L'Editoria Digitale - Conversazione Con Franco Tato

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 Conversazione con Franco Tatò L'editoria digitale al tempo dell'iPad e degli ebook (e altre cose che non si riesce a non chiedere a Franco Tatò)  a cura di Giulio Blasi (novembre 2011)  Il punto di partenza di questa conversazione (iniziata nell'estate 2011 via Facebook) è la rilettura di un libro di Franco Tatò del 1995 (  A scopo di lucro, conv ersazione con Gianc arlo Bosetti,  Donzelli di cui è possibile vedere un'anteprima su Google Books http://bit.ly/ pzgCiE) che ho ripreso in mano per puro caso dopo averlo suggerito quasi istintivamente a un giovane "editore digitale" che inizia in questi mesi a mettere su la sua impresa. Rileggendolo a mia volta ho capito che istinto e memoria non mi avevano ingannato.  Avevo letto il libro alla sua uscita nel 1995 mentre mi occupavo di editoria multimediale (progettando e producendo "Encyclomedia" l'enciclopedia multimediale diretta da Umberto Eco) e ne avevo tratto una visione liberale del lavoro editoriale come business standard che mi era parsa cristallina e abbastanza unica nel nostro paese. Al di là dei principi, una sorta di richiamo al senso di realtà per chi si affaccia su questo mercato, indipendentemente dal suo ruolo e dalle dimensioni della sua attività.  Credo sia per questa ragione generalissima che rileggendo quel testo mi ha preso semplicemente la voglia di "continuare" quella discussione parlando dei mille temi in gioco oggi nel settore editoriale e dei media in generale. Cosa pensa oggi Tatò (che si occupa dell'Enciclopedia Italiana, di Parmalat e molto altro) della rivoluzione in atto in ambito editoriale? Cosa pensa di ebook, di Amazon, della rivoluzione nella distribuzione, del futuro delle librerie, delle biblioteche, della Legge Levi, degli e-reader, di smartphone e tablet dome dispositivi di lettura, eccetera eccetera.  Poiché non faccio il giornalista e credo che il mezzo migliore sul quale discutere della rete sia la rete stessa, questo dialogo avviene su Internet in una forma aperta: un gruppo Facebook, il blog di Tatò, e i file epub/pdf del dialogo in versione ebook che chi vorrà potrà distribuire liberamente dal proprio sito.  1. Giulio Blasi - Nel 1995 – l’anno di pubblicazione del libro – lei era ad di Mondadori.  A un anno dalla “discesa in campo” di Berlusconi, immagino che il senso di quel libro fosse anche quello di rassicurare l’opinione pubblica italiana sui destini del gruppo e delle sue case editrici (vedi Einaudi). Ma il 1995 era molto di più. Il 1995 è stato il primo anno di Internet commerciale in Italia. Il lancio dell’editoria su cd-rom, i primi provider Internet italiani e mille altre cose ben raccontate nelle storie dei new media che sono state pubblicate in seguito. Il 1995 è stato forse in Italia il primo anno in cui si è focalizzato  a livello di opinione pubblica diffusa – il tema dei media digitali e della rete come un nuovo scenario per i decenni a venire. La prima domanda è quindi generalissima. Cosa è cambiato dal 1995 a oggi? Come descriverebbe il nocciolo delle differenze tra l’editoria italiana oggi e il contesto di 15-16 anni fa?  Franco Tatò - A scopo di lucro non fu scritto con un obiettivo “di bottega”, anche perché il grande pubblico al quale si rivolgevano i nostri periodici non aveva certo bisogno di Conversazione con Franco Tatò (a cura di Giulio Blasi) 1

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Conversazione con Franco Tatò

L'editoria digitale al tempo dell'iPad e degli ebook (e altre cose che non siriesce a non chiedere a Franco Tatò) a cura di Giulio Blasi(novembre 2011)

 

Il punto di partenza di questa conversazione (iniziata nell'estate 2011 via Facebook) è larilettura di un libro di Franco Tatò del 1995 ( A scopo di lucro, conversazione con GiancarloBosetti, Donzelli di cui è possibile vedere un'anteprima su Google Books http://bit.ly/pzgCiE) che ho ripreso in mano per puro caso dopo averlo suggerito quasi istintivamentea un giovane "editore digitale" che inizia in questi mesi a mettere su la sua impresa.

Rileggendolo a mia volta ho capito che istinto e memoria non mi avevano ingannato.

Avevo letto il libro alla sua uscita nel 1995 mentre mi occupavo di editoria multimediale(progettando e producendo "Encyclomedia" l'enciclopedia multimediale diretta daUmberto Eco) e ne avevo tratto una visione liberale del lavoro editoriale come businessstandard che mi era parsa cristallina e abbastanza unica nel nostro paese. Al di là deiprincipi, una sorta di richiamo al senso di realtà per chi si affaccia su questo mercato,indipendentemente dal suo ruolo e dalle dimensioni della sua attività. Credo sia per questa ragione generalissima che rileggendo quel testo mi ha presosemplicemente la voglia di "continuare" quella discussione parlando dei mille temi in giocooggi nel settore editoriale e dei media in generale. Cosa pensa oggi Tatò (che si occupadell'Enciclopedia Italiana, di Parmalat e molto altro) della rivoluzione in atto in ambito

editoriale? Cosa pensa di ebook, di Amazon, della rivoluzione nella distribuzione, delfuturo delle librerie, delle biblioteche, della Legge Levi, degli e-reader, di smartphone etablet dome dispositivi di lettura, eccetera eccetera. Poiché non faccio il giornalista e credo che il mezzo migliore sul quale discutere dellarete sia la rete stessa, questo dialogo avviene su Internet in una forma aperta: un gruppoFacebook, il blog di Tatò, e i file epub/pdf del dialogo in versione ebook che chi vorrà potràdistribuire liberamente dal proprio sito. 

1. Giulio Blasi - Nel 1995 – l’anno di pubblicazione del libro – lei era ad di Mondadori.A un anno dalla “discesa in campo” di Berlusconi, immagino che il senso di quel librofosse anche quello di rassicurare l’opinione pubblica italiana sui destini del gruppo edelle sue case editrici (vedi Einaudi). Ma il 1995 era molto di più. Il 1995 è stato il primoanno di Internet commerciale in Italia. Il lancio dell’editoria su cd-rom, i primi provider Internet italiani e mille altre cose ben raccontate nelle storie dei new media che sono statepubblicate in seguito. Il 1995 è stato forse in Italia il primo anno in cui si è focalizzato – a livello di opinione pubblica diffusa – il tema dei media digitali e della rete come unnuovo scenario per i decenni a venire. La prima domanda è quindi generalissima. Cosaè cambiato dal 1995 a oggi? Come descriverebbe il nocciolo delle differenze tra l’editoriaitaliana oggi e il contesto di 15-16 anni fa? Franco Tatò - A scopo di lucro non fu scritto con un obiettivo “di bottega”, anche perchéil grande pubblico al quale si rivolgevano i nostri periodici non aveva certo bisogno di

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essere rassicurato. Al contrario, il libro era tutt’altro che rassicurante per il pubblicodegli intellettuali, sempre alla ricerca della sovvenzione sicura. Ci fu qualche reazionepiccata all’idea che per un editore un libro è anche un prodotto, una merce da venderecon profitto, arrivando a dire che in fondo l’editore cerca acquirenti e non lettori: unaprovocazione, anzi uno scandalo. 

Gli albori di Internet non furono percepiti in Italia come una minaccia per l’editoriacartacea, anche perché l’avvio fu lento e graduale a causa soprattutto, ma non solo,dell’arretratezza delle infrastrutture di comunicazione. Questa situazione permane: anchese si sono fatti passi avanti sull’onda della passione per il cellulare, l’infrastruttura italianacontinua a essere arretrata, lenta e inaffidabile, oltre che discontinua. Un pessimo serviziomolto costoso inspiegabilmente tollerato dagli utenti mugugnanti e dall’Autorità inerte, chefinge di non vedere. Noi addetti ai lavori ovviamente avevamo la percezione che qualcosa sarebbe cambiato,ma non potevamo prevedere l’ampiezza e la radicalità, oltre che la velocità, delcambiamento che avrebbe investito il nostro settore.

 La Mondadori aveva nel suo portafoglio “Zero Uno”, una delle migliori pubblicazioni diinformatica, e attorno a questo primo nucleo sviluppammo “Mondadori Informatica”, unadivisione autonoma dedicata alla pubblicazione di libri e manuali, alla formazione, ancheattraverso un accordo con Microsoft per la cosiddetta Microsoft University, e una catenadi librerie, in parte unite alle librerie Mondadori, con un assortimento esteso anche allavendita di apparecchiature e accessori informatici. Credo che questa iniziativa pionieristicacontribuì non poco alla diffusione della cultura informatica in Italia e ai profitti dell’azienda. Ma non solo: proprio anticipando quelli che sarebbero stati gli sviluppi futuri fufondata “Mondadori New Media”, una struttura dedicata inizialmente allo sviluppo divideogiochi. Questa attività ebbe un buon inizio con computer game premiati, oltre chedagli addetti ai lavori, anche dagli acquisti di un pubblico ancora limitato numericamente. La Mondadori nel 1995 era presente nel mercato di riferimento con tre strutture:Mondadori Video, per la distribuzione di cassette e poi dvd, Mondadori informatica eMondadori New Media. Queste strutture non erano solo punti di ascolto in attesa deglisviluppi futuri, erano attività di business condotte con convinzione e lungimiranza.Pensiamo al numero di Playstation che di lì a poco avrebbero invaso il mercato e allepossibilità editoriali di chi per tempo si era preparato allo sviluppo di applicazioni. 

In quegli anni si fece un accordo con Nichi Grauso e si mise “Epoca” on line, primoperiodico on line nazionale e un primo passo per aiutare la sopravvivenza della testata,un marchio di prestigio che si stava spegnendo con i suoi lettori nonostante gli sforzidell’editore. Si fece anche un investimento in California, rivelatosi poi poco fortunato,in uno start up che stava sviluppando una tecnologia avanzatissima per i videogiochidi nuova generazione. La Mondadori aveva gettato le basi per svolgere un ruolo attivonell’editoria del futuro condizionata dallo sviluppo delle tecnologie. Perché lo sviluppo potenziale di questo settore si è fermato? Nel ’96, pressato dalle critiche anche pubbliche dei principali collaboratori di Berlusconi,

accettai l’offerta di diventare AD dell’Enel e lasciai con dispiacere il gruppo. Il miosuccessore passò la distribuzione dei dvd a Mediaset e chiuse Mondadori New Media.L’attività di Mondadori Informatica è proseguita come attività editoriale tradizionale. Una

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grande opportunità perduta. Per completare il quadro, il responsabile di Mondadori New Media mi seguì all’Enel elì avviammo Sfera, la prima e più evoluta struttura di formazione a distanza in Italia,inizialmente dedicata al personale del Gruppo. Poi per terzi e, nelle intenzioni, per ilgrande pubblico. Era un’attività utile, un’opportunità di ammodernare la formazione del

personale, che si sosteneva economicamente e che assolveva un compito che un grandeGruppo dovrebbe avere nei suoi obiettivi istituzionali: fare qualcosa di buono per il paese.Il mio successore, forse ispirato dal ministro Tremonti, ha chiuso Sfera. È troppo facilesostenere che l’attività di Sfera non facesse parte del core business. Con questo excursus non ho risposto alla domanda, e ora tenterò di farlo dando a unadomanda generica una risposta in termini generali. Non è un mistero che in Italia si è sempre letto poco: libri e giornali hanno sempreinteressato solo una minoranza della popolazione. Persino i giornali popolari, ispiratial successo della “Bild” o del “Sun” – è famoso il tentativo fallito di Maurizio Costanzo

con “L’Occhio” –, non hanno avuto fortuna, sostituiti dalla pervasività della televisionegeneralista. L’intrattenimento trash ha sostituito l’informazione trash, con conseguenze lacui portata deve ancora essere valutata appieno. Non si può escludere che la tolleranzadell’opinione pubblica italiana per i fenomeni degenerativi del costume sia dovutaalla passività indotta dall’eccesso del consumo televisivo di evasione. Le speranze dirinnovamento sono ora riposte nei giovani, che oggi consumano meno televisione epiù Internet. Ma consumano anche meno giornali: anche nell’informazione è in atto unprocesso di deintermediazione con conseguenze tutte da sperimentare. A cavallo del millennio si è fermato il consumo della carta stampata: non mancano,come in tutti i business maturi, iniziative di successo che spostano gruppi di lettori, mail consumo totale non aumenta, anzi, progressivamente diminuisce. Aumenta invece ilconsumo di Internet, che provoca un profondo cambiamento nello scenario editoriale einveste progressivamente tutti i settori. Il modello della mutazione è quanto avvenuto nelmercato musicale. I nuovi standard, MP3 ecc., le nuove apparecchiature, dal Walkmanall’iPod, i nuovi siti e le nuove applicazioni – dalle radio digitali a iTunes – hanno fattoaumentare a dismisura il consumo di musica e mandato in crisi l’industria musicaleassieme alla produzione dei supporti tradizionali. Questo paradosso si ripete e si ripeteràper le enciclopedie, per le notizie, per i giornali, per i libri e così via. Il cambiamento nonè mai provocato dagli operatori tradizionali, i quali rinunciano a gestire il cambiamento eassumono un atteggiamento difensivo, impoverendosi attraverso continue ristrutturazioni.

Le nuove proposte vengono da aziende dedite all’innovazione tecnologica: tre nomi per tutti, Apple, Google, Amazon.. I media tradizionali non scompaiono, si ridimensionano e siriposizionano, coinvolti in una megaristrutturazione che tocca tutti gli aspetti del business,dal copyright alle tecnologie di stampa all’organizzazione dei contenuti e del lavoro. Se si fosse fatta una ricerca di mercato, nessuno avrebbe potuto scrivere le specifichedel Walkman sulla base dei suoi risultati. La Sony lanciò un prodotto dei suoi laboratorie creò un bisogno che ovviamente era latente e inespresso. Tutti i grandi cambiamentiai quali stiamo partecipando sono originati da fenomeni analoghi: la tecnologia stimolabisogni latenti e si diffonde rapidamente in un mondo globale. Un’altra constatazione èche la diffusione orizzontale dei cambiamenti è più veloce di quella verticale attraverso i

vari strati della società, condizionati da situazioni locali. L’Italia mi sembra caratterizzatada una grande impermeabilità sociale, aiutata da innumerevoli leggi protezionistiche eda sovvenzioni istituzionali. Basta pensare a cosa resterebbe della editoria a stampa se

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fossero cancellati contributi, sovvenzioni e facilitazioni, e dovesse vivere solo del suosuccesso presso il pubblico. Il discorso si potrebbe estendere al cinema, al teatro, agli entilirici, ai premi letterari. Il panorama editoriale italiano in questi ultimi quindici anni è profondamente cambiato,ma per quanto riguarda l’editoria tradizionale, il cambiamento è stato più implosivo che

evolutivo. Il pubblico è esploso e soddisfa i suoi bisogni di cultura, d’informazione ed’intrattenimento, con una pluralità di mezzi, pur con qualche difficoltà infrastrutturale,sempre meno con libri, giornali e dvd. Il quadro di riferimento è ormai questo: tutti icontenuti, dappertutto e in ogni momento. Che ci piaccia o no, questa sarà la societàdal futuro, la domanda è quando e come ci arriveremo, non se. Gli editori tradizionali piùaccorti tentano di diventare almeno protagonisti delle forme di permanenza dei valori difondo che hanno ispirato la loro attività: ben altra cosa dalla difesa di uno statu quo chenon ha più senso, con l’intervento dello Stato, cioè della politica. 2. Giulio Blasi - La seconda domanda muove da un fatto “politico” recente ma che cipermette di aprire altre tematiche più generali: il DDL Levi sul prezzo dei libri (http://

www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/37051.htm). Una legge che è stata definita(correttamente, secondo me) “protezionistica” e fondamentalmente “anti-Amazon”. Lechiedo anzitutto un parere su un provvedimento che entra così tanto nel dettaglio dellemodulazione del pricing in un settore specifico del mercato. Una legge bi-partisan che (dalmio punto di vista) dimostra anzitutto la difficoltà a destra, al centro e a sinistra di trovareposizioni liberali ragionevoli. Franco Tatò - La domanda si dà la risposta. Si tratta di un provvedimento pesantementeregolatorio e difensivo che, introduce vincoli e regole a difesa degli interessi di unadeterminata categoria. Questo tipo di provvedimento ha normalmente accoglienzabipartisan e viene sviluppato con la collaborazione palese o occulta delle associazionidi categoria, quando non di singoli operatori interessati. Questi provvedimenti, quandoproibiscono gli sconti ad esempio, sono volti a difendere gli imprenditori da se stessi o dacolleghi sconsiderati che ritengono di agire in un mercato libero e concorrenziale. I fiumi diretorica si sprecano nella difesa della cultura, del libro che non è una merce, ma qualcosadi speciale. Recentemente, ho acquistato su Amazon Italia un manuale di informatica, edito negli StatiUniti , al prezzo scontato di dieci euro con un clic e l’ho ricevuto in tre giorni. Se avessivoluto fare lo stesso acquisto in una libreria avrei atteso il manuale almeno due o tresettimane e, al cosiddetto cambio editoriale, avrei speso almeno trenta euro. Ora, cosa è

meglio per il consumatore? In questi giorni stiamo preparando il lancio in libreria di una nuova opera Treccani, cosache normalmente avviene con uno sconto promozionale. Ebbene, in virtù del decretonon si possono fare sconti superiori al 15% se non una volta all’anno e comunque nonin dicembre: lo sconto non si addice alla cultura così come il saldo si addice alla moda.Credo che il settore dell’editoria libraria sia guidato da cretini. Quale interesse sociale si difende cercando di tenere in vita con provvedimenti di questotipo forme di distribuzione obsolete? Non sarebbe meglio studiare provvedimenti chefavoriscano la ristrutturazione e l’ammodernamento o l’evoluzione delle strutture

distributive nell’interesse dei consumatori? La distribuzione di libri e giornali in Italia è unsettore protetto, il che significa che senza le protezioni non potrebbe sopravvivere osarebbe completamente diverso. Iva al 4% che però funziona come la vecchia IGE,

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contributi all’editoria, contributo carta, contributi ai giornali politici, tariffe postali scontate,esclusive di tutti i generi, prezzi regolamentati, abbinamenti obbligatori, norme particolariper le ristrutturazioni con contributi dello Stato e potrei continuare. Nel settore si ritieneche questa situazione possa continuare e, se sorgessero dei problemi, il governointerverrebbe con provvedimenti del tipo di quello proposto da Riccardo Franco Levi, conl’adesione di tutti in attesa dei ringraziamenti. Un esempio: negli Stati Uniti la distribuzione

editoriale è in crisi, Blockbuster è fallita, altre catene minori hanno chiuso, Barnes&Noble èin crisi ed è stata venduta, quasi tutti chiudono i negozi meno profittevoli e si concentranorivedendo il modello di business. In Italia Feltrinelli apre continuamente nuovi megastorecome se ce ne fosse necessità in un mercato in espansione. La domanda è: con qualeprovvedimento si riuscirà a impedire che gli e-book arrivino al 30% del mercato? Che lelibrerie più profittevoli siano quelle specializzate e attrezzate con personale di livelloadeguato? Che i libri scolastici siano scaricabili su tablet e che si studi in rete, che inqualunque luogo e a qualunque ora si possa leggere e vedere quello che si vuole o di cuisi ha bisogno a costi accettabili? Che ci piaccia o no, questo è lo scenario di tendenza eLevi non riuscirà a impedirlo, ma contribuirà a ritardarlo con grave danno alla competitivitàdel paese. Ovviamente non deve accadere tutto insieme, anche se sarebbe desiderabile,

ma immaginiamo che per libri, giornali e dvd ci sia una sola aliquota di Iva al 6 o al 10%,che cadano le barriere alla diffusione, che i giornali politici vengano pagati dai partiti, chele sovvenzioni vengano abolite, tutte, anche quelle al cinema e ai teatri, e sostituite soloper alcuni casi con crediti di imposta veri e automatici, che i prezzi siano liberi di muoversisecondo la legge della domanda e dell’offerta, che le spese di mecenatismo culturalesiano deducibili dall’imponibile per i privati e per le imprese e così via. All’inizio sarebbe unbello sconquasso, molti dovrebbero cambiare mestiere, tornerebbe l’obiettività delrisultato, magari un po’ di meritocrazia, e noi vivremmo finalmente in un paese più libero. 3. Giulio Blasi - Da qualche anno Amazon significa anche Kindle e quindi e-book. Laprima domanda su questo tema è sulle linee di tendenza: negli Usa parliamo già diun valore attorno al 5-10% del fatturato complessivo dell’editoria libraria, in Europa cimuoviamo in un delta tra lo zerovirgola (vedi dati Aie sull’Italia e pochi punti percentuali).Cosa ci attende? Franco Tatò - Il futuro è dei tablet, stanno proliferando: Amazon ha appena annunciatouna nuova versione di Kindle, molti si preparano a lanciare prodotti analoghi, ciascuno conqualche caratteristica a suo modo interessante. Ovviamente, tra non molto assisteremoa un’omogeneizzazione delle caratteristiche e avremo una più chiara caratterizzazionedei prodotti in base al prezzo. In India si sta lanciando un prodotto dalle caratteristicheelementari al prezzo di 35 dollari. Di questi prodotti a basso prezzo sarà il mondo di tutto

quanto non è coperto da copyright, mentre per i prodotti più complessi, nelle prestazionie nelle caratteristiche, si affermeranno quelli inseriti in ecosistemi integrati, nei qualiconfluiscono i testi, la musica, i video, le immagini. Inizialmente questo sarà un universodi mondi paralleli, messi in rapporto dall’utilizzatore, il quale sceglierà con quale musicaaccompagnare la lettura dell’ultimo libro di Franzen o quali immagini affiancare o usarecome sfondo al Cimitero di Praga di Umberto Eco. Poi nasceranno prodotti originaliper tablet, una blended art della quale per ora ci sono solo avvisaglie. L’uso del tabletè diversificato: navigatore, guida turistica, documentario del percorso geografico o diletture o di pensiero, informatore istantaneo, strumento di comunicazione con un universodi persone senza limiti di spazio e così via, attraverso una miriade di applicazioni checaratterizzeranno la nuova vita dell’umanità veloce e longeva. E qui naturalmente ci si

chiede se questa sarà la morte dei giornali e dei libri. Credo che la risposta sia sì, per tanti. Tante persone trascorreranno la vita avendo solo contatti occasionali con i libri e igiornali. Ma non è così anche ora, non solo a livello nazionale, ma a livello planetario?

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Libri e giornali, però, non scompariranno, cambieranno forme di distribuzione e contenuti:sicuramente cambieranno natura le librerie e le edicole, forse il giornale-lenzuolo diventeràun manifesto, il libro un oggetto di lusso o uno strumento multiscopo, tutto questo in ununiverso di consumatori molto più vasto e numeroso. Già oggi il lavoro dell’editore, cheoltre ai libri e ai giornali edita e-book e web news, potrebbe essere multilingue e quindiglobale, indirizzandosi agli interessi e non solo ai territori.

 Abbiamo scoperto da poco che Darwin sosteneva che, nella lotta per l’esistenza checaratterizza l’evoluzione, non sopravvivono o si affermano i più forti o i migliori, ma quelliche meglio si adattano al cambiamento: in termini contemporanei, che meglio gestisconoil cambiamento. Possiamo seriamente pensare che tra dieci anni il “Corriere della Sera”si scriverà ancora in via Solferino con una redazione di quattrocento giornalisti iscrittiall’albo? Sta formandosi un mondo nuovo che richiede competenze nuove: bisognerebbealmeno cominciare a studiare. Non mi sembra azzardato pensare che tra quindici anni il60% della comunicazione sarà digitale, cioè non cartacea, probabilmente prima, ma saràun 60% di un cento molto più grande. 

La vera grande rivoluzione avverrà quando con l’aiuto della tecnologia verranno abbattutele barriere linguistiche e si potrà rispondere in modo globale a interessi ormai globalizzati,e sarà difficile innalzare barriere protettive. 4. Giulio Blasi - Il settore dell’editoria digitale vede negli Usa l’azione complementare ditre macro-realtà capaci di innovare e competere a livello globale quasi senza resistenza(almeno in termini imprenditoriali): Amazon, Google (con il suo progetto Google Bookse il suo eBook shop), Apple (senza pensare alle realtà minori). L’Europa sembraglobalmente incapace di formulare progetti imprenditoriali in grado di accettare la sfida diuna competizione globale. Nel 2000 Chirac si mobilita (stimolato dal direttore della BNF)e ne vengono fuori alcuni progetti europei che non hanno alcuna chance di competerecon i soggetti citati. Perché l’Europa (forse già da Giscard in poi, dal rapporto Nora-Minc)sembra incapace di competere nel settore informatico prima, delle reti poi e dei nuovimedia, oggi con gli Usa? Franco Tatò - C’è stato un momento nel quale era sembrato che l’Europa stesse per guadagnare un po’ di terreno e ridurre le distanze, ed è stato quando si è riusciti aintrodurre lo standard GSM in tutti i paesi europei, in chiaro vantaggio sugli americani nellosviluppo della telefonia mobile. Infatti un’azienda europea, la Nokia, prese la leadershipdel mercato dei telefoni portatili originariamente inventati dall’americana Motorola. Ma tuttosi è fermato lì. Ora il mondo della comunicazione digitale opera con hardware cino-

americano-coreano e software americano con contributi indiani. Anche il Giappone è quasiscomparso, signore di grandi nicchie dell’intrattenimento, ma non più agente leader delcambiamento globale. Nella domanda “perché”, si nasconde il senso di rivalsa, il cercaredi capire quali potrebbero essere i rimedi per tornare al timone dello sviluppo tecnologico.Credo che l’Europa continuerà a dare singoli contributi importanti allo sviluppo delletecnologie essenziali al flusso del cambiamento: Skype è una tecnologia europea;Nuance, leader nel software di dettatura, è una società svedese; e potremmo fare unlungo elenco. Ma l’Europa è strutturalmente disadatta al mondo globale, è una culturadell’esclusione e non dell’inclusione, una cultura che ha passato secoli a sottolineare ledifferenze invece delle similitudini. Forse la convinzione faticosamente costruita, e nonancora completamente condivisa, che nonostante tutto, una cultura europea esiste e

potrebbe aiutare nello sviluppo delle tecnologie volte al superamento delle barrierelinguistiche, una delle condizioni per lo sviluppo di una vera globalità di interessi. Unprogetto ambizioso. Basti pensare che l’Europa, in una delle poche iniziative veramente

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comunitarie, spende più soldi per mantenere un’agricoltura non competitiva che per sostenere programmi di sviluppo di infrastrutture comuni. Un programma “banda largasuperveloce per tutti gratis” non è stato neppure pensato, eppure questo sarebbe ungrande strumento di competitività. Credo di poter dire che con la morte prematura di SteveJobs si è chiusa un’epoca. Gli antichi dicevano “muor giovane colui che al cielo è caro” equesto si applica anche a lui, stella solitaria dell’inizio del declino americano. Non dico che

la spinta al cambiamento originata dalle imprese americane si sia esaurita, ma certamenteha raggiunto un suo apice in coincidenza con la supremazia economica e politica degliStati Uniti. La crisi economica originata dal collasso del sistema finanziario americano el’esaurimento politico causato dalle guerre inutili, costose e sfortunate, produrràsicuramente una pausa nella spinta propulsiva e gli stimoli nuovi verranno dai paesiemergenti: Cina, India, Brasile, Corea. Sarà un mondo più vario, meno egemonico, in cuianche i paesi europei troveranno un loro spazio, se non altro perché continueranno aessere un mercato interessante. Credo che nel nuovo mondo sarà più difficile vivere edovremmo affrettarci a capire cosa fare per prepararci a non soccombere o almeno apartecipare, non certo a guidare. 

5. Giulio Blasi - Torniamo all’Italia e continuiamo a parlare di e-book. Lo scenario vedein gioco iniziative di piccole dimensioni (Telecom-Mondadori, Edigita, Simplicissimus,Bookrepublic) e numeri ancora molto risicati anche sugli shop più importanti (Bol, Ibs). Iltutto in attesa della mannaia o della manna dell’entrata in gioco di Apple-Google-Amazonnel settore degli e-book sul mercato italiano. Come valuta le strategie in gioco? Non lepare che ci sia una sorta di attendismo imprenditoriale che assomiglia pericolosamentea una resa preliminare senza condizioni? Come si compete quando un colosso comeAmazon entra in un mercato con soglie imprenditoriali molto più basse? Franco Tatò - Il mercato degli e-book è agli inizi. In Italia cresce lentamente anche per l’insufficienza delle infrastrutture e perché il mercato italiano della lettura, ancora troppopiccolo essendo una percentuale piccola di un mercato piccolo, tiene lontani i grandiplayer internazionali. Le piattaforme settoriali, quando non individuali, anche se di caseeditrici con grande catalogo, non sono destinate a durare e dovranno cedere ad Amazone simili, che offrono cataloghi vastissimi e aiuti alla scelta, strumenti di orientamentoe di confronto, valutazioni dei lettori e recensioni di esperti. Il vero sviluppo si avràcomunque solo quando si supererà la mera trasposizione digitale del libro cartaceo ediverranno disponibili prodotti innovativi o trattamenti innovativi di prodotti esistenti. Annifa guardavamo con sufficienza la rivista “Selezione del Reader’s Digest”, che vendevariassunti di libri e citazioni, considerata cultura di serie B per lettori di serie B. A parte ilfatto che “Selezione” svolgeva un compito di divulgazione e di diffusione dell’abitudine alla

lettura che col senno di poi non sottovaluterei, penso che assisteremo a fenomeni similianche se declinati diversamente. In fondo, il successo di Twitter è legato alla limitazionedella lunghezza dei messaggi. In questo senso il libro è poco adatto al web, e nonpotrebbe essere altrimenti essendo il prodotto di una cultura precedente. Ma basta vederesu Facebook la frantumazione in corso dei libri in citazioni che vivono di vita propria e siscambiano come figurine, per prevedere quello che ci aspetta. Un fenomeno simile è incorso su Youtube per video, tv-show e film. Amazon è il grande fattore di cambiamento, lapiattaforma di tutti che si rivolge a tutti. È anche potenzialmente la piattaforma degli autori,che così realizzano la deintermediazione totale. Gli editori, non solo italiani, non sono staticapaci di esprimere una piattaforma comune che promuovesse lo sviluppo del businesstotale, invece di difendere i loro libri cartacei diventando ostaggi delle pressioni dei librai

in estinzione. Ma abbiamo già visto che i veri cambiamenti non vengono promossi dagliaddetti ai lavori dei business tradizionali. 

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Un certo tempo di attesa è comprensibile: spesso chi si è mosso per primo sul terrenodelle nuove tecnologie è stato punito e si è trovato col fiato corto, o senza risorse per investire quando finalmente si è chiarita la direzione consolidata del cambiamento. Anche negli Stati Uniti la corsa è appena cominciata, si sono fatti molti esperimenti,si è cominciato a razionalizzare le strutture distributive, ma si è ancora alla ricerca

delle dimensioni giuste dei vari segmenti nei quali si strutturerà il mondo della lettura,dell’intrattenimento e dell’educazione. Siamo in un mondo multimediale, ma non siamoancora in grado di stimare le proporzioni di diffusione e di utilizzo dei vari media, disponibilie futuri. Per ora possiamo dire che ogni pubblicazione avverrà in una pluralità di forme:cartacea, e-book, app, audio, audio-video ecc. Come il lemma ha sostituito l’enciclopedia,la pubblicazione – o un’altra parola più adatta a esprimere una unità di comunicazione –sostituirà il libro, il giornale, l’articolo, e anche il film o il video. Ogni unità sarà un focus,un punto di riferimento in una costellazione che comprenderà tutti gli elementi di contestoconoscitivo disponibili, le discussioni e i commenti se vorrò partecipare a un forum,le sottolineature dei soggetti graditi o no e così via. Ovviamente potrò comprare unacopia ricordo cartacea, ma perché non farmela stampare su carta particolare, illustrata

e corredata: oltre che un testo o un’opera, la testimonianza di un’esperienza. Non a tuttiinteresserà questa rappresentazione estrema, ma il fatto di poter continuare a leggere unapoesia in raccoglimento nel salotto di casa, non deve escludere altre forme di fruizione piùdirettamente inserite nei rapporti interpersonali. 6. Giulio Blasi - Una domanda sui nuovi device di lettura (e-ink e tablet). Cosa ne pensa?Hype momentaneo o fenomeno di lunga durata? Franco Tatò - I computer del futuro saranno dei “flat pannel”, di varie dimensionie prestazioni, evoluzione delle attuali device di lettura che rimarranno come formepiù elementari. Credo che chi spera siano una moda passeggera si sbagli: sarannoindispensabili come il telefono portatile o l’automobile. 7. Giulio Blasi - Ancora sull’editoria italiana. Nel 1995 lei parlava (in rapporto allaGermania) della necessità di una maggiore concentrazione distributiva in Italia. Cosaè cambiato da allora e come valuta il contesto attuale? Pensa che il contesto attualefavorisca o meno l’emergere di nuova imprenditorialità nel settore editoriale? Cosa pensadelle librerie italiane attuali? Qual è la linea di tendenza? Non so se le è capitato di visitarela libreria Ambasciatori (Coop) al centro di Bologna che include al suo interno un ristoranteEataly molto piacevole. Si va verso l’ibridazione degli spazi di vendita? Franco Tatò

- Non è cambiato molto, se si eccettua lo sviluppo delle grandi catene, inparticolare Mondadori e Feltrinelli, le quali però hanno accentuato gli elementi già presenti:grandi spazi, distribuzione di dvd e cd, nel caso di Mondadori informatica anche di gadgetelettronici e computer personali, l’edicola per la flessibilità dell’orario. La formula è quelladel passaggio dal negozio al supermercato, con poche varianti: grande assortimento eacquisto d’impulso. Montroni e Farinetti hanno in parte realizzato quello che è stato unmio sogno giovanile: la libreria come luogo di incontro e di discussione e, perché no,anche per un caffè e una colazione con gli amici. Alll’inizio degli anni novanta, nel progettooriginario della prima grande libreria Mondadori in corso Vittorio Emanuele a Milanoc’era, oltre all’edicola, anche un bar. Allora non se ne fece nulla, se non uno spazio per i bambini e un’organizzazione simile a quella della libreria Talia di Amburgo, ma stiamo

parlando della preistoria. L’idea di allora era quella di prepararsi a strutturare la libreriacome luogo di incontro, dove oltre che aggirarsi in silenzio tra i tavoli e gli scaffali per trovare ciò che si cerca o scoprire qualcosa di nuovo, ci si siede a parlare. In un certo

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senso si pensava di realizzare un social network fisico, nel quale non si incontrano sologli amici, ma anche persone che non si conoscono e che hanno gli stesi interessi, inquesto caso mediati dall’interesse per la lettura. Una formula simile fu introdotta negliStati Uniti da Barnes&Noble con molto successo. I problemi della distribuzione italianaerano già evidenti allora e si sarebbero dovute prendere alcune decisioni sperimentandole alternative: disaccoppiamento della distribuzione fisica dalla promozione, oppure tentata

vendita, come nella distribuzione degli alimentari. Ora è troppo tardi, credo che si dovràaccettare una riduzione e una specializzazione dei punti vendita, anche se la libreria comepunto di ritrovo, inserita in un social network di contatti a livello locale, mi sembra possacontinuare a funzionare. Un aiuto potrebbe venire da una semplificazione normativa dellaconcessione delle licenze e dei vincoli di destinazione d’uso nelle città. La Coop a Bolognaha realizzato una formula probabilmente non realizzabile altrove: anche in questo caso,una storia italiana. A Roma, di fronte al Caffè della Pace, dietro Piazza Navona, c’è un piccolo bar che vendeanche libri, novità italiane e tascabili francesi, spagnoli e tedeschi. Si può anche leggereun giornale tedesco. Ci vado spesso durante la passeggiata mattutina e qualche volta

compro un tascabile tedesco anche se su Amazon costerebbe meno, per nostalgia esimpatia. Non c’è a mio avviso una linea di tendenza chiaramente identificabile in Italia, soprattuttoal Sud non è cambiato nulla e le novità, come le aperture delle nuove Feltrinelli, hannoun sapore antistorico. Il fenomeno mi ricorda l’alba dei cellulari: una travolgente passionedegli italiani, che ne hanno fatto uno dei più grandi mercati al mondo pur con unacopertura carente. Il motivo è da ricercare nel cattivo funzionamento della telefonia fissae nei costi del monopolio a fronte dei vantaggi della pur modesta e tardiva concorrenzadella telefonia mobile. Tutto sembra in attesa dello tsunami e-book, che travolgerà unsistema antiquato e incapace di rinnovarsi. Ci sarà sicuramente un vantaggio: gli italianileggeranno di più. Leggeranno male, leggeranno a singhiozzo, ma leggeranno di più, cosìcome telefonano di più, e questo qualche vantaggio lo porterà. 8. Giulio Blasi - Abbiamo parlato di e-book, ma il settore dell’home video (per non parlaredi quanto già accaduto nel settore musicale) presenta fenomeni simili. Il fallimento negliUsa di Blockbuster, l’emergenza di soggetti come Netflix e la stessa Amazon con modellidistributivi, di pricing e di marketing (penso agli algoritmi di raccomandazione sviluppati incrwodsourcing da Netflix) rivoluzionari. Lei è a capo di Mikado da qualche tempo, comela vede? Perché il vuoto pneumatico di iniziative simili a Netflix in Europa/Italia non vieneriempito da ventures locali? Siamo anche qui in depressiva attesa dell’invasione di Netflix

& Co.? Franco Tatò - Non sono più a capo di Mikado, che ho dovuto lasciare, e che è statamessa in liquidazione. Una storia che non desidero commentare, se non per dire che lacausa non è stata certo la mia gestione. Credo comunque, per quello che capisco delcinema italiano, che sia proprio così: aspettiamo Netflix e anche altri che ci portino unaventata di modernità. C’è grande movimento a livello internazionale e attendiamo granditrasformazioni dietro alle quali arranchiamo con infrastrutture insufficienti, scarsi capitalie l’assenza di un’industria dello spettacolo, assenza non rimediabile perché il settore èpopolato da una maggioranza di operatori che vivono di sovvenzioni dello Stato. Non sochi avrà il coraggio di annunciare e realizzare un programma che dica semplicemente:

basta sovvenzioni, wi-fi gratis per tutti. E ricominciare da zero, perché la situazione èquella di un doloroso dopoguerra: attorno a noi, solo rovine. È ora di mettere manoalla ricostruzione e la ricostruzione non si fa senza sacrifici. L’attuale crisi economica e

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finanziaria potrebbe favorire la prima proposta, la seconda farebbe parte del programma dirilancio. 9. Giulio Blasi - Il mio settore di attività è una micro-nicchia del settore dei media.Il “digital lending” dei contenuti digitali in biblioteca. In pratica, un adattamento della logicadella “public library” a uno scenario distributivo in via di trasformazione radicale. Ebbene,

anche in questa nicchia siamo in ritardo di circa 5-10 anni sullo scenario americano (inItalia, non casualmente, frequenta una biblioteca un cittadino su dieci, mentre negli Usa ilvalore è 7 [!] volte maggiore). Nel 2005 si poteva prendere a prestito via Internet un e-bookalla New York Public Library. In Italia, grazie alla mia impresa, la cosa diventa possibile nelmaggio 2011! Lei ha scritto della Puglia e della California. Ma perché esiste una distanzacosì grande tra i due paesi anche nelle aree più avanzate ed efficienti dell’Italia? Franco Tatò - Credo che se riscrivessi oggi il mio libro sulla Puglia come metaforadell’Italia, dovrei cambiare ben poco. Il paragone con le biblioteche americane è calzante ecostituisce una bella storia parallela a quello che abbiamo detto delle librerie. 

Giordano Bruno Guerri scriveva i suoi libri sul fascismo a New York, perché la New YorkPublic Library è più fornita di qualunque biblioteca italiana ed è aperta fino a mezzanotte:non solo per prestare i libri, ma anche per studiare e lavorare in uno spazio organizzato,silenzioso e amichevole. La biblioteca è un luogo di incontro e di scambio, oltre che distudio, dove vengono organizzati incontri, presentazioni di libri, conferenze: una fusionetra la Biblioteca di Palazzo Carignano e il Circolo dei Lettori di Torino, che mi sembraperò un’eccezione in Italia. Ora le biblioteche americane sentono la crisi, non quella dellafinanza, o non solo quella della finanza, che passerà, ma quella della concorrenza deglie-book acquistati o prestati, da organizzazioni come la sua. Che cosa stanno facendo,oltre a ridurre i costi? Stanno trasformandosi in organizzazioni di consulenza personale, adesempio per la scrittura dei curricula e la ricerca di posti di lavoro. E in Italia? I bibliotecaricontinuano a ricevere lo stipendio da biblioteche di Stato o comunali che non comperanopiù libri, che nessuno visita e che neppure accettano donazioni di libri per mancanza dispazio e personale. La risposta alla domanda sul perché di tutto questo richiederebbeun trattato di sociologia che però non ci porterebbe molto lontano. Molto semplicemente,sulla base, e con tutti i limiti, della mia esperienza personale, posso dire che in unmomento imprecisato dell’ultima parte del secolo scorso si è perso in Italia il valore dellaconoscenza. Nelle scuole, nelle imprese, nelle professioni, nello Stato, si è persa laselezione per merito. Il posto di lavoro si conserva anche se non si lavora, si ottiene per raccomandazione indipendentemente dalla qualificazione, si progredisce per automatismilentamente, ma sicuramente. Allora perché imparare, perché studiare, perché leggere e

riflettere per formare il proprio carattere e aprire i propri orizzonti? Ovviamente questo nonvale per tutti, ma per una quantità di persone tale da condizionare l’evoluzione del tessutosociale. Si è perso anche l’interesse all’obiettività nella valutazione delle prestazioni,privilegiando a ogni livello la fedeltà e il controllo al rendimento e all’eccellenza. Questasituazione può cambiare anche rapidamente se verranno introdotte poche riforme chefacciano saltare i tappi degli imbuti che alterano la circolazione delle idee e delle personemigliori. Non sta ancora succedendo perché non siamo ancora abbastanza disperati. 

10. Giulio Blasi - La crisi, in Italia e negli Usa. Evidentemente la necessità di ripensareil welfare in Europa e ovunque. Lei ha fama meritata di grande risanatore. Viene quindi

voglia – almeno in termini di esperimento mentale – di nominarla virtualmente ministrodell’Economia per il tempo di questa conversazione (o magari in un fantomatico governoMontezemolo). Quali sono le 5 cose fondamentali su cui impianterebbe la sua politica se

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per “incantamento” le lasciassero carta bianca e sempre per magia potesse contare sulconsenso totale delle parti sociali? Franco Tatò - Un programma di governo non è compito del ministro dell’Economia, maanche dal ministero si possono fare molte cose. Inoltre non si devono confondere le cosenecessarie per far fronte alla crisi, finanziaria prima ed economica poi, con le vere riforme

strutturali che sarebbero, anzi sarebbero state, necessarie ben prima per far fronte a quelliche possiamo chiamare i problemi della modernità, ovvero la competitività internazionaledel paese. La prima e basilare riforma è quella dello statuto dei lavoratori, forse la principalecausa di arretratezza del nostro sistema. Lo statuto dei lavoratori va riscritto perché èanticostituzionale: qualcuno mi deve spiegare perché un lavoratore di una piccola impresapuò essere licenziato senza giusta causa e quello di una grande no. O perché non sideve applicare ai dirigenti o ai direttori dei giornali. Naturalmente dobbiamo intenderci sucos’è la giusta causa. Dev’essere definita in modo che la magistratura non riammetta allavoro i ladri o i lavativi strutturali come avviene oggi. Dovremo rassegnarci al fatto che la

mancanza di lavoro e lo scarso rendimento sono giusta causa di licenziamento. Le causedi lavoro inoltre non possono durare anni. La possibilità di licenziamento, giustamenteregolamentata e con un’adeguata protezione dei lavoratori dagli arbitrii dei datori di lavoro,risolverebbe radicalmente il problema del precariato rendendo inutile la pletora di contrattiatipici e le conseguenti acrobazie giuridiche. Sarebbe opportuno anche regolare il dirittodi sciopero (modello tedesco) e democratizzare i rapporti sindacali. La liberalizzazionedel rapporto di lavoro farà sparire il lavoro nero e si potranno accumulare contributi per lapensione anche aiutando il vicino a tagliare l’erba, come negli Stati Uniti. Il sistema pensionistico va riformato, ma non o non solo perché è troppo costosoin relazione all’evoluzione della demografia, ma perché è ingiusto e anacronistico.Alcuni semplici concetti ispiratori della riforma: un massimale di contribuzione e unacontribuzione uguali per tutti, uomini e donne, contadini e metalmeccanici, operai edirigenti. Si va in pensione tutti alla stessa età, uomini o donne. Si rivedono le pensionidi invalidità per evitare abusi e si abolisce la pensione di anzianità. Chi vuole andare inpensione prima o godere di una pensione più elevata di quella che garantisce lo Stato,cioè la collettività, versa dal suo stipendio o compenso a un fondo pensioni privato cheinveste nelle imprese e si finanzia con i profitti oltre che con i contributi. Tutto questorichiede seri controlli e serietà di gestione: se ben gestito può rivoluzionare il sistemaeconomico, perché i fondi non possono tollerare che l’impresa alla quale partecipanovenga gestita dal figlio scemo – fine del familismo, aumento delle aziende quotate, fine dei

patti di sindacato, fine degli amministratori servili. Abolizione di tutte le forme di sovvenzione e loro sostituzione, solo in alcuni casi, conil credito di imposta automatico: deducibilità di tutte le spese per la produzione delreddito e dei contributi alle attività culturali. Deducibilità di tutte le spese documentate diristrutturazione e miglioramento degli immobili. Vera riforma della scuola e delle Università. Lo Stato si occupa della scuola statale, iprivati della privata. Il valore legale del titolo di studio è abolito e sono aboliti gli ordiniprofessionali, anche quello dei giornalisti. 

Abolizione degli enti inutili e delle società inutili. Privatizzazione dei servizi pubblici, locali eno: uscita dello Stato e dei comuni, Province e Regioni dalle imprese: le funzioni pubblichesono regolatrici e non imprenditrici.

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 Sarebbe urgente istituire una commissione per la riforma della giustizia, che nel giro dimassimo sei mesi definisse un piano operativo per risolvere annosi problemi a tutti noti.Nel contempo si potrebbe anticipare la informatizzazione degli uffici, la riforma degli oraridi lavoro, delle ferie e dei privilegi del personale di giustizia, la razionalizzazione delle sedi,l’abolizione degli avanzamenti per anzianità, e altri primi provvedimenti per accelerare il

funzionamento della macchina mentre si rifanno le regole alla radice. Potrei proseguire per divertimento ancora con qualche punto, tanto siamo nell’utopia: tuttisanno che queste sono le cose da fare e sanno anche perché non le fanno. Mi divertirebbe descrivere un programma di riforma del sistema radiotelevisivo e diristrutturazione della Rai. Ma questo varrebbe una puntata speciale. 11. Giulio Blasi - A proposito della crisi economico-finanziaria attuale, alcuni ladescrivono come crisi di un modello di capitalismo. Cosa pensa di queste idee? DaLatouche a chi in ambito italiano (la cosiddetta generazione TQ, trenta-quaranta) propone

anche per l’editoria una sorta di felice decrescita terapeutica a favore della qualità delprogetto culturale... Franco Tatò - Non conosco queste teorie e onestamente non credo che serva a moltoesprimere nobili desideri. La crisi attuale, cominciata con il fallimento Lehman gestitomalissimo dal governo Bush e poi esploso in una crisi di crescita e di debito sovrano che siriflette sulle banche, è la conseguenza di come è stato gestito il capitalismo dopo la cadutadel Muro. Nessuno ha capito che, essendo venuto meno il nemico, si dovevano ridurrei debiti di guerra e non lo si è fatto mentre si godeva di un periodo di quasi ininterrottaespansione. Ora le banche sono vittime di un circolo vizioso, vengono svalutate perchéhanno titoli di Stato che si svalutano, non finanziano il business che non cresce e i titolidi Stato vengono ulteriormente declassati e così via. D’altra parte non possono smetteredi comprare titoli di Stato, altrimenti falliscono gli Stati. La politica non sa cosa fare el’incertezza aumenta la volatilità: è una crisi di idee e di leadership senza vie d’uscita abreve. A Latouche, che non conosco, forse bisogna dire che con i progetti culturali non sipagano gli stipendi e che quando si parla di cultura in genere si auspica che gli attori dellascena culturale vengano mantenuti dalla collettività. Un vantaggio della crisi è che forsedevono imparare a mantenersi producendo valore: perché la cultura vera non deve avereun valore? Il problema, come sempre, è la disponibilità ad accettare il prezzo di mercatoe con questo misurarsi anche se sappiamo che questo non riflette correttamente il valorepermanente del prodotto culturale. Credo che il valore di mercato sia in ogni caso più

obiettivo del giudizio di un assessore o del Ministro o di fantomatiche commissioni. 12. Giulio Blasi - Tra le molte cose di cui lei si è occupato dopo il 1995 c’è l’Istitutodell’Enciclopedia Italiana. In che modo si può progettare la sostenibilità (senzasovvenzioni) di una simile entità nell’epoca del web 2.0, di Wikipedia, del crowdsourcingecc.? Franco Tatò - Me ne occupo dal 2004. Finora ci siamo riusciti non senza forti polemicheinterne con quelli che io chiamo i nemici della modernità, la cui aspirazione è quella chel’Enciclopedia Italiana torni di proprietà pubblica e venga neutralizzato il rischio mercato.Naturalmente di enciclopedie se ne vendono poche e il nostro sforzo è stato dedicato

al passaggio in rete del sapere enciclopedico in una forma difendibile anche nell’epocadi Wikipedia, e a mantenere le posizioni di mercato con una produzione di libri di lussoche ancora trovano clienti. Non posso nascondere una certa sorpresa che ho provato

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nel vedere che i dipendenti e i collaboratori dell’Istituto si opponevano a un programmadi divulgazione del sapere accumulato negli anni dal loro lavoro e rimasto esclusivoappannaggio di chi poteva permettersi l’acquisto dei costosissimi volumi dorati dellaTreccani. Ritengo un grande successo, dovuto al prestigioso nome dell’Istituto, alla nostrapolitica editoriale e alla rete di vendita, l’essere riusciti a sopravvivere senza perditerilevanti, anzi con un importante incremento del patrimonio netto negli ultimi anni. Ora

verrà il periodo più difficile, nel quale sarà necessario sviluppare servizi a pagamento sulnostro portale. Se non riusciremo, dovremo accettare un altro scalino verso il basso, masoprattutto dovremo rinunciare a un ruolo significativo nell’evoluzione della fruizione dicultura in rete. Non so quale sarà il futuro, ma in questi anni abbiamo digitalizzato tutta la produzionedell’Istituto della Enciclopedia Italiana e l’abbiamo messa a disposizione del grandepubblico gratuitamente: cliccando www.treccani.it oltre a consultare 450.000 lemmie approfondimenti, si trovano interessanti servizi di attualità culturale e scientifica, laconsultazione delle più interessanti riviste di cultura e altri servizi dedicati alla scuola e allalingua italiana. Sulla web tv, in una serie di video in continua evoluzione, i migliori esperti

rispondono a domande del pubblico e si partecipa a convegni e presentazioni di libri. Nonè la consultazione rapida di Wikipedia, utilissima in un ambito definito, ma è un’opportunitàdi approfondimento e documentazione per studenti, studiosi o appassionati di tutte leprincipali branche del sapere. Solo per questo è stato importante dedicare questi ultimianni all’Istituto. 13. Giulio Blasi - Lei ha in qualche modo creato in Mondadori un’area di attività legataalle nuove tecnologie. Cosa cambierebbe – con l’infantilissimo senno di poi – nel modoin cui ha organizzato e calibrato quelle attività all’interno di Mondadori e come valuta lagestione attuale su questi temi? Franco Tatò - Non mi sembra opportuno esprimermi sui miei successori confermando,e credo mi venga da tutti riconosciuto, che non ci sia molto da cambiare in quello che hofatto, lasciando una buona base di partenza per ulteriori sviluppi. Se oggi dovessi scegliere un modello di gestione di una grande casa editrice, scegliereil’Axel Springer Verlag di Berlino e seguirei con attenzione quello che sta facendoBertelsman. Springer produce il 30% dei ricavi dai nuovi media con rispettabili profitti: unesempio a cui ispirarsi. 14. Giulio Blasi - Letture che suggerirebbe a un neo-imprenditore italiano?

 Franco Tatò - Non ho mai creduto molto nei libri di management e continuo a pensareche una buona preparazione generale, unita all’esperienza vissuta nell’impresa e nelconfronto con le altre imprese, l’osservazione del mondo insomma, costituiscano laformazione migliore. Sono stati pubblicati molti libri interessanti, ma anche molti deludentisommari di aria fritta. Proverò a dare qualche suggerimento.  Alla ricerca dell’eccellenza di Thomas Peters è sempre un buon libro, stimolante così come Il vantaggio competitivo,di Michael Porter. Non ancora smentita La legge di Parkinson di C.N-Parkinson. Peter Drucker rimane utile per riflettere sulle strutture organizzative. Ma per il manager èsoprattutto importante saper gestire sistemi complessi e prima di gestirli, capirli. Tre autoricontemporanei, e preferisco dire autori che singole opere, mi sembrano particolarmente

stimolanti: Karl Popper, Walter Benjamin, Isaiah Berlin. Mi terrei sul comodino LaMetafisica dei Costumi di Immanuel Kant. Non ci sono ricette facili così come there is nofree lunch.

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 15. Giulio Blasi - Scenari nell’industria dei contenuti. Concentrazione industriale oframmentazione? Franco Tatò - L’industria dei contenuti in Italia non c’è e non ci sono neppure le condizioniper costruirla. Delle condizioni dell’industria del cinema abbiamo detto. La televisione,

dominata dal monopolio-duopolio Rai-Mediaset, non ha alcun interesse a che si sviluppiuna vera industria, preferendo l’attuale circuito di scambi e favori senza alcun riguardo allacompetizione e alla qualità. Lo sfruttamento dei beni culturali e lo sviluppo dell’industriadello spettacolo e della cultura dovrebbero essere le priorità di un governo che volesseveramente rilanciare il paese a livello internazionale. Ma questo presuppone il radicalecambiamento delle regole ora applicate e dieci anni di coerenti e ininterrotti sacrifici. 16. Giulio Blasi - Negli ultimi mesi/anni in molti hanno scritto e parlato di Adriano Olivetticome di un modello di cultura imprenditoriale da recuperare nel nostro paese. Ha sensoun simile richiamo, e come eventualmente descriverebbe quel modello? A livello piùpersonale cosa ha rappresentato l’esperienza in Olivetti e l’incontro con Olivetti per lei?

 Franco Tatò - Considero un privilegio aver lavorato all’Olivetti di Adriano Olivetti, una dellepoche vere aziende internazionali italiane. Tanto penso sia stata importante la presenzadell’Olivetti come azienda avanzata e anticipatrice, legata al territorio con un forte sensodi responsabilità sociale e una forte proiezione internazionale, tanto penso che gli sviluppipolitici del movimento di Comunità scaturito dalle sue iniziative non siano ripetibili eneppure desiderabili. La fine dell’Olivetti e le cause di questa fine sono paradigma per comprendere la decadenza e la fine dell’Italia come grande paese industriale. La finedell’Olivetti non era inevitabile ed è stupefacente che un paese che si dedica regolarmentealla salvezza di aziende decotte, non abbia trovato neppure il tempo di mettere attornoa un tavolo qualche cervello pensante per salvare un’azienda operante in un settoreveramente strategico come quello della ICT. Ancora recentemente abbiamo dichiaratostrategica una latteria e abbiamo venduto agli egiziani WIND. 17. Giulio Blasi - C’è un problema generazionale in Italia? Il tema della “rottamazione” diRenzi è pura demagogia o coglie un punto reale? Mi piacerebbe sentire la sua opinionesu questo non tanto in rapporto alla politica ma al mondo dell’impresa e dell’industria deicontenuti in particolare. Franco Tatò - Il problema del ricambio generazionale non è un problema solo italiano.In Italia si manifesta in modo particolarmente acuto come conseguenza della scarsa

crescita e dell’assenza di regole che favoriscano la managerializzazione delle impresediventate risorse della comunità. Il problema generazionale non va scambiato conil problema dell’età: si può essere vecchi di anni e giovani di spirito. Se ci fosseroveramente tutte queste irrefrenabili energie giovanili, capaci di esprimere qualcosa dipiù dell’affabulazione, non potrebbero certo essere fermati dalla generazione di vecchiinefficaci che ha contribuito a ridurre il paese come lo vediamo, senza che i giovanifacessero nulla per impedirlo. E poi non è forse il vecchio Giorgio Napolitano meglio deimolti giovani in circolazione? Forse sarebbe meglio rottamare i disonesti e gli affaristiindipendentemente dall’età. Detto questo l’Italia ha un enorme problema di ricambiogenerazionale in tutti i settori e non ha gli strumenti per gestirlo. Steve Jobs diceva chela morte è la più bella invenzione della vita, perché toglie di mezzo il vecchio e fa spazio

al nuovo. Peccato che non sempre il nuovo è meglio e che l’allungamento della vitamedia gioca contro in modo determinante. Forse la soluzione consiste nel dimenticarloe spingere lo sviluppo facendo posto a imprese nuove: la soluzione del problema

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generazionale sta nello sviluppo della concorrenza. Non ci conto. 

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Franco Tatò

 Nasce a Lodi il 12 agosto 1932. Si laurea in Filosofia come alunno del Collegio Universitario Ghislieri di Pavia, e nel1956 entra a far parte del Gruppo Olivetti. È qui, nella fucina dell'imprenditoria italiana, che matura la propria esperienzaprofessionale. Dal 1970 al 1973 è Amministratore Delegato di Austro Olivetti a Vienna e dal 1974 al 1976 di British Olivetti a Londra,primo di una serie di incarichi di risanamento. Nel 1976 diventa Amministratore Delegato della Deutsche Olivetti Gmbh diFrancoforte, dove rimane fino al 1980, anno in cui assume la carica di Direttore Vendite Estere del Gruppo Olivetti. Dal 1982 al 1984 ricopre la carica di CEO della società Mannesmann-Kienzle di Villingen-Schwenningen, sempre inGermania. È Amministratore Delegato della Arnoldo Mondadori Editore dal 1984 al 1986, anno in cui viene nominato CEO dellaTriumph Adler AG, società del Gruppo Olivetti. Nel 1991 con la fama di essere un manager molto attento al dettaglio, di una franchezza che rasenta la durezza, SilvioBerlusconi lo richiama alla Mondadori come Amministratore Delegato. Nell'ottobre 1993 assume anche la carica di Amministratore Delegato del gruppo Fininvest, dove resterà fino al febbraiodel 1995, e dal maggio 1994 aggiunge quella di Vice Presidente della Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.Nel giugno del 1996 viene chiamato alla guida dell'Enel, dove comincia a lavorare per trasformare l'ex-ente elettrico in

un'azienda leader nella fornitura di servizi. L'Enel, sotto la sua guida, imbocca la strada del rinnovamento e procede a grandi passi: nel 1998 l'esordio nella telefoniamobile con Wind, insieme al partner strategico France Telecom. Con l'acquisizione di Infostrada nel 2000, lo sviluppodi Wind compie un'ulteriore accelerata, consolidando la posizione dell'Enel nel settore delle telecomunicazioni italiane,e creando l'unica vera alternativa all'incumbent. È il primo tassello della diversificazione multiutility, che prosegue conacqua (Enel.Hydro) e gas (Colombo Gas). Nel 1999 continua l'impegno a valorizzare capacità e conoscenze inespresse del gruppo, e prosegue il processo disocietarizzazione. Ne nasceranno aziende leader nei loro rispettivi settori come Erga (energie rinnovabili), EnelPower (impiantistica), Sei (immobiliare) e Sfera (formazione). Contemporaneamente, parte il processo di privatizzazione con ilcollocamento in Borsa del 32 per cento del capitale. La trasformazione dell'ex-ente elettrico passa anche per la tecnologia e l'innovazione. Viene creata Enel.it, con il compito

di dotare il gruppo di una infrastruttura informatica adeguata, informatizzare i processi e creare una presenza sulla rete.A questo si aggiunge lo sviluppo della tecnologia per la WebTV, la formazione a distanza, la trasmissione di dati su filoelettrico. Ma soprattutto si inizia la trasformazione del rapporto con il consumatore, che da "utente" diventa "cliente": con Enel.it sisegna l'inizio di un'offerta di prodotti e servizi che vanno oltre il contatore; con Enel.Trade di un rapporto one-to-one con igrandi clienti industriali; con il portale internet di un rapporto più diretto anche con il cliente residenziale, consentendo tral'altro la telelettura, il pagamento della bolletta, e la stipula e modifica di contratti di fornitura. Dall'agosto 2003 è Amministratore delegato dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani. Tra le sue pubblicazioni:

●  Autunno tedesco - Cronaca di una ristrutturazione impossibile (Sperling & Kupfer, 1992), Premio Tevereper la saggistica.

●  A scopo di Lucro (Donzelli, 1995), libro-intervista con Giancarlo Bosetti, vicedirettore dell'Unità

● Essere competitivi. Le esperienze di due protagonisti  (Baldini & Castoldi, 1995), scritto con RiccardoRuggeri, Amministratore Delegato di New Holland.

● Perché la Puglia non è la California (Baldini & Castoldi, 2000).

● Diario tedesco. La Germania prima e dopo il Muro (Baldini Castoldi Dalai, 2004). Il saggio aggiornail volume del 1992 descrivendo il processo di unificazione della Germania dopo la caduta del muro di Berlino, eanalizzando tutte le difficoltà e le opportunità d'integrazione che hanno portato a un sempre maggiore «allargamento aEst» dell'Europa.

 

Giulio Blasi

 Nato a Napoli il 23 luglio 1964. Laureato in filosofia, ha conseguito il dottorato in Semiotica sotto la direzione di UmbertoEco all’Università di Bologna. E' amministratore unico della Horizons Unlimited srl (Bologna) e docente occasionalein alcune scuole di master in Italia. È autore di saggi sugli effetti dei media e la storia di Internet e si è recentemente

Conversazione con Franco Tatò (a cura di Giulio Blasi) 16

5/11/2018 L'Editoria Digitale - Conversazione Con Franco Tato - slidepdf.com

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occupato di biblioteche digitali, sviluppo di collezioni digitali e problematiche del "digital lending". La società che dirigeè nata nel 1993 con progetti di editoria multimediale (la serie dei CD ROM “Encyclomedia” diretti da Umberto Eco) e harecentemente (2009) lanciato MediaLibraryOnLine (http://www.medialibrary.it), il primo network italiano di bibliotechedigitali pubbliche.

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