Stefano Guazzo, La Civil Conversazione

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    La civil conversazione

    Stefano Guazzo

    © Biblioteca Italiana

    2003

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    [Dedica]

    All'illustrissimo ed eccellentissimo Signore il signor Vespasiano Gonzaga Colonna, ducadi Traiete e di Sabbioneta, conte di Rodigo e Fondi, Capitan generale e Viceré diNavarra per la Maestà Catolica.

    Non avranno (come credo) la lunghezza del tempo e dell'imprese levata a VostraEccellenza la memoria de piacevoli conviti che già si fecero in questa città conl'intervenimento della sua degnissima persona, e particolarmente di quella cenache fu apparecchiata in casa della contessa Anna Sannazzara.

    Dove essendo stata con molte sottili ragioni essaltata solitaria per bocca delvirtuoso e onorato signor Silvio Calandra, ella, all'incontro, si diede adabbassarla e a difendere la conversazione in sì fatta maniera che le donne ecavalieri quivi presenti restar dibile maraviglia e diletto occupati.

    Se queste cose non sono uscite di mente a Vostra Eccellenza potrà anco

    ricordarsi che nel finire il suo pellegrino disco molta sua modestia e conaltrettanto mio rossore soggiunse: — Dove io ho mancato di formare il tempiodella conversazione, lascierò il carico al Guazzo d'aggiungervi con la suamaestria i dovuti ornamenti —.

    Questo carico, Signor mio illustrissimo, se ben io lo rifiutai allora con lalingua, l'accettai nondimeno col cuore. E trafitto da così dolce stimolo, mi lasciaaccendere gli spiriti intorno a questa onorata impresa, laonde da quel tempo infinad ora son venuto come simia imitando il meglio ch'io ho potuto quel primoessempio di Vostra Eccellenza.

    Al che fare mi spinse anco il considerare che le contese e gli scandali cheperlopiù cadono fra' mortali, non altronde avengono che dal non saper essi usare

    le convenevoli maniere nel conversare. E perciò m'indussi nell'animo che s'ioavessi potuto con la mia fatica insegnar a ciascuno quel che secondo il suo statosi gli convenga, conversando con altri, osservare, avrei fatto opera grandementeal mondo giovevole.

    E perché si trova di gran lunga maggiore il numero de' poco intendenti che de'letterati, ed è la conversazione più a quelli che a questi commune, io avendo piùriguardo al beneficio universale che alla mia particolar gloria, rimossa ogniambizione, non ho atteso ad altro più che a farmi intendere da quei che sonoalquanto duri d'orecchie.

    A questa ragione vorrei bene che dessero luogo i più delicati lettori, e sicontentassero di dispensare l'indegnità e la bassezza dell'opera, dove non latroveranno conforme alla grandezza de' loro sublimi intelletti.

    Il che spero di conseguire più leggiermente con l'auttorità di VostraEccellenza, la quale ha tanta forza che, per essere a lei consecrate e alla suaprotezzione raccommandate queste mie fatiche, non sarà alcuno di così malanatura che non faccia violenza a se medesimo per rispetto di lei e non legradisca quali esse si siano. Ma non pensi già alcuno ch'io le abbia a lei dedicate

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    solamente in considerazione del carico ch'ella me ne diede, perché quando ancosenza questa occasione io da me medesimo mi fossi mi fossi acconcio a questa oad altra impresa, non perciò mi sarei eletto altro prencipe o protettore. Onde perchiarezza degli animi altrui, io ad eterna memoria faccio fede con questa letterache se a ciò non m'invitava il comandamento di Vostra Eccellenza, bastavano acostringermi l'eroiche sue virtù, che lo rendono glorioso e immortal nome, oltre aimolti e segnalati favori che dall'infinita bontà sua ho ricevuti, per li quali io saròcon tutta casa mia perpetuamente obbligato.

    Viene adunque a quelle faticose e invite mani di Vostra Eccellenza le qualisogliono felicemente essercitare non meno i libri che l'arme, questo mio dialogodella civil conversazione. Il quale tanto più le dovrà esser caro, quanto io presierrore chiamando mio, poiché avendomi essa dato cagione di scriverlo, ha daesser più suo che mio.

    Or non voglio più dire né suo né mio, ma veramente nostro. E sì come quellaparte dove io averò seguito i vestigi di lei, sarà ascritta all'illustrissimo signorVespasiano come sua propria, e suo sarà l'onore, così dove io avrò torto il piede,sarà tutta mia, e a me solo ne resterà il biasimo.

    Degni Vostra Eccellenza, in quell' ore che le avanzeranno dall' alte sueimprese e dalle più gravi lezzioni, di far tanto che queste mie fatiche possanogloriarsi d'essere state tra una volta e altra da lei compiutamente lette e

    conosciute.Alle quali bacio riverentemente le mani, augurandole felicissima vita,

    di vostro illustrissimo ed eccellentissimo Signore, umilissimo e obligatissimo servitoreStefano GuazzoDi Casale, il primo di marzo 1574.

    Del signor Giovanni Matteo Volpe all'Illustrissimo signor

    Vespasiano Gonzaga

    Saggio Signor, che de l'antico stolode' magnanimi eroi mostrate vivaquella virtù ch'a tanta luce arriva,ch' Europa illustra e l'uno e l'altro polo,

    mirate come s'alzi un cigno a voloper ubidirvi, e 'n su la destra rivadel Po con dolci note or ne descrivaquale sia 'l conversar, qual l'esser solo.

    E perché, o siate solo o in compagniacol pensier gite e con la lingua dove,non giunge lingua né pensier mortale

    ecco col vostro essempio a noi la viaquesti dimostra, onde qua giù si trovevera lode e la su vita immortale.

    Del signor Annibale Magnocavalli

    S'a le gravi sentenze io miro fisodel Guazzo, udir mi sembra il gran Catone;s'a la dottrina, del divin Platonelegger gli alti misteri ognor m' è aviso;

    e s'a saggi precetti, onde divisomi tien dal volgo, a Licurgo o a Solone;

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    s'a la dolcezza, ad Orfeo o ad Anfionel'agguaglio, o a un angel pur del paradiso.

    Ma se i costumi e 'l parlar poi contemplodi lui e I' opre, ond'ei medesmo adempie,tutta del conversar l'arte e '1 lavoro,

    cui l'assomiglio? Di stupor sì m'empie,ch'io grido: – Con l'ingegno e con l'essemploqueste ne rende in terra il secol d'oro –.

    Del signor Bonifacio Magnocavalli

    Adornò il mondo d'un sì eletto e rarospirto il Monarca eterno in ogni etate,ch'a gir di paro a l'opre lor pregiatetant'altri invano poi s'affaticaro.

    Fra questi è il Tosco e quei due ch'illustraroFerrara e Mantoa, e voi che con purgatecarte del conversar la via mostrate,

    saggio scrittor, in stil perfetto e chiaro.

    Fur ben eccelsi nei poemi loroquegli, onde ancor vivran mille e mill'anni,ma che scrissero, al fin? Romanzi e fole.

    Ma voi col don di così bel tesoroprestate a l'alme ardenti alteri vannida volar dritto al bel del sommo sole.

    Annibalis Magnocaballi

    Civiles hominum, mores sermoque venustus,facta simul terris candida corruerant.

    Guatius at mores civiles comptaque verba,facta simul terris candida restituit.

    Ducere quisquis aves vitam rectam atque beatamhoc duce securam iam tibi carpe viam.

    Ioannis lacobi Bottatii equitis

    Multum Sparta suo quondam generosa Lycurgodebuit et multum martia Roma Numae.

    Sed tibi nunc natale solum plus debet alumno,quod plus officio consilioque iuvas.

    Primum namque mones proprium cuiusque decorum,quod miro ingenio promis et arte nova.

    Tum studia et mores diversae aetatis, honoresomnigenumque hominum dissimilesque gradus.

    Denique congressus et qua ratione parentur

    civiles, varios hic tua scripta notant.

    Lodovici Caninae

    Si tibi Tyrrhenae sermo vernaculus orae,

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    lector amice, placet, cultaque verba simul;

    si numeris plenum cunctis legisse volumen,atque animum solidis excoluisse bonis;

    si novisse iuvat civilis dogmata vitae,quam belle utilibus dulcia mista sient;

    si placidis viguisse iocis salsoque leporeet cordi et reliquis gratior esse viris,

    quilibet ut tecum cupiat convivere, moresnec valeat quisquam carpere iure tuos.

    Guacion, haud alium quaeras, exactius illonemo (crede mihi) quod petis exequitur.

    Quippe Periclis habet linguam, mentemque Solonis,socraticum pectus pindaricumque melos.

    Quis homines omnes ad se dulcedine miraadmirabundos attonitosque rapit.

    [Dedica]

    Al virtuoso et onorato cavaliere, il signor Claudio Peschiera, Stefano Guazzo.

    Se vogliamo diligentemente considerare come e onde avenga che non pure lagente roza e ignorante, ma gli uomini d'alto intendimento siano fra loro tantodifferenti nel giudicare le cose altrui, noi di ciò scopriremo più d'una cagione:perciò che sono alcuni che stimano le cose più o meno, secondo che sono più emeno conformi alla natura loro, onde non è maraviglia se vi è chi tiene più contodella chiara e sentenziosa brevità di Salustio che della dolce e insaziabile e

    eloquenza di Marco Tullio, e rimane più sodisfatto dell'arguta piacevolezza d'Ovidio che della reverenda gravità di Virgilio; e s'altri rende più onore alle prosedel Guicciardini che a quelle del Boccaccio, e più alle rime del Bembo che aquelle del Petrarca. Ma sì come costoro hanno fondato le sentenze loro sopraqualche ragione, così ve ne sono altri i quali sentendosi per natura più inclinatiad uno autore che ad un altro, si lasciano inavedutamente condurre a stimar piùo meno l'opere loro di quel che debbono. Altri poi dalla falsa imaginazioneabbagliati, o dall'altrui auttorità sospinti, si trovano, non senza vergogna loro,aver alcuna volta lodato e biasimato un medesimo componimento, secondo chefu presentato sotto il nome or d'un famoso e or d'un vile auttore.

    Per tutte queste cose io, signor Cavaliere, m'imagino che non così tosto uscirà

    fuori questo mio dialogo, il quale degnaste di raccogliere in casa vostra e pigliarcarico di farlo stampare in cotesta illustre città, come se ne faranno diversigiudicii. Già sto aspettando chi con qualche ragione giudichi lo stile esser menograve di quel che convenga alla materia, e chi con ragione contraria gli siopponga. E forse anco soggiungerà alcuno ch'io doveva, nel disporre l'opera,seguir compiutamente l'ordine di Aristotele, e qualche altro se ne resterà meconella mia opinione. E brievemente chi l'accuserà, chi lo scuserà, chi lo biasimeràin tutto, e chi per aventura lo lauderà in parte, e chi seguendo la molta o pocaaffezzione mi sarà benigno o severo giudice.

    Ora a voi mi rivolgo, e vi prego che avendomi aiutato a dar luce aquest'opera, m'aiutiate anco a mantenerla viva, e non lasciarle oscurar la suafama. E se per caso la vederete motteggiata da qualche rigoroso censore, vi

    piacerà, senza contender con lui, di raccordargli che se ben tutti non possonogiungere alla sublime altezza dell'opere sue, egli non dee però esser facile nelgiudicare, perché il giudicio è simile, s'io non mi inganno, ad un bersaglio, versoil quale tutti drizzano volentieri la saetta, ma pochi gli si accostano, pochissimi lotoccano su l'orlo, e quasi niuno lo ferisce nel mezo; il che diede occasione al

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    poeta di dire:

    Che i perfetti giudici son sì rari.

    Io non voglio poi che stiamo a rispondere a certi crocifissori, de' quali non hofatto di sopra alcuna menzione, che son quelli che a guisa de' fiscali e giudici delmaleficio vanno formando processi contra l' opere nuove, e senza aver pazienzadi leggerle compiutamente, s'appigliano in su le prime carte a qualche voce menotoscana o ad altro simile difettuzzo per condennarle subito alla morte. Né voglio

    che di questi prendiamo alcuna vendetta, poi che sono assai castigati da quelveleno che dentro gli rode e consuma e rende l'anima loro nel cospetto degliuomini sani odiosa e puzzolente.

    Ma facciano pure ed essi e gli altri quel giudicio che loro pare, che a me contutto ciò non torranno mai ch'io non abbia virtuosamente speso il tempo intornoad una segnalata impresa, con la quale scoprendo il mio altissimo animo avròaperti gli occhi e data occasione a più felici scrittori di venir per questa viagiovando al mondo, e sodisfacendo per me interamente a così grave debito.

    Vivete felice e sicuro che della cortesia e bontà vostra sarò in ogni temporicordevole.

    [Epistola]

    Al signor Stefano Guazzo Gabriello Frascati

    Non oserei io già negare in tutto che la somiglianza della complessione e deglistudi, lo stesso influsso celeste, o genio sopraceleste, o genio sopra celeste, eanco l'affezione e osservanza che sì truova in me verso Vostra Signoria, nonm'abbiano fatto sentire maraviglioso gusto e singolar compiacimento nel leggereil vostro libro, di cui mi voleste favorire insieme con la vostra presenza; e che eche di più l'avervi io sentito a ragionar meco pur allora non mi lasciasse impressanell'animo quella sì grata armonia che fanno insieme la pronunzia co' vostriconcetti, sì che in leggendo poi mi pareva proprio di sentirvi favellare in persona,di maniera tale che

    Io 'l dissi, il dico e 'l dirò fin ch'io vivo,

    di non aver mai sentito tanto godimento nell'animo d'altra lezzione, quantodel vostro discorso intorno la civil conversazione.

    Ma qual uomo è privo di questi miei legami (che potrebbe forse dir alcuno che'l troppo amor ch'io vi porto mi fa goder tanto nelle vostre cose) e che non sia intutto privo di giudicio delle buone scritture, che non debbia restar pago di questa

    vostra composizione? Voi intorno la materia che trattate della filosofia moraleavete con tanta diligenza raccolto il meglio che n'abbiano trattato giamai in tutti itempi i migliori scrittori, che sì come le api dai fiori e frutti raccogliendo il piùspiritoso ne compongono il favo loro, onde e gli dii ne ricevono il sacrificio con lacera e gli uomini ne godono per lo mele, così da questo vostro componimento eIddio n'è glorificato e gli uomini ammaestrati.

    E quale sorte d'uomini o di donne v'ha, per saggi e isperimentati che Sianonello stato loro, che dal leggere questo vostro libro non imparino qualche cosa enon si sentano movere quella sinderesi della propria conscienza in dir ciascunofra se stesso: — Io errava in questo —. Oltre che con la vostra industria avetelevato alla filosofia vecchia quelle giornee fatte all'antica, che muovono a risofino i fanciulli della nostra età, e l'avete sì garbatamente vestita de' portamentid'oggidì, ch'ella se ne va con ammirazione insieme e dilettazzione d'ognuno aconversare amorevolmente con tutti. Perloché se di Socrate si diceva ch'eglicondusse la filosofia di cielo nelle città, molto meglio si può dire che l'abbiateridotta dalle scuole de' sofisti nella conversazione civile.

    Intorno poi alla forma della vostra opera molto ben vi si conviene quel

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    «materiam superabat opus», perché voi con la vaghezza del dialogo platonicoavete sì bene congiunto l'ordine della dottrina aristotelico, che né questo cifastidisce, né quello vi disturba. La gravità della prima disputa fa innalzarel'animo a star attento a quanto si è ha da seguire, e la dolcezza del vedere postoin essecuzione quanto si è al lungo insegnato nell'epilogo del gentil essempio delconvito, ristora la stanchezza dell'animo in aver atteso ad apparar tante cose.Sìche non solo nuova è tale invenzione, ma d'alto pensiero e degna d'imitazioneper lo innanti.

    Chi non resta poi stupefatto della distribuzione ch'avete fatto di tanti proverbi,di tante sentenze e di tanti essempi, cosí antichi come nuovi? Non solamenteposti tutti si bene a suo luogo, che paiono nati per essere ivi collocati e nonaltrove, ma come gemme compartite a giusti intervalli per un fregio d'oro, se nevengono ogni poco spazio l'un dopo l'altro, che quasi s'aspettano che nonpossano tardare a trovarne alcuno, lette che si siano alcune righe. E sono tutti sí gentili e tengono sì desto e allegro il lettore, che a me è stato mistieri più dimolte volte interrompere il corso del leggere con un ridere fra me stesso e dire:— Oh, com'è buono! —.

    Queste in vero sono doti proprie del mio signor Stefano, corona degli scrittori,poiché conforme alla materia, di che tratta delle conversazioni, ha servato eglimaniera di scrivere non commune ma appropriata per essempio e norma vera di

    quanto s'insegna. Sì che bisogna dire o che voi sete un pelago ampissimo didottrina e di varietà di stile, e che sapete accommodare il suo proprio ad ognisoggetto, o che 'l cielo, la natura e il vostro giudicio c'ha fatto tale apposta periscrivere cosi fatte composizioni. E perciò potete essere meritamente in ciòchiamato unico al mondo.

    Non voglio io perciò aver detto questo intorno a coteste vostre doti,osservandissimo Signor mio, perché s'abbia ad inferire alcuno che l'altre partidella scrittura siano men che perfette, essendo che avete osservato sìminutamente in fare scielta e delle parole migliori e delle frasi più leggiadre, che'1 vostro libro solo basterebbe quasi ad insegnare nonché le regole di benescrivere, ma le varietà degli stili secondo l'occorrenze, o d'innalzarsi con periodilunghi e tragici o d'andare nel mezo con ragionamenti comici o di brevi cesure inmeglio isprimere gli affetti dell'animo.

    Oltra che mirabil felicità e d'ingegno e di studio avete mostrato nella tessituradelle parole, che sí dolcemente s'accoppiano insieme leggendole, che pare unanave che a vele piene vada a seconda del fiume, senza quasi fare strepitonell'onde. Né vi si trovano quegli straordinari trapposti che rompono e isturbano ilcorso, come i zattoli e le pietre grosse ne' sentieri a chi corre per le poste infretta.

    Ma eccomi ove mi conduce questa dolcezza di parlare della dolcezza ch'io hosentita nel leggere il vostro libro, signor Stefano mio virtuosissimo, ch'io sono alfin del foglio senza avere appena cominciato a raccontare le vostre degne lodi.

    State sano che Dio vi feliciti.

    Il dì di san Martino 1575. Di Castelnuovo

    LIBRO PRIMO

    Si tratta in generale de' frutti che si cavano dal conversare e s'insegna a conoscer lebuone dalle cattive conversazioni.

    Proemio

    Andai l'anno passato a far riverenza in Saluzzo all'illustrissimo ed eccellentissimosignor Lodovico Gonzaga duca di Nevers, mio antico patrone e benefattore,

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    rallegrandomi ch'egli fosse venuto in Italia luogotenente generale delcristianissimo re Carlo IX. Il qual grado s'egli non s'avesse acquistato per adietrocol proprio valore e con la servitù già fatta per lo spazio di ventidue anni allareal corona, e particolarmente quel giorno che combattendo virilmente nell'età didiecenove anni rimase prigione nella battaglia di San Quintino, poteva bastare afarlo meritevole d'un tanto carico il sangue ch'egli sparse, otto mesi sono, nelsuo ritorno in Francia tra i rebelli della catolica fede, e le piaghe che ancora nonci lasciano certa speranza della sua vita.

    Or per non mi torcer dal mio viaggio di Saluzzo, trovai quivi il cavalierGuglielmo mio fratello, il quale, se bene io aveva veduto in Francia due anniavanti, non mi parve più desso, così debole, afflitto e contrafatto era rimaso perla violenza d'una lunghissima febre quartana e d'altre gravi indisposizioni. Dellequali avendone egli fatto meco querela, io che non mi contento d'amarlo comefratello minore, ma l'osservo come maggiore, mi lasciai dalla squallidezza del suovolto e dalla debolezza della voce tirar le lagrime sugli occhi. Ma per nonaccrescere con la mia pietà l'opinione ch'egli aveva del suo male, feci tostoresistenza a me medesimo e con più forte sembiante cominciai a dargli speranzadi poter ricoverare la salute con la vista de' suoi congiunti, che l'aspettavano abraccia aperte, e col consiglio di qualche valente medico di questa città.

    Dove essendo poi venuto il signor Duca a visitar la serenissima principessa

    Leonora d'Austria sua cognata, e inteso il giusto desiderio di casa nostra, sicontentò nel partirsi per Saluzzo di lasciarcelo qua per lo spazio ancora di seigiorni.

    E con tutto che a noi paresse bene di raunar per questa cagione il Collegio diquesti eccellenti medici, nondimeno, sentendosi ormai stanco per le lunghepurgazioni e soprastandoci già il verno, avisò di riserbar questa cura insino allaprimavera, nel qual tempo sperava d'essere in Italia con buona grazia del suoSignore, non solamente per cercar rimedio di risanarsi o di preservarsi damaggior male, ma per passar con riposo il rimanente della vita sua.

    Mentre ch'egli stava in questa deliberazione, ecco venire il signor AnnibaleMagnocavalli, nostro non meno di stanza che d'animo vicino, il quale oltre al

    titolo ch'egli ha conseguito d'eccellente filosofo e medico, è tenuto, per ladiversità delle scienze, nel numero di quelli che si chiamano universali, e sirende con la gentilezza de' suoi costumi tanto amabile, che io non mi maraviglio,se nel poco d'ora ch'egli stette col Cavaliere, gli accese nell'animo, con graziosiragionamenti, un ardente desiderio di goder più lungamente della sua dolcecompagnia.

    Né perciò fu men caro al signor Annibale l'aver trovato mio fratello secondo ilsuo cuore: onde tirati da subita e scambievole benivolenza s'invitarono l'un l'altroa rivedersi con più agio. E fu tale la cortesia del medico, che rompendo la visitache gli voleva rendere il Cavaliere, venne il dì seguente a trovarlo ancora atavola in su la fine del desinare.

    Dopo il quale ritirati amendue nelle picciole e rimote stanze dove io sogliotener riposti più per ornamento che per studio alcuni pochi libricciuoli, passaronogran pezzo di quel giorno; e così fecero gli altri tre vegnenti, con molti lodevolidiscorsi, i quali si compiaceva poi mio fratello di raccontarmi la sera. E perché miparvero conditi con tanto di sale che si potessero per lungo tempo a beneficio de'posteri conservare, io dopo la partenza di mio fratello infino a quest'ora sonvenuto raccogliendo i loro ragionamenti, i quali furono simili, in sostanza, a queiche seguono.

    Cavaliere e Annibale

    Cavaliere

    Io rendo, signor Annibale, infinite grazie a Dio, il quale avendomi data una lungae forse incurabile infermità per purgare questa meschina anima di qualche umorpeccante, mi dia anco talora i mezi da poter passare con minor noia il male,come son certo ch'egli mi concederà oggi per la grata presenza vostra, dallaquale ricevo tanto giovamento quanto non so isprimere.

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    Annibale

    S'io ho ragione d'amarvi, signor Cavaliere, per molti rispetti, ben a ciò mi sentoobligato per vedervi accettare dalla mano di Dio ottimo massimo, da cui tuttoprocede, l'infermità vostra, e per la cristiana modestia che dimostrate nelpigliarne la colpa sopra di voi. Questo nel vero è sentimento convenevole allacroce che portate nel petto. Ma non voglio già tanto lodarvi per questa cagione,ch'io non vi dia anco un poco di biasimo (perdonatemi s'io tratterò liberamentecon esso voi) per l'indisposizione vostra, la quale chiamando quasi incurabile,

    mostrate di diffidarvi che colui che ve l'ha data non possa o non voglia ancolevarla. Dell'opinione poi che avete della mia presenza, non voglio né biasimarviné lodarvi: ma vi potete ben render sicuro che a quei segni d'amore ch'io non viso rappresentar esteriormente, sodisfaccio a pieno con l'intimo affetto dell'animomio ben disposto a servirvi. Ma non vi incresca, di grazia, raccontarmi lo statovostro, non già come a medico, perché poco o nulla vi gioverebbe, ma come adamico, a cui non s'abbiano a celare i vostri accidenti.

    Cavaliere

    Già mio fratello m'ha promesso di voi tutto ciò che si possa aspettare, e davaloroso medico e da singolar amico, ma dovendo io ritornare in Italia nella

    stagione più atta alla cura degli infermi, io aveva pensato d'aspettare a quell'oraa scoprirvi le mie piaghe, e fra l'altre quella del cuore, il quale mi sento oppressoda così grave malinconia, che non senza ragione mi pare d'aver detto che 'l miomale sia forse incurabile, poiché ha stancati invano quasi tutti i medici di Parigi edella Corte di Francia.

    Annibale

    Per quello che tocca all'infermità del corpo, s'hanno veramente (quando non vistringa alcuna presente necessità) a riserbare i medicamenti fin dopo il verno. Maper quello che riguarda l'infermità dell'animo, voi dovete usar in ogni tempo gliopportuni rimedii, col procurare a tutto vostro potere i modi di rallegrarvi e discacciare quei noiosi pensieri che tanto vi molestano.

    Cavaliere

    Io non manco già di spendere volentieri tutto quel tempo che m'avanza dallaservitù mia in qualche onesto piacere, ma con tutto ciò non si rischiarano punto imiei torbidi pensieri.

    Annibale

    All'infermo importa oltremodo il poner mente a quelle cose che gli giovano e aquelle che gli nocciono, per poter fuggir queste e seguir quelle. E perciò lodereiche vi veniste ricordando di quelle cose che per lunga osservazione avete trovatoche abbiano accresciuta o scemata questa vostra afflizzione d'animo, omalinconia, che chiamar la vogliamo.

    Cavaliere

    Parmi d'aver chiaramente conosciuto che la conversazione di molti mi dia affannoe molestia, e per lo contrario la solitudine sia un refrigerio e alleviamento de'miei travagli. E se bene per servigio del mio Prencipe mi conviene conversarenonché con gli altri gentiluomini suoi servitori, ma in Corte del Re discorrendo enegoziando con molte persone di diversi paesi e nazioni, faccio però questoufficio contra la volontà mia, e vi vado come la biscia all'incanto, perché io sentoche 'l mio spirito s'affatica oltremodo nell'attendere ai ragionamenti altrui e nelpensare alle debite mie risposte, e nello stare con quello rispetto e con quelle

    osservanze che richiede la qualità delle persone e l'onor mio. Il che non è altroche pena e soggezzione.Ma quando mi ritiro nelle mie stanze o per leggere o per iscrivere o per riposare,io riscuoto la mia libertà e le allargo il freno in maniera che non avendo ella adar conto di se stessa ad alcuna persona, è tutta rivolta a gratificarmi e a

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    porgermi maraviglioso piacere e conforto.

    Annibale

    Credete voi che se continovaste lungo tempo quella vita solitaria, diverrestesano?

    Cavaliere

    Questo non ardirei d'affermare.

    Annibale

    Ora sì ch'io comincio a temere che cotesta infermità non sia forse incurabile.

    Cavaliere

    E io comincio a vedere dalle vostre parole che voi sete quell'uomo libero chem'avete detto. Ma se quei che mi doverebbono accrescer l'animo mi spaventano,come potrò io confortarmi da me stesso?

    Annibale

    Orsù, signor Cavaliere, confortatevi, che 'l vostro male è facilissimo a curarsi.

    Cavaliere

    Voi avete in mano l'arma d'Achille, con la quale ferite e sanate.Ma bisogna bene che di queste due proposte contrarie una sia falsa.

    Annibale

    E l'una e l'altra è vera, perché non pure i medici di Francia, ma di tutta Europa,né Esculapio istesso, non vi recherebbono mai con alcuno medicamento, osemplice o composto, se non con gran difficultà, una dramma di salute, mentreche voi nelle operazioni vostre continuaste a procedere (sì come veggo che voi

    fate) contra l'intenzione loro. Dall'altra parte, io così per le cose da voiraccontate, come per alcuni segni ch'io comincio a scoprire in voi, possoassicurarvi che 'l vostro male è facile a curarsi, perché la medicina è nelle vostremani, e con essa in brieve spazio di tempo vi potete risanare. E per dichiararmi,vi faccio sapere che per levare il male bisogna primieramente che vi disponiatedi levar la cagione.

    Cavaliere

    Come leverò io questa cagione, se non la conosco?

    Annibale

    Ella è, se nol sapete, la falsa imaginazione vostra, con la quale, a guisa difarfalla, gite con diletto procacciando la vostra morte, e in iscambio di consumareil male, voi lo nodrite: perché pensando di ricever alleggiamento per mezo dellavita solitaria, vi tirate addosso una soma di mali umori, i quali come ribellidell'allegrezza e della conversazione, si concentrano nelle viscere e cercano dinascondersi nelle solitudini conformi alla natura loro. E sì come le chiuse fiammesono più ardenti, così essi con maggior impeto consumano e distruggono il belpalazzo dell'anima vostra. Onde vorrei che lasciando questa sinistra credenza conla quale vi sete fino ad ora medicato a rovescio, cominciaste a mutar stile e aproporvi la solitudine per veleno e la conversazione per antidoto e fondamentodella vita, disponendovi di perder l'affezzione a quella come a concubina, e diricever in grazia quest'altra come legittima sposa.

    Cavaliere

    Io ho pur udito molti onorati medici conchiudere, e questo ci conferma lasperienza, che a conseguire la salute del corpo è utile e necessaria lasodisfazzione dell'animo.

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    Annibale

    Egli è il vero. Or che volete dir per questo?

    Cavaliere

    Che se questo è vero, egli è anco il vero che la solitudine mi giova al corpo,perché mi diletta l'animo. Che dite ora?

    Annibale

    Già vi ho accennato che 'l diletto della solitudine (considerata la vostracomplessione) è falso. Ora ve lo confermo per questa ragione: che il vero diletto(parlando umanamente) è quello che naturalmente apporta piacere a tutte lepersone in universale, e perciò la solitudine, quantunque sia grata agli uominioppressi da malinconia, non è però aggradevole, anzi è noiosa a tutti gli altriuomini. Di che sarete più chiaro, se vi ricorderete che alcune donne gravide sirivolgono a mangiare di quelle cose che tutte l'altre persone hanno a schifo, néperciò abbiamo a dire che quei cibi siano piacevoli, perché se ben piacciono aquelle donne, sono però communemente dispiacevoli a tutti. Ma quando ilmalinconico e la gravida saranno liberi, l'uno dalla falsa imaginazione e l'altra dalgusto alterato, avranno estremamente in odio le dette cose.

    Cavaliere

    Voi mi fate ora dubitare ch'io non stia peggio di quel ch'io sento, percioché voleteinferire ch'io sia nel numero di quei malinconici, i quali hanno talmente offuscatoil cervello, che non discernono il zuccaro dal sale. Ma s'io non m'inganno, ho nelcorpo infermo la mente sana, e 'l mio diletto è commune agli altri uomini di buongusto. E con tutto che ad alcuni sia grata la conversazione, conosco però moltiuomini di gran valore e d'alto intendimento, i quali aborriscono le compagnie, ehanno così per proprio nodrimento la solitudine, come i pesci l'acqua, in modoche o io sono in tutto fuori del mio buon senno, o che la definizione da voi dataal diletto non ha la sua perfezzione, conciosiaché non solo la conversazione ma

    diversi altri diletti sono a molti aggradevoli e a molti increscevoli: come avienede' giuochi, delle feste, della musica e d'altri diporti, dai quali una gran partedegli uomini s'allontana e più volentieri s'accosta a cose gravi, e questi sonoperlopiù uomini di qualità e fuori della volgar gente.

    Annibale

    Piaccia pure a Dio che così io non abbia mai cagione di dubitare che sia offeso ilvostro cervello, come non fu mio pensiero di dirlo: il che s'io dicessi, non voi maio sarei il mentecato.La definizione ch'io ho assegnata al diletto non va punto a terra per le vostreragioni, ma più tosto si fortifica, perché questi a cui dispiacciono i giuochi, la

    musica, le feste e le conversazioni, hanno o per lungo studio o per grandispeculazioni o per altro accidente fatto un abito malinconico; e se ben fosse almondo maggior copia di questi che degli altri, non possiamo dire che faccianonumero in questo caso, perché in quei piaceri hanno perduto il gusto peraccidente e non per natura, posciaché essi naturalmente dilettano.E con la medesima ragione dobbiamo porre quest'altro fondamento, ch'essendol'uomo animal sociabile, ami di natura sua la prattica degli altri uomini e abbia inodio la solitudine, e facendo il contrario offenda l'istessa natura: del qual peccatomolti hanno fatta la penitenza, percioché alcuni con lo star rinchiusi in quellevolontarie prigioni, divengono squallidi, macilenti, gialli e ripieni di sangueputrefatto, col quale si corrompe anco la vita e i costumi, per modo tale chealcuni pigliano della natura delle fiere selvaggie, altri s'avviliscono e temono

    l'ombre e le pitture.Lascio di raccontarvi i casi avvenuti a diversi uomini, i quali per lo stare lungotempo in solitudine sono entrati in così forti e farnetiche imaginazioni, che hannodato soggetto di riso e di compassione. Onde per le cose che si leggono presso a'nostri dottori e per quelle ch'io ho vedute, non mi pare punto strano essempio

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    quel che volgarmente si racconta d'un meschino, che pensando d'essertrasformato in un grano di miglio, stette lungo tempo senza metter il piè fuoridella camera, temendo che i polli non corressero a dargli del becco e inghiottirlo.E sì come a così fatti malinconici non si può levar la falsa imaginazione se noncon inganni e con molta fatica, così altri o con acqua o con fuoco o con ferro ocon precipizio si sono tolta la vita, o nel finire i loro giorni con natural mortehanno lasciato chiaro testimonio della pazzia loro: sì come fece quel malinconicoateniese, il qual rifiutando non meno in morte che in vita la conversazione degliuomini, lasciò sopra la sua sepoltura questi versi:

    Qui giaccio e non son più quel ch'io fui pria;non cercar del mio nome, o tu che leggi:vattene, col mal fin che Dio ti dia.

    Cavaliere

    Io per questo capo rimango sodisfatto e vi concedo che la solitudine sia nemicadella salute. Ma vorrei sapere qual beneficio posso all'incontro aspettare dallaconversazione, poiché per un uomo ch'io trovi a mio gusto, me ne vengonoavanti più di cento, i quali o per ignoranza o per alterezza o per bestialità o perambizione o per malignità o per cavillazione o per mala creanza mi conturbano ilsangue in sì fatta maniera, che l'animo e 'l corpo ne ricevono gravissimo danno.

    Annibale

    Di ciò non mi maraviglio, perché maggiore è il numero degli imperfetti che de'perfetti; tuttavia voi dovete, in quanto per voi si può, allontanarvi da quelli eaccostarvi a questi. E poiché l'età nostra ha pigliato tanto la qualità del ferro, chenon si trovano più di quegli uomini del secol d'oro con cui possiate conversare,bisogna recarsi a mente quel volgarissimo proverbio de' contadini: che non sivuole restar per gli uccelli di seminar il grano. E così non si vuole restar per lemale compagnie d'andar fuor di casa e pratticar con gli uomini e fare i casi suoi.Sì come, dovendo voi andare da Padova a Venezia, non restereste, per nonperder l'occasione, d'entrar in una di quelle barche dove si trovano talora uomini,donne, religiosi, secolari, soldati, corteggiani, tedeschi, francesi, spagnoli,giudei, e altri di diverse nazioni, qualità e professioni. E perciò debbiamocostringere la volontà nostra e farla alcuna volta contentar di quel che ledispiace, onde ne segua di necessità virtù.Né voglio tacervi che i luoghi e i tempi m'hanno talora sforzato a trovarmi più colcorpo che con l'animo in compagnia di persone poco a me aggradevoli, e dissimiliin tutto dalla vita e dalla professione mia, dalle quali non m'era lecito ritirarmi,per non acquistar nome o di troppo savio o di poco amorevole. E quantunque daprincipio io m'attristassi, nondimeno io mi partiva poi lieto e contento,conoscendo d'aver secondato gli umori altrui e lasciata buona opinione di me, e

    d'essere, come si dice, riuscito con onore. Sì che, quando voi averete rottoquesto ghiaccio e sarete dopo lungo abito avvezzo a tolerar con buono stomacola compagnia di così fatte persone, voi conoscerete che se non porteràgiovamento alla salute vostra, non sarà anco dannosa.

    Cavaliere

    La lingua vostra mi manifesta la conoscenza che avete delle cose appartenentinon meno alla virtù dell'animo che alla salute del corpo. E perché io odovolontieri così fatti ragionamenti, se a voi non fosse discaro, a me sarebbecarissimo che tra noi si venisse ricercando qual sia più giovevole allo statodell'uomo, o la solitudine o la conversazione. Che non vorrei talora che

    m'insegnaste a pigliar una medicina, dalla quale me ne risorgesse salute al corpoe infermità all'animo; il che non mi soffrirebbe il cuore di fare, anzi amerei piùtosto di finir con gran disagio la vita mia in un deserto.

    Annibale

  • 8/17/2019 Stefano Guazzo, La Civil Conversazione

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    Sono alcuni occhiali che fanno veder le cose più grandi di quel che sono, così ilvostro cortese affetto vi fa eccedere il vero nel giudicio del mio sapere, il qualnon giunge di gran lunga a quella conoscenza che voi dite. Ma non è però cosìdebole che non comprenda che 'l cavaliere il qual mi chiama in questo campo èmolto ben fornito e d'arme e di valore. Tuttavia, senza consumar più tempo iniscusar l'ignoranza mia, aspetto con lieto animo d'intendere i fondamentidell'opinione vostra, la qual pare che inchini alla solitudine, per rispondervi nongià scienzialmente, ma secondo che mi sarà aperta la strada dal poco lume delmio debole intelletto.

    Cavaliere

    Non aspettate già ch'io entri in campo per sottil disputante contra di voi, perchénon appresi mai i luoghi donde si cavano gli argomenti, e quel ch'io dico è piùper opinione che per intelligenza. Ma desidero bene di darvi cagioned'insegnarmi, più per intendere che per contendere, ed è sì grande il piacere ch'iosento, mentre voi respondete alle mie dimande, ch'io posso dir con Dante:

    Tu mi contenti sì quando tu solvi,che non men che saper, dubbiar m'aggrada.

    AnnibaleTutto ciò attribuisco all'umanità vostra. Or qui non resterò di dire che se vogliamoaffrettarci e correre con un salto a ricercar le qualità della solitudine e dellaconversazione, e quante spezie ve ne siano, e come s'intendano, tosto saremod'accordo, né accaderà spender molto tempo nel contender fra noi. Onde iodesidero che si differiscano e tengano alquanto sospese queste particolarità, e sitratti primieramente di questa materia in generale, accioch'io abbia occasione digoder più lungamente de' vostri grati e virtuosi ragionamenti. Ma non voglio ancolasciar, come geloso della salute vostra, di ricordarvi che cotesta indisposizionenon ha bisogno che voi affatichiate punto lo spirito intorno a sottiliconsiderazioni, perché molte volte con lo studio del contradire e con lo sforzarsi

    di far prevalere la sua opinione, si infiamma, si risolve e si distrugge il corpo, ene seguono spesso delle distillazioni, le quali ingannano molti medici e glicostringono a giudicare che siano procedute da contrarie cagioni. Onde vi essortonon mettere in questo ragionamento molto studio, per ben vostro e per mioancora, perché mi darete manco che fare nel rispondervi.

    Cavaliere

    Io non sono di quegli ambiziosi che per aventura ciò fanno con grande studio econ intenzione di prevalere agli altri, anzi vi dirò semplicemente e senzaaffettazione quelle cose che mi ricorda già aver udite da qualche virtuoso, e chemi saranno dettate da un certo spirito di ragione, rimettendomi poi al sano e

    perfetto giudicio vostro.Annibale

    Io veramente lodo che i nostri ragionamenti siano più tosto famigliari e piacevoliche affettati e gravi, e vi protesto che per la parte mia vi farò bene spesso,quando mi verrà in acconcio, udire de' proverbi che s'usano fra gli artefici e dellefavole che si raccontano presso al fuoco, così perché la natura mia si pasceoltremodo di questi cibi, come per dare a voi occasione di far il medesimo, ed'attendere con questa maniera non meno alla salute del corpo che a quelladell'animo.

    Cavaliere

    Io prometto d'imitarvi a tutto mio potere. E per entrar ormai nello steccato, dicoprimieramente che al santo servigio di Dio e al godimento di quei celesti,incomprensibili e sempiterni beni ch'egli ha promesso a' suoi fedeli, sono drittascala i deserti e tutti i luoghi riposti, ermi e solitarii; e per lo contrario, leconversazioni altro non sono che uncini e tenaglie, le quali ritraendoci a forza dal

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    corso de' nostri giusti pensieri, ci tirano nella strada della dannazione, perciochéessendo questa vita piena di sospetti, d'inganni, di lascivie, di spergiuri, dicalunnie, d'invidie, d'oppressioni, di violenze e d'altre innumerabili sceleratezze,non si possono rivolger gli occhi né l'orecchie in alcuna parte che non si presentiloro un obietto vizioso e disonesto, al quale è concesso largo adito per l'una el'altra strada insino al cuore, nel quale si piantano poi quelle velenose radici chesono la morte dell'anima.Il che non aviene al solitario, il quale, disciolto dalle lusinghe, dai lacci e da tuttigl'intralciamenti, odiando totalmente il mondo, è totalmente innalzato allacontemplazione del suo principio e della sua beatitudine. Anzi, chi desiderad'acquistar grazie dal sommo Iddio con le sue orazioni, bisogna ch'egli lasci leconversazioni e si ritiri nella sua camera, che così egli espressamente glicomanda. Onde non è maraviglia se tanto grati furono a sua divina Maestà alcunisanti essercizii fatti particolarmente in solitudine da quei primi padri Abraam,Isac, Giacob, Moisè, Elia e Geremia. Né meno ci dee commovere l'essempio delnostro primo padre, il qual fu così felice, mentre visse in solitudine, come fumeschino e dolente dopo la conversazione.Potrei qui raccontarvi infiniti uomini, i quali conoscendo che le mondanedelicatezze e la frequenza delle persone erano un distorno dal culto di Dio eimpedimento alla salvezza loro, hanno lietamente abbandonati i superbi palazzi,

    l'ampie facultà, gli onorevoli gradi, e tutte le compagnie de' domestici econgiunti, per ridursi nei poveri monasteri a finire non meno con santità che conpazienza la loro vita. Ma se non sono efficaci gli essempi già nominati, entri nelcuor vostro l'essempio di Cristo, il quale dovendo far orazione all'eterno Padre,ascese il monte, dovendo digiunare, stette in solitudine, e nella solitudine siritirò per la morte di Giovanni.Ora se vogliamo considerare, oltre al servigio di Dio, quanto all'instituzione e allafelicità nostra conferisca la vita solitaria, non potremo se non maledire chi cheegli si fosse, o Saturno o Mercurio o Orfeo o Anfione, che raunò insieme le gentidisperse per le selve e per li monti. Dove servendosi della natura per legge, enon credendo alla fallace altrui persuasione ma alla propria conscienza, evivendo una semplice, fedele e innocente vita, ancor non avevano aguzzata lalingua nella fama del prossimo, né rivolto l'ingegno alle persecuzioni, nécontaminati i costumi nella peste de' vizii, che cominciò a scoprirsi nelle città enelle congregazioni degli uomini. E però voi vedete che naturalmente tutte lepersone di valore e d'intendimento, per fuggir la vil plebe, a cui diletta ilconversare e 'l far numero, si ritirano con sommo piacere in luoghi rimoti allebelle e lodevoli speculazioni.Ma s'egli è il vero, come non è dubbio, che i filosofi siano tanto più eccellentidegli altri uomini quanto è la luce dalle tenebre, possiamo chiaramente avvederciche per solcar con sicurezza il profondo mare della divinissima filosofia, bisognacautamente fuggire, più che Scilla e Cariddi, la pericolosa conversazione, sì comeessi hanno fatto, non solo allontanandosi dalla turba popolaresca, ma

    dispreggiando e rifiutando l'amministrazioni delle republiche e quelle principalidignità che gli uomini ambiziosi vanno tuttodì con tanto studio, con tanteprattiche, con tanta fatica e con tanta vergogna mendicando.E se bene vi parrà forse che la conversazione sia naturalmente desiderata datutti gli uomini, nondimeno ricordatevi della sentenza ch'una volta avete datacontra di me. La quale, se non sete iniquo giudice, dee aver luogo contra di voinel medesimo caso; conciosiacosaché non s'ha da mettere in conto, né deeessere in considerazione quella moltitudine di gente, la quale, o per desiderio divano piacere o di vil guadagno o di fragile onore, se ne sta in continovaconversazione. E si vuol seguir il giudicio di quel filosofo, il quale nel suo ritornoda' bagni dimandato se vi erano molti uomini, rispose di no, e dimandato poco

    dopoi se vi erano assai genti, rispose di sì.E perciò avete a conchiudere meco che se la conversazione porge diletto o utile,lo porge communemente agli ignoranti e spensierati, a' quali la solitudine è unaspecie di tormento, perché quivi non sono buoni a far altro che a contar l'ore, lequali paiono loro oltremodo lunghe e noiose. Onde si suol dire che l'ozio senzalettere è una morte e una sepoltura d'uomo vivo, il che non avviene a' letterati, i

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    quali allora vivono quando disgiunti dagli altri non uomini (se pur mi è lecito ildirlo) si riducono in quel terreno paradiso della solitudine, dove parlando con loromedesimi pascono l'anima del soavissimo nettare delle scienze.E però non fu punto degno di riso quel misterioso e piacevole atto di Diogenequando andò alla porta del tempio, e mentre che n'usciva il popolo, eglipassandovi per mezo con impeto, entrò finalmente nel tempio dicendo che eraufficio da suoi pari di discordar dalla moltitudine. Il che fu per significare che sivuole, secondo il poeta:

    Seguir i pochi e non la volgar gente.

    E così intese Pitagora, quando disse che non s'avesse a passeggiare per la viapublica. Sono assai più le cose ch'io taccio di quelle ch'io vi ho dette in lodedella vita solitaria, la quale meritamente è singolare, poich'ella sola è la veravita e grata a Dio e agli uomini più simili a lui: amica della virtù, nemica de'vizii, vera instituzione e forma della vita. A tale che con ragione io, per la partemia, sto volentieri solitario, e dico sempre nel mio cuore (come disse quel santouomo): a me la città è prigione e la solitudine paradiso. Ma faccio qui punto,aspettando con desiderio d'intendere come vi acchetiate a queste poche ragioni.

    Annibale

    Voi non vi sete punto discostato in questo discorso dall'ufficio del perfettocorteggiano, a cui è comandato che nelle sue azzioni ponga diligentissima cura efaccia il tutto con arte, ma in maniera che l'arte sia nascosta e paia il tutto acaso, accioché ne venga più ammirato.E però seguendo questo stile, avete ora lodata la solitudine, parte con le ragioniche vi ha scoperto il vostro chiarissimo ingegno, e parte con la dottrina che aveteappresa da alcuni onorati scrittori, e particolarmente dal Petrarca e dal Vida,delle cui auttorità e nomi non avete fatta menzione, per nascondere quellapomposa dottrina che sogliono manifestare alcuni letterati col farsi risonar labocca del nome or d'un filosofo, or d'un poeta, or d'un oratore; ma non avete

    talmente velata quest'arte che alla luce de' miei occhi non si sia in qualche modoscoperta, e che non m'abbiate dato cagione di commendar il discreto giudiciovostro.Or perché son differente dall'opinione vostra intorno alla vita solitaria, miconviene di capo in capo rispondere alle ragioni da voi addotte, delle quali, s'ionon m'inganno, la prima è fondata nel culto di Dio e nella salute nostra, allaquale vi pare che contrasti la conversazione. Il che veramente vi concederei tuttele volte che voi mi concedeste che 'l culto e servigio di Dio fosse adempitosolamente con la solitudine. Ma io so che non mi volete negare ch'egli medesimonon ci abbia di bocca sua lasciati molti commandamenti, all'essecuzione de' qualiè necessaria la conversazione: ché non potrete già voi visitar gli infermi,pratticar coi poveri, corregger il fratello, consolar gli afflitti, se voi state sempre

    rinchiuso. E perciò se volete pure che la solitudine sia giovevole a placar l'ira diDio e ad impetrar grazie da lui, vi conveniva dire ch'ella è utile e necessariasolamente per quel tempo che è destinato alle sante orazioni.Ma con tutto ciò non vi voglio concedere che all'orazione sia necessaria lasolitudine, perché nostro Signore disse che si dovesse entrar in camera per orarenon per altro che per riprendere quegli ipocriti ch'avevano posto in uso d'andaread inginocchiarsi nei cantoni delle piazze, e con una pomposa e finta divozionecercavano di far rivolgere il popolo ad ammirarli e tenerli per uomini di santavita. Ma non è per tutto questo ch'egli non ci abbia dato il tempio, al qualeabbiano a ricorrere i cristiani: e come che in ogni luogo siano a lui grate le divotee affettuose orazioni, tuttavia abbiamo particolar obligo d'andarlo a cercare in

    quel publico e sacro luogo a questo effetto ordinato, dove per lo santissimosacramento che vi è riposto e per le divote preghiere altrui siamo con più ardoresospinti all'orazione.Oltre a questo noi veggiamo che i religiosi non fanno le loro orazioni da parte,ma in virtù delle instituzioni di santa Chiesa si raunano insieme in un coro, doveraccogliendo gli spiriti loro quasi di molte anime compongono una sola, formando

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    l'armonia delle divine lodi e dei divoti prieghi per la santa pace e per la saluteuniversale. La qual congregazione non solo richiama giornalmente i cristiani dalleumane operazioni ai divini uffici, ma ha gran forza e merito nel cospetto delladivina maestà. Onde fu chi disse esser cosa impossibile che le preghiere fatteinsieme da molti non siano essaudite.Né mi ritrae punto da questo mio credere l'essempio che mi proponete di molti,che dalla carne allo spirito, dalla commodità ai disagi, dalle superbe stanze aipoveri monasteri sono trapassati, perché questi, se bene hanno nome di solitarii,in quanto sono separati da noi nella vita temporale, sono però congregati neiconventi, dove non solamente vivono e orano in commune fra loro, maconversano fra noi predicando, insegnando e facendo l'altre cose appartenenti albeneficio dell'anime nostre.Dall'altra parte, noi uomini del secolo che abbiamo più occasione di peccare,debbiamo considerare che Iddio ci ha date le rose accompagnate con le spine, e'l mele con l'api, e ci ha concesso l'intendimento della qualità e della differenzaloro. E se ben non si può volger occhio che non vegga, né orecchio che non oda,come voi dite, delle cose che ci impediscono la dritta strada, non si dee perciòsmarrire l'anima cristiana, anzi si ha da ricordare di quella sentenza:

    Ogni agio porta seco il suo disagio.

    E quando si vede, o dalla tentazione de' piaceri o dalla molestia de' travagliassediata, allora è il tempo d'acquistarsi la corona, col romper quegli argini esforzar quegli uncini e tenaglie che dicevate poco fa. E ben sapete che nel regnode' cieli bisogna entrare per mezo delle tribulazioni e angustie. E con tutto chefaccia atto di prudente colui che per fuggire il conflitto fra la carne e lo spirito siritira alla solitudine, nondimeno considerate la gran virtù e 'l singolar merito dicolui che trovandosi nel mezo de' diletti, se ne astiene e vince se stesso.Né lasciate anco di rivolger per la mente come i solitarii siano curiosi della quieteloro, posciaché non cercano di vedere né d'udire i guai altrui, né compatisconode' nostri danni, né sono sottoposti all'ingiurie, alle minaccie, alle percosse, allepersecuzioni, agli oltraggi, ai pericoli e alle ruine delle quali è piena questameschina valle di miserie. Né mi muove punto l'essempio di quei primi padri,percioché non fu tanto loro cara la solitudine che non avessero insieme cura delprossimo e che non lo dimostrassero con tante opere, che di raccontare non è avoi il bisogno né a me il tempo. Che Adamo fosse felice in solitudine non ve loniego: ma con tutto ciò non sapete voi che Iddio col dargli compagnia ci volseancora scoprire che la conversazione gli aggradiva? L'ultimo essempio di Cristonostro signore porta seco misterio differente dall'uso degli uomini, perché l'orare,il digiunare e l'attristarsi nella solitudine fu un significare, se non m'inganno, alcristiano che per raccogliere il frutto di queste opere bisogna che si disciolga es'allontani dal commercio de' peccati, e chiamando a raccolta l'anima sua errante,la ritiri e raffreni nella solitudine di se stesso. Perché se con la tristezza della

    fronte, col digiuno del corpo, con l'orazione della lingua, non ora, non digiuna enon s'attrista insieme il cuore, non s'imita Cristo, e si fa atto d'ippocrita,coprendo

    Sua passion sotto contrario manto,

    come disse il vostro poeta. E se fuori di queste opere egli non fosse statoconversevole, guai a noi, posciaché disputando e insegnando la sua dottrina,risanando infermi, illuminando ciechi, risuscitando morti, ha per lo spazio di tantianni con infiniti disagi conversato fra noi e sparso finalmente il suoinnocentissimo sangue per salute e beneficio nostro.S'egli adunque, conversando con noi, ha lasciato l'essempio e i modi che s'hanno

    a tenere nelle conversazioni, a me paiono iniuste le maledizzioni che voi date aquel primo che con gran giudicio raunò le genti disperse, le quali se non avevanoconoscenza di quei vizii che regnano nella città, non avevano anco la conoscenzadelle discipline, della creanza, de' costumi, delle amicizie, delle arti e delleoperazioni, per mezo delle quali si fecero differenti dalle fiere selvaggie a cui

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    erano simili.Onde si può forse dire che chi si parte dalla vita e congregazione civile perridursi in solitudine, ritorna quasi in fiera e ripiglia in un certo modo la naturabestiale: anzi si suol dire che al solitario non conviene altro nome che o di bestiao di tiranno, posciach'egli fa violenza alle fiere, occupando le selve, le sommitàde' monti, le grotte e le loro rimote abitazioni. Né si avede che le città e lecongregazioni degli uomini furono introdotte per fondare il tempio della giustiziae per dar legge e forma all'umana vita, la quale era prima dissoluta e imperfetta.Voi soggiungete poi che gli uomini letterati e di grande intendimento non sannoqual sia vita se non la solitaria, e particolarmente mettete avanti i filosofisprezzatori della moltitudine e amatori della solitudine. Qui averei largo campoda rispondervi, ma ristringendomi quanto posso, dico solamente che gli uominieccellenti nelle lettere e nelle scienze amano i luoghi solitarii non per natura maper difetto de' pari loro, co' quali possano conversare, e vi confesso che non vi ècosa più increscevole al letterato che la prattica degli ignoranti. Il che avienedalla molta diversità e de' ragionamenti e della vita e del saper loro.Ma sì come i letterati fuggono gli idioti, così cercano volentieri le compagniedegli altri uomini dotti, co' quali, tirati da una virtuosa ambizione, fanno provadel saper loro, dando e ricevendo scambievolmente di quei frutti che con lunghefatiche hanno raccolti. Né mi saprete voi nominare alcun filosofo così astratto e

    così ribello della natura, che a luogo e tempo non conversasse, o co' suoidiscepoli per insegnare, o con altri filosofi per disputare e intendere, e che nonstudiasse d'aver altri seguaci della sua dottrina. E però quell'atto di Diogene davoi raccontato fu ben per dimostrare che 'l filosofo discordi dalla volgar gente,ma non per biasimar la conversazione, la quale gli fu più cara che gli altrifilosofi, sì come vi dirò ancora.Io pertanto conchiudo che i letterati e gli speculativi, se ben amano la solitudineper difetto de' loro simili, amano però naturalmente la conversazione de' lorosimili, e molti di loro con lunghe fatiche e pellegrinaggi andarono ad abboccarsicon altri valentuomini, i cui libri aveano a casa. E con tutto che voi m'alleghiatedi quelli che hanno rifiutate le dignità e le amministrazioni civili, stimando che

    fosse cosa biasimevole il sottometter alla servitù l'animo libero e lasciarlooccupare nei negozii del mondo, non per tanto non hanno mancato altri eccellentifilosofi di biasimare con gli scritti loro, che ancor vivono, l'opinione de' già detti,e con gran ragione. Perché dandosi in tutto allo studio delle scienze e allecontemplazioni, abbandonavano in tutto quelle persone alle quali per leggenaturale erano tenuti di dare aiuto, e non si ricordavano ch'essendo nato l'uomonon solamente per se stesso, ma per la patria, per li parenti e per gli amici,troppo amatore di se stesso e troppo dispregiatore degli altri si dimostrachiunque non segue tal sua propria natura.Onde è ben degna di lettere d'oro quella sentenza: che d'estremo vituperio simacchia colui che non opera alcuna cosa se non per se stesso. Ma se tutta lalode della virtù consiste nell'operare, come è commune opinione de' filosofi, a

    che serve quella muta e odiosa filosofia, della quale si può dire, come della fede,che senza l'opere è morta, e se non si mette in atto, non arreca giovamento adalcuno, né anco a colui che l'ha acquistata? Il qual col proprio giudicio non si puòassicurare d'aver appresa la scienza, se non la fa conoscere e se non la senteapprovare da altri intendenti. E di qui ebbe origine quel proverbio: tra sepoltotesoro e occulta sapienza, non si conosce alcuna differenza. E si può ben direche questi s'assomigliano agli avari, che posseggono il tesoro ma non l'hanno, eche peccano grandemente sapendo far bene e nol facendo.E sì come non si stima la musica che non s'ode, così non merita alcuno onore ilfilosofo che non lascia conoscere il suo sapere. Il che fu molto ben consideratoda Socrate, il quale quando non avesse per altro meritato d'esser tenuto il più

    saggio di tutti gli uomini del mondo, lo meritava solamente per questo: ch'egli fuil primo a tirar giù dal cielo la filosofia morale, percioché veggendo tutti i filosofiintenti alla contemplazione della natura, non solo dissegnò di sapere e di benvivere o d'insegnar altrui i precetti della vita, ma si diede tutto alla coltivazionedi questa parte tanto utile e necessaria alla vita commune, e fece chiaro ilmondo della manifesta sciocchezza di coloro che vogliono più tosto nascondere la

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    lucerna sotto il sestaio, che portarla sopra il candeliere.Aggiungetevi poi che questi uomini che tanto aborriscono la conversazione, perletterati che si siano, riescono fuori delle lettere tanto goffi, inetti e pecoroni,che danno bene spesso occasione di riso alle brigate. Né mi sono ancora uscitedi mente molte sciocchezze d'un gentiluomo, già mio compagno nello Studio diPavia, il quale di dottrina non cedeva ad alcun altro di quello Studio, ma avrestedetto nel rimanente ch'egli era uno di questi gufi che hanno paura degli altriuccelli, e per le sue sciocchezze ci moveva bene spesso a compassione. Eparticolarmente un giorno che dovendo cavalcare per la subita morte di suopadre, comperò un paio di stivali, de' quali uno era tanto stretto che gli premevala gamba e 'l piede, e l'altro era largo fuor di misura. Ed essendo ripreso da noiperché si fosse lasciato uccellare, egli rispose che molto s'era doluto col calzolaiodi questa disuguaglianza, ma ch'egli aveva giurato che lo stivale più grande erafatto d'un certo cuoio, che portandolo si stringerebbe, e l'altro era d'una pelletanto arrendevole, che in due giorni diverebbe più agiato dell'altro.Or che ne dite? Parvi che cotali uomini si possano chiamare savii per lettera epazzi per volgare? Ben con ragione adunque fu detto da un antico poeta che 'lpadre della sapienza è l'uso e la madre la memoria, per dimostrare chebisognano, a chi vuole acquistar la cognizione delle cose umane, non solamente ilibri, ma la prova infallabile e l'essercizio intorno all'intelligenza delle cose, le

    quali conosciute s'hanno a ricevere e a fermar bene nella memoria, per poter poidalla sperienza già fatta consigliarsi e governarsi e giovar altrui secondo gliavenimenti.E volete sapere ch'io dica il vero? Considerate che non solamente nellaprofessione di noi medici, ma nell'altre ancora non è tenuta sicura la teoricasenza la prattica, ma ci confidiamo più nell'argomento delle cose da noi conragione sperimentate, che nella semplice dottrina altrui. E voi che avetemangiata gran copia di sale fuori di casa vostra, ben potete riconoscere quantov'abbiano renduto saggio e accorto i vostri pellegrinaggi, e quanto siate voidifferente da quegli uomini che non udirono mai il suono d'altre campane che diqueste. E pertanto con ragione, per dimostrare il valore e la prudenza del grandeUlisse, fu detto a sua immortal lode:

    Ch'avea molte città, molti paesiscorsi, e i diversi lor costumi intesi.

    Parmi d'avere a bastanza ributtate le vostre ragioni, senza ch'io mi stenda, sìcome potrei, intorno ad altre efficaci risposte, le quali tralascio, stimando che aqueste vi acchetiate e che vi siate mosso a ragionar di ciò più tosto per darmisaggio del vostro pellegrino ingegno, che perché in effetto abbiate tale opinione.Perché quei medesimi che vi hanno insegnata questa falsa dottrina, v'hanno ancoinsegnata la vera; e so che sapete che 'l Petrarca, con quante lodi egli dia allavita solitaria, ha confessato che senza la conversazione la vita nostra sarebbe

    zoppa e manchevole, né egli è stato così ribelle delle buone compagnie, che nongli uscisse di bocca quella voce:

    Con lei foss'io;

    e che non avesse pratticato per le corti e contratta amistà con molti prencipi ecavalieri.Di monsignor Vida non ve ne parlo, perché egli non tanto per lo merito dell'opereda lui scritte in solitudine, quanto per la scienza manifestata con viva voce inpublico Concilio, e per la lunga prattica della Corte di Roma, e per le sue azzioniessemplari, s'acquistò non pure quella mitra sotto la quale governò gran tempo lepecorelle a lui commesse, ma il credito di prelato meritevole di maggior grado.Oltre ch'egli essaltò la vita solitaria per mostrar maggiormente il suo ingegnonell'umiliarla con diverse e invincibili ragioni, fra le quali a me giova il ricordarvich'egli afferma che tutte le bestie, nell'uscir del corpo delle lor madri, si drizzanoin piedi e si sostengono per loro stesse: il che non ha voluto la natura concedereall'uomo, poiché venuto in luce ha bisogno dell'aiuto e appoggio altrui. Se questa

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    non basta, egli soggiunge che la medesima natura ha data la favella all'uomonon già perché parli seco medesimo, il che sarebbe vano, ma perché se ne servacon altri.E voi vedete che di questo istromento ci serviamo in insegnare, in dimandare, inconferire, in negoziare, in consigliare, in correggere, in disputare, in giudicare ein isprimere l'affetto dell'animo nostro, co' quali mezi vengono gli uomini adamarsi e a congiungersi fra loro. E conchiudo, alla fine, che non si può riceverealcuna scienza se non ci è insegnata da altrui.Eccovi adunque, signor Cavaliere, che la conversazione è non solamentegiovevole ma necessaria alla perfezzione dell'uomo, il quale bisogna confessareche sia simile ad un'ape che non può viver sola. E però seguendo la giudiciosasentenza degli Stoici, si ha a presupporre che sì come tutte le cose sopra la terrasono create all'uso dell'uomo, così l'uomo è creato all'uso dell'uomo, acciochéseguitando la natura maestra, s'abbiano scambievolmente a soccorrere e aconferire insieme le communi utilità col dare e col ricevere e congiungersi eobligarsi fra loro con l'arti, con l'opere e con le facultà. Onde si può ben chiamareinfelice colui al quale è levata la commodità di potere, conversando, procurarbeneficio a se stesso e agli altri. La qual pena è imposta dalle leggi ad alcunimalfattori, con intenzione che ricevano una spezie di tormento: perché non vi èmaggior afflizzione che 'l vivere fra gli uomini e 'l restar privo dell'aiuto e

    commercio degli uomini.E per terminare ormai il mio ragionamento, non si può ricever qua giù alcunpiacere senza compagnia. Il che diede occasione ad Archita Tarentino di dire ches'alcuno per bontà di Dio ottenesse di poter ascendere in cielo e di rimirar lanatura del mondo e la bellezza delle stelle, poco grata gli sarebbe quellamaravigliosa vista, se non avesse poi a cui poterla communicare.Voi potete adunque ravedervi, che né l'aria né 'l fuoco né l'acqua ci danno indiversi nostri bisogni tanto di soccorso quanto la conversazione. E se tutte questecose non bastano a farvi chiaro che così sia, io m'apparecchio a dirvene moltealtre non meno fondate di quel che siano le già dette.

    Cavaliere

    Io son costretto di dir col poeta:

    Né sì né no nel cor mi suona intero.

    Perché nonostante ch'io mi senta grandemente consolato dal vostro gentildiscorso, mi rimangono nell'animo alcune reliquie di dubbii, da' quali son tirato adirvi che sì come la matrigna per soverchio odio non discerne le virtù delfigliastro e la madre per soverchio amore non comprende i difetti del figliuolo,così voi dimostrate le medesime passioni nel biasimar la solitudine e nel lodar laconversazione; conciosiacosaché non avete detto il bene che riesce dalla vitasolitaria, né il male che risulta dalla conversazione.

    Onde per palesar quel che nascondete, vi dico che non fu mio proponimento didifendere né di commendare quelle persone le quali indotte o da capriccio o daumor malinconico, più tosto che da buono spirito, si ritirano del tutto in solitudinee non curano più di sapere che sia di noi. Anzi io tengo questi per morti, o peruomini almeno che non sanno per se stessi né per altrui, e per la professione chefanno, di non voler essercitar la virtù a loro beneficio, né insegnarla a quei chen'hanno bisogno: io soglio paragonarli alla volpe, la quale volse più tostostrascinar inutilmente la coda per terra, che darne un poco alla simia per coprir lesue parti vergognose.Né anco ebbi pensiero di negare che conversando si facciano opere aggradevoli aDio. Bene è stata, ed è ancora, mia opinione che alla perfezzione dell'uomo (la

    quale, s'io non erro, consiste principalmente nel sapere) sia più giovevole lasolitudine che la conversazione: e che sia il vero, voi vedete che gli uomini iquali attendono a' negozii e alle prattiche delle corti e delle cose publiche, sonoperlopiù senza lettere e scienze; e per lo contrario quei che le voglionoacquistare non le cercano per le piazze e fra le turbe, ma nelle loro rimote

  • 8/17/2019 Stefano Guazzo, La Civil Conversazione

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    stanze.Né vale il dire che molti letterati riescono inetti e caproni nel conversare, perchéquesta loro inettitudine è considerata solamente dal volgo, il quale veggendoch'essi non sanno far le riverenze alla moderna, né acconciarsi la berretta in capoper traverso, né ballare alla misura, né morder con l'acutezza della linguasecondo l'uso commune, se ne ride e ne fa poca stima. Tuttavia, fra gli altriletterati hanno grazia e onore, e quel che al volgo pare melensaggine, da loro ètenuto per semplicità di costumi e per candidezza d'animo.Or volgiamo, vi prego, la carta, e chiamisi uno di questi beffatori in un cerchiode' letterati, che lo vederete o restar mutolo con vergogna, o parlar con vergognae biasimo. A guisa di colui il quale, trovandosi a caso fra certi virtuosi chediscorrevano dell'eccellenza de' poeti, spinto dalla sua gloriosa castronaggine,scavezzò i loro ragionamenti dicendo che senza più contesa bisognava dar ilprimo luogo de' poeti ad Orazio, perché già il Petrarca ha data questa sentenza el'ha anteposto ad Omero e Vergilio; e richiesto a voler allegar la sentenza, tostorispose:

    Se Vergilio ed Omero avesser vistoOrazio sol contra Toscana tutta.

    Di che ne nacque forse maggior riso tra loro di quel che si fece tra gli scolarivostri amici per la beffa degli stivali, e si raddoppiò anco il riso, poiché essendoricerco costui a dichiarar l'intenzione del Petrarca in quei versi, soggiunse chevoleva dire che né Virgilio né Omero né tutti i poeti della Toscana erano bastantia porsi contra Orazio solo. Or se lo scolare inciampò in una tolerabileleggierezza, questo urtò in una viziosa persuasione. Onde mi pare che sia piùsicura una dottrina senza prattica, che una prattica senza dottrina, e vorrei piùtosto aver nome di letterato inetto che di corteggiano ignorante. Voglio pertantoinferire che conviene a chi vuole acquistar le scienze e toccare il fondo,attendere (come dicono gli artefici) a bottega e non andare tutto il dì scorrendoper le piazze e facendo spettacolo di sé fra 'l popolo.Ma dato il caso che dalla conversazione nascano de' lodevoli effetti, poniamoanco su la bilancia di questo giudicio i biasimevoli, i quali vedrete contrapesar dimolto, conciosiaché è così ristretto il numero de' buoni, che per giusta intenzioneche voi abbiate, non la potete conservare e sete costretto ad alterarla e aravedervi, ché chi dorme coi cani si leva con le pulci. Del qual effetto essendochiari i Cretesi, quando volevano desiderare male ad alcuno, gli auguravano chesi dilettasse di cattive compagnie, quasi volessero inferire che s'avesse arompere il collo.Oltre a ciò, siamo ora giunti a tal segno, che voi non potete operare cosìdirittamente che non riceviate mille torti, se non nella vita, la quale non è ancosicura, almeno nella fama. Ed è oggimai tanto cresciuta la malignità degli uomini,che non si perdona più all'onore di chi che si sia, o prencipe o privato, e si

    pigliano in sinistro sentimento tutte le buone opere. Per modo tale che se vi datealla divozione e all'essercizio della carità, ne ricevete il nome d'ippocrita; se seteaffabile e cortese, ecco chi vi chiama adulatore; se date aiuto ad una sconsolatavedova, tosto udite una voce che dice: «Io intendo il resto»; se per inavvertenzanon risalutate l'amico, egli non vi vuole più parlare; se difendete uno oppresso,avvertite a non vi lasciar giunger fuori di casa dopo le ventiquattro; né pensateche vi sia portato rispetto perché non facciate professione di soldato, ch'ormais'usa il dar delle bastonate e delle ferite insino a' dottori per farli cessare dallaprotezzione de' clienti.Ma a che fine mi vo io perdendo nell'intricato laberinto degli abusi e dei disordinide' nostri tempi? Voglio pure uscirne ad un tratto risolvendomi che dal mondo si

    torrebbono i vizii, se dal mondo si togliesse la conversazione, poiché gli adulterii,le rapine, le violenze, le bestemmie, gli omicidii e gli altri infiniti eccessis'imparano conversando e conversando si commettono.

    Annibale

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    Voi avete fatto sembiante da principio di volervi arrendere alle mie ragioni e visete poi con nuovo impeto levato contra di me.Tuttavia non resterò di far prova s'io posso con altre risposte metter fine a' nostridispareri. E perché voi fondate la scienza sopra la solitudine, mi bisogna primadimandarvi da cui s'imparino communemente i principii delle scienze.

    Cavaliere

    Da' maestri.

    Annibale

    Voi adunque vi sarete preso col vostro laccio, poiché con queste parole miconfessate che 'l principio e 'l fine delle scienze dipende dalla conversazione. Enel vero sì come il fabro de' corsaletti non s'assicura della fermezza loro finchénon li vede mantenersi alla prova della lancia o dell'archibugio, così non può illetterato assicurarsi del suo sapere infin che non viene ad accozzarsi con altriletterati, coi quali discorrendo e disputando si certifica del suo valore: laonde mipare assai manifesto che 'l sapere comincia dal conversare e finisce nelconversare.Ma perché voi soggiungete che gli uomini di corte e di negozii sono privi di

    lettere, qui mi conviene ricordarvi che sì come sono diverse le scienze, l'arti e leprofessioni, così diversa è la vita degli uomini: i quali, sì come a Dio piace, sonochiamati chi alla mercatanzia, chi alla milizia, chi alla medicina, chi alle leggi. Eperché tutti questi drizzano il corso ad un fine d'acquistar con quei mezi onore eutile, voi vedete che ciascuno d'essi divide l'età sua in due parti, l'unanell'apprendere quelle cose che gli possono bastare ad incaminarsi al già dettofine, e l'altra nell'operare.E per essempio, voi vi proponeste già d'esser secretario d'un prencipe, e so cheper le virtù vostre voi ne dovete sperar riputazione e commodo a casa vostra, eche avete a mente la fortuna di quelli che da questo grado sono giunti alcardinalato e insino al vicariato di Cristo. Onde per drizzarvi a questa servitù vi èbastato l'aver appreso quelle lettere latine e toscane e quella parte delle scienze

    ch'era necessaria a questo fine, e per la maniera dello stile e del negoziar vi seteacquistato il credito d'eccellente secretario.Il medesimo fanno tutti gli altri uomini, fra i quali sono alcuni che volendo pigliarla cura delle cose familiari, overo della mercatanzia, non cercano di saper altro dipiù che leggere, scrivere e far ragione. E se ben questi nei cerchi de' letterati nonsapranno discorrere di retorica né di poesia, non meriteranno però biasimo, népotremo dire che siano privi di lettere per cagione del conversare, perché già dalprincipio della vita loro tolsero per impresa d'allontanarsi da questo studio, ebasta loro d'esser tenuti accorti e intendenti nella professione loro. Ma sarà bendegno di riso e di riprensione quel letterato, il quale essendo involto solamentenegli studi, non riduce la sua dottrina alla vita commune e si scuopre in tutto

    ignorante delle cose del mondo.E voglio dirvi di più, che sarebbe errore il credere che la dottrina s'acquisti piùnella solitudine fra i libri che nella conversazione fra gli uomini dotti, percioché laprova ci dimostra che meglio s'apprende la dottrina per l'orecchie che per gliocchi, e che non accaderebbe consumarsi la vista né assottigliarsi le dita nelrivolgere i fogli degli scrittori, se si potesse aver del continuo la presenza loro ericever per l'orecchie quella viva voce, la quale con mirabil forza s'imprime nellamente.Oltre che abbattendovi nel leggere in qualche oscura difficultà, non potetepregare il libro che ve la dichiari, e vi conviene talora partirvi da lui malcontento,dicendogli: – Se non vuoi esser inteso, né io t'intenderò –. Dal che potetericonoscere quanto più util cosa sia il parlar coi vivi che coi morti.Io dopo vengo considerando che l'animo del solitario diviene o languido e pigro,non avendo chi lo stuzzichi col ricercar la sua dottrina e col disputare, o gonfio esuperbo per la vana persuasione, perché non paragonando alcuno a se stesso,troppo a se stesso attribuisce. E per lo contrario chi sente lodare i suoi studi sene invaghisce maggiormente, chi è ripreso si ravede e si corregge, chi è alquanto

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    negligente viene stimolato dalla concorrenza, e come si reca a vergogna il cederead uno eguale, così stima grande onore il potere avanzare un superiore.Ma sopra tutte l'altre cose hanno forza di risvegliar gli intelletti quelle virtuosecontese che nascono fra letterati, i quali disputando imparano, e quel che in talmodo imparano lo sanno meglio e meglio l'espongono e più tenacemente lofermano nella memoria, e mentre cercano a prova l'un l'altro di prevaler conragioni, si viene al perfetto conoscimento delle cose: e perciò si suol dire che ladisputa è il cribro della verità. E perché la verità si cava dalle intelligenzecommuni, non si possono apprendere queste intelligenze se non col pratticare, equesto vollero inferire i poeti raccontando che quantunque Giove fosseonnipotente iddio, nondimeno chiamava al concilio gli altri dii e ascoltava isentimenti loro.Ma lasciando le favole, non siamo noi certi che le importanti e ammirabiliinstituzioni di santa Chiesa non procedono da un solo pontefice, ma daisacrosanti concilii generali, dove sono state maturamente considerate eapprovate? Oltre a ciò, non sogliono tutti i prencipi, dove si tratta dellaconservazione e dell'importanza de' loro stati, per non risolver le cose di lorcapo, raunare i consiglieri, e conformi al parer loro stabilirle? Non fanno lerepubliche, le città e infino a' piccioli borghi congregar l'università, creando gliufficiali e fermando gli ordini secondo i voti communi? Non usano i magistrati

    d'accostarsi nel giudicio alle communi sentenze de' dottori? Non facciamo noimedici il medesimo nei nostri collegii, risolvendoci nella cura degli infermi colgiudicio della maggior parte? Non si compiaceva Apelle di metter in publico lesue pitture e di star nascosamente ad udir il parere de' circostanti, e dove molticoncorrevano nel riprender alcuna parte, non la correggeva egli secondo lecommuni opinioni? E non diceva un altro pittore che 'l popolo era il maestro dacui aveva appresa l'arte sua? E finalmente non soleva un saggio imperatore, dicui non mi ricorda ora il nome, mandar tutto il dì fuori alcune spie per intenderequel che si dicesse di lui, rinovando talora le azzioni sue e riformando la vita dibene in meglio secondo le loro relazioni?Troppo veramente s'arrischia chi del proprio giudicio s'assicura, ed è volgar dettoche al ben s'appiglia chi ben si consiglia. Onde il consiglio è stimato cosa sacra.Io non potrei dire a bastanza il gran beneficio che risorge dalla conversazione edalla scienza che per l'orecchie ci viene infusa nell'animo dalla bocca de'letterati, ma non resterò già di ridurvi a memoria le onorate academie che inmolte città d'Italia si sono a questo fine introdotte, fra le quali non dee essertacciuta quella degli Invaghiti di Mantova, fondata in casa dell'illustrissimo signorCesare Gonzaga, valoroso prencipe e singolar protettore degli uomini virtuosi; equella degli Affidati di Pavia, la quale non è maraviglia se per la copia degliacademici felicemente fiorisce. Bene è forse maraviglia che in questa picciolacittà di Casale abbia presa così bella forma l'Academia degli Illustrati.Ma perché non è ora il tempo di discorrere della sua grandezza, torno a dire cheinestimabile è il frutto che si raccoglie da queste academie, e che sono bene

    avisati quei che vi pongono dentro il piede. Percioché conoscendo che non puòun solo da se stesso acquistar molte scienze, poiché l'arte è lunga e la vita èbreve, come dice il nostro Ippocrate, quivi ottengono tutto ciò che vogliono.Perché discorrendo altri delle divine, altri dell'umane istorie, chi di filosofia, chidi poesia e d'altre diverse materie, si fanno acconciamente partecipi di quel chefaticosamente e con lungo studio ha ciascuno appreso: imitando coloro i quali,non potendo soli vivere largamente, convengono con altri in un luogo, econferiscono insieme le loro porzioni, delle quali compongono uno magnifico esolenne convito.E perciò con molto giudicio fu detto che l'uomo è Dio all'uomo, posciaché l'unoriceve tanto giovamento dall'altro: il che ci viene anco figurato da

    quell'emblemma del cieco che porta su le spalle lo stroppiato, da cui gli èinsegnata la strada. Onde ben disse l'Alemanni:

    Così l'intero di duo mezi fassil'un prestando la vista e l'altro i passi.

  • 8/17/2019 Stefano Guazzo, La Civil Conversazione

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    Io adunque vi replico che la conversazione è il vero affinamento e l'interaperfezzione della dottrina, e che giova più al letterato un'ora ch'egli dispensi neldiscorrere con suoi eguali, ch'un giorno di studio in solitudine. Anzi, nel conferiresi sganna molte volte degli errori ch'egli ha preso da se stesso, non avendodirittamente inteso il senso delle scritture, e viene a ravedersi che 'l giudicio d'unsolo può di leggieri esser offuscato dal velo dell'ignoranza o d'alcuna passione, eche nella moltitudine non avviene così facilmente che tutti s'abbaglino. Efinalmente con la prova si certifica che la virtù espressa ne' libri non è altroch'una virtù dipinta, e ch'ella s'acquista più con l'uso che con la lezzione.

    Ma egli è ormai tempo ch'io vi risponda intorno a quei mali effetti che voi ditenascer dalla conversazione, la quale ci fa torcer fuori del dritto sentiero e alterar,come voi dite, la nostra buona intenzione, per la frequenza degli uomini diperversa vita. E con tutto che a me paia che dovessero sodisfarvi alcune ragioniche già vi ho assegnate, non resterò di soggiungere ch'egli è il vero che sì comeper contagione si trasferiscono alcune infermità del corpo, così passano i viziidell'animo alli prossimi, in tal guisa ch'un ebbriaco trae i compagni all'amor delvino e un lascivo snerva un uomo forte.E tanto può la continova conversazione, che molte volte, non volendo, imitiamo ivizii altrui: onde s'intende che i famigliari d'Aristotile avevano appreso abalbettare, e quelli d'Alessandro tolsero ragionando l'asprezza della sua voce. Né

    ho dubbio alcuno che conversando con tristi non si provi che l'uomo è lupoall'uomo e non Dio, come già dissi, e che secondo i proverbi del Savio l'amicodegli stolti diverrà lor simile, e chi tocca la pece, sarà da quella imbrattato.Ma eccovi, signor Cavaliere, la medesima ragione nel suo contrario, conciosiachéle virtù partoriscono anco questo effetto, e sì come un carbone spento quando simette presso ad uno acceso s'avviva, così un uomo tristo e senza valoreaccostandosi a' buoni partecipa delle qualità loro. Ed è cosa certissima che nontanto giova alla sanità un'aria e una regione appropriata, quanto agli animiinfermi il conversar co' buoni. E se i tristi lasciano qualche semenza di male aquelli a cui s'accostano, i buoni anco lasciano loro il bene, e sì come il gratoodore dal musco, così dai buoni essala non so che di buono verso il prossimo, ebene spesso vi si mantiene infuso.Or perché il suggello de' vostri ragionamenti è che non si possono far così buoneopere che non siano pigliate contra p