fu il programma Gemini, per sperimentare la fattibilità tecnica.

Nonostante i successi americani, furono però ancora i sovietici a fare nuovi passi avanti clamorosi: il 16 giugno

1963 Valentina Tereskova fu la prima donna cosmonauta.

Gli USA risposero con la prima sonda verso Marte, la Mariner 4, lanciata il 28 novembre 1964.

Il 18 marzo dello stesso anno il sovietico Alexej Leonov fece invece la prima passeggiata spaziale.

La corsa allo spazio restò col fiato sospeso il 27 gennaio 1967, quando l'Apollo 1 esplose sulla rampa di lancio,

ma il programma andò avanti. Nel Natale 1968 l'Apollo 8 entrò in orbita lunare e in quello stesso anno i

sovietici lanciarono in orbita lunare i primi animali, due tartarughe, sulla capsula Zond 5.

16 Luglio 1969: … un grande passo per l’umanità….

La navicella, che faceva parte del programma Apollo che portò più volte astronauti statunitensi sul suolo

lunare, partì il 16 luglio 1969 da Cape Kennedy (l’attuale Cape Canaveral), in Florida, e fu portata in orbita da

un potente razzo, Saturno V. Nonostante durante la discesa verso il suolo lunare i computer di bordo della

capsula di allunaggio Eagle segnalassero diversi allarmi, al centro di controllo di Houston si decise di

proseguire. E infatti l’allunaggio, nella regione del Mare della Tranquillità, si concluse nel migliore dei modi.

Il 21 luglio 1969 Neil Armstrong, il comandante della missione, ed Edwin Aldrin, il pilota, uscirono

dalla Eagle e misero piede, per la prima volta nella storia dell’umanità, sul suolo lunare. Il terzo uomo

dell’equipaggio, Michael Collins, resterà a bordo del modulo di comando Columbia, da cui la capsula di

allunaggio si era staccata. Alle 2:56, ora di Greenwich, Armstrong posò il piede sulla Luna, pronunciando una

frase che sarebbe rimasta famosa: «Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità». Gli

astronauti piantarono sulla Luna la bandiera degli Stati Uniti, effettuarono una ‘passeggiata’ di due ore e

mezzo e il 24 luglio ritornarono, da eroi, sulla Terra.

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ABISSO INTELLIGENZA ARTIFICIALE

La capacità che contraddistingue l’uomo dalle macchine è l’intelligenza, ma cosa succede quando

quest’ultime si mettono a pensare? Questa domanda è nata insieme a quella disciplina che è diventata poi

nota come informatica. Già negli anni ’50, infatti, si parlava dei computer come “cervelli elettronici” nutrendo

la speranza, o il timore, che un giorno quelle macchine avrebbero sviluppato una coscienza propria. L’idea di

un supercomputer intelligente con cui comunicare come se fosse un umano è stata, tuttavia, vista all’opera

solo nei film di fantascienza, almeno fino agli sviluppi degli ultimi anni.

Senza dubbio, l’esempio di Intelligenza Artificiale più famoso è quello di HAL 9000, uno dei protagonisti, se

non “il protagonista” del capolavoro di Kubrick e Clarke, 2001 Odissea nello Spazio che, nel film e nel libro, è

dotata della facoltà di parola: chiacchiera amabilmente, esprime giudizi estetici su disegni fatti dagli umani,

riconosce le loro emozioni, ma, alla fine, uccide, in preda a un paranoico istinto di proteggere la missione,

quattro dei cinque membri dell’equipaggio.

Ma partiamo dal concetto che non esista un’unica concezione di Intelligenza Artificiale: usualmente con

questo termine, spesso abbreviato con l’acronimo A.I. (Artificial Intelligence), si designa una branca della

scienza informatica e ingegneristica che studia i meccanismi sottostanti alle facoltà cognitive degli esseri

umani e la loro riproduzione mediante computer opportunamente programmati. L’obiettivo primario dell’A.I.

è creare macchine in grado di pensare e agire come gli esseri umani.

La disciplina dell’A.I. è divisa in due aree fondamentali: la prima è la cosiddetta Intelligenza Artificiale

forte che ritiene che un computer correttamente programmato possa essere veramente dotato di una

intelligenza pura, non distinguibile in nessun senso importante dall’intelligenza umana, una sorta di macchina

dotata di mente in senso pieno e letterale. L’idea alla base di questa teoria è il concetto che risale al filosofo

empirista inglese Thomas Hobbes, il quale sosteneva che ‘ragionare non è nient’altro che calcolare’: la mente

umana sarebbe dunque il prodotto di un complesso insieme di calcoli eseguiti dal cervello.

La seconda area, in netta contrapposizione con la prima, è detta Intelligenza Artificiale debole e sostiene che un computer non sarà mai in grado di essere equivalente a una mente umana ma potrà solo arrivare a simulare alcuni processi cognitivi umani senza riuscire a riprodurli nella loro totale complessità.

Fondamenti teorici dell’Intelligenza Artificiale Sono stati enucleati alcuni fondamenti teorici unanimemente considerati alla base della moderna A.I.: Il ragionamento e in generale ogni tipo di attività della mente è un calcolo. Il calcolo è inteso come manipolazione di simboli in base a regole prestabilite. Il simbolo, o rappresentazione, è un oggetto che sta per o raffigura un altro oggetto. Può esistere un manipolatore automatico di simboli. Le rappresentazioni, inoltre, sono definite analogiche se vi è un rapporto di somiglianza o analogia con l’oggetto che rappresentano, oppure analitiche se vengono effettuate mediante formule matematiche.

L’analisi del linguaggio naturale in A.I. Uno dei limiti caratteristici nel modo di procedere del computer è quello che la macchina ignora il significato dei simboli che va manipolando. E’ la distinzione esistente fra un procedimento sintattico, formato da proposizioni indecidibili, come possono essere le proprietà aritmetiche, ed uno semantico, ovvero connesso al significato di ciò che viene elaborato.

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Le ricerche sull’elaborazione del linguaggio naturale (natural language processing) costituiscono uno dei settori di punta dell’intelligenza artificiale e sono oggetto di una ulteriore disciplina che si chiama linguistica computazionale.

Le reti neurali Le ricerche di impostazione connessionista hanno cercato di emulare il comportamento delle cellule neuronali facendo ricorso alle cosiddette reti neurali: una rete neurale è una struttura formata da un certo numero di unità collegate tra loro da connessioni. Attraverso le connessioni, un’unità influenza fisicamente le altre unità con cui è collegata. Le singole unità hanno alcune caratteristiche essenziali delle cellule nervose, i neuroni del sistema nervoso reale, mentre le connessioni presentano alcune delle caratteristiche essenziali dei collegamenti sinaptici tra neuroni. Una rete neurale è costituita da un insieme di nodi collegati. Per ogni nodo vi sono dei collegamenti di input (da cui arrivano segnali) e dei collegamenti di output (attraverso cui la rete emette segnali). I nodi possono assumere due stati: stato di riposo e stato di attivazione. Quando un nodo è in stato di attivazione invia dei segnali ai nodi con cui è collegato. I collegamenti tra i nodi di una rete neurale sono di due tipi: collegamenti eccitatori ed inibitori. Ogni collegamento tra un nodo della rete e un altro, inoltre, è dotato di un peso che assegna diversi valori ai segnali che li attraversano. Ogni nodo diventa attivo e dunque manda un segnale ai nodi ad esso connessi solo se i messaggi che gli arrivano (nel computo tra segnali inibitori ed eccitatori) lo portano oltre una certa soglia di attivazione (misurata mediante una scala numerica). Visto nel suo complesso, il comportamento di una rete neurale può essere descritto come un processo in cui, una volta fornita in ingresso alla rete una configurazione di segnali-stimolo (mediante l’attivazione di alcuni suoi nodi, detti nodi in input), la rete rilascia in uscita un’altra configurazione di segnali. Le reti neurali hanno diverse interessanti proprietà: innanzitutto, a differenza dei computer digitali, funzionano in modalità parallela, nel senso che in ogni istante molti nodi cambiano il loro stato simultaneamente. Inoltre sanno apprendere, cioè possono imparare a svolgere dei compiti senza bisogno di essere programmate esplicitamente (le reti di Hopfield, dotate di memoria associativa, e quelle di Kohonen autoapprendenti, in cui l’apprendimento è non supervisionato, competitivo e cooperativo).

I moderni

Ultimamente stanno avendo una notevole diffusione i bots, programmi che si trovano in rete (soprattutto

nelle ‘chat’, in cui si dialoga in tempo reale con altri utenti connessi) e che simulano dialoghi spesso semplici

con esseri umani ma sovente hanno un ‘nickname’ cioè un nome virtuale indistinguibile da quello degli utenti

reali. Sono spesso utilizzati per gestire canali di conversazione o fare da arbitri in giochi interattivi.

Il test di Turing Alan Turing è l’autore di un test che è universalmente conosciuto come l’unico in grado di stabilire se una

macchina è in grado di pensare o meno: viene infatti definita intelligente una macchina che riesce a superare

il test di Turing. Si suppone di sottoporre un uomo e una donna a una serie di domande da parte di un

interrogante che non ha contatti fisici con essi, per esempio attraverso una telescrivente o un computer.

L’interrogante, in base alle risposte dei candidati che tenteranno di confonderlo, deve scoprire chi è l’uomo

e chi è la donna. Se si sostituisce uno dei due candidati con una macchina e l’interrogante non riesce a

distinguere l’essere umano dalla macchina, allora si può asserire che la macchina è intelligente. Finora

nessuna macchina ha superato il test di Turing ma i sostenitori dell’A.I. forte ritengono che è solo questione

di tempo.

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LUNE DI SATURNO

UN’UNICA GRANDE OPERA

Quando si parla di 2001: Odissea nella spazio le persone pensano subito al capolavoro cinematografico di

Stanley Kubrick. Il film è solamente una delle due facce della medaglia, perché il progetto si compone anche

del romanzo omonimo di Arthur Clarke, che gli è valso la popolarità e la fama di grande autore di

fantascienza, facendo sì che il suo nome venga accostato ai grandi di questo genere, come Asimov e Heinlein.

Le origini

Diversamente da ciò che accade di solito, la sceneggiatura del film non è stata tratta dal romanzo ma le due

opere sono nate insieme e si sono sviluppate parallelamente, infatti tra Clarke, il quale fisicamente si è messo

alla macchina da scrivere, e Kubrick si è instaurato un rapporto particolare: quasi quotidianamente, Kubrick

ha pianificato con Clark i vari episodi, approvando o rifiutando le soluzioni che lo scrittore gli forniva,

suggerendogli i punti da ampliare e spingendolo a cercare nuovi sviluppi.

Il romanzo e il film sono basati su un soggetto dello stesso Clarke, La Sentinella, un breve racconto in cui

viene narrata la scoperta sul suolo lunare di un misterioso artefatto, una piramide di cristallo, opera di una

civiltà aliena. Partendo da questa base, ed integrandola con spunti presi da altri racconti di Clarke, ad esempio

Incontro all’Alba, dal quale sono tratte le scene iniziali con le scimmie antropomorfe, ha preso vita l’opera

che tutti conosciamo.

Uguali ma non troppo

Anche se sviluppati assieme, romanzo e film presentano alcune differenze sostanziali, dettate sia dal diverso

mezzo utilizzato sia da altre esigenze particolari.

La differenza esteriore più evidente è che la destinazione della missione nel film è Giove mentre nel libro è

Giapeto, uno dei satelliti di Saturno. Questa differenza è dovuta dalla complessa riproduzione degli anelli di

Saturno, dai forti ritardi nella realizzazione del film e dalle pressioni che i produttori esercitavano su Kubrick

per concluderlo.

Le altre due differenze esteriori evidenti sono la camera aliena, nella quale approda Bowman dopo il viaggio

interstellare, e il monolito. La camera aliena nel film è un appartamento settecentesco mentre nel libro si

narra di una comune stanza d’albergo. Il monolito nel film viene rappresentato nero anziché traslucido come

nel libro.

Ma più che altro, la differenza tra le due opere si nota nel modo stesso in cui la storia viene presentata: il film

è considerato enigmatico ed è noto per aver sollevato numerosi interrogativi lasciati volutamente aperti.

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Il libro guida: attraverso il film

Al contrario, il romanzo si prodiga in numerose ed esaudienti descrizioni tecniche e scientifiche, le quali

permettono di comprendere meglio ciò che sta avvenendo e di poter mettere insieme i pezzi di questo puzzle

cosmico.

Nella parte iniziale gli eventi della Notte Primeva vengono mostrati attraverso il pensiero del capo degli

ominidi, Guarda-la-Luna, che permette di rendersi conto di come l’arrivo del monolito li abbia influenzati e

instradati verso un determinato sentiero evolutivo. Viene poi spiegata la causa del malfunzionamento di HAL

9000, che in questo modo perde sicuramente buona parte del suo lato inquietante ed affascinante rispetto

alla pellicola, ma mostra con coerenza il legame con l’episodio della scoperta del monolito sulla Luna.

Tuttavia la parte più chiarificatrice è senza dubbio quella finale, dove viene descritto il viaggio di Bowman

attraverso la Porta delle Stelle, l’incontro con i creatori dei monoliti e la sua trasformazione nello Starchild;

la narrazione dettagliata del finale dà naturalmente la possibilità di comprendere meglio l’intera storia.

Perciò il romanzo di Clarke è un’attendibile guida al film di Kubrick e, anzi, per quanto riguarda l’origine delle

idee espresse nel film, è forse la sola guida.

Quindi libro e film sono da considerare due parti di un’unica grande opera, che per essere compresa e

apprezzata appieno necessita di entrambi i punti di vista.

Curiosità

I satelliti, la navetta spaziale e la grande stazione spaziale ruotante che appaiono all'inizio della seconda parte

del film, erano tutti basati su progetti reali della NASA, mai realizzati. La progettazione dei modelli di astronavi

è stata affidata a ingegneri aerospaziali e non ad artisti.

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ATTRAVERSO LO STARGATE OLTREUOMO: LO STARCHILD

I punti di svolta della storia, come il momento in cui Guarda-la-Luna prende consapevolezza dell’enorme

potere, l’intelligenza, che gli ha donato il monolito, impugnando un osso e usandolo come arma; oppure

quando Bowman, sempre per mezzo del monolito, si evolve in un essere nuovo, “il Bambino delle Stelle”,

sono sottolineati dalle note di “Così parlò Zarathustra”, celebre opera di Richard Strauss.

La scelta di questo brano non è casuale, in quanto il poema sinfonico di Strauss è ispirato all’omonima opera

di Nietzsche, ed è probabile, anzi quasi certo, che Kubrick e Clarke abbiano voluto evocare un’analogia tra

Zarathustra e il monolito, e tra l’Oltreuomo e lo Starchild.

Così parlò Zarathustra

“Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e nessuno”, 1883, è considerata l’opera più importante di Nietzsche.

In questo libro si annuncia un nuovo inizio della storia: “la filosofia del mattino” e “l’aurora” di cui Nietzsche

parlava già negli scritti precedenti hanno raggiunto la pienezza del “meriggio”, “l’apogeo dell’umanità”.

Zarathustra, o Zoroastro, fu un saggio principe persiano e il fondatore dello zoroastrismo, la religione che

dominò la Persia dal VI secolo a.C. alla conquista araba. Secondo la leggenda, nacque ridendo e perciò fu la

persona più adatta per riprendere il messaggio di Dioniso e portarlo oltre. Tuttavia lo Zarathustra di Nietzsche

è un saggio che lascia il suo rifugio in montagna, stanco del possesso solitario della saggezza, per portarla in

dono agli uomini e giunto in città annuncia: “Io vi insegno il superuomo”.

L’oltreuomo

Il termine “superuomo”, o più correttamente “oltreuomo” dal tedesco “Übermensch”, è diventato così

popolare che il pensiero di Nietzsche è quasi identificato con questa idea. Comunemente, la parola può far

venire in mente tre cose: un uomo dotato di poteri straordinari; oppure il rappresentante di una nuova specie

o razza di uomini, come nel caso dell’opera 2001: Odissea nello spazio; oppure un uomo superiore a tutti gli

altri, in cui sono potenziate al massimo le caratteristiche già presenti nelle persone normali.

In realtà, l’oltreuomo di Nietzsche non è che il risultato della trasformazione e del superamento delle energie,

degli impulsi e delle passioni dell’uomo attuale. L’oltreuomo è colui che è riuscito a dare un senso alla vita,

anche quando i supremi valori sono decaduti, dopo la “Morte di Dio” annunciata da Zarathustra, cioè è

riuscito a superare, ad andare oltre al nichilismo, a differenza dell’ ”ultimo uomo”, che si dispera ed è passivo

nei confronti del nichilismo. L’ultimo uomo è l’uomo della società di massa, livellata, mediocre, schiava del

benessere, della convenienza e del conformismo.

Se la società umana tende ad appiattire gli uomini nella massa, le nature superiori possono affermarsi solo

se si distaccano e percorrono un cammino tutto loro: un’ascesa verso esiti superiori, nella ricerca di una vita

più vera e alta, attraverso l’autodisciplina, l’autonomia e l’autosuperamento.

L’oltreuomo è fedele alla terra, poiché, caduta la prospettiva di un mondo ideale, è a questo mondo, dove

tutto diviene, che bisogna dare un senso.

Come già scritto, in questo periodo dominato dal nichilismo, l’oltreuomo non si ferma al momento

distruttivo, la morte di Dio, anzi lo supera e passa a quello creativo, così come “il leone diventa fanciullo”.

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La Volontà di Potenza

A questo punto è bene introdurre il concetto di “Volontà di Potenza”.

Essa sta alla base di ogni attività vitale, anche delle attività più spirituali e razionali. La Volontà di Potenza è un impulso irrazionale e originario, presente in ogni essere vivente, ed è la volontà di ogni individuo di affermarsi e di espandere la propria esistenza, il proprio dominio sulla realtà. Per questo motivo esprime un atteggiamento creativo, cioè è la Volontà che vuole se stessa. Però, la Volontà creatrice sembra arrestarsi di fronte al passato: “il così fu non si lascia smuovere” e “la volontà non può volere a ritroso”. Ma la redenzione dal passato è possibile solo per quella volontà che vive in assoluta pienezza, trasformando il “così fu” in “così volli”. Vivere con pienezza il presente pare impossibile, perché esso è schiacciato tra passato e futuro. Per conciliare la Volontà col tempo, Nietzsche introdusse una nuova concezione del tempo: “l’eterno ritorno”. L’Eterno Ritorno Questa nuova concezione del tempo si trova in contrapposizione con quella lineare, tipica della cultura occidentale, la quale nega la pienezza all’attimo. La teoria dell’Eterno Ritorno dell’uguale afferma che il tempo debba essere circolare e perciò tutto debba ritornare. Essendo il tempo circolare, allora non vi è una direzione, a differenza della concezione lineare, direzione passato – futuro, e quindi ogni punto può essere concepito come l’inizio. In questa prospettiva ogni attimo può essere considerato e vissuto in sé stesso; se tutto torna in eterno, ogni istante ha la pienezza dell’eternità. Solo chi vive con pienezza, dando senso alla vita e accettandola nella sua totalità riesce a vivere nella prospettiva dell’Eterno Ritorno. L’oltreuomo ama a tal punto la vita da non desiderare altro che il suo Eterno Ritorno. “Imprimere al divenire il carattere dell’essere: questa la suprema volontà di potenza”.

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CONCLUSIONE

Vorrei concludere la tesina con un stralcio di un’intervista di Stanley Kubrick rilasciata per Playboy sul

significato dell’opera:

“Playboy: […] Un critico ha definito 2001: Odissea nello spazio come “il primo film nietzscheano” sostenendo il concetto di Nietzsche dell’evoluzione dell’uomo dalla scimmia umana. Qual è il messaggio metafisico del film? Kubrick: Non è un messaggio che volevo trasmettere a parole. Il 2001 è un’esperienza: due ore e 19 minuti di pellicola e ci sono solo un po’ meno di 40 minuti di dialogo. Ho cercato di creare un’esperienza visiva, che penetra direttamente il subconscio con un contenuto emozionale e filosofico. […]. Sei libero di speculare come si desidera sul significato filosofico e allegorico del film. […] Playboy: Ci può dire la sua interpretazione del significato del film? Kubrick: No. Quanto apprezzeremmo La Gioconda oggi se Leonardo avesse scritto in fondo alla tela: “Questa signora sorride così perché ha i denti marci” o “Perché sta nascondendo un segreto del suo amante”? Sarebbe come spegnere l’apprezzamento dello spettatore. Non voglio che questo accada con 2001.”

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BIBLIOGRAFIA

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Mossudu A., Temi di Geografia generale, Milano, Tramontana 2010.

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FILMOGRAFIA

2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey), Kubrick S., Gran Bretagna - USA, 1968.

SITOGRAFIA

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